L’IMPORTANZA DI ESSERE MORRISSEY a cura di Paul A. Woods Ventotto conversazioni con il leader degli Smiths
Progetto grafico e impaginazione: Leonardo Brambilla Caratteri: Palatino LT Std Roman, Palatino LT Std Italic Futura LT Book Bold, Futura LT Medium, Futura LT Book Regular Carta: Sovracoperta, Expedia Digital Gloss 250gr, plastificata lucida in bianca, Burgo Copertina, Experia Digital Naturale 300gr, Burgo Interno, Experia Digital Naturale 120gr, Burgo Finito di stampare in Agosto 2017 presso Develoop Srl, Monza (MB)
This edition copyright© 2007, 2010, by Plexus Publisbing Limited © Isbn Edizioni S.r.l., Milano 2010 Titolo originale: Morrissey in conversation: the essential interviews
Isbn Edizioni
L’IMPORTANZA DI ESSERE MORRISSEY a cura di Paul A. Woods Ventotto conversazioni con il leader degli Smiths Traduzione di Giuseppe Marano
SOMMARIO
Morrissey non ha bisogno di presentazioni di Paul A.Woods
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Belli e sfacciati di Dave McCullough
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Caccia allo Smith! di David Dorrell
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Tutti gli uomini hanno dei segreti... di Neil McCormick
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Morrissey di Elissa Van Poznak
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Un caso da approfondire di Biba Kopf
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This Channing Man (Un uomo affascinante) di Simon Garfield
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Mr Smith: tutto fumo e niente arrosto? di Dylan Jones
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Wilde Child di Paul Morley
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Diario segreto di un uomo di mezz’età di Shaun Phillips
128
Tatto e delicatezza di Mat Snow
146
Il re delle parole di Steven Daly
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Morrissey esce allo scoperto! (Per un drink) di Stuart Maconie
182
Oh La La! di Adrian Deevoy
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Hand In Glove (D’amore e d’accordo) di Andrew Harrison
220
L’importanza di essere Morrissey di Jennifer Nine
236
Felice, adesso? (1° parte) di Andrew Male
250
Felice, adesso? (2° parte) di Andrew Male
262
L’ultima tentazione di Morrissey di Paul Morley
270
L’insostenibile leggerezza di essere Morrissey di Peter Murphy
296
Autori
308
Credits
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MORRISSEY NON HA BISOGNO DI PRESENTAZIONI di Paul A. Woods 2007
Non sarebbe dovuto succedere, vero? ... è stato uno sbaglio. Morrissey, conversazione con Paul Morley
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a più improbabile rockstar inglese degli ultimi decenni è anche la più indispensabile. Se la cultura popolare non vuole limitarsi soltanto al mucchio di banalità scodellate quest'anno, sarà meglio continuare a prendere sul serio Steven Patrick Morrissey. Non che sia mai stato conosciuto con quel nome. Agli esordi degli Smiths, quel giovane che alternava stravaganza e aggressività, timidezza e istrionismo, con un curatissimo look da mercatino delle pulci, aveva scelto di affidarsi semplicemente al cognome, elevandosi spontaneamente al rango di Elvis, Bowie e altri artisti-icona evocati da una sola parola. Nel frivolo mondo della musica pop di metà anni ottanta, la ruvida estetica in bianco e nero degli Smiths era tutta farina del suo sacco. Con quei momenti catturati da film, giornali e tv degli anni sessanta, Morrissey si aggrappava al mondo che era scomparso con la sua infanzia: Terence Stamp nei panni del giovane represso che si strugge d'amore nel Collezionista, sulla copertina originale di What Difference Does lt Make?; Viv Nicholson, ripiombata nella miseria dopo aver sperperato tutto quello che aveva vinto alla lotteria, per HeavenKnows I'm Miserable Now; su Ask l'attrice Yootha Joyce, non bellissima ma di gran classe, incarnazione della femminilità operaia degli anni sessanta. Come lui, le sue icone personali erano tutti personaggi intrappolati in mondi che non erano creati da loro: il genio effeminato e decadente di Wilde; il tenebroso James Dean, destinato a una tragica fine; il
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sofferente Billy Fury, vecchia gloria in disarmo del rock inglese. Gli Smiths conferivano realismo alle loro atmosfere romantiche e smorzavano l'angoscia con tocchi di massima leggerezza. Il cantante era un perfetto simbolo dei tempi: rigettava ogni contaminazione col machismo del rock'n'roll ed enfatizzava il disagio sociale dei disadattati e degli emarginati, si vestiva con camicette da donna fuori misura e sfoggiava occhiali della mutua o un enorme apparecchio acustico in stile Johnny Ray, mentre la sua voce delicata e ossessionante si alzava all'improvviso in un falsetto urlato. Quell'uomo affascinante, nella vulgata del tempo, era l'esatta antitesi del «rockettaro»: volutamente più vicino alla garbata ironia di Alan Bennett o alle laceranti confessioni diaristiche di Kenneth Williams, piuttosto che alla licenziosità di un Mick Jagger o allo stordimento narcotico di Jim Morrison. In tutto questo, l'ex salvatore personale Johnny Marr–che l'aveva strappato a un'esistenza da recluso in cameretta degna di un copione di Beckett– era il collaboratore perfetto. Insieme, l'asse Morrissey/Marr incarnava il rock degli anni ottanta senza cadere preda dei suoi ridondanti cliché. Se This Charming Man era un energico esempio di powerpop post-Byrds, obliquamente inglese, un brano triste e struggente come This Night Opened My Eyes faceva da colonna sonora alla vita vissuta–allora come oggi–così come appariva allo sguardo esterno e sensibile di Morrissey. Attingendo ai suoni e alle immagini di un'epoca precedente, più ingenua, Morrissey e Marr si immergevano a fondo negli abissi quotidiani dell'anima. Come osservava Morrissey nella primissima intervista agli Smiths apparsa sulla stampa musicale nazionale (con Dave McCullough, allora collaboratore di Sounds), la sua musa nasceva da tempi disperati. Nel clima post post-punk dei primi anni ottanta, il trittico soffocante composto dalla spietata economia thatcheriana, dai bombardieri atomici di Reagan pronti al decollo e da una guerra di logoramento con l'ira offriva pochi motivi di speranza. Mentre le folle del sabato sera in giacca larga, pantaloni a tubo e abitini a balze continuavano a divertirsi come gli ultimi festaioli a bordo del Titanic, la nascente scena “indie” (che ancora non si definiva tale e divenne sempre più inconsistente dopo che le fu affibbiata quell'etichetta) si gingillava con i gruppi della Postcard Records oppure si consumava nel suo gretto pessimismo. Se l'assurda etichetta di “miserabilisti” applicata agli Smiths avesse avuto un minimo di fondamento, non avrebbero avuto come cantante uno degli ultimi grandi spiriti corrosivi d'Inghilterra. Sembra che la depressione–durata apparentemente per una vita, fino all'attuale rinascita di mezza età–abbia fatto da sprone: uno stimolo alla creatività, più che un varco d'accesso alla disperazione più assoluta. Vero artista pop, Morrissey esiste per esprimere e poetizzare quei sentimenti che il suo pubblico può soltanto provare. Se gli attacchi di malinconia descritti in molte interviste degli esordi lo hanno spinto sul ciglio dell'autodistruzione, le sue agrodolci cartoline liriche dall'orlo dell'abisso sono state un conforto per molti giovani animi disperati. Sia che consentissero un grado di immedesimazione tale da far restare aggrappato alla vita l'ascoltatore, sia che accompagnassero semplicemente il doloroso transito in questa valle di lacrime, le parole di Morrissey erano comunque importanti. Il fatto che abbia resistito fin qui dimostra l'assurdità di quelle tendenze suicide che a detta di un intervistatore (il giornalista irlandese Neil McCormick) lo avreb11
Morrissey non ha bisogno di presentazioni 12
bero portato a farla finita. Una vita di malinconia, vivacizzata da spirito e umorismo, ha prodotto uno dei repertori più interessanti e accessibili nella storia della canzone pop. Soltanto il suo artefice può dire se sia valsa la pena tener duro: per quanto ci riguarda, ci ritroviamo un commentatore che fa sentire la sua voce (o forse una voce che fa sentire i suoi commenti?) che conosce bene le nostre piccole gioie e i nostri dolori, benché riflessi in un punto di vista personale e distaccato. Morrissey è tristemente famoso per la sua estraniazione dalle vicende del cuore e della carne. Ma i tentennamenti sulle prime esperienze sessuali (inesistenti, oppure così deprimenti da condurlo ad anni di astinenza) non rappresentano una grossa contraddizione. Come lui stesso ha affermato in gioventù: «Non vorrei che mi considerassero un Tarzan, una Jane o chissà cos'altro!». Nonostante gli indizi evanescenti che ha disseminato sulla sua sessualità, quest'uomo variamente descritto come casto o frustrato, eterosessuale o bisessuale (a seconda delle voci cui si è dato credito nei vari momenti) spiega l'inutilità di un approccio che tenda a incasellarlo in una categoria specifica, quando sappiamo bene che il mondo è bello proprio perché è vario. Lasciando da parte la tanto sbandierata castità -a cui forse si è data troppa enfasi–Morrissey si è pronunciato in modo assai più esplicito sulle sofferenze inflitte agli animali–in primis dall'industria della carne, ma in anni recenti anche dai test medici e dalla vivisezione. «Se sei d'accordo con la vivisezione» obietta quest'uomo moralmente indignato ma sempre elegantissimo, che non disdegna scarpe e cinture di pelle, «offriti come cavia, allora.» Qualcuno ha adottato pedissequamente il suo dogma animalista, ma un osservatore attento potrà ravvisarvi l'emblema di una religiosità personale coltivata in luogo di un Dio assente, con il quale questo cattolico non praticante intrattiene un rapporto a intermittenza. Solitario al limite del solipsismo, capace di comunicare davvero con gli altri soltanto tramite i testi delle canzoni, il giovane Morrissey non ha mai accettato le condizioni poste dal mondo, mentre il Morrissey più anziano e più forte le rifiuta apertamente. C'è chi lo giudicava troppo sensibile per vivere e sembra un miracolo se le nevrosi che alimentavano tanta parte della sua creatività non lo abbiano distrutto strada facendo. Molti si aspettavano il tracollo dopo la defezione di Johnny Marr, la sua zattera di salvataggio musicale. Invece, dopo aver abbandonato da tempo Manchester, la sua città natale del Nord, Morrissey si è aggrappato per anni alla psicogeografia della sua gioventù come fonte di ispirazione. La tradizionale desolazione piovosa e le oscure officine sataniche della nostra nazione sono state linfa vitale per questo giovane anglo-irlandese, figlio di immigrati di prima generazione ma british fino al midollo e per giunta patriottico (anche se non sciovinista). Perfino i criminali più feroci e i delitti più efferati degli anni sessanta hanno offerto spunti lirici a questo malinconico usignolo (si pensi a Suffer Little Children, straordinaria trasposizione musicale di Beyond Belief, un saggio di Emlyn Williams sui Delitti della Brughiera che funestarono l'infanzia di Morrissey, o al martellante glam rock di The Last of the lnternational Playboys, ispirata a Reggie Kray). Anche se certe ossessioni permangono, ci sono stati dei cambiamenti interessanti. Morrissey si è dedicato alla costruzione della sua persona, utilizzando come materiale stoffe griffate e cicatrici psicologiche rimarginate. Come il suo stile nel vestire ha cominciato ari
Paul A.Woods
flettere una sobria agiatezza, così Morrissey è giunto a rappresentare una virilità intimamente sicura di sé–agli antipodi dell'immagine goffa dell'era Smiths e altrettanto distante dal grossolano “nuovo maschio” degli anni novanta–che resta affascinata dall'iconografia del pugilato o elogia i New York Dolls per la loro “violenza” al programma di Jools Holland, Later. Forse uno degli aspetti più straordinari di questa maturazione, che lo vede in versione più robusta, corpulenta e amante della birra, è stato il recupero dei primi anni settanta. Può darsi che all'epoca degli Smiths fosse ancora troppo presto per ammetterne l'importanza. Ma basta leggere in successione le interviste raccolte in questo libro per percepire non solo Sapore di miele e l'elusiva passionalità di Cilla Black, ma anche gli sgargianti lustrini del glam rock che ardeva nei cieli cupi di una Gran Bretagna sull'orlo della bancarotta. Anche se negli ultimi tempi si veste in modo più simile a un elegante luogotenente di mafia che agli uomini in zatteroni che una volta dominavano le classifiche pop, la straordinaria produzione recente di Morrissey è uno sviluppo consequenziale del “glam”. Spavalda e baroccheggiante, con accenni di trame intricate, conserva tutta l'energia e l'economia del rock'n'roll degli anni cinquanta, ma intersecata da ricami a effetto, quasi da flamenco, che fanno sicuramente presa sui giovani gangster messicani che adorano Morrissey, e ai quali ha dedicato un'elegia. Gli Smiths sono definitivamente esorcizzati ed eclissati. È significativo che la grande rinascita di Morrissey sia avvenuta in un momento in cui concetti vuoti e insulsi degli anni novanta come “Britpop” e “Cool Britannia” sono soltanto vani ricordi. Mentre altri artisti, molto meno interessanti, si avvolgevano nella bandiera inglese, si riteneva “inaccettabile” che questo impertinente, pensando (e parlando) con la sua testa, affrontasse il tema dell'identità nazionale e della sua scomparsa. Che questo, e un paio di canzoni ben ponderate sulla difficile situazione anglo-asiatica, dovessero collocarlo quasi al livello di un criminale di guerra dava la misura di quei tempi politicamente corretti e di una stampa musicale ipocrita e vetusta, eppure ancora piena di sé. Anche le circostanze del suo ritorno in sala d'incisione nel nuovo millennio sono tipicamente inglesi: dopo aver liquidato uno dei nostri veri grandi, abbiamo scoperto con imbarazzo che non ci apparteneva più. Quasi quanto le sue canzoni più taglienti e argutamente provocatorie, Morrissey ha fatto dell'intervista personale una forma d' arte nel corso di tutta la sua carriera, singolarmente turbolenta. Perciò continuate pure a leggere, ma non affannatevi a cercare una seriosa coerenza. Nei primi anni gli Smiths vengono descritti come una cooperativa socialista, decisamente in contraddizione con la guerra fratricida tra l'autore dei testi e la sezione ritmica consumatasi nelle aule di tribunale un decennio più tardi. Le amicizie temporanee del mondo dello spettacolo vengono disprezzate in un batter d'occhio, dopo aver urtato i nervi scoperti della sua sensibilità. (Pare che sia stato rimosso dalla storia perfino l'esordio sulla scena con i Nosebleeds, un gruppetto punk di quarta categoria, anche se Howard Devoto, il fondatore dei Buzzcocks e dei Magazine, ne conserva qualche vago ricordo.) Oggi Morrissey ha rimesso a fuoco la sua prospettiva per rivolgersi al mondo, e non più soltanto alla vecchia Inghilterra felice, della quale, per sua ammissione, ogni giorno una parte cessa di esistere. Quando la terra che gli ha dato i natali ha cominciato a dissol-
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Morrissey non ha bisogno di presentazioni 14
versi in un paesaggio metropolitano paneuropeo, il negletto e denigrato Morrissey ha alzato le vele e si è dileguato: prima, strano a dirsi, a Los Angeles, terra di soleggiata vacuità e gang violente; poi in un soggiorno a Roma, dove pare sia avvenuta una sorta di rinascita personale. Non più l'inglesino incantato dai film della serie Carry On (il cui rifiuto di trattare il sesso come altro dalla licenziosità di una cartolina dal mare, una volta doveva sembrare così adatto), l'esteta dei bassifondi si dà all'opera del compianto Pier Paolo Pasolini. Non più “tormentato dai sensi di colpa per i piaceri della carne”, Morrissey ci assicura di essere nato davvero, adesso. Dopo tutti quei melodiosi tour de force costruiti sulle sue e sulle nostre insicurezze, cercare di conoscere anche i dettagli più intimi e scabrosi può apparire vagamente fuori luogo. L’esistenza stessa di questo artista pop capriccioso, testardo e assolutamente geniale è già abbastanza d'ispirazione.
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Paul A.Woods
BELLI E SFACCIATI di Dave McCullough Sounds, 4 giugno 1983
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isperatamente in cerca di “novità”, l'industria discografica e la stampa musicale (come al solito) non si rendono conto che qualcosa di nuovo sta già accadendo. Potrebbe sembrare un fenomeno silenzioso, sotterraneo, discreto e dai contorni ancora indefiniti, ma non è così. Prima c'è stato il punk, poi il post-punk, gruppi dai nomi stravaganti come Echo e Teardrop, gruppi che riprendevano egregiamente alcuni aspetti della psichedelia. E che soltanto adesso, con tre anni di ritardo, vengono scopiazzati (con successo) da Tears For Fears et similia. Continuano a venir fuori nomi stravaganti, ma ormai sono inutili e decisamente fuori tempo massimo. Quest'anno abbiamo già avuto una nuova ondata di gruppi, i Wake, gli Smiths, i Box e i rigenerati Go Betweens, che presentano un inedito garbo, una nuova sensibilità in mezzo ai vari tentativi di scandalizzare e di bloccare (il futuro). Musica oltre il punk rock. Dicono gli Smiths: «Non citare il punk in questo articolo. Per noi ormai è una cosa del passato, non ci riguarda. È storia vecchia…». Questo approccio garbato, sobrio ed equilibrato non dovrebbe nascondere i legami di questi gruppi con il '76, e tutto quel che ne consegue, né, specialmente nel caso degli Smiths, la condizione molto scortese della loro arte. Gli Smiths non sono un nome come tanti. Gli Smiths si presentano benissimo, e hanno stile da vendere. Il chitarrista Johnny Marr suona una Rickenbacker rossa a mitraglia nella migliore tradizione dei primi Jam. Sembra la bella copia di Elvis Costello, anche se lui nega vigorosamente ogni somiglianza. Il cantante Morrissey ha alle spalle dei trascorsi nel punk del '77 e la collaborazione con alcune fanzine. Viene considerato “l'ultima grande figura uscita da Manchester dopo Howard Devoto”. Ha uno stile impeccabile, getta fiori sul palco e scrive testi che parlano di sesso come mai si era sentito fare finora, nemmeno da apparenti «confessori» come il frastornato Marc Almond. Nelle canzoni degli Smiths affiora più di una volta il tema delle molestie sui minori. Ma sono anche testi esilaranti, tanto più che all'improvviso entrano nel personale. Nei concerti dal vivo
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gli Smiths hanno un gran finale alla Freebird. Anche questo, come Costello e le accuse di pedofilia che respingono al mittente senza pensarci due volte, fa parte del piano degli Smiths. Arriveranno in alto. Gli Smiths hanno un contratto con la Rough Trade, e questo è un aspetto interessante, non solo perché di fronte a quei testi sorge spontaneo domandarsi se Geoff Travis li approvi, ma anche perché solleva un'altra questione: la Rough Trade sarà in grado di portare al successo questo gruppo eccezionale che ha tutte le carte in regola per farcela? Morrissey ostenta una laida e meravigliosa arroganza («Salterai al mio schiocco di frusta, ma te lo meriti, te lo meriti»). Semplicemente, ed è questo il bello, gli Smiths sanno di avere talento.
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Belli e sfacciati
Morrissey: «Tremo all'idea della potenza che abbiamo, ecco cosa penso degli Smiths. Ci siamo e ce la faremo». La Rough Trade è l'etichetta migliore per arrivare subito al successo? Morrissey, con un sorriso enigmatico sul suo bel viso: «Quello che vogliamo otte-
Dave McCullough
Quanto siete bravi?
nere si può ottenere anche con la Rough Trade. Ovviamente non diremmo di no alla Warners, ma anche la rt può andare». So che vi voleva la Factory. Non sarebbe stata più adatta? Johnny: «Ma così saremmo rimasti incastrati nella "scena di Manchester". Mentre noi abbiamo in mente ben altro. Ragioniamo su scala mondiale…». Morrissey: «In realtà alla Factory non interessano i gruppi nuovi. La Factory è stata importante, ma ormai appartiene al passato. Certo, c'era un bel movimento, la Factory è stata grande, ma ormai è ora di lasciarsela alle spalle. «La frase che riassume meglio gli Smiths è tratta da un libro di Jack Nichols, Men’s Liberation: "Siamo qui e adesso". Sento molto quest'idea di presente. Non voglio aspettare altri due anni, non m'interessa, dev'essere questo il momento degli Smiths. E credo che lo sarà». Chiariamo questa faccenda del sesso. Negli Smiths colgo un tradizionalismo quasi heavy metal (quel finale alla Skynyrd). L’atteggiamento sessuale che hanno è sicuramente aggressivo. Morrissey si trasforma in Oscar Wilde: «In realtà sono tutt'altro che aggressivo. Ovviamente il sesso mi interessa e ne parlo in ogni canzone. Mi interessa molto il genere. Mi sento quasi un profeta del quarto sesso. «Il terzo sesso, anche quello è stato provato e non ha funzionato. Tutta quella manfrina di Mare Almond è patetica. Detta così può sembrare banale, ma si avvicina a quella “liberazione maschile” che auspico». Il quarto sesso! Perdonatemi, ma sono ancora immerso in uno stato metafisico. Ma arriverà. A ogni apparizione degli Smiths si avvicina di più. Lontano dal palco, a letto, a letto da solo. Arriverà… «Vorrei solo qualcosa di diverso. Vorrei che fosse tutto più semplice. Gli uomini mi annoiano e le donne anche. Tutta questa segregazione sessuale che ancora va avanti, perfino nel rock, è veramente spregevole…» Gli Smiths hanno in comune con i migliori gruppi di quest'anno la volontà di opporsi alla noia e fare breccia in un territorio completamente nuovo. Un neutralismo sessuale che rifiuta i canonici modelli Bowie/macho/sfigato. È difficile 19
Belli e sfacciati
«... Non giustifichiamo in alcun modo le molestie sui minori. Non abbiamo mai molestato bambini». Maschi tradizionalisti, quando invece… Morrissey: «…Si dà il caso che io sia completamente influenzato da scrittrici femministe come Molly Haskell, Marjory Rose e Susan Brown-Miller. È una lista infinita! «Non voglio farla lunga col femminismo, ma è una condizione ideale. Al di là di quello non si realizzerà mai, perché questa società detesta le donne forti. Basta guardare le donne di Greenham. Questa società apprezza soltanto donne languide e sottomesse, che pensano solo a sposarsi. Non me ne faccio un'ossessione, ma è una parte integrante del mio modo di scrivere». Perché tutta questa importanza ai fiori? Morrissey: «Hanno un valore simbolico per almeno tre ordini di motivi. Li abbiamo inseriti come antidoto quando abbiamo suonato all'Hacienda, perché era un posto così asettico e spersonalizzato. Volevamo un po' di armonia con la Natura. E anche per mostrare un po' di ottimismo a Manchester, ottimismo che i fiori rappresentano. Manchester è ancora una città semiparalizzata, e la paralisi si propaga rapidamente in tutta la Factory…».
Morrissey non fa mistero della sua eccentricità e sa come farsi notare. « Vorrei un nuovo movimento a favore della castità. Vorrei che si praticasse l'astinenza… mi spiego? Howard Devoto lo conosco benissimo e so che ha formato un gruppo solo per farsi degli amici (non ne aveva neanche uno). Posso solo dire che per me è lo stesso, dopodiché traetene pure le conclusioni che vi pare.»
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Ogni definizione che offro degli Smiths è sbagliata, perché li colloco ancora in un contesto che è già superato: hard quando sono soft, immorali quando sono virtuosi:
Dave McCullough
identificarlo perché è radicalmente diverso.
Il brano con cui chiudete i concerti, Miserable Lie, dice che “l’amore è soltanto una misera bugia”. Credi davvero che le persone siano totalmente separate, anche in una condizione di amore assoluto? «Sì. Purtroppo. Ma c’è un certo ottimismo nell’ammetterlo… Mi spiego? Oh, potrei raccontarti degli anni passati in assoluta castità, quando non riuscivo ad affrontare un coinvolgimento fisico perché non funzionava mai. Immagino di rappresentare un’anomalia nell’ordine naturale delle cose, se ho queste sensazioni.»
Di sfuggita, Johnny cita i Ramones. Se ne ravvisa qualche eco negli Smiths, ma è soltanto l’origine di un percorso più articolato. Un certo nichilismo, le insinuazioni sulle molestie che ben presto sfociano in accanimento e, malgrado tutto, una moralità di fondo ricordano più i Fall. Morrissey: «Sono tempi disperati. Ma non credo che si debba cedere alla disperazione. Dobbiamo sconfiggerla, piuttosto. Sono stufo di questo atteggiamento deprimente che c’è in giro». E il tuo umorismo? «La letteratura è piena di personaggi disperati che avevano uno straordinario senso dell’umorismo. Stevie Smith voleva uccidersi a nove anni. È meraviglioso. La capisco perfettamente. Sylvia Plath, poco prima di suicidarsi, mostrò un incredibile senso dell’umorismo nelle Lettere alla madre…» 21
Belli e sfacciati
Morrissey: «La stampa musicale britannica è una forma d'arte». Anche Garry Bushell? «C'è sempre un'eccezione alla regola, Dave.» È fondamentale essere b-e-1-1-i. nel mondo degli Smiths? Morrissey: «Assolutamente». Johnny: «È soltanto la ciliegina sulla torta. Se siamo belli è solo un caso. Non è che abbiamo chiamato apposta dei ragazzi di bella presenza al basso e alla batteria, è capitato…». Ma così non escludete il 95 per cento del pianeta? Morrissey: «Probabile. Ma veramente vogliamo soprattutto un bel pubblico. Prevedo già che fra sei mesi cominceranno a portare fiori ai nostri concerti…». E se sei brutto come la fame? Morrissey accenna un gesto col dito: «Oh, sono sicuro che in qualche modo provvederanno. Ecco, possono imparare afarsi belli. Con molto esercizio, ovviamente!». Ovviamente. Aspettatevi un boom della chirurgia plastica nell'83.
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«Per niente. Il lavoro degrada l’uomo. Uno dei nostri versi dice: «Non ho mai avuto un lavoro perché non lo voglio». Il lavoro riduce l’uomo alla stupidità più assoluta, ci si dimentica di pensare a se stessi. C’è un che di positivo nella disoccupazione. Tipo: “Finalmente possiamo pensare a noi stessi”. Non ti fai accalappiare dal ma-
Dave McCullough
Nel mondo di Morrissey è importante avere o non avere un lavoro?
terialismo, non compri cose che in realtà non vuoi…» Gli Smiths sono un gruppo contrario alle pose, nella grande tradizione dei Fall. Un Alka Seltzer dopo un’abbuffata di Heaven 17. Morrissey: «Siamo stufi di gente che non vuole parlare con la stampa, tutte queste menate dei New Order. Evidentemente non hanno niente da dire. Credo che la verità sia questa…». Johnny: «Siamo gli unici che apprezzano davvero il lavoro della stampa. Far uscire una rivista ogni settimana quando in giro c’è palesemente pochissima musica valida salvo gli Smiths deve essere difficilissimo…».
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CACCIA ALLO SMITH! di David Dorrell New Musical Express, 24 settembre 1983
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i può dire senza esagerare che è stato uno shock, una scossa violenta al sistema nervoso che li ha lasciati tramortiti. D'altra parte come vi sentireste voi, se aprendo il giornale scopriste di essere accusati quasi apertamente di pedofilia? Gli Smiths lo sanno: sono oltraggiati… e sconcertati. Soltanto pochi giorni prima avevano completato una seduta di registrazione per il David Jensen Show. Il loro primo singolo, Hand In Glove, aveva riscosso critiche positive sulla stampa e la band sperava che il successivo Reel Around The Fountain ne avrebbe sfruttato il successo. Andava tutto a meraviglia. Morrissey era in forma smagliante, le chitarre e l'armonica di Johnny Marr scolpivano con precisione il volto della session, mentre Mike Joyce e Andy Rourke avevano alzato il ritmo martellante della batteria e del basso fino a far tremare il soffitto. Quando salgono su un palco terreno, gli Smiths si sentono in Paradiso. E sorridono con intenzioni diaboliche. E per quanto riguarda la cattiva fama… sferzare il palco con un mazzo di narcisi gialli sarà forse più che una licenza poetica? E il profilo delicato di un uomo nudo sulla copertina di un singolo aspirerà forse alla sovversione? Due settimane fa, però, il Sun ha pubblicato un articolo di cronaca del loro corrispondente dello spettacolo, Nick Ferrari, nel quale si asseriva che i dirigenti di bbc Radio avrebbero convocato una riunione d'urgenza per decidere se trasmettere al David Jensen Show una canzone «che parla di molestie». Secondo l'articolo, farraginoso e pieno di imprecisioni, il brano in questione si intitolava Handsome Devil e conteneva “chiare allusioni all'adescamento di minori a scopo di libidine”. Interpellato dal Sun in merito ai suoi “testi controversi”, pare che Morrissey abbia dichiarato: «Non trovo niente di immorale nel cantare di molestie sui bambini». Chi firmerebbe mai in tal modo la propria condanna a morte? Il fatto che Handsome Devil non fosse stata registrata per la puntata non ha influito minimamente sul verdetto emesso dal giornale nei confronti della band; e non hanno influito nemmeno le altre palesi invenzioni (intervista compresa) contenute nell'articolo. L’importante era il fracasso di vetri rotti nel momento in cui migliaia di casalinghe solitarie facevano cadere a terra le bot-
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tiglie del latte… Dopo la denuncia del Sun, Sounds ha pubblicato uno schiacciante atto d'accusa contro la band nella sua rubrica di gossip, firmato nientedimeno che da Garry Bushell, acerrimo nemico del quartetto di Manchester. Bushell è stato accusato dalla casa discografica degli Smiths, la Rough Trade, di aver passato al Sun informazioni denigratorie e fuorvianti. Interpellato in merito, Bushell ha smentito ogni addebito accusando a sua volta il suo grande rivale Dave McCullogh–accanito sostenitore degli Smiths–di aver travisato il testo della canzone in un servizio dedicato alla band, innescando così tutta la vicenda. Come dice Morrissey: «Sono affari loro, noi siamo solo un'esca». A quel punto il legale della Rough Trade ha inviato una lettera sia al Sun sia a Sounds, chiedendo una rettifica. Se non verrà pubblicata, con tanto di scuse, è probabile che si passi alle vie legali.
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Caccia allo Smith!
E così, riassunta e condensata, eccovi la storia assai poco piacevole di come gli Smiths, pallidi e meravigliosi fenomeni di Manchester, hanno varcato il grande spartiacque tra la fama indipendente e l'infamia nazionale. Come hanno reagito? «Be', siamo ancora stravolti» risponde un cinereo Morrissey. «Siamo rimasti completamente allibiti davanti alle accuse del Sun, e ancor di più da quelle di Sounds. È una vicenda che ci ha lasciato davvero senza parole, perché ovviamente era completamente inventata» continua. «Ho rilasciato un'intervista a un certo Nick Ferrari, e quello che è venuto fuori sulla stampa era completamente diverso. Un stravolgimento completo della realtà. «Per me parlano di un altro, scrivono di un altro gruppo… è assurdo. Tragicamente avvilente… «Ovviamente non giustifichiamo in alcun modo le molestie sui bambini o qualunque altra cosa che gli assomigli anche vagamente. Che altro c'è da aggiungere?» Già, che altro? Dopo il deplorevole stupro di un bambino di sei anni a Brighton, il Sun ha imparato una nuova parola da inserire nel suo scarno vocabolario: “pedofilia”. E adesso la usa come leva per scatenare un furibondo assalto a tutto ciò che non rientra nei canoni della sua Bibbia Morale. Paranoia o persecuzione? Se l'impressione è che sia un sintomo della prima, fate attenzione: è altrettanto probabile che sia una concreta manifestazione della seconda. Nemmeno il Bingo può incrementare le vendite di un tabloid reazionario quanto un grido di battaglia sciovinistico o una caccia alle streghe di stampo maccartista. Siamo così patetici da credere che i crociati di Fleet Street si mettano in marcia con le mani pulite? Come afferma il chitarrista Johnny Marr: «In apparenza sembrerebbe la palese stroncatura di un nuovo gruppo emergente che comincia a guadagnare una certa visibilità. Ma ad altri livelli la faccenda è completamente sfuggita di mano… e adesso si ripercuote anche sul piano personale. «Ho un fratello di undici anni, e il giorno in cui è uscito l'articolo del Sun è stato tormentato sia dai compagni di scuola che dai professori». Continua Morrissey: «È veramente difficile immaginare una critica così… feroce. Perché non è semplicemente “negativa”, è la cosa più brutta che si possa umanamente concepire. E c'è tutto quest'astio da parte di Sounds… ». Non è possibile che l'articolo di Sounds fosse uno scherzo? «Fosse pure uno “scherzo”, non è affatto divertente» replica serio Morrissey. «Sono sicuro» interviene Johnny «che se la madre di quel bambino di Brighton dovesse leggere le affermazioni che ci riguardano, o come lei chiunque altro avesse particolarmente a cuore quel caso, non le vedrebbe certo come uno scherzo. «Se c'è quel margine di ambiguità, allora vuol dire che l'hanno fatto apposta, per vedere chi ci casca. Ma temo siano più quelli che lo prenderanno sul serio che quelli che lo considerano uno scherzo. Altro che ambiguità.» E l'articolo del Sun? Morrissey: «È del tutto risibile, considerato che viene da un giornale come il Sun, palesemente ossessionato dal sesso sotto ogni aspetto. Quindi si tratta di un travisamento completo della realtà che viene scagliato proprio contro di noi, che siamo così sensibili e relativamente misurati. Faccio una vita quasi da prete e loro mi sbattono in prima pagina come pedofilo… È una cosa indescrivibile». Per quanto superficiale e fantasioso, l'articolo del Sun è riuscito di fatto a macchiare il nome degli Smiths (per motivi che non è dato sapere). Ha inoltre fatto sì che la puntata, che non era “sotto inchiesta”, fosse censurata e che una versione di Reel Around The F ountain di sei minuti venisse eliminata. Secondo Mike Hawkes, produttore del programma di David Jensen, il brano commissionato apposta per la trasmissione è stato eliminato unicamente a scopo precauzionale. Quanto all'articolo in sé, l'ufficio stampa della bbc non è andato oltre quello che ormai è un autentico luogo comune: «Il Sun ha preso l'ennesimo abbaglio». Purtroppo Morrissey ha appreso con rammarico che l'emittente aveva deciso di escludere il brano, perché, afferma: «Il disco stesso è una difesa, per la sua innocenza. «Il bello però è che alla fine la bbc ci ha confermato la fiducia. E mi pare che questo conti più di tutto il resto». Per gli Smiths, probabilmente è vero. La bbc non ha messo al bando il loro
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materiale e ha in programma di trasmettere il singolo appena uscirà. Di fatto, il meschino trattamento di cui sono stati oggetto per mano dei “Baroni del Bingo” e di altri spacciatori di notizie insulse e pruriginose potrebbe anche diventare la base del loro successo.
scrittura di Morrissey, schietto ma stupendo. In molte canzoni il leitmotif è quello
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Quello che evidentemente ha attirato le mosche nel piatto è stato lo stile di di un amore senza età e senza genere, e di un amore non corrisposto. Purtroppo la nebulosità che avvolge i protagonisti dei brani introduce un certo senso di ambiguità nella narrazione. E per il Sun questo era un segnale d'allarme… Morrissey: «È completamente decontestualizzato, ma dipende anche dallo stato d'animo con cui ci si pone. Se vuoi leggere qualcosa in un particolare testo lo troverai, che ci sia o meno». Per esempio: «Meglio un ragazzo oggi che due domani, credo di poterti aiutare a passare gli esami»? Morrissey: «Sì. Se leggi il resto del testo si inserisce perfettamente. Il messaggio della canzone è di dimenticare lo sviluppo dell'intelletto e concentrarsi su quello del corpo. Meglio un ragazzo oggi… si rivolge a uno studente. La vita ti dà più dei libri, insomma, ma neanche tanto: è questa l'essenza della canzone… «Ma così puoi prenderla, infilarla in un articolo che parla di molestie sui minori e avrà perfettamente senso. Ma puoi farlo con chiunque. Puoi farlo pure con gli Abba». Incontrare Morrissey significa incontrare una persona di una calma che mette a disagio. Chiaro, onesto e candido, è imbevuto dello stesso senso di enormità che contraddistingue i grandi uomini di fede. In alterna misura, è timido, sarcastico e sereno. Per fortuna il suo spirito spesso caustico e il suo ego elastico sono controbilanciati dallo zelo e dalla passione. A volte è sia un missionario che un pagano. E a volte scrive le migliori canzoni d'amore dai tempi dei Buzzcocks. Il suo compagno d'ardimento è Johnny Marr, una persona nervosa ed espansiva che si nasconde dietro un paio di occhiali scuri e suona grandi partiture. «lo faccio una vita da santo» dice Morrissey ridendo. «Lui fa una vita infernale. E la combinazione è meravigliosa. Perfetta.» «Hand in glove The sun shines out of our behinds» Hand In Glove
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Potrà ostacolare il vostro successo commerciale? «No» continua con veemenza. «Alla fine la verità viene sempre a galla e noi otterremo il massimo successo. «Non abbiamo una personalità così fragile da andare in pezzi per quello che può scrivere un rullo compressore in miniatura di Sounds. Non siamo così ingenui, santo cielo. E nemmeno il Sun ci ha toccato più di tanto. È solo del resto del mondo che devi preoccuparti–devi prendere in considerazione le loro impressioni–ed è un grande fardello. «Questo dimostra che in questo ambiente non sei così padrone del tuo destino, come pensi di essere. C’è chi ti apprezza e chi ti detesta. Ma perché bisogna dare la precedenza a chi ti detesta? Sarebbe meglio metterci una pietra sopra. È già storia vecchia.»
Sei distante dall'amore? Morrissey: «Ne sono lontano fisicamente, ma ne esistono molti altri aspetti. Gran parte di quello che scrivo è non corrisposto. «Sento di averne una visione unica, perché ovviamente è una cosa che domina la vita 30
prodotto da Troy Tate, prossimo all'uscita, molti di più ascolteranno e altri crederanno. È stato raggiunto un accordo con la wea per la distribuzione americana e
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Naturalmente bisogna ascoltare per credere. E con il loro lp d' esordio
la speranza di conquistare anche le coste atlantiche non sarà una sorpresa. Anche se non c'è dubbio che la questione dei contenuti dei loro testi verrà sicuramente sollevata dalle forze più puritane del paese. Non che abbia importanza. Morrissey: «Di certo non cambierò il mio modo di scrivere, perché lo ritengo essenziale. Se devo essere accusato di qualcosa, è perché scrivo con vigore e parlo con il cuore, con molta franchezza… una cosa a cui le persone non sono più abituate. Sono abituate a uno stile molto rigido, irreggimentato, e se vai troppo sul personale, e con questo non intendo nulla di scandaloso, ma basta un minimo perché ti prendano per ”strano“ e invochino la ghigliottina».
Morrissey parla di sé e del suo gruppo sempre in toni elevati, quasi nutrisse un certo sdegno per l'ignobile e sordido cammeo che il resto di noi interpreta come vita. Per lui il corpo è come il tempio taoista della mente: non beve, non fuma e non bestemmia. Soprattutto, è casto e lo è da molto tempo. Si considera più che un rivale di Cliff Richard. Eppure è innegabile che la sua scrittura ritorni costantemente alle pene d'Amore, in tutta la sua mitigata gloria. E da questo si intravedono la debolezza e la forzata purezza su cui poggia la solidità della sua opera. Quando canta, la sua voce è quella di un angelo in purgatorio. E il suo stigma è l'angoscia dei dannati. «You can pin and mount me like a butterfly But take me to the heaven of your bed Was something that you never said» Reel Around The F ountain
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di ogni individuo, e io la osservo da tempo. Penso di avere un intuito particolare, anche se detta così sembra terribilmente pomposo e pretenzioso. È strano però che la maggior parte delle persone che restano incatenate all'idea dell'”amore assoluto“ di solito siano individui totalmente irresponsabili che tendono ad autodenigrarsi». Non è una visione sterile dell'amore? «No. Non sono una vecchia zia inacidita che prende a frustate le coppiette nel parco!»
David Dorrell Tutto sommato, sa di devozione quasi religiosa a un ideale: un ideale che per certi versi è offuscato dalla sua stessa grandiosità ma fondamentalmente è affine a quei momenti solenni e impressionanti che rendono gli Echo and the Bunnymen così cristallini nella loro magnificenza. Eppure lan Mac è saldamente radicato nel suo retroterra e nei suoi valori, e quindi s'inchina al mondo e dimostra umiltà. Morrissey, invece, è ben contento di lasciare che le sue sublimi aspirazioni tirino fuori il meglio di sé e di conseguenza non riesce a vincere sul piano umano. Le sue canzoni guardano sempre tutto dall'alto in basso, e finché non ammetterà le proprie debolezze, la parte migliore del credo degli Smiths rimarrà gelida e ultraterrena. Sarà mica un egocentrico? Morrissey: «Non si tratta di ego. Se hai talento e lo sai, perché fare il timido e nascondersi dietro le tende? Non ha senso…». Che cosa significa per te tutto questo? «Per me è più essenziale che respirare, è più naturale che respirare. Non so perché sono qui, è come essere catapultati su una scala mobile, salire e non avere voce in capitolo. Tutto qui… «In realtà è tutta questione di vita e di morte. E qui si vede la nostra serietà…» Non ti preoccupa il fatto che potrebbero anche non prendervi sul serio? «Potrebbero farlo o non farlo, e il fatto che qualcuno lo faccia già significa che è stato prezioso, che ne è valsa la pena…» Ritieni di dover essere una minaccia per avere successo? «No, per niente. Se per minaccia intendi dire avere un cervello e usarlo, allora siamo una minaccia. Ma se significa qualcos'altro, non vedo proprio come potremmo essere pericolosi. Non credo che disturberemo qualcuno, e non credo sia modesto dirlo.» In meno di un anno gli Smiths hanno creato una bellezza duratura. Il loro candore, la loro sicurezza, sono sbocciati nelle sonorità spirituali più melodiche. Nella loro musica c'è un'asprezza che cela la loro età musicale: una capacità originale ed eterea che cattura ben più che la semplice routine di “fare” belle canzoni. In una grande canzone degli Smiths c'è sempre una visione d'insieme che 33
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reciterò una breve preghiera. «The good people laugh
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sovrasta tutti i comuni mortali che si radunano nella spazio del pop. E per questo
Yes, we may be hidden by rags But we have something that they'll never have» Hand In Glove
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TUTTI GLI UOMINI HANNO DEI SEGRETI… di Neil McCormick Hot Press, 4 Maggio 1984
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orrissey degli Smiths ha preso il posto dei Duran Duran e dei Thompson Twins, cancellandoli tutto da solo, per lo meno sulla mia cassetta (sempre più consumata). Quando gli ho rivelato su quali conversazioni stavamo registrando la nostra intervista, ha commentato: «Bene. Allora parlo più forte». Non è un tipo da prendere alla leggera. «Dietro la Gioia e il Riso può nascondersi magari un brutto temperamento, un temperamento aspro, duro, insensibile. Ma dietro il Dolore è sempre il Dolore. La Sofferenza, al contrario del Piacere, non reca mai maschere. […] A volte il Dolore mi pare essere l'unica verità. Altre cose possono essere illussioni dell'occhio o del desiderio, fatte per accecare il primo e saziare il secondo, ma con il Dolore sono stati creati i mondi, e alla nascita d'una creatura umana come d'una stella presiede il dolore.» (Oscar Wilde, De Profundis) Heaven knows l'm miserable now, Morrissey (dal nuovo singolo degli Smiths). Fuori, anche se il sole non è ancora tramontato, il giorno lentamente volge al termine. Morrissey sprofonda in una poltrona nell’ angolo più buio del suo soggiorno. Una luce fredda e spoglia gli illumina parte del viso, mettendo in risalto una mascella che appare curiosamente fuori asse. Ha un’aria vagamente imbarazzata, e raramente ti guarda negli occhi. Non c’è traccia di quella disinvolta sicurezza che in genere decora l’atteggiamento delle popstar. È vestito come te lo aspetteresti, un disastro di stile, con un maglione di lana bianco sporco liso e un paio di jeans scoloriti. I capelli si protendono all’insù in un ciuffo sulla fronte goffo e insolente. Manca solo un mazzo di giunchiglie sfilacciate. «A prescindere da quello che fai, da come ti vesti o da quello che dici, se finisci sotto i riflettori,
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comunque ti presenti, appare un’immagine» dice. «Se non hai un’immagine, se diventi famoso e cominciano a imitarti, pare quasi che il tuo modo di vestire sia una cosa studiata e costruita a tavolino, ma ovviamente non è mai stato così. La trappola dell’immagine è sempre lì, prima o poi ci cascano tutti. E spesso e volentieri ti strangola». L’appartamento di Morrissey non è certo la casa dei sogni di una popstar. Colori neutri, molto ordinata, elegante, con uno stile quasi retrò. Nel soggiorno c’è un tavolo con una macchina da scrivere e una risma di fogli impilati con cura. Attorno al caminetto vuoto è disposto un bel salotto a tre pezzi (divano e due poltrone). Sulla mensola del camino è ammassata una fila di libri, tra cui numerosi volumi su Oscar Wilde («Ho letto tutto quello che ha scritto e tutto quello che è stato scritto su di lui e mi incute ancora un assoluto timore reverenziale») e su James Dean («Non per la recitazione, che a dire il vero trovo un po’ sopra le righe. Provo un certo imbarazzo quando vedo quei film. Però mi affascina la capacità di rappresentare il suo tempo e la sua generazione»). Due figure tragiche, che Morrissey ammette di trovare seducenti. Sopra il caminetto c’è un ritratto di Dean con l’aria imbronciata. «Aveva quella straordinaria caratteristica di venir bene dovunque, in qualsiasi contesto» commenta Morrissey. Sparse per la stanza ci sono anche tre fotografie incorniciate di Morrissey, ma di sé non parla con vanità. «lo sono brutto.»
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Recentemente, con il successo degli Smiths, Morrissey ha lasciato Manchester e la sua “piccola Irlanda” per trasferirsi a Londra. «Mi piace moltissimo qui» dice «ma anche a Manchester stavo bene. A Manchester sono davvero miopi e ottusi in questo senso: se te ne vai ti considerano un disertore, un infame, uno che volta le spalle a chi muore di fame nei vicoli di Manchester, e allora ti sputano addosso. Ma quando vivevo lì non mi pare che mi abbia mai aiutato qualcuno, sia nella minuscola industria discografica locale, sia nel circuito dei club o quello che è. Non mi hanno mai dato una mano, perciò non devo niente a nessuno a Manchester, e mi fa molto piacere. «Provo ancora un affetto e un entusiasmo sconfinati per la città, in ogni caso, e sono certo che prima o poi tornerò. Ma per me adesso Londra è assolutamente perfetta. Insomma, mi dispiace dover dire che stare qui è veramente entusiasmante come dice certa gente che viene sempre presa per matta. Se vieni a Londra e rimani solo pochi giorni ti fai un’idea del posto completamente fuorviante, ti sembra una città impersonale, odiosa e artificiale. Ma appena stai qui per un po’, ti rendi conto degli enormi vantaggi. È semplicissimo: c’è sempre qualcosa da fare, e muoversi è molto facile. A Manchester chiudeva tutto alle otto di sera ed eri completamente paralizzato, mentre qui puoi andare dove ti pare, quando ti pare e fare tutto quello che vuoi.» E che cosa fai di preciso? «Niente» dice con leggerezza, ridendo di sé. «In realtà non faccio niente. Ma se volessi fare qualcosa, potrei. Non sento alcuna limitazione.»
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La voce è sommessa, con una live monotonia quasi impercettibile, tipica del Nord dell’Inghilterra. È un irlandese di seconda generazione, nato e cresciuto a Manchester. «Trovo che l’Irlanda sia affascinante. Forse non dovrei dirlo» ride, considerando il fatto che le sue parole saranno riportate su un giornale irlandese. «Oh, lo dico lo stesso: è uno dei paesi più cattolici del mondo ma anche uno dei più repressi, e questa è una cosa triste. Però mi attira moltissimo, ovviamente, anche perché sono di genitori irlandesi come gli altri ragazzi del gruppo, e abbiamo un profondo legame con il posto. Tra l’altro, le persone che mi appassionavano di più in letteratura venivano quasi tutte dall’Irlanda, chissà per quale motivo.»
C’è un alone di malinconia attorno a Morrissey, e non è solo un effetto della luce che si affievolisce. Ride spesso, ma è una risata discreta, quasi imbarazzata, di solito rivolta a se stesso e a quello che dice. Quando canta What Difference Does lt Make? a Top of the Pops, riempie la frase di indifferente disperazione. È convinto che la sua vita non sia delle più allegre: «Pensavo che successo, fama e fortuna mi avrebbero reso felice, ma adesso ho capito che la felicità è una condizione troppo profonda per poter essere cambiata da uno di questi fattori... Non che abbia già guadagnato chissà quanti soldi, poi… » Di nuovo quella risata. Gli Smiths sono rapidamente sbucati dal nulla, primo gruppo da qualche tempo a questa parte a valicare il confine tra pop e indipendenti. «Non mi va di fare colpo soltanto su una parte del pubblico» dice Morrissey. Fino a poco tempo fa era un individuo solitario, che leggeva talmente tanto da aver cercato di smettere perché «non vivevo più. Me ne stavo ripiegato su una sedia venti ore al giorno» e scriveva continuamente, ma soltanto per se stesso: 39
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Ascoltando le tue canzoni si ha l’impressione che tu non abbia avuto una vita affettiva molto felice, ho osservato. «Non ho avuto nessuna vita affettiva» ha risposto Morrissey con una di quelle risate incerte. «Sì, è veramente ridicolo, ma è una cosa che mi chiedono spesso nelle 40
canzoni con la melodia accennata a malapena, perché non sapevo suonare neanche uno strumento». Poi ha incontrato il chitarrista Johnny Marr e hanno unito le forze, non solo perché Johnny sapeva comporre musica, ma anche perché «era molto aggressivo. Ho
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«Ho provato a fare il giornalista, ma ho fallito miseramente. E un tempo scrivevo
capito che sarebbe riuscito subito a risolvere tutto». Gli Smiths si sono presentati con un sound di chitarra scarno ed essenziale, una ventata di fresca sobrietà nel melodramma di sintetizzatori che popola le classifiche. «Ho sempre pensato che ci servissero soltanto gli strumenti essenziali. Non c’è stato nulla di studiato, è capitato semplicemente che quando ci siamo incontrati eravamo solo noi quattro e suonavamo così. Non si è mai discusso di aggiungere o sottrarre qualcosa, sembrava un equilibrio assolutamente perfetto. Però credo che sia stato fondamentale ridurre al minimo molti elementi dei gruppi che oggi vanno per la maggiore: usare strumenti molto tradizionali, farsi chiamare Smiths, non avere alcuna presunzione, essere molto schietti e determinati. Così tutto si incastra alla perfezione.» Hanno colpito la fantasia sia del fedele pubblico indipendente, il loro album è infatti in testa alle classifiche, sia dei volubili fan del pop, piazzando diversi successi nella Top ten con splendide canzoni di delicata malinconia. C’è una bellezza disturbata negli Smiths, talvolta disturbante, una depressione poetica che li rende veri figli dei Joy Division, abbinata a un vigore e a un realismo, una semplicità di linguaggio vagamente comica e una sincera voglia di esprimersi, che li imparenterebbe piuttosto con gli Undertones. Hanno colmato un vuoto enorme. «All men have secrets and this is mine So let it be known We have been through hell and high tide, I can sure rely on you?» What Difference Does It Make?
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interviste. Chi non mi apprezza ha sempre l’impressione che non faccia altro che lamentarmi per ore e ore, ma non è per niente facile quando ti fanno queste domande e se vuoi dare risposte sincere, come cerco sempre di fare, allora devo dire di sì, sono abbastanza infelice. Ma allora perché sto ridendo?» Ho letto da qualche parte che hai deciso di restare casto, è vero?, ho chiesto con una certa cautela. Morrissey è parso imbarazzato. «Mah, sì, è vero» ha risposto. «È da un bel po’, ormai. All’inizio era involontario, ma poi mi sono reso conto che… ehm… era piuttosto interessante. Ho pensato: “Continuiamo così”. In realtà è completamente privo di senso.» Perché completamente privo di senso? «Non lo so, è solo che… Le cose stanno così. Non riesco proprio a fare un’analisi. È un dato di fatto, ed è successo. Ma allora perché rido ancora?» La celebrità pop di solito pone fine a tutto questo, suggerisco. «Di solito sì» concorda Morrissey «ma evidentemente sono l’eccezione alla regola.
Rispondi mai a queste lettere? «Religiosamente, tutti i giorni. Ovviamente bisogna stare attenti, e certe volte è importante non prenderle sul serio. Ricevo lettere di aspiranti suicidi che non sai mai come gestire. Sarebbe ridicolo pensare di poter risolvere tutti i problemi con due parole scarabocchiate dietro una cartolina.» 42
Neil McCormick «Troppe popstar non sono di buon esempio. I giovani hanno bisogno di figure di riferimento, per lo meno io, e la musica leggera è l’unica cosa che gli è rimasta. Non leggono libri, non credono ai film. C’è soltanto la musica, e molte popstar offrono modelli vuoti e inutili, oppure si accontentano di essere incomprensibili e misteriosi. Noi non saremo mai incomprensibili, non potremmo mai essere incomprensibili, perché nei miei testi uso un linguaggio essenziale. Parole semplici ma abbastanza forti, spero. E con questo intendo dire cose che le persone nella vita quotidiana hanno difficoltà a esprimere, come: “Non voglio lavorare”, “Non voglio essere amato”, o “Sono brutto”. Cose che in realtà sono semplicissime parole, ma che nessuno riesce mai a pronunciare. Insomma, se dici ai tuoi amici o ai tuoi genitori: “Sono molto infelice”, vai a toccare un nervo scoperto… è una cosa troppo intima, non si può dire. E allora preferisco parlare di questo, invece di essere esoterico, ascetico e misterioso, perché mi sembra più efficace e… non mi pare se ne sia mai parlato nella musica pop. Non mi pare proprio.» Allora se tu sei una figura di riferimento, che riferimento dai? «È curioso, ma pare che mi arrivino un mucchio di lettere, da gente che mi scrive per raccontarmi i suoi problemi. Mi scrivono dei problemi che hanno a scuola, o in amore o con i genitori, oppure per dire che si immedesimano in una canzone. A quanto pare chi fa una vita piuttosto difficile mi vede un po’ come spirito affine, oppure come una persona che può dare delle risposte, il che, ovviamente, non è vero. Però, ecco, è molto più interessante delle solite lettere dei fan che vogliono solo sapere che numero di scarpe porti. È strano, ma ho l’impressione che mi prendano molto sul serio invece di considerarmi soltanto un personaggio famoso, una insulsa popstar, che, ovviamente, non vorrei mai essere.»
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A quanto pare ti stanno affidando la rubrica della posta del cuore per la nuova generazione! Ma se hai l’impressione che la tua vita non sia delle più allegre, che titoli hai per dare consigli agli altri? «Non mi viene in mente nessuno di più qualificato di me (ride). Ci sono passato anch’io e lo capisco. Non credo che una persona felice possa mai capire davvero, pensano che crescendo ti passerà. L’infelicità è un sentimento troppo radicato nell’intimo per eliminarlo semplicemente trovando un impiego o iniziando una storia d’amore travolgente. Secondo me, si può solo imparare a sopportarla e tentare di dominarla giorno per giorno.» Non sembra una base molto invitante per sopravvivere. «Però è la base che permette ai più di sopravvivere. Non credo che siano tutti così felici come vorrebbero.» Che opinione hai del suicidio? «Devo fare molta attenzione a quello che dico adesso, ma… dato che ci sono andato vicino parecchie volte, ho una certa ammirazione per chi ha la forza di arrivare fino in fondo. Chi non c’è mai andato vicino non può sperare di capire, e l’idea che fino a pochi anni fa fosse illegale, ovviamente, è ridicola; per me in un certo senso è una scelta onorevole, perché significa assumere il controllo totale sulle propria vita e sul proprio corpo. Non pensare al suicidio, non prenderlo in considerazione o valutarlo, significa che in definitiva non abbiamo controllo sul nostro destino, sul nostro corpo e sul nostro cervello. E credo che chi non ha questo senso di controllo sia una persona piuttosto superficiale, inconsistente. Con questo non voglio dire che semplicemente assumendo il controllo del proprio corpo la meta ultima sia il suicidio. Ma da un certo punto di vista lo ammiro.» Hai paura della morte? «No. Per me è assolutamente necessaria. Non potrei immaginare la vita senza la morte. Sarebbe veramente ridicolo. L’idea stessa di vivere per sempre… Insomma, da bambino sono cresciuto con una severa educazione cattolica, ti inculcavano nella testa l’idea che saresti andato in paradiso e avresti vissuto per sempre in eterno, e ricordo sempre che quell’idea della vita eterna mi pietrificava perché non riuscivo a immaginare una vita senza.fine! Credo che sia assolutamente necessaria e che serva a tenerci tutti sempre attivi. Se non ci fosse la morte, non faremmo mai niente. Ce ne staremmo sdraiati tutto il giorno a mangiare pasticcini.» (ride) Hai delle convinzioni spirituali o religiose? «Sì, ma non così forti come avrei dovuto avere a causa di quell’assurda educazione cattolica. Non sono mai riuscito a cogliere il nesso tra cristiano e cattolico. Ho sempre immaginato che Cristo avrebbe disprezzato la chiesa cattolica e se ne sarebbe completamente dissociato. Ho frequentato scuole molto rigide, scuole per i figli degli operai, dove per il tuo bene a momenti ti mozzavano le dita, e se la domenica non andavi in chiesa, il lunedì successivo, quando ti presentavi a scuola, ti facevano l’interrogatorio e ti mandavano alla forca. Del tipo “Lavati subito i denti o finirai all'inferno e marcirai e i serpenti ti mangeranno”. E mi ricordo tutte quelle immagini religiose, le statue, che usavano per terrorizzare ogni bambino vivace. Tutti quei serpenti calpestati sotto i piedi, sangue dappertutto. Mi sembrava così morboso. «E poi, insomma, l’idea stessa di andare in chiesa è veramente assurda. Ho sempre avuto la sensazione che fosse come la polizia, sicuramente in questo paese per lo meno, che serve solo per reprimere e tenere a bada la classe operaia. Perché ovviamente, a parte la classe operaia, nessuno le dà retta. «Mi viene la nausea quando vedo il Papa che fa tutte queste prediche pompose sugli armamenti atomici e poi prende il tè con Margaret Thatcher. Per me è ipocrisia totale. E quando sento il Papa che condanna senza appello le donne della classe operaia perché abortiscono, e non condanna nessun altro... per me è solo classismo, serve a mantenere la classe operaia in uno stato di paura perenne e a farla sentire totalmente in colpa.» Pensi di aver subito l’influenza della repressione cattolica, la più tipica malattia irlandese? «In certa misura sì. Ma anche se provengo da una famiglia mostruosamente grande, cattolica fino all’assurdo, quando avevo sei anni due avvenimenti molto tragici all’interno della mia famiglia hanno spinto tutti noi ad allontanarci dalla Chiesa, e a ragione, e da quel momento in poi c’è stata un’assoluta indifferenza per una cosa che
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prima di quelle tragedie era praticamente intoccabile. Quindi sì, ho sperimentato sulla mia pelle quella paura noiosa e severa, ma ho conosciuto anche la realtà della vita.» Credi che la tua infelicità derivi dalle tue origini?
Prima parlavi della capacità di esercitare il controllo sulla propria mente e sul proprio destino: questo non significa anche controllare il proprio stato d’animo? «Mah, no, non credo, perché non cresciamo da soli e non decidiamo noi le condizioni in cui ci troviamo a vivere. Sono semplici circostanze che ci capitano addosso, ovviamente, però credo che… fino a un certo punto si possa anche, ma da un certo punto in poi non si può più.»
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co e favolosamente avventuroso immagino che non avrei la maggior parte della ansie che ho oggi. Invece siamo sempre stati molto poveri ed era tutto impossibi-
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«Be’, ovviamente penso di sì perché se venissi da un ambiente favolosamente ric-
le. Sono stato disoccupato per anni e anni e anni, volontariamente, perché non ho mai avuto voglia di lavorare, e non credo che si possano passare anni di disoccupazione, alle prese con i servizi sociali e tutta la depressione che ne consegue, per poi semplicemente uscirne fuori un giorno e diventare un altro. Perciò penso di sì, ci sono ragioni precise e piuttosto serie per cui sono fatto così.»
