Il Santuario della Beata Vergine del Mirteto
La chiesa della “Beata Vergine del Mirteto”, chiamata più comunemente “Madonna del Mirto”, è uno dei sette santuari mariani presenti nel territorio aurunco e si trova nella parte bassa della piccola cittadina di Santa Maria a Valogno. Il santuario è suddiviso in due zone: la chiesa e il piazzale in cui, secondo le credenze, fu ritrovato il quadro raffigurante la Vergine, simbolo del luogo.
LA STORIA Il tutto inizia intorno all’anno 1000: una giovane pastorella sordomuta cerca di attirare l’attenzione di una sua pecora ma nota che essa rimane impassibile davanti al celebre mirto anche dopo averle lanciato delle pietre. Incuriosita, la ragazza si avvicina e, dopo essere stata investita da raggi di luce intensissimi e aver elevato la sua preghiera alla Vergine, ritrova ai piedi dell’albero il famoso quadro (che oggigiorno è sostituito da una copia). Dopo l’apparizione si ha il vero miracolo: la pastorella sordomuta inizia a correre per le vie del paese, raccontando con gioia l’accaduto e annunciando la venuta della Vergine .
UNA GRAZIA UNICA: “L’indulgenza plenaria” è una grazia rarissima concessa a un numero molto limitato di chiese in Italia e nel resto del mondo; essa dà ai fedeli la possibilità di cancellare completamente non solo la colpa dei peccati commessi, ma anche la pena da scontare. Per usufruire della grazia basta comunicarsi e successivamente recitare il Credo e le preghiere del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria nei luoghi indicati. Relativamente al Santuario della Vergine del Mirteto
questa particolare grazia fu concessa la prima volta nel 1139 da papa Innocenzo II, il quale, dopo esser stato sconfitto presso Galluccio da Ruggiero II il Normanno, si rifugiò a Santa Maria a Valogno. Dopo esser stato calorosamente accolto dal popolo, il pontefice su richiesta del parroco, diede la possibilità di usufruire dell’Indulgenza il 16 febbraio, giorno in cui ricorre anche la festa del paese.
IL MIRTETO OGGI Attualmente il Mirteto è un santuario molto visitato da persone provenienti da tutta Italia; i pellegrini visitano con devozione e costanza il luogo chiedendo grazie alla Madonna. La maggior affluenza si ha la seconda domenica di ogni mese, allorché il santuario rimane aperto tutto il giorno e si recitano tantissime preghiere.
Le edicole votive del territorio aurunco
Il termine “edicola” deriva dal latino aedicula, diminutivo di aedes, una sorta di tempietto presente in tutte le case dei Romani, in cui erano conservate e venerate le immagini dei numi protettori della casa e del focolare domestico. Tali strutture architettoniche condensano architettura, scultura, pittura e devozione. Il ruolo principale di questi piccoli templi era di proteggere il luogo su cui erano edificati come le porte di accesso di una città, una casa, un latifondo agricolo. Quasi sempre queste costruzioni erano opere dei privati e spesso venivano edificate per adempiere ad un voto. Questo connubio tra devozione popolare ed architettura ha visto nascere, nel corso dei secoli, una indefinita quantità di edicole. Fra le maggiori “fonti d’ispirazione” per le edicole c’è la Madonna, di qui il nome di “marunnelle”, tipico appellativo attribuito a tale immagini sacre. Le edicole votive sono strumenti di comunicazione religiosa e raccontano la storia della devozione popolare; in passato erano dei veri e propri monumenti dall’alto valore simbolico e attualmente quasi tutte custodiscono al loro interno oggetti vari, come raffigurazioni sacre, rosari, fiori, ceri. La tradizione di costruire edicole è sopravvissuta fino ai giorni nostri, con motivazioni diverse, anche nel territorio aurunco.
(lungo la strada tra Carano e Piedimonte)
Presentazione multimediale: “Edicole votive�
Il Santuario di Maria SS. della Libera e la Basilica di S. Maria in Foro Claudio Il Santuario di Maria SS. della Libera a Carano è uno dei luoghi di culto del territorio aurunco più visitato, meta di pellegrinaggio durante tutto l’anno. La nascita del culto è legata alla storia dell’apparizione della Madonna a una pastorella. Si tramanda che l’11 febbraio 1032, una fanciulla caranese, sordomuta, si recò al pascolo con le sue pecorelle dove udì una melodia, proveniente da alcuni cespugli, e vide un’immagine della Madonna “dipinta su una tunica di muro quanto sottile altrettanto durissima”. Le pecorelle si inginocchiarono e la stessa cosa fece la pastorella, che incominciò a recitare le preghiere che conosceva; tornò a casa all’imbrunire e la madre constatò che le pecorelle avevano latte abbondante. Le apparizioni continuarono per quattro giorni; la pastorella, mostrando di aver riacquistato l’udito e la parola, raccontò tutto alla madre e poi al parroco. Con il permesso del vescovo Mons. Benedetto si cominciò, come aveva chiesto la Madonna alla pastorella, la costruzione di una piccola chiesa nel luogo dell’apparizione, chiamato poi “Valle dei santi”, ma nel 1626 l’immagine della Madonna, a cui fu dato il titolo di Maria Santissima della Libera, fu trasferita in una chiesa più grande. La Sacra Effige, che si venera sull’altare maggiore del Santuario, è su tufo di colore bianco. Per molti anni la festa della Madonna fu celebrata l’11 Febbraio, ma nel 1850 venne spostata alla prima domenica di Maggio.
