GENOVA DI CIOCCOLATO, 3 SECOLI IN PASTICCERIA Umberto Curti, Ligucibario®
Alla fine del „700, ormai trionfatrice presso le corti europee, presso i ceti alti e via via la borghesia, la cioccolata “mutò” in cioccolato, ovvero la bevanda da sorbire cedette progressivamente il passo al consumo dell‟alimento solido. Gli enormi impieghi indussero ad incentivare le coltivazioni in Africa (Costa d‟Avorio!) e in Paesi quali il Brasile, la Martinica, le Filippine. Nel secolo XIX infine, cominciarono le grandi sinergie fra la città di Torino (e specialmente la Caffarel, avviata da Pierre Paul Caffarel a Luserna San Giovanni nel 1826), la Svizzera e l‟Olanda… Non a caso Svizzera e Olanda sono oggi i principali Paesi produttori. A Milano, Domenico Barbaja – cameriere, poi impresario teatrale - fece bingo mescolando il cacao proprio al caffè. Va rilevato inoltre che, trascorsi alcuni decenni dell‟800, s‟affermò compiutamente la figura specifica e assai richiesta del confiseurchocolatier, vale a dire un professionista che assommava in sé una duplice perizia, da un lato, benché si tratti di lavorazioni diverse, quella di confettare, candire, caramellare (la ditta Romanengo, avviata a Genova nel 1780, fu la prima a candire, oltre alle frutta, anche i fiori, giungendo a violette (1) d‟inarrivabile eleganza), e dall‟altro quella di lavorare cacao e produrre cioccolato. http://www.ligucibario.com
La canditura proveniva, “attraverso” l‟epoca delle Crociate, dal mondo arabo (lo storico genovese Luigi Tommaso Belgrano accenna ad un pranzo istituzionale del 1548 in cui già si servirono “zuccate, pignolate, cotognate, pasta di persiche, confetti e susine in zucchero”). Intorno al 1859, nella sola città di Genova il comparto della canditura occupava più di 200 operai. Romanengo custodisce tuttora, nel laboratorio vicino alla stazione ferroviaria di Genova Brignole, alcuni macchinari antichi, fra cui un mélangeur di granito dove la massa di cioccolato sbatteva ininterrottamente tre giorni e tre notti per macinare finemente (2). Ci riferiamo ad un tema la cui indagine storica a Genova non è agevole, perché Romanengo – in origine un importatore voltaggino di generi coloniali - rappresenta anche l‟unico caso di azienda del settore che abbia conservato un archivio (oggi l‟azienda è alla settima generazione). Certo, chi poteva permetterselo consumava cioccolata sia al risveglio e sia soprattutto durante i salotti a tarda sera, insieme a sorbetti di frutta, servendosi di preziose “chicchere” – tazze di media grandezza . in ceramica e di argenti prodotti da fini artigiani locali. Ma la cioccolata, poi cioccolato, era ghiottamente e abbondantemente prediletta anche da quanti non riuscivano a rincasare per il pranzo e dunque dovevano “appoggiarsi” a botteghe e ristori (il prezzo doveva essere abbordabile, a riprova che tali soste erano talora speziali, droghieri…). Dal poco che sappiamo, la materia prima giungeva ai produttori (cioccolatieri, confettieri, offellari) dai Paesi Bassi e da Marsiglia, ma
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poi il porto di Genova era più che centrale per “distribuire” il cacao anche nel resto d‟Italia… Giusto per citare qualche nome, le “sacripantine“ (nome ariostesco brevettato negli anni ‟30 del Novecento) sono merendine, rivestite di fondente e fasciate in lucente carta azzurro-oro, che rievocano la sontuosa torta – una cupola di crema e pan di spagna - creata da Giovanni
Preti nel
Genova, nel 1875,
e
negozio che
di
qualche
piazza
Portello,
pasticceria
del
cuore
di
capoluogo,
occasionalmente, ancora prepara, rivaleggiando con la torta “Zena” di Klainguti (si veda oltre) e con creazioni che mixino zabaglione, crema pasticcera, panna montata…; nel 1876 aprì il caffè-pasticceria Mangini in piazza Corvetto; nel 1886 Viganotti in vico dei Castagna; nel 1890 Tagliafico (Giacomo, il bisnonno degli attuali conduttori, aveva avviato una pasticceria a Buenos Ayres ma la futura sposa, genovese, temeva i viaggi per mare e i naufragi, all‟epoca assai più frequenti di oggi, così Giacomo cedette la propria quota di negozio, ritornò in patria e avviò una pasticceria in piazza del Cavalletto). Anche
la
famiglia
Crocco,
da
Ovada
(AL),
si
trasferisce
lavorativamente a Genova a fine „800, donde l‟attuale discendenza col “voluminoso” e sorridente Francesco, detto Poldo. Infine, nel 1910, proprio in quel palazzo dove aveva soggiornato anche l‟irrequieto poeta inglese George Gordon Byron, Vital Gaspero, grigionese, aprì una pasticceria “svizzera” (l‟aggettivo ci sembra paradigmatico…) che è tuttora in attività – la gestione è divenuta italiana - (3). Il fervore imprenditoriale coincise con alcune grandi trasformazioni urbanistiche, che non di rado fecero – nel bene e nel male – tabula rasa della Genova medievale, ad esempio chi oggi percorre la zona di http://www.ligucibario.com
via Porta d‟Archi non può davvero immaginare com‟essa fosse prima delle ristrutturazioni recenziori. Fervore