Non sembri una persona felice, perciò che cosa ti fa pensare di essere, o di poter essere, una buona figura di riferimento? Che cosa ti fa credere che la tua opinione abbia un valore? «Perché lo ha! È una domanda facilissima ed è impossibile dare la risposta. Non sono mica io che telefono ai giornalisti e li supplico di venire da me, sono loro che vogliono parlare con me. Non vado mica a bussare di porta in porta. Per anni e anni ho scritto nel più assoluto anonimato e tanta gente mi prendeva per pazzo, e adesso che ho un contratto discografico e faccio uscire dei dischi e più o meno dico le stesse cose che vado dicendo da dieci anni sembra quasi che abbia legittimato la mia follia. E questo ti dà veramente la licenza di parlare senza peli sulla lingua, ed essere accettato comunque. «In realtà non voglio influenzare nessuno. Voglio che le persone ascoltino e reagiscano perché non vedo nessun altro nella musica pop che dica qualcosa, o almeno ci provi. Non dico di essere un Messia insostituibile sulla cima di una collina, o chissà cosa… però mi sembra che gli altri siano completamente muti.» Si tratta solo di una brutta inclinazione alla sofferenza? O di una presenza più profonda, che spazza via le ragnatele di consigli che gli opinionisti tessono attorno ai giovani? C’è qualcosa nella vulnerabilità di Morrissey, nel senso di tragedia contemporaneo degli Smiths, col quale un pubblico sempre più ampio tende a immedesimarsi. È lontano milioni di chilometri dall’infelicità illetterata del country, dall’autocommiserazione cantautoriale o dall’acredine post-punk. È qualcosa di delicato, orgoglioso, divertente e vivo, e fa sì che gli Smiths rappresentino la nuova priorità nel giro dei nomi da citare (in quanto a credibilità). 47
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L’integrità viene da te? Domando. «In gran parte» risponde, abbassando lo sguardo per osservare il registratore che scorre. «Perché io sono il portavoce del gruppo e ho maggiore visibilità, mentre gli altri rilasciano dichiarazioni molto raramente, e quando lo fanno sono comunque molto meno serie delle mie. Non condividono il punto di vista che esprimo nei testi. Il più delle volte lo apprezzano, ma di certo non lo condividono. Ma non mi dà fastidio. Voglio dire, ci sono tante cose che non condivido io di loro.» Sorride malizioso. «Ma non ci dilunghiamo su questi aspetti squallidi degli Smiths. Ce ne sono tanti… «Presumo che il mio contributo sia più serio. E molto più personale. Credo che alla fine di questa esperienza, se o quando gli Smiths si scioglieranno, sono certo che gli altri tre membri del gruppo potranno passare a qualcos’altro, ma non credo che io potrei perché temo che questo sia assolutamente il massimo per me, e ho la testa nel cappio, quasi. Gli altri tre possono fare un passo indietro e possono tirarsi fuori. Io non potrei mai. «Correrò il rischio.» La sua risata lieve e incerta scivola nel silenzio.
«Sono fermamente deciso a non perderla mai. Almeno finché sarò io a tenere le redini.»
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«Credo che la gente sappia riconoscere l’integrità del gruppo» dice Morrissey.
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MORRISSEY di Elissa Van Poznak The Face, luglio 1984
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l Morrissey che mi accoglie sulla porta della sua signorile abitazione di Kensington non indossa la ormai nota e voluminosa camicia D.H. Evans fuori taglia e l'armamentario di collanine. È anche a 450 chilometri di distanza dalla persona esuberante ed espansiva che avevo incontrato lo scorso gennaio a Manchester nell'ex quartier generale del suo gruppo, gli Smiths, ma allora era sei mesi più giovane e sei mesi meno famoso. Con un pullover bianco attillato, sembra paurosamente magro e l'altissima quantità di polline nell'aria lo fa respirare a fatica, nonostante la sala d'ingresso in cui mi fa entrare sia piena zeppa di fiori. «Disfarmene? Come potrei» sospira «sono un'estensione del mio corpo!». Ah si, i fiori… Raramente una nazione è capitolata così in fretta e con una tale adorazione. E per che cosa? Un quartetto di giovani mancuniani ammodo, classici come un ensemble d'archi; l'elfico chitarrista ]ohnny Marr, il batterista Mike Joyce e il bassista Andy Rourke, tutti sui diciannove anni o giù di lì. E Steven Morrissey, il ventiquattrenne paroliere, cantante e lanciatore di fiori. All'improvviso, dopo anni di traumi adolescenziali e introversione monastica, da solo nella sua stanza con le Opere Complete di Oscar Wilde e ogni kitchen sink drama che sia mai stato girato, per non parlare di una castità autoimposta, tutti vogliono essere amici di Morrissey. Lo scorso Natale, a Manchester, Morrissey non ha potuto aprire la porta ai cantanti di inni natalizi che intonavano This Charming Man, il secondo singolo degli Smiths su Rough Trade, l'etichetta indipendente con la quale si sono accasati. Quel singolo con in copertina Jean Marais–il giovane amante di Cocteau, con lo sguardo perso nel suo riflesso in una pozza d'acqua–è stata la svolta decisiva. Ha anche portato alla ribalta la sognante ambiguità, spesso sessuale, dei testi di Morrissey, che scodellano imponderabili e sconcertanti interrogativi metafisici senza scomporre nemmeno un capello dell'impeccabile ciuffo alla ]ames Dean di Morrissey. Un grnppo di sognatori narcisisti che hanno colto al volo l'eccitazione del momento, o qualcosa di più? Io sono per la seconda ipotesi, e anche Morrissey, che di solito è il primo a dirlo. Eppure, tutto questo charme ha il suo prezzo. «È fin troppo accomodante» dice lo scrittore Jim Shelley, amico e confidente. «L'altro giorno ha concesso ventiquattro interviste, superando il precedente record di sedici e a volte penso che mi inviti da lui solo per farmi
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rispondere al telefono. » «È sfinito» dice il manager Scott Peiring, raccontando una tipica ed estenuante settimana di riunioni di lavoro, per non parlare delle apparizioni a Pop Quiz e Eight Days a Week. Rolling Stone è andata; Penthouse (Penthouse!) aspetta dietro le quinte; il nuovo singolo, Heaven Knows I’m Miserable Now, è entrato subito in classifica al diciannovesimo posto e gli toccherà un altro passaggio a Top of the Pops. Il disco di platino per le trecentomila copie vendute nel Regno Unito dell'album d'esordio, intitolato semplicemente The Smiths, dovrebbe arrivare da un momento all'altro accanto a quello d'oro sul caminetto di Morrissey. Nel momento in cui leggerete questa intervista, gli Smiths avranno già suonato come headliner di un festival da diecimila spettatori in Finlandia, dove si sono recati nonostante una morbosa paura di volare; poi sarà la volta di Jobs For A Change, una manifestazione organizzata dal Comune di Londra per il 10 giugno; poi arriverà un ulteriore nuovo singolo, William, It Was Really Nothing. Concedetegli una vacanza! Invece, concede un'altra intervista, forse l'ultima per un lungo periodo di tempo…
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Una volta hai citato Fran Lebowitz: “La conversazione civile non è una conversazione”. Sei pronto a parlare sboccato e dire la verità, tutta la verità…? Sì, e prometto di rimettermi alla clemenza della corte. Hai l'aria un po' mogia oggi, sei depresso? «Mmmmmmm…» Il tuo telefono è perennemente occupato o irraggiungibile. «Sì, nelle ultime tre settimane ha dato parecchi problemi. Forse è guasto, fammi sentire adesso (alza la cornetta). No, funziona, ma va a fasi alterne e mi fa proprio comodo, perché ho dovuto cambiare numero. Telefonava talmente tanta gente che ci stavo ventiquattr'ore al giorno (il telefono tintinna per un attimo e Morrissey si irrigidisce visibilmente).» Scusami, ho urtato il telefono col braccialetto. Ma fai tutte le interviste qui? Sei un po' agorafobico? «Sì e no. All'inizio sì, ma poi c'era un tale viavai di giornalisti che all'improvviso mi sono sentito nudo. Entravano, andavano dappertutto, cominciavano ad avvicinarsi troppo e a sapere troppo. Lo so che sembra paranoico e maniacale, però… Richard Jobson, che abitava qui prima di me, mi ha detto di non aver mai fatto entrare gente del mondo musicale. Lì per lì non lo capivo. Adesso sì. Di solito le interviste non le faccio qui. Anzi, sto pensando di non concederne più.» La settimana scorsa ne hai concesse ventiquattro di fila in un giorno solo, tra cui una con Penthouse! «Sì, anche se a dire il vero non l'abbiamo ancora finita e non mi pare che Penthouse voglia un'intervista normale. Probabilmente saranno piuttosto brutali e andranno dritti al sodo: “Eri un adolescente arrapato?”.» Eri un adolescente arrapato? «Oh certo (ridacchia), non si vede?» Poseresti nudo se ti offrissero una bella cifra? «Probabile. Non ho nulla da nascondere.» Chi è stato l'ultimo a vederti “al naturale”? «Quasi sicuramente il medico che mi ha portato in questo mondo crudele.» Quando è successo? «Più o meno ventiquattro anni fa.» Sembravi un po' a disagio in tivù l'altro ieri, incastrato tra Tony Blackburn e George Michael degli Wham. «Sì. è stato piuttosto penoso. Eight Days a Week è stato decisamente più facile di Pop Quiz, chissà perché.» Che cosa ti eri infilato nell'orecchio a Eight Days a Week? «Temo fosse il solito oggetto di scena, un vecchio apparecchio acustico per accattivarsi la simpatia del pubblico, sempre ammesso che sia possibile. Alla fine ho avuto l'impressione che non sia servito a niente: tre persone che parlavano di film e libri che non hanno né visto né letto.» Non vi eravate preparati? «Ci ho provato ma era talmente brutto e faticoso che non sono riuscito ad andare oltre i primi cinque minuti, si aspettavano da me un saggio critico su tutto ciò che si era detto, una cosa davvero ingiusta. Pop Quiz è stato insopportabile. Mi sono reso conto di aver commesso un errore terribile nel momento in cui la telecamera ha cominciato a riprendere.»
Elissa Van Poznak Perché ci sei andato? «Avevo questa idea priva di fondamento che i nuovi volti della musica dovessero abbattere tutte le barriere e cambiare le cose. Ma poi ho capito che Pop Quiz in definitiva era impenetrabile. Non puoi cambiarlo, è già consolidato, le battute sono rigide, i movimenti talmente provati e riprovati che nessuno capirebbe la differenza. Sono stato sulle spine dall'inizio alla fine del programma. Poi sono tornato in camerino ed ero quasi sul punto di crollare, è stato tutto così inutile. Mi sentivo come se mi avessero imbavagliato.» 53
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Con tutte queste interviste e l'attenzione dei media, ti senti sovraesposto? «Sembra che io sia stato troppo sovraesposto a causa della natura delle interviste. Si spingono molto sul personale, e anche se ne fai una sola che entra in modo imbarazzante sul personale, ti senti del tutto sovraesposto. È un dilemma. Non so proprio che fare.» Non è una lezione pratica: essere meno personali in futuro? «Non posso farmi intervistare e andare per il sottile pesando le parole. Nelle interviste usa e getta, dove mi chiedono il minimo indispensabile, provo un assoluto senso di inutilità. Puoi fare cento interviste e non spiegare assolutamente niente di te, mentre di solito mi vengono fatte domande molto serie e io do risposte altrettanto serie. Quando parlo della mia infanzia, finisce sempre per diventare così spassoso o deprimente da diventare quasi stupido e imbarazzante, ma ha sempre un grande effetto sugli altri. Una legge non scritta afferma che non si dovrebbe mai ammettere di aver avuto un'infanzia infelice. Bisogna far finta di essersi divertiti un mondo. Io mai. Non voglio elemosinare solidarietà, ma facevo fatica anche ad avere una minima amicizia. Mi sentivo assolutamente brutto. (Morrissey comincia a tirar su col naso mmorosamente)» Oh, non piangere. «No, a dire il vero sto morendo di allergia.» Allora non sei cocainomane? «Ancora no, ma mi sto adoperando.» Hai letto l'articolo di Julie Burchill sul Sunday Times in cui sosteneva che i giovani sono un branco di bamboccioni ingrati che non hanno nessun diritto di pretendere tutti i comfort su un piatto d'argento? «No e non sono d'accordo. Ho sempre trovato che i giovani siano incredibilmente soddisfatti e sereni. Se da bambino mi è capitato di essere arrabbiato e scontento era perché non c'era mai una reazione rabbiosa da parte di nessuno. Personalmente ero molto infelice, ma in generale il motivo del mio malessere era dovuto al fatto che nessuno diceva: “Mi sento proprio uno schifo, non sopporto di avere nove anni, quand'è che le cose cambieranno?”.» Scherzando hai detto che Dorothy Parker, col suo spirito caustico, era la tua madre spirituale. «Oh, magari lo fosse.» Che cosa ne pensa tua madre quando parli della tua infanzia insopportabile? «La prende molto sul serio e legge le mie interviste religiosamente. Lo so che a volte la addolorano, ma non si tratta di nulla che non sappia già. Sono cose che abbiamo faticosamente affrontato diverse volte, molti anni fa. Ma non posso farci niente, se qualcuno mi fa una domanda io rispondo, non posso mentire.» Che mestiere fanno i tuoi genitori? «Hanno sempre avuto impieghi molto umili.» Non parli mai di tuo padre. «I miei hanno divorziato quando avevo diciassette anni anche se era nell'aria da anni. Rendersi conto che i tuoi genitori non sono compatibili ti permette di capire, in anticipo sugli altri, che la vita non è facile e non è semplice essere felici. Ci vuole molta fortuna per trovare la felicità. Per questo motivo sono diventato un ragazzo molto serio, anche se la causa delle mie nevrosi non sono i miei genitori.» Hai trascorso parecchio tempo rinchiuso nella tua stanza, come è stato? 54
cano gli Smiths? «Non saprei. In fondo siamo delle mosche bianche, anche se a Pop Quiz mi hanno chiesto di tornare, il che è alquanto sconcertante.» Ti ha sorpreso il fatto che gli Smiths siano stati votati miglior nuovo grup-
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Non è un po' lo stesso discorso delle classifiche, in fondo? Dove si collo-
po nel sondaggio tra i lettori del New Musical Express? «Per niente, mi sembra assolutamente naturale. Mi sarei sorpreso di più se stessimo ancora suonando a Dingwalls.»
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«Stranissimo. Avevo una cameretta piccolissima, e in certi periodi, tra i diciotto e i diciannove anni, non uscivo letteralmente per tre o quattro settimane. Restavo lì dentro giorno dopo giorno, il sole era cocente e io avevo le tende chiuse. Me ne stavo seduto da solo, quasi al buio, con la macchina da scrivere, circondato da risme di carta. Le pareti erano completamente ricoperte da poster di James Dean, quasi al limite della claustrofobia, e avevo dei foglietti appiccicati ovunque con delle riflessioni profonde. » Per esempio? «Oh, ritagli di giornale con le notizie più improbabili, tipo “Pesce mangia uomo”. Probabilmente la citazione più importante era di Goethe: “L'Arte e la Vita sono diverse, per questo una si chiama Arte e l'altra si chiama Vita”. La cosa strana, però, è che ogni volta che sono tornato a casa e in quella stanza, non riuscivo minimamente a stabilire un nesso tra come mi sentivo, come stavo e la stanza. È drammatico, ma a un certo punto mi ero messo in testa che non sarei più riuscito a uscire dalla stanza. Sembrava quasi che ci fossi nato, in quella stanza. Tutto ciò che mi ha reso come sono è lì dentro. Avevo un terribile complesso del territorio. Disprezzavo completamente chiunque varcasse la soglia e se qualcuno entrava, o guardava i miei libri, o prendeva un disco, schiumavo di rabbia. Ero maniacale: ogni cosa era in ordine cronologico: un posto per tutto, tutto al suo posto. Ossessione totale. Soltanto mia sorella ogni tanto si affacciava alla porta. Oggi mi sembra una cosa completamente folle. È strano come le cose che prima sembravano tanto importanti, alla fine non contino più.»
A scuola tenevi nascoste le tue inclinazioni poetiche o ti prendevano in giro? «No, non le tenevo nascoste e sì, in larga parte mi ridevano dietro. La cosa che mi ha salvato nonostante le mie insolite perversioni, come la passione per Cilla Black e Oscar Wild–se fai parte della classe operaia di Manchester non è di grande aiuto essere fissati con Oscar Wilde–era la mia bravura nell'atletica. Ero un atleta modello e quelli sono gli studenti più coccolati, che riescono sempre a passarla liscia.» Piacevi a qualcuno, a scuola? «Non in modo evidente. Correvano voci, ma siccome ero un idiota intellettuale, tutti erano convinti che se parlavano con me avrei citato la Genesi e fulmini e saette si sarebbero abbattuti dal cielo. E così non mi hanno mai baciato dietro la rimessa per le biciclette.» Quando hai perso la verginità? «Non mi risulta di averla persa.» Allora la verginità è uno stato mentale? «Be' (soffoca una risata) diciamo che così mi hai dato una mano a venirne fuori.» Ti piaceva essere l'anonimo sfigato Steven Morrissey, la cui sola missione sembrava consistere nell'inviare lettere sui New York Dolls al New Musical Express? «No, quello è stato un periodo orribile e adesso odio i Dolls. Avevo sedici o diciassette anni e ho passato un periodo folle in cui cercavo di sfondare nel giornalismo musicale. Scrivevo a chiunque. Ricevevo una trentina di lettere al giorno da perfetti 56
Elissa Van Poznak Tua madre ti ha mai consigliato agli esordi degli Smiths? «No, ma è stata determinante nel plasmare le mie opinioni su certe cose. Mi ha fatto conoscere Oscar Wilde e quando sono nati gli Smiths ha avuto grande forza di volontà e senso degli affari. Francamente, mi ha sempre lasciato fare come volevo. Se non volevo lavorare, le stava bene così. Se volevo andare da qualche parte, mi diceva eccoti i soldi, vai. Se volevo una macchina da scrivere nuova, me la procurava. Mi ha sempre dato sostegno sul piano artistico, mentre tanta gente che aveva attorno le dava della pazza perché mi permetteva di restare chiuso in camera a scrivere. È quest'idea tipicamente operaia che si nasca semplicemente per lavorare, e se non lo fai non hai nessun valore per l'umanità. Siccome non lavoravo, era un peccato capitale. Alla fine però è andato tutto bene: ho dimostrato di valere qualcosa e anche lei si sente realizzata, come me. Ride bene chi ride ultimo.»
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sconosciuti. Partecipavo ai concorsi. Se avevo un penny in tasca lo spendevo per comprare francobolli. Avevo un'intesa meravigliosa con l'universo intero, senza mai incontrare nessuno in carne e ossa, solo tramite posta. La crisi dell'adolescenza per me è sopraggiunta quando i francobolli sono aumentati da 12 a 13 pence. Ero indignato.» Sei rimasto allibito che il tuo libro su ]ames Dean sia stato ristampato dalla Babylon Books? «Li odio, è sfruttamento. Lo hanno ripubblicato in modo tale da attirare soltanto i fan degli Smiths. Ha una nuova copertina e c'è una mia foto con gli Smiths che rovina tutto. Preferirei lasciare quel libro, se tale si può definire, nel dimenticatoio.» Steven Morrissey è morto? «Sì, quando gli Smiths hanno cominciato era molto importante che mi liberassi di quell'orribile, stupido, sciatto Steven. Dovevo rinchiuderlo in una scatola e riporlo in cima all'armadio. Avevo bisogno di sentirmi diverso e anziché adottare un fascinoso nome da popstar ho eliminato Steven, e sembrava una scelta perfettamente logica. All'improvviso ero una persona completamente diversa. Adesso quando incontro gente del periodo pre-Smiths che mi chiama Steven, resto lì impalato a chiedermi di chi stiano parlando. Ho sempre disprezzato il nome Steven, anche se il fatto di pronunciarlo con la “v” invece che con la “ph” lo rendeva leggermente più tollerabile. Comunque sia, è stato molto importante che Steven venisse affogato.» Qual è il secondo nome di Steven? (udibile a stento) «Patrick. Che te ne fai di un secondo nome? Paddy?» Che nome avresti preferito? «Oh, qualcosa tipo Troy o Rock, quei nomi anni cinquanta da machismo di plastica. Rip Torn, immagina chiamare tuo figlio Rip.» Vedo che sei orgoglioso possessore dell'Almanacco degli assassini di Gaute e Odell. «Mmmmm. Sì, ma non mi interessano quei delitti in cui la moglie avvelena il marito e il marito soffoca la moglie. I casi estremi di omicidio devono essere una fonte continua di sconcerto: tipo che la polizia fa irruzione in un appartamento e trova sette cadaveri nel frigorifero. Guarda che non c'è nulla da ridere, sai, è una magnifica indagine sulla natura umana, anche se non vorrei osservarla così da vicino da ritrovarmi in poltiglia nel frigo. (risatina)» Ti sei mai fatto leggere la mano? «Sì. Mi hanno detto che nel febbraio 1985 avrei avuto gravi problemi con la polizia.» Hai pianto qllando è morto Billy Fury? «Continuamente. Fragorosamente.»
La pensava così anche Valerie Solanas e infatti ha tentato di assassinare Andy Warhol. «Sì, lui ha fatto un commento misogino, lei si è offesa, ha caricato la pistola e ha mirato al fine cervelletto di Andy.»
Elissa Van Poznak Sei rimasto male quando Terence Stamp, un altro tuo eroe, ha fatto un sacco di storie per la sua fotografia sulla copertina di What Difference Does It Make? «Ho provato una tristezza indescrivibile. Sono rimasto ancora più sconvolto quando Albert Finney si è rifiutato di apparire sulla copertina del singolo successivo, perché ho sempre avuto un'immensa considerazione di lui. Ma ha detto di no e non ha voluto sentire ragioni.» Perché usare ]oe Dallesandro da Flesh di Andy Warhol per la copertina dell'albllm? «Mah, per quello provo un pizzico di rammarico. Fino a quel momento avevo sempre mantenuto un'algida britannicità, poi ho ceduto a questa mania per Warhol, come quei modernisti fissati con la Factory e tutta la scena newyorkese di fine anni sessanta, che sicuramente era una deprimente perdita di tempo.»
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Ammiri una donna che si comporta così? «Sì, anche perché poi ha scritto un libro sulla vicenda ed era assolutamente avvincente. Insomma, più sensazionale di così! Spari a Andy Warhol, poi vai dritta a casa e tiri fuori la macchina da scrivere: “Perché ho sparato a Andy Warhol”, di Agnes Gooch. Affascinante.» Se ti chiudessero in una stanza con Robert Smith, Mark E. Smith e una Smith and Wesson carica, chi si becca la prima pallottola? «Li metto uno dietro l'altro, così con una sola pallottola li faccio fuori tutti e due contemporaneamente. (soffoca una risata) Mark E. Smith mi disprezza e ha detto cose odiose nei miei confronti, tutte false. Robert Smith è un pianto greco. Anzi, è curioso che abbia cominciato a mettersi le collanine appena sono venuti fuori gli Smiths e (socchiude gli occhi) si è fatto anche fotografare con dei fiori. Immagino che ci apprezzi parecchio, ma a me i Cure non sono mai piaciuti… nemmeno The Caterpillar.»
Sei un maschio femminista? «Be', non salirei certo su un tavolo a gridare “Sono un femminista” o mi metterei un bollino rosso sulla fronte, ma se uno propende verso punti di vista prevalentemente femministi, ti etichettano subito come tale. Allo stesso modo, se guardi con forte simpatia la cultura gay, diventi immediatamente un transessuale. Ho rilasciato un'intervista in cui il tema dell'omosessualità veniva sfiorato per tre secondi, e quando l'hanno pubblicata ero sparato lì nei titoli come voce del movimento gay, come se proprio non potessi parlare d'altro. Lo trovo estremamente deleterio e quindi non mi fido più di nessuno.» Ti dà fastidio che i giornalisti cerchino sempre di indagare sulla tua sessualità? «Sì. L’intervista che ho appena fatto con Rolling Stone comincia così: «Morrissey è un uomo che dice di essere gay», il che mi fa innervosire perché ovviamente non ho detto niente del genere. Formulano delle supposizioni, ma è inutile lamentarsi. Sono entrato in questo ambiente di mia volontà e conosco le insidie, perciò le accetto. In fin dei conti, le definizioni sessuali servono solo a segregare le persone, è tutto così uniforme, un insulto all'individualità. L’effeminatezza non mi dispiace, meglio che essere un represso o uno che passa le sue giornate a bere birra in un pub. Gli uomini che abbassano le difese non sfilano necessariamente in strada piangendo e recitando Wordsworth.» Com'è andato il tuo appuntamento da sogno con Billy Mackenzie degli Associates? «Si è portato via uno dei miei libri su James Dean, e questo mi causa un'ansia continua. Sono rimasto senza parole, l'ho visto uscire dalla porta. Non era il mio libro preferito, ma queste cose sono sacre. Billy ha questo senso di malizia incontrollabile, anche se forse è proprio così che vuole apparire.» Sei stato contento della collaborazione con Sandie Shaw? «No, la risposta della stampa non mi è piaciuta per niente. Non sono rimasto contento, perché lei non ha mai detto niente di buono su di me, il che era preoccupante.» Si è trattato di un'infatuazione privata che è diventata pubblica o qualcosa si è perso nel passaggio? «Sì, mi sono sentito come un scolaretto brufoloso, che sbavava senza concludere niente. Prima di Sandie, tutta la stampa che riguardava me, e gli Smiths, era impeccabilmente seria e molto buona. La pubblicità di Sandie mi ha ridotto a una gelatina tremolante.» 60
Elissa Van Poznak Apprezzavi e sentivi vicini i Buzzcocks, e Pete Shelley in particolare? «Mmmm, sì. Erano un po' confusi ma in modo accattivante… tipicamente settentrionali, di una teatralità ottusa e piacevole.» Gli Smiths hanno nostalgia di un'epoca ancora di là da venire? «Spero di sì. Non vorrei che gli Smiths fossero considerati una specie di farsa da squilibrati, o una parodia alla Chas'n'Dave. Dovrebbe avere un significato un po' più profondo. Spero che le persone dotate di intelletto diano le giuste connotazioni a quel che facciamo.»
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Che cosa troveresti nella Stanza 101, la stanza in 1984 di Orwell in cui Winston Smith deve affrontare la sua peggiore paura? «Può esserci qualcosa di più spaventoso dell'aglio e delle cipolle? Ho una patetica fobia nei loro confronti, e soprattutto l'odore mi terrorizza da morire.» Se l'eterna giovinezza fosse in vendita, la compreresti? «No. Ho sempre trovato che le persone in età avanzata fossero affascinantissime. Più invecchio più divento calmo.» Perciò non vedi alcun parallelo tra te e Dorian Gray? «Direi di no. Io sono sempre stato vecchio prima del tempo.»
Tu però sei fuggito e adesso abiti nel cuore di Kensington, anche se avevi dichiarato che non ti saresti mai trasferito a Londra. «Lo so, è il dolore della mia vita. Sono stato costretto a trasferirmi per risparmiare sulle bollette del telefono. Se solo la Rough Trade si fosse trasferita a Manchester. Eppure ho abitato a Whalley Range per un periodo miracolosamente breve ed è stato bello essere immerso nei bassifondi, fare una vita di afflitta immacolata bellezza, passeggiare nel parco respirando le ricchezze dei poveri, per così dire, ma la sensazione di essere intrappolato dall'assistenza sociale era fastidiosa.» Quand'è che gli Smiths hanno smesso di prendere il sussidio? «Più o meno un anno fa. Gli Smiths stavano andando bene già da qualche mese, ma non guadagnavamo granché. Appena Hand In Glove ha cominciato a vendere, è diventato troppo rischioso. E ovviamente, l'assistenza sociale dà per scontato che se hai fatto un disco sei diventato automaticamente una persona ricchissima di fama 62
«Come potrebbe? Le canzoni dominano la vita delle persone. La gente aspetta solo una voce, qualcuno che dica qualcosa. C'è tanta profondità nella musica degli Smiths che quando mi dicono «hai cantato quella canzone e ho pianto» non mi sorprendo. Lo capisco perfettamente, è successo anche a me. Ho comprato dei
Elissa Van Poznak
La musica pop è banale?
dischi che per me erano la Bibbia: pensi “questa persona mi capisce come nessun altro”. È come avere un amico inamovibile.» Qual è il disco più “biblico” nella tua collezione? «Indubbiamente, l'ultimo singolo di Klaus Nomi prima che morisse. S'intitola Death ed è incredibilmente commovente. Il testo fa: «Ricordati di me, ma dimentica il mio destino».
Gli Smiths, così contrari a fare video promozionali, gireranno mai un film ? «Intendi tipo A Hard Day’s Night? [Tutti per uno]. Sì, è un'idea simpatica. A Hard Day’s Misery. Ma non voglio distrarmi dall'originario desiderio ardente di fare dei dischi meravigliosi. Non basta farne uno o due. Voglio un flusso continuo di singoli inestimabili che tocchino il cuore di tutti.» In Miserable Lie c'è un verso misteriosamente sottovoce che fa: «What do we get for our trouble and pain? just a rented room in Whalley Range» («E cos’abbiamo in cambio delle nostre ansie e frustrazioni? Una stanza in affitto a Walley Range»). Esiste davvero Whalley Range? «Temo di sì. È un piccolo sobborgo di Manchester, un trionfo di monolocali, e chiunque vive lì è un poeta misconosciuto o un artista fallito. Chi vuole inseguire il destino finisce lì e non ne esce più.»
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internazionale, anche se il disco è al 38esimo posto nella classifica degli indipendenti e devi trentamila sterline alla casa discografica.»
Ti sei imborghesito? «Oh no. Davvero, siamo rimasti sempre gli stessi, i soldi non cambiano nulla. E comunque non è che ne abbiamo molti.» Vuoi dire che non hai cinquantamila sterline in banca, come Phil Oakey? (ride) «Per essere sincero, non ho nemmeno un conto in banca.» E dove li tieni, sotto il materasso? «No, a parte scherzi, gli Smiths hanno un conto comune. Siamo una cooperativa e tutto quello che guadagno finisce lì.»
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venti posti. La Sire non ha reclamizzato il gruppo, comunque. Hanno fatto uscire What Difference Does lt Make? invece di This Charming Man totalmente contro le
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Gli Smiths sono stati pompati molto in America? «No. Abbiamo fatto solo un concerto, al Danceteria, e il disco ha fatto un balzo di
nostre richieste e di sicuro andrà male. Credevo che This Charming Man fosse la più ovvia e immediata uscita immaginabile.»
Una volta detto che sei un miserabile, che altro ti rimane da scrivere? «Ooh, c'è tanta roba sepolta nel passato da cui rubare, le risorse sono illimitate. Non dico che tutto quello che scrivo è già stato scritto, ma gran parte delle mie sensazioni deriva dal cinema. Mi sono cibato di film come Sapore di miele, La stanza a forma di L.» Adesso hai ottenuto quello che speravi in tutti quegli anni passati in camera tua? «Non del tutto, ma Oscar Wilde ha detto alcune parole di cui faresti bene a prendere nota: «Quando gli dei vogliono punirci, esaudiscono le nostre preghiere.»
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UN CASO DA APPROFONDIRE di Biba Kopf New Musical Express, 22-29 dicembre1984
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a registrazione del nuovo lp degli Smiths è stato uno dei segreti meglio custoditi della stagione. Il vostro Sicario designato avrebbe preferito che restasse tale ancora per un po', perché certamente gli avrebbe facilitato il compito. Dopo aver covato un inspiegabile rancore, roboante come i suoi preconcetti su un gruppo che è stato perennemente a portata d'orecchio per tutto il 1984, era abbastanza pronto a bastonarli alla cieca, strapazzarli un po', far sapere loro che erano stati qui–conoscete la procedura–come da contratto. Vi sembra scorretto? Ma figuratevi! Sicuramente anche voi, a un certo punto, avrete urlato “basta” al pensiero di un altro singolo degli Smiths, che aggiunge un'ulteriore variazione al crescente elenco di sventure di Morrissey. Insomma, l'anno si è concluso quasi come era cominciato: con un secondo lp degli Smiths pressoché identico al primo e pieno di tutti i 45 giri che l'hanno preceduto. Si aggiunga a questo l'onnipresente spettacolo dell'espressione perennemente afflitta di Morrissey sulla stampa a corredo di articoletti che spremono fino all'osso il tema della sua ipersensibilità, e non vi sarete augurati almeno una volta che cadesse vittima del suo deprimente carosello? No? Allora d'accordo, cari i miei sapientoni, si vede che evidentemente avete prestato maggiore attenzione del vostro buon Sicario, cogliendo tutte le sfumature e le ombre che lui non ha notato; notando cose come le dichiarazioni di Morrissey sepolte tra le pagine di un Melody Maker sulla delusione che ha provato quando l'ira trovando per una volta un bersaglio giusto per la sua furia, non è riuscita a colpire la Thatcher. Ora, non è certo il genere di cose che ci si aspetterebbe da Morrissey, che è considerato generalmente un beato idiota–«Oh è vero!» , provocherà poi–o il patrono dei poeti in pena di ogni latitudine. Magari sarà anche vero, ma senza le connotazioni di ricercatezza che la descrizione potrebbe suggerire. Morrissey, per quanto possa apparire esile e gracile, ha ovviamente qualità ben più salde, per non dire divertenti. «Non sono totalmente contrario alla violenza» dice. «In certi casi estremi, può essere necessaria. Direi che la violenza in nome della Campagna per il disarmo nucleare è assolutamente
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necessaria, perché ogni tipo di comunicazione tramite metodi pacifici viene derisa e trattata con violenza assoluta da parte del governo. Credo che ormai sia tempo di combattere il fuoco col fuoco e attaccare con forza. Non credo che questo sia terrorismo, piuttosto, si tratta di autodifesa. «Ovviamente la Campagna per il disarmo nucleare si preoccupa per la gente ed è per questo che fanno quello che fanno. È patriottismo. In certi casi credo che la violenza sia profondamente necessaria: quando le conseguenze della nonviolenza sono spaventose, allora tanto vale avere le conseguenze con la violenza.» Il loro terzo lp appena completato– secondo lp vero e proprio–si intitola, tra l'altro, Meat ls Murder, da una canzone che parla del massacro degli animali. La fermezza del Sicario si è ammorbidita prima che riuscisse a sentire Meat… comunque. Ascoltando la compilation Hatful Of Hollow, appare subito chiaro che non si tratta di un fuoco di paglia come oziosamente sospettava. Quello che balza subito agli occhi è l'umorismo insito nel concetto stesso degli Smiths, nello splendido contrasto tra la voce impassibile, dolente ma sorprendentemente malleabile di Morrissey e la straordinaria capacità del chitarrista e coautore Johnny Marr di comporre canzoni quasi interamente da ottave medie. Ancora meglio, appena si dissolve la somiglianza superficiale dei due singoli–Heaven Knows l'm Miserable Now e William, lt Was Really Nothing– che sembrano accomunati dallo stesso sound sferragliante, si nota facilmente la variazione di tempo e l’attacco dei brani. L’umorismo si realizza nelle parole di Morrissey. Costruisce una struggente dichiarazione d'amore su un'immagine da fumetto–«Si scagliano parole pesanti con tanta leggerezza / ma per te balzerei incontro a una pallottola vagante» («Heavy words are so lightly thrown I But still I' d leap in front of a flying bullet for you»)–e poi la combina con un interrogativo ancora più retorico, offrendo a entrambe l'incupito intento che il sentimento della canzone (What Difference Does lt Make?) merita. A differenza di Woody Allen, nell'opera di Morrissey l'umorismo non è una forma d'autodifesa per giustificare la serietà. uno rafforza l'altra, creando un'atmosfera al tempo stesso perfettamente in armonia e in contrasto con le melodie irrefrenabili di Marr. Per di più ha scritto alcune delle canzoni più apertamente deliziose ed erotiche incise quest'anno. Ma con William… l'ambiguità di alcune canzoni degli Smiths finalmente è stata recepita dalla bbc, col risultato di una drastica riduzione dei passaggi radiofonici e degli inviti televisivi. Questo non ha scalfito minimamente la loro determinazione, come dimostra il loro nuovo lp Meat ls Murder, uscito per Rough Trade a febbraio. Le canzoni sono così corpose e ricche di trame che è difficile afferrare di cosa parlino nei pochi ascolti concessi. Una, in modo interessante, analizza a fondo i giorni in cui Morrissey andava a scuola–«gli insegnanti erano talmente brutali che ero convinto di prendere una medaglia al valore quando me ne sarei andato» commenta–e altre, come l'appello al vegetarianismo contenuto nella canzone che dà il titolo all'album, vedono Morrissey cercare con soddisfazione fonti di ispirazione esterne a se stesso.
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Un caso da approfondire
Se l'immagine di Morrissey proiettata dai dischi è quella di uno studentello che si è appena tagliato i capelli e non sa se ridere o piangere di fronte alla sua goffa immagine riflessa, Morrissey di persona è più sicuro di sé. Si presenta con Johnny Marr nel ritrovo abituale del Sicario–la Konditorei Kopf–e mette subito le carte in tavola. «Sento dire che gli Smiths non ti piacciono né ti dispiacciono» esordisce con fare inquisitorio, sbirciando da sotto la tesa di un largo cappello. Sentendosi improvvisamente messo a nudo, il Sicario arrossisce e risponde con una domanda delle sue.
Pochissimi riescono a ottenere un tono colloquiale nelle canzoni. Lou Reed è uno di quelli che mi viene in mente... Morrissey: «Il guaio è che c'è un buco di dieci anni tra una sua bella canzone e l'altra.»
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Biba Kopf Invece di parlare di te in astratto, sembra che le tue nuove canzoni isolino dei casi particolari… Morrissey: «Sì, è la prima volta che scrivo in terza persona, facendo da spettatore, il che non è affatto male. Ne avevo bisogno, perché se c'è una cosa che aborro nella musica moderna è la sindrome dell'”lo”: “Ho” fatto, “Sono” andato, “lo”, sempre “lo”. Be', io non lo sopporto e cerco di evitare la prima persona quanto più possibile, anche se a mia volta cerco di scrivere da un punto di vista individuale. Sono ancora affezionato all'idea che le canzoni siano vere e proprie conversazioni: “Dimmi, ma perché la tua vita è così?”, imponendo… ah ah, be', non è proprio vero. Però mi piace l'idea di fare il parroco comprensivo. «Conosci Stringer Davis? Appare in parecchi film di Miss Marple. È un suo buon amico. Con molta compassione, ascoltava tutti i suoi scherzi e i suoi problemi. Ecco, mi sento un po' come lui.» Mantenendo un tono colloquiale è difficile concludere senza sembrare banali o affettati. Morrissey: «Be', questo dipende dall'uso di un linguaggio molto elementare, molto essenziale. Cerco di evitare le metafore. Cerco di evitare di essere indiretto o ermetico. Non ha senso. Il tempo è troppo prezioso. «Quando ascolti un disco devi capire immediatamente che cosa sta succedendo, anche se ovviamente tanti dischi che in passato mi sono piaciuti non li ho mai capiti, ma ho reagito con una reazione istintiva: santo cielo, che voce! In quel caso, ciò che diceva la voce era irrilevante. Come se entrassero in gioco i tormenti del desiderio, un sentimento spontaneo, una sensazione di gioia, emozioni straripanti. «Adesso non ne ho più voglia. Lo apprezzo negli altri, ma credo che ci sia già abbastanza gente così.
Le vostre mantengono un sottile equilibrio, un umorismo che affiora dalla vicinanza della banalità e della profondità nello spazio dei versi. Morrissey: «Questo è dovuto all'uso di un linguaggio essenziale cui facevo cenno 69
Un caso da approfondire
Cosa c'è al Nord che ti riporta lì? Morrissey: «Le ragioni non sono molto evidenti. È semplicemente uno stato d'animo. Non è che sia terribilmente insicuro e debba per forza rintanarmi in un buco a Salford per provare una sensazione di sicurezza. Non penso. È più una mancanza di desiderio di viaggiare. Non so come si possa spiegare. Però non è che voglia una coperta di Linus.»
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tempi è George Formby. Le sue canzoni più oscure sono così spassose, il linguaggio era così piatto e lancastriano e si concentrava sempre su vicende domestiche.
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prima. Per me–e questo sembra un po' chic–uno dei più grandi parolieri di tutti i
Non era un divertimento intellettuale, non era spiritoso, era solo un umorismo scontroso, e questo mi piace molto. «Detesto la scrittura intellettualistica per quanto riguarda i temi. Intendo dire, scrivere di amore con un tono intellettuale che in realtà non dovrebbe esistere. Senza voler assomigliare a George Formby, credo che molto di ciò che scrivo sia di un umorismo impassibile. Ma nessuno ci ha mai fatto caso. Forse non funziona! Sicuramente c'è, ancora di più sul nuovo disco, ma credevo che This Charming Man fosse di un umorismo incredibile in senso lirico. Non so se se ne accorgano o meno.» Forse sono stati distratti dal continuo utilizzo di parole come “depresso”, “sofferente” e “malato” nei vostri titoli, vaghe allusioni che si tratti di argomenti seri, non certo divertenti. Morrissey: «Questo probabilmente è vero. D'altra parte, credo che il mio modo di scrivere sia molto del Nord. Non sono per niente contaminato da Londra o dal Sud, anche se non è possibile dividere il linguaggio per regioni: questa parola appartiene al West Country, ecc. Però ho la sensazione che il mio tono sia settentrionale…»
Ma attingere a quei film realisti degli anni sessanta in cerca di un Immaginario del Nord, associarsi a loro tramite i fotogrammi sulle vostre copertine: sembrava sempre che rappresentassero delle ambizioni negate, sogni limitati (tralasciando il fatto che quell'apice di desolazione del cinema britannico fosse stato poi soppiantato dalla televisione). Morrissey: «In un certo senso mi sembra una cosa buona, perché prima di quel periodo i film prodotti in Inghilterra che parlavano di situazioni operaie avevano come protagonisti attori con voci estremamente teatrali, l'inglese più forbito che si fosse mai sentito da queste parti, nel centro di Birmingham. Quei film che apprezziamo erano preziosi perché per la prima volta era ammesso l'uso dei dialetti regionali, e le persone potevano essere oneste e sincere sulla propria condizione. E, a prescindere dal colore della verità, è sempre gradito averla.» Johnny Marr: «Da quando abbiamo cominciato a pubblicare quelle immagini 71
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Un caso da approfondire
non fosse per i testi di Morrissey. Sono molto sorpreso per l'interesse che hanno suscitato.
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sulle copertine, a volte mi domando se quei film non sarebbero stati ignorati se
«Voglio dire, capisco chi s'interessa di cinema, ma i sedicenni e i diciassettenni che comprano i dischi probabilmente non avrebbero mai pensato a Salford nel periodo ’60–’64 se non fosse per quello con cui siamo generalmente associati. A volte mi chiedo se non siamo l'ultimo respiro di quella tetra classe operaia degli anni sessanta! Spesso ho la sensazione di essere l'ultimo solitario baluardo del passato al centro dell' Arndale Centre! [ un moderno centro commerciale di Manchester, a quanto pare].» Ma perché è importante aggrapparsi a quello? Sicuramente non esistono le stesse circostanze. Morrissey: «Credo sia valido in generale, il fatto di prendere sul serio e in termini non seducenti quello che facciamo. La musica pop era arrivata al punto di essere molto scientifica. Il romanticismo era ancora una piccola isola nel cuore di Londra, ancora il luogo più affascinante, ancora partire su un jet, ecc. Siccome noi non l'abbiamo mai fatto, non abbiamo mai capito queste cose. Non è questione di essere depressi, deprimenti, miseri o morbosi.» Certo, considerato il contrastante vigore della musica, ma gli Smiths non hanno forse avuto successo, mentre le storie di quei film spesso rappresentavano ambizioni azzoppate? Morrissey: «Ma sono le radici del gruppo e non si possono negare, a prescindere da quello che accade da adulti.» Johnny Marr: «A essere sinceri non credo sia questione di essere superiori. Perdere quel filo sarebbe assai pericoloso. Fa parte della nostra vita. Non possiamo perderlo. Non voglio non averci a che fare.» Combinando la vostra predilezione per il cinema e gli anni sessanta come fonte d'ispirazione per la vostra musica, i vostri richiami a un'epoca d'oro non sono mai stati adeguatamente spiegati. Prima di ascoltare bene, sospettavo una tendenza luddista. Johnny Marr: «Ce l'hanno sempre rinfacciato: se non fosse per la Rickenbacker di Roger McGuinn o la collaborazione con Sandie Shaw… be', di nuovo, si trattava solo di pigrizia giornalistica. Non ci vedo proprio niente di male nell'idea di riprendere quello spirito di ottimismo e di possibile cambiamento e cercare di usarlo nell'84. Ma ancor più importanti sono le immagini con cui siamo cresciuti: ciminiere fumose, vicoli, le impressioni che traggo dai testi di Morrissey. Non 73
Un caso da approfondire
La tua vanità tollererebbe la subordinazione totale a una linea particolare? Morrissey: «Sì, penso di sì. Però mi annoierei. Credo che le cose si possano infilare astutamente dentro dalla porta di servizio.»
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cerco di non sembrare Gary Kemp che si spaccia per uno della working class. Ma a noi interessano i valori della classe operaia degli anni sessanta, più che le
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si tratta solo di nostalgia, è uno spirito del Nord, uno spirito operaio… e qui
Rickenbacker e le pettinature alla Brian Jones… «Di certo non ci sentiamo musicalmente limitati in alcun modo dal periodo. Nel senso che non confondiamo le radici con la formula. Siamo pronti a fare a pezzi ogni formula, a provare cose che musicalmente non abbiamo mai fatto. Ma le radici sono il motivo per cui siamo qui. È una cosa che non rinnegherò mai. Sono perfettamente consapevole del motivo per cui abbiamo iniziato e credo sia una cosa positiva. Quelle ragioni sono ancora valide.» Morrissey: «Trovo che le persone dotate di senso artistico e creatività si trascinino fuori da condizioni tremende, mentre chi fa una vita tutta rose e fiori tende a non produrre nulla di radicalmente artistico. Per me la musica leggera resta ancora la voce della classe operaia, di una rabbia collettiva in un certo senso, anche se raramente tormentata dall'angoscia. Ma per chi viene dalla working class sembra la sola e unica opportunità di farsi avanti e aver voce in capitolo. È davvero l'ultimo rifugio per chi sa esprimersi bene ma non ha il becco di un quattrino.» Un primo livello di sofisticazione giudicherebbe quel punto di vista piuttosto superato, un cliché tramandato con gli Smiths. Morrissey: «Può darsi, ma quello che l'ha sostituito mi lascia di sasso. È completamente privo di sensibilità, non ha nulla a che fare con la vita quotidiana della gente comune…» Gli Smiths probabilmente sono la più singolare espressione di quella rabbia operaia, eppure evidentemente questo ha un senso. Dove si collocano gli Smiths in rapporto a chi si è autoproclamato valvola di sfogo dello spleen operaio? Redskins? Seething Wells? Morrissey: «Be', non vorrei essere così estremo, anche se sono quasi sempre d'accordo con le cause che appoggiano. Credo che il pubblico si annoi con i gruppi che inseriscono la politica militante in ogni canzone. Non c'è bisogno di essere oltranzista in senso politico. Per me quello difetta di un certo grado di intelligenza. E anche se nei nostri testi non facciamo alcuna dichiarazione politica audace e abrasiva, credo che si riesca a cogliere la nostra posizione.»
Il brano che dà il titolo al vostro nuovo lp, Meat Is Murder, mi sembra alquanto diretto. 75
Un caso da approfondire
«Ah, vedo che hai fatto acquisti da Boots. Hanno il record nazionale di prodotti testati sugli animali, un massacro quotidiano. Questa gente va attaccata perché non accetta di intavolare un dialogo con l'Animai Liberation Front. Perciò… boicottate Boots!» Ti prende mai la voglia di parlare in modo così esplicito della sessualità, farti paladino dei diritti dei gay così come hai fatto con Meat Is Murder? Morrissey: «No, veramente no. Potrebbe essere noiosissimo. L’età del consenso non mi interessa, e nemmeno quel tipo di propaganda personale. «Per quanto riguarda la sessualità, invece, è un tema che sento molto. Perciò ho una posizione molto non-sessuale, vedo le persone da umanista. C'è tanta discriminazione nella vita moderna e l'ultima cosa che occorre è scavare un solco tra i sessi, che si allarga col passare degli anni. «Tutti i cosiddetti “liberatori” sputano odio eccessivo. Da una parte le femministe gridano che gli uomini sono nemici, ci stanno ammazzando, all'altro estremo c'è il maschilismo da pub. Mi rifiuto di riconoscere i termini etero-, bi- e omo-sessuale. Tutti hanno esattamente gli stessi bisogni sessuali. Le persone sono semplicemente-sessuali, il prefisso è irrilevante.» I prefissi precludono troppo. Diresti che il tuo umorismo scaturisce in parte dall'umana commedia dell'accoppiamento? Morrissey: «Sì. Ma non è del tutto ridicola. Le persone hanno bisogno di legami.»
Non è un’affermazione un tantino altezzosa? Morrissey: «Sì, sembra altezzosa, ma è un fatto che ho osservato. Conosco gente che non ha soldi, ma si sposa, vive in condizioni stentate e ha delle basse esigenze. Io sono contento di non trovarmi più in quella situazione. Sembra molto sprezzante, ma che posso dire?» Visto che venivi da una famiglia numerosa, non hai avuto subito voglia di trovare un posto tutto tuo per avere un po' di spazio? Morrissey: «È uno schema ben noto. Ho cercato di fare tante cose ma di fatto non hanno funzionato finché non ho avuto i soldi, soprattutto perché non facevo nessun tentativo di sorta di guadagnare con dei romanzetti orripilanti. Non potevo proprio sopportare la stufa a gas che non funzionava, le otto coperte sul letto o il ghiaccio alle finestre. Non ero poi così resistente.» Vuoi diventare ricco? Morrissey: «Sì! Ma soprattutto non voglio essere povero. Immagino che chiunque abbia fatto un bel disco la pensi così, ma io credo di meritarlo perché lavoriamo sodo. In questo ambiente ci sono tanti imbecilli palesemente più ricchi di me per aver fatto dischi che non hanno il minimo valore umano. Quindi sì, voglio diventare ricco.» A che pro, se a Jim Shelley di Blitz hai detto che non avevi grandi motivazioni per vivere? 76
da analizzare, c'è ancora una conoscenza vaga sul trattamento degli animali. Si crede ancora che la carne sia una sostanza particolare che non c'entra niente con
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Morrissey: «Mmh, sì, è una dichiarazione esplicita. Tra i tanti argomenti politici
gli animali che giocano nei campi. La gente non si rende conto del modo raccapricciante e spaventoso in cui gli animali finiscono nel piatto…
Un distico memorabile dal vostro nuovo disco: «Un letto a due piazze, un amante focoso di sicuro / Sono queste le ricchezze dei poveri». Morrissey: «Nasce dalla constatazione che, per quanto possa sembrare banale, quando ci si sposa e si prende un appartamento–neppure una casa, bada–la cosa più importante è comprare il letto matrimoniale. Come se fosse il pezzo forte della collezione: la cucina, la stufa, tutto il resto viene dopo. Nella vita di molte persone di estrazione operaia l'unico momento in cui ci si sente al centro dell'attenzione è il giorno delle nozze. Sposarsi, malauguratamente, rimane l'unico evento importante della loro vita. L'unico giorno in cui si sentono un po' speciali…»
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Morrissey: «Be', ma poi penso ai soldi e mi dico: sì, un motivo per andare avanti c'è! Ah ah. Ovviamente non dico sul serio. Sono cose diverse.»
Non ti stavi scavando la fossa con le tue mani con tutte quelle interviste di quel periodo, per le quali sembravi entrato nel ruolo professionale del Morrissey sensibile e sofferente da tempo? Johnny Marr: «…le cui opinioni erano esattamente le stesse ogni giorno. L’impressione che avevo era che non gli fosse permesso dire che oggi si sentiva diverso, purché avesse queste rigide norme personali a cui aderire rigorosamente, essere nello stesso stato d'animo ogni mattina. Conoscendo Morrissey, sapevo che era inverosimile. È inverosimile pretenderlo da qualsiasi essere umano, in ogni caso.» Morrissey: «Si era arrivati al punto in cui ero un personaggio completamente separato dal gruppo. Non mi chiedevano mai di loro o della musica. Avvertivo questo continuo desiderio di rappresentarmi con una caricatura: un prete represso, uno pseudo chitarrista folle, o quello che era… Ma con Heaven Knows… tutto è rientrato in prospettiva. Prima di quello mi limitavo a correre di qua e di là cercando di fare tutti felici.» E sono stati più felici di vederti depresso? Morrissey: «Esattamente. Più lo facevi, più ti permettevano di farlo.» Sull'argomento depressione di Morrissey, allora, consideriamo chiuso il caso. Abbiamo dunque ascoltato il vero Morrissey, senza la camicia di forza professionale? Chissà. Ma credo di sì.
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Perché hai detto così a Jim, allora? Per far colpo? Morrissey: «Be', ero serio e la cosa che mi è sembrata più incredibile è che tutti quanti ne hanno riso. È stata proprio una mazzata! «Il guaio è che con me confondono sempre le battute, le trovano radicate nella depressione! Però in quel periodo mi sentivo veramente così. Sembrava che non ci fosse motivo di esistere. Per me la vita non è mai stata facile, ma non era nemmeno accettabile fino all'uscita di Heaven Knows I'm Miserable Now. Quel disco mi è piaciuto e sembrava che finalmente arrivassero dei bei momenti. Li ricorderò come giorni piacevoli. «Ma prima di allora non mi era mai capitato. Facevo dischi che sebbene avessero successo non mi dicevano molto. Come se avessi ancora i postumi di quegli anni di nulla, col sussidio di disoccupazione, costretto a vivere in quell'atmosfera orribile di colloqui con l'assistenza sociale, gente che ti chiedeva perché scrivevi quelle canzoni assurde. Heaven Knows I'm Miserable Now mi sembrava un'enorme liberazione…»
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THIS CHARMING MAN (Un uomo affascinante) di Simon Garfield Time Out, 7-13 Marzo 1985
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e mai ci fosse spazio per la sovversione nelle classifiche pop, allora quel posto è occupato da un gruppo di Manchester, gli Smiths. Se mai si è registrato un avanzamento creativo nell'industria musicale nello scorso anno, allora quel progresso è stato merito degli Smiths. Se c'è stato un album d'esordio che può tranquillamente rivendicare di essere “un pilastro nella storia della musica pop”, allora è stato The Smiths degli Smiths. E se c'è stata soltanto una band dopo i Sex Pistols a sconvolgere un ambiente vecchio e viziato e a entusiasmare di nuovo, e sul serio, i giovani acquirenti di dischi, allora sono gli… Tutte opinioni di Morrissey, queste, come ci si sarebbe aspettato dal cantante e paroliere degli Smiths. Quello che non ci si sarebbe aspettato–almeno due anni fa–è che il 1985 avrebbe trovato tante persone d'accordo con lui. Peggio ancora, lo adorano addirittura. Non è difficile immaginare che accada a un Boy George o un Simon Le Bon, ma con lui? Uno che si definisce spudoratamente un genio, che scrive incessantemente di quel cupissimo pozzo di disperazione e solitudine, che esprime la sua avversione per la famiglia reale e il progetto Band Aid, che canta dei Delitti della Brughiera e del massacro degli animali, uno che ammette di essere un inguaribile fanatico di James Dean e Oscar Wilde? Sì, a quanto pare, vogliamo tutto questo. Lo vogliamo fino al punto di comprare più di centomila copie del secondo album ufficiale degli Smiths, Meat Is Murder, e collocarlo al primo posto in classifica nella prima settimana di uscita. Al punto di votare gli Smiths miglior gruppo rock del mondo nei sondaggi della stampa musicale. Al punto da far stappare lo champagne alla loro etichetta Rough Trade, una casa discografica
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strenuamente indipendente e spesso strenuamente disorganizzata che ha finalmente riscosso quel successo che molti ritenevano impossibile. Perfino al punto di mettere Morrissey in forma audace e smagliante ai piani alti del febbrilmente rinnovato Britannia Hotel nella sua fredda città natale.
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Le sue incursioni sui mezzi d'informazione finora hanno unito un'affascinante e accattivante eloquenza con un elenco apparentemente infinito di sentimenti controversi, e di conseguenza hanno fatto sì che le sue interviste abbiano, probabilmente, contribuito a far vendere più dischi dei suoi testi. «Non sono così superficiale da nascondermi felicemente dietro qualche slogan» afferma, quasi a disagio per essere diventato non solo il portavoce del gruppo, ma anche dell'ennesima generazione perduta di giovani britannici. Una volta erano Joe Strummer, Bob Geldof o Paul Weller. Morrissey non ama essere paragonato a nessuno di loro…
Simon Garfield «A rigor di logica, gli Smiths non dovrebbero essere qui» suggerisce. «La gente vorrebbe cancellare ogni minimo accenno agli Smiths, e gli addetti ai lavori passano tutto il tempo a negare che siamo un fenomeno. Forse perché abbiamo un briciolo di intelligenza, e quando un gruppo cerca di imporre le sue regole finisce per guastare la festa a tanti mediocri di mezza età che controllano tutta la sfera della musica pop. Lascia che te lo dica, l'industria musicale detesta assolutamente gli Smiths.» Beniamino dell'industria o meno, Morrissey ha appena raggiunto quel sottile gradino della scala per il successo su cui aveva sempre sognato di salire, ma con la speranza di non dover mai averci a che fare. Per molti il successo arriva facilmente: assumi un gorilla in pianta stabile, ti compri una villa, ti ficchi nel naso una banconota da cinque sterline arrotolata e fai uscire un album all'anno con una copertina ignobile. Morrissey e i suoi fan invece sanno che gli Smiths non potrebbero mai muoversi agevolmente nel regno dell'opulenza, e lui spera di aver recentemente compiuto un ulteriore passo per distanziarsene trasferendosi da Kensington a una nuova casa nel Cheshire per mantenere un contatto più ravvicinato con le forze che lo hanno plasmato. Perché l'uomo emana una cosa più di ogni altra: integrità. «Morirò per ciò che dico» si vanta, ed è assolutamente convincente. Gli Smiths sono stati protagonisti di un'ascesa fenomenale e strana al tempo stesso. Formati dall'(allora) adolescente chitarrista e coautore Johnny Marr, si sono presentati nel settembre ’82 con una formazione a quattro elementi improntata sulla chitarra e hanno destato interesse quasi subito. Si distinguevano nettamente. Tanto per cominciare era il periodo degli Human League e dei sintetizzatori, e le band chitarristiche erano passate di moda (così come i gruppi a quattro erano poco comuni quando i Beatles fecero un provino alla Decca). In più, era un periodo di toni soft, belle facce, testi insulsi e smielati che si collocavano almeno a una generazione di distanza dai sentimenti brutali e realistici espressi da Morrissey. Anche gli Smiths facevano canzoni d'amore, ma erano angosciosi, intelligenti e credibili. Anzi, spesso erano angosciosi fino all'assurdo, e molto spesso sembravano innaturali, quasi grotteschi. 83
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John Peel e il produttore John Walters ne hanno tessuto le lodi, diverse major hanno espresso il loro interesse, ma la band come al solito ha firmato con la Rough Trade per un anticipo relativamente esiguo, e il loro primo singolo è apparso poco meno di due anni fa. Hand In Glove era una bella canzone, ma ha incasinato tutto. Impegnandosi meno di quanto avrebbe potuto, la Rough Trade apparentemente ha deluso gli Smiths. Morrissey sapeva che sia gli Aztec Camera sia gli Scritti Politti avevano lasciato la Rough Trade per passare alle major, e ha cominciato a capire il perché. «Ma con noi dovevano fare qualcosa, eravamo davvero il loro ultimo residuo di speranza. Sono convinto che se non ci fossero stati gli Smiths, la Rough Trade sarebbe sparita.» La presa di coscienza a quanto pare è avvenuta all'unisono da entrambe le parti. La Rough Trade ha spinto sull'acceleratore, Morrissey ha eliminato dai discorsi le sue collanine bianche da effeminato, e le loro fortune hanno spiccato il volo insieme. I singoli successivi hanno scalato le classifiche e le controversie spesso estremamente insignificanti, ma sempre intriganti, che circondavano la band sono raddoppiate, triplicate, quadruplicate in numero e dimensione. Morrissey aveva davvero la mania dei fiori? Solo perché lanciava cinquanta sterline di gladioli al pubblico tutte le sere? Perché insisteva a pavoneggiarsi a Top of the Pops con un apparecchio acustico e un mazzolino che spuntava dalla tasca posteriore dei jeans? Praticava davvero la castità? Ed era veramente gay, come insinuava Rolling Stone? Indossava davvero camicette da donna prese al negozio per taglie forti Evans? Sul serio il loro primo singolo doveva essere inciso da Sandie Shaw? Da dove venivano i nomi Morrissey e Johnny Marr, tra l'altro? Era solo una coincidenza che fossero rispettivamente la vittima di un omicidio e il protagonista di un romanzo di Cornell Woolrich, Appuntamenti in nero? Morrissey era davvero un adolescente disperatamente solitario che non usciva mai dalla sua umida stanzetta di Whalley Range, una camera coperta dal pavimento al soffitto di foto di James Dean? Davvero l'eroe di lunga data di Morrissey, Terence Stamp, non ha permesso l'uso di una sua immagine sulla copertina di uno dei singoli della band? E W.H. Smith ha veramente messo al bando l'album d'esordio del gruppo perché conteneva un brano intitolato Suffer Little Children, sui Delitti della Brughiera, anche se Morrissey affermava che era andato tutto liscio anche con i genitori delle vittime? In parte si trattava di notizie senza fondamento, ma il grosso era vero. Il primo album ha ottenuto il disco d'oro (oltre centomila copie vendute) e i mini-scandali sicuramente devono aver giocato un ruolo nel suo successo. «Basta scandali!» ha detto Morrissey quando il peggio era passato. Ma i tabloid non gli hanno creduto.
