Modificazioni dello spazio tragico

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PhD produzioni scientifiche

Marco de Santis

MODIFICAZIONI DELLO SPAZIO TRAGICO le Domestic Tragedies inglesi 1592-1621


Associazione culturale Liberaria Editrice, 2010. via S.Tommaso D’Aquino 8/c 70124 Bari. tel.3456407523 www.liberariaeditrice.it www.liberaria.puglia.it


Indice Introduzione

pag. 3

CAPITOLO I Un esempio di tragico borghese: Arden of Feversham Le fonti

pag. 11

Arden e Alice: due differenti registri linguistici

pag. 17

La farsa, ovvero, un tragico incerto

pag. 29

CAPITOLO II Il prototipo della tragedia borghese: A Women Killed with Kindness Le fonti

pag. 36

The Act of Kindness

pag. 41

CAPITOLO III Yorkshire Tragedy tra innovazione e tradizione Le fonti

pag. 59

Against the Ravange

pag. 63

Perdono e Pentimento

pag. 73

CAPITOLO IV The Witch of Edmonton: tragedia popolare e farsa borghese Un nuovo genere: la Tragicomedy

pag. 86

Stregoneria a teatro

pag. 93

Witches and witchcrafts

pag. 97

Il dramma della menzogna

pag. 103

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Introduzione

Di tutta la tradizione drammaturgica del Rinascimento inglese conosciamo, ad

oggi, assai molto: opere prime e minori, commissionate dagli impresari teatrali, o

più semplicemente scritte per eventi o feste particolari, autori di rilievo e semplici collaboratori, conosciamo precisamente date e luoghi di un debutto e persino il tipo

di successo che un dramma ha avuto nella cartellonistica dell’epoca. Eppure, nonostante sia così ampio il bagaglio di conoscenze accumulato in questi secoli, rimane

ancora troppo frammentaria la nostra percezione del teatro comunemente detto elisabettiano.

Questo studio sulle Domestic Tragedies vuole appunto essere un contributo critico

a questa singolare variante della drammaturgia rinascimentale: attraverso l’analisi

di quattro tra le maggiori e più celebri opere di questo filone drammatico, mi pro-

pongo di mettere in evidenza le loro più rilevanti peculiarità per dimostrare come, parallelamente ad una tradizione tragica classica, e quindi di fianco ai grandi nomi

e alle grandi opere che hanno definito i contorni e hanno costruito la vera identità del primo teatro inglese, abbia preso corpo, silenziosamente, in modo sommesso, un genere drammatico in cui stava germogliando il seme di un repentino cambiamento.

Le Domestic Tragedies, di lì a qualche anno, avrebbero modificato radicalmente la tradizione classica rinascimentale, gettando così le fondamenta per la costruzione del dramma settecentesco e ottocentesco, e quindi del dramma moderno.

Lo studio sull’evoluzione dei generi teatrali non è sicuramente un argomento

nuovo, ed è pur vero che il concetto stesso di processo storico rimane alla base di

qualsiasi analisi che si proponga di mettere in luce le trasformazioni dei generi let-

terari. Di contro, però, non ho voluto considerare le opere teatrali singolarmente, ma ho più che altro cercato di tracciare un arco analitico che abbracciasse il trentennio più importante e carico di trasformazioni dell’Inghilterra elisabettiana: dalla

composizione e scrittura dell’Arden of Feversham, del 1592, fino a The Witch of Ed-

monton, del 1621, e fermandomi a metà strada su due opere altrettanto importanti

quali, appunto, A Women Killed with Kindness, del 1604, e la Yorkshire Tragedy, del 1608.

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Questo trentennio, come ho già detto, è forse il più importante per il teatro ingle-

se, e non solo per la presenza di William Shakespeare sulle scene londinesi, ma anche perché furono questi gli anni in cui, sotto il governo di Elisabetta I, l’Inghilterra potette vantare una florida e rigogliosa rinascita culturale e sociale.

Il teatro è stato da sempre specchio della società, dei suoi vizi e delle sue virtù, e

se da una parte le grandi tragedie rievocavano la caduta e l’ascesa al trono delle più importanti casate, celebrando le gesta di eroi e condottieri valorosi, dall’altra parte,

la commedia, si proponeva come immagine di una società sì corrotta, ma oltremodo

capace nell’affrontare e risolvere l’ingiustizia sociale. La commedia diventa l’opera

dei buoni sentimenti, dell’amore, delle unioni capaci di superare qualsiasi ostacolo o perfidia della natura umana.

Frye, nel suo Shakespeare, nove lezioni1 fa notare come il matrimonio, o la promes-

sa di una unione, sia una sorta di finale obbligato per qualsiasi commedia che tale si definisce, poiché, appunto, è solo nella costituzione del nuovo nucleo familiare che la società può dirsi compiuta, e darsi così una prospettiva di vita, una continuità.