S. Maria in Foro Claudio è una piccola basilica paleocristiana sita in Ventaroli, piccolo borgo montano distante appena 4 Km dalla città di Carinola (CE), noto per avere dato i natali al padre della scrittrice Matilde Serao, che vi dimorò dal 1860 per alcuni anni. La basilica è stata costruita tra il V ed il VI sec. d.C. sui resti di un tempio romano ed è anche conosciuta con il nome di Episcopio di Ventaroli, giacché dal VI secolo fino al 1099 fu sede episcopale. È un inestimabile gioiello di architettura paleocristiana e del nostro territorio. All’interno della basilica si ammirano affreschi di inestimabile valore, realizzati a partire da X al XVI sec. circa.
Valogno, “il paese dei murales”
Valogno è una frazione del comune di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta; è un borgo piccolissimo, nel quale vivono circa 90 abitanti e dove non è presente alcun negozio di generi alimentari o bar; nonostante ciò esso è diventato molto famoso grazie a particolari opere d’arte presenti per le strade del paese: i murales.
L’inizio della creazione di queste opere si deve a Giovanni Casale, ex psicologo originario del paese ma vissuto per anni a Roma. Egli è tornato nel suo borgo natale per cercare di dare nuovamente vita al suo amato paese attraverso questo progetto, abbandonando, però, la sua casa e la sua vita nella capitale. Aiutato dalla moglie Dora, ha ingaggiato diversi artisti, alcuni anche internazionali, per far colorare il borgo. Adesso Valogno è ancora privo di bar, supermercati e farmacie, ma in compenso presenta, oltre a un tipico ristorante aperto di recente, ben 42 murales che colorano i muri dei vicoli, delle case e dei palazzi ottocenteschi, i quali non sono crollati nemmeno con il terremoto dell’80 e oggi sono conservati gelosamente. Queste opere parlano di fate, di creature mitologiche, dell’Unita d’Italia, di eroi, eroine e briganti.
Negli ultimi anni il piccolo borgo sta subendo una vera e propria rinascita e si sta affermando sempre più come meta turistica: sono tante le persone che arrivano nel borgo semplicemente per visitarlo o anche per viverci, restaurando una vecchia casa disabitata. I cittadini di Valogno, inoltre, sono molto ospitali e per questo il paese è definito anche “paese delle porte aperte”. Una pratica da provare è quella del “Pranzo condiviso”, che porta i turisti a pranzo dai padroni di casa; non serve un invito formale, perché porte e portoni sono aperti: i turisti arrivano per assaporare opere d’arte a cielo aperto e si ritrovano in casa degli abitanti. Così, grazie all’arte e ai colori, alle storie raccontate sui muri, Valogno ha ricominciato a popolarsi, non solo grazie agli abitanti che tornano per le vacanze, ma anche ai turisti, a semplici curiosi o amanti dell’arte, che vengono a visitare “il paese dei murales”.
Un gioiello del territorio aurunco: le Terme di Suio Suio è un piccolo borgo aggrappato alle ultime pendici dei Monti Aurunci, frequentato soprattutto per le sue piscine termali dove i turisti si recano per rilassarsi e recuperare energie. Gli stabilimenti sono concentrati lungo l’ampia “Via delle Terme”, il lunghissimo viale costruito appositamente per collegare i vari siti termali in unico grande complesso curativo. Non tutti sanno che le Terme di Suio sorgono su un territorio già noto agli antichi Romani: quello della pentapoli aurunca. Essi lo scelsero non solo per la sua posizione strategica, ma anche per le fonti termali che vi sgorgavano spontaneamente e ne facevano una vera e propria oasi in cui anche i legionari più agguerriti potevano riposarsi tra una battaglia e l’altra: era il 314 a.C.. Stando ad alcune fonti, il nome di questa regione deriverebbe da Vesuius, termine utilizzato per indicare un luogo in cui si trovavano delle caldane. Esistono poi alcuni reperti archeologici che, oggi accuratamente studiati, attestano una certa fama delle terme anche in epoca imperiale e successivamente; da recenti ricostruzioni risulta che lo stesso Settimio Severo fosse solito bagnarsi nelle acque di queste terme e che per questo avesse fatto costruire, proprio lui, la suddetta “Via delle Terme”. Purtroppo, le fonti non permettono di seguire passo passo l’evoluzione di questo centro dopo la dominazione romana, ma si sa che nel 1023 venne fondata la Contea di Suio, ove il conte Ugo decise di costruire il castello, sua residenza, e di sfruttare il piccolo porto fluviale di eredità romana, ideale per il trasporto di merci.