Pericoloso? Questo venticinquenne in blazer nero, camicia di cotone verde acido, calzoni a sbuffo beige tutti sgualciti, scarpe marroni e un ciuffo sulla fronte alla James Dean, un mostro affamato di sesso e un corruttore della gioventù? In verità, c'è qualcosa che mette molto a disagio in sua presenza: è quasi troppo tenero, troppo gentile, troppo nervoso, e non è lontanissimo da quel patetico ra84
Simon Garfield «Mi perseguitano» dice «ed è molto sgradevole. Quel che mi rende pericoloso per loro più che per tutti gli altri è il fatto che conduco uno stile di vita alquanto religioso. Non sono un personaggio rock'n'roll. Disprezzo le droghe, disprezzo le sigarette, sono casto e vivo una vita molto serena. Ma faccio anche delle affermazioni molto forti nei testi delle canzoni e questo è molto preoccupante per le figure autoritarie. Non possono dire che sono annebbiato dalla droga o in preda ai fumi dell'alcol, e che ne uscirò. Probabilmente mi ritengono una specie di mostro affamato di sesso. Ma non c'è problema, possono pensare quello che vogliono. A me interessa solo l'evidenza, e loro non possono produrre alcuna prova che rovini il mio personaggio.»
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gioniere archetipo dei Monty Python. Si inchina quando ti stringe la mano, ed è una cosa che non ti aspetteresti mai da un cantante rock con un album al primo posto.
Ma è l'ennesima sparata di Morrissey: è difficile resistere alle iperboli e non gridare al complotto, se sa che così facendo per lo meno raddoppierà l'impatto di certe dichiarazioni alquanto coraggiose. Che possono sembrare un'enormità, o ben poca cosa, a seconda del vostro grado di idealismo e della portata della vostra memoria.
per me Bob Geldof è un personaggio nauseante. Molti si trovano a disagio, ma io
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«Il motivo principale della mia pericolosità è che non ho paura di dire quello che penso. Non ho paura di dire che Band Aid per me era diabolico. O di dire che continuerò a dirlo, forte e chiaro quanto vi pare. «Nel primo caso il disco in sé era assolutamente disarmonico. Si può avere grande preoccupazione per il popolo etiope, ma altra cosa è infliggere una tortura quotidiana al popolo inglese. Era un disco atroce, considerando il numero di talenti coinvolti. E non l'hanno fatto neanche con discrezione: era il progetto più ipocrita che si sia mai visto nella storia della musica pop.»
Se analizzate nel dettaglio gli album e i singoli, e troverete canzoni appassionanti, talvolta divertenti, spesso commoventi, ma, come l'uomo che le canta, tutt'altro che pericolose o allarmanti. In verità sono più un'istigazione all'apatia che alla ribellione. I sentimenti sono spesso ermetici, astratti e perfino codardi in ciò che non dicono. Un verso di Morrissey che recita «fammi mettere le mani sulle tue ghiandole mammarie» è davvero più scabroso di un jingle radiofonico di Tony Blackburn che lo vede «tirar fuori i suoi trenta centimetri»? Direi di no: è una miscela di elementi innocenti, imbarazzanti e comici. È anche una bella rima. O spesso si tratta semplicemente del vecchio trucco di Dylan: mantieni vaghe le canzoni “spinte” e sempre più gente crederà che li stai prendendo di mira. Ma l'arma più minacciosa di Morrissey è nascosta tra le pieghe dei testi: la sua ostinata, provinciale ossessione per Manchester. Le sue languide descrizioni di Rusholme, Whalley Range e la Manchester che nelle sue rime sembra sempre avere “tanto di cui rispondere”, sono impressioni esplicite dello squallore e dello sfacelo industriale settentrionale che mostra qualche aspetto in più del mondo rispetto alle opere profumate dei vari Wham!, Duran Duran, Madonna e Prince. E per quanto riguarda la musica di Johnny Marr, neanche questa è nulla di clamorosamente originale… e forse è un aspetto del suo fascino. Per essere appena ventenne, Marr certamente mostra di saper maneggiare con perizia un ampio ventaglio di tecniche chitarristiche: sequenze acustiche eteree e semi-classiche, brani elettrici squillanti e pungenti, accordi bloccati puliti e taglienti che spesso si distanziano dal cantato. Nel migliore dei casi, si tratta di un buon vecchio garage con venature country, con una strizzatina d' occhio ai soliti grandi della chitar87
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«L’industria discografica è piena di odio e gelosia. Tutti quelli che ne fanno parte sono bassisti mancati. Tutti quanti vogliono salire sul palco: non importa che cosa fanno, vogliono tutti stare al posto tuo. Ma il solo fatto che tu sia lì e nessuno possa cacciarti è la loro arma definitiva. Grondano gelosia, acidità e rancore.» Vendetta per non essere stati invitati a partecipare, forse? Un modo per rifarsi, con autentico stile ostentato e meschino da rockstar, per quello che altri hanno detto in precedenza di lui? Morrissey afferma che alcune persone chiamate in causa hanno pubblicamente ammesso un'assoluta avversione nei suoi confronti. Compreso Geldof, ovviamente. «L’ha detto alla radio l'altro ieri, assolutamente senza motivo. Come se non vedesse l'ora di stroncarmi. Il fatto che Bob Geldof–questo apostolo, questa figura religiosa che va salvando tutta questa gente ai quattro angoli del pianeta–il fatto che possa fare affermazioni del genere nei miei riguardi e sentirsi anche protetto, mi sembra assolutamente ingiusto. Ma non è questo che mi dà fastidio…» Esattamente come il nuovo album mostra Morrissey per nulla disturbato dalle percosse ai bambini, dalla strage degli animali o dalla famiglia reale. Ma ormai è partito, è un fiume in piena. Scegliete un argomento, e vedrete Morrissey arrotolarvi attorno una lingua secca…
«Per come la vedo io, i soldi spesi per la famiglia reale sono soldi bruciati. Non ho mai conosciuto nessuno che sostenga la famiglia reale, e credimi, ne ho anche cercati. D'accordo, magari a Hartlepool ci sarà qualche vecchio pensionato sordo che ha appiccicato le foto del Principe Edoardo pure sulla tavoletta del cesso, ma conosco una marea di gente che non vede l'ora di sbarazzarsi dei reali. «È comunque una falsa devozione. La trovo fascista e molto, molto crudele. Per me c'è qualcosa di drammaticamente abietto in una persona che può mettersi un abito da seimila sterline quando nello stesso momento c'è gente che non può permettersi di mangiare. Quando indossa quell'abito da seimila sterline, il messaggio che manda alla nazione è: “Noi siamo la famiglia reale che può permettersi tutto, e voi i contadini piagnucolosi”. L’idea stessa che qualcuno si possa interessare ai dettagli di quell'abito è decisamente offensiva nei confronti del genere umano.» 88
moltissimo all'interpretazione di (Marie’s The Name Of) His Latest Flame, composizione di Doc Pomus e Mort Shuman, incisa da Elvis Presley nel 1961. Ma ha comunque un sound formidabile.
Simon Garfield
ra. Uno dei nuovi brani dell'album, Rusholme Ruffians, per esempio, assomiglia
Strano, allora, che Morrissey e Marr sembrino spesso due uomini disperati che si aggrappano saldamente al loro prezioso brevetto, affidandosi a quell'ingrediente magico che solo in rari casi rende così speciale il rock. «Devi tenerti saldo e non rinunciare mai a portare avanti il tuo discorso» spiega Morrissey «perché c'è tanta gente in questo ambiente che cerca di farti lo sgambetto e buttarti giù, coglierti in fallo e sputtanarti.
Chiedo a Morrissey di uno di quei versi sull'album che apparentemente recita: «Mi piacerebbe calarmi i calzoni davanti alla Regina… / I poveri e i bisognosi sono egoisti e avidi ai suoi occhi». «Provo solo disprezzo per la famiglia reale. Da sempre. È una assurdità da favoletta»–e tutto questo nella decadenza del Britannia Hotel–«l'idea stessa della loro esistenza in questi tempi in cui c'è gente che muore quotidianamente perché non ha abbastanza soldi per accendere il riscaldamento in casa, per me è immorale.
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This charming man (un uomo affascinante)
«Il presupposto era quello di salvare la popolazione etiope, ma a chi chiedevano di salvarli? A una tredicenne di Wigan! Gente come la Thatcher e la famiglia reale potrebbero risolvere i problemi dell'Etiopia in dieci secondi. Ma Band Aid si guarda bene dal dirlo: per amor del cielo, si rivolgeva quasi direttamente a gente disoccupata.» Come conseguenza di questa sua schiettezza, Morrissey ha l'impressione di aver portato alla luce un profondo pregiudizio controgli Smiths, una trama dell'industria contro l'indipendenza. Sostiene che i suoi dischi sono stati ignorati «da ogni singolo canale d'informazione esistente». A dire il vero, sbaglia di grosso: ogni singolo canale d'informazione esistente ha cercato smaniosamente di accaparrarsi la musica della band, almeno come mezzo per arrivare al loro impudente leader. Anzi, attualmente sta rifiutando richieste di interviste a palate. Morrissey, al contrario, attualmente è straripante di magnanimità, gentilezza e comprensione. È passata un'ora, ed è ancora in pieno fervore. Spera che il futuro prossimo riservi un libro di articoli giornalistici scritti di suo pugno: ha già intervistato Pat Phoenix e ha dei progetti su Viv “Spendi spendi spendi” Nicholson (la star sulla copertina di uno dei primi singoli degli Smiths). «Ho tante domande da fare» spiega «e tante persone a cui vorrei porle, specialmente al buio.»
«Non voglio essere ricordato come lo scemo del villaggio, stupido, vanesio e insulso. Però voglio essere ricordato. Voglio un briciolo di immortalità. Credo che sia meritata. Me la sono guadagnata.» Davvero? In due anni? «Oh sì! Oh sì! In due giorni! In due giorni!»
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zione radicale, quella in cui il cantante dice le cose come stanno facendo nomi e cognomi. Ce ne sono pochi come lui–vengono in mente Billy Bragg e i Redskins– ma il progetto Band Aid, a suo giudizio, non rientrava certamente tra questi.
Simon Garfield
In poche parole, Morrissey appartiene alla vecchia scuola della contesta-
Morrissey sa che gli Smiths saranno qui ancora per molto. «Non siamo una moda, anzi, non so nemmeno cosa significhi, “moda”. È molto semplice: prima che arrivassimo noi non c'era sfogo per le emozioni, non ci si poteva strappare la giacca e saltare sulla testa di qualcuno.» E se gli Smiths si sciogliessero domani, il modesto Morrissey ritiene già di aver fatto abbastanza per i libri di storia. «Non m'importa come sarò ricordato, purché siano ricordi preziosi.
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MR SMITH: TUTTO FUMO E NIENTE ARROSTO? di Dylan Jones i-D, Ottobre 1987
O
h, quanto adorano detestare Steven Patrick Morrissey. Da quando gli Smiths hanno trovato una miniera d'oro nel 1983, la critica ha rimproverato a Morrissey di essere un deprimente “esteta propugnatore della castità”, che si crogiola della propria disordinata malinconia. Ma per quanto la critica disprezzasse questa persona apparentemente scontrosa, Morrissey è diventato un portavoce popolare dei disillusi del lassismo imperversante del pop moderno. Gli Smiths, dal canto loro, hanno prodotto parte della migliore musica rock degli anni ottanta, sedici singoli e sei lp degni delle opere ambientate nelle case popolari di Manchester: dalle ballate sdolcinate all'implacabile frastuono moderno, fino al music-hall psichedelico e al raro, semplice pop. Il loro nuovo lp, Strangeways, Here We Come è in uscita questo mese. Ovviamente il successo degli Smiths è sempre dipeso dall'abrasiva collaborazione tra Morrissey e Johnny Marr. Negli ultimi cinque anni sono stati elevati al rango di altre grandi accoppiate: Jagger e Richards, Laurei e Hardy, Whiskey e Soda, Morrissey e Marr: Morrissey nella parte del bibliotecario, Marr la groupie del rock'n'roll. Da poco tempo, quel rapporto è stato troncato. Johnny Marr ha lasciato ufficialmente il gruppo alla fine di luglio, a causa delle leggendarie “divergenze musicali”. Sia Morrissey che Marr dicono che la separazione sia avvenuta in modo amichevole, ma questo sembra improbabile: pare che Marr avesse formato una propria band nell'ottobre 1986 e fosse già pronto per un concerto di lancio al Marquee finché Morrissey non lo ha convinto a ritornare sui suoi passi. Fonti vicine al gruppo sostengono che Marr abbia già inciso un lp d'esordio, ben avviato a diventare il nuovo Eddie Van Halen. Circolano strane voci su
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Morrissey e la sua vita in cameretta da film di serie B: pare che condivida part-time la stessa guardia del corpo (un certo Jim) del Primo ministro irlandese; c'è chi dice che non sia casto come vuole far credere, e che abbia un “amico” piuttosto conosciuto; altri dicono che sia ossessionato dalla madre. Potrebbe anche darsi, ma di certo non ha molto tempo da dedicare al padre: quando gli Smiths hanno visto crescere la loro fama al di fuori dei circuiti locali, nel 1984, il papà di Morrissey (un alcolizzato nullafacente, secondo alcuni amici di famiglia) invadeva spesso il palco ai loro concerti insieme ai fan più infervorati; Morrissey ha dovuto chiedergli di restare a casa. Altre storie probabilmente verranno presto alla luce visto che almeno cinque persone strettamente legate alla band stanno già tentando di vendere i loro racconti. Non si sa se gli Smiths saranno in grado di resistere o meno alla perdita di Marr; ma nonostante tutto, Morrissey rimane uno dei migliori parolieri in circolazione. Avrà forse un atteggiamento infelice da vecchia zia bisbetica, e sarà pieno di leziosa presunzione, ma ha l'arguzia e la saggezza di un autentico artista di varietà britannico. Come Pete Shelley ai tempi dei Buzzcocks, Mozzer ha la capacità di iniettare un'ampia dose di ironia in gran parte di ciò che scrive. Strano a dirsi, si rifiuta di riconoscere il valore di Prince, eppure ucciderebbe per riuscire a scrivere un brano straordinario come lf I Was Your Girlfriend. I suoi pari? Dunque, l'unico altro personaggio dello spettacolo che professa di praticare e apprezzare le stesse abitudini sessuali di Morrissey (astinenza totale) è Kenneth Williams.
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Mr Smith: Tutto fumo e niente arrosto?
Non ascolti gli artisti della Rough Trade? «Santo cielo, no! Non voglio neanche sentirne parlare.»
Com'è cambiato il tuo atteggiamento nei confronti di Londra? Adesso abiti a Chelsea… «All'inizio avevo le tipiche idee sul Sud, e vedevo Londra come un territorio nemico. Ma una volta stato qui per un lungo periodo di tempo tutti quei miti sono stati sfatati. Ho ancora una sana ossessione per Manchester, ma è difficile sentirsi parte della vita quotidiana perché non ci sono muri…» Dove vai, quando esci? 94
«Sì, in passato sicuramente. Non saprei proprio dire se lo sia anche oggi, ma la storia della musica britannica non ha rivali. Negli anni settanta l'America a malapena esisteva dal punto di vista musicale: era una cosa abominevole. Negli anni
Dylan Jones
In generale, credi che la musica britannica sia meglio di qualsiasi altra?
sessanta era passabile, ma questo si doveva soprattutto a Elvis Presley. Ci sarà sicuramente un motivo se ancora oggi, per un artista che incide a livello internazionale, è importante riscuotere successo in Gran Bretagna. È una questione di gusto: si sa che gli inglesi hanno più gusto…» Che dischi hai comprato nell’ultimo anno? «Non molti, ma qualcuno sì: i Primitives, i Christians, gli A-ha [lo pronuncia Ah-haaaaaaaaaaaaa]… pop commerciale, per lo più. Niente d'importazione o cose del genere. Non ho mai una buona impressione dei parolieri moderni, lo so che sembra incredibile, ma è vero.» Che cosa ne pensi di Prince? È molto più sensuale di te… «È freddo e impersonale… ma sensuale? Non lo so, non mi pare… Sul piano dei testi non lo trovo poi così interessante. Neanche i suoi ritmi sono granché. Ma non mi dispiace, lo trovo molto divertente, arrogante e provocatorio. A conti fatti, però, è l-e-g-g-e-r-m-e-n-t-e sopravvalutato.» Molti dicono la stessa cosa a proposito degli Smiths… «Lo so, ma non è vero!» L'anno scorso è apparso un articolo su un giornale musicale che apparentemente ti accusava di razzismo. Sei rimasto molto turbato all'epoca, ma col senno di poi in fondo stavi dicendo soltanto che non ti interessava particolarmente la musica dance. Niente di speciale, insomma… «Non credo che le mie opinioni fossero particolarmente eccentriche. Dopo quell'articolo mi ha telefonato e mi ha scritto un sacco di gente, dicendo: «Finalmente qualcuno lo dice: siamo stanchi di questa roba…». Ma i giornalisti mi hanno fatto sembrare categorico, e non si tratta certo di una crociata. Ma non ho mai accettato del tutto la musica dance. Non sono mai andato in discoteca, non ho mai ballato, o cose simili. Andavo ai concerti, andavo a vedere dei gruppi dal vivo. Però possiedo anche dei dischi di persone che si dà il caso siano neri. È successo!»
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Mr Smith: Tutto fumo e niente arrosto?
«Non esco mai in pubblico. Non vado mai nei club o cose del genere. Ogni tanto mi aggiro per Sloane Square e vado a fare compere, ma niente di più. Mi piace Kings Road perché ha una piacevole atmosfera da passerella. Non viaggio in lungo e in largo e di certo non frequento locali alla moda. Però mi piace osservare la gente su Kings Road, tutti quelli che hanno una perfetta simmetria… quelli con i vestiti che gli vanno a pennello. Sono piuttosto invidioso… tutta questa gente con un'aria così elegante e precisa, mi ispira. Mi piacciono soprattutto le scarpe. Solo di rado si vede gente talmente astratta da sembrare assurda.» Immagino che non usi più i mezzi pubblici… «Ogni tanto prendo il treno, perché sono costretto, ma sono quattro anni che non salgo su un autobus. Non mi mancano.» Come si rilassa Morrissey? C'è qualcosa che fa subito appena arriva a casa? (Inarca un sopracciglio e fa un sorriso d'intesa…) «Dunque, la tv sicuramente aiuta a rilassarmi; non mentalmente, nel senso che non guardo Terry and June, ma mi fa scaricare la tensione. Però ho un'immensa collezione di videocassette. Tutte pre-1970, generalmente film inglesi degli anni cinquanta e sessanta. Mi piacciono tutti i film della serie Carry On, le prime commedie all’inglese.» Che cosa riassume la Gran Bretagna, per te? «Mi piace molto il lato piuttosto oscuro della Gran Bretagna. La pioggia, la nebbia e la campagna, il quartiere dei teatri di Londra. Non mi piace nulla di particolarmente progredito. Avere un televisore e un videoregistratore è completamente in contraddizione con questi sentimenti, ma non si può mica avere un videoregistratore antiquato, dico bene?»
«Detesto cose tipo McDonalds: al mondo dei fast food preferisco quello delle sale da tè e dei misteriosi chioschetti di fish and chips. Purtroppo è difficile trovare vecchie sale da tè interessanti a Londra, ma ne ho scovata qualcuna dove posso sedermi senza sentirmi intimorito.» Che cosa ci fai con i soldi? È evidente che non li spendi… «Li metto in banca, ho un conto con la Halifax. Sono una persona tremendamente umile… non ho uno yacht, per intenderci. Ho una macchina–una Consul del 1961– ma non so guidarla. È in garage in attesa del giorno magico in cui imparerò a guidare... che ovviamente non succederà mai perché non riesco a cimentarmi con il codice della strada.» Immagino che non viaggi molto, quando non sei costretto… «No, non faccio mai vacanze. Non mi va di andare in altri paesi, per essere sincero… Capita molto di rado.» Hai mai preso la tintarella? «Sì! Sì, l'ho presa sul serio. Di recente sono stato a Los Angeles e mi sono abbronzato, ma non sono riuscito a riportarla in Gran Bretagna. Mi hanno fermato alla dogana: di fatto non è consentito passare la dogana con l'abbronzatura.»
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Dylan Jones Ma tu vivi costantemente nel passato. «Be', è più economico, costava tutto di meno a quei tempi! In certa misura penso di sì, però è soltanto una questione di gusti. Semplicemente, trovo che le cose sepolte nel passato siano molto più interessanti di quello che c'è in giro oggi.
Da alcuni critici gli Smiths sono considerati il gruppo inglese per eccellenza, mentre altri ritengono che sia tutto studiato a tavolino così come i primi singoli degli Who erano fatti apposta per dare l'impressione della Swinging London Mod. «Mi piace l'idea che gli Smiths siano considerati un gruppo britannico in tutto per tutto, ma del resto è una cosa naturale. Non era una merce supplementare, non lo è mai stata. Inoltre, quell'affermazione implicitamente sottintende che non avrai successo in altre parti del mondo, che nel nostro caso non è poi così lontano dalla 97
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Il tuo atteggiamento nei confronti del sesso è cambiato? Ti sei rilassato? A un certo punto eri molto nervoso sull’argomento… «Bah, in realtà non ho mai avuto un atteggiamento nei confronti del sesso. Non è mai stato il mio forte… Non ho avuto molto tempo per coltivare un atteggiamento. No, è sempre stato un esito alquanto scontato. Non ho mai la sensazione di dare delle risposte completamente soddisfacenti ai giornalisti, ed è per questo che continuano ancora a farmi domande, ma sono sconcertato dal motivo per cui vogliono sapere. Non ho mai voluto fondare un nuovo movimento, non ho mai voluto sventolare la bandiera della castità. Non ho mai voluto andare alla Camera dei Comuni e fare pressioni, per esempio. [La presa di posizione a favore della castità] è venuta fuori per caso, e adesso è diventata una bandiera logora. Mi hanno interrogato ripetutamente al riguardo, e la dichiarazione che faccio è che non ho niente a che fare con questo. A dirti la verità non penso al sesso così spesso, perciò non capisco perché dovrei diventare il portavoce di chi non lo fa così spesso!» Quante cose hai fatto di cui ti vergogni? «Nessuna… proprio niente. Lo dico con un certo rammarico, perché suppongo che l'aver fatto cose che ti fanno star male per l'imbarazzo sia una misura di aver vissuto davvero una vita quasi entusiasmante. Ma non io. Tutto quello che ho fatto è sempre stato assolutamente lecito.» Quand'è stata l’ultima volta che hai provato un autentico amore travolgente? «Praticamente mai. No, non mi sono mai trovato in quella situazione.» Ma davvero? Non l'hai mai desiderato? I tuoi testi lasciano intendere di sì. «Sì, l'ho desiderato. Ma nella realtà non capita mai. Per pensare, l'isolamento è un male necessario. Devo stare da solo. Non riesco proprio a sopportare la compagnia degli altri per troppo tempo. È terribile, ma non posso proprio condividere. A volte avverto la necessità di un coinvolgimento fisico, che però, potrei aggiungere, non accade mai. Adesso è tutto così complicato che spesso mi domando se capiterà mai. Non credo, se proprio devo dirla tutta. Insomma, non molti arrivano a ventotto anni nella mia condizione.» Quando hai perso la verginità? «Questo non me l'hanno mai chiesto. A dire il vero all'inizio dell' adolescenza, a dodici o tredici anni. Ma è stato un episodio isolato, un evento fortuito. Dopodiché è iniziato il declino. Non ho alcun ricordo piacevole di sorta.» Hai mai desiderato una vita più stabile e normale? «Sì, ma ovviamente come puoi desumere ci sono alcuni grandi ostacoli che a quanto pare non riesco proprio a superare. Sembra che non riesca a spingermi oltre l'amicizia con quasi tutti. E per la maggior parte neanche ce la faccio. Ho soltanto un paio di amici, che conosco da dieci anni. In genere non faccio amicizia con le persone, non è una cosa che premedito, né una cosa su cui insisto… viene spontanea.»
co. Siamo innegabilmente britannici.»
Dylan Jones
verità. Però mi piace molto l'idea di essere un fenomeno esclusivamente britanni-
Sarai preoccupatissimo ora che Johnny Marr ha deciso di lasciare il gruppo. Legati a vita? «Fino a un certo punto sono turbato ed è piuttosto straziante, ma in realtà mi ci devo rassegnare. Di certo non mollerò, assolutamente. Mi spiace. Tanto la maggior parte di quello che provavo per gli Smiths veniva comunque da me, e non può essere toccato, diciamo, da arrivi e partenze. Era una cosa che covava da tempo, e anche se molti non se n'erano accorti, io sicuramente sì. In realtà non è stato un gran colpo… e nemmeno una grande sorpresa…» Ma è metà del gruppo creativo della band! «Lo so, ed è doloroso, ma non è assolutamente il funerale degli Smiths.» Avrai sicuramente pensato a una carriera solista, sì? 99
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Mr Smith: Tutto fumo e niente arrosto?
adesso è arrivata l'occasione! No, ho ancora molto da fare e tanto contro cui lottare. Ma la carriera solista è qualcosa a cui sto pensando.» Quando si passa alla carriera solista, ci si aspetta un album dance o un
Dylan Jones
«Ci sto meditando. So benissimo che qualcuno vorrebbe seppellirmi… e
disco religioso… «Penso che farò una combinazione dei due.» Potresti fare un disco alla Freddie Mercury. «Magari. Ma non credo di avere così talento… Mi piacerebbe fare un disco molto tranquillo, magari solo con chitarre, voce e pianoforte: un disco molto delicato, molto meditato. Ma la voglia di fare canzoni brevissime, fragorose e chiassose è solo l-e-g-g-e-r-m-e-n-t-e più forte.» Non hai mai studiato musica, vero? «Non ho mai studiato musica perché ho sempre voluto conservare un approccio da appassionato. È un'ingenuità che conservo tuttora. Non ho mai voluto approfondire la tecnica… Ma scrivo testi di continuo. Scrivo tutto il giorno, butto giù appunti su centinaia di taccuini e ho degli scatoloni pieni di pezzi di carta da usare.» Quindi non credi che ci sarà una riconciliazione con Johnny? «A giudicare da quello che ha dichiarato alla stampa da quando se n'è andato, no. Sarei stato ben felice di continuare, ma… per quello che posso giudicare, sembra altamente improbabile. È avanti, avanti avanti…» Hai dichiarato che non ti piace suonare dal vivo. Sembri estremamente impacciato sul palco… «Non mi piace viaggiare e tutta la trafila che bisogna fare. Non mi piace essere tirato, spinto e trascinato di qua e di là… Lo trovo molto scombussolante. In genere mi piace stare sul palco, ma tutto quello che precede quell'ora e mezza è molto logorante. Quando canto sul palco scivolo quasi in una modalità di pensiero totalmente separata: non perché sia una persona diversa, ma è quasi come se diventassi davvero me stesso. Molti dicono che quando sono sul palco si trasformano in un'altra persona… una sorta di finzione. Ma per me non è così. Forse sul palco mi trasformo nel vero Morrissey, nel vero me stesso, la persona autentica… e quando scendo in realtà trovo piuttosto utile recitare… lontano dal palco. Stare sul palco è come trovarsi in una tormenta, come stare in una strana galleria.» È lo spettacolo! «Non so se c'entri lo spettacolo. Quando parli di spettacolo mi vengono in mente cose come il Sabato sera al London Palladium…Non si tratta solo di quello. Non voglio citare la parola “missione” perché sembra un t-a-n-t-i-n-o e-s-a-g-e-r-a-t-a, 101
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per il pubblico è una grande valvola di sfogo, e i concerti degli Smiths spesso e volentieri sono dei raduni piuttosto eloquenti, che danno la possibilità di uscire fuori da uno stile di vita malsano.»
Dylan Jones
ma senz'altro è qualcosa che va al di là dello spettacolo. Vedere i gruppi dal vivo
Si dà sempre per scontato che il tipico fan degli Smith sia un adolescente deperito barricato nella sua cameretta a scrivere poesie cariche d'angoscia («A scrivere versi terrificanti a una ragazza dai denti di coniglio in Lussemburgo»), ma i tuoi concerti sembrano popolati da combriccole di giovanotti imbottiti di birra. «Ebbene sì, sono persone molto sane. Non sono pazienti da ospedale… sanno comportarsi benissimo fisicamente! Quest'immagine del tipico fanatico degli Smiths rappresentato come un giovane musone e semiparalizzato è l-e-g-g-e-r-m-e-nt-e esagerata… non è per niente vero. I concerti degli Smiths sono molto violenti, in realtà: c'è perfino gente che si rompe le gambe e la schiena. Se il pubblico fosse un' accozzaglia di babbei deperiti tutto questo non succederebbe. Sono eventi palesemente espressivi. Ne sono molto felice… Non voglio che la gente se ne stia seduta a gambe incrociate, mezza appisolata. Quando ho visto David Bowie nel 1972 e nel 1973 non c'era traccia dell'isteria di questi tempi, anche se Ziggy Stardust e Aladdin Sane andavano fortissimo. Non impazziva nessuno, ed è una cosa che trovo molto difficile da comprendere. Ci s'immagina che gente come Bowie e Bryan Ferry fosse venerata ciecamente, ma io non ricordo niente del genere. Mi ricordo dei concerti dei Roxy Music con gli spettatori seduti per terra. Oggi invece quelle manifestazioni di affetto pazzesco capitano quasi a tutti. I concerti sono più sfrenati, più forti, più disperati di quanto siano mai stati prima. A quei tempi ogni manifestazione di isteria era organizzata… oggi la follia è una cosa naturale. Anche se devo dire che l'unico motivo per cui si va a vedere David Bowie oggi è quello di poter morire dicendo di aver visto “David Bowie: la leggenda”, non perché si apprezzano i suoi ultimi dischi.» Parlami del nuovo lp, Strangeways Here We Come. Ha dei grandi momenti, ma non è propriamente un'innovazione radicale, no? «Ah ah! Detto con molta gentilezza. Hai ragione, non è un'innovazione radicale: è meglio, ma non è un'innovazione radicale. Non è clamorosamente illuminante…» Presti molta attenzione alle critiche che vengono rivolte a te e alla band? «Quando sono sciocche e deprimenti, sono molto noiose. Ma quando vengono da persone intelligenti, mi preoccuppo… Posso capire che il mondo degli Smiths non piaccia a tutti: questo è abbastanza chiaro, non sono così ottuso. Ma non ho mai letto nulla che abbia fatto venir voglia di cambiare.» 103
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Molti di quelli che non ti apprezzano ti detestano perché pensano che sia tutta una grossa finzione: un ruolo falsamente modesto che ti sei cucito addosso. Devo ammettere il mio scetticismo. «Lo so. Non posso proprio biasimarti, ma a dire il vero c'è ben poco che possa fare al riguardo, eccetto andare a trovare tutti uno per uno nelle loro abitazioni e passare un fine settimana con loro. Non mi vengono in mente altri rimedi.»
Devi startene per conto tuo… «Devo stare da solo. Ho ancora soltanto due amici veri, e li conosco entrambi da quando avevo diciassette anni. Stare negli Smiths e l'intera esperienza non ha cambiato praticamente niente. Sinceramente, non ho rapporti sociali. Faccio una vita molto isolata. Parlo con i giornalisti e appaio sulle riviste, ogni tanto faccio un disco, ma per il resto ho uno stile di vita molto poco spettacolare. È un aspetto molto particolare da maneggiare. Sono una persona profondamente riservata, eppure nelle interviste non traspare perché parlo così spesso e in modo così personale. Forse dovrei ritirarmi, sparire e diventare una specie di uomo dietro le quinte.» Che altro potresti fare? «Niente. Sono completamente privo di talento… è successo tutto per caso: sono uscito dall'ascensore sbagliato.» E se domani finisse tutto? «Sparirei silenziosamente in un villaggio del Devonshire, in un posto cupo, verde e tranquillo. L’unica ardente ambizione che mi è rimasta è scrivere opere teatrali… ma non accadrà per un po'. Lo farò, ma al momento questa cosa mi avvolge come un sudario.» Ti ringrazio molto, siamo alla fine. «In più di un senso…»
Dylan Jones Sarai preoccupato di diventare un cliché… «Veramente no, perché anche se non mi pare di star per fare clamorosi mutamenti improvvisi, ho intenzione di restare sempre me stesso, per quanto triste possa essere. Non credo che potrei mai cambiare volutamente, anche per paura di diventare ripetitivo. E se non cambio, e va tutto a rotoli, così sia. Non potrei mai essere una popstar confezionata su misura, assolutamente no, mai e poi mai.»
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WILDE CHILD di Paul Morley Blitz, Aprile 1988
N
on potrei provare altro che volgare ammirazione per Morrissey. Il suo talento è mirabile e perverso quanto basta per farmelo considerare un vero grande scrittore. Non mi infastidisce nemmeno quando è all'apice dell'affettazione. Se Horses di Patti Smith è il mio album preferito, This Charming Man è il mio singolo preferito. Non è che quei dischi mi abbiano impedito di diventare un assassino, o cose del genere, ma in qualche modo hanno significato qualcosa per me. Morrissey inoltre mi fa ridere, come se la sua vita fosse la rappresentazione scenica di una sua commedia violenta, stranamente divertito all'idea stessa della felicità umana. Sono molto toccato da questa trasformazione da perdente assoluto a scaltro playboy della frustrazione. Chiudendosi in se stesso, è venuto fuori da un mondo impaurito, fatto di casette, stradine e vite piccine. Patti Smith e i T.Rex gli hanno messo a soqquadro la mente. Quando il mondo esterno lo ha bollato come uno stravagante mentre sbandava pericolosamente sulla superficie della vita, lui ha reagito creando i suoi piccoli mondi. Mondi di straniamento, inventati con tanta intensità da costituire per lui un particolare insieme di regole, disposizioni e sogni. Gli altri diventavano semplicemente voci attraverso una nuvola. Stava con la gente, eppure era lontanissimo, profondamente deluso dal modo in cui parevano tollerare la loro squallida condizione. Quando scrive canzoni sulla propria inadeguatezza, su una mente messa continuamente sotto pressione dall'esperienza, canzoni che potrebbero comicamente diagnosticare la tragedia inglese, non posso fare a meno di capire il suo punto di vista. Ha resistito fieramente alla tendenza del moderno mondo commerciale a trattare le persone come oggetti e, forse perché cresciuto in quelle strade in quel periodo particolare, raggelato dall'impotenza, la sua scrittura ha il senso del male. Sordide sfacciate e dignitose, le sue canzoni sono state molto importanti per me. Come vedete, Morrissey eccita tutto ciò che di cupo, nostalgico e ansioso è in me. Però sono piuttosto perplesso da quello che tutti gli altri vedono nella sua opera: come a me sembra personale, da molti viene facilmente interpretata come malinconica e intollerabilmente sfinita. Nel momento in cui la musica pop è la minigonna di Carol Decker e un giro di basso dei Pet Shop Boys, il successo e l'adulazione di Morrissey, uno scrittore impegnato a denunciare la stupidità umana, che si presenta,
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a volte in modo dozzinale è davvero straordinario. È come se il fantasma del quattordicenne sdegnosamente rinchiuso nel magico isolamento della sua stanzetta, rimpinzando l'immaginazione sulle glorie impossibili delle star predilette, stia ossessionando e dileggiando il pallido e decadente sistema del pop. Accennando un sorriso tra i rumorosi ingranaggi della macchina, i devastanti motivi del profitto, librandosi tra avvocati e commercialisti, giocando a fare l’uomo di strepitoso successo con il carisma di un ladruncolo, Morrissey come sempre è quello eccentrico a tutti i costi, si lamenta direttamente delle mode del tempo, apparentemente sembra idiota e primitivo, eppure… è la musica pop come il quattordicenne Morrissey voleva che fosse, da sempre, senza risorse. Si è imposto di esserlo con la volontà. Morrissey sta facendo un'ultima risata piuttosto sinistra a nome di chi ha amato, di chi è stato rifiutato, ignorato e massacrato. Non è affatto drastico o pomposo come sembra. È semplicemente… interessante, per chi potrebbe ancora interessarsi, per chi ha sempre saputo. Qualcuno può ritenere comodamente che le classifiche pop siano tutto ciò che debba esistere. Per Morrissey, ci dev'essere sempre di più. Odia talmente il mondo, che per lui è prezioso. E per Morrissey, il mondo era la musica pop.
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Wild Child
La prima domanda, quando finalmente ci siamo incontrati, è stata assolutamente semplice e ovvia. Mentre la ponevo, ho provato una gioia enorme. Se genio significa avvertire un'ispirazione o un impeto di idee provenienti da fonti apparentemente sovrannaturali, o un desiderio ardente e smodato di compiere un determinato scopo, non è pericolosamente vicino alle voci sentite dai malati di mente, alle loro tendenze suicide, alle loro monomanie? La risposta naturalmente è stata molto esauriente. «Dio mio… Non possiamo discutere della rinascita del glam rock?» Ricordo chi e che cosa eri una volta. Sembravi lo scemo del villaggio, quello eccentrico a tutti i costi, un ragazzo ritardato. «Non sarebbe dovuto succedere, vero?» E cosa è successo? «Qualsiasi cosa fosse, è stato uno sbaglio.» Uno sbaglio per il divertente solitario, ossessivo, sognante alieno di Manchester, riuscire a esprimere con tale capacità i sentimenti della vita, e la vita dei sentimenti. E così popolare, poi! «II triste solitario ossessivo… No, ovviamente non è stato uno sbaglio, in quanto tale. Forse era addirittura destino. Ma è difficile descrivere quanto fossi di mentalità ristretta. Specie quando avevo ventuno, ventidue, ventitré anni… Ero completamente solo. La sola idea di diventare quello che sono diventato era impensabile. A volte trovavo la vita insopportabile. È dura quando le persone proprio non ti piacciono. (ridacchia) Si dovrebbe fondare un sindacato per proteggerci… Ero un adolescente molto profondo, a dir poco…» Che cosa intendi per “profondo”? «Sai benissimo che cosa significa. Vuoi solo una frase da mettere a caratteri cubitali all'inizio dell'intervista. Be', per me profondo significava non accettare niente, che fossero le classifiche pop o le basi della vita. Significava che ero perennemente tormentato, credo.» Non ti esortavano a reagire? «Sì, ma contava assai poco. Ero in una condizione particolare, tutto qui. Prendevo molto sul serio cose insignificanti e forse prendevo le cose serie… sul serio anche quelle.»
Quando finalmente ci incontriamo, Morrissey è come ho sempre voluto immaginarlo: un'assurda miscela tra l'abbastanza ordinario e il deliziosamente ostentato. Per uno che confessa ripetutamente di avere un tumulto interiore cronico di questo tipo, sembra molto calmo, in un certo senso addirittura beato di sé. «Dunque» esordisce mentre ci stringiamo la mano «l'ultima volta che ci siamo visti ruzzavamo insieme tutti nudi all'asilo nido…» Forse ha ragione. Quando ci incontriamo da adulti, la seconda domanda che sono destinato a porgli è assolutamente inevitabile. L'odio è un sentimento naturale? «C'è gente simpaticissima. C'è gente atletica. C'è gente odiosa… Dipende da quello che hai nel sangue.» Dai la colpa a qualcuno o a qualcosa per il fatto di essere vivo? «Assolutamente no. Ma non vorrei infliggerlo a nessun altro… Non riesco a capire l'idea di avere dei figli. Anche se capitasse l'opportunità, rifiuterei categoricamente. No, non do la colpa a nessuno per avermi messo al mondo, ma sono convinto che la vita sia eccessivamente sopravvalutata.»
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Paul Morley E poi che cosa è successo? Come hai fatto a passare da scemo del villaggio a capobanda? «Ho iniziato a fare dischi.»
Perché ti sta così a cuore la musica pop? «La risposta probabilmente è più semplice di quanto immaginiamo entrambi. Se rimani piuttosto isolato al suo interno, tendi a sparare a zero contro l'industria discografica. Se ti fai tanti amici e vieni invitato a un sacco di feste, magari non ti va di pensare a tutta quell'idiozia, magari ti piace pure, e allora tendi a non essere 109
Wild Child
L’idealismo è una follia? «Be', è questione di gusti, questo è certo… Sono convinto che la qualità della vita cambierà perché c'è chi non si accontenta.» Ti preoccupi in modo totalmente egoista, o per il beneficio collettivo? 110
succede. Di cosa ti preoccupi? «Lo sappiamo, perché ci preoccupiamo. Io mi preoccupo perché ho sempre ama-
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così ipercritico. Mi sento isolato perfino adesso, e quindi non sopporto quello che
to appassionatamente la musica pop. Anche se ogni giorno che passa la musica pop diventa sempre più ripugnante, la sua storia effettiva diventa sempre più importante. Non mi piace vederla invasa, calpestata… Per me significava tanto.» Perché dopo Patti Smith, Television, Roxy Music, New York Dolls, Joy Division, Brian Eno, David Byrne, Morrissey… la musica pop si trova in uno stato simile? C'è qualcosa che non ha funzionato. Nessuno è d’accordo con noi! «Sì, qualcosa non ha funzionato. Per quanto mi riguarda, però, era assolutamente importante e mi ha toccato sia nella mente che nel fisico. Dopo aver sentito Horses non ero più la stessa persona, e non lo dico alla leggera. Ovviamente non è normale pensare che questo tipo di musica sia quella più importante, i Velvet Underground, eccetera, ma per me era così e questo è tutto ciò che conta davvero, in quanto tale. Non cambio certo idea se gli altri non sono d'accordo con me, in linea di massima. È successo qualcosa di orrendo, sì. Non riesco proprio a spiegarlo, se non dicendo un'ovvietà: è stata infiltrata da idioti. Sono molto infastidito perché non c'è abbastanza odio nel pop, non c'è abbastanza rabbia. Se ci sono segni di intelligenza, si stancano presto e abbandonano la lotta. Non vengono incoraggiati come si deve. Immagino che ormai la musica pop sia in mano a gente sciatta e indifferente che non ha mai avuto la fantasia di individuare o desiderare la vera natura del pop e capire perché potrebbe essere così speciale. Comandano le persone sbagliate, per quanto mi riguarda. Avvocati e commercialisti sono diventati troppo importanti. Non si incoraggiano le cose buone e quelle sbagliate non vengono biasimate a sufficienza.» Sei solo uno difficile da accontentare, una critica naturale della vita e dei viventi? «Mi hanno sempre incuriosito scrittori, cantanti e giornalisti che avevano opinioni e posizioni apparentemente impopolari, ma che conseguivano un certo status esattamente per il loro scontento nei confronti del mondo. Non vedo niente di male nell'essere difficile da accontentare. Ha un suo decoro, è il minimo che dovremmo pretendere. Sono dell'avviso che le opinioni di chi non si accontenta sianoquelle che contano davvero. Sono pronti alla scoperta e al cambiamento.»
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«Penso sempre che essere egoisti sia una cosa positiva. Non è affatto negativa, è molto utile. Chi non è egoista e non ha cura di sé ha sempre un aspetto tremendo. Ho sempre pensato che l'egoismo fosse il primo passo verso la maturità.»
Cosa c'è di così speciale? «Dimmelo tu.»
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perché gli ottimisti, che hanno assunto il controllo, scrivono male?
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Credi sul serio che la musica pop sia attualmente così vuota e superficiale «La parola esatta è “con monotonia”, non male. Magari scrivono anche bene, ma essenzialmente è ripetitiva, banale e noiosa. Quando ti accorgi dell'intensità della vita diventi immediatamente più… eccitante. Se quell'intensità sia davvero possibile all'interno della musica leggera, be', verrebbe da pensare di no. Ma ho sempre pensato di sì. E alla fine non capisco le persone che non sono serie come me…» Probabilmente non vogliono deprimersi. «Ma sappiamo che non è vero… sono inclini a deprimersi e far deprimere altri, ma non vogliono ammetterlo. La serietà per me è normale. Mi viene molto naturale. Fare dei semplici dischi dance non è mai stato lo scopo. Per me sarebbe completamente futile. Devo fare dei dischi che trascendano la presunta importanza del pop.» È una presunzione ridicola? «Può darsi. Un altro modo di guardarla è dire che sia totalmente coraggiosa.» Quindi stai dicendo che la decisione di fare quello che fai, date le circostanze, è eroica? «Sì. Molto eroica. Molto solitaria. Mi guardano sempre di traverso e dicono: «Allora, vuoi davvero fare così? Non ti va di fare così?… Ma dici sul serio?». Ma in un certo senso ho anche la capacità di ridere di me stesso, anche se tra chi mi considera troppo elaborato questo apparentemente è deplorevole. Ho sempre dovuto ridere di me stesso. Se non avessi trovato la mia condizione sociale da adolescente così divertente, mi sarei strangolato. Trovo addirittura incredibile che ce la stia facendo.» E che cosa fai? «Non me la cavo male con le parole.» Dici sul serio? «Mi pare di vedere la serietà in ogni cosa. Perfino nella musica pop. Dicono che non c'entri niente, che non si tratti di questo… Ma noi siamo qui. Eccomi. Devo essere davvero eccezionale!» Le mie ragioni potrebbero essere troppo spensierate. «Mi interessava introdurre nel pop un nuovo linguaggio, usando certe parole che mi sembravano assolutamente rivoluzionarie, e all'interno degli Smiths credevo
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Perché ti piaceva sentirti strano? «Non so perché mi piacesse essere strano nel senso che intendi… Mi sentivo strano perché non ero mai impressionato dalle cose semplici che sembravano piacere agli altri.» E così ti sei innamorato delle immagini. «Non era colpa mia se le immagini mi attiravano più delle persone. Avevo un sacco di gente intorno… Sono andato a scuola, per un breve periodo ho anche lavorato, le persone le vedevo. Abitavo in un quartiere di case popolari densamente popolato. C'era gente da tutte le parti. Ma nessuno si preoccupava di aprire una breccia in quel muro enorme che c'era tra di noi. Sì, ero egoista. Ma ero anche, e tale rimango, quel tipo di persona che non molti vorrebbero conoscere. È difficile da credere!» Sei stato costretto a costruire una realtà tutta tua? «Sì. C'è voluto tanto. Ma cosa ancora più importante, credo che quando non si goda di molte simpatie, quali che siano le ragioni, si tenda a sviluppare delle forme di sopravvivenza. Una sopravvivenza che esclude gli amici, che esclude le attività sociali. In un certo senso, è così che ho organizzato la vita. Se non riesci a impressionare gli altri semplicemente facendo parte della grande e inutile razza umana, allora devi per forza sviluppare altre capacità. E se non impressioni gli altri con l'aspetto che hai, allora devi assolutamente sviluppare altre capacità. E se adesso hai intenzione di chiedermi se tutto quello che ho fatto è solo un modo per guadagnare una qualche attenzione, ti rispondo che non è del tutto vero. In piccola parte sì, ma è nella natura stessa della vita.» Voler essere amato? «Essere visto, soprattutto. Volevo farmi notare, e il modo in cui vivevo e vivo tuttora è disperatamente nevrotico proprio per questo motivo. Tutti gli uomini hanno bisogno di una certa attenzione. C'è chi la ottiene al momento giusto; quando si ha tredici o quattordici anni, si viene amati nelle fasi giuste. Se questo non accade, se non c'è l'amore, puoi facilmente spegnerti. Poteva capitare benissimo anche a me. Diverse volte sono stato vicino a spegnermi. Non mi dà grande sollievo parlarne. Non ho voglia di rivivere quelle esperienze. Ma ci sono arrivato vicino. In un certo senso ho sempre ho avuto la sensazione che le inquietudini adolescenziali fossero una cosa normale. Non ero sicuro di essere clamorosamente unico. Conoscevo anche altri che all'epoca erano disperati e pensavano al suicidio. Disprezzavano la vita e detestavano tutti gli esseri viventi. In un certo senso quello mi faceva sentire un po' più tranquillo. Perché pensavo, be', forse non sono così emotivo dopo tutto. Ovviamente, lo ero. Disprezzavo praticamente tutto della vita umana, che limita le proprie attività al fine settimana.» Che altro c'era? «Niente. Libri. Televisione. Dischi. Nel complesso, un immenso squallore.» Il ricordo di quegli anni è stato annientato? «No, affatto. Ricordo tutto per filo e per segno, mi sembra di ricordarlo tutte le notti e riprovare quel disagio. Era una cosa orribile. Tutta l'esperienza scolastica, una scuola di avviamento professionale a Stretford chiamata St Mary's. Il suo orrore non si potrà mai esagerare. Ogni santo giorno era un incubo. Da qualsiasi punto di vista si possa immaginare. Peggio… l'odio assoluto. La paura e l'angoscia di svegliarsi, di doversi vestire, farsi tutta la strada a piedi, entrare in classe, fare lezione… Sono sicuro che a scuola siano quasi tutti molto depressi. Io sembravo più depresso di chiunque altro. Lo notavo di più.» Dimmi, sei mai andato da uno psichiatra? «Ah… veramente no. Ne ho visti due. Ma se ne stanno lì seduti, annuiscono col capo e fanno disegnini. Forse se mi curassero, per così dire, affronterei amabilmente e a 114
cheggiatore”, “maldicente”, perfino «suedehead», siano reperibili nella musica pop. Se si considera la realtà delle classifiche, mi pare raro e straordinario trovare un qualche linguaggio nuovo… e forse sono unico perché gli altri sono così spen-
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di esservi riuscito. Sono ancora molto orgoglioso che parole come “coma”, “tac-
ti. Sai, tutte queste domande e risposte sembrano solo mettere in risalto quanto sono strano. (risatina)»
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occhi chiusi ogni situazione, e non credo che sarei veramente io. Forse l'infelicità continua a farmi andare avanti.» Che cosa ti infastidisce di più, di te? «Praticamente tutto. Rimpiango di non essere in grado di star dritto. Tendo a infilarmi nelle stanze e sedermi sulla sedia dietro la porta.» Non sarà semplicemente grossolana autocommiserazione? «No, per niente. È la risposta a tutto quello. Non è così semplice.» E allora, dopo tutto questo, com'è arrivata la “grande chiamata”? «La grande chiamata… bella questa. In un certo senso, è sempre stata lì. Ma arrivato a ventuno, ventidue, ventitré anni, pensavo che fosse impossibile. Non capivo come potesse essere nella musica pop. Tanto per cominciare ero paralizzato. Non riuscivo a muovermi. Non riuscivo a immaginare di ballare, e credevo che il movimento fosse quasi tutto il senso di quel rituale assurdo. Riuscivo appena appena immaginare di cantare, ma anche allora non sapevo proprio fare con il microfono e con l'asta. Però avevo questa strana vocazione mistica. Non c'è bisogno di ridere! Ancora una volta, siccome ero così sensibile all'idea di togliersi la vita, immaginavo che fosse quella la mia vocazione, il suicidio, nulla di più spettacolare o interessante. Ero convinto che chi alla fine si toglieva la vita non avesse maturato la consapevolezza di quella scelta solo nelle ultime ore o settimane della propria vita. Ne era sempre stato cosciente. Si era rassegnato al suicidio molti anni prima di compierlo effettivamente. In un certo senso anch'io, sì.»
Problemi che a quanto pare gradisci abbastanza. «Non è vero! Ma perché insistono a dire che setaccio il mondo e la vita cercando ostinatamente atrocità con cui punirmi?»
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Paul Morley Che cosa ti ha fermato? «Ho fatto dei dischi. Ho avuto l'opportunità di fare dischi, e miracolosamente ha funzionato tutto.» Quindi essere Morrissey ti ha salvato la vita? «È stata una fortuna e un fardello. Mi ha salvato e mi ha catapultato in una serie di problemi completamente nuovi.»
Dai sempre l'impressione di trarre piacere dall'ansia. «È sempre stato un piacere molto limitato. Era sempre questione di ritirarsi nella propria stanzetta, trovare la macchina da scrivere e ascoltare musica pop sentendo più di quanto ci fosse davvero. Il punto è che avevo sempre accarezzato l'idea di fare dischi e proprio nel momento in cui sembrava che le porte si chiudessero e io pensavo sempre meno alla possibilità di farcela, mi è capitata l'occasione. All'improvviso si sono aperte delle strade e le ho seguite.» Che aspettative avevi? «Sentivo che sarei stato totalmente accettato o universalmente disprezzato. In un certo senso, si sono verificate entrambe le cose. spesso penso che mi prendano alla leggera in maniera insultante, oppure sul serio in modo imbarazzante, ossessivo, nevrotico. Ero ossessionato dalla fama e non vedevo nessuno nel cinema o nella musica del passato che mi assomigliasse. Perciò era piuttosto diverso vedere una nicchia di qualche genere. Così quando ho iniziato a fare dischi ho pensato, be', invece di adottare le solite pose, dovrei essere più spontaneo possibile, il che ovviamente non era per niente spontaneo. Per me il fatto stesso di fare 117
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Mi sembra un'affermazione abbastanza ingrata. «Certo. È difficile lamentarsi quando ti approvano… ma io ci riesco. Quando mi criticano, li capisco. Quando mi attaccano annuisco e sorrido più di quando ricevo recensioni meravigliosamente positive. Non è detto che sia utile che ci sia gente così impaziente di darti recensioni a cinque stelle e non capisce la cosa più importante. C'è stata gente in passato che non poteva soffrirmi, e trovo che il loro punto di vista sia assolutamente interessante. Non è molto utile avere qualcuno seduto accanto che annuisce tutto il tempo… magari gli dai di proposito una pessima idea, e loro continuano ad annuire, gli rovesci addosso l'immagine che hanno di te, e loro continuano ancora ad annuire.
Se non avesse funzionato, adesso saresti morto? «Sarei sicuramente in terapia intensiva.»
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di essere. Innaturale. In un certo senso era la mia forma di ribellione, perché la ribellione in sé era diventata quasi una tradizione, sicuramente dopo il punk. Non volevo seguire passo passo quelle forme consolidate di apparenza e ribel-
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dischi era completamente innaturale, perciò veramente era quello l'unico modo
lione. Nel momento in cui ho cominciato a fare dischi avevo ventitré anni, ero un ventitreenne vecchio e pensieroso, e sapevo che volevo fare certe cose. Ero molto determinato. E considerando i risultati che ho ottenuto, mi ritengo molto sottovalutato, tendenzialmente.» Ritieni di aver fatto qualcosa di costruttivo? «Le persone possono adulare ed essere solidali, ma questo non significa che capiscano. Raramente si congratulano con te come vorresti. A volte ho la sensazione che ciò che faccio potrebbe andare e venire senza che nessuno ci faccia caso.»
«Però sì, credo che mi sia dovuto qualche altro onore. Ho fatto cose che la maggior parte della gente, se le avesse fatte, avrebbe ridotto notevolmente il proprio pubblico. Ho giocato contro la tradizionale simpatia del pubblico. E questo mi ha ispirato quando ho iniziato, perché non mi veniva in mente nessuno che mi assomigliasse anche lontanamente.» È staro facile? «Il successo non è mai facile. Poteva andare decisamente peggio. Tutto ha preso forma con il quarto singolo.» Senti il potere di leader del gruppo, a capo di queste persone garbate e odiose? «Sì… Non sento il bisogno di uscire e stringere la mano a tutti, radunare tutti quanti, ma capisco cosa intendi. Mi piace pensare che si possano fare dischi e avere un enorme successo, eppure rimanere lo stesso essenzialmente riservati. Sarebbe molto piacevole. Forse esercito davvero una certa influenza. Tanti giovani sono molto soli e magari ascoltando i miei dischi si sentiranno meno soli. E forse ce ne sono tanti che si sentono come mi sentivo io, disperati, incapaci, ma bisognosi di fare qualcosa. Mi piacerebbe pensare che un mio disco possa dar loro l'impressione che se ce la posso fare io, ce la possono fare anche loro.» 119
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Che effetto ha la tua musica sui fan? «Be', indossano cappotti pesanti e contemplano lampadine rotte. Per me è sempre stato così!» Che cosa blatera oggi Morrissey? Quando finalmente ci incontriamo, sta facendo seduto in una suite dello splendido e imponente Hyde Park Hotel. Sta dedicando un po' di tempo alle interviste per promuovere il suo nuovo disco solista, e racconta a un assortito caravanserraglio di giornalisti che le autentiche verità sono quelle che si possono inventare. I giornalisti sono seduti difronte a lui, metà in soggezione, metà sbigottiti, e tentano di inquadrarlo, di capirlo, di fargli ammettere che anche lui è un uomo, che in fin dei conti anche lui, come tutti, è coinvolto nella caccia al denaro, camuffando la sua avidità dietro un'analisi isterica.
Quando finalmente ci incontriamo, c'è una terza domanda che devo proprio porre. Non sono molto aggraziato quando glielo chiedo, e Morrissey dolcemente mi osserva balbettare, assecondandomi per quel che vale. Hai sofferto per amore della conoscenza? «Ma ribadisco, per me non si tratta semplicemente di conoscenza in quanto tale. Se così fosse, attraverserei la vita con il sorriso sulle labbra. Possiedo una conoscenza inesplicabile. In senso scolastico sono senza speranza. Sul serio. Non ho fatto neanche gli esami di maturità. È un sapere perverso. Una visione strana. »
E naturalmente, è risoluto e categorico ogni volta che i giornalisti iniziano a preoccuparsi del suo sofferto preziosismo, temendo che forse Morrissey pensi un po' troppo. «No, non faccio il prezioso. E non credo sia possibile pensare troppo.»
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un cliché? «Oh sì. Si è ampliato ben oltre quello. All'inizio ero sconcertato quando scrivevano che le mie canzoni erano adolescenziali. Avevo ventiquattro, venticinque
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Che tu attiri soltanto una valanga di adolescenti disorientati è solamente
anni, perciò non erano adolescenziali, erano qualcosa di completamente nuovo, qualcosa che non era mai stato espresso prima. Non erano adolescenziali. Non era così semplice.»
E lui, con santa pazienza, accenna un sospiro, soffoca una risatina angosciata e risponde: «Nel contesto del pop c'è effettivamente spazio per un grande individualismo. Scrivendo le canzoni che scrivo io, potrei capire qualcosa in più di me stesso.»
Sorride piacevolmente quando si rende conto che gli sto chiedendo di spiegare con precisione che cosa intende per “visione strana”. «Sì, bisogna spiegarlo con molta cura, ma d'altronde non lo capisco neanch'io. Posso spiegarlo soltanto dicendo che è lì tramite la mia esistenza, la mia scrittura, le canzoni e i dischi.»