Il teatro inglese del seicento ha origine nel dramma liturgico e insieme nella tra-

dizione classica medioevale. Quel gran teatro del mondo, quindi, come a volte si è soliti definire la drammaturgia shakespeariana, non è il punto di arrivo, ma solo un

momento, alto e sublime, di una trasformazione iniziata secoli prima, e quindi destinata a sua volta a finire, o quantomeno a cambiare. Il teatro inglese nasce su delle

convenzione di natura tipicamente cattolica, radicate nella cultura anglosassone, e

quindi difficili da demolire. Nonostante tutto, già dopo la prima metà del cinquecento, tali convenzioni furono adottate e subito rinnovate in favore di un dramma unico

e di per sé, assoluto. Perfetto nella sua evoluzione, analitico nella costruzione di un

personaggio, e infine preciso e capace nel definire archetipi rimasti, ancora oggi, insuperati.

Nonostante perfetta e ancora insuperata sia quella struttura drammatica, essa ri-

mane comunque soggetta al tempo, e per tale ragione dovremmo considerarla come

parte di un processo storico più ampio. Nel corso degli anni il teatro si è sensibilmente trasformato, sia nella forma, che nei contenuti. Già dopo il 1621, a dimostrazione

di quanto ho appena detto, stentiamo a riconoscere veri e propri capolavori teatrali, 1

N. Frye, Shakespeare: nove lezioni, Einaudi, Torino,, 1990.

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e troviamo persino difficoltà nell’individuare grandi autori capaci di sostenere l’eredità lasciata da Shakespeare, pur sempre loro contemporaneo. Riconosciamo a questa nuova drammaturgia, benché non lontana, in termini di tempo, da quella alta,

una funzione più che altro esemplare per evidenziare i confini di quella bellissima stagione che, appunto, si è concentrata nei primi anni del 1600.

Allora se un cambiamento così radicale c’è stato, è giusto capirne i motivi, e so-

prattutto, ricercare le opere che, silenziosamente, ne annunciavano l’arrivo.

La chiusura dei teatri da parte dei puritani nel 1642 è un evento importante, per-

ché, di fatto, conclude e delimita in modo radicale quella stagione. Quindi solo qual-

che frammento di quel vecchio teatro è riuscito a sopravvivere dopo questo limite, e questo solo grazie al suo essersi ramificata nell’intelaiatura della società inglese,

ovvero nella middle-class, il ceto borghese, che avrebbe conquistato, di lì a pochi anni, sempre più potere e prestigio nella società rinascimentale.

Ma anche un cambiamento di questa natura non può essere stato così brusco:

il teatro del medioevo si è lasciato modellare nel corso dei secoli fino a diventare quel che oggi sappiamo, e lo stesso eguale ragionamento dovremmo adottarlo per la

drammaturgia del seicento. Il teatro ha subito le piccole e incessanti trasformazioni

proprio dal suo interno, da parte degli stessi drammaturghi, i quali, iniziarono a modificare la forma teatrale in favore di un dramma che necessitava una nuova struttura: le nuove tematiche avevano bisogno di una nuova forma per un pubblico nuovo. Qualsiasi trasformazione, dunque, diventa un naturale processo storico.

È questa la modalità che ha portato alla nascita dei nuovi generi teatrali canzo-

nati da Polonio nell’Hamlet. Non bisogna dunque considerare negativamente questa

trasformazione, per quanto poi sia facile provare un sentimento di nostalgia verso un tipo di dramma la cui perfezione e il cui sublime costrutto sintattico stentano a

ripresentarsi. Tutto cambia e si trasforma e la tragedia classica lascia pian piano il palcoscenico per permettere ai nuovi generi di prendere possesso della scena teatrale inglese: la tragedia borghese e la commedia cittadina incontrarono, quindi, il favore e l’entusiasmo del nuovo pubblico, e quindi furono, di per sé, funzionali e adatti per raccontare e rappresentare quel nuovo mondo che si stava definendo.

Di quel grande e florido periodo qualcosa sopravvive nel nuovo teatro, nella nuo-

va forma tragica, ed è la consapevolezza che il teatro stesso mantiene quel suo essere specchio della società che lo ha creato, e che la sua funzione, il suo ruolo nella

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società intellettuale inglese, forse, rimarrà l’unica vera costante che gli permetterà di sopravvivere al tempo.

Shakespeare stesso lo sapeva, e le sue parole giungono a noi come testamentarie,

avendo lui intuito la vera natura del teatro, quella magica e fatata capacità di creare

un mondo, rappresentarlo, amarlo, violentarlo, assassinarlo, e dopo averlo con cura deposto, resuscitarlo la sera successiva.

A great while ago the world began

With hey, ho, the wind and the rain But that’s all one, our play is done,

And we’ll strive to please you every day.

Con queste parole termina la Twelfth Night, e con queste parole il teatro del sei-

cento si incamminava verso il proprio domani.

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