DIR. EDITORIALE
ART DIRECTOR
EDITOR
REDAZIONE GRAFICO
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Dopo lo straordinario successo di
KEN KEN FOLLETT FOLLETT
LA CADUTA DEI GIGANTI
n°1 nelle classifiche di tutto il mondo in anteprima mondiale 11 settembre 2012
KEN FOLLETT
L’INVERNO DEL MONDO Il secondo capitolo della grande storia del ventesimo secolo ideata dal maestro indiscusso dell’intrattenimento mondiale.
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romanzo
l’inverno l’inverno del del mondo mondo
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Cinque famiglie legate l’una all’altra il cui destino si compie durante la metà del ventesimo secolo, in un mondo funestato dalle dittature e dalla guerra.
THE CENTURY TRILOGY Continua con
L’inverno del mondo Il secondo romanzo dell’ambiziosa trilogia di Ken Follett sul secolo scorso. Letto singolarmente, o come seguito de La caduta dei giganti, questo libro è un’opera magnifica, epica e avvincente, fra conflitto mondiale e drammi personali.
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Ken Follett ha fatto sognare milioni di italiani. I suoi romanzi hanno venduto 13 milioni di copie nel nostro paese e oltre 130 milioni di copie nel mondo. Ken Follett ha pubblicato con Mondadori: Lo scandalo Modigliani, Alta finanza, La cruna dell’Ago, Triplo, Il codice Rebecca, L’uomo di Pietroburgo, Sulle ali delle aquile, Il pianeta dei bruchi, Il mistero degli studi Kellerman, Un letto di leoni, I pilastri della terra, Notte sull’acqua, Una fortuna pericolosa, Un luogo chiamato libertà, Il terzo gemello, Il Martello dell’Eden, Codice a zero, Le Gazze Ladre, Il volo del calabrone, Nel bianco, Mondo senza fine e La caduta dei giganti.
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l’inverno del mondo In esclusiva la presentazione delle principali famiglie
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Traduzione di Adriana Colombo, Paola Frezza Pavese, Nicoletta Lamberti e Roberta Scarabelli
Copyright © 2012 by Ken Follett © 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano Titolo dell’opera originale Winter of the World I edizione settembre 2012
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Berlino nel 1933 è in subbuglio. L’undicenne Carla von Ulrich cerca con tutte le forze di comprendere le tensioni che stanno distruggendo la sua famiglia, nei giorni in cui Hitler sta stringendo la sua presa sulla Germania. In questi tempi tumultuosi muove i suoi primi passi il diciottenne Lloyd Williams, che presto sperimenterà sulla propria pelle la brutalità nazista e si metterà anche in contatto con un gruppo di oppositori tedeschi di Hitler. Ma saranno in grado di spingersi al punto di tradire la loro patria? Queste persone sono tenute sotto osservazione da Volodja Peškov, un russo con un futuro brillante nei servizi segreti dell'Armata rossa. Lo scontro internazionale che seguirà, fra potere militare e ideologie, disperderà tutti quanti e li colpirà con violenza, da Cable Street a Londra a Pearl Harbor nelle Hawaii, dalla Spagna a Stalingrado, da Dresda a Hiroshima. Dall’altra parte dell’Atlantico Woody Dewar ha già capito come le opposte ideologie che infiammano la guerra civile in Spagna porteranno a un conflitto di più ampia portata, sebbene lui nutra ora un
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maggior interesse per Joanne Rouzrokh, la diciottenne di cui è innamorato, che non si degna di uscire con lui perché troppo giovane per lei. Lloyd è attratto irresistibilmente da una donna dell’alta società, Daisy Peškov, che rappresenta tutto ciò che la sua famiglia di sinistra disprezza. Lei però gli preferisce l’aristocratico Boy Fitzherbert, pilota amatoriale, amante delle feste e membro di spicco dell’Unione britannica dei fascisti. A Berlino Carla s’innamora perdutamente e in segreto di Werner Franck. Ma nulla andrà secondo le loro aspettative, mentre le vite e le speranze di tanti verranno polverizzate dalla più grande e crudele guerra nella storia dell’umanità.