È il suo mondo, e non si può toccarlo. Se qualcuno chiede perché, se è perennemente infelice, non si uccide e la fa finita, la risposta è ben collaudata: «Be', ci sono cose da fare… per esempio, scrivere le canzoni di Viva Hate.» Viva Hate è la prima opera post-Smiths. Solo chi è ottusamente schizzinoso si domanderà se ci potrà essere o meno differenza tra il lavoro di gruppo e le canzoni soliste. Come in tutte le canzoni di Morrissey, ci sono modi per essere coinvolti, c'è molto da investigare. Per un motivo o per l'altro, probabilmente sarà 121
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Morrissey sa certamente come divertirsi durante un’intervista. «Spesso passo davanti a uno specchio–confida, divertito dall'attenzione che attira–getto una rapida occhiata e non mi riconosco proprio. Puoi guardare uno specchio e domandarti: dove ho già visto quella persona? E poi ti ricordi. Al funerale di un vicino, ed era la salma.»
Di cosa parla oggi Morrissey, viziato, iperdiffidente, divertito? Mentre brontola continuamente e spiega con sicurezza, conservando i veri segreti, c'è sempre l'impressione, lasciata intendere, che stia ridendo sotto i baffi. Morrissey è stato cotruito con cura, come se fosse tutto pianificato in camera da letto. Perciò immagino mi dirai che la frase “la vita è esagerata” non significa niente per te? «Sì. Mi sento sempre intrappolato dalla vita. Quando ho sentito il titolo Fermate il mondo, voglio scendere, ho pensato: perfetto. » Da dove vengono l'angoscia e l'odio? «Come per molte cose, sto ancora cercando di scoprirlo.» Perché riesci a innamorarti così facilmente delle immagini, ma non delle persone? «Sto ancora cercando di scoprirlo.» Che tipo di difficoltà hai con le persone? «Parliamo del lavavetri. Sono ancora nella situazione in cui quando chiama il lavavetri, devo andare in un'altra stanza mentre lui pulisce. È assurdo. In quel momento mi sento un bambino di sei anni con gli occhiali. Quando suona il campanello della porta la mia reazione automatica è sempre quella di nascondermi o scappare, per tranquillizzarmi. Magari vogliono farti fare qualcosa che non ti va, vogliono farti andare dove non vuoi. È una di quelle futili paure ossessive, come quella di prendere l'aereo… che mi crea enormi problemi. Quando sono su un aereo penso sempre che devo essere torturato dalla paura fisica, e solo così arriverò sano e salvo. Sono convinto che se mi rilasso, bevo un whisky, scambio due parole, l'aereo precipiterà. Devo essere nella massima agitazione o l' aereo non ce la farà. Sono fatto così, e sempre sarà (ridacchia). Il brutto è che invecchiando le cose non migliorano affatto. Sembra che le paure si consolidino.» Credi che questi problemi e la natura della tua sessualità si ripercuotano sulla forma e sul significato delle tue canzoni? «Che cosa vorresti dire?» Si fanno molte congetture sulla tua sessualità, ma sembra che abbia molta 122
una grande opera? La risposta è pronta: «Ci si avvicina. Ho delle opinioni molto chiare di cosa devo fare, diciamo così, per esserne all'altezza. Credo che Viva Hate sia un prodotto eccelso, ma non sono
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perfino controverso. È un disco che si può amare facilmente. Morrissey lo ritiene
ancora incline a battere troppo la grancassa per ora. Devo ancora rasentare la perfezione… Quando sarà il momento lo capirò, e sarà assolutamente incantevole influire sulla vita altrui con una forma di perfezione. Sarà come il matrimonio!»
Il primo singolo tratto dall'album, nella settimana in cui ci incontriamo, è entrato in classifica al numero sei, spinto dal grande sostegno della emi. Morrissey è ormai sul ciglio di una melodrammatica supercelebrità. Potremmo anche prenderlo sul serio. La prossima fase sarà la più interessante, il passaggio definitivo dai ciottoli dell'odio alle stelle nel cielo. Ce la farà? Il punto, la pretesa di Morrissey sarà messo in discussione forse per la prima volta. È veramente pronto? Al pensiero, ridacchierà. Pare che non vi possa venire in mente niente a cui non abbia già pensato, niente per cui non abbia una risposta.
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importanza nella tua opera. «Cercano di unire i puntini per trovare una risposta di qualche genere… Può darsi pure che non ci sia una risposta. Devo dire, anche se sembrerà preparato, che mi sono sempre sentito più vicino alla transessualità che ad altro.» Qual è la tua esperienza sessuale ideale? «Non ne ho la minima idea. Perché mi si fanno domande del genere?» Perché te le cerchi tu. Sei l'unico a cui si possono porre sul serio domande simili. «Oh, ma dai.» C'è del sesso in Morrissey? «Assolutamente no. Il che in sé è alquanto sexy.» Che fine ha fatto il sesso? «Non c'è mai stato. Non del tutto, per così dire…» Che cosa è successo? «Niente! Risale al fatto di essere una persona incredibilmente impopolare. Nessuno me lo chiedeva.» Tu l'hai mai chiesto a qualcuno? «Una o due volte. Ragazze e ragazzi. Mandavo dei bigliettini… Dopo un po' mi son detto basta, fine dei bigliettini. Non voglio più saperne niente. In un certo senso, sono vergine. O meglio, in un senso moltocompleto, a dire il vero» (ridacchia). La senti come una perdita? «Tendenzialmente sì, direi. Ma così sia. Forse se ci fosse stato il sesso, non mi sarei messo a scrivere.» Hai avuto fantasie di scopare? «Sì. Ma passano…» Niente sesso. Niente amore. Che razza di persona sei? «Orribile, senza dubbio. La prossima risposta apparirà di nuovo a caratteri cubitali all'inizio dell'intervista. Mi sono sempre sentito superiore al sesso e all'amore.» Un’affermazione forte. «No, è incredibilmente lieve, e tanto stai facendo comunque del sarcasmo. Da un certo punto di vista, credo che tutte queste cose come l'amore, il sesso, condividere la vita con qualcuno, siano veramente molto vaghe. Essere soli con se stessi può essere un'esperienza molto più intensa. Personalmente mi sono sempre sentito ingabbiato dalla sensazione di essere continuamente deluso dagli altri. Sotto un certo aspetto provo delle cose che plausibilmente sono meglio e più importanti delle situazioni sessuali. Voglio dire, il sesso presumibilmente è il punto finale a cui si giunge, non so. Per me non ha importanza. Tutte le emozioni che ho bisogno di esprimere vengono dall'interno, non vengono da altri. Mi sembra di provare dei sentimenti assai più intensi e definiti rispetto a chi esprime un guazzabuglio di emozioni e sopravvive, a malapena, a un mucchio di relazioni. Vedo tutte le situazioni, anche quando non sono coinvolto e non hanno nulla a che fare con me, in modo molto drammatico.» Sei una persona melodrammatica? «Se desideri. Basta così.» E incredibilmente schizzinosa. «Mmmmmmmmmm…» (risatina)
Paul Morley La fama ti mette in apprensione? «Sì. A volte mi sento molto famoso. Questa settimana sono entrato in classifica al sesto posto, ed è una grossa sorpresa. Ammetto che pochissimi hanno ottenuto un successo colossale su scala planetaria rimanendo affascinanti.» È questo che vuoi? «Sì e no. Per certi aspetti credo che essere famosissimi sarebbe pauroso e senza senso. Ne ho visto qualche accenno in America, suonando in posti enormi. Avverti la potenza delle case discografiche che non aspettano altro che lanciarti in una condizione assurda.» 125
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E poi che succederà? «Non mi spaventa. Mi sconcerta. Non so immaginare come vivrò se non sono famoso. Non riesco a immaginare come vivrei se dovessi cominciare un'esistenza normale. Se la fama mi abbandonasse, non riuscire a immaginare di vivere. Ma non mi avvinghierei sgraziatamente alla fama. Se svanisce, così sia…» Che fine faresti? «Non ne ho la minima idea. Ma non mi sento vittima della fama. Ho sempre pensato che ci fosse un motivo per la mia celebrità, per così dire. Non credevo che la mia fama fosse così superficiale da finire al primo sbadiglio di qualcuno. Hanno detto addirittura che i miei dischi non vendevano più. Avrei sempre un profilo molto alto. Mi piacerebbe confidare in quell'osservazione.» Hai mai la sensazione che tutta questa ossessione per Morrissey sia piuttosto ridicola? «Sì, probabilmente, sotto un certo aspetto. Ma d'altronde se ti impegni puoi far sem-
come gli eredi dei Rolling Stones. «Sì, capisco che cosa intendi. Quella fissazione del rock mi sconcertava… sembrava un preparativo per un netto successo planetario, e in un certo senso io sono
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Con gli Smiths è stato sempre quello il rischio, visto che vi proponevano
abbastanza provinciale.» Per certi aspetti, abbastanza gretto. «No, così è crudele. È solo che faccio resistenza a quel tipo di successo planetario che sembra profilarsi all'orizzonte, per ovvi motivi. Non sono cambiato abbastanza per accettarlo. Mi sento molto realizzato con quello che è successo, a modo mio.» Come fai a resistere a quella particolare pressione a soccombere all'inevitabile? «È durissima. Ti annoi sentendoti ripetere sempre le stesse cose in continuazione. Sentire la tua voce che dice no, no, no… Mi sono stancato. Ma tutto sommato mi pare di aver mantenuto molto il controllo.» A volte anche comportandoti in modo piuttosto infantile? «No. Chiudendomi a riccio. Sarebbe molto infantile dire, bene, datemi una spinta e dove atterro canto. Sono stato molto attento e molto prudente.» C'è qualche possibilità che tu consideri l'idea di correre dei rischi veri? «Sto già rischiando parecchio. La fama è un rischio. Non riuscirò a cambiare con la fama, mi turberanno sempre le stesse cose, e questo si intensificherà facendo affermazioni forti e desiderando essere totalmente umano all'interno di tutto questo. Sotto un certo aspetto, sei tenuto a cambiare con la fama, sei tenuto ad adattarti. Io non ci riesco, e questo mi inquieta molto. Quando sei famoso pensi di non doverti preoccupare di cose come l'urgenza della vita, non sei tenuto a esprimere la tua delusione perché la gente non capisce la terribile brevità della vita. Non farò le tipiche cose che sei tenuto a fare quando sei famoso. Per quanto mi sforzi, non può essere così scontato.»
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brare ridicola qualsiasi cosa.» Pensi mai che i problemi della fama siano problemi immaginari con cui tendi ad eccedere? «No, sono problemi molto reali. Assolutamente reali.» Perciò quando i giornali scandalistici scrivono sciocchezze, ti offendi sul serio? «Mi fa male, perché non è vero. Riportano frasi inventate.» Non la prendi troppo sul personale? «Che altro posso fare? Mi fanno passare per una persona molto sciocca e sconsiderata, e questo mi secca, perché non è così e ce ne sono già abbastanza al mondo. Non sono affatto sconsiderato, mi ripeto continuamente.» Ma se sai di non essere sciocco e sconsiderato, che problema c'è? «Be', io me ne faccio una ragione… ma c'è gente che lo legge, e pensa che magari è vero, e questo non mi va. Non bevo per dimenticare. Vorrei che mi rappresentassero in modo più affascinante di quanto sia in effetti, invece che sminuirmi. Quando pubblicano queste frasi inventate, perché non sono favolose?» Non dipende da te. «Appunto, e non mi piace. Potrebbe rovinare tutta la mia opera preparata con tanta cura!» Adesso che finalmente ci siamo incontrati, l’ultima domanda è assolutamente semplice e scontata. Con tutto quello che sei riuscito a controllare, i minimi dettagli, le espressioni afflitte, tutti questi tasselli di un fascino improbabile, ti stai preparando vistosamente a una grandiosa e devastante uscita di scena, ritagliandoti il ruolo di protagonista in una storia drammatica e maledetta che il giovane Morrissey avrebbe assolutamente apprezzato? «Non so proprio cosa intendi!» (risatina)
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DIARIO SEGRETO DI UN UOMO DI MEZZ'ETÀ di Shaun Phillips Sounds, 18 Giugno 1988
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opo aver visto il Messia e i suoi Smiths dare da mangiare a cinquemila persone con una confezione di pancarré e una scatola di sardine, non c'è dubbio che i suoi discepoli siano rimasti lievemente delusi quando da solo è riuscito soltanto a tramutare l'acqua in rosso della casa e non nello champagne che tutti aspettavano. Quando Morrissey ha pubblicato Viva Hate, primo album della sua carriera solista, a marzo, perfino il Padrino della Malinconia ha condiviso la delusione. «Dal punto di vista dei testi non è stato il meglio, ne sono ben consapevole» ammette. «Era un periodo molto particolare per me, il disco è stato fatto all'improvviso, in fretta e furia, e volevo provare a fare qualcosa di diverso.» «Per colpa dello status particolare che ho, con tanta gente che si concentra con precisione quasi scientifica su ogni virgola, sono arrivato al punto di voler essere completamente spontaneo senza scrivere materialmente le parole e memorizzarle. Piuttosto, entrare in sala di incisione e cantare come viene. Ma non credo che ci riproverò... torno alla macchina da scrivere.» Alleggeritosi l'anima, Morrissey scivola a sedere sull'erba non tagliata del parco e scruta il suo pubblico. Nel rumore del furioso traffico del venerdì che aggredisce l'Hyde Park Corner di Londra, un migliaio di segretarie spiaggiate si spogliano audacemente, ignare di tutto tranne che del cancerogeno sole estivo. Morrisey si azzarda a svestirsi fino al maglione a collo altro. Sembra un posto poco adatto a stimolare il protagonista della desolata stazione balneare, il campione della domenica piovosa e silente che arriva e resta per sempre. Una stanza d'albergo umida e impersonale alla fine di un corridoio fetido sarebbe stata senz'altro più appropriata. Ventinove anni appena compiuti, Morrissey si sente già sulla «tremula soglia» dei trenta. Il suo compleanno, naturalmente, è stato un giorno infelice. «Faccio una vita di privazioni. Non esco, non mi ubriaco, non vomito addosso ai poliziotti.» Coltiva solo qualche capello grigio
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e un occhio rosso infiammato, effetto di una lente a contatto ballerina. Gli dà fastidio, ma non giustifica il rischio di una visita correttiva al gabinetto pubblico più vicino. Il suggerimento spontaneo viene accolto con uno sguardo di disappunto. «Credo che l'età personalmente mi faccia sentire un po' meglio, perché la gioventù per me era ribellarsi, essere giovane e sentirsi giovane, cosa che ho sempre detestato. Adesso mi sento meglio, mentre brancolo alla cieca nella mezza età.» La celebrità pop, a quanto pare, non ha bisogno di finire nella delusione schiacciante con la scomparsa dell'acne. E nemmeno lo spirito.
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Diario segreto di un uomo di mezz’età
Come la sua eroina, Maggie Thatcher, Morrissey ogni tanto rende difficile distinguere tra realtà e finzione. Insomma, ma davvero canta: «era una bella scopata» alla fine di Suedehead, il suo primo singolo solista? «No, “era una copia pirata”. Ma insomma, santo cielo, nel mio vocabolario? Per favore…» Sul serio? «Ho mai mentito? » dice ridendo. «Pensano davvero che sia “una bella scopata”? » Io sì. «Ed è così scabroso? » Eh sì. «E va bene, effettivamente era “una bella scopata”.» E c'è stata? «No, pensavo solo che potesse divertire qualcuno che abita a Hartlepool.» Nelle questioni di grave importanza, Morrissey si attiene all'adagio del suo idolo Oscar Wilde: ciò che è vitale è lo stile, non la sincerità.
La sua popolarità deve molto alla sua ammiccante rivoluzione; una settimana schernisce gli spettatori di Top of the Pops con lo slogan “Sposatemi”, quella seguente mima il gesto di sparar loro addosso mentre ballano.
Se George Michael dovesse fare la mia vita per cinque minuti, si strangolerebbe con il primopezzo di corda che gli capita a tiro.» 132
Shaun Phillips Per quanto Morrissey scelga di rispecchiarla con leggerezza, la sua carriera solista non è filata proprio liscia. Se la consistenza della qualità si è interrotta bruscamente dopo l'uscita nel giugno ’85 dell'album The Queen ls Dead e degli eccellenti 45 giri Panic e Ask che l'hanno seguito, il profilo di Morrissey sembra fiorito. Al paragone, la sua carriera solista è decisamente più mite. «Tanta gente è stata ispirata dall'etica della Rough Trade: tentare di lottare e in molti casi vincere, ed era entusiasmante. Ovviamente con la emi tutto questo non esiste.» Può sembrare irrilevante che Morrissey non compri più biancheria intima da M&S, ma riflette come tutto quello che riguarda la sua presentazione sia cambiato. Una volta sulle copertine dei suoi dischi campeggiavano le immagini di vecchie glorie cinematografiche, adesso ci sono ritratti di se stesso, e nell'ultimo singolo uscito, Everyday ls Like Sunday, somiglia a un George Michael sbarbato. È allettante pensare che i suoi giorni in veste di rivoluzionario da monolocale siano pressoché finiti. Morrissey, tuttavia, si sente ancora il Che Guevara del pop. «Se ti concentri bene sulla Top 40 non è che ci siano poi tanti personaggi che colpiscono, perciò è abbastanza facile in quel contesto essere semi-anarchico. Ma non credo neanche per un secondo che mi si consideri davvero completamente attendibile. Penso ancora che potrebbero sospettarmi di dire le cose sbagliate o, meglio, aspettarsi che io dica “la cosa sbagliata”. Ma non mi sento istituzionalizzato, non mi sento neanche lontanamente simile a George Michael o al suo mondo, se è per quello. 133
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destinità con l'uscita dei suoi singoli da solista, dato che nessuno dei due ha incontrato reazioni ostili come alcuni dischi degli Smiths. Handsome Devil (il lato B di Hand In Glove) per qualcuno conteneva allusioni alla pedofilia. Panic era un
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Si potrebbe pensare che la rivoluzione di Morrissey sia entrata nella clan-
attacco razzista; Girlfriend In A Coma era volgare cattivo gusto. Viva Hate invece segue una linea decisamente più incerta. Eppure Morrissey respinge le accuse di essere in cerca di polemiche. «Non c'è nessuna controversia su Viva Hate, per quel che mi risulta, a parte, forse, il titolo. Ma non sono mai stato volutamente controverso. Capita semplicemente che visto il clima e gli standard di scrittura nella musica pop di oggi, se hai un giudizio personale sulle cose che si scrivono sei destinato a essere considerato non controverso ma per lo meno… ho dimenticato la parola… Tesco's !» Se le accuse d i razzismo per Panic erano pretestuose, imperniate sui motivi per cui Morrissey voleva “impiccare il dj“, il testo privo di tatto di Bengali In Platforms, uno dei brani dell'album, si presta a un'interpretazione razzista. «Stavi per dire Bob Geldof In Platforms» ironizza Morrissey, trattando la questione con ben più disprezzo di quanto meriti. Il possibile doppio senso era voluto? «No, assolutamente no. C'è un sacco di gente talmente ossessionata dal razzismo che non si può nemmeno pronunciare la parola “bengalese”; diventa subito una canzone razzista, anche se dici:“bengalese, sposami”. Io comunque non ci vedo nessun razzismo sottinteso.» Nemmeno nel verso «Life is hard enough when you belong here?» («La vita è già abbastanza dura se sei di questo posto?»). «Be', non è così? » Sì, ma questo implica che i bengalesi non siano di questo posto, e non è una visione del mondo particolarmente inclusiva. «Ma in un certo senso è vera. E secondo me può valere per tutti. Se domani andassi in Jugoslavia, probabilmente ti sentiresti fuori luogo.» In ogni caso, Morrissey non fa nessuna ritrattazione per l'ultimo brano dell'album, Margaret On The Guillotine. Originariamente, era il titolo di lavorazione per l'album The Queen ls Dead. Il testo di questa versione abbreviata è stato accantonato perché “non si adattava alle musiche che erano state presentate in quel momento”. Ma non ci sono molti dubbi sulle opinioni del cantante nei confronti della Lady di Ferro. «The kind people / Have a wonderful dream / Margaret on the guillotine… » ( «La 135
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«L’esempio più calzante, immagino, è il Clause 28, l'articolo di legge che vieta agli enti locali di “promuovere intenzionalmente l'omosessualità”. Incarna perfettamente la natura della Thatcher e il suo odio spontaneo.» Si avvicina il momento in cui Oscar Wilde verrà messo al bando? «Temo di sì. Ma protestare secondo me è inutile, perché la gente ha questa errata convinzione che la questione del Clause 28 non c'entri niente con il popolo. Non hanno niente da dire. È sempre la stessa storia che si ripete da quando è iniziato il regno della Thatcher, perciò non vedo il senso di andarsene in giro per Marble Arch con una maglietta rosa a distribuire libri di Andrea Dworkin.» (Andrea Dworkin è una scrittrice femminista che tra le altre cose ha scritto molto sulla natura sessista della Bibbia e su come questo abbia influito sulla società.)
«Seguo la sua carriera» spiega Morrissey. «Ovviamente, trovo che la sindrome da Thatcher sia molto stressante, deleteria e tutto quello che vuoi. Ma credo anche che ci sia ben poco da fare.
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brava gente I Ha un sogno meraviglioso / Margaret alla ghigliottina… »)
E affidare i tuoi sentimenti ai dischi non è altrettanto inutile? «Assolutamente no, perché rimangono lì per sempre.» Ma se il mondo non ascolta oggi, appare altamente improbabile che lo faccia in futuro. Se le profezie di George Orwell in 1984 dovessero materializzarsi, il ministero dell'Informazione cancellerebbe comunque i tuoi dischi. «In un certo senso, questo offre quasi dei titoli per scrivere di più e in tono più forte. Sono convinto che se vivessimo in un ambiente armonioso, tutti sarebbero eccessivamente sovrappeso e ascolterebbero dischi di Vince Hill, perfino tu.» Chiunque abbia vagamente presente la carriera di Bob Geldof, saprà che anche con una pubblicità mondiale gratuita, la scelta solista può essere disastrosa. E dato che gli Smiths hanno avuto un finale deludente con lo scialbo Strangeways, Here We Come, dal quale due ulteriori singoli, I Started Something I Couldn't Finish e Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me non hanno destato particolare segno nelle classifiche, Morrissey temeva che con la sua prima uscita da solista, Suedehead, «avrebbe arrancato un po' tra gli ultratrentenni e poi si sarebbe disintegrato» . Non voleva nemmeno far uscire la canzone come singolo, ma è stato «trascinato da un'ondata di entusiasmo generale». Non era una canzone al livello dei migliori Smiths, ma aveva una bella melodia riflessiva, dimostrando che l'ex coproduttore degli Smiths, Stephen Street, poteva entrare nel ruolo che era stato già di Marr come compositore, e che Vini Reilly (chitarra), Andrew Parisi (batteria) e una sezione d'archi di sei elementi potevano adeguatamente sopperire all'assenza di Marr, Rourke e Joyce. Sostenuto da due pezzi altrettanto ispiratori, I Know Very Well How I Got My Name e Hairdresser On Fire, il disco ha ripagato la fiducia dei colleghi di Morrissey entrando nella Top five mentre nessun singolo degli Smiths era mai arrivato oltre 137
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Farai altre session? «Finché ho due gambe, no… quindi significa che forse ne farò una la prossima settimana!»
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«Pensavo che a questo punto mi avrebbero distrutto» confida Morrissey. «È straordinario che i dischi [sia il singolo sia l'album che l'ha seguito] abbiano avuto successo senza neanche un'apparizione in televisione, un tour, eccetera.»
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la decima posizione.
Uno di questi «eccetera» era una Peel session per Radio One, registrata ma mai andata in onda. «È stata una cosa atroce, orribile» dice Morrissey, riflettendo sul trattamento ricevuto dai tecnici degli studi Maida Vale. «Sono abituati a trattare tutti come se fossero un gruppetto di dilettanti allo sbaraglio. Quel giorno mi sono sentito così, come se non avessi mai visto un disco, figurarsi inciderlo. Sono stati molto sgarbati e non riuscivo a cantare perché ero innervosito e arrabbiato. Mi pare che John Walters abbia accennato qualcosa, ha detto che ero io a non volerlo in onda perché non ero contento dei risultati, ma le cose non stanno affatto così. Sicuramente non era un granché, ma il vero motivo era la situazione che si era creata al Maida Vale. Immagino che un sacco di gruppi emergenti, ingenui e non rodati, subiscano la stessa situazione ma non hanno scelta e fanno buon viso a cattivo gioco. Certo, sicuramente è una buona opportunità, però è una situazione in cui o stringi i denti o te ne vai.»
Verosimile come la voce che Morrissey si esibirà dal vivo all'ica. Eventuali tournée non sono ai primi posti della sua agenda. «In un certo senso non mi sento immediatamente propenso a tentarle tutte. Ero perfetto, e gli Smiths suonavano molto. Quando è finita ero leggermente sazio, ma è bello poter fare un passo indietro senza sparire del tutto.» Quindi hai dei progetti in cantiere? «Neanche uno.» In effetti, gli unici preparativi live di Morrissey sono stati per l'imminente album live degli Smiths in uscita per la Rough Trade. Ha deciso il titolo («Rank, come J. Arthur»), scelto i brani (la scaletta è stata approvata da Johnny Marr) e ha disegnato la copertina con l'eccellente ausilio di Jo Slee e Caryn Gough. Ma non è detto sia l'ultima volta che ascolterete Morrissey cantare una canzone degli Smiths. Dovesse esibirsi di nuovo in futuro, è categorico sul fatto che canterebbe canzoni tratte dal repertorio degli Smiths. «Ero lì quando sono state incise, le parole le ho scritte io. Solo perché il gruppo è finito non significa che all'improvviso tutte quelle sensazioni si dissolvano. È ancora una grossa parte di me, nel 1988.» 139
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Dopodiché ti hanno tenuto alla larga dai pianoforti? «Dopodiché si sono tenuti alla larga da me!»
E le voci di una reunion con Marr? «Girano queste voci? Non lo sento e non so niente di lui da un anno. L’ultima volta che gli Smiths sono stati insieme era il 21 maggio 1962, o chissà quando, cioè un anno fa. Da quel momento tutto tace, come si dice.»
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Morrissey è stata una sorpresa per molti, ma a posteriori il cantante aveva poche alternative. Le capacità musicali di Morrissey iniziano e finiscono con una prestazione al pianoforte suonato con un dito solo in Death Of A Disco Dancer,
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Che Stephen Street componesse le musiche nella carriera post-Smiths di
sull'ultimo lp degli Smiths. «Era la prima volta che il gruppo la suonava insieme, avevamo appena acceso il nastro e non l'abbiamo presa molto sul serio. Mi sono buttato su un pianoforte e ho cominciato a strimpellare. Abbiamo tenuto il nastro perché aveva un certo fascino innominabile.» Non potendo comporre tutto da solo, l'unica alternativa di Morrissey era un demo tape procuratogli da Street. «In quel momento non c'erano altri che proponessero cose e, tutto sommato, quello che aveva fatto Stephan mi piaceva. È successo tutto molto in fretta. Voglio dire, un anno fa di questi tempi l'ultimo album degli Smiths non era neanche lontanamente vicino all'uscita. È stato un anno molto movimentato. Lo so che è molto allettante pensare che in certa misura sto procedendo per inerzia e non suono dal vivo, le solite cose, ma non mi sono mica fermato.» La collaborazione è aperta? «Assolutamente aperta, non siamo i nuovi Smiths o cose del genere. Non esiste un gruppo fisso.» E ti sta bene così? «Mah, sì.» Nessuno ti ha fatto altre proposte? «Bah, no, nessuno.» Le prenderesti in considerazione? «Be', messa così non mi dispiacerebbe.» Hai qualcuno in mente? «George Michael… no. Andrew Ridgeley… I Fairground Attraction!»
In effetti, l'unica persona del passato che ha espresso interesse per le composizioni post-Smiths di Morrissey è Sandie Shaw. La sua collaborazione con Morrissey ha visto la luce nell'aprile ’84, quando la cantante ha prodotto la sua prima hit in quindici anni con una cover del primo singolo degli Smiths, Hand In Glove. 141
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«Ieri sera sono andato a vederla. Mi è sembrata in forma smagliante. Mi piacerebbe tantissimo incontrarla, sfiorarle l'orlo del vestito.»
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«Sì, si intitola Please Help The Cause Against Loneliness e in origine era stata scritta per Viva Hate. Non c'era abbastanza spazio ed è stata congelata. Sandie l'ha presa e l'ha messa nel forno a microonde.»
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L’ultimo acquisto della Shaw apparirà sul suo prossimo album imminente.
Forse non ci sarà una fila di musicisti che implorano di lavorare con Morrissey, ma non c'è dubbio che la sua opera con gli Smiths sia estremamente apprezzata dai colleghi. L’ex bassista degli Smiths Andy Rourke esegue regolarmente sul palco un duetto di The Hand That Rocks The Cradle (tratta dall'album d'esordio degli Smiths) con Sinead O'Connor (anche l'ex batterista degli Smiths, Mike Joyce, fa parte della sua band) e molti altri artisti hanno espresso il loro interesse a reinterpretare canzoni degli Smiths. Ancor più sorprendente, forse, è la voce che Dave Stewart degli Eurythmics voglia reinterpretare Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me. «Dici davvero? » chiede Morrissey, piuttosto sorpreso. «Ricevo diversi nastri da persone che li stanno valutando e resto molto deluso quando non li fanno uscire.» Johnny Marr una volta ha detto che la sua ambizione era vedere qualcuno che portasse una cover degli Smiths al primo posto in classifica. «Eh sì, sarebbe fantastico, a prescindere dal posto in classifica, però sarebbe bello.» Non saresti geloso? «Non sono una persona gelosa. Voglio dire, mi è piaciuta la versione dei Dream Academy di quella vecchia canzone degli Smiths [Please Please Please Let Me Get What I Want]. La disprezzavano tutti ed è arrivata all'ottantunesimo posto, cioè quasi un successo.» Due cover in cantiere che entusiasmano Morrissey sono There ls A Light Tlwt Never Goes Out di Hope Augustus, in uscita per la wea, e You Just Haven't Earned lt Yet, Baby, proposta da Kirsty MacColl per il lato B del suo prossimo singolo. La MacColl, il cui più recente successo è stato un duetto con Shane McGowan nell'hit natalizia dei Pogues Fairytale Of New York, ha già collaborato con Morrissey come corista in Ask e Golden Lights degli Smiths. Ma questo entusiasmo impallidisce di fronte al desiderio di collaborare, o per lo meno incontrare, Shirley Bassey. Chiaramente, Morrissey invidia la statura di Shirley Bassey. «È una posizione a cui non aspiro, ma che apprezzo. Non credo che mi conside143
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Quindi ti piacerebbe fare... «Un paginone centrale tutto nudo? » .
Ne ha fatta una anche Sheena Easton. «E come s'intitola… Solo per… le tue gambe!?» Quindi non sei un grande fan di Sheena Easton? «Al momento no.» Allora seguirai la strada di Shirley Bassey? «Santo cielo, questo significa che dovrei restar vivo per altri ventidue anni. Ma te l'immagini? È un pensiero spaventoso, tutti quegli special natalizi del Morecambe and Wìse Show… No, si può fare in effetti, sono già morti.»
massimo mi considerano un fenomeno Britannico… oltre che un sex symbol.» La colonna sonora di un film di James Bond?
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rino una superstar, una celebrità planetaria, una rockstar o qualcosa di simile. Al
«No, perché mai? Perché l'ha fatta lei? Ah, ho capito.» No, perché l'hanno fatta i Duran Duran. «Sì, in effetti la farei. Mi piacevano Una cascata di diamanti, Goldfinger, cose del genere.»
La carriera solista di Morrissey fino a oggi non sarà ancora sbalorditiva, ma se non altro non ha cercato semplicemente di imitare gli Smiths. Anzi, ha avuto l'audacia di cambiare e adottare stili diversi. Il risultato, Viva Hate, è stato deludente ma aveva dei momenti perfetti, tra cui il nuovo singolo Everyday ls Like Sunday: un netto rifiuto alla sindrome da tormentone stile Summer Holiday di Cliff Richard, con il suo piovigginoso ritornello «Everyday is like Sunday / Everyday is silent and grey». Ma in realtà i segreti del futuro di Morrissey sono custoditi nel lato B. Wìll Never Marry, Sister l'm A Poet e soprattutto Disappointed indicano un punto di svolta nella sua nuova carriera, un ritorno all'eloquenza, alla satira, al disprezzo e allo spirito. I marchi di fabbrica di Morrissey prima che li abbandonasse per l'elegante tranquillità di Viva Hate. Incisi due mesi fa, vedono anche il ritorno del suo vecchio stile di scrittura: le prime canzoni fresche di macchina da scrivere. «Sono le prime tre canzoni che ho buttato giù con soddisfazione. Probabilmente è brutto ammetterlo, ma ero arrivato a un punto in cui non volevo più lasciarmi coinvolgere dalle emozioni. Volevo una scrittura semplice, e per altri versi volevo quasi che il resto prendesse il sopravvento. Ma non è andata così, nell'accoglienza che ha avuto il disco. Tanta gente che ha comprato Viva Hate e comprava i dischi degli Smiths addirittura si studiava per giorni il foglio dei testi prima di mettere il disco. Perciò mi trovo in una posizione esclusiva, ma che momentaneamente cominciava a soffocarmi leggermente.» A rendere così importanti quei lati B è anche un cambiamento nella musica di Street. Sono brani molto più completi, e si arrischiano a impiegare strumenti 145
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Morrissey rifiuta l'idea che Street abbia tenuto da parte questi pezzi più vigorosi nel timore di vedersi crocifiggere dalla critica per l' eccessiva somiglianza con Marr. A suo parere, le nuove composizioni sono un «evoluzione di Viva Hate»
Shaun Phillips
che si potrebbero ricollegare a Johnny Marr.
e «assolutamente stupende». Nega anche che il cambio di atmosfere sia legato alla propria influenza, o che sia una decisione consapevole di Street per fare qualcosa di più aggressivo. Ma ha dato a Morrissey una nuova fiducia in se stesso. «Sì, mi sento un po' più felice con un sound frenetico e frammentato.» Ironia della sorte, Disappointed riassume perfettamente il nuovo mood. La chitarra riverberata di Vini Reilly echeggia lo stile di Marr in How Soon ls Now? e accentua il calcio in faccia di Morrissey a tutti quelli che avrebbero voluto vederlo bruciare, con l'apparecchio acustico e tutto il resto. «Questa è l'ultima canzone che canterò No, ho cambiato di nuovo idea Buonanotte e grazie…» Tipico di Morrissey. Proprio quando pensavi che ormai fosse destinato a sparire, quando credevi che l'onnipotente fosse impotente, l'impertinente colpisce ancora.
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TATTO E DELICATEZZA di Mat Snow Q, Dicembre 1989
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er uno che a suo tempo faceva spuntare un mazzo di fiori dalla tasca posteriore, si avvolgeva in ampie camicette da donna di Evans Outsize, attorcigliava fili di collanine di plastica luccicante attorno al collo e, ovviamente, sfoggiava un apparecchio acustico vistosamente grande, antiquato e del tutto superfluo, l'icona che chiamano Morrissey sembra così lievemente innervosita quando gli si chiede del suo ultimo contributo al mondo della moda e della cura personale. «Aah, la domanda è talmente semplice che è difficile rispondere: perché ti depilavi le ascelle? Lo trovo molto affascinante. L’ho fatto per parecchio tempo, per tutta la carriera degli Smiths e ancora lo faccio di tanto in tanto. Non mi ricordo com'è iniziata. Non credo ci siano grandi motivi mistici. È una cosa naturale» dice ridendo l'eccentrico hitmaker mancuniano, a disagio. «Sicuramente lo farai anche tu, no?» Non posso dire di sì. «Allora non sai che ti perdi, ah ah!» E qual è il motivo? «Solo un'estrema bellezza fisica, ovviamente. Sicuramente questo lo capisci» dice sulle spine, giocherellando con i lacci delle scarpe. «È la prima volta che qualcuno me lo chiede e sono molto imbarazzato. Non è per dire qualcosa, o perfino prendersi troppo sul serio e cercare di proiettare un'affascinante immagine pop. È solo un capriccio curioso. Mi stupisce che sia di qualche vago interesse… Ha un non so che di stranamente rasserenante, una dolcezza.» Allora ti piace la sensazione di radersi? «No, la odio. Ma non c'è giorno in cui non mi rada. Ho cominciato a tredici anni. Abbastanza piccolo, no? E non ho un'ombra da cinque del pomeriggio, ma da due.» «Però non mi sono mai depilato le gambe…» Nel febbraio del 1988 il singolo di Morrissey Suedehead è stata la prima uscita su etichetta hmv della emi dopo I Wouldn’t Go Back To The World I Never Knew di Joyce Grenfell vent'anni prima. A marzo gli ha fatto seguito il suo primo lp solista, Viva Hate, e un cammeo in South, uno spin-off di Brookside. Da allora, gli avvistamenti dell'uomo soprannominato Mozzer sono stati pochissimi. L’unica parentesi live è stato un concerto gratuito pochi giorni prima di Nata-
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le lo scorso anno, nella Civic Hall di Wolverhampton, dove l'unica condizione di accesso era che si indossasse una T-shirt con il volto di Morrissey stampato sopra: sono entrati in 1700, ma altri duemila sono stati mandati via tra scene di lieve pandemonio. Quanto ai dischi, i singoli non tratti dall'lp, lnteresting Drug e The Last Of The Famous lnternational Playboys, sono stati presi al volo dai fan come bollettini su dove sia attualmente la testa di Morrissey. Mentre lui ha mantenuto negli ultimi diciotto mesi un insolito silenzio, si sono diffuse le voci più disparate. Quel che sappiamo è che dopo un'astiosa separazione dal suo collaboratore musicale Stephen Street, adesso Morrissey sta incidendo con Clive Langer e Alan Winstanley, più noti per aver prodotto i Madness e l'album Punch The Clock di Elvis Costello. I primi frutti di questa collaborazione sono il nuovo singolo Ouija Board, Ouija Board, e il lato B, una cover di East West, in origine degli Herman's Hermits, il fenomeno pop di Manchester degli anni sessanta. Dopo aver oscillato tra Londra e Manchester dalla prima ondata di successo degli Smiths alla fine dell'83, Morrissey è tornato nella sua città natale, almeno per il momento, tra le sue radici.
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Tatto e delicatezza
«Nel 1984 ho avuto un'esperienza. Ho abitato per qualche tempo in un appartamento in affitto e c'era senz'altro una presenza. Una mia amica, una medium, è venuta a trovarmi, e senza che le dicessi niente, appena entrata è caduta immediatamente in uno stato di semi-trance, si è messa a girare per ogni angolo della casa, poi si è fermata davanti alla porta del gabinetto e ha detto: «È qui». Guarda caso, ogni volta che uscivo dal gabinetto, anche se tenevo sempre i riscaldamenti altissimi, provavo una forte sensazione di freddo. «Ho scoperto che nell'appartamento era morto qualcuno–la solita storia–ma non avvertivo alcuna ostilità. In realtà era tranquillizzante, nel senso che non avvertivo nessuna sensazione di pericolo o di orrore. Era quel tipo di sensazione che hai quando un essere umano entra nella stanza. «Qualche volta, con degli amici, ho provato anche a stabilire un contatto, per così dire, ma non è mai successo niente; la pressione sul bicchiere è venuta sempre dallo stesso dito indice.
Hai mai cercato conforto nella religione? «In nessuna circostanza. Sono un cattolico non praticante sul serio. È stato alla solita età, dieci, undici, dodici anni, dopo che mi hanno costretto ad andare in chiesa senza mai capire il perché. Non mi è mai piaciuto, vedevo tanti lati negativi, e mi sono reso conto che per un motivo o per l'altro non faceva per me. Riesco ad avere fede soltanto nelle cose che vedo. Non potrei mai convertirmi al buddhismo.»
Corre anche voce che guidi una Golf GTi bianca. «Effettivamente ne possiedo una, ma di solito la guidano altri. So guidare, ma non ho la patente: non ho mai fatto gli esami. Ma anziché noleggiare macchine in ogni 150
«Ho sempre avuto un interesse per l'occulto, ma non è un interesse inesauribile, solo passeggero.
Mat Snow
Ouija Board, Ouija Board indica forse un interesse per l'occulto?
«Ho provato a infondere un po' di umorismo nel disco. Lo so che non traspare granché, ma lo trovo divertente. «La canzone parla essenzialmente di me, tanto per cambiare, che perdo la fede nell'umanità e penso quasi di rivolgermi all'aldilà in cerca di comunione e amicizia.»
Il nuovo singolo segna la tua prima collaborazione con Langer e Winstanley. Perché proprio loro? «Ero un grande fan dei Madness anni fa, ed è per questo che li conoscevo. Mi piaceva molto soprattutto quel loro senso di divertimento perverso. I dischi non li ho mai considerati la solita solfa pop. Mi piaceva molto la loro peculiarità. Qualcuno dice «da varietà», che tutto sommato è abbastanza vero.» Corre voce che il tuo primo collaboratore in assoluto sia stato Billy Duffy, adesso chitarrista dei Cult. «Sì, per due settimane nel 1979. L’ho conosciuto e abbiamo scritto qualche canzone, poi lui è entrato nella sezione ritmica di quelli che erano stati i Nosebleeds, di cui Vini Reilly era stato per un breve periodo il chitarrista. Comunque sì, Billy Duffy è stata la prima persona con cui ho scritto delle canzoni, e di fatto è stato lui a spingere Johnny Marr nella mia direzione, e questo è stato molto carino da parte sua. Qualche anno fa però ha fatto dei commenti molto negativi sugli Smiths, e trovo difficile perdonarlo.»
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occasione, mi risulta molto più semplice assumere una persona che sa guidare, e mi sposto così.» Hai uno staff personale? «No, non ho neanche un manager. Non ho nessuno che lavora per me. Ogni tanto però ho un amico che pago per un certo periodo quando devo fare qualcosa, e lui mi fa da autista.» È un lavoro a tempo pieno essere Morrissey in modo professionale? «Sì, perché se non sono impegnato nella realizzazione di un disco vero e proprio, ci sono tante altre cose da fare. Devo vedere una marea di avvocati: ci sono continue cause in tribunale. Attualmente, siamo in giudizio con Mike Joyce, il batterista degli Smiths, e c'è una causa aperta con Craig Gannon, che ha collaborato con gli Smiths per un periodo. Tutti e due pretendono, come al solito, percentuali e via dicendo. Mike Joyce chiede il venticinque per cento di tutti i guadagni degli Smiths. Parlarne adesso sarebbe leggermente spiacevole. Ma in piccolo è sempre accaduto. C'è sempre un tour manager che salta fuori all'improvviso chiedendo di più, c'è sempre qualcuno che dice di averti fatto da manager e pretende di più. Credo sia ordinaria amministrazione. Tutte le società degli Smiths sono sciolte, ma fanno causa a me come individuo, in quanto ex direttore. Ogni giorno ricevo lettere dagli avvocati, miei o di altri. È veramente deprimente, ma farsi vedere a lamentarsene, per il pubblico, credo non sia necessario. Non credo vogliano saperne. Certe persone potrebbero guardare la mia vita e dire: «Ma come fai a lamentarti se pensi a quello che eri una volta?». Da un certo punto di vista è vero anche quello, eppure non rende più facile avere a che fare con quel continuo fuoco di fila di lettere offensive. Ma non ricordo un periodo della mia carriera in cui non ci sia stato qualcosa, qualcuno che fosse riuscito a procurarsi un sostegno legale e avesse deciso di starti addosso per toglierti fino all'ultimo centesimo, e pare che capiti sempre più spesso.»
Mat Snow Il tuo tempo e le tue energie devono essere messe a dura prova. «Non so dove trovo la forza d'animo per affrontare queste cose, e di conseguenza, per quanto riguarda l'aspetto pubblico, negli ultimi due anni le mie attività sono alquanto rallentate. Ho dovuto spendere tante energie in altri ambiti. Con gli Smiths avevo la grande necessità di supervisionare tutto il possibile, fisicamente e mentalmente, e la mia vita è continuata su quella strada. È una situazione che non posso soffrire e vorrei trovare un insieme di persone con cui poter lavorare, che siano miei amici, ma anche molto forti e in grado di affrontare certe situazioni e stare con me tutto il tempo. Sarebbe più facile fare di più. Ma non riesco a trovare gente così, il che potrà anche sembrarti vagamente assurdo. O ti ritrovi con il manager che vuole il novantanove per cento dei tuoi guadagni e ti vede soltanto nell'ottica di guadagnare e lavorare quanto più possibile, cosa che disprezzo con tutto me stesso, oppure fai come me, cioè tratti direttamente con un avvocato e un commercialista.» Reinterpretare una canzone degli Herman's Hermit è stato un modo per riaffermare le tue radici nella Manchester degli anni sessanta? «Sì, e anche un modo per dire addio a certe cose, a un certo periodo della mia vita. Forse non è completamente un'ossessione per gli anni sessanta, perché mi sembra che stia svanendo tutto e il mondo del singolo sta svanendo, e ovviamente era il mondo degli Herman's Hermits.» 153
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E la rivelazione che la voce della cantante in realtà non sia sua? «Mi interessano di più le voci che sia un transessuale. Spero sia vero, perché rende tutto più interessante. Se la guardi da un certa prospettiva, riesci a immaginartela mentre suona per Wigan.» Eppure quando è uscito Reel Around The Fountain nell'83 e i giornali 154
canzoni che riguardano rispettivamente i Delitti della Brughiera e i gemelli Kray, erano un'elaborazione di ricordi di infanzia?
Mat Snow
Suffer Little Children e The Last Of The Famous lnternational Playboys, due
«In un certo senso sì. Tanta gente è molto intollerante verso qualsiasi ossessione per gli anni sessanta. Sembra che non interessino più nessuno: sono stanchi degli anni sessanta, il mito dei Beatles li ha stremati, e via dicendo. Personalmente, trovo che la storia dei Madness sia più interessante di quella dei Beatles. Ma mai neanche per un istante mi è venuto in mente di dire che i Delitti della Brughiera fossero, se vuoi, parte della mia storia. E non ho mai voluto che la mania per gli anni sessanta fosse parte della mia storia. Però lo è diventata, e avverto il bisogno di allontanarmene. Ed è anche una volontà. East West era un modo per chiudere la porta e dire addio. Ma questo non significa che adesso mi sposterò in avanti fino al 1974. Col passar del tempo, anch'io, come molti, riesco a vedere gli anni sessanta e settanta con maggior chiarezza. All'epoca sembravano insignificanti, perché il presente è sempre senza senso. Guardare indietro mi affascina, vedere come le cose cambiano e come, per certi aspetti, non cambiano. Quando ripenso al periodo dei Silver Convention e a musica come quella, ho la forte sensazione che rispecchi la classifica di oggi.» Ascolti le radio da classifica? «No, non ascolto mai la radio, ma la musica pop è senza dubbio la colonna sonora della mia vita. Se ascolto Pretty Flamingo mi torna in mente un periodo particolare. In un modo o nell'altro finisco per sentire quasi tutto quello che c'è nella Top 40, anche se per essere sincero la maggior parte non so nemmeno chi sia. Però per un motivo o per l'altro finisci sempre per incappare in questi dischi; li senti alla televisione, in altri programmi, e questo è un fenomeno rigorosamente di fine anni ottanta. Ovviamente, negli anni settanta la musica pop non si sentiva mai.» Quindi sei ancora un fan del pop? «Moltissimo. Ultimamente ho comprato un sacco di cose tanto per ascoltarle e poi buttarle via. Sono ancora un grande appassionato di dischi. Mi è piaciuto molto il singolo dei Black Box. Mi sembra strano, perché non è certo il mio mondo e non c'è motivo alcuno per cui dovrei apprezzare quel disco, ma la prima volta che li ho visti a Top of the Pops mi è sembrato abbastanza estremo. Anche lei era splendida, e dopo quasi due mesi sono ancora innamorato del disco.»
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scandalistici lo hanno accusato a torto di essere un inno alla pedofilia, è presumibile che i lettori avessero lo stesso interesse pruriginoso? «Trovo molto interessante la transessualità, però hai ragione, probabilmente è lo stesso sentimento. All'epoca ero molto intimorito. È assai diverso quando sei oggetto di una campagna diffamatoria. A volte sui giornali leggo rivelazioni che potrebbero rovinare certe persone, e invece aumentano l'ammirazione che nutro nei loro confronti. Ma preferirei non fare nomi. » Pensi che i tuoi fan che hanno fatto la fila a Wolverhampton in pieno inverno, sotto la pioggia, al freddo e al gelo, maltrattati dalla polizia, senza nemmeno riuscire a entrare, se la siano presa per questo? «Non ho incontrato nessuno che se la sia presa. Non erano obbligati a venire, se non volevano; evidentemente erano consapevoli che ci fosse un certo elemento di rischio. Non è colpa mia se all'ultimo minuto è arrivato un energumeno dal retro e li ha allontanati. È sintomatico, credo, della vita in generale.»
«Dobbiamo guardare in faccia il semplice fatto che la droga può aiutarti in molti modi.Anche questa storia delle feste acid house e le continue irruzioni della polizia… ogni volta che la classe operaia cerca di divertirsi o di evadere dalla realtà che gli viene imposta, la reprimono. Quasi come se il governo attuale volesse tutti depressi e invisibili, e ogni volta che tentano di sfondare quella bolla, si prendono una botta in testa.» Non credi che i poteri costituiti stiano dando “una stretta di vite” agli acid parties soprattutto perché il rumore e il traffico provocano fastidi pubblici? «Anche questo è vero, ma secondo me c'è dell'altro: un elemento leggermente inquietante, quello di voler tenere tutti al proprio posto, che poi è la regola di base quando c'è di mezzo la droga: non ci si può drogare perché altrimenti si vede o si vuole fare più del consentito. Però non ho alcuna esperienza degli acid parties, non ci sono mai stato.»
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Mat Snow Quel concerto è stato un tentativo da parte tua di ricreare la stessa isteria che circondava i tuoi idoli degli anni sessanta e settanta? «Che tu ci creda o no, con gli Smiths succedeva sempre. Perfino all'estero, dove si esprimeva in forme estreme e addirittura violente. Un concerto gratuito però mi sembrava un bel gesto. Non mi viene in mente nessuno che lo abbia fatto negli ultimi anni. Ero e mi trovo tuttora nella situazione in cui potevo mettermi a tavolino con qualche pezzo grosso pieno di soldi e organizzare dei tour enormi con il prezzo dei biglietti alle stelle. Non lo faccio perché è contro la mia natura. Così pensavo che un concerto gratuito fosse considerato soprattutto un gesto ben accetto, anche se ti hanno rubato i sandali o ti hanno fatto cadere le patatine in una pozzanghera. In sala quella sera c'era un bella atmosfera, di amore e cortesia, e tutti quelli che sono saliti sul palco mi hanno trattato con molta gentilezza. Nessuno mi ha tirato calci, pugni o mi ha trascinato, anche se tutti erano su di giri. Me la sono cavata senza lividi.» Quindi percepisci un'affinità tra i tuoi fan e i raver dell'acid house? «Sì, ma credo che negli Smiths e nel mio pubblico non ci sia mai stato un fattore droga. lnteresting Drug parla di qualsiasi droga, legale o illegale che sia.
Il tuo pubblico è cambiato nel corso degli anni? «Ho notato un considerevole numero di facce nuove e mi sono accorto che parecchi dei vecchi fedelissimi si sono allontanati, in un modo o nell'altro anche 157
Tatto e delicatezza
«Ho comprato tutti i giornali il giorno dopo la sua morte, aspettandomi enormi titoloni a tutta pagina. Invece c'era soltanto un «La strega è morta» a pagina quindici, che ho trovato stupefacente. Presumo che sia una nuova generazione di giornalisti che non sanno niente e se ne fregano. Forse è passato troppo tempo. Purtroppo si dimentica in fretta.»
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Adesso però ne incontro tanti che non hanno mai visto gli Smiths perché hanno quindici anni e per loro sono semplicemente una leggenda. Sono stupito dalla
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dalla musica. Anche all'inizio c'erano persone più grandi e persone più giovani.
varietà di gente che mi ferma per strada. Giovani fan dalla faccia pulita, gente serissima che magari è… eh, eh… diciamo di mezza età? Nel fiore degli anni, ah ah! In gran parte sono persone molto normali, il che è molto piacevole. Spesso se leggi soltanto i lanci di copertina che mi dedicano dai per scontato che potrei piacere soltanto a persone che hanno subito un lutto di recente o si dipingono di nero da capo a piedi, ah ah!» Da adolescente eri un fan di Buffy Saint-Marie e dei New York Dolls contemporaneamente? «Sì! Ed è per quello che oggi sono così. Se fossi stato semplicemente un fan oltranzista degli Stooges o dei Dolls, come ce n'erano tanti alla fine degli anni settanta, probabilmente adesso sarei negli Alarm a suonare il basso. Invece non è così, perché riesco anche ad apprezzare gente come Buffy Saint-Marie. Ho preso un po' di tutti e due, ma certo non molto né dell'uno né dell'altro. Ma anche oggi mi emoziono molto sentendo Buffy Saint-Marie. Aveva una gran voce e una grande passione. Nel 1964 cantava di droga in modo molto eccitante: «My mother, my father, said whiskey's a curse, but the fate of their baby's a million times worse…». Era il 1964: i Beatles cantavano «She loves you, yeah yeah». Non ebbe successo, e chissà perché. Un'artista molto sottovalutata. Ce ne sono milioni.» Ti piacciono gli artisti perché sono sottovalutati? «Se mi piacciono e sono trascurati, l'unico istinto che ho è di affiggere un cartellone pubblicitario. Certo, se muoiono e la loro morte viene ignorata, mi sento in dovere di fare qualcosa, devo parlare per loro. Anche con la morte recente di Bette Davis, che mi è sembrata tipicamente trascurata dal complesso dell'informazione, come se non importasse a nessuno. Eppure stiamo parlando di una leggenda assoluta, totale, forse addirittura l'ultima, e ho l'impressione che se fosse morta Joanna Lumley avrebbe ottenuto più spazio, il che è sconcertante. In generale sono attratto da persone che sono lievemente disprezzate, e Bette Davis era una di queste.
«Bette Davis era uno spirito formidabile che rischiava di inimicarsi le simpatie del pubblico per ottenere ciò che voleva, rischiava di ridurre i suoi estimatori 159
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Preferirei andarmene piuttosto che fare una cosa contro natura. Apprezzo quello spirito perché è molto, molto raro, e ancor più raro nella cara vecchia musica pop,
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per comunicare i suoi veri sentimenti. In gran parte, è come vedo la mia carriera.
ammesso che esista del tutto.» Che ne pensi di Madonna, che una volta snobbavi? «Ho cambiato un po' idea, su Madonna. Mi pare che la sua carriera sia molto ben definita, è una persona che fa assolutamente ciò che le garba, e questo è molto positivo. Non concede interviste, e questo fa molto effetto, e lavora tantissimo. Mi pare che negli ultimi cinque anni sia rimasta fedele a se stessa. Passerà alla storia del pop come una leggenda.» Si ritiene spesso che la motivazione più comune di una popstar sia il desiderio di superare un'adolescenziale carenza di autostima. Vale anche per te? «Per me era il fatto di essere ignorato. E in più, c'era una fortissima timidezza che si univa a un bisogno disperato di fare, come uno che ha una voglia matta di cantare ma prega che nessuno glielo chieda. Ero molto confuso. All'inizio c'era un forte elemento di vendetta. Con mitezza ho tentato per anni di fare qualcosa di utile e visibile, e nessuno voleva mai aiutarmi o rispondere alle mie telefonate, sia che si trattasse di provare a farsi strada nel giornalismo musicale o tentare di formare un gruppo. Mi ricordo una volta, tanto tempo fa, qualcuno al nme che mi sbatteva il telefono in faccia quando chiamavo, e quello sembrava l'ultima spiaggia, dopo averle tentate tutte. Eppure dire oggi che quella poteva essere la base della propria carriera sembra infantile. Ovviamente non è così, e mi godo ogni aspetto del mio mestiere.» E la fama? «Ci sono tanti miti grandi quanto una montagna che circondano l'esperienza di incidere dischi, esibirsi e apparire in televisione, e non accennano a svanire. Si dà per scontato che se entri in questo turbine sei circondato da amici, sei ricchissimo, il mondo è ai tuoi piedi, vivi in un'immensa agiatezza tra la crème de la crème, che nel mio caso non è mai stato vero, né in quello di altri musicisti che conosco di persona. Potrei telefonare a certa gente che, se vuoi, è famosa ogni lunedì sera alle otto in punto e li trovi a casa in poltrona. E magari sono frustrati, vorrebbero uscire, vedere gente e fare amicizie, ma non è per niente facile. Eppure vendono cifre enormi di dischi. «Diventa impossibile per colpa del metodo di approccio del pubblico. Ci vuole un sacco di tempo a fare amicizia con qualcuno, e secammini per strada e all'improvviso uno che non conosci e non hai mai visto prima si mette a parlare con 161
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diata. È difficilissimo. Personalmente, comincio a chiudermi a riccio. A volte se non vedono una risposta restano perplessi, ma è una situazione paurosamente
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te, eppure lui ti conosce, sa quello che vuole dire e si aspetta una reazione imme-
innaturale. «Anche se esci con l'obiettivo di incontrare persone e divertirti, non è così facile quando l'altro presumibilmente sa tutto di te a livello intimo e professionale, mentre tu non sai niente di quella persona. E quella persona sembra avere forti opinioni su di te e sulla tua vita. Quella persona ti sta addosso. La situazione è molto squilibrata. A volte penso che i musicisti possano avere come amici solo altri musicisti, ma poi c'è questa strana gelosia, questa strana atmosfera di competizione che si insinua. Io non l'ho mai provata perché sono sempre stato felice della mia condizione; è rispettabile e utile. Non ho mai aspirato a far parte dell'aristocrazia globale del pop. Non ho mai voluto suonare a Wembley.» Ti dà fastidio che artisti come Sting, che non t'interessano, possano utilizzare il proprio status per attirare l'attenzione su una causa che appoggi anche tu? «È incoraggiante, ma attira l'attenzione anche sul fatto che lui è annoiato a morte: annoiato della sua carriera, annoiato di fare musica, annoiato delle foreste pluviali. A volte può essere utile, ma ormai le cause portate avanti nella musica sono talmente comuni che il risultato deve essere straordinario, per dimostrare che la causa politica è utile. Purtroppo, basta guardare Spirit Of The Forest che ha avuto una pubblicità enorme e ha venduto dodici copie». Hai l'ansia che un disco potrebbe rivelarsi un flop? «No, anche perché mi dicono che è impossibile: a quanto pare ho un pubblico molto fedele, che non aspetta altro che il giorno dell'uscita. Immagino, come tante altre cose, che prima o poi finirà. Se ci fosse un calo evidente non continuerei. Ci accorgiamo che una cosa ha valore solo se altri la vogliono, e se cominciano a non volerla più, perché insistere? Non credo che la longevità sia una cosa particolarmente positiva. Certi artisti danno il massimo di sé in un arco di tempo limitato. Ma non capisco proprio perché certi artisti continuino ad andare in giro ad applaudirsi da soli soltanto per il fatto di essere ancora lì, magari al centesimo singolo. E allora?» Forse non si rendono conto che il loro lavoro è ormai sotto lo standard. Tu te ne accorgeresti? «Sì, penso di sì perché ho un pubblico abbastanza serio, che riflette a fondo sulle cose che dico. Mi criticano tantissimo e il più delle volte sbagliano. In altri casi hanno ragione. Ma siccome sono così fermamente leali, se mi abbandonassero in 163
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scensore sbagliato, strada facendo.»