imprenditoriale:
si
trattò,
nel
complesso,
sempre
di
microimprese a carattere artigianale, per così dire semplicissimi laboratori con annessa vetrina per la vendita. Gli svizzeri, va precisato, avevano costituito a Genova sin dal „700 una nutrita colonia, dedicandosi al commercio ambulante e al servizio domestico, e per il 1814 ricaviamo da registri consolari la presenza in città di 124 cittadini elvetici. Alcuni, via via, si arricchirono. Praticavano il culto riformato, e successivamente promossero anche la creazione di una Scuola protestante. Negli anni ‟30 dell‟Ottocento, ad esempio, già operavano i quattro fratelli Klainguti, da poco giunti da Pontresina, nell‟Engadina, “catturati” da una città che apparve loro, nel complesso, animata e promettente, tanto che scelsero in piazza Soziglia 98 quella sede che col tempo divenne un cult, offrendo ai buongustai e agli intellettuali un‟assai ampia gamma di creazioni. L‟ascesa socioeconomica degli svizzeri frenò nella seconda metà di quel secolo, il canto del cigno fu forse proprio quello di Vital Gaspero, di cui s‟è detto. Questi pasticceri e cioccolatieri non di rado moderarono il proprio estro, poiché i genovesi si confermavano clientela sobria e morigerata, incline più che altro a biscotti, pan dolce, sfogliatelli e poco altro. Il compositore Giuseppe Verdi, che – alle prese col Falstaff - encomiò con un biglietto “pubblico” tuttora leggibile nel negozio i croissant di Klainguti, e che fu cliente fedele anche di Romanengo, rappresenta dunque un‟eccezione…forestiera. Quanto ai confettieri, Genova purtroppo scontò progressivamente la concorrenza di Parigi e Torino, benché a metà Ottocento l‟export di http://www.ligucibario.com
ottimi canditi, confetti e torroni si confermasse elevato, e costituisse voce primaria nell‟economia cittadina. I canditi di Romanengo, fra l‟altro, vinsero la medaglia d‟argento all‟Expo “sabauda” conseguente all‟apertura della ferrovia Genova-Torino (1853-54), la qualità della lavorazione li rendeva idonei anche a lunghi viaggi, le virtù delle frutta – protette dallo zucchero – giungevano intatte a destinazione. Nella classifica delle regioni con il maggior numero di cioccolaterie, da recenti studi, la Liguria è oggi al tredicesimo posto con 13 produttori artigianali di cacao e cioccolato. Genova è però nona nella top ten con dieci laboratori del cioccolato (la patria del gianduiotto, Torino, è al primo posto con 33), e ciò allieta dato che la prima macchina del cioccolato è stata inventata proprio da un genovese alla fine dell‟Ottocento. Il cioccolato – ormai tavolette e tanto altro - tuttavia non investì, coi suoi profumi e le occasioni di business, solo il capoluogo, esiste ancora oggi un goloso filo rosso che unisce tutte le province della Liguria, basti menzionare – da levante a ponente, e mi perdonino gli omessi – la pasticceria Gemmi a Sarzana, celebre anche per le spongate “lunigiane” e i buccellati, il caffè Defilla a Chiavari, salotto liberty in pieno centro storico, il caffè-pasticceria Ferro a Finale Ligure, terra dove abbondano i chifferi, la pasticceria Balzola ad Alassio, creatrice degli arcinoti baci al cacao (brevetto del 1913)… Un filo rosso che consente dunque un viaggio salubre e antidepressivo dentro i piaceri dell‟olfatto e del gusto, grazie agli psicoattivi contenuti nel cioccolato, e quella teobromina che deriva il proprio nome proprio da Theobroma Cacao, “alimento ultraterreno”, certo già il botanico svedese Linneo intuì che dentro quelle cabosse si celavano semi in http://www.ligucibario.com
grado di donare una sorta di energizzante felicità, ma con un rapporto costi/benefici rivelatosi migliore rispetto alla caffeina. Tutti i corsi Iscot Liguria di cioccolateria, non a caso, comprendono un‟approfondita analisi della geografia/storia e delle caratteristiche dei diversi cacao, e specifici momenti degustativi in abbinamento a vini, liquori…
Note (1) le violette preferite sono tuttora quelle di Villanova d‟Albenga (SV). Per altre notizie, E. Casati, G. Ortona, Dolce Liguria, ed. De Ferrari, Genova, 1998, pp. 94101 (2) ho di recente avuto la possibilità di visitarli. Torna alla mente il poeta francese Paul Valéry, le cui narici nel 1910 a Genova colsero anche profumi di “cacao delizioso finemente tostato, dall‟amarume esaltante” (3) per alcune di queste notizie locali, molto debbo agli studi e alla gentilezza della prof.ssa Tonizzi dell‟Università di Genova, cfr. M. E. Tonizzi, Cioccolatai a Genova: passato e presente, in F. Chiapparino, R. Romano (a cura di), Il cioccolato. Industria, mercato e società in Italia e Svizzera (XVIII-XX sec.), ed. Franco Angeli, Milano, 2007, pp. 23-37. A differenza di Romanengo, circa la Pasticceria Svizzera “non si è purtroppo conservata alcuna traccia documentaria del suo passato”. Quanto a Klainguti, da circa un cinquantennio la proprietà non è più della famiglia originaria
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