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Carla von Ulrich Carla capì che i genitori stavano per litigare. Nel preciso istante in cui entrò in cucina l’ostilità fra loro la investì come il vento gelido e penetrante che a febbraio spazzava le strade di Berlino prima di una bufera di neve. Fu tentata di girarsi e andarsene. Non accadeva spesso che bisticciassero. In genere si mostravano molto affettuosi tra loro... anche troppo. Carla provava un profondo imbarazzo quando si baciavano davanti ad altre persone. I suoi amici lo trovavano strano, perché i loro genitori non erano altrettanto espansivi. Una volta lo aveva detto alla mamma, che si era messa a ridere compiaciuta. “Il giorno dopo il matrimonio tuo padre e io siamo stati costretti a separarci a causa della Grande Guerra” aveva spiegato. Era inglese di nascita, anche se non lo si sarebbe detto. “Io rimasi a Londra, mentre lui dovette tornare a casa, in Germania, per arruolarsi.” Carla aveva sentito tante volte quella storia, che la mamma amava ripetere. “Eravamo convinti che la guerra sarebbe durata tre mesi, invece lo rividi soltanto cinque anni dopo. Per tutto quel tempo non desiderai altro che stringerlo a me, per cui adesso non me ne stanco mai.” Il papà non era da meno. “La mamma è la donna più intelligente che abbia mai conosciuto” aveva
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detto proprio lì in cucina solo qualche giorno prima. “Per questo l’ho sposata. Non certo perché...” Aveva lasciato la frase in sospeso, poi si era messo a ridacchiare insieme alla mamma con aria complice, come se Carla a undici anni non sapesse nulla del sesso. Che cosa imbarazzante. Ogni tanto, però, avevano un litigio. Carla riconosceva i segnali, e in quel momento stava per scoppiarne uno. Sedevano ai lati opposti del tavolo della cucina. Il papà indossava un severo abito grigio scuro, camicia bianca inamidata e cravatta di raso nero. Il suo aspetto era impeccabile come sempre, anche se i capelli cominciavano a diradarsi sulle tempie e il panciotto era un po’ rigonfio sotto la catena d’oro dell’orologio. Il viso era irrigidito in un’espressione di falsa calma che Carla conosceva bene. L’assumeva quando uno di loro aveva fatto qualcosa che lo irritava. Teneva in mano una copia della rivista settimanale per cui lavorava la mamma, “Der Demokrat”; firmandosi Lady Maud, curava una rubrica mondana sugli ambienti politici e diplomatici. Il papà cominciò a leggere ad alta voce: «“Il nostro nuovo cancelliere, Herr Adolf Hitler, ha debuttato nel mondo della diplomazia al ricevimento del presidente Hindenburg”». 6
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Carla sapeva che il presidente era il capo dello Stato. Veniva eletto, ma si teneva al di sopra dei battibecchi quotidiani fra i politici, esercitando la funzione di arbitro. Il cancelliere era il primo ministro. Hitler era stato nominato cancelliere, però il Partito nazista non deteneva la maggioranza assoluta nel Reichstag, il parlamento tedesco, quindi per il momento gli altri partiti riuscivano a contenere gli eccessi dei nazisti. Il papà parlava in tono disgustato, quasi fosse costretto a nominare qualcosa di repellente come il liquame. «“Appariva a disagio con indosso il frac.”» La madre di Carla sorseggiava il caffè con lo sguardo rivolto verso la strada, fingendosi interessata alla gente che correva al lavoro imbacuccata con sciarpe e guanti. Anche lei ostentava calma, ma Carla sapeva che stava solo aspettando il momento giusto. Ada, la domestica, in grembiule accanto al bancone, affettava il formaggio. Mise un piatto davanti al papà, che lo ignorò. «“Herr Hitler è rimasto evidentemente molto colpito da Elisabetta Cerruti, la raffinata consorte dell’ambasciatore italiano, in abito rosa guarnito di zibellino.”» La mamma descriveva sempre l’abbigliamento delle persone di cui parlava; sosteneva che aiutasse i lettori a visualizzarle. Anche lei possede-
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va abiti ricercati, ma i tempi erano duri e da anni non si comprava qualcosa di nuovo. Quella mattina appariva snella ed elegante in un vestito di cachemire blu marino che probabilmente aveva la stessa età di Carla. «“La signora Cerruti, che è ebrea, è una fervente fascista. I due hanno parlato per parecchi minuti. Che lei abbia pregato Hitler di smettere di fomentare l’odio verso gli ebrei?”» Il padre sbatté la rivista sul tavolo. “Ecco che arriva” pensò Carla.