Mat Snow
massa non credo sarebbe un caso fortuito. Ovviamente devo essere uscito dall'a-
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IL RE DELLE PAROLE di Steven Daly Spin, Aprile 1991
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l fuoco crepita nel camino, un fax ronza in lontananza e una manciata di riviste di moda italiane riposano su uno scaffale, mentre Morrissey si adagia sulla sua chaise longue preferita, riflettendo sulla vita senza gli Smiths. «Non mi aspettavo granché dalla mia carriera solista. Ci sono tanti cantanti di gruppi che tentano la carriera solista e non ce la fanno. Mick Jagger non è riuscito a vendere un disco solista per salvarsi la vita, perché doveva capitare a me? Tanta gente è rimasta assai sorpresa dal fatto che abbia continuato a vendere dischi. Secondo l'opinione generale, appena Johnny Marr ha staccato il cordone ombelicale mi dovevo sgonfiare come un palloncino.» C'è poco compiacimento in questa pacata affermazione, ma forse non guasterebbe. Dopo lo scioglimento di quel prolifico sodalizio, Morrissey è rimasto, come sempre, semplicemente “Morrissey”, mentre è il chitarrista Johnny Marr, dato per certo come talento di grande avvenire, a portare su di sé l'etichetta di “ex Smith” mentre languisce tra i rami cadetti del rock, un Jeff Beck degli anni novanta, diciottesimo pretendente al trono dei Traveling Wilburys. Già nell'ultimo album degli Smiths, Strangeways Here We Come, c'erano forti indizi che Marr avesse ormai spolpato fino all'osso la sua collezione di dischi e Morrissey potesse cercare proficuamente nuove cornici per i suoi distici raffinati e le sue emozioni nervose. E le ha trovate, dagli archi stentorei di Everyday ls Like Sunday al pathos barocco dell'ultimo singolo, Our Frank, il migliore dei suoi lavori post-Smiths. Morrissey è ancora al massimo della forma. Considerando la prodigiosa produzione degli Smiths, tuttavia, per Steve Morrissey sono stati due anni di allarmante tranquillità. Il periodo dopo Viva Hate è stato segnato soltanto dalla sporadica uscita di quelli che il cantante ha definito «singoli estemporanei» (raccolti di recente nella compilation Bona Drag).
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Non dirmi che dopo un paio di album di successo non potevate pretendere un minimo di lusso? «Veramente no, perché eravamo terribilmente impazienti e fin troppo disponibili, perciò ti mettevi al lavoro appena aprivi gli occhi. Solo dopo ti rendi conto che le cose potevano andare meglio, che magari bastava una telefonata per avere un trattamento più decente.» Come presumo accada oggi. «Sì, mi trattano senz'altro in modo più decente.» Ti riprendi quello che ti spetta, insomma. «Be', era anche ora» conclude con una punta di indignazione.
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alla spinosa espressione “ritorno sulle scene”? «Be', non sono andato da nessuna parte, ma immagino che qualcuno lo giudicherà un nuovo inizio.»
Steven Daly
Non sarà che per il nuovo album in studio, Kill Uncle, dovremo ricorrere
Come definiresti, domando, i progressi fatti rispetto a Viva Hate? «Mi sembra un disco decisamente migliore, soprattutto dal punto di vista dei testi. Al di là di questo non ti so dire molto, perché in fondo è sempre la mia voce, ed è la sola che ho. Anche l'assetto musicale è rimasto molto tradizionale.» Ti senti mai limitato da questa ortodossia? «No, assolutamente. Non ho nulla da spartire con l'industria discografica. Non possiedo strumenti né amplificatori. Non ho uno studio di registrazione nel seminterrato. Allargare i confini musicali non mi interessa affatto, mi limito a seguire un istinto particolare. Che non dipende tanto dalla musica, quanto da altri aspetti come la voce e le parole. Capisco perfettamente la struttura di una canzone, ma da qui a creare una nuova forma musicale che non si è mai sentita prima…» Quel tipo di cose è meglio lasciarle a band come i Nelson e i Wilson Phillips. Pensavo però alle differenze tra i metodi di produzione. «Gli Smiths non hanno mai avuto una produzione particolarmente curata, iper-ricercata–questo non significa che i dischi fossero brutti, ovviamente, perché così non è–ma quando riascolto la discografia degli Smiths spesso mi capita di sobbalzare e maledire il fatto che tante volte siamo stati costretti a fare le cose in condizioni piuttosto difficili.»
«Nonostante la tendenza ad attingere a un'ampia sfera di riferimenti musicali risulti a volte esasperante, Morrissey è certamente uno degli autori prodigio del nostro tempo, e può legittimamente rivendicare il merito di aver ampliato il vocabolario poetico della canzone pop, trascinandola in un regno finora inesplorato di parrucchieri in fiamme e ragazze in coma. Per non parlare di tutti gli altri argomenti scabrosi e tabù che ha affrontato. «Non so perché siano tabù… non mi pare sia mai apparso qualcuno in televisione 169
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ticatevi che non dovete…». Non mi è mai capitato di ricevere delle direttive, ma ovviamente si sa in che tipo società viviamo, e si sa che cosa può irritare. Qualsiasi cosa di vagamente reale tende a mettere in agitazione.»
Steven Daly
a dire: «Se per caso stasera avete in mente di scrivere una canzone, non dimen-
Perciò questi argomenti ti attirano? «No, per niente» risponde con candore e poi ridacchia. «È semplicemente il mondo in cui vivo, lo stato d'animo che ho di solito.» Però canzoni come Bengali In Platforms e la nuova Asian Rut qualche sospetto lo destano. Una scelta decisamente inconsueta, quella di parlare della comunità asiatica in Gran Bretagna. «Non sono d'accordo. Ci sono un sacco di asiatici, che c'è di strano?» Semplice curiosità. Però non si può negare che sia un argomento insolito: di certo non salterebbe mai fuori, in una canzone dei Prefab Sprout. «Ma sicuramente questo ti dice molto su Paddy McAloon [cantante e autore dei testi dei Prefab Sprout], più che su di me. E dire che sono anche un suo fan. Tempo fa l'ho criticato e me ne sono leggermente pentito, anche se ero convinto di quello che ho detto. Secondo me il primo disco che ha fatto era un gioiellino.» Ci sono altri colleghi degni della tua attenzione? «Sì, qualcuno ce n'è. Avevo una grande passione per Paul Weller.» Dopo l'apparizione come ospite d'onore nel singolo November Spawned A Monster, dobbiamo presumere che anche l'originalissima cantante canadese Mary Margaret O'Hara possa aggiungersi a questa compagnia stellare. Che cosa li ha spinti a collaborare? «Una folata di vento» proclama Morrissey con un gesto enfatico. «Ero molto attratto dalla sua eccentricità, e ho pensato che avrebbe funzionato benissimo; a conti fatti è stata assolutamente perfetta. Trovo affascinante che qualcuno riesca a eseguire parti vocali senza usare parole specifiche.» Come Liz Fraser e i Cocteau Twins, giusto? «Loro mi fanno vomitare a vista» dichiara, riprendendosi all'istante. «Credo che ci sia un modo giusto e un modo sbagliato di fare le cose, e mi pare che i Cocteau Twins si siano sempre vantati di farle in modo sbagliato. Sono sgradevoli ai limiti dell'assurdo, a tutti i livelli: hanno un aspetto orribile, rilasciano interviste atroci e i dischi sono di una stupidità assoluta.» Accipicchia! A quanto pare ho toccato un nervo scoperto. «Dipende da come come sei seduto.» «Mi sono abbastanza calmato, dopo gli Smiths», afferma Morrissey. «Non smanio 171
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Certo, il discorso sull'isolamento ha sicuramente un fondo di verità: non si può far a meno di sentire storie su Morrissey che rompe amicizie e lo fa “in grande stile”. «Sono una persona di gran classe, sai: mi piace fare tutto in grande stile. Ma quando tronco i rapporti con qualcuno di solito ci sono di mezzo beghe contrattuali.» Vale anche nella sfera personale? «Di solito no. Anche se non sopporto gli idioti. Se qualcuno mi delude o mi contraddice, se telefono e non mi rispondono, be', tanti saluti, il ponte levatoio si alza.»
«e querele. Probabilmente faccio tutto quello che si aspettano da me. Ho una vita molto riservata e molto tranquilla. No vedo tanta gente. Ho qualche amico. Non sono arrogante e umorale come pensano tutti. «Faccio una vita abbastanza di routine. Non ho voglia di viaggiare. In televisione vedo pubblicità di vacanze, e non so di cosa parlino. Io non vado mai in vacanza, mai. Anche se non mi dispiacerebbe starmene al sole sdraiato su una spiaggia, cosa che penso di non aver mai fatto, visto che sono uno della vecchia guardia inglese.» Sicuramente, provo a chiedere, il patrimonio accumulato ai tempi degli Smiths, sommato ai quattrini della major discografica di oggi, avranno modificato significativamente il punto di vista dell'uomo che una volta scavava nella miseria piccolo borghese in cerca di preziosa verità. «Non ho uno stile di vita esotico. Tutti pensano che basti un minimo di fama per far parte automaticamente della comunità dei vip, ma è inutile dire che io non ho compilato moduli di adesione. O meglio, sì, ma è stato rifiutato.» Una cosa che sicuramente non impensierisce Morrissey di questi tempi è creare polemiche a effetto per i giornalisti. Una manciata di recensioni non troppo positive sui quotidiani pop britannici hanno portato a un vero e proprio embargo sulle interviste, privando gli apostoli di Morrissey delle epistole epigrammatiche che una volta dispensava con regolarità. «Le ultime volte in cui sono stato intervistato c'è stata enorme cordialità tra me e il giornalista, eppure quello che esce sulla stampa è di solito poco piacevole, per colpa delle recenti tendenze.» Le recenti tendenze? «Credo che in Inghilterra la simpatia per la mia persona sia leggermente svanita» spiega. «Penso ci sia una regola generale: hai un certo tempo a disposizione, dopodiché tocca un altro.
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brio.» Contemplando il curatissimo giardino di Villa Morrissey, alla periferia di Manchester, mi domando se questo recente appagamento non rischi di compro-
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più come una volta e ne sono molto felice. Direi che ho trovato un certo equili-
mettere la sua vena creativa. «No, perché compio ancora l'errore madornale di credere che i dischi siano la mia vita. Ma ultimamente vorrei essere un po' più metodico. Mi rendo conto di avere un pubblico che magari vorrebbe vedermi in televisione molto più spesso, ma riesco a organizzare le cose soltanto se vengono spontanee. Non concedo nulla allo spettacolo, assolutamente nulla. A volte mi stupisco di quello che riesco a fare, se penso a quanto sono distante da quel mondo. Non mi sembri molto convinto…»
Dove cerchi stimoli esterni? Sparsa qua e là vedo qualche biografia teatrale. «Ah sì, sono terribilmente stereotipato» , sorride timidamente. «Libri, film…
«La qualità dell'opera non conta: quando hai il vento a favore puoi fare anche dei dischi pessimi, per dire, ma avrai comunque recensioni entusiastiche. Poi ti 173
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Sicuramente è stato Morrissey a stabilire il tenore del suo rapporto con la stampa, vista la sollecitudine, al minimo stimolo, con cui lancia battute piene di fiele contro gli effimeri talenti del giorno. Non sarà, azzardo, che fare la parte dell'intrattabile alla fine gli si è ritorto contro? «Veramente no, perché se dici «Non m'interessa», oppure «Non ho opinioni su…», si dà subito per scontato che stai perdendo colpi e non sei in sintonia coi tempi come dovresti. Non sono obbligato a tenermi aggiornato, e non mi sento a disagio se non so una cosa. Non me ne frega niente di essere al passo coi tempi e con le mode.» Prima dell'attuale morsa della stampa, una costante delle interviste a Morrissey era la chiamata all'insurrezione, l'appello alle giovani generazioni perché prendessero le armi e imponessero la propria egemonia, un colpo di Stato estetico come quello che lui e i suoi compagni del punk avevano ordito in passato. Ma chissà, a giudicare da gruppi come gli Happy Mondays, gli Stone Roses e la loro progenie in perenne espansione, sembra che l'invocata rivoluzione sia finalmente arrivata, con epicentro, ironia della sorte, proprio nella sua amata Manchester. O no? «Sono tramortito dalla delusione» dice Morrissey con il consueto understatement. «Sinceramente non mi pare che i dischi siano un granché. Anche se è difficile giudicare quando c'è tanta grancassa pubblicitaria. Come se a un certo momento la stampa musicale, da cui è partito tutto, avesse deciso di creare un fenomeno per allungare la vita ai giornali, visto che in quel periodo c'era un grande piattume.»
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capita di fare dischi in un momento diverso e nessuno ti fila più.»
Pur essendo in profondo disaccordo con la sua ricostruzione dei fatti, condivido il giudizio sulla soffocante attenzione prestata a talenti marginali, che di fronte all'inevitabile reazione si ritroveranno rapidamente dietro il bancone di un 7-Eleven. Ma è sicuro che i giovani Smiths sarebbero sopravvissuti a un successo così prematuro? «Sì, perché gran parte di questi gruppi emergenti non fa uscire molti dischi, e non mi pare abbiano tante canzoni. Tante volte mi sembra sempre la stessa minestra riscaldata, mentre ovviamente non è mai stato così con gli Smiths. «Se hai fiducia in te e nei tuoi mezzi, nessuno può fermarti. Ma se non ce l'hai, non c'è niente da fare. Devo essere onesto: non ce l'ho con nessuno in particolare e non vorrei sembrare troppo critico, ma non mi risulta che a Manchester ci sia qualcuno con queste capacità, attualmente.» Con questi vergognosi sviluppi sulla soglia di casa, sarebbe difficile criticare Morrissey per aver imboccato semplicemente l'unica via d'uscita rimasta a un gentleman inglese. Ebbene sì: una tournée americana. Nonostante il rovescio di fortuna nel Regno Unito, la sua stella ancora in ascesa oltreoceano, dove i fan serbano ricordi confusi dell'ultimo trionfale tour degli Smiths nel 1986. («Limitiamoci a dire che qualcuno ha perso una tappa», è il commento criptico di Morrissey sulla prematura conclusione di quella trasferta.) Attualmente, le lettere dei fan più toccanti hanno un timbro postale americano, mentre lui descrive come «veramente emozionante» l'esibizione in diretta dello scorso anno alla radio di Los Angeles kroq. 175
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«Volevo solo il successo in Gran Bretagna perché non viaggio molto volentieri, quando entro in un aeroporto mi vengono i crampi allo stomaco; non sono capace di fare una valigia, e non lascio molto spesso l'Inghilterra. Perciò l'idea di fare il giro del mondo con un paio di pantaloncini da ciclista di lycra addosso non mi attira molto.» Presumo che prima o poi dovrai affrontare anche questo, nella tua carriera solista… «Be', sì. Ma senza i pantaloncini di lycra.»
«È molto difficile perché non ho rapporti sociali e non mi passerebbe mai per la testa di mettere un annuncio. Perciò se non hai rapporti sociali e non metti annunci» s'interrompe ridendo «sei abbastanza limitato.»
«Ricevo molte proposte da aspiranti manager, ma pare sempre che pronuncino male il mio nome o dicano qualcosa che non va. Non m'interessano geni dell'economia o gente che vuole impormi per forza al pubblico.
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discografico più grande del mondo, eppure la prospettiva non sembra esaltarlo più di tanto. «Volevo assolutamente essere un artista pop inglese, con tutto me stesso, ed è
Steven Daly
Morrissey appare sul punto di avere un impatto significativo sul mercato
quello che sono diventato.
Abbigliamento intimo a parte, ti spaventa il pensiero di una sfacchinata del genere? «No, no, non mi spaventa, anzi, mi piacerebbe. Solo che mantenere il controllo personale sulla situazione è molto faticoso.» Questo significa che non hai molta voglia di farti tutta l'America? «Mah, tutta… al massimo arriverò in Connecticut. Non penso che facendo una tournée americana diventerò all'istante uno degli artisti più venduti al mondo: né credo che accadrà mai, per come sono fatto. Non potrei mai richiamare masse enormi e soffocanti, anche perché, tanto per cominciare, sono troppo intelligente.» Anche se questo lo dici tu… «No, è l'opinione di altri! Sono sicuro che se e quando andrò in America sarà un successo, ma non potrei mai diventare un'ottima rockstar americana. Dev'essere tutto come dico io, a qualsiasi costo, indipendentemente dal contesto. Ripeto, deve essere tutto rigorosamente alle mie condizioni.» Purtroppo, Morrissey sostiene di non essere neanche lontanamente vicino a trovare quell'indefinibile “insieme di persone” con cui potrebbe intraprendere un tour in tranquillità.
«Ho dei princìpi molto rigidi, regole di buongusto molto ferree sia per gli uomini che per la musica, e questo mi limita alquanto. O la situazione va bene oppure, come nella maggior parte dei casi, va male.
«Non sono mai stato imposto con la forza a nessuno e forse è per questo che il pubblico mi è rimasto fedele. Apprezzano il fatto che il mio successo fosse molto sincero.» 177
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«No.»
Ti risulta diversamente, invece?
Scusa? Mi è sembrato di sentire… «Sì, certo.» Allora sono persone normali? «Sono restio a usare la parola normale, ma visto che l'hai fatto tu, sì.» Gente comune... «Gente comune, con storie ordinarie di quotidiana tristezza.» Scoppiamo a ridere tutti e due.
Non lo trovi un po' sconcertante? «È una situazione molto delicata. Mi mette molto a disagio, perché ho l'impressione che se dovessi storcere il naso quando ne incontro uno la notizia farebbe il giro di mezza America.» Ormai avrai accettato il fatto che per molti di questi fan ossessivi il sesso è una parte importante del tuo fascino. La tua indisponibilità, spesso ribadita, serve ad accentuare questo aspetto? «Non credo che lo incrementi, credo che ne faccia parte. È l'aspetto della confessione a farne parte. Rivelare con assoluta franchezza i sentimenti più intimi credo sia abbastanza inconsueto. Se qualcuno mi dice che fisicamente sono quello che ha sempre desiderato, io semplicemente non ci credo. Se non mi conoscono di persona, come avviene di solito, diventa un discorso astratto. Di certo, mai e poi mai, nemmeno nei momenti di massima presunzione, mi sono sentito un sex symbol. Ma per qualcuno lo sono.»
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di Morrissey anche quando se ne pronosticava apertamente la bancarotta artistica e il declino commerciale? «Non lo so, non ti saprei dire. Preferisco pensare che non siano tutti dello stesso
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Ma chi sono questi “fedeli” sostenitori che hanno tenuto a galla le fortune
genere. Non credo sia così. Anzi, sono molto sorpreso dallo stile di certe persone che mi seguono.» Ovviamente, faccio notare, c'è anche l'immagine stereotipata del tipico fan di Morrissey. «Sì, sì, il maniaco depressivo che non esce quasi mai dal ripostiglio nel sottoscala.»
Morrissey pensa di avere un ruolo importante nella vita dei suoi sostenitori, così come i New York Dolls e Patti Smith erano importanti per lui a suo tempo? «Credo di essere più importante, perché innanzitutto vendo molti più dischi di quanti ne abbiamo mai venduti loro, e a giudicare dal tono delle lettere e delle conversazioni molti miei fan mi conoscono più intimamente di quanto conoscano i loro stessi amici. O meglio: credono di conoscermi in modo più intimo, anche se in realtà non mi conoscono affatto.»
Ripeti spesso che l'energia che altri prodigano per l'amore e per il sesso, tu la metti nel tuo lavoro… «È assolutamente vero, perché l'essere umano è in grado di concentrarsi solamente su una cosa… in linea di massima. O vai da una parte o dall'altra.» Considerate le propensioni intellettuali di Morrissey e la sua nota avversione alla musica dance, lo ha infastidito vedere l'ex complice Johnny Marr colla179
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«Non ho chiuso occhio per tre notti al pensiero» commenta sarcastico. «No, non mi pare mi sia passato niente per la testa. Non controllo i movimenti di Johnny. Non so niente della sua vita oltre a quello che mi dicono.
Così va meglio. Non hai molto tempo per i Pet Shop Boys, quindi? «No, per niente.» Qualcuno vi considera anime gemelle, lo pungolo.
Così, Morrissey spiega la ricorrente fascinazione per quel fertile periodo culturale della sua prima gioventù. «Se ripensi al cinema e alla musica di quel periodo, percepisci un candore affascinante, un'innocenza che non esiste più. Ormai sappiamo tutti fin troppo, per il nostro bene. All'epoca invece non aveva importanza se non diventavi miliardario, non aveva importanza se non riuscivi a costruirti una carriera fantastica. Bastava solo esistere, e divertirsi. «Il mondo ha accelerato il passo in ogni senso, e nel 1991 tutti sono appesantiti da questa enorme pressione a essere perfetti, interessanti e di successo. È un peccato, perché sono tutti infelici.» Continuando su queste dolenti note, Morrissey lamenta la scomparsa di un altro bene molto magnificato: l'inglesità. «L’Inghilterra non è più Inghilterra in alcun senso della parola, si è internazionalizzata, e basta guardarsi in giro per cogliere questa clamorosa evidenza. Il popolo inglese non ha più la forza necessaria per difendere il suo senso della storia. Il patriottismo non conta più niente. Perciò, credo che l'Inghilterra sia morta.» L’anno scorso i suoi sentimenti anglocentrici hanno trovato un'eco inaspetta180
«Il disco degli Electronic mi sembrava completamente inutile.»
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borare con gli Electronic, aggregato di New Order e Pet Shop Boys?
Getting Away With lt? «Sì, un titolo quanto mai adatto.»
«Gli artisti che fanno la vita comoda mi fanno imbestialire» dice Morrissey con aria seria «quelli che non mettono nessun impegno in quello che fanno, quelli che si guadagnano il favore di gente che non pretende niente da loro.» Ma per quanto ne sai, può darsi che Neil Tennant si sforzi al massimo delle sue capacità. «Non ho nominato Neil Tennant: parlavo di Engelbert Humperdink.» Un altro concetto ribadito allo stremo da Morrissey è che il pop, come lo intendevamo, ha cessato di esistere, e che per un motivo o per l'altro è stato sistematicamente prosciugato di ogni goccia di vitalità. «Continuo a esserne convinto, e col passar del tempo questa convinzione si rafforza. Vedo una quantità enorme di decadimento intellettuale. Credo che sia finita, davvero.» Causa del decesso, Quincy? «Forse la presa d'atto che gli album e i concerti più importanti sono quelli che costano un sacco di soldi e hanno grandi difficoltà di produzione. Questo perché tanti artisti ormai sono gestiti da commercialisti. Nel 1991 la musica non è più speciale come negli anni in cui potevi vedere nascere il punk. Perché il punk era un fenomeno che si manifestava per la prima volta in assoluto; oggigiorno, nella musica, c'è ben poca roba che avviene per la prima volta.»
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Il re delle parole 182
ta nel luogo più improbabile: «L’unica volta in cui la signora Thatcher ha fatto una dichiarazione sensata in tutta la sua carriera è quando ha difeso la sterlina. È uscita dal Parlamento subissata di risate». Allude alla presa di posizione della Thatcher contro la prospettiva di una moneta unica europea, che secondo Morrissey «è inevitabile. Se ci rivediamo tra due anni, io e te parleremo francese» . E qual è stata la reazione di Morrissey quando la Lady di Ferro è stata finalmente spedita alla rottamazione? «Non è la reazione che ci si aspetterebbe da me. Il modo in cui è stata letteralmente decapitata in pubblica piazza mi è sembrato scandaloso. L’ho trovato sorprendentemente poco inglese e molto strano.» Scusa un attimo: ma in tutti questi anni abbiamo sempre frainteso Margaret On The Guillotine, allora? «Le sue politiche per me erano opera del demonio. La ritenevo una donna puramente e volontariamente malvagia» dice Morrissey con un ghigno. «Ma non si può negare che fosse un fenomeno, e non si poteva fare a meno di discuterne sopra le righe. La bestialità non sta nel fatto che l'abbiano decapitata, ma che non sia stata sostituita con efficacia. Credo che nessuno possa immaginarsi John Major come Primo ministro: non ha neanche un aspetto umano.» Con mia grande vergogna riporto una voce che circola riguardo la vita sessuale dell'apparentemente privo di personalità Major. «Be', è la prima cosa interessante che sento dire di lui. Allora merita di essere Primo ministro.» Segue un imprudente tentativo da parte mia di incalzarlo con una serie di domande sulla cultura dell'Inghilterra del Nord, non in relazione all'attuale scena di Manchester, ma per quanto attiene all' opera di Morrissey e alla sua iconografia. «Per esempio, James Dean e Joe D'Alesandro? » No, ovviamente… sapevo che… «Be', non mi considero un discendente dei grandi comici del Nord, se è questo che intendi.» Oh, non so… «Forse è meglio chiudere qui il discorso.» Mentre metto le galosce per ritornare a piedi al centro di Manchester, domando a Morrissey se ha avuto già occasione di vedere The Krays–I Corvi, la biografia in celluloide dei gangster gemelli londinesi citati nella raffinata The Last Of The Famous International Playboys. Non l'ha visto, ma è incuriosito dal suo contenuto. Viene fuori che Morrissey a sua volta è stato citato da Reggie Kray nel libro che ha pubblicato di recente. Estrae il tomo dalla sua invidiabile libreria e mi mostra il passo in questione: «Nel gennaio del 1989 uscì perfino un singolo di successo che parlava di noi, The Last Of The Famous lnternational Playboys di Morrissey. La melodia mi piaceva, ma il testo nel complesso era un po' carente. C'era andato abbastanza vicino…» . «La mia solita fortuna!» sospira Morrissey. «Non riesco a evitare le critiche.»
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Steven Daly
MORRISSEY ESCE ALLO SCOPERTO! (Per un drink) di Stuart Maconie New Musical Express, 18 Maggio 1991
A
giudicare dall'aspetto, le voci di una sua morte sono state di gran lunga esagerate. Se ne sta distrattamente seduto su uno sgabello, sorseggia boccali di Pils e sorride. È una figura inconfondibile, anche se si notano dei particolari insoliti: la birra, lo smalto magenta sulle unghie, la T-shirt, su cui campeggia l'immagine di un paio di gambe con i jeans arrotolati a metà polpaccio per mostrare un paio di spaventosi anfibi Doctor Martens a sedici buchi, e la scritta «Skins: Alive and Kicking». A questo punto non mi sorprenderei se avesse anche una Woodbine senza filtro infilata dietro l'orecchio. È seduto al centro di un gruppo di gente allegra e chiassosa. Potrebbe essere una qualsiasi comitiva del sabato sera che fa bisboccia nel bar. E invece no. «Questo è quel che s'intende per entourage» dice scherzando, indicando il gruppo che lo circonda con un ampio gesto della mano; il giornalista, l'addetto stampa, gli assistenti personali e, alla sua destra, la band: quattro ragazzotti con il ciuffo sulla fronte, tatuaggi e pantaloni a tubo, che si godono la birra e l'atmosfera, identici in tutto e per tutto ai personaggi di quei film su cui Morrissey ha costruito la sua iconografia: Sabato sera domenica mattina, Sapore di miele, The Leather Boys. Lui sembra perfettamente a suo agio. Anzi, se non fosse per la conversazione che gravita naturalmente e nervosamente attorno a lui, per gli occhi che schizzano facilmente verso di lui, per il peso in più che portano le sue parole, Morrissey potrebbe essere tranquillamente «uno della combriccola». Una sera di primavera a Berlino. Una serata libera per Morrissey, il personaggio più interessante nel mondo della musica e l'uomo su cui è obbligatorio avere un'opinione. Vi garantisco che nulla, neanche l'ultimo disegno stampato 184
sulla maglietta dei Manie Street Preachers, può incendiare il nme di iperboli, insulti, calunnie, accuse e minacce quanto questo uomo. Per alcuni è un damerino mistificatore con delle pretese impossibili, per altri un dio decaduto che ora mostra i suoi piedi d'argilla. Per pochi, invece, è un talento enorme e capriccioso che ha superato le avversità e gli strali di una sfacciata fortuna con lo stoico ottimismo del Capitano Mainwaring, e rimane uno dei tesori più preziosi della musica pop. Ho detto poco? Non faccio mistero di appartenere a quest'ultimo partito. La croce che Morrissey deve portare, ovviamente, è quella di aver fatto parte del più importante e originale gruppo pop inglese dai tempi del punk, un gruppo che ha cambiato le opinioni di un'intera generazione sull'essenza dei dischi pop, sul loro significato e sul posto che potevano occupare nella vita (Qui ci sarebbe da fare una grande battuta su Ed Banger e i Nosebleeds, ma non ho il coraggio di dirla). I fan degli Smiths, ovviamente, vengono inesorabilmente derisi dalla lobby del rock in servizio permanente effettivo. Quando i ragazzi bianchi scoprirono la musica dance nel 1986 (ma dove avevano vissuto fino a quel momento?) i fan degli Smiths finirono per diventare l'immagine del ragazzino «indie»: tappezzeria anemica e provinciale nell'immaginario dei neoconvertiti al culto del rave. Pregiudizi come quello avevano perseguitato gli Smiths a ogni passo dopo Panic (grottescamente accusata di “razzismo”) e tormentano Morrissey tuttora. Per lui è una storia finita, ma sia gli amici sia i nemici non intendono seppellirla. I detrattori usano il suo glorioso passato come un bastone per dargli addosso, mentre gli alleati in buona fede lo coprono ogni settimana di tributi sperticati, pedanti e idioti sulla pagina delle lettere del nme. Sarebbe meglio evitare di riscrivere la storia. Solo uno sciocco può giudicare Ouija Board, Ouija Board superiore a This Charming Man, ma, allo stesso modo, solo un cretino non si renderebbe conto che Suedehead o Driving Your Girlfriend Home, o l'imminente singolo Pregnant For The Last Time danno del filo da torcere a Never Had No One Ever o Death Of A Disco Dancer. Senza impegolarsi in uno sgradevole scambio di insulti, può anche darsi che Johnny Marr abbia sensibilmente aumentato la sua media con gli Electronic, ma l'opera di Moz post-Smiths lascia ancora intatta quella dei suoi ex colleghi. Il divorzio tra Morrissey e Marr ha lasciato orfani due fulgidi talenti, anziché uno. Ma ritorniamo a Berlino. Il tour europeo di Morrissey, baciato da uno strepitoso successo, volge al termine dopo accoglienze entusiaste a Dublino, Parigi, nei Paesi Bassi e a Colonia. In calendario ci sono altre tre date in Scozia e poi a seguire un tour di due mesi negli Stati Uniti, che culminerà con un'esibizione al Madison Square Garden. La sua stella è ancora in grande ascesa dall'altra parte dell'Atlantico, come conferma il fatto che i quindicimila biglietti per il concerto al la Forum di Los Angeles siano andati esauriti in meno di un quarto d'ora. A questo si aggiunga che i primi brani realizzati con la nuova band, Pregnant For The Last Time, My Love Life e un'ispirata interpretazione di Skinstorm dei Bradford, smentiscono clamorosamente chi lo dichiarava ormai morto, e forse capiamo perché chi gli sta attorno afferma di non averlo visto così di buon umore da anni. Morrissey non ha mai voluto essere un artista solista e non ha mai tentato di nascondere il suo dolore per la morte degli Smiths. Ma adesso guarda avanti, con buon umore ed evidente piacere, e biso185
Morrissey esce allo scoperto! (per un drink) 186
gna essere proprio strani, per non dire stupidi, per negarlo. Mentre la notte cala su Berlino, ci accomodiamo in una stanza d'albergo diversi piani sopra la città. Quella che segue è una generosa fetta della nostra conversazione, riportata quasi alla lettera in ragione del fatto che preferirete sicuramente ascoltare la sua voce, piuttosto che la mia.
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Stuart Maconie
Morrissey esce allo scoperto! (per un drink)
Allora, come va la vita “on the road”? «Mah, sto come mi vedi, bene o male che sia. Se lo facessi di mestiere, dio santo, lo troverei deprimente. Però c'è qualcosa di magistrale in questo travolgente passaggio europeo. Me se qualcuno avesse la temerarietà di descrivermi come una “rockstar” gli sputerei dritto nell'occhio. «Sono quegli strani momenti frammentati a dare un senso a tutto. Ieri uno mi è passato sopra la testa con una bicicletta. Mi stavano scattando una foto sdraiato sul marciapiede, con gli occhi rivolti al cielo. E mi hanno investito con la bicicletta, così non sapevo se prenderla e gettarla nel Reno, o come accidenti si chiama, oppure fare il signore, cosa che peraltro mi riesce benissimo. Adesso finalmente capisco lo stato d'animo dei cosiddetti “hooligan”. E vorrei aiutarli come posso.» (ride)
“Vedere la luce” mi sembra un'espressione decisamente forte. «Devi ricordare che ero perseguitato in modo orribile dall'assurda ombra degli Smiths. E mi sono arrabbiato. Per anni ho dovuto conciliare il genio, o la grandezza, degli Smiths, con i giornalisti e con il pubblico. Ne sono uscito con le ossa rotte. Ma dopo la fine prematura del gruppo, sembrava che tutti quanti volessero analizzare, nei minimi particolari, ogni retroscena degli Smiths. E mi sono infuriato. È la temuta nostalgia. Non tenere in conto una cosa finché non c'è più. Ecco perché, te lo anticipo già, sarei più felice di parlare di me–oggi e domani–se possibile.» Se vuoi dire che non ti va di parlare degli Smiths, certo che è possibile. «Al momento reputo gli Smiths un gatto morto che va seppellito in una scatola di scarpe in fondo al giardino. E questo non significa sputare addosso a chi magari dovesse entrare qui con una maglietta degli Smiths. Questo non lo farei mai. Ma il mio passato mi nega quasi un futuro. L’ironia è che, ai tempi, mi accusavano sempre di essere immerso nel passato, tra Will Hay e i New York Dolls. Oggi che invece voglio parlare del presente, i giornalisti continuano a chiedermi del passato. Un curioso capovolgimento. Quindi, per quanto riguarda gli Smiths, ho indossato l'elmetto… e impongo l'oscuramento.»
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Stuart Maconie Perché hai deciso di fare un tour adesso? «Mah, potevo partire in tromba anche due anni fa ma non sarebbe stata la scelta giusta. Sarebbe mancato l'amalgama con i musicisti che mi accompagnavano. E il mito degli Smiths mi stava ancora avvinghiato alle caviglie come alghe bagnate, mi impediva di muovermi... poi all'improvviso è sparito tutto. E ho conosciuto dei musicisti che, be', mi hanno fatto vedere la luce e mi hanno reso molto soddisfatto di quello che sto facendo. E così eccomi qui… in Danimarca!»
Mi sembra giusto. Allora, che effetto ti fa salire sul palco sapendo che il pubblico muore dalla voglia di toccarti? «Oh, be' (ride), se la metti così! È drasticamente semplice. A rischio di sembrare più pomposo di quanto sono, sono sempre stato più amato che ammirato. I musicisti sono ammirati. Io invece sono sempre stato amato e lo sentivo. E preferisco così. Voglio dire, Eric Clapton è ammirato. Ma chi potrebbe amarlo? Sua madre, forse. Non occorre troppa scienza per dire che il pubblico rispecchia l'artista. I maniaci dell'heavy metal più sudicio attirano altri metallari. Ma se, come me, provi a fare qualcosa con una certa dose di passione, di vocazione o di amore, attiri gente così. Mi capiscono.» I tuoi fan rappresentano una categoria a sé? «Direi di sì. Sono un gruppo abbastanza atipico all'interno del pubblico pop. Non me ne vengono in mente altri, come loro. Se guardi il pubblico del pop, molto 189
Morrissey esce allo scoperto! (per un drink) «Non mi drogo, non bevo alcolici se non quando sono costretto, cioè due volte al giorno, perciò ti prego di accettare questa affermazione come prepotentemente chiara. Spero che i giornalisti smettano di voler scrivere continuamente degli Smiths e dei “bei tempi”; dei giorni in cui avevamo pessime recensioni e a volte non suonavamo nemmeno bene.
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sono un fenomeno unico e strano… a parte quelli che mi hanno abbandonato, ovviamente!» Ma riesci a capire che cosa li spinge a buttarsi sul palco e sfiorarti l'orlo dei vestiti?
Stuart Maconie
spesso riesci a intuirne le opinioni. Ma seguardi le persone che mi apprezzano,
«Se devo fare un ragionamento freddo e analitico, ti direi che succede semplicemente perché il mondo del pop lo permette. Se mi trovassi da Marks & Spencer e incontrassi cinque-sei di queste persone, sarebbero molto gentili. L’atmosfera di un palasport invece permette di esprimersi. Per strada non puoi comportarti allo stesso modo, e questo è triste. Un'emozione così fragorosa aspetta di uscire, e le luci basse e la musica alta possono tirarla fuori. «Ma quando riesco a essere meno autocritico, credo davvero che abbiano grande stima di me. E curiosamente, da quando siamo partiti da Dublino, a Parigi, in Olanda, in Belgio e adesso qui, il fenomeno si è estremizzato. Non so dire perché, visto che il loro inglese non è granché e io non parlo altre lingue. Ma dato che America a parte non sono minimamente pubblicizzato da nessuna parte, mi conforta sapere che evidentemente si tratta di passaparola. Sono un circolo privato e straordinario.» Mi dicono tutti che sei molto su di morale in questi giorni. «Mi do talmente tanti pizzicotti che le gambe sono diventate marroni di lividi. Sono paurosamente felice. Ogni cosa per cui ho lavorato negli ultimi ventiquattro mesi è venuta bene, e al cuore di tutto ci sono le quattro persone con cui collaboro, che spero non trascurerai. Sono essenziali per tutto quello che faccio e sono, anche se non mi crederai–be', magari tra cinque anni sì–sono i migliori musicisti con cui ho avuto la gioia di lavorare.» Prevedo già che qualcuno rimarrà a bocca aperta per questa affermazione. «Rimarrà a bocca aperta, ma con sollievo, spero. Sicuramente saranno contenti del prolungamento della mia tessera della biblioteca. Sono semplicemente i migliori, e l'ultima settimana di concerti è stata la migliore che abbia mai vissuto.
«Questi musicisti sono migliori–e l'armonia dell'organizzazione… be', diciamo solo che per me è tutto molto prezioso. E spero che se ne rendano conto adesso, piuttosto che nel 2001. Non vorrei aspettare di essere investito da un furgoncino del latte prima che tutti si accorgano della grandezza di questo gruppo.» 191
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Pensi sia vero che hai sfruttato le interviste meglio dei tuoi colleghi: per esempio, per proseguire un dialogo con i tuoi fan? «Non necessariamente. So perfettamente che questa conversazione non è soltanto tra te e me. (pausa) C'è qualcuno che origlia dal buco della serratura, e sappiamo entrambi chi è! Ma, sinceramente, la falsa intimità dell'intervista per me è sempre difficile da gestire. Un po' come apparire in televisione. Non è che dica cose non vere, ma sai quanto artificio c'è in un'intervista. «Pensa alle interviste che fai per il nme!… anzi, no. Sono sicuro che è troppo sordido!» Secondo l'opinione generale, sei la miglior intervista del mondo. «Oh, sei troppo gentile e scommetto una sterlina che questo non lo scriverai. Ma, per essere autocritico, sono giunto alla conclusione che questo è perché tutti gli altri sono dei mostruosi buffoni! Vista la concorrenza, è facile fare bella figura… o almeno brillare di luce propria. La stampa rock attualmente è obbligata a creare dei personaggi da un noioso branco di nuovi gruppi e artisti. Io non ci casco.» È giusto dire che avevi una storia d'amore con la stampa musicale inglese che poi è finita male? «È capitato, ma non è detto che debba per forza continuare così. Si è rovinato tutto nel settembre dell'89 quando mi sono semplicemente stancato di rispondere sempre alle stesse domande ripetute mille volte. In più il vento era cambiato e cominciavano a prendermi a pesci in faccia. Credo che nei media ci sia una precisa convinzione: hai cinque anni di tempo dopodiché pensano che siamo sicuramente ricchi e felici quanto basta per continuare senza la trivialità dei nostri affetti. La gente si stanca di vedere sempre le stesse facce e sicuramente è andata così anche con me. E malgrado quello che si dice, l'ho accettato. Dopo aver parlato in continuazione per tanto tempo è stato meraviglioso rilassarsi e starsene a guardare gli altri per vedere chi emergeva. Ma non è emerso nessuno. Se pensi che i Manie Street Preachers abbiano qualche significato per qualcuno, ti illudi.» Disprezzi i giornalisti adesso? «No. Anzi, da piccolo avevo la grande ambizione di fare esattamente quello che fai tu adesso, ma per fortuna ho trovato qualcosa con un po' più di… libertà d'azione. Ammettilo, dev'essere il massimo della noia dover scrivere con entusiasmo di tutti quei gruppi che non sopporti! Sembrerà un'osservazione esagerata, ma col passar del tempo la mia personalità viene confermata a quei giornalisti che non mi possono soffrire. Non fanno altro che riempirmi di critiche che in realtà sono elogi. Ci sono certi giornalisti che professano di reputarmi inutile e poi non riescono a compilare nemmeno il modulo di richiesta della patente senza citare il mio nome. Si vede che per loro conto più delle loro stesse madri. E con quell'odio incessante e poetico nei miei confronti, mi hanno reso importante. Al punto che non fa niente se Sing Your Life entra nella Top 30 o meno, o se le vendite dei miei dischi in Inghilterra diminuiscono o meno.» Come valuti il tuo presunto “declino”? (ride) «Be', un articolo sul mio «declino» finisce sulla copertina di ogni rivista patinata. Certo, se fossi sul serio in declino nessuno scriverebbe una parola su di me perché sarebbero troppo impegnati a scrivere di altri gruppi. Presumo che tu stia mettendo tra virgolette la parola «declino», e questo «declino», a quanto pare, è più importante di ogni altro gruppo o artista al mondo. E comunque, chissà perché, gli articoli che mi riguardano, elogi o stroncature che siano, non sono mai noiosi. È sempre una lettura piacevole.»
Stuart Maconie Ma tu stesso hai fatto riferimento ai «singoli estemporanei» che hai fatto uscire ultimamente. Non è un'espressione che li svilisce? «No, non necessariamente. Li trovo molto divertenti, ma senz'altro è un umorismo reevesiano. Conosco Vie Reeves e mi ritrovo molto in lui. Se fosse nato trent'anni prima la madre e la zia lo avrebbero rinchiuso uso in una stanza buia. È una forma di follia. E noi abbiamo la fortuna di poterla esprimere in modo divertente e socialmente accettabile. Anziché follia, la chiamano eccentricità. Ce ne sono milioni come me in giro–un pensiero spaventoso–che vogliono cantare, scri-
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Morrissey esce allo scoperto! (per un drink) «Se fossi diventato un patetico sfigato che nel 1987 era finito a iscriversi nelle liste di collocamento nelle cupe viscere di Manchester Sud, mi avrebbero messo su un piedistallo irraggiungibile. Come disse una volta un certo Oscar Wilde, i tuoi amici apprezzeranno–e sono sicuro che sai completare la frase–tutto di te tranne il successo. Lamenteranno con piacere il fatto che una volta eri un cantante di fama internazionale ma dovresti alzarti e andare avanti…»
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largo solo quanto basta per fame passare uno o due. E così, anche se mi si gelano le labbra quando lo dico, suppongo di essere uno dei fortunati.» (ride) E cosa ti rende così speciale? «Be’… perché tutti gli altri sono noiosi da morire, suppongo. Devo conti-
Stuart Maconie
vere e scavalcare il muro. Ma non lo faranno mai. Temo che il buco nella rete sia
nuare? Se esamini la mia posizione, e so che l'hai fatto, vedrai che la posizione di Morrissey nel pop inglese è assolutamente centrale ma decisamente problematica.» Sei una persona diversa dal ragazzo che cantava Hand In Giove? «Sì, ho molta più fiducia in me stesso. Ho fatto tanto, direi. Ho fatto un enorme investimento emotivo sugli Smiths e qualcosa… be', qualcosa è andato leggermente storto, per modo di dire (soffoca una risata). I risultati che ho ottenuto da solista mi sembrano scandalosamente sottovalutati, mentre quelli di certi altri ex Smiths sono stati scandalosamente sopravvalutati. Forse nei miei confronti c'è stata meno simpatia perché sono sopravvissuto. Sono venuto fuori e ho mantenuto un seguito riconoscente e di notevoli dimensioni.
Ritieni che ci sia stata slealtà nei tuoi confronti? «Assolutamente sì. So che un sacco di gente vive di stampa musicale e quando leggono che Morrissey è un cumulo di macerie nell' angolo, se ne convincono assolutamente e ritirano il loro appoggio. Una parte del pubblico degli Smiths si è comportata così e mi ha abbandonato. Ma una fetta consistente è rimasta e di questo sono molto grato. Sono stato avvicinato da gente con la maglietta degli Happy Mondays e i capelli lunghi fino a terra che mi ha detto: «Così siamo infelici. Odiamo gli Happy Mondays. Non ci va di fare questo. Ma dopo di te non c'è stato più niente. Vorremmo che rispolverassi l'uniforme da battaglia». Perfino David Bowie, fra tanti, mi ha detto: «Devi tornare all'attacco». E io ho pensato: «Perché?». Ma ultimamente ho capito perché.» E quale sarebbe il perché? (con enfasi) «Perché è tutto di una noia mortale! Mi sono rotto le palle di prendere il nme e non conoscere chi c'è sulla copertina. D'altra parte, sai che sono un tipo all'antica. Sai che credo nel talento. Sai che ho degli standard e non li abbasserò certo per adeguarmi alla tendenza. Non mi spaventano le persone solo perché si presume che siano di moda. Credo assolutamente nel talento e non mi imbarazza dirlo, anche a costo di sembrare Eric Morley.» 195
Morrissey esce allo scoperto! (per un drink) Ed è un'ipotesi ragionevole? «Sì, penso di sì.» Stai dicendo che quell'indefinibile qualcosa che rendeva gli Smiths più speciali di ogni altro gruppo, sostanzialmente fossi tu? «Se la metti così sarei d'accordo con te. Ma non voglio entrare nel perché e nel per come degli Smiths perché sarebbe bello seppellire quel gatto morto di cui ti parlavo prima.»
«Poco tempo fa ho sentito un programma alla radio dove si parlava di questo gruppo che si era formato nell'atrio poche ore prima, ed esaminando la mia situazione con la emi mi sono reso conto che sono ancora nel posto sbagliato al momento sbagliato. 196
«Sai anche tu che quei gruppi di Manchester non sono un granché, o i loro contemporanei se è per quello, già dal modo in cui Radio One li ha lanciati con tanto entusiasmo. Se fossero anche vagamente pericolosi, i grassoni barbuti dell' establishment non li avrebbero mai sostenuti. La censura del pop è in vigore, qui e in
Stuart Maconie
E non ne vedi molto in giro…?
America, e io ne sono oggetto. L’altro ieri ho visto un programma americano in cui si elencavano gli artisti che si dovrebbero censurare, e immediatamente dopo Ozzy Osbourne c'era la copertina di Kill Uncle. So di essere sulla lista nera, ma lo prendo come un onore, perché tutti i gruppi che hanno avuto qualcosa da dire sono stati censurati. Tutti i più grandi scrittori inglesi sono finiti in esilio, anche se non ho la sfacciataggine di inserirmi in quella compagnia.» Sei francamente orgoglioso dei tuoi dischi solisti oppure pensi: «Be', quello era abbastanza buono, ma questo proprio non va»? «Sì, ma l'ho sempre fatto. Quello che mi stupisce è il numero di persone che dicono che i miei dischi solisti non sono belli come quelli degli Smiths. È una logica che non applicano alle incisioni di nessun altro ex Smith. Perciò praticamente stanno dicendo: «Morrissey, riteniamo che gli Smiths fossi tu». Se do retta a tutta la baracca che mi circonda, pare che il mondo intero pensi che io fossi gli Smiths.»
Credi di aver esercitato un influsso? Hai davvero, come ho letto di recente, ampliato il vocabolario della canzone pop? «Oh sì. Sento la mia influenza in certi gruppi moderni di successo, ma prima che me lo chiedi, non ti dico quali perché è giusto così. Anch'io sono stato fortemente influenzato da altri artisti. È affascinante e perfettamente ammissibile scavare nelle idee degli altri. Anzi, è vitale per la creatività.» Ma che ne pensi del sound che impazza nelle classifiche pop di oggi? Non è la completa antitesi di quello che rappresenti tu? «Oh, hai perfettamente ragione. Il bello è che nell'arco di vita degli Smiths la musica indipendente non veniva mai trasmessa di giorno alla radio. E sembrava che tutto questo fosse cambiato esattamente il giorno dell'amputazione degli Smiths. All'improvviso la musica indipendente passava alla radio di giorno.
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Morrissey esce allo scoperto! (per un drink) Agli inizi della carriera... «Ma davvero? Una carriera? Detta così sembra che sia andato all'Ufficio di collocamento per chiedere se avevano dei posti da “tremendo piantagrane”.» 198
James. Sono buon amico di Tim e Martine (manager dei James) da molti anni e so quanto si sforzano. Il loro successo è il primo veramente meritato di tutti i nuovi gruppi di Manchester, anche se quando ho saputo che sarebbero andati al talk show di Wogan per poco non facevo cadere la teiera, inorridito. Ma mi pare che
Stuart Maconie
«Quindi sì, sono addolorato per il successo di questo nuovo gregge… tranne i
sia andata molto bene, se devo esser sincero.» Ma il tuo genere di pop è morto? «Sì. Circa centoventi anni fa, quando The South Bank Show ha prodotto “un' iniziativa” sugli Smiths, ho pronunciato una frase impercettibile sulla “morte del pop” e tutti hanno detto: «Oh, questo lodici tu, lascia una possibilità anche a noi». Ma io credo davvero che sia morto e sepolto. Da quel punto tra la prima Estate dell'Amore e il 1983 non è successo niente. Non c'è niente di nuovo, nessuno che dia un contributo autenticamente originale. «Il pop inglese ha ceduto alle influenze americane, e non a quelle positive, ma quelle più basse, sciatte e ottuse. Lo trovo criminosamente triste. Non voglio una Top Ten zeppa di Manfred Mann, Twinkle e Dave, Dee, Dozy, Beaky, Mick & Titch, checché ne pensi la gente, perché sarebbe da malati. Ma se guardo Top of the Pops o, oso balbettarlo, mtv, cambio subito canale. È come guardare un incidente stradale. «Ma continuo a sperare. Non è il «modo che ho scelto per guadagnarmi da vivere», per usare le tue parole. È una vocazione, alla peggio una malattia. A un certo punto ho anche pensato di sparire semplicemente nella Foresta di Dean… no, non quella foresta, un'altra! Adesso invece mi rendo conto che andrò avanti a oltranza finché la emi non sarà costretta a portarmi in un campo e fucilarmi. Ma non voglio far parte della bolla del pop. E lei non vuole me. L’industria non vuole sfiorarmi nemmeno con un dito.» Come mai? «Perché ho una voce terribile, naturalmente.» Terza verità di Moz. “Ha una voce terribile”, “è deprimente” ecc. Sono sicuro che qualcuno ti accuserebbe di essere deprimente anche se facessi un disco comico in tutto e per tutto. «Oh, ma guarda che l'ho fatto, Stuart! Non hai sentito November Spawned A Monster?»
Ai tempi degli Smiths–e anche oltre–hai fatto dei commenti e dei dischi esplicitamente politici: sulla famiglia reale, la Thatcher, ecc. Sei ancora “politico”? 199
Morrissey esce allo scoperto! (per un drink)
«Quindi non ho speranze nella politica e, stranamente, l'“omicidio” di Margaret Thatcher è stato l'ultimo momento di interesse. John Major non mi dice niente. Della Guerra del Golfo non m'importava niente, né volevo saperne.
«Non sarei mai capace di essere razzista, anche se porto questa maglietta e anche se sono molto contento che un numero sempre maggiore del mio pubblico sia composto da skinhead con le unghie smaltate. E non sto scherzando, quello è veramente il pubblico perfetto per me. Ma non sarei mai capace di essere razzista, e chi mi accusa di esserlo fondamentalmente è la stessa gente che non sopporta la vista della mia persona. Non è il caso di concedergli la nostra attenzione.» Possiamo tornare un attimo indietro? Il tuo pubblico perfetto sono gli skinhead con le unghie smaltate? «Sì, stanno spuntando come funghi ed è molto incoraggiante. Come sai benissimo anche tu, il pubblico di tutti quei gruppi che arrivano dalla piccola isola di Manchester si veste con uno stile totalmente americano che trovo sconcertante. Perciò vedere una marea di skinhead con lo smalto sulle unghie… in qualche modo rappresenta la Gran Bretagna che amo. Non sarebbe orribile ritrovarsi “seguiti”, per così dire, da gente che non volevi? Dovresti scoprirlo da te…» In che senso gli skinhead rappresentano la Gran Bretagna che ami? «Be', correggimi se sbaglio, ma mi pare che lo skinhead sia una creazione interamente britannica. Se mai mi dovesse chiedere un autografo uno che indossa quelle orrende scarpette da baseball dei Cure, lo interpreterei come un monito dagli Inferi che il sipario sta calando. Sarebbe il marchio a fuoco dell'Inferno.» Aneli a una Gran Bretagna mitica? «Forse. Ormai non c'è più di certo. L’Inghilterra non solo non domina più i mari, ma è addirittura affondata. E rimane soltanto un relitto. Ma tra quei resti splendono squarci di positività.» Se non sei razzista, allora sei un patriota? «Sì. Ho molte difficoltà a viaggiare. Mi manca l'Inghilterra. Ma le ultime interviste che ho concesso si sono concentrate (e non su mia istigazione) soprattutto sul declino degli studi Ealing e di Alastair Sim. Do l'impressione di non fare altro che pensare dalla mattina alla sera alla fiera Europa di un tempo, ma non è affatto così. È un altro fantasma che bisogna esorcizzare, come quella diceria che i miei fan siano tutti pateticamente devoti Virginia Woolf che non sanno ballare.» Ma non puoi negare la loro devozione. Perché si sentono così? «Perché sanno che non sono mai stato una sgualdrina. Non sono mai stato, detta chiaramente, una puttana. Non ho mai inseguito il denaro. Il che, in questo bieco mondo, non è cosa da poco. Quando chiudi la porta della tua stanza d'albergo alla emi Belgio, sei un bel piantagrane. Anche la emi inglese… hanno promosso Viva Hate molto bene, ma adesso non sanno che fare. Non ho promozione in nessun senso del termine. Santo cielo, in Inghilterra la emi non riuscirebbe a far passare alla radio uno dei miei dischi nemmeno se il futuro dell'etichetta dipendesse da questo. 200
parato dal mondo della politica. Trovo sempre più difficile interessarmene. Ogni tanto mi capita di sentire qualche voce assennata, come Clare Short o Tony Benn, e ovviamente sono quelli che vengono più disprezzati e imbavagliati.
Stuart Maconie
«Mah, la tv la guardo di rado. Non leggo giornali. Mi sento completamente se-
«Quindi sono certamente meno politico di prima.» Certe canzoni come Asian Rut e Bengali In Platforms hanno spinto alcuni critici a tacciarti di razzismo. «Be', certo, sono gli stessi che tremano all'idea che scriva di una persona costretta sulla sedia a rotelle. Non si può. Non si può dire “asiatico” o “bengalese”, a prescindere da quello che poi segue nel testo, a prescindere da ciò che vorresti dire in merito.
«Nel ’91 ho la stessa sensazione che avevo nell'83: che tutto quello che ho ottenu201
Morrissey esce allo scoperto! (per un drink) Quando Oliver Stone troverà il tempo di girare il film, sarai lusingato? «Direi proprio di sì. E mi piace molto la tua idea di farmi interpretare da Dirk Bogarde. In fondo, Dandy Nichols è morto.» E le altre, diciamo così, figure centrali del tuo dramma? «Non ce ne sono. Ma se proprio insisti, sono sicuro che certi membri dei New Order sarebbero perfetti!» Ami i tuoi nemici? «Li comprendo. E poi do disposizioni perché gli spacchino la faccia. Ho amici altolocati. A Tower Hamlets, per esempio…»
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azioni legali. «Immagino che prima o poi i miei singoli smetteranno di entrare nella Top 40 inglese. I dischi diventano hit perché lo decide la casa discografica. Gli emf ne sono l'esempio perfetto. Ma la mia situazione è precaria. Non direi che mi aspetto
Stuart Maconie
to me lo sono guadagnato da solo. Le uniche cose che ho ricevuto sono fatture e
di essere mollato, ma potrei ritrovarmi in archivio prima che questa intervista sia finita. In America, la Sire non potrebbe essere più entusiasta. Di conseguenza, pare che mi vogliano lì. I miei dischi vendono bene come hanno sempre fatto durante il periodo in cui sono stato con gli Housemartins» (risate a più non posso)… Qual è stato l’ultimo disco che ti ha entusiasmato? «Ehm… Rockin' In The Cemetery di Ronnie Dawson. È il primo brano sulla cassetta che abbiamo messo.» Ah, rockabilly. La tua presunta nuova passione! «Be', ho dei vaghi ricordi di canzoni come Vicar In A Tutu, Shakespeare’s Sister e Rusholme Ruffians e mi pare che nelle prime interviste parlassi di Elvis. Ingigantiscono sempre tutto. Se cito un artista rockabilly non ne consegue necessariamente che me ne vada in giro con pantaloni a tubo e un codino enorme. Trovo semplicemente che molto rockabilly sia entusiasmante, a differenza delle canzoni pop moderne.» Come vorresti essere ricordato dai posteri? «Se non suonasse troppo alla Malcolm Muggeridge, mi piacerebbe che dicessero che scrivevo col sangue, non con l'inchiostro. Sembro Malcolm Muggeridge? Alan Bennett? La mia reputazione mi precede e posso soltanto seguirla. E non è particolarmente studiata. Non sono mai andato da un agente teatrale. E dicano pure quello che vogliono, io ho vinto. In un certo senso, la battaglia è finita. È finita quando Viva Hate è arrivato al primo posto. tutto il resto è stato un fantastico bonus continuo.»