Nel 1079, poi, l’abate Desiderio decise di ampliare le fortificazioni e fare del borgo un luogo di rilevante importanza in Italia. Nonostante i danni causati al castello dai due conflitti mondiali, la struttura rimane tutt’oggi apprezzabile ed è fonte di ammirazione non solo da parte di coloro che possono apprezzarla ogni giorno, ma anche da parte dei turisti che si recano a Suio solo occasionalmente. Se già i nostri antenati romani avevano compreso l’immenso valore dei bagni termali a Suio, un motivo deve pur esserci; in realtà, le ragioni che dovrebbero spingere ciascuno di noi a recarsi almeno una volta al mese in questo luogo sono molteplici. Innanzitutto, le Terme di Suio permettono di ritrovare il proprio benessere psicofisico: dal momento che una mente sana può trovarsi solo in un corpo sano, rilassarsi nelle acque termali di queste sorgenti diventa un modo per cancellare le ansie e liberare la mente dagli affanni, sciogliendo la muscolatura e permettendo agli organi interni di ritrovare il loro ritmo naturale. In secondo luogo, i trattamenti presso le Terme di Suio permettono di risolvere alcuni problemi a livello fisico od organico: si può usufruire di terapie a base di fanghi, massaggi e trattamenti con pietre calde per eliminare la cellulite, oppure di aerosol e oli per risolvere patologie a livello respiratorio.
Baia Domizia
Baia Domizia è un villaggio turistico balneare della Campania inserito in un’area di grande interesse naturalistico: il Parco regionale di Roccamonfina-Foce del
Garigliano.
Si
trova
nel Golfo di Gaeta, al confine con il Lazio, dal quale la separa il fiume Garigliano, ed è in parte frazione del Comune di Sessa Aurunca, in parte del Comune di Cellole, in provincia di Caserta. È una meta da scegliere per una vacanza tranquilla tra mare, arte, storia, vino eccellente, prodotti e cibo squisiti. Baia Domizia ha larghe rive sabbiose di origine vulcanica con estese e incantevoli pinete, dune e ampi tratti di spiaggia libera, strutture ricettive, stabilimenti balneari modernissimi e attrezzati, locali per tutte le età, servizi e intrattenimento per bambini. Originariamente la località era una frazione compresa interamente nel Comune di Sessa Aurunca, ma nel 1975 Cellole, anch’essa precedentemente frazione di Sessa, ottenne l’autonomia amministrativa e il territorio di Baia Domizia fu diviso tra i due Comuni: le parti a sud e a est (Baia Domizia Sud, Baia Murena e Baia Felice) furono assegnate a Cellole, mentre la zona del centro e la parte nord rimasero sotto l’amministrazione di Sessa Aurunca. UN PO’ DI STORIA La storia di Baia Domizia come centro turistico risale agli anni ‘60 del ‘900. In età antica la pineta alla foce del Garigliano era, per le popolazioni italiche prima e per gli antichi Romani poi, un lucus, ossia un bosco sacro, dedicato alla
dea Marica, ninfa delle paludi e delle acque, il cui tempio si trovava sull’opposta sponda del fiume, nel territorio di Minturno. Poco prima della caduta dell’Impero romano, nell’estate del 458, un gruppo di Vandali, guidato dal cognato di Genserico, sbarcò alla foce del Garigliano e devastò l’area, che era ricca di ville gentilizie, saccheggiandola: la minaccia fu debellata dall’intervento dell’esercito imperiale, comandato da uno degli ultimi imperatori romani, Maggioriano, il quale guidò personalmente l’esercito sconfiggendo i Vandali nei pressi di Sinuessa. Dopo il crollo non fu possibile continuare a manutenere i sistemi irrigui e di contenimento delle acque nelle campagne, che vennero abbandonate; ciò, insieme alla natura dei terreni, naturalmente ricchi d’acqua, portò all’impaludamento delle zone immediatamente a ridosso della linea di costa e il territorio divenne una grande palude conosciuta come “pantano di Sessa”. Col passare del tempo poco o nulla cambiò, con vaste e selvagge aree boschive e paludose, fino al 7 aprile 1963, giorno di nascita della località balneare di Baia Domizia, una vera “cittadella delle vacanze”, elegante e raffinata, parallela al litorale e quasi mimetizzata nel verde di una pineta resinosa e balsamica. CURIOSITÀ Nel 1986 la settima tappa del Giro d’Italia, partita da Potenza, si concluse a Baia Domizia con la vittoria di Bontempi; nel 1998 anche la Tirreno-Adriatica vi fece tappa: partita da Sorrento, si concluse con la vittoria di Zabel. A Baia Domizia trascorreva le vacanze l’artista futurista Sante Monachesi, il quale, per protestare contro la repressione sovietica della Primavera di Praga, proprio qui, nel settembre del 1968, si rinchiuse per alcuni giorni in un grande cubo nero, costruito con tralicci in legno e stoffa e posizionato nella piazza. Rinchiuso nel cubo, l’artista continuò a dipingere e scrisse la terza parte del manifesto del movimento artistico del quale fu fondatore: il cosiddetto “Movimento Agrà” (a-gravitazionale), ispirato dalle prime missioni umane nello spazio. La località fu frequentata anche da altri importanti artisti e personaggi, tra i quali Michelangelo Antonioni, John Lennon, Peppino De Filippo, Totò e tantissimi altri. Nel 2001 a Baia fu girata gran parte del film “Ginostra”.