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Lloyd Williams A Berlino, in un quartiere operaio chiamato Wedding, a nord del centro città, Lloyd Williams trovò un circolo pugilistico dove con pochi centesimi poteva allenarsi per un’ora. Quella sera usò le clave indiane e il pallone medicinale, saltò la corda, si esercitò al sacco, poi indossò il casco per fare cinque riprese sul ring. L’allenatore gli trovò uno sparring partner, un tedesco più o meno della stessa età e corporatura: Lloyd era un peso welter. Il suo avversario, che aveva un bel diretto veloce che arrivava all’improvviso, colpì Lloyd parecchie volte, finché questi non reagì con un gancio sinistro mandandolo al tappeto. Lloyd era cresciuto in un quartiere difficile, l’East End di Londra. A dodici anni era stato tormentato da un compagno prepotente. “A me è successo lo stesso” gli aveva detto il patrigno, Bernie Leckwith. “Sei il ragazzo più intelligente della scuola e vieni preso di mira dallo shlammer della classe.” Bernie era ebreo, tant’è che sua madre parlava solo yiddish. Aveva portato Lloyd al Circolo pugilistico di Aldgate. Ethel si era detta contraria, ma Bernie alla fine aveva avuto la meglio, evento tutt’altro che frequente. Lloyd aveva imparato a muoversi con agilità e
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a picchiare duro, e le angherie erano cessate. Si era anche rotto il naso, e ciò gli dava un aspetto meno delicato. Aveva scoperto di avere talento: dotato di riflessi pronti e spirito combattivo, aveva vinto parecchi premi di pugilato. Il suo allenatore era rimasto assai deluso nell’apprendere che intendeva andare all’università di Cambridge anziché darsi al professionismo.
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Volodja Peškov Mentre attraversava il ponte sulla Moscova, Volodja Peškov chinò la testa sotto il turbine di neve. Indossava un cappotto pesante, un colbacco di pelliccia e robusti stivali di cuoio. Pochi moscoviti erano vestiti così adeguatamente. Volodja era fortunato. Aveva sempre buoni stivali. Suo padre Grigorij era comandante dell’esercito. Non apparteneva agli alti ranghi: malgrado fosse un eroe della rivoluzione bolscevica e conoscesse personalmente Stalin, la sua carriera aveva subito una battuta d’arresto negli anni Venti, tuttavia la famiglia aveva sempre vissuto nel benessere. Volodja era ambizioso e voleva arrivare in alto. Dopo l’università era entrato alla prestigiosa Accademia militare dei servizi segreti, e l’anno successivo aveva ricevuto un incarico alla sede centrale dei servizi segreti dell’Armata rossa. Il suo più grande colpo di fortuna era stato incontrare Werner Franck a Berlino quando suo padre era attaché militare all’ambasciata sovietica in quella città. Werner frequentava la sua stessa scuola, ma in una classe inferiore. Nell’apprendere che quel giovane odiava il fascismo, Volodja gli aveva fatto presente che il modo migliore per combattere i nazisti sarebbe stato fare la spia per i russi.
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All’epoca Werner aveva soltanto quattordici anni, ma ora ne aveva diciotto, lavorava al ministero dell’Aeronautica, detestava sempre più i nazisti e disponeva di una ricetrasmittente e di un libro codice. Pieno di risorse e molto coraggioso, non esitava a correre rischi spaventosi pur di raccogliere informazioni utili. E Volodja era il suo contatto. Volodja non lo vedeva da quattro anni, però lo ricordava bene. Alto, con splendidi capelli biondo ramato, Werner appariva e si comportava come se fosse molto più grande della sua età, e già a quattordici anni riscuoteva uno straordinario successo con le ragazze. Di recente gli aveva passato un’informazione riservata su Markus, un diplomatico presso l’ambasciata tedesca a Mosca, che in segreto era comunista. Volodja aveva avvicinato Markus e lo aveva reclutato come spia. Da qualche mese il tedesco forniva un flusso continuo di rapporti che Volodja traduceva in russo e passava al suo capo. L’ultimo, assai interessante, rivelava che alcuni capitani d’industria americani filonazisti rifornivano di autocarri, pneumatici e benzina i ribelli fascisti spagnoli. Il presidente della Texaco, Torkild Rieber, acceso sostenitore di Hitler, usava le navi cisterna della società per procurare di nascosto il carburante ai 12
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ribelli a dispetto della specifica richiesta del presidente Roosevelt. In quel momento Volodja stava andando a un appuntamento con Markus.