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a quando vuoi vivere, come inizi, dove vai, chi hai bisogno di conoscere? Quando il miglior compositore e il miglior cantante/paroliere di una generazione si incontrano, volano inevitabilmente scintille. La dissoluzione degli Smiths ha lasciato sia Morrissey sia Marr improvvisamente soli, e tutti e due sono passati da una collaborazione all'altra, a volte anche spiacevole. Le uscite soliste di Morrissey hanno coinvolto una nutrita schiera di personale dietro le quinte: Stephen Street, Vini Reilly, Andy Rourke, Langer e Winstanley, Mark Bedford e ultimamente Mark Nevin. Questa mancanza di un collaboratore regolare, con cui fare coppia fissa, ha destato una certa ilarità nella stampa musicale. E l'altezzoso sospetto non ha mai raggiunto vette così alte come quando Morrissey ha annunciato che la sua nuova band era una gang di ribelli rockabilly di Londra Nord, tra i quali l'ex Polecat Baz Boorer. L’entusiasmo di Moz per «la combriccola», come li chiama con una certa ironia, è palese. Quando la nostra intervista si conclude verso le undici di sera, ci diamo appuntamento al bar dell'hotel, ma prima mi ripete gentilmente ma con fermezza la richiesta di scambiare qualche parola anche con la band. Ci conosciamo tra un bicchiere e l'altro e immediatamente, per quanto sia dura la tua corazza di cinismo, il loro entusiasmo ingenuo ti contagia. Il passaggio dal circuito dei pub della capitale alle orde in delirio negli stadi europei è stato rapido; un cambiamento che li ha lasciati confusi e riconoscenti. Boorer è quasi una piccola leggenda nel mondo del rockabilly, mentre gli altri–il chitarrista Alan, il bassista Gaz e il batterista Spencer–sono quanto di più distante ci sia dallo stereotipo «indie». Sono cresciuti beatamente ignari di Cure, Bauhaus e Sisters of Mercy o, meno beatamente, di Fall, Joy Division, Aztec Camera e addirittura… «Non siamo mai stati fan degli Smiths» dice Alan allegramente «e secondo me è uno dei motivi per cui ci siamo trovati così bene con Moz. Il fatto che stesse negli Smiths non significa molto per noi. Penso che questo gli faccia piacere, perché significa che lo prendiamo per quello che è, cioè un tipo in gamba, più che per il suo passato. Non vedeva l'ora di avere alle spalle una band, una vera band, invece di un mucchio di turnisti. E come band, ce la caviamo benissimo.» Per il batterista Spencer, gli anni dell'adolescenza implicavano «gli Who, i Kinks, Jimi Hendrix e le tumultuose scorribande con i mod e gli skin su Carnaby Street.» Per Gaz, era «il punk, lo ska e il rock'n'roll degli anni cinquanta ». Hanno tutti una vaga consapevolezza che gli Smiths e Morrissey significassero qualcosa di smisuratamente speciale per un gran numero di persone, ma al di là di quello, come fa notare Gaz: «Mi piace molto quello che suoniamo sul palco. Ma non avevo mai sentito bene le cose di Morrissey prima. Se qualcuno me l'avesse fatto conoscere meglio, magari ci avrei preso gusto prima, ovviamente». Spencer non ha mai ascoltato gli Smiths, ma conosceva vagamente il nome. «Era il tipo di musica che se passava alla radio, spegnevo.» Anche Alan mantiene una posizione neutrale per quanto riguarda gli Smiths, ma ritiene che Bona Drag sia un ottimo disco. «Sono un grande fan del suo materiale più recente.» Si sono imbattuti in Morrissey tramite un «club rock di Kentish Town» , e visto che lo stile sottoculturale dei rockabilly inglesi esercitava chiaramente un certo fascino su Moz, successivamente ha chiesto loro di apparire nei video di Our Frank e Sing Your Life. A quello hanno fatto seguito alcune collaborazioni come turnisti e, alla fine, Morrissey ha deciso di usarli come
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band fissa. Il sound è grintoso,organico e chitarristico, ovviamente una sonorità che Morrissey adora. Spencer mi mostra le mani coperte di vesciche e mi ricorda, in modo surreale, che «l'unica velocità che conosco è “a tavoletta”». Boz è abbastanza pratico del mestiere. Dopo aver fatto del lavoro in studio con Morrissey prima di Natale, aveva sentito parlare di un tour ma non ci aveva più pensato fin quando non è stato richiamato in tutta fretta dalla moglie mentre guardava un vecchio veterano del blues a Bumley. «Mi ero appena preso un periodo di pausa dagli studi di registrazione dove lavora vo, ed eccomi qua! All'inizio vivevamo alla giornata, ma adesso pare che la band abbia un futuro.» Lavorare con tanti artisti, da Sinead O'Connor ai Deep House, lo ha reso abbastanza flessibile, ma riempie di lodi i compagni più giovani: «Considerato che finora avevano suonato soltanto musica rock, si sono adattati benissimo». Tutti sono comprensibilmente felicissimi della scatenata reazione mostrata finora dal pubblico. «Un orgasmo multiplo» , per usare le parole di Spencer. Non sono minimamente imbarazzati dall'ovvia e intensa concentrazione degli spettatori su Morrissey. «Il protagonista è lui» dice Gaz. «Lo spettacolo è il suo, e io sono ben contento di farne parte.» Il «protagonista» arriva e prende posto al bancone, stroncando sul nascere ogni possibilità di vederlo già sotto le coperte per le dieci con una tazza di latte al malto, dei fiori schiacciati e una copia di The People's Friend. Invece, ci aspetta un geniale bevitore, sarcasticamente trascinato in una girandola di battute e simpatica cordialità. È tremendamente divertito quando gli dico che il nuovo singolo delle Nolans è disastroso, una specie di Panie lenta e pesante in stile Tina Tumer. «Si è parlato tante volte di una cover, gli Eurythmics e altri, e l'idea mi ha sempre entusiasmato, ma poi non se n'è mai fatto nulla. So che Chrissie Hynde sta facendo Everyday ls Like Sunday. Ho sentito una versione di prova e, be', mi si sono bagnate le guance.» Preso dallo spirito di gruppo, tento di mettere in conto alla mia stanza un giro di consumazioni spaventosamente consistente. Oh, come rideva la nostra ostessa teutonica quando ci siamo ricordati che io alloggiavo in un altro hotel! Dopodiché i nostri ordini sono arrivati con glaciale velocità e sguardi di tacita disapprovazione, e così ci è venuto in mente di saggiare altri aspetti della vita notturna berlinese. La decadenza di Berlino deve essere ben nascosta di questi tempi, riflettiamo tra noi, mentre sfiliamo lungo le strade in cerca di emozioni. Moz e la cantante spalla Phranc fanno i buffoni per strada in maniera incoraggiante, fingono di picchiarsi, lottano giocosamente uno con l'altra, e generalmente si beccano con affetto. Qualcuno scorge delle luci stroboscopiche «da discoteca» in cima a un palazzo di uffici, ma senza ascensori funzionanti e nessuna scala visibile, possiamo solo restare lì sotto a immaginare l'orgia di depravazione in corso lassù. Qualcuno nota un uomo con un ciuffo sulla fronte, che immediatamente, e a mio parere erroneamente, viene subito preso per un maestro di stile, fine conoscitore della vita notturna. Ho ragione. Ci indirizza verso un postaccio spaventoso dove l'unico divertimento è vedere Moz che fa la fila con herren und frau per farsi mettere il timbro sulla mano. Dentro, giovani corpulenti giocano a biliardo mentre alcune ragazze palesemente dementi si trascinano svogliatamente al ritmo di una vecchia B-side di Donna Summer. È l'ultimo ricordo che ho della band. Spero sinceramente che siano usciti. Fuori, Phranc si ricorda di un bel club accanto alla
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vecchiacasa di David Bowie. Tragicamente, nessuno ricorda dov'è, ma conoscendo la precisione tedesca, probabilmente sarà su «Vecchiacasadidavidbowiestrasse». Quando la pizzeria storce il naso alla nostra presenza, il buon senso ci dice che è ora di chiudere la serata. Diverse domande rimangono senza risposta: sul futuro, sullo smalto alle unghie e sul perché i tedeschi mettano quei centrini di carta sul gambo dei bicchieri di birra, ma l' esuberanza di Morrissey è indubbia, sia per i fan sia per il cinico. Quando lo porteranno in quel campo per fucilarlo, Popstrasse sarà un posto infinitamente meno interessante.
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OH LA LA! di Adrian Deevoy Q, Settembre 1992
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onsieur Morrissey?» domanda perplesso il portiere dall'aspetto giovanile. «Un gruppo pop, non?» Di sopra, nella sua stanza al terzo piano di questo hotel parigino sfarzoso fino alla nausea, monsieur Morrissey, gruppo pop, ha appena ricevuto la grafica definitiva del suo nuovo lp, Your Arsenal. In copertina c'è una fotografia del cantante dal vivo, con la lingua di fuori e la camicia aperta (la cicatrice sullo stomaco è un gentile omaggio del Davyhulme Hospital), mentre scuote allusivamente il microfono all'altezza della patta. Morrissey la studia attentamente, poi la allontana a distanza di un braccio e strizza gli occhi con fare imperscrutabile–sarà forse la miopia?–per osservare meglio la sua immagine. «Che te ne pare?» chiede alla fine. Si può usare la parola “omoerotico”? «È questa l'impressione che ti dà?» domanda, inarcando un sopracciglio con aria divertita. «Sei il primo che lo dice e mi fa piacere.» Poi lo sguardo si fa pensieroso: «Qual era la domanda?». Be', una volta eri pelle e ossa e adesso sei diventato tutto muscoli. Che ti è successo? «Niente» alza le spalle con ritrosia. «È successo tutto all'improvviso, è stato un miracolo. Non ho seguito nessun corso di cybergenetica. Per una volta, la natura è stata generosa.» A giudicare dal titolo, sei ancora un cultore delle allusioni. «Non so proprio di cosa stai parlando.» Di Your Arsenal, veramente. «Non mi chiederai mica che cosa significa?» dice con aria sprezzante, per poi ammettere: «In parte, c'è qualcosa di piacevole nelle allusioni. Mi piace pensare che a volte siano fatte in modo abbastanza brillante. Di certo non sono stupide». E l'unico scopo della copertina è una diffusa eccitazione sessuale? «Ma via» sospira, evocando una battuta finale tipicamente morrisseyana. «E a che servirebbe?» Morrissey è en France e in piena forma. La sua carriera da solista ha appena superato di poco la durata di quella con gli Smiths. A volte dice di avere la sensazione che negli ultimi dieci anni non abbia fatto altro che scrivere, incidere e interpretare canzoni. Ma così facendo è diventato uno dei più acclamati cantautori britannici e sicuramente il paroliere più raffinato che abbiamo. La sua vita passata–che è stata fonte di ispirazione (o di disperazione, direbbe lui con la solita teatralità) apparentemente inesauribile per le sue canzoni–è stata recentemente passata al setaccioper una sorta di biografia non autorizzata dal titolo altisonante, Morrissey & Marr The Severed Alliance:
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The Definitive Story of The Smiths. Prima della sua pubblicazione, Morrissey ha rilasciato una dichiarazione come al solito decisamente sopra le righe, auspicando la morte immediata dell'autore, Johnny Rogan, in un tamponamento a catena sull'autostrada. Oggi, mentre il sole splende sulle rive della Senna, Morrissey è in vena di clemenza. Basta solo che Rogan faccia una fine lenta e dolorosa, dice sorridendo, e lui sarà felice lo stesso.
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È passato molto tempo dall'ultima volta che hai concesso un'intervista. «Date al pubblico quello che vuole. Lo dico sempre.» Pensi che il nuovo disco aumenterà il tuo appeal? «Ci scommetterei una sterlina.» A quanto pare hai una percezione molto precisa del tuo mercato. «“Mercato” è una parola orribile. Mi fai sembrare Pete Beale.» Ma sei consapevole della tua grandezza? «Non ho le dimensioni esatte.» (ride) Non ti senti eccessivamente protetto? È molto difficile contattarti. «Ma io abito a Primrose Hill. Il servizio d'autobus è pessimo. Sono una persona molto riservata e protettiva. Non so cosa significhi essere una rockstar. Non vado in giro a comprare yacht con una guardia del corpo. No, sono fatto semplicemente così. È la mia personalità.» Evitare gli altri? «Non evitare gli altri, ma non ho tutta questa voglia disperata di fare presenza alle feste, ecco… Non ricevo neanche inviti, ma questo c'entra poco.» Morrissey & Marr: The Severed Alliance. L'hai letto? «Un mio amico ne aveva una copia, l'ho guardato di traverso per tre giorni dall'altra parte della stanza, ma poi la curiosità mi ha spinto a consultare l'indice. Giusto per vedere chi aveva parlato troppo.» Sei rimasto traumatizzato? «Certe cose mi hanno shoccato. Lo pubblicizzano come la storia definitiva degli Smiths. Ovviamente, l'unica storia definitiva degli Smiths è la mia, se mai verrà raccontata. Sembra che questo tipo–Johnny Rogan–essenzialmente abbia intervistato tutti quelli che ce l'hanno con me. Le persone che mi sono state accanto negli ultimi dieci anni non le ha neanche avvicinate. Poi ho visto altre recensioni e mi sono rattristato, perché dicevano tutte «Finalmente! Ecco la verità! Quante informazioni portate alla luce!». Sostanzialmente, per tre quarti sono palesi bugie. Il resto è abbastanza veritiero. Quando è stato pubblicato il libro ho rilasciato una dichiarazione che diceva: Chiunque compri questo libro vuole mettere alla prova la sua intelligenza. Per quello che posso dire, viste le cifre di vendita, ce ne sono parecchi che hanno bisogno di mettere alla prova la loro intelligenza.L’ha comprato un sacco di gente e ovviamente tanti crederanno a quello che leggono. A maggior ragione, allora, spero che l'autore muoia nell'incendio di un hotel.» Presumo che ti sia stato proposto di contribuire al libro. «Be', ovviamente Johnny Rogan va raccontando alla stampa di avermi contattato. Non l'ho mai incontrato e non c'è stata nessuna conversazione. Una sera è squillato il telefono e lui ha detto «Sono J…», al che ho messo giù. Mi ha scritto varie lettere nell'arco di tre anni, ma a stento le ho aperte.» Ha contattato tua madre? Il libro non è troppo lusinghiero nei suoi confronti. «Sì, l'ha contattata, ma lei non ha voluto saperne. Questo Rogan non ha sentito nessuno della mia famiglia. Ha parlato solo con persone ai margini della vicenda e con Johnny Marr. Poi, dopo che l'aveva intervistato, ne ho discusso con Johnny Marr e lui si è pentito di avergliela concessa.» Tua madre l'ha letto? «No. Basti dire che se avesse un bastone fra le mani…» Il libro assomigliava, curiosamente, alla biografia della principessa Diana. «Oh, quello è colpa delle copertine. Sono praticamente intercambiabili.»
Come si fa a fare un disco più fisico? «Basta sbottonarsi la camicia e… (ride) Be', se non lo capisci adesso non lo saprai mai.» Sei più a tuo agio con te stesso? «Sì. A dire il vero sono a metà strada verso i sessantasei anni. Non posso essere classi210
Adrian Deevoy I testi di Your Arsenal sembrano meno nevrotici e impacciati. È dovuto a dei cambiamenti dell'autore? «Non so, glielo chiederò… Comunque sì. Non volevo usare un testo scritto. Volevo fare un disco quanto più fisico possibile, invece di starmene continuamente raggomitolato ai piedi del letto.»
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ficato come particolarmente giovane. Il tempo è passato e non sono più la persona di una volta. Penso di essere cambiato, per certi aspetti. Forse il mondo in cui vivo non è più angusto come una volta. Noterai che ho detto «forse». Non ne sono del tutto convinto.» (ride) Sei sempre stato ossessionato dall'incedere del tempo, vero? «Tantissimo. Lottiamo tutti quanti contro il tempo, ciascuno a suo modo. Io tendo a… farmi un panino al formaggio e rilassarmi. Tutto si risolve. Il tempo passa. Verrà il giorno in cui io e te non saremo più su questa terra. Credo che chi ha questa consapevolezza del tempo, e quindi un'urgenza, sia una persona assolutamente affascinante.» Com'è cambiato il tuo atteggiamento nei confronti della morte? Ti hanno accusato di irriverenza nei confronti del passato. «Di più. Mi hanno accusato di prestare troppa attenzione alla morte in genere. Ho insistito leggermente sull'argomento, ma che male c'è? È una questione abbastanza seria. Soprattutto quando sei sdraiato sotto le ruote di un autobus a due piani.»
Credi che il razzismo sia innato, nelle persone? «Sì. Non voglio sembrare spiacevole o pessimista, ma non credo proprio, per esempio, che i neri e i bianchi riusciranno mai ad andare d'accordo o a piacersi. Non credo succederà mai. I francesi non ameranno mai gli inglesi. Gli inglesi non ameranno mai i francesi. Il tunnel sotto la Manica crollerà.»
Stai dicendo che ne hai avuto esperienza diretta? «Non sono un hooligan, se questa è la domanda. Forse ti sorprenderà. Però li capisco. Tutto qui. Ho un computer a casa, per queste cose.» Non sarà semplicemente che Morrissey ha trovato un altro argomento destinato a suscitare polemiche? «È difficile da credere, ma non è così. Non lo so spiegare in modo dettagliato. Quando vedo dei servizi al telegiornale sulle violenze degli hooligan in Svezia, in Danimarca o altrove, a dire il vero mi diverto. È una cosa così brutta da dire?» Si potrebbe interpretare come tale. «Finché non ci scappa il morto, la cosa mi diverte.»
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Adrian Deevoy Ancora una volta, come in Bengali In Platforms e Asian Rut, hai scherzato pericolosamente con il razzismo nella nuova canzone The National Front Disco. «Mi piace pensare, nel mio piccolo, di non avere limitazioni sui temi che voglio affrontare. Ovviamente, nell'eccitante mondo del pop, la realtà è che siamo tutti limitati. Se decidi di scrivere di persone costrette sulla sedia a rotelle (November Spawned A Monster) o di affrontare il tema del razzismo (The National Front Disco) il contesto della canzone viene spesso trascurato. Tutti guardano il titolo, rabbrividiscono e dicono che qualunque cosa ci sia in quella canzone non dovrebbe esistere perché è un argomento che per milioni di persone è spaventoso.»
La canzone We'll Let You Know sembra solidarizzare con gli hooligan. È così? «Be', hanno decisamente un gran gusto in fatto di scarpe. (ride) Capisco il livello di patriottismo, il livello di frustrazione e quello di esultanza. Nel complesso, li capisco. Capisco la loro aggressività e capisco perché devono sfogarla.»
In questo disco piangi ancora la morte dell'”inglesità”. «Come sempre, no? Sono fatto così. Fa parte della mia indole complessiva. Non riguarda soltanto questo disco. Probabilmente qualche anno fa avrei parlato in tono più scontroso di questa grande tradizione che muore. O meglio, è morta. Queste sono le macerie, ormai.» 213
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C'è bisogno di una guerra per riaffermare la nostra identità? «Credo che ce ne sia già una. Io non voglio essere europeo. Voglio che l'Inghilterra rimanga un'isola. Parte della grandezza del passato è dovuta al fatto che l'Inghilterra fosse un'isola. Non voglio il tunnel sotto la Manica. Non voglio che la sterlina sparisca. Non voglio che i conduttori televisivi britannici parlino con un accento americano. Non voglio la televisione europea. Ma questo non vuol dire che sono un povero scemo che vive in una capanna e mangia paglia. Non vengo da un'altra epoca. (ride) Anzi, sono assolutamente moderno per certi aspetti. Ma non c'è speranza che qualcuno marci attorno a Westminster con… bah, completala pure tu la frase.»
Non sarà che questo ragionamento significa semplicemente che stai invecchiando? «No, questo non lo accetto. Non voglio sembrare ridicolo, ma una parte di me è sempre stata vecchia, e a dire il vero sono abbastanza intelligente per tenerne conto. È di più. È vero, effettivo deterioramento.» Verrebbe da pensare che ormai hai riordinato la tua vita affettiva. «Pensavo, e invece no.» Ci sei andato vicino? «Per niente. Per niente. So che c'è una comprensibile sensazione generale che, una volta passati i ventun anni, certe cose acquisteranno un senso, ma per una qualche curiosa piega del destino sono rimasto sempre sulla stessa strada, il che… mi ha veramente sorpreso.» Ti rendi conto che per la gente è difficile da credere? «Be', per nessuno più di me! Spesso ho la sensazione che le cose debbano andare così per forza. Non dipende esclusivamente da te se hai una relazione con un'altra persona. O è una cosa reciproca, o l'altro decide che cosa succederà. E non lo fa.» Ti disperi? «Credo di aver passato la fase della disperazione, seriamente, circa diciassette anni fa.
«L’identità di fondo.»
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Che cosa pensi sia morto, esattamente?
Da vecchio fan della musica pop, che ne pensi della sua condizione attuale? «Di fatto, il pop è morto. È finito.» Non guardi più Top of the Pops? «È incredibile perfino pensarlo, ma non lo guardo. È stupefacente semplicemente perché (si batte il petto con fervore) io amo la musica e amo il pop. E adesso non c'è più niente che mi spinge a guardare Top of the Pops. La mia opinione è che Top of the Pops sia finito nel 1985. Non mi pare che esista più, di fatto. Idem dicasi per le radio e la Top 40. Questo non dovrebbe e non deve assolutamente sottintendere che abbia smesso di interessarmi alla musica, perché non è così. Crescendo ho maturato un interesse ancora più forte per la musica. Credo che sia stata fatta una grande quantità di musica davvero eccellente e c'è da riscoprire tanta musica che non è mai stata molto conosciuta, che non è mai entrata in classifica. Anzi, mi rincuora sapere che passerò il resto dei miei giorni ad ascoltare musica e a documentarmi sulle cose che mi sono perso.» Secondo una teoria, è stata fatta musica a sufficienza. «Esatto. Perché come forma d'arte–e io non l'ho mai considerata altro, anche la componente più trash–ha fatto il suo tempo.» La musica dance ha messo fine al pop? «Sì, decisamente. E non lo dico solo perché odio la musica dance.»
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Sono scivolato nella rassegnazione. Sono un essere umano, vivo sulla terra. Esco, incontro tante gente, ma non succede mai niente, mai, mai. Più di questo non posso fare, oltre che apparire alla televisione nazionale in completo rosso e raccontare: «Si dice che ho senso dell'umorismo, mi piacciono Bacharach e David e adoro fare lunghe passeggiate». A dire il vero… è una faccenda piuttosto seria. Non posso negare che mi ha provocato decenni di ansia. Tutti danno sempre per scontato che io sia coperto di polvere, seduto in un angolo a leggere Tempi difficili. Devo ammettere che agli esordi degli Smiths era un'idea che vagamente incoraggiavo. Ma come sai, nel vertiginoso mondo del pop tutto viene sempre ingigantito oltremisura. Di questi tempi mi sembra di sentire soltanto che sto “lavorando con una giovane band rockabilly”. Non sono giovani e non sono rockabilly, ma tutto viene esagerato finché non diventa un cliché. Così anche una parte di me è diventata un cliché. Un cliché sgradevole!» Eppure sembri una persona cordiale, affabile… «Appunto!! Due punti esclamativi. Chiedi a chi vuoi! Sono uno di quelle persone che Dio ha marcato sulla fronte dicendo «tu sei destinato a fare altro». Non sei destinato ad avere una felice e appagante relazione fisica.» Il tuo rapporto con Michael Stipe sembrava molto promettente a un certo punto. «Promettente? Che cosa credevi che avremmo fatto? Diventare come Millican e Nesbitt? Però è vero. Il temperamento è lo stesso, la logica anche.» Pensi che “farai musica” con lui? (ride, inarca le sopracciglia) «Non vedo proprio perché! No, il bello dell'amicizia è che la musica non c'entra niente. Non parliamo mai dei rem o di quello che faccio. C'è altro di cui discutere.» Come vi siete conosciuti? «Be', lui mi ha scritto parecchie lettere e mi domandavo perché. All'inizio ero scettico. Non ricordo perché. Poi ho deciso che mi sarebbe piaciuto incontrarlo, così ci siamo visti e mi ha sorpreso che fosse così alla mano e… compatibile. È molto simpatico, e chissà, magari otterremo perfino una copertina su Hello!. Michael e Morrissey ci invitano nella loro splendida dimora! Si può solo sognare.» Hai delle opinioni sulla creazione di Vic Reeves, Morrissey la Scimmia Consumista? «L’ho visto per una frazione di secondo e ho immediatamente provato disgusto per il suo creatore. Era fatta apposta per offendere. Ho incontrato Vic Reeves qualche volta e non è andata troppo bene. È uno che non riesce a tenere la bocca chiusa per tre secondi perché ha paura di disintegrarsi in una ciotola di polvere. Deve dire sempre qualcosa. Veramente disgustoso. Bob Mortimer, lui sì che mi sta simpatico. Dovrebbe sbrigarsi a uscire da quel duo. Senti quanto veleno? È come Tony Wilson che rilascia una dichiarazione per dire che sono una donna intrappolata nel corpo di un uomo. Lui invece è un maiale intrappolato nel corpo di un uomo. Se dovessi scegliere tra l'uno e l'altro non saprei quale preferire.» Ti ha dato del “coglione”. «Bah, lui vuole diventare la più famosa popstar di Manchester e deve calpestare chiunque ne minacci la posizione. Si è sempre circondato di gente che sa a malapena parlare e non rappresenta alcuna minaccia alla sua personalità. Il giorno in cui qualcuno lo ficcherà nel bagagliaio di una macchina, porterà il corpo a Saddleworth Moor e lo abbandonerà lì, sarà il giorno in cui la musica di Manchester si ravviverà.» Hai troncato ogni legame con Manchester? «Nella mia testa no. Fisicamente sono stato costretto. Sono stato obbligato ad andarmene perché avevo gente alla porta ventiquattr'ore al giorno, scavalcavano il cancello, bussavano alle finestre ed era diventata una situazione insostenibile, e così mi sono trasferito. Non so come altro potevo affrontarla.
Torniamo indietro nel tempo al 1983 e agli Smiths. «Perché fermarci lì? Torniamo al 1749.»
Adrian Deevoy «C'è un ferocissimo senso di competizione a Manchester, inoltre. E quindi tanti personaggi vili e gelosi. We Hate lt When Our Friends Become Succesful parla esattamente di questo. A Manchester, ti accettano finché sgomiti e sei in ginocchio. Ma se fai un minimo di successo o sei indipendente o uno spirito libero, non ti possono soffrire.» 217
Oh La La! Billy Bragg ha detto che deve essere difficile essere Morrissey, questo favoloso e spiritoso personaggio goliardico, ventiquattr'ore al giorno. «Oh, ma ogni tanto stacco. Stacco e mi faccio un tè. Deve essere molto difficile essere Billy Bragg, ma non ti dirò perché! Anzi, questo lo ritratto, sono un suo grande fan.» Ma il sottinteso è che Morrissey è un personaggio leggermente costruito. «Be', io non m'infilo in un completo e provo un certo tono di voce, no. Non esiste un personaggio del genere. C'è solo quello che vedi da questa parte del tavolo.» A tempo pieno? «Purtroppo, sì. E adesso tu come ti sentiresti? A proposito di intrappolati!»
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Hai mai preso l'Ecstasy? «Sì, l'ho presa un paio di volte. La prima volta è stato il momento più incredibile della mia vita. Perché–e non voglio sembrare veramente patetico–mi guardavo allo specchio e vedevo una persona molto, molto attraente. Ovviamente era l'effetto della droga, che poi svanisce. Ma per un'ora o giù di lì è stato incredibile, guardarsi nello specchio e apprezzare veramente l'immagine che mi tornava. Oggi anche se ho avuto quell'esperienza meravigliosa, e solitaria–non era presente nessun altro–non mi interessa alcun tipo di droga. Non mi scandalizzo, non ho nulla in contrario se altri le prendono, ma non fa per me. Proprio non m'interessa.» Visto che sei periodicamente casto, come gestisci la voglia di fare sesso che sicuramente avrai? «Sembrerà incredibile ma fino a ventotto anni (sussurra) non ho mai avuto voglia. Non ho problemi a dirlo, anche se mi rendo conto che risulterà ridicolo. Non l'ho mai fatto. Forse ero troppo preoccupato per qualcos'altro.» E che cosa è successo a ventotto anni? «Improvvisamente sono cambiato. Non so spiegare perché, ma le cose sono diverse adesso. Capisco addirittura che le persone abbiano dei rapporti fisici. E capisco perché ne hanno bisogno.» A parte questo, hai altro da dichiarare? «Soltanto i miei jeans.»
«Molte cose non mi piacciono, a dire il vero. Non mi piacciono le immagini, per essere sincero. Non mi piacciono i video e le riprese televisive. Non mi piace quello che vedo dentro di me. Non mi piace quello che vedo anche negli altri tre. Con questo non voglio essere severo. Ci sono un paio di canzoni che non mi piacciono.
Adrian Deevoy
Quando ripensi agli Smiths oggi, nei vai orgoglioso?
Anzi, non mi piacevano neanche all'epoca. What Difference Does lt Make, per esempio. La trovavo assolutamente orrenda il giorno successivo alla pubblicazione del disco. Non guardo indietro pensando che siamo stati perfetti in tutto quello che abbiamo fatto e detto. Però penso che poco più di metà della produzione, secondo me, è veramente… bella. È una parola sciocca?»
Secondo te perché provochi reazioni così estreme? C'è gente che ti odia davvero. «Perché ho un'identità specifica. Ho un'idea molto chiara di quello che voglio dire nei miei testi e l'approccio che ho è semplicemente troppo diretto per la maggior parte delle persone. Una canzone come Interesting Drug parlava della cultura della droga, e credo che l'establishment del pop possa affrontare la cultura della droga nella sua forma presente perché non trasmette nulla. È molto vaga, fumosa e (lascia penzolare la lingua fuori e rotea gli occhi) uuuuuung, unngh. Ma se dici «Droga interessante / quella che hai preso / Dio, ti ha fatto proprio bene». Quel verso era semplicemente troppo diretto.»
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Oh La La! 220
«A
llora, Moz! Una birretta?» Non t'immagineresti mai di sentire qualcuno che si rivolge così all'unica mammoletta a livello olimpionico della Gran Bretagna. E mentre il chitarrista Boz Boorer si prepara a ordinare un giro di consumazioni in un rozzo francese, come risponde il suo datore di lavoro? «No grazie, bestione impomatato, ma vorrei tanto una tazza di Red Label e un pasticcino al cioccolato fondente.» Ma non si può. Fermo sul marciapiede, con il suo ciuffo drammaticamente stagliato contro le luci al neon del Moulin Rouge, Morrissey annuisce assetato e si dirige verso il bar. Boz e Morrissey sono due patiti di Marc Bolan a tal punto che per loro nessuna minuzia sull'elfo ballerino ex leader dei T. Rex è troppo minuziosa («Sapevi che portava scarpe da donna numero 37 e mezzo?» ). Poco prima, Morrissey stava difendendo disperatamente Certain People I Know, un brano di Your Arsenal che è quasi una cover di Ride A White Sivan. «Non so se conosci Marc Bolan» dice altezzosamente «ma si è ispirato molto al rock'n'roll. Per esempio, se ascolti il primo Carl Parkins probabilmente sentirai» e qui è dove il suo ragionamento comincia a vacillare «Marc Bolan che suona Ride A White Swan in sottofondo… anche se ne dubito.» Morrissey propone di andare in taxi a Pigalle per farsi fotografare davanti alle vetrine dei sexy shop. Le riviste per soli adulti e le gigantesche protesi di gomma, dice con entusiasmo (perfettamente consapevole di quanto sia poco da Morrissey l'ambientazione), forniranno uno sfondo sordido e stimolante. Per tutto il servizio, Morrissey mantiene un'innocenza parrocchiale da sitcom, contenendola di tanto in tanto per esaminare la copertina di un video particolarmente ginnico o gustarsi il titolo di una rivista con un gioco di parole piccante. Ed è qui, nel «preservativo» di Parigi, che lasciamo monsieur Morrissey a bighellonare tra spettacoli di sesso lesbico dal vivo (Sex-o!) e sgabuzzini specializzati in hardcore (Porno Shop!). Dicendo il suo au revoir, porge la mano, e mentre ti allunghi a stringerla la ritira e–nell'esilarante tradizione del varietà–ti fa marameo. Decisamente tres.«Quando arrivi a questa età» sospira «devi accettarti per quello che sei, qualsiasi cosa sia. Grazie alla posizione che ho raggiunto nella vita, le persone tendono sempre a trattarmi esattamente nella stessa maniera.» Sospira di nuovo, con aria scoraggiata. «Non c'è mai nessuno che mi afferri e mi dica: «Andiamo nel quartiere a luci rosse, voglio farti vedere una cosa.»
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Adrian Deevoy
HAND IN GLOVE (D'amore e d'accordo) di Andrew Harrison Select, Maggio 1994
«S
ignore e signori… Ci siete? Signore e signori, a nome del personale e degli iscritti della York Hall Gymnasium vorrei ringraziare tutti voi per essere venuti qui ad assistere a quella che si preannuncia come una splendida serata di pugilato. Più tardi avremo per voi il campione britannico dei pesi mosca Francis Ampofo, lo sfidante dei pesi medi Derek Edge e il campione in carica dei supermedi britannici John «Cornelius» Carr, ma prima…» La luce del riflettore si sposta rapidamente dal ring a una sedia in seconda fila, dove una figura in giacca marrone scuro e camicia a quadri socchiude gli occhi e li nasconde. «…vorrei dare il benvenuto a un ospite d'eccezione che abbiamo qui stasera. Non solo un grande frequentatore degli incontri di boxe, non solo un amico della comunità dell'East End e di questa palestra in particolare…» La folla si volta e la figura si alza, avvolta dal fumo di sigaretta. È di media statura e di bell'aspetto, con le sopracciglia folte, le basette scolpite e la mascella da pugile. I capelli hanno visibili chiazze di grigio sui lati e sul bavero campeggia un enorme distintivo con la scritta «famoso da morto». «…ma forse il più grande artista del canto popolare che questo paese abbia espresso dai tempi di Lennon e McCartney. Sempre originale, inesorabilmente controverso e provocatoriamente in contrasto con la critica, è riuscito ugualmente a conquistare l'America senza mettersi in ginocchio. Siamo onorati di averlo qui con noi alla vigilia dell'uscita del suo quarto e migliore album solista, Vauxhall And I. Signore e signori, vi prego di alzarvi tutti in piedi per salutare il nostro ospite d'onore, Steven Patrick Morrissey…» Naturalmente, lui sarebbe scappato a un chilometro di distanza se fosse andata così, e non ci sarebbe da biasimarlo. Non ci sono molti piaceri privati da godere quando si occupa la rara posizione in cui si trova Morrissey nel panorama intellettuale britannico, ma
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un incontro di pugilato il venerdì sera dovrebbe rientrare fra questi. Con tutto ciò, un paio di uscieri della York Hall, vicino Bethnal Green, sono rimasti incuriositi quando si è presentato sul posto per il servizio fotografico di Select, domandandosi: «Ma non è quello degli Smiths?». E in ogni caso, come mai quest'anima notoriamente sensibile si interessa attivamente a dei ragazzotti che si riempiono di botte imbrattandosi di sangue, muco e liquidi craniali? Che cosa avrebbe pensato il Moz pacifista di una volta? «A dire il vero è una cosa a cui mi sono avvicinato da un bel po'» ha dichiarato poi. «Non sono assolutamente un esperto di pugilato, ma lo seguo da abbastanza tempo per parlarne con cognizione. «Quello che mi attira è la passione, il romanticismo–che ovviamente è enorme, come sa bene chiunque abbia assistito a un incontro–ma è soprattutto l'aggressività che mi interessa. Mi fa scattare dalla sedia e dirigermi verso le corde per entrare sul ring. E mi dà un accresciuto senso di soddisfazione, perché nella mia vita ovviamente non c'è ombra di aggressività. C'è pochissima espressione fisica, a parte quando sono sul palco e canto. Altrimenti il corpo è saldamente sotto controllo. È un vascello, ma alla fonda con un'ancora molto pesante…» La domenica seguente, il giorno prima che esca Vauxhall And I, ho un appuntamento con Morrissey presso lo studio ospitato nell'Hook End Manor vicino Reading, dove lui e la band stanno registrando due B-side per il prossimo singolo tratto dall'album, Hold On To Your Friends. Un enorme complesso di stalle e cascine ristrutturate, nascoste in un dedalo di stradine sprovviste di indicazioni, Hook End è quasi un rifugio per Morrissey, anche se con una storia eterogenea: qui ha registrato sia il disastroso Kill Uncle sia il trionfale Your Arsenal. È una brutta giornata a Hook End. Il motivo, come sempre, la stampa. L’assistente personale di Morrissey che gli fa anche da segretario, Jake,un ex pugile tarchiato a cavallo tra i venti e i trenta, con un taglio cortissimo da skinhead, una polo Fred Perry bianca e due occhi di un azzurro intenso, è furioso per la “porcata” scritta da Julie Burchill sul Sunday Times di quella mattina. Ha dovuto farsi quindici chilometri di corsa «per sfogare la rabbia» dice, e mette in chiaro che la Burchill deve considerarsi fortunata di non essere un uomo, perché sennò… La devozione di Jake nei confronti di Morrissey non potrebbe essere più incrollabile. Mentre mi accompagna nel salottino dello studio, mi confida tutta la sua frustrazione perché non ha mai letto niente su Morrissey che riesca a comunicare la grandezza umana, oltre che il talento, di Moz, e aggiunge che non merita le cose che hanno scritto su di lui. E specifica che se quest'articolo è un colpo basso simile a quello della Burchill, farei meglio a guardarmi le spalle. La sala è grande e su uno dei tre divanetti c'è un giradischi con un avviso scritto a mano che recita: non lo usate quando moz dorme perchè ormai è vecchio e ha bisogno di risposare. «L’ho scritto io, ma non lo leggere» dice Jake sorridendo mentre esce. Alain Whyte, chitarrista, corista e autore delle musiche nei brani più riflessivi di Vauxhall, porta un vassoio con del tè e due biscottini lunghi ricoperti di cioccolato e lo posa sul tavolino accanto a un audiolibro, Alfie Lends A Hand letto da Thora Hird. È alto e apparentemente schivo, il ciuffo che ha sulla fronte è più precario di quello di Morrissey e indossa la divisa d'ordinanza in denim: sembra il fratello minore di Mark Lamarr. Quando osservo che Vauxhall è un disco fantastico dal primo all'ultimo brano, lui è quasi in imbarazzo e risponde dicendo che tutto 223
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quello che Morrissey ha fatto è assolutamente fantastico, come se fosse la prima volta che qualcuno si complimenta con lui. Un'idea bizzarra, considerando che ha composto lui anche gran parte dell'urticante Your Arsenal. Poi sparisce, e appare Morrissey. Si è detto spesso che Morrissey ha carisma, ma senza mai specificare quanto. È un campo di forza che irrompe nella stanza, un magnetismo personale di proporzioni quasi epiche, e se una cosa è certa, è che–malgrado dichiari di essere antipatico–lui lo sa. Qualunque sia il fascino che trasuda dal vinile, o il fascino rapace che emana sul palco, a quattr'occhi Morrissey è completamente diverso. In un attimo capisco perché Jake e Alain gli sono tanto devoti. Altro che MacPhisto, avremmo dovuto vestire Simon di Brookside con una giacca jeans, un ciuffo sulla fronte, un ciondolo da trenta grammi e una Union Jack. Ha un bell'aspetto, molto bello, e per di più sta facendo quello che le popstar non sarebbero tenute a fare: migliora man mano che invecchia.
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Andrew Harrison
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Le voci che stia andando in palestra e adesso somigli a un partecipante di American Gladiators non sono vere, ma si stenta a capire come abbia fatto quel ragazzo smunto e segaligno nelle prime foto degli Smiths a trasformarsi in questo personaggio alla Gregory Peck. (Tè, Morrissey? Altroché.) Anzi, tra il pugilato, i ciondoli pesanti e i tatuaggi sulle copertine dei dischi (è Jake sul retro di The More You lgnore Me, anche se il «moz» è falso), a qualcuno potrebbe venire il dubbio che Morrissey stia sviluppando un lato da macho. «No, non è vero! Non ho assolutamente intenzione di trasformarmi in un maschiaccio di cinquantadue anni» dice, sputando fuori la parola mentre si adagia sul divano. «E non riesco a immaginare cosa ci sia di attraente, ma allo stesso modo non ho più legami con il gruppo di Studi Femminili della libreria Waterstones su Kensington High Street giorno e notte, come molti sembrano ancora credere. Il mondo in cui vivo è piuttosto ampio. Per esempio, quando posso e ne vale la pena, vado allo stadio. Soprattutto se posso entrare gratis.» Tifi per una squadra in particolare? «Non con passione. Non c'è nessuna squadra che si avvicina alla perfezione, non ce n'è una che meriti unanime e cieca ammirazione, dal mio punto di vista.» Nemmeno il fantastico… «Tranmere Rovers? No, e nemmeno il Manchester United. Ma ogni volta che il nostro caro amico Morrissey [John Morrissey, super-riserva dei Tranmere Rovers e spunto di molti titoli comici del Liverpool Echo] entra in campo e si alza il coro “Morrissey!” salto su dal divano e sbatto la testa contro il soffitto. Di sicuro spera che non ci mettano in relazione, altrimenti resterà in panchina per sempre.»
Andrew Harrison Ah, eccoci… Morrissey in vena di autodenigrarsi. Nessun altro nel pop ha la stessa fiducia incontestabile e assoluta in se stesso, abbinata al desiderio di criticarsi a ogni piè sospinto. È più complesso della falsa modestia–nessuno crede a Morrissey quanto Morrissey stesso–ma è al tempo stesso un atteggiamento che lascia perplessi. Morrissey, ti nascondi dietro boutade e battute di spirito? «Non lo considero spirito, per essere sincero» replica lui. «Penso di essere alquanto noioso, in realtà. Mi vedo più come un vecchio straccio da buttare. Non nego, per capirci, che se mi metti accanto ai Primal Scream me li mangio vivi–e so che tu adori particolarmente come portano i capelli–ma vicino a gente come loro non c'è competizione. Intellettualmente non c'è assolutamente più competizione nella musica pop! Sono tutti così noiosi! Inesorabilmente noiosi! Anche chi non viene considerato tale, mi annoia a morte. E posso perdonare tutto, tranne la monotonia.» Non mi dire che è partita la sfuriata…? «Ormai nel pop si guadagna facile» afferma Morrissey. «Nel 1994 è un lavoro che può fare chiunque, e da qui si spiega l'ascendente degli Suede nonostante il fatto evidente che non abbiano fatto alcun tirocinio. In questo momento, se hai capacità di resistenza, spirito d'iniziativa e grinta, il pop è a tua disposizione. E spero che ualcuno si faccia avanti alla svelta.» Stai suonando la carica per gli Echobelly. «In un mondo sano di mente, il nuovo singolo degli Echobelly [Insomniac] meri227
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«Se analizzi la stampa musicale degli ultimi sei anni trovi un'infinità di spropositi da parte di giornalisti ridicoli. Schiere di cavalli su cui si puntava moltissimo che si sono spezzati le gambe prima del via. I nuovi Smiths! Vacillavano, si fermavano e crollavano prima che finisse l'estate. «Tutti quei critici rock che riempiono gli articoli di superlativi esotici e aria fritta… non devono mai alzarsi in piedi e dire "Sì, in effetti ci sbagliavamo sui Wheelchair Muggers From North Manchester o chicchessia. Non devono mai scusarsi.» Povero me… di nuovo la stampa.
«Che ovviamente è un grave insulto. Maturare alla tenera età di trentaquattro anni è come se Doris Day fosse la più vecchia vergine vivente del mondo. Non è un motivo di vanto nelle saune della York Hall.
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sono una band incredibile. Sono spontanei, semplici, bravissimi, suonano benissimo e le canzoni sono molto belle, cosa che purtroppo capita molto di rado…» Scusa, ma anche gli Suede hanno delle canzoni niente male… «Sì, ma gli Suede hanno delle canzoni niente male, mentre gli Echobelly hanno
Andrew Harrison
terebbe indiscutibilmente di entrare nella Top Five. È straordinario e ai miei occhi
delle canzoni magnifiche. Abbiamo degli standard molto bassi di questi tempi.
È stato faticoso essere un fan di Morrissey per la gran parte degli anni novanta: se non per la stasi creativa di Kill Uncle, quanto meno per le polemiche che hanno coinvolto Your Arsenal, su cui ci soffermeremo in seguito. In ogni caso, Vauxhall And I («È un'allusione a una certa persona di mia conoscenza nata e cominciata a Vauxhall» , dice) è un risultato a cinque stelle, con alcune delle migliori canzoni che abbia scritto, insieme alla cosa più rara da trovare in un disco di Morrissey: un barlume di ottimismo. Sebbene canzoni come Now My Heart ls Full siano disseminate di personaggi usciti da La roccia di Brighton, il disco è tutt'altro che il rituale lavoro di scavo nel passato che serviva sempre meno da fonte di ispirazione. È anche un disco di intensa bellezza. «Be', io sono una persona estremamente bella» dice scrollando le spalle. «E non sto solo cercando una battuta, in questo caso. Sì, è veramente un bel disco e sono partito con l'idea di farlo così. Mi sembrava ora di riporre parecchie cose nel cassetto e lasciare che l'età esigesse il suo tributo naturale, nel bene o nel male» . È stato descritto come l'inizio della Maturità di Morrissey.
«Sicuramente però ero davvero stanco del passato. Now My Heart ls Full esprime un senso di giubilante sfinimento per il continuo guardarsi alle spalle ed esaurire i propri punti di riferimento. Insomma, perfino io–perfino io–sono andato un po' troppo oltre con Sapore di miele. Forse ho sfruttato eccessivamente le mie fonti e adesso è finito tutto, sostanzialmente. Ho una vasta collezione di dischi, film e cassette, ma adesso la vedo in una luce diversa. Non è più una cosa in cui sento la necessità di essere coinvolto giorno e notte. Mi sono reso conto che il passato è finito davvero, e per me è un grande sollievo. 229
Hand in glove (D’amore e d’accordo)
«È come sentirsi dire che ti hanno curato dalla tubercolosi cronica o dall'artrosi al ginocchio o qualcosa del genere.»
Su Q del mese scorso, hai tracciato un ritratto piuttosto crudele di Andy Rourke e Mike Joyce, dipingendoli come Rick e Bruce dei Jam. Come hai potuto dire una cosa simile dei tuoi vecchi compagni? «I Rick e Bruce originali li adoravo, a dire il vero! I Jam sono uno dei miei gruppi preferiti di tutti i tempi. Ma perché non posso dirlo? Posso dire quello che mi pare.» 230
«Be', ho sempre cercato di plasmare il futuro–lo so che sembra decisamente troppo intellettuale per una rivista pop–ma non lo faccio più. Mi sento libero di non fare
Andrew Harrison
Eppure non sei mai apparso una persona che guarda avanti al futuro con un senso di attesa.
assolutamente niente, ed è elettrizzante. In passato avvertivo sempre un enorme senso di responsabilità e di perenne auto… realizzazione. Adesso è svanito. Mi sono reso conto che non conta più niente.» Con il risultato che il vecchio Morrissey caustico e feroce sta maturando un senso di pietà. Su Vauxhall c'è una canzone intitolata The Lazy Sunbathers che si scaglia contro la vacuità della cultura da spiaggia e rientra perfettamente nel canone delle canzoni d'odio di Moz alla Ordinary Boys e Rusholme Ruiffians. Eppure, per la prima volta, nella sua voce sembra di cogliere una punta di affetto. «Mah… Non direi, è solo un'impressione. Come sai, ho una voce molto dolce…» Non starai mica sviluppando un debole per le persone che una volta deridevi e mettevi in ridicolo? «No, no, tutt'altro. Sarò sempre sul ring.» Su Vauxhall fai anche una cosa che non hai mai fatto prima nella tua carriera solista, cioè puntare vagamente il dito contro gli Smiths, in particolare in Hold On To Your Friends. Come mai? Ti senti più a tuo agio con l'eredità degli Smiths, adesso? «No, non c'è nessuna intenzione di questo tipo. C'è questa credenza generale che dopo la fine degli Smiths io abbia fatto relativamente poco, eppure se analizzi la discografia degli Smiths e la mia vedrai che ormai sono quasi alla pari. A volte mi stanco di ritornare sugli Smiths, perché non è che sia rimasto a girarmi i pollici su una sedia a dondolo dopo che Strangeways Here We Come è svanito dalla scena. Ho continuato e ho fatto dei progressi veri. In ogni caso per me è molto difficile dirlo perché non c'è mai stata un'altra parte della mia vita. Da Hand In Glove a Hold On To Your Friends, è semplicemente la mia vita. (allarga le braccia) Ecco perché me la prendo quando gli Smiths vengono chiamati in causa come se fossero degli estranei. Gli Smiths erano parte di me esattamente quanto Vauxhall And I. Negli ultimi tempi Johnny non è stato presente, diciamo, ma per il resto è rimasto tutto uguale.»
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Hand in glove (D’amore e d’accordo)
«Ma non hanno trascinato te in tribunale, giusto? Vediamo che ne pensi, se ti dovesse capitare. Posso provvedere io, se vuoi!» D'accordo. È ormai risaputo che la presunta acredine fra te e Johnny Marr non è più una preoccupazione. Quando vi siete sentiti l'ultima volta? «Sì, quel capitolo è definitivamente chiuso. L’ho sentito ieri, tra qualche sera ci vedremo, giusto per parlare del più e del meno e lamentarci a vicenda…»
«Cosa che a me non è mai capitata, nonostante gli enormi sforzi bellici da parte di certe riviste, non sono mai sparito. Le riviste che vorrebbero fucilarmi all'alba sono ancora in ginocchio a dire Per favore, ti chiederanno umilmente, potresti, per favore…» La stampa, la stampa, la perfida stampa. Come l'ago di una bussola che inevitabilmente finisce per puntare fisso verso nord, la conversazione di Morrissey finisce sempre per tornare ai giornalisti e ai mali che hanno perpetrato contro di lui. Sia il libro di Johnny Rogan The Severed Alliance e la fatwa che lo accompagna, o le periodiche crisi isteriche dei settimanali musicali nei suoi confronti, Morrissey non riesce né a perdonare né a dimenticare. Non sarà che queste ultime siano inevitabili, considerato che non ha mai detto molto della sua crescente fascinazione per la cultura e l'immaginario skinhead, o delle canzoni in questione, Asian Rut, Bengali In Platforms e The National Front Disco? «Ogni volta che lo faccio vengo lapidato. Non si può proprio parlare di queste cose in questo paese. Per esempio, alla fine dell'anno scorso ci sono stati una marea di programmi televisivi sul British National Party, e mi è balzato agli occhi il fatto che al National Front non fosse mai, e dico mai, stato concesso il diritto di parola o di tribuna. Mai. E questo mi lascia perplesso.» Qualcuno direbbe anche «Meno male». 232
Home, l'introduzione di batteria a The Queen ls Dead… erano così leali e, e…
Andrew Harrison
Ma erano dei ragazzi eccezionali! Il giro di basso su Barbarism Begins At
Lo scorso autunno, Marr ci ha detto, dopo molte sollecitazioni, che se vi capitasse mai di fare di nuovo qualcosa insieme sarebbe come Morrissey e Marr, non come Smiths. Tu collaboreresti ancora con lui? «Certo, sì, ma attualmente non ne vedo il senso, e neanche lui. Quindi perché? Ovviamente è un'idea che prenderei in considerazione. Mi piacerebbe risentire la sua musica. E a volte mi intristisce che la regali a certa gente che non sa nemmeno scrivere tanto bene… ah ah!» Vuoi dire Barney Sumner? Ma dai, perché uno non può fare un paio di pezzi di discomusic all'italiana, nella vita? «Non riesco a capire perché dovrebbe…» Sembri molto più felice del Morrissey che ci aspettiamo di solito–la caricatura dell'inesorabile miserabilismo–eppure Vauxhall And I è un album piuttosto malinconico e introspettivo perfino per i tuoi sobri standard. Ha un tono di rassegnazione «Sì, ma non è una sorpresa, sicuramente. Non sto cercando di inventarmi una nuova, sorprendente svolta nel modo di procedere. Non direi mai di non essere attanagliato da una depressione cronica per giorni e giorni, perché è così. Ma una volta che hai fatto così tanti dischi, certi cambiamenti avvengono in ogni caso. Non è vero? Altrimenti scompari dalle scene.
«Però il vero motivo per cui The National Front Disco è stata presa di mira–se posso dirlo–era che in realtà era una bellissima canzone. 233
Hand in glove (D’amore e d’accordo)
«Se fosse stata una gran cagata, nessuno se ne sarebbe interessato. Sono stato fermato da tantissimi giornalisti che ovviamente sollevavano la questione in tono accusatorio, e io rispondevo Per favore, adesso, elencatemi i versi della canzone che vi sembrano razzisti, pericolosi e carichi d'odio. E loro non ci riuscivano. Non ci riusciva mai nessuno, e questo mi indispettiva.
«Poi però ti accorgi che ce l'hanno semplicemente con te, e che non importa quello che dici o che fai. Puoi travestirti da Papa, e ce l'avranno lo stesso con te. Poco tempo dopo, sulla copertina di Select, c'era il nostro amico degli Suede e alle sue spalle c'era la Union Jack: e ovviamente nessuno si è messo a strillare che fosse diventato un picchiatore razzista. Il razzismo non c'entra niente, il problema sono io. È veramente–o è stata, si spera–una mera caccia alle streghe.» Che cosa dici a chi sostiene che sia giusto bandire il National Front e il bnp dai mezzi di informazione, se perseguono i loro obiettivi attraverso la violenza, e che tu sia un irresponsabile? «Penso che se il National Front dovesse odiare qualcuno, quello sarei io. Sarei il primo della lista. Ma credo che serva ad aprire un dibattito. Se il bnp potesse disporre di passaggi in televisione o spazi più obiettivi sui giornali, sembrerebbe meno minaccioso e questo alleggerirebbe la situazione. Sono talmente imbavagliati che si vendicano nel modo più spaventoso ferendo e uccidendo le persone. Ma parte di questo è dovuto soltanto alla loro rabbia di essere ignorati in quella che dovrebbe essere una società democratica.» Le lettere al solito indirizzo, per favore. L’implacabile monotonia del pop, la slealtà degli ex colleghi, la stampa… questo pomeriggio ha rivangato troppi argomenti per Morrissey. Quando è entrato nella sala sembrava pimpante. Adesso non più. «Mi dispiace» dice con un sorriso. «Ma quando te ne stai seduto per un paio d'ore a ripetere, io, io, io, io, io, ti trasformi in una cosa brutta e avvizzita. Ce l'ho con me, non con te.» Sei mai stato in analisi, Morrissey? «Sì, diverse volte, e sono andato via estremamente disgustato. Trovo che la parcella non ripaghi del servizio, certamente. Ma mi macero nella depressione personale da talmente tanto che temo non ci sia niente che un medico o uno psicanalista mi possano dire. So tutto della depressione e dell'indebolimento dello spirito umano e della lotta, e non c'è nessuno che può dirmi altro al riguardo, e non c'è nessuno che può aiutarmi.»
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In Platforms o The National Front Disco, per rendersi conto chiaramente che non c'è
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«Anche se poi, basta sentire la voce in tutte quelle canzoni, su Asian Rut, Bengali la minima traccia di odio.
Si alza in piedi e va al grande stereo nell'angolo della stanza, sceglie un album e lo mette sul piatto. Per un attimo resta disorientato dai comandi del giradischi che, strano a dirsi, è il Technics AL1200 Vari-speed, icona della dance culture («Forse dovrei ascoltare più techno» dice con sguardo torvo, scherzando solo in parte), ma alla fine riesce ad accenderlo. «Ti faccio sentire una canzone. Questa è la mia giovinezza in un brano musicale. Non parlare, mentre va.» La canzone è Innocent And Vain di Nico, da un lp intitolato The End: un lungo sibilo di harmonium, simile al verso di un delfino, con la voce gelida e catacombale di Nico che si incrina in un arrangiamento che rappresenta il culmine dell'ascolto doloroso. Verso la fine, il brano collassa in un montaggio di urla di origine ignota ed echi casuali che ricordano Aphex Twin nei suoi picchi più fan235
Hand in glove (D’amore e d’accordo) L’articolo sul Sunday Times si rivela un'innocua presa in giro in cui Moz va in visita a Villa Burchill e Julie B lo tratta malissimo perché non ha preso un appuntamento. Di cosa avrebbe da preoccuparsi,comunque?
«Adesso sento di poter vivere ed essere Dirk Bogarde. Potrei vivere in un appartamento in villa a Chelsea e non vedere nessuno, e sarebbe una vita perfetta. Potrei avere settantasei anni. Mi ha mandato una cartolina, l'altro ieri…» Chi, Dirk Bogarde? Sei sicuro? «Sì, e ho quasi pianto di gioia quando è arrivata. Ho pensato, “Mettila così, Mozzer, hai una cartolina da Dirk Bogarde davanti a te”» (e ha dato uno schiaffo sul divano). «Hai Alan Bennett seduto in cucina a prendere un tè. Hai David Bowie che ha appena cantato una delle tue canzoni in modo splendido. Che altro vuoi? Che diritto ho di essere scontroso e lamentarmi, di fare la fila da Waitrose a Holloway e innervosirmi perché qualcuno di fronte a me ha preso uno stinco d'agnello? Che altro ci potrebbe essere?»
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rito, la sua giocosità e l'umorismo impassibile–come deprimente, dovrebbe essere costretto ad ascoltare questa tortura e riflettere sul fatto che questo è ciò che passa nella testa di Morrissey. E per tutto il tempo Morrissey resta seduto all'angolo del divano, la testa
Andrew Harrison
tascientifici. Ogni stolto che ha liquidato il repertorio di Morrissey–con il suo spi-
china, gli occhi chiusi, le braccia conserte, e i pugni piantati nelle ascelle. Ha appena realizzato forse il suo migliore lp, e ha tutta l'aria di essere all'inferno. Alla fine va tutto per il meglio. La settimana seguente Morrissey quasi muore schiacciato dalla ressa di gente che ha preso d'assalto i negozi di dischi hmv a Londra e Manchester per farsi firmare un autografo (e in tutti e due i casi fa mettere Nico come sottofondo dagli altoparlanti del negozio). Vauxhall entra in classifica direttamente al primo posto, come non succedeva dai tempi di Viva Hate.
Prima di lasciare Hook End, gli ho fatto una domanda sulle voci che circolavano lo scorso anno, che fosse allo stremo delle forze e che Vauxhall sarebbe stata la sua ultima prova. Aveva contemplato di mollare tutto? Avrebbe potuto, fisicamente? «Sì, avrei potuto, senz'altro» ha risposto allegramente. «Ho questa nuova, magnifica sensazione. Vauxhall And I mi dà questa sensazione, come nessun altro disco. È sempre stata una missione fino alla morte, ma adesso non mi sento più in obbligo con nessuno.
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L'IMPORTANZA DI ESSERE MORRISSEY di Jennifer Nine Melody Maker, 9 agosto 1997
«S
ono completamente imprevedibile» dice a un certo punto, sorridendo «…soprattutto il venerdì sera.» E poi, ovviamente, non aggiunge altro. Si chiama Essere Morrissey. E infatti abbiamo pensato tutti a Essere Morrissey. Le band–alcune, come i Gene, palesemente, e altre, come i Radiohead, meno–che non sarebbero state la stessa cosa se non fosse per le sue canzoni di provocatorio amore e odio per se stesso. Il duro di professione Henry Rollins, che lo deride da talmente tanto tempo che viene da domandarsi se in realtà non sia invidioso. I giornalisti impressionati, esasperati e ingannati dalla stanca grandiosità con cui controlla il gioco ogni volta che si accende un registratore. Le centinaia di fan a un recente convegno di gay e lesbiche su Morrissey, culminato con The Queen ls Dead cantata in massa davanti ai cancelli di Buckingham Palace. Ogni adolescente introverso di sempre, o per lo meno dal 1982 a oggi. E magari anche Morrissey la Scimmia Consumista di Vic Reeves. Dal sublime al ridicolo. E infine me. Tutto questo fa sì che l'incontro con Morrissey–sette anni dopo l'ultima intervista rilasciata al Melody Maker–sia ancor più snervante. E lui è qui, straripante. Inaspettatamente alto, inaspettatamente bello, inaspettatamente in forma («le persone della mia età hanno quasi tutte un aspetto tremendo; io di me direi che probabilmente sono “niente male”»), seduto di fronte a me, mentre parla con il tono sommesso di chi è abituato a essere ascoltato. Ed è di ottimo umore. Ha una nuova serie di etichette discografiche nel Regno Unito e in America. Ha in classifica un nuovo singolo di disinvolta agilità e qualità chiaramente superiore, intitolato Alma Matters, che alla radio sembra magnifico. E ha un nuovo album imminente, Maladjusted (i devoti e i pignoli potrebbero far notare che la scaletta dei brani nell'edizione Americana è leggermente diversa e include una canzone
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che potrebbe anche parlare degli ex compagni di band. Non è particolarmente clemente). Due cose mi colpiscono. La seconda è che sono fermamente decisa a non scoppiare in lacrime, anche quando scherzando gli consiglio di mettere una botola per liberarsi degli intervistatori che si dilungano troppo e lui risponde dolcemente: «Be', una ce n'è, ma non funziona: sto premendo il pulsante da un quarto d'ora». La prima, ovviamente, è la bravura con cui Morrissey riesce a Essere Morrissey. Meticolosamente affabile; spensieratamente eloquente; disinvoltamente autoironico… tagliente come una lama, non perde mai un colpo. Sorride, ride, dispensa cenni di elogio–«hai assolutamente ragione» annuisce con indulgenza a un certo punto–e poi mi interrompe con uno sconcertante e perentorio: «Qual era la domanda?». Oppure sogghigna, mentre tento di trarre delle conclusioni dai suoi commenti, e dice: «Sì, ma il mio ragionamento era molto più interessante». Il che, nel suo Essere Morrissey, probabilmente è vero.
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L’importanza di essere Morrissey Gli domando se ha compassione per le persone che partecipano al gioco della celebrità. «Non ho compassione per nessuno» dice Morrissey piegando la testa all'indietro. «È un sentimento sprecato. Preferisco tenerlo tutto per me. Dio sa quanto ne ho bisogno» aggiunge, tornando di nuovo a Essere Morrissey.
E la canzone He Cried? Quando hai pianto l'ultima volta? «Non da molto. Una volta piangevo con una certa regolarità. È un metodo di purificazione fantastico; dopo mi sento venti chili più leggero. Ma ultimamente non mi è capitato. Ne avevo anche motivo–lo sappiamo tutti» dice, tornando di nuovo a Essere Morrissey. «Ma in realtà non piango da parecchio.» Piangi da solo, o di fronte ad altre persone? Sgrana gli occhi. «Da solo, ovviamente. Ho una dignità.» Ma sicuramente ci sono persone che ti conforterebbero. «Sì, ma sono tutte nel braccio della morte.» Ah. Ma i francobolli di posta aerea per l'America non ti costano una piccola fortuna? «Ci hai provato anche tu, evidentemente» dice sogghignando. Ah, i capricci della fama. Quando è stata l'ultima volta che hai incontrato qualcuno che non sapeva chi fossi? «Un paio di giorni fa. Stavo cercando di noleggiare una macchina e mi hanno chiesto qual era la mia professione. Un sacco di gente non sa perché mi conosce, ma riconosce la mia faccia. Non vadomica in giro tutto impettito sperando che mi riconoscano. Non cammino per la strada cercando di tenere il conto di quante persone mi riconoscono e non scoppio in lacrime se non succede.» La fama provoca agorafobia? «Un po' sì. Certi giorni mi sembra di avere tutti gli occhi puntati addosso. E quando vai avanti così per trentacinque minuti di seguito, cominci a pensare: “Allora, ma dovrei andare lì, mettermi quel cappello, salire su quest'autobus?” e alla fine concludi: “Al diavolo” e te ne tomi a casa. Non so perché, ma quando ti capita di incrociare lo sguardo delle persone che incontri per strada, pensi sempre di dare l'impressione che le stai guardando con la curiosità di sapere se ti riconoscono. E così cominci a evitare i volti degli altri e il contatto visivo.»