La festa di San Giuseppe a Cascano
Il 18 e il 19 marzo a Cascano, piccolo borgo in provincia di Caserta, si celebra la festa in onore del protettore S. Giuseppe. Il paese è in festa già dai primi giorni del mese, durante i quali si susseguono in onore del Santo nove celebrazioni religiose chiamate “Novene”. Nei giorni del novenario la Chiesa, situata al centro del paese, è gremita di gente: sembra quasi che gli affanni di una vita difficile in quei giorni vengano abbandonati in infinite preghiere. Il 18 marzo, sin dalla mattina, per le caratteristiche stradine del paese c’è molto fermento perché la maggior parte delle famiglie distribuisce gratuitamente a compaesani e fuoriusciti le “cuccetelle”, che sono piccoli pezzi di pane dalla forma circolare, le “menestelle”, ossia una minestra di fagioli e ceci, broccoli, salsiccia e soprattutto vino rosso in quantità. Gli abitanti contribuiscono alla preparazione dei numerosi ed enormi falò collocati nei caratteristici vicoli del paesino, che vengono poi accesi alla fine dell’ultima “novena” al suono delle campane della chiesa. Per le strade c’è aria di festa e allegria: davanti ad ogni falò, per tutta la notte, si riuniscono amici e parenti per cantare, ballare, mangiare e bere, mentre gruppi musicali girano per il paese rallegrando la gente in festa fino alle prime luci dell’alba. Tutte le case rimangono aperte fino a tarda notte per ospitare non solo cascanesi, ma anche forestieri affezionati a questa festa. La mattina del 19, dopo la solenne celebrazione religiosa, si snoda per le strade del paese una lunga processione: la statua di San Giuseppe è portata a spalla da un gruppo di devoti in camice bianco e seguita da tutta la popolazione, tra cui numerosissimi fedeli che camminano scalzi recando in braccio enormi candele devozionali. Dopo le 18.30 negli angoli del borgo riprendono vita i falò e si ha l’apice della festa. La tradizione ha origini antiche e pagane: il falò sarebbe il residuo di un rituale di purificazione e di consacrazione, finalizzato ad auspicare un buon raccolto.
La Settimana Santa a Sessa Aurunca
La Settimana Santa a Sessa Aurunca rievoca annualmente la passione e la morte di Gesù Cristo. Si apre ufficialmente con processioni penitenziali di Confraternite cittadine che, dalle rispettive chiese, si recano presso la Cattedrale per l’adorazione del Santissimo Sacramento. Le Confraternite sessane sono sei: San Biagio, SS. Rifugio, SS.Crocifisso e Monte dei Morti, SS.Concezione, San Carlo Borromeo, SS.Rosario, tutte distinte tra loro dai colori delle mantelline indossate dai confratelli.
Presentazione multimediale: “Settimana Santa”
Prodotti tipici e vere leccornie della terra aurunca
Gli aggettivi “pianeggiante” e “collinare” sono quelli che meglio rappresentano il territorio aurunco, che si sviluppa dai pendii del vulcano di Roccamonfina e del monte Massico e degrada in una pianura che ha per confini la costa tirrenica e le sponde del fiume Garigliano. Grazie alla sua morfologia la terra aurunca è fertilissima. In essa si sono sviluppate numerose aziende agricole gestite da grandi e piccoli agricoltori. Molti sono i frutteti, i vigneti, gli oliveti e le coltivazioni di ortaggi: cavolfiori, melanzane, peperoni, finocchi, rape e diverse varietà di insalata.
Con i loro colori e le loro sagome, vigneti e oliveti caratterizzano la campagna aurunca, ove i contadini ripetono i gesti tramandati di generazione in generazione. Anticamente, gli eccellenti prodotti del territorio aurunco erano destinati ad essere commercializzati in gran parte delle regioni italiane; oggi, invece, la situazione è cambiata: questi ottimi prodotti stentano a trovare sbocchi commerciali che la loro qualità meriterebbe. Le principali zone di produzione degli oli e dei vini sono: le colline del Massico, le pendici del vulcano di Roccamonfina e alcuni territori della pianura aurunca. Tra i vari vini che si producono quello più rinomato e conosciuto è il Falerno del Massico, il vino più apprezzato e più noto dell’antichità. Esso è stato inserito tra vini italiani DOP e IGP e continua a ricevere riconoscimenti in tutto il mondo; ha colore rosso rubino inteso e sapore decisamente fruttato. Apprezzato quanto il Falerno è anche l’olio extravergine di oliva (DOP) prodotto sulle colline aurunche.
I prodotti caseari più noti della terra aurunca sono: la scamorza, il caciocavallo, la ricotta, lo yogurt e, in particolar modo, la mozzarella, il caso ‘e marzo e il caso peruto. La mozzarella ha tipico colore bianco, crosta liscia e lucente, pasta fibrosa ed elastica impregnata di lievi sierosità biancastre; la materia prima di questo prodotto DOP è il latte di bufala intero fresco. Gli studiosi hanno fatto ipotesi diverse sull’epoca in cui essa fu inventata: alcuni ritengono che risalga al tempo della colonizzazione greca e all’introduzione dell’allevamento del bufalo nelle colonie; altri, invece, suppongono che siano stati i Saraceni a trasferire i bufali prima in Sicilia e, poi, in terra aurunca, nella paludosa piana del Garigliano. Il primo caseificio moderno, comunque, nacque nel secolo XVIII grazie ai Borbone, i quali diedero vita, nella fertile piana dei Mazzoni, alla Reale Industria della Pagliara delle bufale. Il termine “mozzarella” deriva dal verbo “mozzare”, perché, durante la lavorazione dall’iniziale grosso pezzo di cagliata filata il casaro “mozza” la tipica forma tondeggiante. Il caso ‘e marzo è prodotto con latte di pecora, di capra o misto, coagulato con gli enzimi presenti nei fiori del cardo, pianta selvatica alquanto diffusa in tutto il territorio aurunco, e aromatizzato con un’erba spontanea, la pimpinella. Può essere mangiato fresco, semi fresco o stagionato (la stagionatura è ottenuta tenendolo in vasi di terracotta chiusi e bagnandolo con olio di oliva ed aceto bianco). Il caso peruto, invece, non è che il caso ‘e marzo stagionato per diversi anni, fino a diventare ammuffito.