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Woody Dewar Woody Dewar ispezionò con impazienza la barca, controllando che i ragazzi avessero lasciato tutto in ordine. Lo Sprinter era un ketch da regata di quarantotto piedi, lungo e affusolato come una lama. Dave Rouzrokh lo aveva prestato allo Shipmates, il circolo a cui apparteneva Woody, che portava i figli dei disoccupati di Buffalo sul lago Erie e insegnava loro i rudimenti della vela. Woody fu soddisfatto nel vedere gli ormeggi e i parabordi già a posto, le vele ripiegate, le drizze sganciate e tutte le altre cime ordinatamente arrotolate. Suo fratello Chuck, quattordicenne, di un anno più giovane di lui, era già sul molo e stava scherzando con un paio di ragazzi di colore. Chuck aveva modi accomodanti e andava d’accordo con tutti. Woody, che voleva darsi alla politica come il padre, gli invidiava quel suo fascino naturale. I tre ragazzi sul molo, con indosso soltanto i calzoncini corti e i sandali, erano l’immagine stessa di una gioventù forte e vitale. A Woody sarebbe piaciuto immortalarli, se solo avesse portato con sé la macchina fotografica. Era appassionato di fotografia e in casa aveva allestito una camera oscura per poter sviluppare e stampare i suoi scatti. Soddisfatto di lasciare lo Sprinter come lo ave14
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vano trovato la mattina, Woody saltò sul molo. Una decina di adolescenti si allontanò in gruppo dal porticciolo; scarmigliati dal vento, bruciati dal sole e piacevolmente doloranti per l’esercizio fisico, ridevano nel rievocare gli errori grossolani, le disavventure e gli scherzi della giornata. Il divario tra i due fratelli ricchi e la folla di ragazzi poveri, che era svanito in mare dove tutti dovevano darsi da fare per governare la barca, riemerse nel parcheggio dello Yacht Club di Buffalo. Due veicoli erano posteggiati l’uno accanto all’altro: la Chrysler Airflow del senatore Dewar, con l’autista in divisa al volante per Woody e Chuck; un autocarro Chevrolet Roadster con due panche di legno sul pianale per gli altri. Woody li salutò imbarazzato mentre l’autista gli teneva aperta la portiera. I ragazzi però non sembravano darvi importanza, lo ringraziarono e dissero: «Ci vediamo sabato!». «È stato divertente, anche se non so quanto sia utile» disse Woody mentre percorrevano Delaware Avenue. Chuck apparve sorpreso. «Perché?» «Be’, non stiamo aiutando i loro padri a trovare un’occupazione, e questa è l’unica cosa che conta davvero.» «Potrebbe servire a farla trovare ai figli tra qual-
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che anno.» Buffalo era una città portuale: in tempi normali c’erano migliaia di posti di lavoro sui mercantili che facevano servizio sui Grandi Laghi e il canale di Erie, così come sulle imbarcazioni da diporto. «Sempre che il presidente riesca a far ripartire l’economia.» Chuck si strinse nelle spalle. «Allora vai a lavorare per Roosevelt.» «Perché no? Il papà ha lavorato per Woodrow Wilson.» «Io insisto con la vela.» Woody diede un’occhiata all’orologio. «Siamo in tempo a cambiarci per il ballo... appena in tempo.» Dovevano andare a una cena danzante al Racquet Club. Nel pregustare la serata, sentì battere forte il cuore. «Voglio stare con esseri umani dalla pelle liscia, con un tono di voce alto e che si vestono di rosa.» «Uhuh» fece Chuck ironico. «Joanne Rouzrokh non ha mai messo un vestito rosa in vita sua.» Woody si sentì preso alla sprovvista. Da due settimane sognava Joanne tutto il giorno e metà della notte, ma come faceva suo fratello a saperlo? «Cosa ti fa pensare...» «Oh, dài» disse Chuck sarcastico. «Sei praticamente svenuto quando è arrivata alla festa sulla 16
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spiaggia con la gonna da tennis. Se ne sono accorti tutti che ti faceva impazzire. Invece lei, per fortuna, sembra non essersene accorta.» «Perché per fortuna?» «Santo cielo... tu hai quindici anni e lei diciotto. È imbarazzante! Joanne cerca un marito, non uno scolaretto.» «Ah, grazie tante, dimenticavo quanto sei esperto di donne.» Chuck avvampò. Non aveva mai avuto una ragazza. «Non c’è bisogno di essere esperti per capire cos’hai sotto quel dannatissimo naso.» Si parlavano sempre in quel modo. Tra loro non c’era cattiveria, solo brutale franchezza. Erano fratelli, dunque non avevano bisogno di troppe formalità.