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usa quel termine per riferirsi alla sua posizione nel Regno Unito, nonostante una carriera solista decennale–senza contare i cinque anni negli Smiths–che include due album al primo posto e una quantità di singoli in classifica.
Jennifer Nine
«Perché sono veramente il veleno del botteghino» dice quando gli chiedo perché
«Vendo, ma non tantissimo, in confronto alla media dei primi venti posti in classifica. Tanta gente si aspetta il peggio di me, ed è per questo che sono il veleno del botteghino. Anche se Dio solo lo sa, è una cosa fantastica. Se fossi parte del branco non ci sarebbe margine di manovra. Non sopporterei il fatto di essere amico di tutti. Non sopporterei l'idea di apparire sul Melody Maker tutte le settimane, fotografato con qualcuno, sorridente, da qualche parte. Ho sempre preferito gli artisti che rimanevano in disparte e si sentivano in qualche modo superiori.»
Ma sicuramente le tue canzoni non avrebbero significato tanto per così tante persone, se non fossero state intrise di compassione, no? «Forse significano più di quanto volessero significare» ribatte. «In ogni caso, preferisco il buon vecchio rancore.»
Maladjusted contiente una delle canzoni di Morrissey più belle di tutti tempi, Wide To Receive, cantata con voce angelica e vorticosa. È una canzone d'amore, non è vero? 241
L’importanza di essere Morrissey
Hai un computer? «Questa è una domanda tranello, e mi rifiuto di rispondere» dice Morrissey stizzito. Ti interessano i computer? «Sono un luddista» ribatte. Ma anche i luddisti sanno… «No, non lo sanno» mi contraddice. Quindi hai scritto una canzone su internet, ma non mi vuoi dire se hai un computer. «Non ti darò soddisfazione» dice, leggermente incredulo. È possibile che tu sia sempre consapevole di quali cose siano “da Morrissey” e quali no, e mi dia soltanto le risposte che rientrano nel personaggio? «No.» Non sono solo i nerd a usare i computer, sai. Li possiedono anche persone di bell' aspetto. «Devo ancora incontrarne uno» ribatte lui ridendo sotto i baffi. Stai apprezzando il fatto di invecchiare? O se non altro più di quanto ti aspettassi? «Il bello di avere diciassette anni è che non riesci a credere che il tempo voli e che presto, molto presto, ne avrai trentotto. Non mi sarei mai aspettato di arrivare a questa età, ma non è niente male… anche se con qualche tensione.»
Ma è comunque più facile provare maggior affinità per le persone della propria 242
internet. Sai, te ne stai sdraiato davanti al computer in attesa che qualcuno si colleghi con te, ma scopri che non c'è nessuno, e quindi rimani lì, pronto a ricevere. E ovviamente è atroce, essere pronti a ricevere e scoprire che non ce n'è motivo.»
Jennifer Nine
«Sì, dovrebbe, ma non vorrei cacciarmi nei guai. Dovrebbe essere una canzone su
C'è qualcosa per cui ti senti troppo vecchio? Morrissey emette un tempestivo sospiro. «Sì, mi sentivo troppo vecchio per il Britpop. Ma forse semplicemente non mi piaceva. La retorica da circoletto chiuso, tipo “Sei troppo vecchio per stare qui”, anche se i trentenni stanno ringiovanendo, fa parte dello snobismo britannico, no? “Dove vai?”, “Non sei autorizzato a stare lì”, “Che diritto hai?”. Lo dicono a proposito dell'età, e lo dicono a proposito dell'uso della bandiera» aggiunge, alludendo sia alla polemica di qualche anno fa sul suo presunto razzismo, quando si esibiva sul palco con una Union Jack sullo sfondo, sia alla successiva assenza di polemiche quando una schiera di artisti da Noel Gallagher a Ceri Spice, tempo dopo hanno adottato esattamente lo stesso emblema. «Non sono stato io il primo a usarla, né di certo sono stato l'ultimo» osserva tagliente. E non ha torto. A detta di alcuni colleghi della stampa musicale, i diciassettenni dovrebbero ascoltare soltanto musicisti di diciassette anni. «Ah sì, quel tipo di snobismo è straordinario» dice scrollando le spalle. «Quindi, quando ero più giovane, avrei dovuto pensare che non avevo nulla da dire a chi era più grande di me? Non ha senso. Cantare solo per persone nate tutte nel tuo stesso mese e nel tuo stesso anno… che idea meschina!» 243
L’importanza di essere Morrissey 244
fascia d'età. Ti allarmerebbe la prospettiva di uscire con qualcuno molto più grande o più piccolo? «Mi allarmerei di fronte alla prospettiva di uscire con qualcuno. E questo pone fine alla questione» ribatte Morrissey, con velocità fulminea, improvvisamente vigile.» Ma spezzerai il cuore di qualcuno se dici «Non sono mai uscito con nessuno». Ci sarà qualcuno che leggerà questa intervista e dirà: «Ma l'ho visto per quattro anni, come fa a dire così?». C'è una pausa di gelo. «Non esiste essere vivente sul pianeta che possa affermare una cosa del genere. Quindi…» «Be', io non ci credo che tu non sia mai uscito con nessuno, Steven.» «Be', è così, quindi mettilo nella tua cassetta Sony e…» Ride di colpo, quasi con severità. «Davvero, è così.» Ma sei un essere umano. «Non ne hai nessuna prova» replica. «Gli artisti non sono persone. E io addirittura sono al quaranta per cento cartapesta.» Ti sei mai innamorato? «Oh sì. Di persone vere, in carne e ossa, con due occhi. Ma sono talmente abituato alla fantasia e al mondo del rock che non potrei mai uscire dal cinema e ricollegare tutto al mondo concreto. È sempre stato a distanza. Sempre un sogno. E ormai ci sono abituato. Capisco la vita dei libri, dei film e della musica». Quand'è stata l'ultima volta che hai fatto una passeggiata mano nella mano con qualcuno? «Mai fatta.» Mai? «No! Con mia madre, forse, quando avevo un anno.» Quand'è stata l'ultima volta che hai pomiciato al cinema? «Mai. Mi sopravvaluti proprio, eh? Mi ci vedi davvero seduto nel fondo di un cinema a pomiciare? Be', dovresti smettere di leggere Cosmopolitan. Non è il mio forte. Puoi anche sbattere la testa contro il muro dell'hotel, ma non c'è niente da dire. Proprio niente.» Altro silenzio gelido. I tuoi amici non hanno mai suggerito che nel momento in cui saresti arrivato alla fine dei trenta avresti avuto voglia di sistemarti? «No.» Pensavo che volessero vederti felice. «Può darsi. Non lo so. Ma non lo dicono.» Perché non sono così grevi? «Esatto. Non sono così grevi.» S'interrompe e guarda il soffitto. «Sai, questa conversazione è drammaticamente degenerata.»
Jennifer Nine Forse potremmo parlare di cosa–scusa, del nuovo album–Maladjusted, allora. «Il metodo usato su questo disco è stato molto spartano» dice Morrissey, che fa sempre la parte di Morrissey, ovviamente, ma si diverte di più. «E quello che viene prima di tutto per me sono le melodie vocali, ancor più del contenuto dei testi. È quello il vero segreto della sopravvivenza di una canzone. Nel bene o nel male, quelloche faccio mi distingue. È questa è una cosa assai inconsueta nel pop degli anni novanta, perché si assomigliano quasi tutti, sembrano tutti uguali... Puoi stare con una persona che parla con un accento inglese perfettamente normale, e appena si mette dietro a un microfono tira fuori questa pronuncia nasale e strascicata da West Coast. Non riescono a cantare come parlano. Mentre io canto completamente come parlo.» E devi avere la sensazione che la tua voce si rafforzi sempre di più. «Sì. Quando riascolto i primi dischi, sembrano molto deboli, urlati, e la voce sembra lievemente isterica, come se fossi in equilibrio su un cornicione. Adesso invece 245
L’importanza di essere Morrissey Questo ci porta a un altro argomento spinoso. Con mio grande sollievo, tuttavia, Morrissey è molto più felice di dire la sua sulla legge–e nello specifico, sul giudice che lo ha definito “crudele ed equivoco”–piuttosto che di parlare di appuntamenti. La causa giudiziaria intentata con successo da Mike Joyce contro te e Johnny Marr per ottenere una quota maggiore dei profitti degli Smiths è stata una questione di soldi o di vendetta? «Mah, entrambe le cose. Da parte di Mike Joyce, era esclusivamente una questione economica. Lui dice che i soldi non c'entrano niente, ma sono sicuro che non donerà certo i suoi guadagni in beneficienza. Davvero, non lo perdonerò mai e in misura minore nemmeno Andy [Rourke ], perché è stato orribile. È stata una cosa sconvolgente, e se fossi una persona più debole o meno intelligente, avrei finito per disprezzare gli Smiths e tutto quello che rappresentavano. «Il giudice è stato orrendo, e come lui tutte quelle persone brutte e piccine, quegli sgorbi piagnucolosi che mi consideravano una specie di anarchico, uno spirito libero, se mi consenti, quasi affascinante.» Era una situazione del tipo “Lui crede di essere migliore di tutti e noi lo demoliremo”? «Esattamente. È così semplice, in effetti. Gelosia bella e buona, nulla di più, nulla di meno.» E il signor Marr? «Il processo è stato un condensato della vita degli Smiths. Mike, che parlava di continuo e non diceva niente. Andy, che non riusciva a ricordare nemmeno come si chia246
la forza fisica: a quei tempi ero estremamente denutrito. Anche se questo non era un ostacolo per Edith Piaf, suppongo.» È una voce più appassionata di prima.
Jennifer Nine
la mia voce è molto più potente, e sono sicuro che c'entri qualcosa l'esofago. Oppure
«Oh sì, lo penso anch'io. E non voglio dire: «Penso sia il miglior disco che ho fatto questa settimana». So benissimo di aver fatto un bel po' di schifezze» aggiunge. (Quando poi glielo chiedo, ammette tra queste Pregnant For The Last Time e qualche altro singolo “abbastanza scadente”.) «Ma questo, penso, è il meglio di me. E tutti inevitabilmente dicono: «Ah, ma gli Smiths…». Lo trovo così monotono, così noioso. Nulla contro gli Smiths, ovviamente, ma ormai sono dieci anni che non esistono più.» Ma perché non canti mai canzoni degli Smiths dal vivo? Erano belle canzoni. «Sono belle canzoni» corregge scrupolosamente. «Sai, ogni tanto, quando spiano la pastasfoglia per i dolci, mi ritrovo a canticchiare Death Of A Disco Dancer. » Ho il sospetto che tutti e due siamo compiaciuti di quanto fosse deliziosamente «da Morrissey» quest'ultima frase. Ma perché negare il tuo repertorio? «Non lo so. Sicuramente non è una decisione sofferta. Non chiudo il sipario dicendo: «Non canterò più quelle orribili canzoni che appartenevano agli Smiths». Anche perché le sento ancora parte di me. Preferisco cantare le canzoni che ho inciso di recente, perché le trovo meravigliose. Se oggi incontrassi un perfetto sconosciuto e volessi fargli ascoltare le mie cose migliori, sinceramente metterei Vauxhall And I, Maladjusted o Your Arsenal. Non metterei mai Meat ls Murder. E dico davvero.»
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L’importanza di essere Morrissey
masse. Johnny, che cercava di accontentare tutti e di conseguenza non accontentava nessuno. E Morrissey sotto la luce rovente dei riflettori al banco degli imputati»–Morrissey si infervora durante il racconto, come forse avrete notato–«a farsi crivellare. “Come osa avere successo?” “Come osa passare ad altro?” Per me, gli Smiths erano una cosa bellissima, poi Johnny se n'è andato e Mike ha distrutto tutto.
«E questo il giudice non avrebbe mai potuto capirlo, o non ha voluto. Ed non aveva la minima cognizione di come funziona la musica pop. Non capiva cosa significava “live”. Non aveva mai sentito parlare di Top of the Pops. «È stato come assistere a un incidente aereo. Guardavo la faccia di Johnny, guardavo Mike e Andy, e pensavo, probabilmente è la cosa più triste che possa capitare nella vita. La giustizia non esiste, temo» aggiunge Morrissey, con molta calma. «Sono uscito da quelle aule con questa convinzione più salda che mai.»
E per di più, il giovane Morrissey goffo, introverso, “denutrito”, oggi sembra un uomo agile, vigoroso e sicuro di sé. Sai, sembri a tuo agio dans votre peau, gli dico d'impulso. «Hmmmh!» esclama, leggermente sorpreso, nel suo miglior stile “ma-io-mai”. «Non parlo arabo, a dire il vero» aggiunge, ma non con scortesia. È francese. Significa “sembri a tuo agio nella tua pelle” cioè disinvolto e sicuro di te. Morrissey, nella parte di Morrissey, è intenerito o abbastanza cortese da fingere di esserlo. «Grazie. Sei molto gentile, davvero.»
Morrissey sorride. «Perché non avevo nulla di cui scusarmi.» Sei un uomo cattivo? «Solo nell'intimo.» Guardo l'uomo che non solo ha inventato la specialità di Essere Morrissey, ma ne è ancora l'indiscusso campione del mondo. E inizio a ridere. In questo sei veramente bravo, sai, dico ridendo a crepapelle. Morrissey strabuzza gli occhi. «Ohhh, è impossibile contenere un vecchio professionista.»
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«Negli Smiths c'erano tante idee creative che venivano dalla mia testa e da nessun altro. A parte cantare, creare le melodie vocali e i testi, i titoli, le copertine dei dischi, le interviste, c'era sempre qualcos'altro. La pressione ricadeva quasi tutta sulle mie spalle.
Forse non in un tribunale. E non so se Morrissey, l'uomo che ama il rancore e non apprezza la compassione, considererebbe la giustizia poetica un adeguato sostituto della giustizia legale. Ma se c'è qualcosa di cui consolarsi, vale la pena ricordare che Morrissey è ancora qui, dieci anni dopo gli Smiths. Fa ancora dei dischi di ostinata e bramosa leggiadria, che, e anche se la maggior familiarità li renderà meno sorprendenti di quanto fossero all'epoca di Hand In Glove, sono comunque perle di rara bellezza. E con una voce migliore.
Ho una mia teoria, sai, dico mentre metto via le mie cose. Probabilmente giudicheremo sempre i tuoi dischi con più severità di quanta ne riserviamo ad altri, perché per noi hai sempre contato molto di più. Perché, per certi versi, ci hai spezzato il cuore e non ti sei mai scusato.
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L’importanza di essere Morrissey Spice Girls «Non ne faccio parte.» Le vedi come… «Concorrenti? Sono del tutto indifferente. E non abbiamo lo stesso parrucchiere.»
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Moz e la sua linguaccia su: Gene Sei lusingato da quello che fa Martin Rossiter?
Jennifer Nine
L'impertinente colpisce ancora (breve ritorno)
«Che cosa fa?» È il cantante di un gruppo che si chiama Gene. «Bene. Dio benedica tutti coloro che si avventano su di lui. Su di lei. Su qualsiasi cosa sia. «A parte gli scherzi, mi pare che sappia cantare. Potrebbe sembrare una banalità, ma la maggior parte dei cantanti pop non sa cantare. Lui invece sì, e quindi merita più attenzione degli altri.»
Blur «Non sarò mai uno di loro. Però mi piaceva Charmless Man.» Oasis «Di sicuro non abbiamo lo stesso parrucchiere. Credo che il nuovo singolo sia... quasi pessimo. Molto deludente. Nel momento in cui hanno tutti i riflettori puntati addosso, avrebbero dovuto fare il loro disco più creativo e rivoluzionario, e invece fa praticamente schifo. Nonostante la canzone si sforzi tanto di creare uno spunto orecchiabile, non ce n'è neanche uno. Esclusa la parte centrale che riprende Pictures Of Matchstick Men degli Status Quo–sono il primo o l'ultimo a dirlo?–per il resto non c'è altro. Mi piaceva Round Are Way. Ma preferisco la musica leggermente più anarchica, violenta, provocatoria. Gli Oasis sono molto addomesticati. Dio benedica Noel: sono sicuro che avrà sempre spazio al Bob's Ful House, ma io cerco cose con più rabbia e più mordente.» Echo and the Bunnymen «Non mi viene in mente nessuna reunion che abbia funzionato. A te? » «Ecco la risposta.» Elcka «Straordinari. Sono andato a vederli di recente ed è stato uno di quei concerti che ricorderò per tutta la vita. Sono veramente speciali. Non vorrei elogiarli troppo perché altrimenti la stampa li odierà, se piacciono a me. Forse. Ma di questi tempi la ruota gira così.»
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FELICE, ADESSO? (1° parte) di Andrew Male Mojo, Aprile 2006
M
orrissey non ha un'aria felice. D'altronde, si sa, le apparenze possono ingannare. È seduto al bar dell'Hotel de Russie di Roma (imponente facciata ottocentesca, interni moderni), sorseggia una vodka Grey Goose con acqua tonica, e valuta la proposta del fotografo di Mojo: un servizio, domani, accanto alla tomba di John Keats nel cimitero protestante della città. È impressionante constatare che in carne e ossa, a quarantasei anni, Morrissey non somiglia quasi per nulla a quel ragazzo cattolico degli anni ottanta, esile e impacciato, con le camicie da donna e i jeans sformati, che si domandava quand'è che la natura l'avrebbe reso uomo. Oggi è più robusto, ha la vista acuta, sfoggia scarpe su misura, una camicia azzurra di sartoria, un invidiabile pullover di cashmere e un paio di jeans scuri, e somiglia a uno di quegli attori inglesi degli anni cinquanta dalla mascella quadrata, come Anthony Steel o Kieron Moore: eroi dimenticati che resistevano alle incertezze del nuovo decennio in un appartamento in affitto dietro Harrods, armati soltanto di un ciuffo sulla fronte, il profilo giusto e un sorriso beffardo e tormentato. È un look perfettamente in linea con l'atmosfera di splendida frustrazione che si respirava l'ultima volta che lo abbiamo incontrato, nel giugno 2004. Dopo sette anni di ascetico esilio a Los Angeles, seguiti all'uscita dello sfibrato Maladjusted («È la mia vita / da distruggere a modo mio»), eravamo nel vortice inebriante di un rinascimento di Moz, con una nuova etichetta, la Sanctuary, un nuovo album, You Are The Quarry (il migliore dai tempi del suo capolavoro del 1994, Vauxhall And I), e un documentario di Channel 4 che vedeva una parata di celebrità di prim'ordine (Bono, Nancy Sinatra, Alan Bennett, Noel Gallagher) celebrare le lodi di questo formidabile poeta di Stretford. Doveva essere una rimpatriata per festeggiare, ma poi le cose hanno preso una piega alla Pinter. Il discorso è passato presto sui conti in sospeso, l'ostilità dell'industria discografica e grandi teorie del complotto, sca-
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turite tutte dalla causa giudiziaria del 1996 (che ricordava la dickensiana disputa tra Jarndyce e Jarndyce) in cui il giudice John Weeks ha disposto che Morrissey e Johnny Marr risarcissero all'ex batterista Mike Joyce un milione e duecentocinquantamila sterline di arretrati. Prostrato dall'emicrania e della meningite, aveva perso lo spirito battagliero e si tirava indietro di fronte alle lodi, come un cane diffidente che riceve un affettuoso buffetto sulla testa. Poi, nel maggio 2005, dopo che Quarry aveva venduto più di un milione di copie, una serie di straordinarie date dal vivo e l'uscita dall'album live di Morrissey definitivo, At Earls Court, la Sanctuary ha prima annunciato e poi smentito la presenza di Morrissey nel cartellone del Festival dell'Isola di Wight che si sarebbe svolto a giugno. Il cantante ha emesso un comunicato in cui affermava: «Non ho mai, in alcuna occasione, concordato una mia presenza al Festival dell'Isola di Wight. L’annuncio di una mia esibizione è stato diffuso dalla Sanctuary, ed è stato un loro errore. Provo molta rabbia, ma non esercito alcun controllo sulla Sanctuary. Per il prossimo album ci sarà un nuovo contratto, per cui vi prego di attendere la notizia dalle mie labbra. Tutto il resto sono solo chiacchiere». Come sempre, l'impressione era che chi contrastava Morrissey lo faceva a suo rischio e pericolo. Oggi, alla maniera di politici, papi e gangster, sussurra qualcosa con fare cospiratorio all'orecchio di un aiutante di campo. Keats è dalla nostra parte, ma poi… un altro scambio di battute enigmatico. «È un posto molto bello» afferma. Sarà felice di farlo. Eh sì: «Felice». Strano a dirsi, è una parola che ritornerà spesso nelle prossime pagine. Si sporge verso Mojo. «Siete già stati a Roma? È bellissima, in ogni angolo.» Forse è stato il consiglio con cui Keith Cameron aveva salutato Morrissey nell'ultimo servizio di Mojo–«Sii te stesso, liberati»–ma è successo qualcosa dopo quei giorni tormentati del 2004. Basta un ascolto del nuovo album, Ring Leader Of The Tormentors, per convincersene. Registrato al Forum Music Village di Roma con il leggendario produttore di T. Rex e Bowie, Tony Visconti, Tormentors è sicuramente il disco più intransigente dell'ex Smith dai tempi di The Queen ls Dead. Ma nei testi di Morrissey si avverte anche una freschezza corroborante, se non proprio sconvolgente. Le stancanti allusioni alla causa giudiziaria e le feconde immagini di esausta frustrazione sono sparite, rimpiazzate da canzoni di incoraggiamento emotivo e generosità, attacco e difesa, e in Dear God Please Help Me, orchestrata da Ennio Morricone, addirittura delle disarmanti allusioni esplicite al sesso. Quasi a confermare che il vecchio Morrissey è morto e sepolto, l'album si chiude con un melodrammatico pezzo alla Shangri-La's, At Last I Am Born, in cui l'Artista Formalmente Noto per la Sua Infelicità ci informa che: «Una volta credevo di avere parecchi motivi per piangere / e li avevo / Ma ora non più / perché sono nato». Nell'eterna battaglia romantica tra ragione e sentimento, Ringleader Of The Tormentors ci presenta un Morrissey che è finalmente evaso dalla prigione dell'intelletto e si è abbandonato al fuoco, alla passione e–udite udite–alla carne. Cosa gli è successo? «È Roma» spiega Morrissey prosaicamente, sorseggiando un'altra vodka tonic. Siamo seduti in una sala convegni dell'albergo, tipicamente austera, piena di lavagnette e matite omaggio dell'Hotel de Russie, ma l'atmosfera è sorprendentemente calorosa, perché Morrissey, dopo aver scoperto che prima di Mojo il vostro inviato si occupava di cinema, si è messo a parlare con entusiasmo di Bande à part di Godard e mi ha caldamente consigliato un musical 253
Felice, adesso? (1° parte) 254
del 1955 con Jimmy Cagney e Doris Day, Amami o lasciami ( «Guarda, lo trovi dappertutto a tre sterline e novantanove. La migliore interpretazione di Cagney in assoluto!»). «Un anno fa sono venuto a Roma è sono rimasto ossessionato dal posto. C'ero già stato qualche altra volta, ma non era mai scattato nulla. Vagavo senza meta, non vedevo nulla e non facevo caso a niente, mentre quest'anno è stato completamente diverso. Forse perché avevo passato gli ultimi sette anni chiuso in casa a Los Angeles, una città in preda alla paura, dove tutto è mirato a evitare il contatto umano. Ho lasciato la casa dove stavo perché troppa gente sapeva dove abitavo. Ogni giorno c'erano persone fuori dalla porta. Che è anche piacevole… ma difficile. A Roma mi sembrano tutti così liberi ed eleganti. Non si dà importanza a niente, il futuro non ha importanza, per strada ti urtano e non ti dicono niente, mentre a Los Angeles è un reato gravissimo.» Un aspetto negativo c'è: Roma è la capitale mondiale in quanto a pellicce indossate. «Questo rovina un po' la città» commenta, «e forse anche il paese, perché non è necessario. Ma è affascinante che le donne che portano la pelliccia abbiano un'aria veramente stupida.» Pellicce a parte, tuttavia, è rimasto completamente sorpreso. Il passato, e Los Angeles, sono «completamente svaniti» . «È successo tutto nel centro di Roma» dice «dove siamo adesso. È lì che abbiamo registrato l'album. A poco a poco, ogni tassello ha trovato il suo posto.» Tra questi tasselli, figurano Visconti, Morricone («Aveva detto di no a tutti… poi ha ascoltato le canzoni e ci ha ripensato!») e il chitarrista texano di Alanis Morissette, Jesse Tobias, che ha collaborato a comporre cinque degli undici brani dell'album. «È un nuovo acquisto incredibile» dichiara Morrissey entusiasta. «Prima mi stavi chiedendo delle nuove fonti d'ispirazione? Be', sicuramente anche Jesse fa parte della lista.»
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Andrew Male
Felice, adesso? (1°parte)
È facile lavorare con te? «Sì. Non mi aspetto scherzi o battute sceme, però mi considero accomodante in modo spaventoso, assai poco esigente... Ma anche Mussolini era così.» Hai appena detto niente battute. Non riesci proprio a resistere, vero? «Veramente no. Sono nato per andare al Benny Hill Show.»
È stato facile accettare quell'accoglienza? Non eri un po' diffidente? «Certo. Non riuscirei mai a rilassarmi del tutto, e ne sono felice. Resterò sempre diffidente. Non sono uno che si crogiola nella buona sorte. Quando le cose vanno in un certo modo, qualcuno deve spezzare l'incantesimo.» In tutto quel bailamme per l'Isola di Wight hai rilasciato una dichiarazione in cui dicevi che il prossimo album di Morrissey non sarebbe uscito per la Sanctuary. Come mai sei ritornato sui tuoi passi? «Qualcuno della Sanctuary ha detto che avrei suonato all'Isola di Wight. Da lì è scoppiato un comprensibile putiferio e nessuno della Sanctuary si pronunciava a mio favore. Non sono tipo da cacciarsi in certe situazioni. So benissimo che cosa voglio fare e che cosa non voglio, e lì era un casino. Comunque, ormai credo sia acqua passata.» Si sono scusati? «Assolutamente! Ma tanto il contratto era comunque scaduto. Era solo per un album, e sostanzialmente con la Sanctuary avevo chiuso, ma dopo l'Isola di Wight mi hanno fatto un'offerta e, be', eccoci qua. Ma c'è stato qualche casino nella mia vita…» Rimpiangi mai di non aver avuto un manager inflessibile, uno di quei duri col sigaro in bocca? «Sì, in una certa misura sì. Avrei sempre voluto qualcuno da guardare con ammirazione, capace di camminare davanti a me.»
Quindi alla fine pensi che sarebbe meglio se facessi tutto da solo? «Assolutamente.»
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Nell'album non si fanno allusioni alla causa legale. L'hai finalmente esorcizzata dall'animo? «Più o meno, direi di sì. Ma se continuo ad andare a ruota libera… Ho scoperto che se cominciavo a parlarne diventava il punto centrale dell'intervista… Quando è troppo è troppo. Questo non significa che mi sia ammorbidito.»
Andrew Male
Il nuovo disco sembra influenzato dall'accoglienza dell’ultimo album. È più sicuro, meno difensivo… «Be', quando ti prendono a schiaffi in faccia lo spirito si indebolisce. Non ti senti gradito, hai la sensazione che non ci sia tanta voglia di sentire quello che hai da dire. Quando invece ti fanno sentire gradito, la forza e la sicurezza aumentano.»
A un certo punto ti sei affidato al manager di Neil Young e Bob Dylan, Elliot Roberts. Immagino che anche loro non siano una passeggiata… «Mi pare che sia durato sette giorni. Era gentilissimo, ma non aveva senso, perché non puoi modellarmi come una statuetta. Non posso essere quello che non sono. E non posso farci niente. Io sono semplicemente me stesso, purtroppo. Riesco soltanto a seguire il mio cuore e fare le cose a cui credo appassionatamente, e questo è difficile, nel mondo della musica. Crea problemi. Non voglio insinuare di essere superiore a tutto... però lo penso!» L'impressione iniziale che ho avuto ascoltando l'album è che si tratti di un uomo… (colpo di tosse) “felice”? «Meno male che hai tossito.» Hai cambiato modo di scrivere, c'è un maggiore senso di apertura… «Di mondanità? Be', è vero. Quando ho cominciato ero spaventosamente provinciale. Schiavo dell'Inghilterra.»
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Felice, adesso? (1° parte)
Ma c'è mai stato un periodo in cui lo facevi? L'immagine di Morrissey comunemente accettata dai media è quella di una persona che ha sempre tratto profitto dall'infelicità… (Mi interrompe) «Grazie, questo è un complimento. Pensano di criticarmi, e invece non è così.»
Il mondo sarebbe un posto più felice, se sposassimo tutti quell'idea? «Credo sia necessario, perché ne siamo tutti ossessionati, ma è soltanto una perdita di tempo.»
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nermi a quello che scrivevo nel 1987?» «Esattamente. Ormai quelle emozioni sono state espresse. È successo. C'è stato, ma non mi sento né legato, né intrappolato, e non mi sento neanche la stessa per-
Andrew Male
I testi di Morrissey sono come le pagine di un diario? «Perché dovrei atte-
sona. Non voglio fare una cronaca degli avvenimenti.»
D'accordo, allora permettimi di insultarti. Potresti affermare di aver fatto i tuoi album più belli quando sei amato e soddisfatto? «E quando sarebbe successo?» Be', all'apice degli Smiths, quando ti sei reso conto che stavi lavorando con una grande band? L'adunata di gente mobilitata per la realizzazione di Vauxhall And I e quest'album? «Sì, è vero. E che c'è di male?» Niente. Perciò Morrissey lavora meglio quando è… (Sussurra) «Felice… in questo c'è un briciolo di verità. Ma soltanto un briciolo.» Il coro di bambini che canta: «La normalità non esiste!» in The Youngest Was The Most Loved deve essere stato uno dei momenti più alti. «Specie quando vedi tutti questi bambini italiani di sette anni che cantano, tutti contenti e perfettamente eloquenti, senza che ci sia bisogno di spiegare niente.»
Ascoltare quest'album è stato un po' come guardare un film di Hollywood dopo l'allentamento del Codice Hays, un mondo di decoro improvvisamente inondato dal sesso. Non mi sarei mai aspettato di sentire da Morrissey frasi come [in Dear God, Please Help Me]: «Lui mi fa un cenno con la mano sul mio ginocchio… E adesso ti allargo le gambe, con le mie nel mezzo…». (ride) «È buffo sentirtelo dire… Be', non ho mai pensato che ci fossero argomenti che non potevo trattare, ma a meno che non parlassero di me, non avevo voglia di avventurarmi su altre strade. Una canzone deve essere vera, altrimenti non ha senso. E questa è verissima.» Ma non c'è stato un periodo in cui, anche se fosse stata vera, non l'avresti scritta comunque? In cui non saresti mai arrivato a tanto? «Be', prima non ero stimolato. Non posso parlare per tutti, ma è stato un viaggio gratificante e non pensavo certo di arrivare fino a questa… età. Almeno sono la prova vivente che le cose possono migliorare.» 259
Felice, adesso? (1° parte)
Perché non pensavi di arrivare a questa età? Morte per noia, esaurimento o semplice voglia di smetterla? «Tutte queste cose. E altre.» È strano, non trovi? Fin dagli esordi con gli Smiths hai imparato a parlare con leggerezza di cose serissime, per non sembrare noioso. Avevi l'impressione di rivelare troppo di te stesso in quelle interviste? «Sì, ma sentivo che non poteva essere diversamente, altrimenti saremmo stati come i vari Nightingales, June Brides o Jasmine Minks, allegri e giocondi. Il mondo non aveva bisogno di un altro gruppo così. Sentivo che dovevo semplicemente gettarmi nella mischia, fregandomene di quello che poteva succedere.» Di conseguenza, però, parleremo con leggerezza della tua depressione… Ci sono stati dei momenti in cui hai pensato: Basta, mi sono rotto le palle? «Be', forse a un certo punto sì, quando hanno cominciato a scrivere tante cattiverie sul mio conto. Il processo agli Smiths è stato sicuramente una prova difficile da superare. Una persona meno forte sarebbe crollata. Da quel momento in poi ho pensato: Bene, allora dillo e basta, fallo e basta, e vivi come sei. Insomma, quando tanta gente ti dice che non ballerai più…» E sei tornato alla fine dell'ultimo atto, da star! «Oddio, sono davvero così banale?» Quali sono i tuoi meccanismi di difesa? «La malattia improvvisa. Funziona sempre.»
Potrebbe esserci un altro punto di connessione? Credi che seppur non praticante, resterai sempre cattolico? «Non credo che si possa scegliere. È una cosa che ti inculcano dentro. Ci vorrebbe un saldatore per liberarsene. Non succederà mai, a prescindere dai tuoi sentimenti e a prescindere dalle tue intenzioni.»
Qual è la tua posizione nei confronti della psicanalisi? Vedevi un analista a Los Angeles? 260
Andrew Male C'è una grande tradizione critica che associa la creatività artistica alla depressione. Prenderesti una pillola che potrebbe renderti sempre felice? «Prenderei tutto il flacone! Tu scherzi, ma non sono mica fesso!» Non avresti paura di perdere la tua marcia in più? «Al diavolo la marcia in più!» Ma che tipo di canzoni scriveresti poi? «Oh, non scriverei mica! Avrei ben altro da fare.» In You Have Killed Me annunci: «Pasolini sono io!» e fai riferimento a due suoi film, Accattone e Anna Magnani in Mamma Roma. Che cosa ti attira di questo inquieto cattolico marxista…? «Be', tante cose… ho visto tutti i suoi film… Non c'è niente di artificioso. Si vedono persone vere, senza distrazioni, solo le persone nude e crude, e tutto si svolge in strada. Un genio estremo. Ma aveva anche un'ottima presenza, e non si faceva condizionare dagli altri. Non aveva bisogno di essere qualcun altro, era se stesso nel suo mondo e anche se era ossessionato dalla vita dei bassifondi, era esattamente quello che voleva. Non voleva altro.»
Quali canzoni sono più evidentemente una conseguenza della tua educazione cattolica? «Tutte. Non c'è assolutamente nient'altro.» 261
Felice, adesso? (1° parte)
«Nooo, mai. Cioè, ci sono andato prima di andar via, perché ero in partenza per Los Angeles. E loro mi hanno detto, ovviamente, «Per favore, non lo fare». Adesso non vedo nessuno. Tanto siamo tutti messi male. E prima o poi finirà tutto, perciò non ha proprio senso sprecare soldi in analisti. Che c'è da dire? Sei infelice? E chi è felice?» Ma questo che parla è il Morrissey di oggi. Non c'era anche un altro Morrissey, che invece la trovava utile? «Ho mai detto questo? No, anche se in effetti sono stato in analisi per un po'. Non ne ho avuto una grande impressione.» Se ne stavano seduti lì senza dire niente? «E che altro possono fare? Si limitano solo a porgerti la fattura. Ma la terapia serve a liberare e purificare il sé e permettere a tutto quello che hai dentro di uscire…» E non l'hai fatto già? «Appunto.»
Hai trovato l'amore? «Sì, l'ho trovato, ebbene sì. Tanto è tutto falso, ovviamente…» Che cosa? Tutto l'amore è falso, o è falso l'amore che hai trovato? «La seconda che hai detto. Ma non c'è problema. Tu hai trovato l'amore? Come fai a dire che è amore?» Perché mi sento incompleto, senza. «Bah, quello è sempre uno scambio. Tu hai qualcosa che io non ho, e io ho qualcosa che tu non hai. Ma va benissimo.» C'è ancora un freddo razionalismo in te, non trovi? «Lo analizziamo troppo, credo.» Questo significa che non ti innamorerai mai perché sarai sempre… «Ho ottant'anni! Non è rimasto tanto tempo.» Non hai paura di finire come John Osborne o John Fowles, uno di quei cinici diaristi che annotano la decadenza del mondo? «Se Dio vuole.» Ma la persona che ami, o di cui sei innamorato, che ne penserà di questo? Perché è evidente che dovrà saperlo. «Be', sì, perché gli scrivo e glielo dico.»
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Andrew Male La ricerca dell'amore sembra uno degli argomenti principali degli ultimi due album. «Be', un argomento secondario…»
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FELICE, ADESSO? (2° parte) di Andrew Male Mojo, Aprile 2006
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l giorno dopo, nella hall dell'Hotel de Russie, Morrissey dona un «piccolo presente» a Mojo: un dvd di Jimmy Cagney in Amami o lasciami. Più tardi, avvolto in un cappotto di lana pesante, Morrissey passeggia con Mojo nei fatiscenti giardini di Villa Borghese, un caotico e meraviglioso mondo di grandeur rococò ottocentesca, decadimento naturale e graffiti moderni, donato al popolo di Roma nel 1901 come parco pubblico di proprietà dello stato. «Se fossimo in Inghilterra» borbotta Morrissey «sarebbe pieno di cartelli “Vietato calpestare il prato” e vedremmo un mucchio di adolescenti che incombono minacciosi. Dì alla gente di non fare qualcosa, e hanno ancora più voglia di farla. Qui sono liberi, e quindi non ci fanno caso.» Morrissey ha sempre con sé un taccuino durante queste passeggiate («Mai meno di cinque»), e annota in fretta brandelli di conversazioni origliate qua e là. «Sono tremendo» ammette. «Ogni volta che mi rivolgono la parola, la vedo già scritta.» Più tardi, accanto alla tomba di Keats nel cimitero protestante, prima del servizio fotografico, Morrissey si sofferma sull'epitaffio che campeggia sulla lapide (apprezzando la frase sul «potere maligno dei suoi nemici») mentre un trio di paciosi gatti randagi, parte dei trecentomila felini protetti dal comune di Roma in quanto «patrimonio biologico» cittadino, si aggirano con aria soddisfatta attorno alle sue gambe. «Sai come si fa a capire se è un soriano autentico?» sussurra. «Hanno una M marchiata sulla fronte.» Recentemente, sul sito di fan True To You, gli è stato chiesto quanto influisse l'ambiente sul suo lavoro. La sua risposta? «Queste cose non mi fanno nessun effetto. Io sono un'isola.» Mi sembra una sciocchezza, azzardo. Gli Smiths non hanno mai avuto sonorità da band dell'Anglia orientale, ma erano chiaramente del Nord, e quest'album è palesemente frutto del suo amore per Roma. «Sì, c'è un fondo di verità» ammette «ma d'altra parte io mi sento dav-
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vero un'isola, al punto che potrei essere quasi ovunque, non soggetto agli influssi del luogo, eppure profondamente influenzato.» Cresciuto nella Manchester degli anni sessanta, Morrissey ritiene che l'ispirazione lo abbia colpito quando aveva sette o otto anni. «Non mi crederai» spiega poi, tornati in hotel «ma sicuramente stavo covando qualcosa, e mi sentivo a mio modo una piccola opera d'arte. Tutti i ricordi che ho della vita non sono di persone, ma di canzoni o di film. Da bambino ero ossessionato da You've Lost That Lovin' Feelin', con quelle due voci che saltellavano qua e là, e quando li ho visti a Top of the Pops, il fatto che [Bill Medley e Bobby Hatfield] non si guardassero mentre cantavano quelle due parti mi sembrava straordinario. Le cose che mi influenzavano di più, nei film e nella musica, erano sempre accidentali e stravaganti, e avevo la sensazione che si potessero riunire e miscelare per ottenere un risultato finale eccezionale.» Se c' era bisogno di un catalizzatore, arrivò nel novembre del 1973 con l'esibizione dei New York Dolls a The Old Grey Whistle Test, che spronò il giovane Morrissey a scrivere lettere al Melody Maker e al nme per elogiare e difendere i tanto dileggiati eroi glam della parte bassa di Manhattan. «Per un po' sono stato un gran rompiscatole» dice. «Scrivevo lettere e sognavo di fare il giornalista, ma è stato un fallimento completo. Certo, anche fare la popstar a undici anni e mezzo, ricoperto dall'acne, è ridicolo [ma] a quei tempi sembrava una cosa formidabile. Ero impacciatissimo, e determinato, ma sapevo, dentro di me, di essere abbastanza affascinante, anche se non se ne accorgeva nessuno.» Quando uscì This Charming Man nel 1983, molti pensarono che il ragazzo sulla copertina fosse Morrissey, invece di Jean Marais, pupillo di Jean Cocteau. «Spiritualmente era così » dice oggi Morrissey. Si trattasse del caratterista inglese degli anni cinquanta Sean Barrett (sulla copertina di How Soon ls Now) o del compianto Patrie Doonan, citato in Now My Heart ls Full, l'impressione era che questa intima convinzione del suo fascino avesse come risultato una ricerca dell'“immagine di Morrissey” su altri volti, altre persone… «Sì, penso di sì» dice «penso proprio di sì. Conosci la storia di Patrie Doonan? Si è ucciso in una strada di Chelsea che si chiama Margaretta Terrace, a poca distanza da Oakley Street, al numero quattro mi pare. Si è suicidato con il gas nello scantinato. Ho scritto agli inquilini (ride): Sapete niente del fatto che Patrie Doonan si sia tolto la vita nella vostra cantina…?. «E loro mi hanno risposto forse “Come ha fatto a trovare questo indirizzo? Per favore, smetta di scriverci”? No, non si sono presi neanche il disturbo di fare questo piccolo sforzo, purtroppo. La sensazione era che, sicuramente, le emozioni che provavo, le persone in cui vedevo grande bellezza e fascino, forse non valevano niente.» Morrissey non si è mai disinnamorato dei suoi eroi. Nel 2004, in occasione del Meltdown Festival, ha invitato i membri superstiti dei New York Dolls a esibirsi dal vivo. È sembrato un autentico momento di rivincita per il ragazzino di Manchester dai gusti stravaganti che non aveva mai abbandonato. «Hai visto il dvd di Bob Gruen [All Dolled Up]?» mi domanda. «È straordinario, e conferma tutto quello che vado dicendo di loro da anni. David Johansen era intelligentissimo, per un diciannovenne; pieno di spirito, colto, inarrestabile e qui, finalmente, si vede su pellicola. È sempre stato frustrante per me, che il resto del mondo non comprendesse le cose che accendevano il mio entusiasmo. Perciò è affascinante che nel 2006 tutto sembri acquistare senso.» 265
Felice, adesso? (2° parte) Il primo articolo importante sugli Smiths lo ha scritto Dave McCullough su Sounds nel 1983. Che effetto ti ha fatto leggerlo? «Fantastico, perché ardeva d'entusiasmo, c'era una serie di fotografie fantastiche e fino a quel momento avevo sempre creduto di non essere… neanche lontanamente fotogenico, perciò sono rimasto stupito di vedere quella strana creatura… non riuscivo a credere di trovarmi in quel corpo, e in quella situazione. Era un'emozione indicibile.» Domanda sciocca: gli Smiths sarebbero potuti esistere soltanto in quel momento? «Assolutamente, mentre il resto del mondo era distratto. È l'unico modo per sorprendere. Non stupisci nessuno se il tuo arrivo è annunciato con squilli di tromba da una casa discografica. Devi dargli un colpetto sulla spalla e cogliere l'espressione che hanno quando si girano. Come faccio spesso.» È ora di ascoltare la tua versione della storia? Corrono voci di un'autobiografia… «Non sono voci. Purtroppo è impossibile dedicarsi a un'autobiografia seria se sei in viaggio e il tuo tempo viene continuamente spezzato da un cambiamento di ambiente. Mi sono ripromesso di farla. Ma non c'è nessun contratto. Sui giornali ho letto che mi avrebbero dato dei milioni. E che avevo chiesto di più! Sono tutte stronzate. Non mi è stato mai offerto niente! E non ho mai avuto colloqui con un editore.» Come ti senti quando queste storie apparentemente si propagano da sole? «È sempre molto seccante perché, nel mio caso, la formulazione è sempre molto estrema e pare sempre che io abbia una reazione estrema a qualcosa che, in primo luogo, è completamente inventata. È esasperante, ma arrivi al punto che la vita non ti appartiene più.»
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di grande ispirazione come Shelagh Delaney ed Elizabeth Smart, qual è stata la prima canzone che hai scritto senza vincoli, in cui hai pensato: queste persone mi hanno aiutato, ma adesso posso volare libero?
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Considerato quanto le tue prime canzoni fossero influenzate da scrittrici
«È una bella domanda e probabilmente non è successo se non molto tardi perché una piccola parte di me è sempre stata, come dire, insicura e questo probabilmente succede quando fai affidamento sulle idee altrui. Insomma, lo so che con Shelagh Delaney ho esagerato. C'è voluto tantissimo tempo per disfarmene. Ma nessuno è mai così originale come crede di essere. Ho sempre pensato che la grande rete di tutte le mie influenze fosse affiorata dentro di me come qualcosa di abbastanza unico.»
Nel film di William E. Jones sui fan statunitensi di Morrissey, Is It Really So Strange?, i fan dicevano che i tuoi testi in passato sono stati raramente caratterizzati da una specifica identità sessuale, e questo ha permesso che una vasta pluralità di gruppi diversi si identificassevin loro. Oggi, con brani tipo Dear God, Please Help Me sul nuovo album… l'identità è specifica. «Sì.» Perché? «Sto scappando via spaventato adesso? Qualsiasi cosa ti attribuiscano, è quello che sei e non posso farci niente. Possono dire quello che vogliono. Non ho nessun controllo su come gli altri vedono una situazione, e allora perché ossessionarsi? E perché mettersi a correggere tutto il pianeta per la visione che hanno di te? Sarebbe spossante. Ed è impossibile.» 267
Felice, adesso? (2° parte) Che cosa ti ha portato la maturità? «Sicuramente mi ha stupito. Ho sempre pensato che la via per i trent'anni fosse orrenda e quella per i quaranta fosse quasi sopportabile, ma negli ultimi anni ho la sensazione che ci sia della gioia da trarre nella vita». Probabilmente è un'affermazione che non avresti mai immaginato di fare. «Mai. Ma non ho mai immaginato di arrivare a questa età.» Avevi deciso di uscire di scena? «Mi avrebbero chiesto di andarmene.» Per cosa scenderesti a compromessi? «Niente. Che cosa ci potrebbe essere?» Qualcun altro? «Dovrebbe essere bravissimo a freccette.»
Non avrei mai pensato di sentirtelo dire. «Se resti ancora un po', vedrai che peggiora.» Questo signifìca che finalmente hai incontrato quella persona speciale che aspettavi davanti ai negozi? «Sì… Babbo Natale.» E in futuro? «Non vedo mai oltre sette giorni. Non capisco perché, ma non ci sono mai riuscito.» È una tattica per fronteggiare la situazione? «Cerco di preoccuparmi molto meno di quanto facevo una volta. È un fantastico meccanismo di difesa.» Resterai a Roma nel prossimo futuro? «Sì. È nella mia natura esagerare con tutto.» Una volta hai detto che saresti scappato a gambe levate se ti fossi trovato di fronte allo Steven Morrissey del 1983. E secondo te lui come avrebbe reagito incontrandoti adesso? «Credo che resterebbe terribilmente impressionato. Davvero.» E questo è tutto. Il tempo a nostra disposizione è scaduto. Dico a Morrissey che mi sono veramente divertito («Scommetto che lo dicevi anche a Jimmy Krankie») e chiedo se ci sarà modo di risentirci. «È una vita massacrante» borbotta, e l'uomo che una volta comunicava con i collaboratori e il management soltanto via fax, scarabocchia il suo indirizzo e-mail in cima al mio elenco di domande. «Tienilo sotto lo Stetson» dice. 268
identità sessuale in una così bella… canzone d'amore? «Molte delle più belle canzoni d'amore di tutti i tempi non sono caratterizzate da una specifica identità sessuale. Le mie, sinceramente, sono innocenti espressio-
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Ma occorre un Morrissey forte e soddisfatto per mostrare una specifica
ni di una persona alquanto primitiva. Questa innocenza ti impedisce di andare oltre. Se scrivi senza tener conto dell'identità sessuale, puoi dare l'idea di voler evitare la netta verità, o di parlare in codice, oppure di lanciare un ammiccamento d'intesa: lo capisco benissimo, naturalmente. Ma non credo che sarei meno di un enigma per le persone se in realtà scrivessi o cantassi in un modo fragorosamente specifico. Come ho detto prima, sono semplicemente e imperdonabilmente me stesso.»
Sul nuovo album, in To Me You Are A Work Of Art, canti: «Vedo il mondo / Mi fa vomitare / Ma so che da qualche parte c'è qualcuno che mi può calmare». È questo il nucleo essenziale di Morrissey oggi? «Sì.»
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Felice, adesso? (2° parte) 270
È andato tutto stranamente bene e me ne vado con il mio dvd di Cagney, una discreta conoscenza dei gatti soriani e la strana sensazione che l'uomo con cui ho parlato, il vero Morrissey, è finalmente (colpo di tosse) felice. A sorpresa, due settimane dopo, mentre andiamo in stampa, Mojo riceve nove diverse e-mail da Morrissey, che si scusa per il ritardo e risponde di buon grado a una serie di domande supplementari. Mondano, collaborativo,soddisfatto? Parliamoci chiaro, Steven Patrick Morrissey scapperebbe a gambe levate.
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L'ULTIMA TENTAZIONE DI MORRISSEY di Paul Morley Una versione abbreviata di questa intervista è apparsa su Uncut, Maggio 2006
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o incontrato Morrissey per la prima volta nel 1976, in coda sotto la pioggia davanti all'Electric Circus di Manchester. Eravamo lì per vedere i Ramones. Gli domandai se si era accorto di avere ai piedi un paio di scarpe spaiate. «Certo» rispose. Fu la nostra prima intervista. Trent'anni dopo, recensisco il nuovo disco di Morrissey in termini molto positivi, identificandolo correttamente come un classico moderno, energico ed eloquente. Lui chiede di vedermi, forse solo per verificare che non lo stia prendendo in giro. Mi accoglie sulla porta della sua suite al quarto piano del Dorchester con uno sguardo vigile, vagamente diffidente. È vestito in modo semplice ma costoso, con una giacca antracite perfettamente in tono, un maglioncino di cashmere con scollo a V, jeans freschi di bucato e dei deliziosi mocassini italiani in tinta: l'acquisto attentamente ponderato di un uomo che non odia l'idea della vita come potrebbe lasciar intendere. Il celebre ciuffo sulla fronte, del colore di una nuvola bassa, ora spunta giocosamente da una stempiatura imperturbata. Dritto come sempre. «È bello rivederti» dico, prima di rendermi conto dell'errore. «Perché?» rabbrividisce, allungando la parola attorno ad alcune sillabe turbate e infastidite, scosso dalla mia sfacciataggine. Morrissey risponde alle domande a voce bassa, in perfetta serenità, come se fosse l'uomo più equilibrato del pianeta. Per molti versi in effetti lo è, ma il prezzo da pagare per mantenere questo equilibrio è stato una sorta di follia. (Più o meno allo stesso modo, la sofisticata maturità è legata a doppio filo a un'immaturità in apparenza incorreggibile, la robustezza combatte contro una salute cagionevole, la cortesia si batte con la cattiveria, e la fiducia crescente nelle proprie capacità si avviluppa attorno a un'agghiacciante insicurezza.) Il tono colloquiale è più divertente di quanto traspaia sulla stampa, e Morrissey ride spesso, di sé e tra sé, a volte nello
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stesso momento in cui sembra soffrire in modo terribile. Non offre facilmente informazioni in modo spontaneo. L’intervistatore deve scavare a fondo per trovarle, come se, proprio davanti ai suoi occhi, e con il suo aiuto, anche se si è affabili o adulatori, o addirittura innocui, gli stesse scavando la fossa chiedendogli di sdraiarsi dentro per poterlo seppellire vivo con i suoi discorsi. Di conseguenza, dopo essere stato quasi sepolto in questo modo tante volte negli ultimi ventitré anni, è comprensibilmente riluttante a fornire volontariamente il materiale che potrebbe completamente ricoprirne il corpo e il volto. Si limita a dispensare una manciata di terriccio, che potrà facilmente lavar via più tardi. E se non crede che lo stiano seppellendo, potrebbe pensare che lo stiano pugnalando. Dopo un rifiuto o una deviazione particolarmente elegante di fronte a questa, quella o un'altra domanda, sorride–più o meno–e ti invita a riporre il coltello. È un modo interessante di considerare quelle che, alla fine, sono solo alcune domande poste al servizio di una curiosità violenta e del tutto naturale su questo individuo che è riuscito ad avere un perverso successo nel suo spiccato individualismo. E così, tu continui a pugnalare e lui riesce abilmente a evitare i fendenti. Alcune domande–per esempio, il nuovo disco è il tuo capolavoro, sei felice, ti sorprendi a ripeterti, quali sono state le ultime tre voci sul rendiconto della tua carta di credito, che cosa ti entusiasma di questi tempi, hai un disperato bisogno della nostra attenzione, tutto questo è un atto di vendetta nei confronti di Marr, sei tutto preso dalla saga di Preston e Chantelle?–ricevono una delle seguenti risposte, talvolta accompagnate da un sorriso accattivante meravigliosamente forzato, uno sguardo assente, una pausa marcata e un sottile, inquietante ghigno sul viso: 1) Tu che ne pensi? 2) Non saprei proprio che dire. 3) Non mi pare. Di tanto in tanto non c'è risposta, ma solo uno sguardo, brutale e artistico, per far capire che la domanda è di una stupidità colossale, troppo profonda o incerta per trattarla in modo adeguato. Uno sguardo che contiene elementi di stanca ma stranamente felice rassegnazione, un timido sorriso come se stesse davvero per svenire, uno sguardo assente, quasi all'antica, un lampo di noia e/o di stizza, un barlume di disprezzo e un impercettibile sorriso radioso.Nel resoconto del nostro incontro, uso la dicitura “smorfia” per comunicare questo silenzio. Di tanto in tanto c'è un sospiro seccato, ma in qualche modo gentile, che sembra prolungarsi dall'inizio alla fine del tempo. Lo indico con la dicitura “sospiro”. Sempre per la cronaca, durante l'intervista sono andato al bagno tre volte–solo per controllare la mia espressione allo specchio–e ogni volta che sono tornato, Morrissey aveva cambiato sedia e sfoggiava un'espressione vagamente colpevole sul volto, che non riesco proprio a definire.
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«Allora sarai gentile? (smorfia)» Hai letto la mia recensione di Ringleader Of The Tormentors… «Significa no…» Solo perché ti ho definito tenacemente originale. È una cosa che non prenderei nemmeno in considerazione… «Essere gentile, o non essere gentile?» Oh, ma dai… «Secondo me dovresti essere gentile.» Hai un bell'aspetto. «Non so perché, considerato tutto quello che ho passato.» Oggi, in generale, la settimana scorsa, negli ultimi anni… «Dal 1959.» Come stai invecchiando, come ti senti? «Oh (sospiro), è una domanda a cui non si può rispondere… perché è un mistero anche per me. Sono qui. Ancora. Al di là di questo, non so proprio che dire, per essere sincero.»
Mi ricordo che anche a trentatré anni eri un po' sconvolto. «Mi sembrava un'età così irraggiungibile. Non credevo possibile vivere tanto a lungo. Ricordo un'intervista a Radio One, in cui dissi che tutti i cantanti pop dovrebbero essere fucilati a trent'anni. La cosa inquietante è che ne ero convinto davvero, con tutto il cuore. Ma non adesso, ovviamente. Ah, quelli sì che erano tempi.» E poi che è successo? «Non sono morto.» (sospiro) È tanto semplice. «Be', in realtà è molto complicato. No, è veramente così semplice.» Che fine ha fatto l'idea di una morte prematura? «C'è tempo… Non l'ho ancora scartata.» Sei tentato di morire nel magnifico Nord? «Assolutamente. Come sai, Manchester è un città completamente rinnovata. Ma è una novità attraente.» E che te ne pare? «Non ha nulla a che vedere con la città che conoscevo una volta e con quella che conoscevi tu. Da una parte mi intristisce, perché non sono scomparse solo le generazioni più vecchie, ma anche la generazione seguente, e camminando per Manchester non si
Paul Morley Gli ultimi anni sembra che siano stati molto piacevoli. Sei prolifico come non mai. Hai l'attenzione di tutti. L'età ti fa bene. «Alla fine diventa una questione di costanza. Vai avanti e basta. Non hai scelta, una volta superata la soglia dei quaranta. Non c'è quasi niente al mondo che abbia più importanza. È troppo tardi per preoccuparsi sul serio delle cose, perché sei già in una condizione incomprensibile.» Stordito da un travolgente accumularsi di esperienze? «Be', puoi ben dirlo. Non avrei mai pensato di arrivare a quarant'anni, poi all'improvviso ritrovarmi a quarantasei, mentre nel mondo della musica hanno tutti la metà dei miei anni… è affascinante. Ed è affascinante che ragazzi di diciassette anni mi fermino per strada esclamando: «Oh mio Dio». È una situazione curiosa. Entri nel mondo della musica che sei un ragazzino imberbe, cerchi di impressionare tutti quelli che sono più grandi di te e poi all'improvviso, come se niente fosse, svolti quindici angoli in una volta sola e ti considerano un vecchio senatore o qualcosa del genere, e la persona che più di tutte non riesce a spiegarselo sei proprio tu.»
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vede neanche un anziano. All'improvviso, sono tutti giovani. Presumo che i mancuniani più vecchi siano stati spazzati via, quelli che ricordano le cose che noi vorremmo dimenticare. Sotto quell'aspetto è triste. Ma negli anni settanta non era certo un posto piacevole. Ecco perché tu sei diventato un giornalista e io sono diventato quello che sono diventato. Altrimenti saremmo stati felicissimi di abitare a Denton e… completa tu la frase.» Questa nuova modernizzazione non era quello che volevamo? «Sì. Ma non credo che immaginassimo di vederla davvero, e la realtà fa sempre un po' paura, sembra che si prenda via tanto, se non di più, di quanto porta in cambio. È molto triste che l'elemento archeoindustriale di Manchester, la vecchiaia, stia svanendo, perché nel fatto di non avere una possibilità di scelta nella vita c'è anche un non so che di gratificante. C'è un non so che, nel fatto di essere intrappolati…» Quindi non l'avresti voluta in nessun altro modo? «Be', nessuno me l'ha chiesto, e non ho avuto possibilità di scegliere, caso mai ci fosse stata una scelta… ma c'è un non so che di gratificante nel fatto di restare incastrati, ti dà quasi una scarica di adrenalina che non avresti mai, immagino, se abitassi in un'ala del Castello di Windsor.» Negli anni sessanta e settanta era il tuo sogno di una vita sofisticata? «Una vita agiata. E non significa Alderley Edge.» Cercavi una diversità? «Direi di sì. Non ero molto bravo a far parte della classe operaia e via dicendo… Non c'è assolutamente ragione al mondo per cui debba avere una propensione in ogni ambito. Però è così.» Il fatto che una volta aspirassi a scrivere di musica ha influito sul modo in cui ti sei rapportato alla stampa musicale… quasi come uno che era fuggito nel mondo esterno, rendendo reale l'idea di diventare una popstar, lasciandosi dietro una scia di rancori e tensioni? «Non ci sono mai riuscito… mi sono sforzato tanto, e come sai per dodici anni sono stato un gran rompiscatole, e provo assoluta solidarietà per tutti quelli che ho assillato con lettere, articoli e via dicendo, ma avevo solo tre anni e mezzo e volevo far parte di un mondo affascinante. Pensavo di riuscirci in quel modo, ma non faceva proprio per me… e adesso ringrazio il cielo, perché se mi fossi affermato in quel campo forse non avrei mai suonato l'ukulele.»