Oltre ai formaggi, è possibile gustare e acquistare nelle botteghe di Sessa ottimi prodotti suini: la salsiccia, il capocollo, la soppressata, la ventresca (pancetta salata ed aromatizzata, preparata sia arrotolata che distesa) e la nnoglia, un insaccato fatto con le parti meno nobili del suino - cotiche, carne di scarto e interiora - con l’aggiunta di peperoncino ed altre spezie. Caratterizzata da un gusto deciso e piccante, la nnoglia viene utilizzata sia per la preparazione di tradizionali piatti di verdure, sia come ingrediente di succulenti ragù. La particolarità della squisitissima nnoglia prodotta nella Terra aurunca è che essa viene preparata solo con cotiche, senza interiora, e con l’aggiunta di sale, peperoncino, semi di finocchietto e di coriandolo. Da citare anche i sanguanati, ossia “sanguinacci”, insaccati prodotti con sangue di maiale, riso, cacao, zucchero, piccoli pezzi di lardo, uvetta passa e pinoli. In alcune panetterie, poi, si possono acquistare pane squisito ancora lievitato con il lievito madre (in dialetto “crìscito”) e cotto in forni a legna e prelibati prodotti da forno, come le pizze a taglio (con gusti classici o più innovativi), i calzoni e il calascione. A differenza del calzone, che ha comunemente la forma di una mezzaluna e che può essere variamente imbottito, fritto o cotto nel forno, il calascione è più grande, ha forma rotonda ed è esclusivamente cotto nel forno; esso può essere farcito con scarola, broccoli, fiori di zucca, salsiccia, olive, capperi, pinoli, aglio, alici dissalate.
Le festività dell’anno liturgico sono accompagnate da cibi e usanze che si tramandano di generazione in generazione e che identificano nel migliore dei modi il territorio aurunco. Le prelibatezze da assaporare sono molte e tra le più note ricordiamo:
gli
struffoli,
i
roccocò,
i
mostaccioli,
i
susamielli,
i pupatielli, gli auciàti (piccoli taralli infornati, subito dopo aver impastato insieme farina, acqua, vino bianco, olio, pepe e semi di finocchietto), nel periodo natalizio; l’agnello, la frittata con gli asparagi, il baccalà e i pani decorati con uova prima della cottura e a forma di ruota come la pigna, il cucariello (sempre a forma di ruota ma più piccolo, dono per i bambini) e la pupatella (a forma di bambola, per le bambine), per la Pasqua, oltre alle pastiere, fatte sia con il grano che con il riso. Vengono poi preparate: per l’ultimo giorno dell’anno le crespèlle, particolari ciambelline fritte e poi zuccherate; per la festa di San Giuseppe le zeppole e la menestèlla (ceci e fagioli cotti separatamente in recipienti di terracotta messi accanto alle braci ardenti del camino e il giorno dopo mischiati e ben conditi con il locale olio di oliva); per il Carnevale la lasagna, le chiacchiere e le castagnole. Infine, per la festività della Madonna del Popolo, patrona della città di Sessa Aurunca insieme a San Leone, si preparano cioccolata calda, gnocchi, conditi con ragù di cotiche e costine di maiale, e suffritto , una pietanza preparata con frattaglie di maiale.
Ricette del territorio aurunco
INGREDIENTI 500 g di farina 00, 10 g di sale, 15 g di lievito di birra, 1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva, ½ cucchiaino di zucchero, acqua q.b. PREPARAZIONE In ½ bicchiere d’acqua tiepida sciogliere il lievito di birra con lo zucchero. Aggiungere il composto alla farina disposta a fontana su un piano di lavoro e lavorare l’impasto con la forchetta. Versare gradualmente un po’ d’acqua con il sale e l’olio. Lavorare l’impasto con le mani energicamente per almeno 15 minuti, mantenendo la spianatoia sempre infarinata per meglio lavorare l’impasto, che dovrà diventare sodo, elastico e omogeneo. Formare un panetto, disporlo in un contenitore infarinato, coprirlo con un panno umido e mettere a lievitare. Con la pasta lievitata firmare dei salsicciotti lunghi circa 15 cm e friggerli in olio caldo aromatizzato con alloro e rametti di rosmarino. Disporli su carta assorbente e condirli con il sale.