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Daisy Peškov «Due cose devi sapere sulle ragazze di Buffalo: bevono come spugne e sono tutte snob.» Eva Rothmann ridacchiò. «Non ci credo» disse. Il suo accento tedesco era ormai quasi impercettibile. «Invece è vero» insistette Daisy Peškov. Le due giovani erano nella camera bianca e rosa davanti a uno specchio a tre luci a figura intera, intente a provare vestiti. «In bianco e blu dovresti stare benissimo» continuò. «Come ti sembra?» Avvicinò una camicetta al viso di Eva per studiarne l’effetto. I due colori contrastanti sembravano donarle. Daisy rovistava nell’armadio in cerca di un abito da picnic sulla spiaggia adatto all’amica: Eva non era graziosa, e molti dei vestiti di Daisy, ornati di gale e fiocchi, la facevano solo sembrare goffa. Per i suoi lineamenti marcati erano assai più adatte le righe. «Indossa colori vivaci» le consigliò Daisy, scrutando i capelli bruni e gli occhi castano scuro dell’amica. Eva non possedeva molti abiti; il padre, un medico ebreo di Berlino, aveva speso i risparmi di una vita per mandarla in America, dove lei era arrivata da un anno, priva di tutto. Un ente di beneficenza le pagava la retta del collegio, lo stesso di Daisy, che aveva diciannove anni come lei. Visto che Eva 18
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non sapeva dove andare durante le vacanze estive, Daisy l’aveva invitata d’impulso a casa sua. La madre, Olga, all’inizio aveva obiettato. “Sei via a scuola tutto l’anno... e io non vedo l’ora di averti tutta per me in estate.” “È una ragazza fantastica, mamma. Deliziosa e di buon carattere, una vera amica.” “Secondo me ti fa pena perché è dovuta fuggire dai nazisti.” “I nazisti non c’entrano: semplicemente mi è molto simpatica.” “D’accordo, ma deve stare proprio da noi?” “Mamma, non ha altri posti dove andare!” Alla fine, come al solito, Olga gliel’aveva data vinta. «Snob? Nessuno potrebbe fare lo snob con te!» disse Eva. «Oh, sì, invece.» «Ma sei così carina e vivace!» Daisy non si preoccupò di negarlo. «Per questo mi odiano.» «E sei ricca.» Era vero. Suo padre era molto facoltoso, la madre aveva ereditato una fortuna e la stessa Daisy sarebbe entrata in possesso di un cospicuo patrimonio al compimento del ventunesimo anno. «Non significa nulla. In questa città conta da quanto tem-
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po sei ricco; se lavori, non sei nessuno. L’élite è fatta di gente che vive grazie ai milioni lasciati dai bisnonni.» Daisy usò un tono allegro e canzonatorio per nascondere il rancore. «E tuo padre è famoso!» continuò Eva. «Pensano tutti che sia un gangster.» Il nonno di Daisy, Josef Vyalov, era stato proprietario di bar e alberghi. Il padre, Lev Peškov, ne aveva investito i profitti per acquistare teatri di varietà in crisi e convertirli in cinematografi. Ora possedeva anche una casa di produzione a Hollywood. Eva si indignò per l’amica. «Come possono dire una cosa simile?» «Credono che lui sia stato un contrabbandiere di alcolici, e probabilmente hanno ragione. Non vedo in quale altro modo abbia potuto fare soldi con i bar durante il proibizionismo. Comunque, è per questo che mia madre non sarà mai invitata a far parte della Ladies’ Society di Buffalo.»