Paul Morley A che età ti è venuta voglia di fare il cantante? «A due anni. Vidi i Righteous Brothers in televisione. Bill e Bobby. Pensai: “Fantastici”. Sono io.» Howard Devoto ha esercitato una certa influenza, alla fine degli anni settanta? «In quel periodo sì, perché mi assomigliava molto di carattere, o forse ero io che assomigliavo a lui. Ricordo di aver visto i Magazine al Russell Club… Erano tornati da Londra, dove le cose andavano bene per loro, e fu uno spettacolo entusiasmante, con lui che si gettava a terra. Mi sembrava l'apice del glamour intellettuale. Non vedevo molti altri come me nella musica pop. C'era Ron Mael… Riuscivo a identificarmi con lui. Ma nessun altro.» Che cosa avevano di particolare Mael e Devoto? «Erano tutti e due visibilmente timidi e si vedeva chiaramente che erano alle prese con problemi molto complessi. Non sorridevano. Ma avevano dei pensieri. Non erano saliti sull'allegro ottovolante del pop. Una cosa che apprezzavo anche in Nico. A quei tempi c'era ancora la convinzione che per fare il frontman, mettiamo, 277
L'ultima tentazione di Morrissey Che cosa ti spinge? «Un impulso irresistibile. Questo non è un mestiere, o una vocazione. È un'esigenza.» Tutte le analisi, la percezione, l'esame minuzioso, l’accumulazione di informazioni che ti riguardano… quanto è difficile andare avanti, resistendo ai tentativi di renderti immutabile? «È molto difficile. Una volta si poteva credere che, anche se scoppiava una bomba sulla stampa, nel giro di una settimana sarebbe scomparsa senza lasciare traccia. Oggi con internet non è più così, è tutto lì e ogni giorno divampa un incendio… ne viene fuori una ogni santo giorno. Per me è difficile, perché su di me scrivono senza sosta un mare di cazzate, e le interviste che vengono pubblicate non hanno niente a che vedere con l'incontro che ho appena avuto con il giornalista. Non so perché, purtroppo, ma quando si tratta di me tutti si sentono in dovere di scrivere qualcosa… degno di nota. Non si accontentano di scrivere un semplice resoconto dei fatti. Ci dev'essere per forza un qualcosa di… sorprendente.» Sei diventato un'opportunità per i giornalisti di dimostrare la propria ambita eccezionalità. «Temo di sì.» Che faccia tosta… «E lo vedo per giorni prima ancora di incontrare il giornalista. Non posso farci niente. Sono solo una chiave nel mezzo di tutto. Anzi, non sono niente. Una semplice chiave. Niente.» Ma continui a farle. «A volte fanno piacere. È una cosa che non so spiegare» (sospiro). All'inizio degli anni novanta, l'amore delle riviste musicali nei tuoi confronti si 278
shock.» E alla fine che cosa ti ha spinto a salire sul palco? «In realtà non ho avuto molta scelta. Mi sentivo disperato e furioso e non riuscivo
Paul Morley
dovevi essere molto estroverso, tirare fuori le palle e avere un taglio di capelli
più a starmene lì a guardare gli altri. Ho passato un periodo in cui non riuscivo più ad ascoltare musica perché ero furioso e pieno di rabbia. Poi di colpo, proprio al momento giusto, mi sono ritrovato su un palco a fare il sound check.» E adesso che cosa si prova, arrivato a questo punto, quando si tratta di fare un disco nuovo? Dopo tutti i sound check e gli album che hai fatto, i posti in cui sei stato, la tranquillità che hai, le aspettative generali… non ne avresti bisogno, eppure decidi di fare un album… «Quando dici «bisogno», intendi dire dal punto di vista economico: be', non è per quello, e non lo è mai stato, assolutamente mai. Si tratta di fare qualcosa di cui posso andare fiero, qualcosa a cui puntare per vedere che sono ancora qui. Per me stesso, nessun altro. E tra parentesi, fare un disco è sempre piacevole. Mi piace tenermi occupato.» Quella voglia di differenziarti–e c'è la sensazione che il mondo voglia per forza schedarti, classificarti, incasellarti–e realizzare un nuovo album è un modo per proclamare che resisti ancora ai tentativi di catalogazione, che sei ancora diverso e vedi ancora le cose in un'ottica differente. «Non c'è nessun proclama. Non si tratta di questo. È una spinta, e io mi limito ad assecondarla.»
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era trasformato in odio viscerale, ci sono stati scandali e accuse di ogni sorta, come se il grande eroe romantico inglese fosse diventato un estremista di destra, di simpatie neonaziste. Credi che una parte di quell'ostilità sia rimasta? «No. Quando era all'apice ho pubblicato un album entrato direttamente al primo posto, senza fare nemmeno promozione. Il fatto che all'epoca il nme credesse di distruggermi era indice della loro presunzione. Ed erano soltanto due persone, due persone che non mi hanno mai sopportato per tutti gli anni ottanta, e stavano sfruttando la loro posizione, la loro nuova posizione al nme per cercare di farmi fuori. il nme era ossessionato da me, tanto che poi si è sentito in imbarazzo, e volevano farmi fuori. In parte lo capisco anche… era diventata una cosa ridicola, s'inventavano storie su me e Charles Hawtrey, stava diventando una farsa. Io non c'entravo niente con gli articoli pompatissimi che mi dedicavano, più o meno come gli Arctic Monkeys non c'entrano niente con tutta la grancassa pubblicitaria che li circonda. Probabilmente sono disorientati, e avranno l'ansia che sia troppo presto. Ai giorni gloriosi di quello che avevano soprannominato il New Morrissey Express, mi sentivo a disagio, e me ne sono andato. Non aveva niente a che fare con me, ma influiva sulla percezione che avevano di me. Non andavo certo nella redazione del nme a dire scrivete questo, presto, fatemi una foto così!» E adesso ti amano di nuovo tutti. «Anche questo cambierà. L’indifferenza degli anni novanta è stata strombazzata con grande clamore, e non ho dubbi che un momento del genere si ripresenterà. Ma succede in Inghilterra, in realtà, e da nessuna altra parte. In Inghilterra, la maggior parte dei giornalisti ha un atteggiamento di supponenza nei miei confronti, anche se mi apprezzano. Il sottinteso è che devo soddisfare tutte le loro pretese, anche se non hanno nulla a che vedere con me. Ma è una cosa con cui ho imparato a convivere. Forse perché c'è l'impressione che se diventi importante devi essere crivellato, mentre se non conti niente puoi volar via e fare quello che vuoi, incassare il denaro e pubblicare album tremendi e via dicendo. Ti prendono di mira e ti crocifiggono soltanto quando sei importante. Perciò, di fronte a tutti questi tentativi di omicidio, ho una punta di soddisfazione, sapendo che s'interessano al punto di essere così preoccupati per me, anche se questo significa divertirsi con me, farmi a pezzi, farmi passare per un fenomeno da baraccone, una campagna diffamatoria generale. Non si siedono mai con me a parlare del canto o della voce, e molto raramente vogliono parlare delle canzoni, ma vogliono sapere di politica, vogliono sapere perché sono ancora vivo, fanno domande sulla mia vita sessuale, Dio, perfino sulla mia vita affettiva…» Te la sei voluta… «Soltanto un po'.»
Paul Morley Perché canti di cose molto personali e questo suscita una certa curiosità. «Le canzoni non bastano a soddisfare le persone?» Hai dato delle direttive per il nuovo disco al produttore Tony Visconti? Che cosa hai chiesto? Qualcosa di innovativo e audace che You Are The Quarry non è riuscito a catturare? (Smorfia/sospiro/angoscia) «Gli ho detto che volevo… dettagli… dettagli esaurienti… volevo un certo non so che. Vuoi sapere anche i punti e le virgole di quelle direttive? Be', non si può. Non roviniamo il mistero. Però mettila così, non sono soltanto un bel faccino.» Il primo verso del tuo nuovo album–«Nessuno sa cos'è la vita umana»–è diventato per caso il primo verso dell'album, o è una scelta voluta? «Oh, è assolutamente il primo verso. Avevo pensato: perché scrivere qualcos'altro, perché non lasciarlo semplicemente così? Dice tutto. Ovviamente c'erano anche altre cose che ho deciso di cantare che dicono tutto.» 281
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Ascoltando il nuovo disco, è una delle prime cose che l'ascoltatore penserà: è innamorato, e non è curiosità morbosa voler fare una domanda su questo… d'accordo, lo è… ma è anche la voglia di dare alle canzoni un contesto di riferimento più ampio. Perciò, in una situazione come questa, con te qui, insieme a me, in questa bella camera con vista su Hyde Park, nell'importante occasione di un tuo nuovo disco, sembra giusto e opportuno chiedere: sei innamorato? «Sono innamorato di qualcosa. Mi capita spesso.» Non di qualcuno. «Non di un essere umano, no. E in queste nuove canzoni, sono innamorato di qualcosa. Quindi, basta pugnalate.» Ti sei trasferito a Roma? «Viaggio talmente tanto che in realtà non abito più da nessuna parte Vivo in mezzo all'oceano Atlantico. Sono andato via da Los Angeles l'anno scorso dopo sette anni. Sono diventato italianofilo, sì.» Ti sei trasferito a Roma per stare con qualcuno. «Qualcosa.» Per qualcuno? «Qualcosa.» Una? «Cosa.» Hai conosciuto una persona e ti sei trasferito a Roma per stare con lei. «Questo è il giornalista scandalistico che è in te, come se non ci fosse una storia degna da raccontare senza un piccolo elemento sudicio e scandalistico.» Insomma, non c'è nessuno. «Non c'è nessuno.» (sospiro). «Che altro posso dire, se non c'è non c'è. Non fare quella faccia ingenua. In fin dei conti è proprio così importante se c'è, non c'è, c'è mai stato, ci sarà?» È successo qualcosa con questo disco: una scoperta sonora, una scoperta musicale, una scoperta sentimentale, un risveglio, una nuova concentrazione… «Forse lo sai tu e io no. Forse dovrebbe andare così.»
«Questo discorso non approderà a nulla, comunque. Forse perché ho l'impressione che tu non sia poi tanto interessato all'argomento ma devi far finta di esserlo.» Chissà perché ti considerano uno che vuole avere il controllo di tutto… «Oh, uccidimi, ti prego» (smorfia/rassegnazione/pericolo/sfida). Dato che ogni tanto ti capita di lamentarti ad alta voce, si ritiene che tu possa far esplodere guerre tra bande nel mondo delle celebrità, con Jordan, Posh Spice e Beckham o Peter Burns… che tu sia il tipico personaggio famoso supponente che in origine era 282
Paul Morley Devi sapere che, come esperienza di ascolto, per persone che forse sono esterne alla passione per Morrissey, quest'album esce fuori dal recinto mitico costruito attorno alla tua persona e ottiene delle atmosfere che non hai mai raggiunto prima. «Seguirò il tuo suggerimento…» Non sei dello stesso parere? «Io sono sempre stato me stesso, e qualsiasi cosa succeda in un disco, sono sempre io, in qualsiasi fase mi trovi, in qualsiasi condizione… sono sempre stato inspiegabilmente me stesso e ho descritto con dovizia di particolari ogni minimo dettaglio della mia vita… devo continuare a rispondere a questa domanda non rispondendo come vorresti tu?» Improvvisamente… tutto questo ghiaccio sembra essersi sciolto, c'è una, carica erotica nella musica e nel linguaggio. «Sono sempre stato erotico.
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ossessionato dalla celebrità, e che magari mette bocca su tutto. «E se non è così? Se non avessi un'opinione su Jordan o su Posh Spice e Beckham, che cosa cambia nella vita della gente? E se avessi l'opinione più sorprendente su Posh Spice e Beckham o Jordan, che ripercussioni potrebbe avere sul destino dell'universo? Nessuna. Mi interessavano le celebrità intelligenti. Ormai è una parola talmente ignobile e ripugnante, pare che si usi per tutti quelli che sono tutto fuorché celebrità. Quindi… che dovrei dire? Usa la tua immaginazione per decidere che cosa potrei dire di questa gente.» Questo deluderà chi conta su di te come persona di spirito in tutte le situazioni. Perché si aspettano che insulti gente del genere. E poi scoppia la polemica. (sospiro) «Bene, lascerò immaginare al lettore che cosa penso di quella lista di persone su cui ci si potrebbe aspettare che io abbia un' opinione, oggi come oggi…» Pete Doherty sarebbe nell'elenco. «È un peccato che lo si associ ai media, alla stampa, agli scandali e alle stupidaggini, piuttosto che alla musica. È una trappola terribile e lui ci è saltato dentro a piedi pari. E Kate Moss non ha fatto altro che trascinarlo in basso al suo livello. Onestamente non ho un'opinione su di lui, a essere sincero. Non m'interessa. Questa è la mia opinione. Non m'interessa. Mi dispiace deludere tutti, ma alla fine, non si può pretendere che abbia qualcosa da dire su queste cose solo perché la gente se lo aspetta. Non sono obbligato a credere a tutto il clamore che si crea. In verità, insomma, non me ne importa niente di Pete Doherty, e perché continuare ad alimentare la situazione e farla passare per straordinaria, anche perché se ci pensi, di che cosa si tratta? Che cos'è? Che cosa? Lo chiedo a te.È una domanda.Rivolta a te.» Scusa, credevo che fosse una domanda retorica. «Stavolta no.»
Paul Morley Il fermento che si crea attorno è un fermento a sua volta: gli Smiths avrebbero potuto anche influenzare in quelle circostanze, scaraventati di colpo nel mainstream per essere consumati come giocattoli prima di essersi fatti le ossa. «Io mi preoccupavo sempre e semplicemente delle canzoni e del canto. Non dovevamo confrontarci con nessuna comunità di personaggi famosi, né per aderirvi, né per ribellarci a essa. Non ho mai cercato di far parte di una comunità di personaggi famosi, e l'idea stessa di apparire nelle rubriche di gossip mi inorridisce, a prescindere da quello che scrivono. Il mio interesse primario è la musica e niente altro. Non voglio premi e non voglio che il mio lavoro sia definito dai premi.» Hai rifiutato dei premi? «Alcuni. Trovo che la cultura dei premi sia esecrabile e deleteria… lasciamo perdere il culto delle celebrità. La cultura dei premi sta distruggendo la musica e forse ogni altra forma di intrattenimento. È ridicola e inutile. Potresti anche diventare un commesso viaggiatore. I Brit Awards sono disgustosi e non c'è mai stata una volta in cui non abbiano preso abbagli. Per quanto mi riguarda, un Brit non lo accetterei mai, sarebbe come se Laurence Olivier fosse felice di ricevere un premio di Tv Times. E oggi ovviamente, per prendere un premio nella musica, premi della massima importanza, basta soltanto farti vedere. Basta fare un album discretamente buono e avrai premi, fiori, medaglie d'oro, il mondo intero ai tuoi piedi. Se accetti un premio del genere, ovviamente sei complice della mediocrità del tutto, ma tutti hanno cominciato a pensare che ogni cosa ruoti attorno ai premi, e che se 285
L'ultima tentazione di Morrissey E i blogger–con la loro emozione, passione, narcisismo, l'infinito tiro al bersaglio, il desiderio snobistico di registrare, marchiare, organizzare, celebrare, condannare, amare, odiare, spettegolare, indossare metaforicamente scarpe spaiate–sono tutti tuoi bizzarri discendenti? «Sì sono la mia versione moderna, perché ovviamente io non lo sono. Né voglio esserlo.» Hai un iPod? «È una domanda tranello? Sì.»
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L'ossessione estatica per la cultura pop è partita dal buio della tua cameretta da adolescente e ha conquistato il mondo: tutti reagiscono al pop e alla fama nello stesso modo in cui facevi tu, chiuso nella tua malinconia?
Paul Morley
non vuoi accettarne uno devi avere sicuramente qualcosa che non va.»
«Quello che la rende differente è l'accesso facile a ogni aspetto della musica pop di oggi, che non comporta alcuno sforzo. Non c'è nessuna tensione, nessun rischio per l'ascoltatore. Non c'è nessun posto dove nascondersi o dove trovare oggetti nascosti e proibiti, è tutto in mostra, in volgare esposizione. Sicuramente, quando ero più giovane di quanto sono adesso, era molto raro incontrare altri uomini viventi che avevano addirittura sentito i dischi che sentivi tu, ed era molto raro discutere con qualcuno dei testi delle canzoni. Oggi, certo, con internet e via dicendo, e l'ossessione di sapere tutto il possibile, è diventato tutto insignificante, tutti sanno tutto subito.»
Che cosa c'è nel tuo iPod? «Oh, lo sai che cosa c'è… i soliti sospetti, e qualcuno meno… getto la rete ad ampio raggio… sono come una persona obesa che mangia ma non gusta. Ascolto tanta musica nuova, ma non me la gusto.» Che ne pensi del nuovo materiale che ricorda perfettamente il 1983? «Puoi già prevedere la risposta. C'è ben poco che non abbia già sentito. È ridicolo che certe cose siano considerate innovative e rivoluzionarie quando non c'è assolutamente possibilità che lo siano.» Perché ti dà tanto fastidio? «Mi dà fastidio perché penso a tanta gente, ripercorrendo tutti gli anni settanta e ottanta, che era molto prolifica e non ha avuto né attenzione né successo, mentre oggi tanti gruppi e artisti non fanno altro che scimmiottare le classifiche indipendenti degli anni ottanta, e portano via premi, corone e fiori, solo perché attorno a loro ci sono abbastanza persone che non ricordano la prima volta in cui è accaduto tutto, o non hanno permesso che accadesse allora.» È inevitabile? «Non necessariamente, anche perché chi avrebbe mai pensato che le classifiche indipendenti si sarebbero rovesciate nel mainstream? C'erano tanti gruppi fan287
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«Probabilmente è colpa della stampa, che ha bisogno di sopravvivere e così convince se stessa e il lettori che le cose si stanno muovendo in una direzione culturalmente sensazionale. Il passato è ritornato in auge alla grande negli anni novanta, e questo è tutto molto bello e interessante, ma la stampa ha bisogno di convincerci che siano i fuochi di una rivoluzione e non solo gli echi del passato.»
Ha creato una scena in cui ti inserisci perfettamente… ancora sulla copertina del nme alla tua età… come mai? «Perché la gente non si è ancora annoiata del tutto dell'argomento. Da essere umano che vive e respira quale sono, quando tutto è stato detto e fatto, non è così offensivo. Non sono entrato nel mondo di Hello e Richard and July. Non mi sono reso la vita facile sparendo nel mondo delle celebrità. Credo che in qualche modo questo me lo riconoscano. Certe persone nella mia posizione vacillano. Mettono i vestiti sbagliati, si fanno fotografare con le persone sbagliate. Certo, io le persone sbagliate non le ho mai nemmeno incontrate. E spero di non incontrarle.» Come fai a non incontrare le persone sbagliate? «Be', un paio di volte l'ho scampata per un pelo. C'è anche chi mi ha evitato. Keith Richards. Buffy St. Marie e… qualcun altro che ha fatto finta di non vedermi in modo clamoroso, mi ha completamente ignorato come se non esistessi. Non mi ricordo chi era. Si limitano a fare un sorriso di saluto e voltano subito le spalle.» Forse Keith Richards non sa nemmeno chi sei. «E qui ti sbagli. Mi conosceva. Ma non gli stavo simpatico. Io però raccolgo i cocci, vado avanti con la mia vita e vivo per vedere un'altra alba.» 288
sussidio oggi, se sono ancora vivi…» A chi pensi? «Oh, tutti amici tuoi [credo che si riferisca a gruppi come i Magazine, Josef K, Fire
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tastici in quel periodo, e tutta quella gente prendeva il sussidio allora e prende il
Engines, Monochrome Set, ecc. ecc.–pm]. E così gli imitatori moderni, i gruppi che si ispirano ai primi anni ottanta, sono considerati dei profeti. Oggi a un gruppo o a un artista non basta solo avere successo, devono anche essere dei profeti che ci guidano sulla retta via, e anche questo è ridicolo. Sono tutti dei fenomeni.
Gli Arctic Monkeys… il titolo del loro album, Whatever People Say I Am, That's What I’m Not, sembrava molto alla Morrissey, e infatti è tratto da uno dei tuoi libri/film preferiti, Sabato sera, domenica mattina di Alan Sillitoe. «Il titolo dell'album mi ha fatto ricordare di quando Jools Holland mi ha presentato a Later dicendo che qualunque cosa dicessero di me, non ero quello… non sono così possessivo da pensare che tutto quello che ho apprezzato in passato appartenga soltanto a me… sono molto contento che mostrino gusti di un certo livello… a parte questo, non ne so molto di loro.» Li hai sentiti? «Li ho visti una volta in televisione. Li ho trovati molto gradevoli, così come erano gradevoli i Jasmine Minks.» Gli Arctic Monkeys rappresentano la rivincita di quelle idee dei primi anni ottanta? L'ingresso nel mainstream di una musica più intelligente, più localizzata… «Prima o poi era tutto destinato ad accadere, ma questo non significa che accada nel modo giusto, al momento giusto.»
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Sì e non m'importa se questo mi fa sembrare antiquato. «È quello che dicono sempre le persone di mezza età.» «Certo. Per anni sono stato affascinato dal fatto che bastasse semplicemente appoggiare la puntina su quel pezzo di plastica traballante, pieno di solchi, per far apparire all'improvviso questa grande orchestrazione. Ho passato anni cercando di capire come funzionava, e ancora non ci sono riuscito. È veramente un mistero. Ma non è proprio il caso di parlare di queste cose…» Perché no? Ti preoccupi di quello che penserà la gente, noi due seduti qui a chiacchierare dei bei tempi andati?… «Sì, perché è come parlare dei 78 giri di Gracie Fields…»
Non ti prendi troppo sul serio? E se non io, chi? «Magari io. Mah, non lo so. Sei ondivago.» ]ohn Peel aveva l'impressione che il successo ti avesse dato alla testa e fossi diventato un po' troppo spocchioso, come il Duca di Edimburgo. (smorfia)… «Sinceramente non penso di essere cambiato molto dai tempi degli esordi nel retro di un furgoncino puzzolente.» Pensi che potresti avere la tendenza a prenderti troppo sul serio? (smorfia/allarme/angoscia) …Perché in queste situazioni di solito si chiede, con la massima serietà: se fossi il Primo ministro, come sistemeresti il paese? «Se me lo chiedi, mi sembra una scortesia non rispondere… Intanto, non sarò mai Primo ministro, perché non sono corrotto. Non si può credere sul serio a quello che dice Tony Blair. Ha una faccia che non mi piace. Non mi piace la sua espressione. E credo che non piaccia a nessuno. In più, non sopporto la faccia di Cherie Blair, e mi domando se ci sia almeno una fotografia in cui tiene la bocca chiusa. Purtroppo, i politici non sono dei poeti e non rinunciano mai al potere. Quello che sta accadendo in Iraq secondo Tony Blair e quello che sta accadendo in Iraq veramente sono, ovviamente, due cose completamente diverse. Perciò non potrei mai vedermi in politica, perché ho l'impressione che per fare successo in politica, o addirittura per stare in politica, bisogna essere completamente corrotti. Non ne vedo uno di politico, in tutto il mondo, che sia sano di mente. Per la maggior parte della gente la politica è una cosa raccapricciante.» La famiglia reale… «Perché li tiri in ballo? Mi stai chiedendo se ho un'opinione su di loro? Se qualcuno ha un'opinione su di loro? E loro? Vedi, questo è un classico esempio di giornalismo ozioso. Insomma, lo so chi sono. Non sono così fuori dalla realtà.» Condividete lo stesso destino: costretto a vivere la tua vita intrappolato nel personaggio Morrissey finché non morirai? 290
«Fa parte del generale processo di annacquamento, per quello che posso capire. È l'ultimo atto di una cosa bella e meravigliosa. Io non ascolterei mai a caso. Preferisco ancora il vecchio e antiquato lettore cd…»
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Che cosa ne pensi della iPodifìcazione del mondo?
Il vinile? «È difficile trovare le puntine.» (ride sotto i baffi) «Tu lo usi? Non è anacronistico, ormai?» Le tue canzoni si basano su un'idea di brano da vinile, e la storia, il mistero…
Hai paura di scomparire nel passato? Nel senso di essere considerato un esemplare di un'epoca remota? «No, non è una cosa che mi preoccupa, veramente. Per essere sincero, non credo sia un problema. Mi sento sorprendentemente contemporaneo. Non è più il 1957. Non può essere più il 1957. Sei sorpreso di sentirmelo dire? Vivo nella risciacquatura di piatti della vita moderna.»
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«Siamo tutti diretti verso lo stesso traguardo, e sono pochi quelli che possono cambiare il cavallo in corsa. Siamo tutti intrappolati dentro le nostre identità, qualunque esse siano. La monarchia è un ricordo. Non esiste più, e giustamente. Si può vedere il terrore sul volto della regina ogni volta che deve inaugurare un ospedale. È terrorizzata perché vede la nave che affonda, che si inabissa come il Titanic. L’arroganza di Carlo e Camilla è indescrivibile. Non li sopporta nessuno. Nessuno li vuole. Con la copertura televisiva del loro matrimonio si è visto che non c'era nessuno. Quindi non sta a me mettermi qui a dire che la monarchia è un ricordo che non interessa più a nessuno, perché è evidente. Lo sanno tutti che lo spettacolo è finito. L’idea stessa che Carlo diventi re è ridicola. Puoi anche dire che Ronnie Corbett un giorno sarà re, allora. Alla gente farebbe più piacere.» Vuoi fare il re? (smorfia)… (brivido)… (alleluia)…
Ti piacciono le persone? «Veramente no. Non vedo nessun motivo per cui dovrebbero piacermi. Gli esseri umani, per natura, non sono interessanti.» Perché vuoi essere coinvolto, allora? «Perché vivo su questo pianeta e ne sono circondato, e l'alternativa sarebbe farsi confinare in una tomba.» Ma tu fai divertire tutti… perché prendersi la briga di diventare un intrattenitore così bravo?
Quanti soldi ci vorrebbero per riformare gli Smiths? (smorfia)… (sospiro)… (tic)… (sbuffo)… (cerca un coltello o un fazzoletto nel taschino)… (si alza in piedi in un gesto di improvviso distacco)… (vera e propria confusione mentale)… Devi capire perché c'è tanto interesse, e quindi la domanda è inevitabile. «Indirettamente lo capisco, ma il sottinteso è che sto aspettando che arrivi un bell'assegno sostanzioso e vacillerò sul palco… non ha senso. Sono passati diciotto anni da quando è finito tutto, io non li conosco, loro non mi conoscono e non sanno niente di me, io non so niente di loro. Tutto quello che so di loro è sgradevole, e allora per quale motivo dovremmo avere voglia di stare su un palco insieme, a fare musica?» È adulazione? Questa sorta di notalgia naturale per un passato splendido che hai sempre dimostrato nei confronti delle tue passioni predilette? 292
Paul Morley C'è una dicotomia tra la tua nostalgia per certi elementi dello spettacolo e della società, e il fatto che ti interessino musica e idee che parlavano di rifare il mondo, di progredire, di creare un futuro migliore? «Oh, certamente. Ma sarebbe bello avere l'una e l'altra cosa. C'è un lato intimo del cervello che ha bisogno di essere consolato e ce n'è un altro che ha bisogno di essere sollecitato e stimolato. Il tuo articolo è esattamente lì…» (risatina/ghigno/ sospiro/smorfia/occhiata al cielo e alla terra)
«Oddio, mi fai sembrare Sid Fields o Charlie Drake. Non lo concedo in dono al popolo… canto per le mie ragioni, e fortunatamente c'è qualcuno che ascolta.» Dove ti collochi nel canone in via di sviluppo: Devoto e Shelley, Reed e Cale, Yorke e Martin, Dylan e Young, Robert Smith e fan Curtis, Brecht e Sondheim? (espressione corrucciata e perplessa, al tempo stesso profondamente divertita) «Posso solo immaginare…» The Smiths è stato il miglior album d'esordio degli ultimi venticinque anni? «Che domanda straordinaria.» (smorfia)
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«No e no. È una domanda che viene posta a quasi tutti i gruppi più importanti in una situazione simile, ma–e questa non è una risposta preparata–preferirei mangiarmi i testicoli piuttosto che riformare gli Smiths, e questo è tutto dire, per un vegetariano.»
Parli spesso di mantenere l'integrità. «Non è cosa per molti.» Che significa? «Significa evitare in tutti i modi l'imbarazzo sociale. Cercare disperatamente di non rispondere al telefono al momento sbagliato. Cercare disperatamente di non trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Cercare di non farsi vedere mentre si fa qualcosa di ridicolo. Non voler essere costretto o manipolato a fare, dire o essere qualcosa che non vuoi.» Ma così non diventa difficile arrivare alla fine della giornata? «Niente affatto.» (smorfia)… (agitata indolenza) Il mito dice che sei troppo sensibile per vivere, che nessuno può immaginare come funzioni, che sei fin troppo impacciato e troppo infastidito dagli affronti percepiti… «Mah… non è vero. Posso solo assicurarti che le cose non stanno così.»
Ma tutti gli altri no. «Non posso farci niente. Perché dovrebbe interessarmi? Mica è un problema mio. Non posso pubblicare un bollettino quotidiano sul mio comportamento per aiutare tutti a decifrarmi.
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Volevi solo diventare Bobby dei Righteous Brothers, e noi invece ti consideriamo una combinazione di Wittgenstein, Dorothy Parker e Oscar Wilde. «Be', sono anche quello.» Hai detto che saresti stato il primo a criticarti, e il primo a notare qualcosa di te prima dei critici. «Dunque, mi correggo e mi flagello esageratamente già da me, quindi non c'è assolu-
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Ma non ti dispiace cantare le canzoni «Quella è un'altra questione, certo che canto le canzoni, e continuerò a cantarle. Reggono alla prova del tempo. I gusti sono cambiati, quello che all'epoca sembrava marginale adesso è molto più accettato, le canzoni funzionano ancora oggi perché non sono state scritte solo per essere ascoltate allora. Gli Smiths erano nelle classifiche pop ma erano anche in anticipo sui tempi, e questo era un po' anomalo.»
Ma la percezione è che le cose stiano proprio così invece. E da qui nasce la curiosità morbosa, che poi viene alimentata da interviste come questa, dove scivoli a poco a poco in una vena ferocemente scherzosa. La gente vuole sapere se ti diverti, se guardi la televisione, cosa ti fa ridere, chi sono i tuoi amici… «Qual è il problema? La verità è nelle canzoni. E ce n'è tanta. Se si parla di un campione di pattinaggio su ghiaccio, queste questioni non interessano a nessuno… o vince, o non vince»… Ma le tue canzoni e dove vanno, cosa fanno, ci istigano a scoprire di più, o a scoprire come e perché appaiono «È tutto nelle canzoni.» L'interesse fa pensare che forse non ci sei riuscito… perché non abbiamo ancora capito bene chi sei. «Io lo so benissimo»… (esaurimento)
«È semplice musica pop. Volevo solo diventare Bobby dei Righteous Brothers.»
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tamente nessun motivo perché qualcuno mi critichi, visto che già lo faccio io.» Che cosa critichi di te stesso? «Tutto… tutto! Per arrivare dove sono arrivato, non credi che abbia una certa idea sul mio comportamento? Fa tutto parte della ricerca della perfezione e della bellezza, e della certezza di fare un album che la gente salterà giù dal letto di notte per ascoltare…» E ci sei riuscito. Mi viene da pensare che senza di te sarebbe veramente un mondo più povero. «Be', questo lo dici adesso, ma non lo pubblicherai.» C'è voluta una certa dose di volontà, coraggio, accoramento, ostinazione per fare questo disco? «Non mi va di essere sempre io, io, io al centro di tutto. Per adesso, godiamoci la gentilezza dei tuoi pensieri.» Un'ultima parola? «Ormai è troppo tardi per cambiare.»
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Paul Morley
L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI ESSERE MORRISSEY di Peter Murphy Hot Press, 3 Aprile 2009
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maggio di quest'anno Stephen Patrick Morrissey giungerà alla pietra miliare dei cinquant'anni, ma invece di scivolare silenziosamente nella pace dei sensi (figurarsi!), il cantante ha partorito un album, Years of Refusal, vibrante e provocatorio al tempo stesso. Prodotto dal compianto Jerry Finn (Blink 182, Green Day, Rancid, Sum 41, Offsprings), morto la scorsa estate per un'emorragia cerebrale, il decimo album solista di Morrissey è tra i più impegnati (e sicuramente il più duro) della sua carriera. Le spinte apparentemente contrastanti della produzione di Finn, che a volte sconfina verso i Sex Pistols, e l'estensione vocale del cantante–ora vulnerabile, ora incredibilmente appassionata–contribuiscono a creare una raccolta di canzoni di impressionante portata, che vanno dalla disperazione di Black Cloud alla dolcezza di Mama Lay Softly On The Riverbed, fino alla classica impetuosità morrisseyana di I'm Throwing My Arms Around Paris («Solo pietre e acciaio accettano il mio amore»). Ci sono perfino diversi brani epici da grande schermo cinematografico (When I Last Spoke To Carol) abbelliti dalla maestosa tromba di Mark Isham. In breve, l'uomo non era mai sembrato così esuberante e intrepido. In questa intervista esclusiva per Hot Press, il cantante si sofferma sulla collaborazione con Finn, parla della sua infanzia nella Manchester depressa degli anni settanta e della sua passione per le icone cinematografiche losangeline del dopoguerra, spiega perché non imporrà mai la genitorialità a un bambino innocente, dice la sua sulle elezioni presidenziali americane e racconta come si può imparare a perdonare se stessi con l'avanzare dell'età. 298
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L'insostenibile leggerezza di essere Morrissey
menti vigorosi di Years of Refusal, più il sound prevalentemente live, ti hanno dato una spinta, come cantante? «Sì. Sono salito di diversi gradini con brani come It's Not Your Birthday Anymo-
Peter Murphy
In ogni album graviti verso un suono sempre più muscolare. Gli arrangia-
re, I'm Ok By Myself e Sorry Doesn't Help. Non ero sicuro di farcela, ma è andata bene. C'è una timidezza spontanea quando devi spingere troppo la voce, casomai cominciasse a sembrare troppo rock. Spin ha recensito l'album e ha scritto: «L'estensione vocale di Morrissey si è ridotta con l'età», il che è ridicolo visto che è successo esattamente l'opposto. Siamo costretti a sopportare certi commenti…» Ti ricordi che stato d'animo avevi mentre incidevi quelle canzoni? «Ero un po' spaventato perché, in ogni altra circostanza, non grido mai e nemmeno alzo la voce. Perciò ci vuole un bel po' prima che mi lasci andare. Il minuto finale di I'm Ok By Myself è stato particolarmente snervante, perché in quel momento ero talmente assorto che ho cominciato quasi a ignorare la base. Avevo fatto due prove e mi sentivo particolarmente fiero, ma Jerry Finn, il produttore, è entrato in sala e mi ha detto: «Questa canzone non mi piace per niente». Al che ho pensato: “Oh mio Dio!”, ma sono andato avanti lo stesso, anche se è stato difficile perché mentre cantavo mi sono accorto che Jerry era lì seduto con le mani sulle orecchie. Ovviamente ha fatto male a uscirsene così mentre ero dietro al microfono, perché, comunque vada, ci vuole parecchio tempo prima che un cantante lasci andare le redini, per modo di dire, e quando sono andato nella sala di controllo l'ho trovato seduto lì con le mani in mano, invece di stare piegato sul mixer a darsi da fare: era il suo modo per dire che quel brano non faceva per lui. Era il segno che stavo esagerando. Ma non m'importava. Adoro quel brano. È il mio preferito, di Refusal.» Dev'essere fastidioso quando il produttore ti dice che non gli piace la canzone su cui stai lavorando… «Le persone che sono direttamente coinvolte spesso possono essere quelle più difficili da convincere, ma la voce è uno strumento talmente personale… Ha più realtà di una chitarra o di un trombone. Va trattata con particolare riguardo. La componente sessuale del canto è enorme, anche se canti una canzone che non è particolarmente sensuale. Per questo si giudica la voce in modo molto intimo, perché è una cosa che abbiamo tutti, mentre nessuno ha una reazione erotica, chessò, al basso. La cosa peggiore che puoi fare quando canti è sforzarti di essere interessante. Non funziona. Le parti più importanti del cantato a volte sono i momenti in cui fai calare la voce o la fermi per una pausa. I gesti più delicati richiedono più energia dei passaggi urlati.» 301
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Preferivi uno dei tuoi genitori per il carattere o l'aspetto? «Tutti e due allo stesso modo, tutti e due incredibilmente.»
Goodbye Will Be Farewell–hanno un'atmosfera di spavalderia temeraria quasi cinematografica, evocata in parte dalla tromba di Mark lsham. «Stavamo ascoltando spesso Herb Alpert, e lui aveva accettato di suonare in tre
Peter Murphy
Alcune canzoni nuove–Black Cloud, When I Last Spoke To Carol, One Day
brani, perciò eravamo eccitatissimi. All'atto pratico, continuava a rinviare, e alla fine si è tirato indietro. Ci siamo messi a piangere. Mark però era bravissimo, aveva suonato con Herb, ed è riuscito a cogliere perfettamente quella galoppata da mezzogiorno di fuoco sotto il sole di Los Angeles.» Something Is Squeezing My Skull descrive uno stato di disperazione o di isolamento, accompagnato da una musica paradossalmente trascinante. Riguarda un episodio o un periodo specifico della vita, o si riferisce a un'inquietzuline più generale? «Da bambino ero profondamente influenzato dai film, e davo per scontato che tutto quello che si vedeva sullo schermo era quello che alla fine ti sarebbe successo da grande. Durante l'adolescenza mi apparve straordinariamente chiaro che i film–specialmente quelli di Hollywood–erano una colossale bugia. E tale restano. Questo, sommato al fatto che verso i dieci-undici anni avevo scoperto l'esistenza dei mattatoi, per me era insopportabile e così da bambino chiassoso e chiacchierone mi trasformai a poco a poco in un tredicenne emotivo e introverso. Più avanti, la conseguenza immediata di tutto questo furono gli inevitabili antidepressivi. Se non riesci a sobbarcarti il peso di vivere in una società tutt'altro che civile non ti integri assolutamente nella comunità e cominci ad avere troppi pensieri per la testa. A quindici anni non mi facevo illusioni, e pensavo che la vita fosse una cosa terribile. Non ho mai cambiato parere. Credo sia per questo che amiamo tutti dormire: perché è l'unico modo per staccare la spina. Be', certo, c'è anche un altro modo…» Riguardo a Marna Lay Softly On The Riverbed, ho letto che tua madre faceva la bibliotecaria. Ha influito sulle tue letture, da ragazzo? «No, non direi. Mia madre ha una quantità sterminata di libri sulla politica e la storia irlandese, ma non sono mai stato abbastanza responsabile da esaminarli troppo a fondo. Quando sei adolescente vuoi leggere di persone che si trovano nella tua stessa situazione, perché hai bisogno di confrontare quello che ti succede con le reazioni degli altri quando si trovano di fronte alle tue stesse limitazioni. Frequentavo una scuola di Manchester per i figli della classe operaia, e naturalmente non c'erano libri e nessuno ci consigliava mai di leggere qualcosa.» 303
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«Mi ricordo che un episodio determinante fu a diciassette anni, quando andai all'Ufficio di Collocamento. Mi accomodai di fronte a questa donna bassa, grassa e pelosa, brutta come la fame, e lei mi comunicò che avevo richiesto il sussidio di disoccupazione per “un po' troppo tempo”. Poi mi porse un bigliettino con l'appuntamento per un colloquio di lavoro, spiegandomi che se mi prendevano avrei dovuto ripulire gli argini del canale da tutti i rifiuti che si accumulavano. La guardai e scoppiai a ridere. Mi disse: «Pensi di essere troppo bravo per questo lavoro, vero?», al che mi alzai e me ne andai. «Erano tempi patetici. Manchester negli anni settanta era indietro di secoli.» Oltre a essere un fanatico dei New York Dolls, da giovane avevi anche fondato un fan club dei Cramps. La scomparsa recente di Lux lnterior ti ha spinto a un momento di riflessione? «No, non direi. È inevitabile che nei prossimi dieci anni creperanno tutti. Bowie ha tre bypass, sono morti quattro New York Dolls e tre Ramones, tre membri dei T. Rex non ci sono più. La cosa interessante è che se cominci a suonare da giovane, rimani a quell'età per l'eternità, anche dopo che la terra ti ha chiamato a sé. Sarai sempre com'eri in quella canzone incisa. Almeno per gli ascoltatori.»
lare/Avevo un sogno soltanto/E il destino me l'ha appena donato». Un lavoro normale è sempre stato fuori discussione? «Con quello che era disponibile a metà degli anni settanta, sì. Quando vieni da
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In All You Need Is Me canti: «Ero un bambino piccolo e grasso in una casa popo-
una famiglia senza possibilità economiche sei costretto ad accettare il tuo destino. Io non avrei mai potuto. Il clima economico era enormemente diverso negli anni settanta, tranne che per la cosiddetta famiglia reale, ovviamente, e tutti quei soldi appartenevano ai lavoratori britannici.
Years of Refusal è stato definito da più parti un album “che seppellisce il rancore”. Ti sembra un commento giusto, o diminuisce la gamma di emozioni espresse nell'opera? «Non mi pare un album che seppellisce il rancore. I miei rancori sono già tutti sepolti. «Se ascolti i grandi album della tua collezione personale, scoprirai che in quasi tutti la motivazione principale è la rabbia, e quando incidi un disco puoi permetterti di darle libero corso perché ti trovi nel mondo dell'arte e del rumore. Non ci sono limiti e siamo fortunati quando qualcuno lo capisce bene, come hanno fatto per esempio Iggy e gli Stooges con Raw Power. L'arte è un miracolo. La musica che ci colpisce di più di solito ha un impatto violento. Di solito, ma non sempre.» La collaborazione con Jerry Finn a prima vista sembrava molto improbabile, considerato il suo curriculum, eppure ha prodotto come risultato una delle tue opere migliori. Puoi descrivere la dinamica creativa che si è instaurata tra voi? «Ci siamo divertiti molto insieme e c'era un'ottima intesa. La band gli piaceva molto e ogni session diventava una battaglia di cervelli, il che era sempre uno spasso. Ma se una canzone non gli piaceva la mixava senza passione. È successo con I Like You e How Can Anybody Possibly Know How I Feel su You Are The Quarry. 305
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«Pensavo che la stampa musicale britannica potesse rendergli onore almeno per la sua ultima opera, ma evidentemente ero ubriaco quando mi è passata per la mente quell'idea: sono stati meschini e schifosi come sempre. Su Rolling Stone hanno scritto che Jerry era morto durante la registrazione di Years of Refusal, ma sapevano benissimo che non era così, perché al giornalista erano state date tutte le informazioni sull'accaduto. Probabilmente sgomitavano per fare una battuta squallida alle mie spalle, tipo Morrissey uccide il produttore. È l'unica cosa di cui non mi hanno accusato.»
Sulla copertina dell'album sei con un bambino in braccio, che mi pare sia Sebastian Pesel-Browne, figlio del tuo vice tour manager. Hai mai pensato alla paternità? «Non avrei l'impudenza di dare per scontato che ogni creatura vivente mi vorrebbe come padre. Bel fardello da scaricare su un piccolo bambino innocente.» Molti artisti raggiungono una fase in cui cominciano a sentirsi imbarazzati di lavorare nel mondo della musica pop e cercano un modo per continuare a fare quello che fanno, ma con una dignità che si addica all'età. Tu come risolvi questo problema? «È importante ignorare gli elogi. Se ignori gli elogi, ti verrà spontaneo ignorare anche le critiche. Se lasci passare le critiche, sei finito. In ogni caso, vivi in una situazione per cui i giornalisti musicali che sono inclini a criticarti in realtà non hanno mai provato a fare in prima persona quello che fai tu, perciò ti domandi come possano trovare da ridire su cose che loro stessi non hanno mai conosciuto. Questo può farti perdere facilmente l'equilibrio, soprattutto quando la maggior parte del giornalismo pop è sistematicamente imprecisa, eppure fa sfoggio del suo spirito e della sua posizione nella recensione del tuo disco. La mia posizione, pertanto, è di non tenere in nessun conto tutto ciò che viene detto, positivo o negativo che sia. Non è l'ingordigia di chi è completamente assorbito da se stesso, ma una forma di protezione.
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«Quando sei agli inizi, prima ancora di incidere, non scrivi ai critici musicali per chiedere che cosa dovresti suonare. E quando finalmente hai l'opportunità di incidere un disco, perché mai dovresti dar retta a loro, una volta che l'hai fatto?» A maggio compirai cinquant'anni. Ha qualche signifì,cato, oltre il numero? Hai accusato qualcosa che si potrebbe definire crisi di mezza età? «Sicuramente è un numero, e bello alto. È bello perché ti libera dagli obblighi.
io. Alla fine ho vinto sempre io. La sua morte è stata una cosa terribile.
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Si tirava indietro e si fidava troppo del suo giudizio. Non si piegava mai. Neanche
Quanto conta un produttore in veste di collaboratore, direttore artistico de facto, psicologo, amico? «Stranamente, molto Jerry era anzitutto un amico. Siamo andati d'accordo dal primo istante, come se fossimo fatti l'uno per l'altro. Io non m'intendo molto di musica, perciò in studio sono un po' stitico di idee: è difficile trovare le parole giuste per spiegare il suono. Quando abbiamo fatto per la prima volta Irish Blood, English Heart non c'era granché dietro il verso “I've been dreaming of a time when…” e così ho chiesto a Jerry se poteva dare alla chitarra di Alan un conato di vomito nordico–come se sorgesse dal fondo dell'oceano–e undici secondi dopo era lì. Momenti come quello basterebbero a giustificare l'indifferenza di Jerry per altri brani. Credo che il ruolo del produttore sia quello di mettere ordine, perfino un ordine caotico, ma comunque diverso. Ci sono tanti fattori che aleggiano in uno studio durante le registrazioni: vanità, inferiorità, ambizione, pragmatismo, ansia, e il produttore è il tramite per riunirli tutti, altrimenti ciascuno si farebbe il proprio album solista nella testa, in linea di massima.»
«È vero che una volta fatto un disco qualcuno lo deve valutare, ma il tuo istinto rimane il miglior giudice di qualsiasi cosa fai.
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Smettono di chiederti che cosa farai perché o l'hai già fatto o chiaramente non farai niente. La valutazione seria della propria situazione personale, credo, avviene verso i trent'anni. Nella vita ci sono cose peggiori da accettare, che compiere cinquant'anni.»
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AUTORI Steven Daly Ha formato i Nu-Sonics con il concittadino di Edimburgo Edwyn Collins nel 1976, in piena adolescenza. Sono diventati poi gli Orange Juice, classico gruppo postpunk in cui Steven ha suonato la batteria in tutti i singoli dei primi anni ottanta e nel loro primo album. Dopo aver intrapreso una carriera nel giornalismo, si è trasferito negli Usa e ha cominciato a scrivere di musica rock e cultura pop per Rolling Stone, per diventare successivamente direttore di Vanity Fair. Residente a Manhattan, è coautore di due libri: Alt.Culture: An A-to-Z Guide to the '90s Underground, Online, and Overthe-Counter (con Nathaniel Wice, 1995) e The Rock Snob's Dictionary (con David Kamp, 2005).
Adrian Deevoy È un giornalista freelance che abita nella zona ovest di Londra. Ha conosciuto Morrissey nel maggio del 1983 e da allora è rimasto in contatto con lui. Tra gli interessi che hanno in comune si annoverano i Ramones, la maglieria di buona fattura e l'omicidio.
David Dorrell Ha scritto per il nme dagli inizi alla metà degli anni ottanta. Gli si attribuisce il merito di aver definito per primo “goths” i frequentatori del club Batcave, ma i suoi gusti tendono nella direzione della musica dance. In veste di dj e fondatore dei M.A.R.R.S., ha portato al primo posto delle classifiche inglesi l'hit single Pump Up The Volume; ha anche remixato popolari artisti dance degli anni ottanta come Janet Jackson, Snap e De La Soul. Successivamente ha fondato la Dorrell Management, che ha avuto un ruolo determinante nel successo dei Bush negli Usa e vanta come clienti a lungo termine Pet Shop Boys.
Simon Garfield È un premiato reporter dell'Observer autore di otto opere di saggistica, tra cui The End of Innocence: Britain in the Time of Aids, The Wrestling, The Nation's Favourite e i bestseller Il malva di Perkin e Our Hidden Lives. La sua canzone degli Smiths preferita è There ls A Light That Never Goes Out.
Andrew Harrison È stato direttore di Select, la rivista che ha tenuto a battesimo il Britpop, tra il 1991 e il 1995. Da allora è stato caporedattore musicale a Details di New York, e ha contribuito alla redazione di Q e della premiata testata dance Mixmag. Ha scritto su 310
Mojo, Rolling Stone, The Face, Spin e Blender. Attualmente Andrew è condirettore dell'acclamata Wired, per la quale ha intervistato Morrissey una seconda volta nel 2003 recandosi nella casa del cantante a Los Angeles.
Dylan Jones È il direttore dell'edizione inglese di gq. Ha studiato alla Chelsea School of Art e alla St.Martins School of Art prima di entrare nella redazione del rivoluzionario style magazine iD dal 1984. Negli anni ottanta ha collaborato a The Face, prima di diventare direttore di Arena nel 1988, vincendo il premio Editor of the Year nel 1993. Negli anni novanta è stato condirettore dell'Observer e del Sunday Times. Dal 1999 è direttore di gq, e ha vinto per ben tre volte il premio Men's Magazine of the Year. Dylan Jones è anche autore di Jim Morrison dark star (biografia bestseller del 1991), True Brit (una monografia dello stilista Paul Smith, del 1995), iPod dunque sono: un viaggio personale nella musica (2005), e Mr. ]ones' Rules for the Modem Man (2006).
Biba Kopf È lo pseudonimo di Chris Bohn ispirato a Franz Biberkopf, personaggio del romanzo di Alfred Doblin Berlin Alexanderplatz. Ha cominciato a scrivere per il nme e Melody Maker alla fine degli anni settanta e agli inizi degli anni ottanta è stato uno dei primi a dedicare ampi servizi a band come i Birthday Party e gli EinstÜrzende Neubaten. Nel 1997 è diventato caporedattore di The Wìre, subentrando come direttore nel 2004.
Stuart Maconie Ha smesso di insegnare alla fine degli anni ottanta e ha cominciato a scrivere per il nme, come spiega dettagliatamente nel suo Cider with Roadies. Ha scritto 3682 giorni: la candida storia dei Blur e Folklore, la biografia ufficiale dei James, e ha sceneggiato e interpretato Lloyd Cole Knew My Father alla radio e in teatro. È stato premiato come Conduttore dell'Anno al Sony Radio Academy Gold Award del 2001 per i suoi programmi musicali su Radio 2; come conduttore televisivo, è stato autore di After They Were Famous: The Sound of Music per itv, nominato ai bafta, ed è una colonna di I Love the 1970s/1980s di bbc2 e Top Ten e 100 Best/ Worst di Channel 4. Attualmente appare al Saturday Review di Radio 4, nel suo programma su Radio 2 e al Cinema Show di bbc2, cura una rubrica sul Radio Times e scrive per Word. L'ultimo libro di Stuart è Pies and Prejudice: In Search of the North e ha recentemente curato un documentario radiofonico su Morrissey e gli Smiths.
Andrew Male È vicedirettore di Mojo. Vive felicemente a Walthamstow, nella zona est di Londra. Ha visto per la prima volta gli Smiths all'Edge Hill College di Liverpool il 18 novembre 1983, e attualmente è orgoglioso possessore dell'indirizzo e-mail personale di Morrissey, anche se pare che non funzioni più. 311
Neil McCormick È un noto critico musicale inglese, commentatore del Daily Telegraph e ospite regolare della bbc. Ha cominciato a lavorare per Hot Press a Dublino nel 1978, a diciassette anni; dopo aver intervistato Morrissey nel 1984 si è convinto che quel cantante dalle apparenti tendenze suicide non sarebbe durato più di un anno. È lietissimo di essersi sbagliato. In un'altra vita, pare che Neil sia stato la prima persona a lasciare gli U2. Compagno di scuola di Bono, ha sprecato la gioventù cantando in oscure band come i Frankie Corpse and the Undertakers, i Modulators, gli Yeah! Yeah! e gli Shook Up! Le sue disavventure musicali sono raccontate con dolorosi dettagli in I Was Bono's Doppelganger. Neil è anche coautore di U2 by U2 e continua a fare musica sotto lo pseudonimo The Ghost Who Walks.
Dave McCullough È approdato alla defunta rivista musicale Sounds nel 1979, dopo aver scritto con il nome d'arte «Dave Angry» per la punk'zine nordirlandese Alternative Ulster. Fino alla metà degli anni ottanta, è stato il paladino di luminari del post-punk come Magazine, Joy Division, Fall, Subway Sect, Scars, dell'etichetta scozzese Postcard… e degli Smiths, che è stato il primo a intervistare per la stampa musicale nazionale. Dopo quel periodo, ha riversato la sua fede su band «neopop» degli anni ottanta come Scritti Politti e abc, ed è passato alla rivista londinese City Limits, oggi anch'essa defunta. Attualmente risulta irreperibile.
Paul Morley Ha visto cantare “la piccola leggenda locale” Morrissey con Ed Banger e i Nosebleeds nel 1978. “Un frontman di carisma” notava subito sul New Musical Express. “È consapevole a modo suo che il rock'n'roll è magia e ispirazione”. Morley ha scritto di Morrissey nel corso degli anni per il nme, Blitz, Uncut, l'Observer Music Monthly e il Sunday Telegraph, e ha anche parlato con lui in vari programmi radiotelevisivi. Qualunque cosa scriva o dica di Morrissey sembra sempre che alla fine tutto si riduca, in un modo o nell'altro, per un motivo o per l'altro, sempre alla stessa cosa: il carisma. Mentre Morrissey è passato dai Nosebleeds alla leggenda, Morley è diventato uno dei più importanti commentatori culturali britannici e acclamato autore di saggi tra cui Ask, Nothing, Metapop: storia del pop dal big bang a Kylie Minogue e l'imminente Joy Division: Piece by Piece.
Jennifer Nine È stata, variamente, tuttofare e marketing manager di un'etichetta discografica; addetta stampa di rancorosi poeti di mezza età; conduttrice di programmi radiofonici notturni, e ansiosa tour manager. Ha lasciato il Canada nel 1994 per emigrare nel Regno Unito in cerca di lavoro, dove si è guadagnata una discreta fama come giornalista musicale del Melody Maker e di chiunque altro glielo consenta. Vive a Bethnal Green.
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Shaun Phillips Ha contribuito a Sounds negli ultimi anni della rivista, prima che chiudesse nel 1990. Nel decennio seguente ha scritto per Vox ed è stato proposto come direttore di Blah, Blah, Blah, corrispettivo inglese della rivista statunitense di musica e cultura Raygun. Attualmente risulta irreperibile.
Mat Snow È l'ex premiato direttore di Mojo e FourFourTwo, che attualmente si occupa di musica, calcio, letteratura e questioni di lavoro per giornali e programmi radiotelevisivi. Quasi coetaneo di Morrissey, ha iniziato la sua carriera giornalistica sulla fanzine di Manchester, City Fun, nel 1979, e pochi anni dopo è stato uno dei primi paladini degli Smiths sulle pagine del New Musical Express. Nel 1986 è stato immortalato dal suo ex coinquilino Nick Cave nella canzone Scum, di cui ogni parola risulta vera.
Elissa Van Poznak È stata collaboratrice e intervistatrice sul seminale style magazine degli anni ottanta The Face: i suoi intervistati andavano da Morrissey ai giovani attori del «Brit Pack» Tim Roth e Colin Firth, fino al leggendario Tom Waits. Tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta ha collaborato all'edizione inglese di Elle. Attualmente risulta irreperibile.
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CREDITS «Morrissey Needs No lntroduction» di Paul A. Woods, copyright© 2007 by Plexus Publishing Limited. «Handsome Devils» di Dave McCullough, da Sounds, 4 giugno, 1983. Copyright© 1983 by Dave McCullough. «The Smith Hunt!» di David Dorrell, da New Musical Express, 24 settembre, 1983. Copyright © 2007 by David Dorrell. Ristampato con il permesso dell'autore. «All Men Have Secrets...» di Neil McCormick, da Hot Press, 4 maggio, 1984. Copyright © 1984 by Neil McCormick. Ristampato con il permesso dell'autore. «Morrissey lnterviewed by Elissa Van Poznak», da The Face, July 1984. Copyright© 1984 by Elissa Van Poznak. «A Suitable Case for Treatment» di Biba Kopf, da New Musical Express, 22/29 dicembre, 1984. Copyright© 1984 by Chris Bohn. Ristampato con il permesso dell'autore. «This Charming Man» di Simon Garfield, da Time Out, 7-13 marzo, 1985. Copyright © 1985 by Simon Garfield. Ristampato con il permesso dell'autore. «Mr. Smith: All Mouth and Trousers?» di Dylan Jones, da i-D, ottobre 1987. Copyright© 1987 by i-D. Ristampato con il permesso dell'autore. «Wilde Child», di Paul Morley, da Blitz, aprile 1988. Copyright © 1988 by Paul Morley. Ristampato con il permesso dell'autore. «Private Diary of a Middle-Aged Man» di Shaun Phillips, da Sounds, 18 giugno, 1988. Copyright© 1988 by Shaun Phillips. «The Soft Touch» di Mat Snow, da Q, dicembre 1989. Testi di Mat Snow/Q. Ristampato con il permesso dell'autore/EMAP London Lifestyle Ltd. «Lyrical King» di Steven Daly, da Spin, aprile 1991. Copyright© 1991 by Spin. Ristampato con il permesso dell'autore. «Morrissey Comes Out! (For a Drink)» di Stuart Maconie, da New Musical Express, 18 maggio, 1991. Copyright © 1991 by Stuart Maconie. Ristampato con il permesso dell'autore/Amanda Howard Associates. «Ooh I Say!» di Adrian Deevoy, da Q, settembre 1992. Testi di Adrian Deevoy/Q. Ristampato con il permesso dell'autore/EMAP London Lifestyle Ltd. «Hand in Giove» di Andrew Harrison, da Select, maggio 1994. Testi di Andrew Harrison/Select. Ristampato con il permesso dell'autore. EMAP London Lifestyle Ltd. «The lmportance of Being Morrissey» di Jennifer Nine, da Melody Maker, 9 agosto, 1997. Copyright © 1997 by Karen Shook. Ristampato con il permesso dell'autore. «Happy Now?» di Andrew Male, da Mojo, aprile 2006. Testi di Andrew Male/Mojo. Ristampato con il permesso di EMAP London Lifestyle Ltd. «The Last Temptation of Morrissey» di Paul Morley. Versione senza tagli copyright© 2006 by Paul Morley. Ristampato con il permesso dell'autore. «The Unbearable Lightness of Being Morrissey» di Peter Murphy. Ristampato con il permesso di Hot Press. È stato fatto il possibile per rintracciare i detentori dei diritti di pubblicazione, e l'editore resta a disposizione di quanti avessero a vantare ragioni in proposito. 314
ISTRUZIONI PER LA LETTURA Il libro consiste in una raccolta di interviste, le quali hanno come protagonista comune Steven Patrick Morrissey, cantante solista ed ex frontman degli Smiths negli anni '80. La prima intervist, 'Morrissey non ha bisogno di presentazioni', realizzata dall'autore stesso, Paul A. Woods, è un'introduzione generale al libro, in cui viene tracciato un profilo de cantante e del personaggio Morrissey. Nel libro viene messo in risalto l'aspetto musicale rispetto agli altri, in quanto lo stesso Morrissey afferma che è il più rilevante ed importante per carpire la sua essenza. Le ventotto interviste che compongono il libro sono composte da due parti (solo in rari casi in tre parti): l'introduzione, l'intervista vera e propria e, per alcune la conclusione. Introduzione/Conclusione La parte introduttiva dell'intervista presenta un testo che si sviluppa in modo tradizionale, prima lungo la pagina di sinistra e poi in quella di destra. Per alcune di esse, è prevista anche una parte conclusiva, che ha uguale struttura rispetto all'introduzione. Intervista L'intervista si struttura in due parti: nelle pagine di destra vi sono i contenuti legati al tema musicale ed affini; in quelle di sinistra sono riportati i contenuti che trattano vari altri argomenti (dalla politica alla religione, passando per la sessualità ed altri ancora). Per la lettura corretta dell'intervista, si deve partire dal blocco di testo collocato in alto (il quale può essere sia a destra che a sinistra, varia a seconda dell'intervista che si ha di fronte), per proseguire poi, scendendo verso il basso, passando da un blocco di testo a quello successivo, da destra a sinistra e viceversa.