INGREDIENTI 400 g di farina 00, 50 g di olio extravergine di oliva, 1/2 lt di acqua, 5 g di sale, succo e buccia grattugiata di 2 mandarini (non trattati), una fialetta di essenza di vaniglia, un bicchiere di vino bianco, cannella in polvere PREPARAZIONE Mettere sul fuoco in una pentola acqua, vino bianco, olio, sale, vaniglia, cannella, succo e buccia dei mandarini e appena il composto arriva a ebollizione versare di getto la farina ben setacciata. Mescolare il composto sul fuoco con un mestolo di legno, fino a quando inizia a staccarsi dalle pareti della pentola. Versare l’impasto ottenuto su un piano leggermente unto e lavorare energicamente rendendolo liscio e omogeneo. Coprire e far riposare il panetto, per circa 3-4 ore. Tagliare il composto a pezzetti e arrotolare con le mani, sino a ottenere dei bastoncini di circa 15 cm di lunghezza da avvolgere su se stessi. Pungere ogni crespella con i rebbi di una forchetta e friggere in abbondante olio bollente. Quando le crispelle inizieranno a emergere, toglierle dal fuoco, riporle sulla carta assorbente e, infine, immergerle nello zucchero.
INGREDIENTI 1 litro di latte, 600 g di zucchero, 200 g di cacao amaro, 200 g di cioccolato fondente, 50 g di burro, 70 g di amido, 1 bustina di cannella, 1 bustina di vaniglia, canditi di cedro PREPARAZIONE Amalgamare lo zucchero con la cannella e il cacao. Dopo aver sciolto l’amido in un quarto di latte, versare i due composti ottenuti in un tegame. Aggiungere il burro, il cioccolato fondente a pezzi e i ¾ di latte rimanenti. Mescolare per circa mezz’ora. Lasciar raffreddare e aggiungere la bustina di vaniglia.
v
Pasqua in cucina
Il casatiello è una preparazione rustica del menù di Pasqua. INGREDIENTI 375 g di acqua, 650 g di farina 00, 10 g di lievito di birra fresco, 15 g di sale fino, pepe nero q.b., 25 g di strutto, 25 g di olio extravergine d’oliva PER IL RIPIENO 150 g di salame napoletano, 150 g di pecorino PER DECORARE 4 uova PREPARAZIONE Sciogliere il lievito di birra in acqua a temperatura ambiente. Unire l’olio e lo strutto. Iniziare a lavorare gli ingredienti e poco per volta aggiungere metà della dose di farina. Una volta che la farina sarà assorbita unire il sale. Unire la farina rimasta e continuare a lavorare. L’impasto dovrà avere una consistenza morbida, ma non eccessivamente. Una volta terminata la lavorazione sul piano di lavoro dare una forma sferica. Tagliare il salame e il pecorino a cubetti. Con un coltello eliminare la crosta dal pecorino e realizzare dei cubetti sempre piuttosto grossi come quelli del salame. Prelevare un pezzetto di impasto (circa 80 grammi), appiattirlo leggermente, aggiungere i cubetti di pecorino e salame sull’impasto e lavorarlo con le mani fino a quando tutti gli ingredienti saranno incorporati. Spolverizzare il tutto con abbondante pepe nero e impastare in modo da farlo assorbire. Maneggiare l’impasto per estenderlo a filoncino. Prendere uno stampo a ciambella con 24 cm di diametro e imburrarlo; posizionare il filoncino realizzato all’interno dello stampo unire e sigillare le due estremità. Disporre verticalmente le uova crude in 4 punti ben distanziati, poi riprendere l’impasto messo da parte e formare 8 filoncini da posizionare a croce sulle uova per ingabbiarle. Ricoprire il casatiello con un canovaccio pulito e lasciare lievitare. Una volta che il volume sarà quasi raddoppiato cuocere il casatiello napoletano in forno statico preriscaldato a 170° per 75 minuti, nel ripiano più basso del forno.
La pastiera è il dolce pasquale per eccellenza del territorio aurunco. È una torta di pasta farcita con un impasto a base di ricotta, frutta candita, zucchero, uova e grano o riso bollito nel latte; la pasta è croccante mentre il ripieno è morbido. Nella ricetta classica gli aromi utilizzati sono cannella, canditi, scorze d’arancia, vaniglia e acqua di fiori d’arancio. Le massaie aurunche la preparano di solito il giovedì santo o il venerdì santo.