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Boy Fitzherbert Per tutta la sera Daisy continuò a sorprendere Boy mentre la fissava. Lui non assomigliava al suo affascinante genitore, ciò nonostante gli occhi azzurri ereditati dalla madre lo rendevano attraente. Cominciò a sentirsi imbarazzata, come se le stesse divorando il seno con gli occhi. «E tu, Boy, stai dando esami?» chiese, per rompere l’incantesimo. «Buon Dio, no!» «È troppo occupato a volare con il suo aereo per dedicarsi allo studio.» L’osservazione di Fitz voleva essere critica, ma in realtà lasciava trasparire orgoglio per il primogenito. Boy si finse indignato. «È una calunnia!» esclamò. Eva era sconcertata. «Perché vai all’università se non hai voglia di studiare?» «Ad alcuni non interessa laurearsi, soprattutto se non sono tipi accademici» spiegò Lindy. «Soprattutto se sono ricchi e pigri» precisò Lizzie. «Io studio!» protestò Boy. «Però non intendo dare esami. Non ambisco a guadagnarmi da vivere facendo il medico o qualcosa del genere.» Alla morte di Fitz, Boy avrebbe ereditato uno dei patrimoni più consistenti d’Inghilterra. E la sua fortunata moglie sarebbe stata la contessa Fitzherbert.
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«Aspetta un momento» disse Daisy. «Davvero hai un aereo tutto tuo?» «Sì. Un Hornet Moth. Faccio parte dell’aeroclub dell’università. Usiamo un piccolo campo d’aviazione fuori città.» «Ma è fantastico! Mi ci devi portare!» «Oh, santo cielo, no!» fece la madre di Daisy. «Non avresti paura?» «Neanche un po’.» «Allora è deciso.» Boy si voltò verso Olga. «Non c’è alcun pericolo, Mrs Peškov. Prometto di riportargliela indietro tutta intera.»
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Werner Franck Gli raccontò del volantino che aveva letto in treno. «Cosa ne pensi?» chiese Werner. Carla ebbe un attimo di esitazione. Era pericoloso parlare apertamente di un argomento del genere, ma lei conosceva Werner da una vita e sapeva che era sempre stato di sinistra, e poi era un giovane swing. Di lui poteva fidarsi. «Mi fa piacere che qualcuno si opponga al nazismo» rispose. «Dimostra che non tutti i tedeschi sono paralizzati dalla paura.» «Ci sono molte cose che si possono fare contro i nazisti» disse lui sottovoce. «Non solo mettersi il rossetto.» Carla immaginò che Werner intendesse che anche lei poteva distribuire volantini di quel tipo. Forse lui pure era coinvolto in quelle attività? No, era troppo un farfallone. Heinrich, forse: lui era una persona molto profonda. «No, grazie» rispose. «Ho troppa paura.» Finirono di bere la loro Coca e tornarono nel magazzino. Era pieno di ragazzi, adesso, e non c’era quasi più spazio per ballare. Con grande sorpresa di Carla, Werner le chiese di fare l’ultimo ballo. Mise su Bing Crosby che cantava Only Forever. Carla era emozionatissima.
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La tenne stretta e ondeggiarono, più che ballare, al ritmo della lenta ballata. Alla fine, come da tradizione, qualcuno spense la luce per un minuto, in modo che le coppie potessero baciarsi. Carla era imbarazzata: conosceva Werner da quando erano bambini, ed era sempre stata attratta da lui, così ora alzò la faccia emozionata. Come si era aspettata, lui la baciò in modo esperto, e lei ricambiò con entusiasmo. Sentì con piacere che le sfiorava il seno con la mano e lo incoraggiò aprendo la bocca. Poi la luce si riaccese e tutto finì. «Be’» disse lei senza fiato «questa sì che è stata una sorpresa.» Lui le rivolse un sorriso pieno di fascino. «Magari potrei sorprenderti ancora qualche altra volta.»
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