PASTIERA DI GRANO INGREDIENTI PER LA PASTA: 315 g di farina 00, 180 g di strutto freddo, 135 g di zucchero, 3 tuorli d’uovo PER LA COTTURA DEL GRANO: 250 g di latte intero, 350 g di grano cotto, 30 g di strutto, la buccia di 1 limone PER LA CREMA: ricotta vaccina, 350 g di zucchero, 3 uova, 50 g di cedro candito, 50 g di arancia candita, 15 g di acqua di fiori d’arancio, un pizzico di cannella in polvere, 1 baccello di vaniglia PER UNGERE E INFARINARE LO STAMPO: strutto q.b., farina 00 q.b. PREPARAZIONE: In una ciotola versare la farina e lo zucchero, poi unire lo strutto e iniziare ad impastare a mano. Non appena si sarà ottenuto un composto sabbioso unire anche i tuorli. Lavorare nuovamente con le mani. Continuare a lavorare l’impasto su un piano da lavoro, fino a ottenere un panetto liscio e uniforme. Avvolgere l’impasto nella pellicola per alimenti e lasciare riposare per un’ora in frigorifero. Versare il latte in una pentola, aggiungere il grano precotto, lo strutto e la buccia del limone grattugiata. Far cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio fino ad ottenere un composto cremoso; lasciare raffreddare. Preparare la crema. In una ciotola setacciare la ricotta, unire lo zucchero e mescolare con una frusta o con una spatola. Aggiungere poi le uova, il grano ormai freddo, i semi del baccello di vaniglia; l’arancia e il cedro candito insieme ad un pizzico di cannella e all’acqua di fiori d’arancio. Mescolare per amalgamare tutti gli ingredienti. Ungere con lo strutto e infarinare uno stampo in alluminio da pastiera di 20 cm alla base e 26 cm in superficie. Stendere la pasta con il matterello fino ad ottenere uno spessore di circa mezzo cm; rivestire lo stampo. Eliminare poi l’eccesso di pasta con un coltellino e impastarlo nuovamente (servirà per realizzare le strisce). Versare poi la crema nello stampo. Tagliare le strisce larghe circa 1 cm e mezzo con una rotella tagliapasta e posizionarle, a metà cottura, sulla pastiera prima in un verso e poi nell’altro. Cuocere in forno statico preriscaldato a 180° per circa 80 minuti.
PASTIERA DI RISO INGREDIENTI PER LA PASTA: 300 g di farina, buccia di 1 limone, 150 g di burro, 150 g di zucchero, 1 tuorlo + 1 uovo intero PER LA CREMA: 50 g di riso, 1l di latte, 10 tuorli, 400 g di zucchero, rum, cannella q.b., 350 g di ricotta PREPARAZIONE: Setacciare la farina in una grande ciotola. Al centro mettere il burro freddo di frigo tagliato a dadini, le uova, lo zucchero e la buccia grattugiata del limone. Impastare gli ingredienti molto velocemente. Formare un panetto e lasciarlo riposare in frigo per circa mezz’ora, coperto con un canovaccio oppure avvolto nella pellicola trasparente. Mettere il latte in una pentola, aggiungere il riso e cuocere a fuoco lento; a metà cottura aggiungere lo zucchero. Togliere dal fuoco e far raffreddare. Aggiungere uova sbattute con ricotta setacciata, cannella, rum, vaniglia. Stendere la frolla e foderare uno stampo imburrato. Versare il ripieno e infornare in forno già caldo a 180 gradi. A metà cottura porre sul ripieno strisce di pasta frolla incrociate. Rimettere in forno per 40 minuti.
La frittata di 101 uova è una tradizione pasquale di Casale di Carinola e di tutto il carinolese. La base è costituita da uova, che possono essere più o meno sbattute. All’impasto ancora crudo vengono aggiunti altri ingredienti, come ad esempio formaggio di pecora, salsiccia secca, asparagi selvatici, pepe. L’impasto viene lentamente cotto nella “sartania”, una padella di rame con il manico molto lungo che le donne del paese, ancora, portano in dote.
La tradizione vuole che durante i Venerdì di Quaresima e, soprattutto, la sera del Venerdì Santo, in ogni casa, in ogni locanda e ristorante, a Sessa Aurunca si serva il baccalà, che si può cucinare in ogni modo: fritto, in bianco e in umido.
Liquori agli agrumi
ARANCELLO O LIMONCELLO INGREDIENTI 1l di alcol puro, 1l di acqua, 10 arance non trattate o 10 limoni grandi non trattati, 800 g di zucchero. PREPARAZIONE Tagliare la buccia delle arance o dei limoni, facendo attenzione a evitare la parte bianca interna. Mettere tutte le bucce in un barattolo di vetro e versare sopra l’alcol puro ad uso alimentare. Chiudere il recipiente e metterlo in un luogo fresco per 5 giorni. Trascorso il tempo di riposo, mettere l’acqua insieme allo zucchero in una pentola e far scaldare girando con un cucchiaio fino a che si sarà sciolto completamente. Far raffreddare l’acqua zuccherata, mettere nel barattolo e girare. Far riposare per 1 ora. Filtrare il liquido con un colino e versare in bottiglie di vetro.
MANDARINETTO INGREDIENTI 1l di acqua, 800 g di zucchero, 12 mandarini non trattati, 1l di alcol puro per uso alimentare PREPARAZIONE Lavare bene i mandarini sotto l’acqua fresca corrente e asciugarli con cura utilizzando un canovaccio pulito. Sbucciare i frutti e, dopo aver eliminato la parte bianca, aggiungere la buccia all’alcol puro. Lasciar macerare il tutto per 3 giorni a temperatura ambiente, coprendo accuratamente con la pellicola o con un coperchio. Trascorso il tempo indicato, prendere lo zucchero, metterlo in una casseruola con l’acqua e farlo sciogliere a fuoco dolce, finché non si sarà formato uno sciroppo che non sia troppo denso. Spegnere il fuoco e lasciar raffreddare. Prendere il macerato di buccia e alcol e aggiungerlo allo sciroppo di zucchero; mescolare bene, filtrare il composto per eliminare le scorze, quindi imbottigliare. Riporre il tutto in un luogo fresco e asciutto e consumare dopo almeno un mese. Il liquore al mandarino va servito freddo.
Presentazione multimediale: “Ricette del territorio”
Laboratorio di scrittura creativa
Dialogo immaginario Personaggi Daniel: ragazzo che esegue l’intervista Giuseppe Patrone: patriota sessano Un giorno, un ragazzo di nome Daniel, mentre sfogliava un giornale, si soffermò su un articolo sul giorno della “Liberazione” e sul patriota Giuseppe Patrone e decise di incontrarlo. Questa è l’intervista che Daniel ci ha lasciato:
Daniel: Caro signor Patrone ho letto su un articolo di giornale il suo nome e la sua incredibile storia ha suscitato la mia curiosità. Vorrei sapere di più su quanto le è accaduto.
Giuseppe Patrone: Innanzitutto è un grande onore per me sapere che qualcuno sia interessato alla mia storia e sarò molto contento di raccontartela. Cosa vuoi che ti dica?
Daniel: Mi parli un po’ di lei…
Giuseppe Patrone: Partiamo dal principio. Sono nato a Sessa Aurunca il 19 aprile del 1910. Ho studiato in collegio, dall’età di 5 anni fino a 18. Ho avuto la fortuna di incontrare una donna splendida e, all’età di 30 anni, l’ho sposata e ho avuto uno splendido figlio da lei. Purtroppo la vita mi ha riservato un finale inaspettato. Nel 1943 sono stato mandato a Parma per combattere durante la Seconda Guerra Mondiale ed è lì che ho trascorso gli ultimi anni della mia vita.
Daniel: Continui … La sua storia è molto affascinante. Cosa le è successo?
Giuseppe Patrone: Eravamo in servizio alle Carceri giudiziarie “San Francesco” di Parma; io e gli agenti Capuano e Marchesano operavamo nelle file della Resistenza parmense. Durante la lotta di Liberazione ci prodigavamo nell’aiutare i detenuti politici sottoposti a trattamenti disumani. Fummo scoperti da una spia nazi-fascista infiltrata tra i detenuti e, di conseguenza, fummo arrestati e sottoposti a feroci sevizie. Il 19 agosto 1944, a sei giorni dall’arresto, all’alba fummo portati nel cortile del carcere e fucilati da un plotone di esecuzione composto dai nostri stessi colleghi, costretti dalle autorità della Repubblica Sociale Italiana. Un secondo plotone, denominato “Battaglione della Morte”, venne posizionato alle nostre spalle, pronto ad aprire il fuoco su di noi se non avessimo eseguito l’ordine. Gli ausiliari, infatti, si rifiutarono di sparare, tanto che intervenne il responsabile del servizio d’ordine all’interno del carcere per obbligarli a compiere l’odioso gesto. I momenti dell’esecuzione furono terribili: le mie ultime parole, rivolte ai miei colleghi costretti ad assistere all’esecuzione, furono: “Coraggio, dite a mio figlio che muoio per un’idea”. Daniel: Mi fa rattristare molto la sua storia. Mi creda, mi fa venire i brividi. Quello che lei insieme ai suoi colleghi ha fatto è stato straordinario: aiutare altri rifugiati per poi morire. Credo che lei debba essere ripagato almeno con qualche piccolo gesto. Se lo merita davvero; lei è un grande uomo!
Giuseppe Patrone: Sì, il 10 0ttobre del 2008 io, Capuano e Marchesano siamo stati insigniti della “Medaglia D’Oro Al Merito Civile”.
Daniel: Lei e gli altri uomini ve la siete meritata. Grazie di cuore per avermi raccontato questa pazzesca, meravigliosa e anche triste storia. È stato un piacere. Merita di essere ricordato come si deve.
Giuseppe Patrone: Grazie a te Daniel. Sono contento che la mia storia ti sia piaciuta. Molte grazie per le bellissime parole che mi hai detto. Arrivederci.
DOCENTI Prof.ssa Marina Gallucci (esperto) Prof.ssa Gemma Immacolata Perrotta (esperto) Prof.ssa Maria De Angelis (tutor) ALUNNI Razzino Mariaassunta I B Liceo Scientifico “E. Majorana” Ceci Maria Anna II B Liceo Scientifico “E. Majorana” Freda Minerva II B Liceo Scientifico “E. Majorana” Marotta Chiara II B Liceo Scientifico “E. Majorana” Palmese Alessandra II B Liceo Scientifico “E. Majorana” Perfetta Valeria II B Liceo Scientifico “E. Majorana” Sarao Alessia II B Liceo Scientifico “E. Majorana” Zano Martina II B Liceo Scientifico “E. Majorana” De Fusco Guido II C Liceo Scientifico “E. Majorana” Di Bello Maria II C Liceo Scientifico “E. Majorana” Di Donato Francesca Morgana II C Liceo Scientifico “E. Majorana” D'itri Martina II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Di Benedetto Giuseppe Pio II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Ficociello Luigi II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Izzo Giuseppe II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Mazzucco Alice Grazia II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Passaretti Alessia II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Pauroso Silvia II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Ricciardi Leonardo II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Sullo Fabio II D Liceo Scientifico “E. Majorana” Impaginatori grafici: Guido De Fusco II C Liceo Scientifico “E. Majorana” Fabio Sullo II D Liceo Scientifico “E. Majorana”