Atti e lezioni del ciclo seminariale
#AltraMatematica a cura di: Pierandrea Vergallo
con la collaborazione di: Stefano Pascali Dott. Raffaele Grande
“Il vero scienziato, il buon docente, il buon divulgatore scientifico ... sanno trarre ammaestramento dal ricordo degli errori commessi e dei tentativi falliti, sanno apprezzare le parole di Shakespeare: “Vi sono pi` u cose in cielo e in terra di quante ne sogna la tua filosofia” Queste parole non sono un invito a ‘sognare meno’ ma piuttosto a ‘sognare pi` u’, se vogliamo arrivare ad una comprensione pi` u ampia, anche se sempre molto parziale, della realt` a che ci circonda ed insieme un invito a diffidare degli scienziati che, avendo ottenuti alcuni brillanti successi, s’illudono di aver trovato la teoria ultima in cui dovrebbe essere possibile inquadrare ogni ulteriore ricerca.” Ennio De Giorgi
Indice Prefazione
1
Introduzione
3
Atti degli incontri
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I
Geometrie non euclidee
11
II Geometria della Sfera
26
III Fuzzy Set
41
IV Introduzione alla logica
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V
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Costruzione dei numeri reali
VI Analisi non Standard
100
I partecipanti
131
Riflessioni
133
Bibliografia
135
Prefazione ` impossibile che agli studenti di Matematica – a tutti gli E studenti, anche ai pi` u bravi e motivati – si possa esporre ogni aspetto della disciplina che studiano; oltrech´e impossibile, ci`o `e anche indesiderabile, perch´e uno studente deve essere in grado, a partire da un certo momento della sua formazione, di elaborare la propria visione della Matematica, di crearsi un proprio approccio alla materia, di seguire i propri interessi, di essere in grado di costruire per proprio conto la Matematica unendosi cos`ı alla numerosa schiera di studiosi insigni, di valenti artigiani della materia o, pi` u modestamente, di interessati “dilettanti” (anche un grande come Fermat era un dilettante, in un certo senso) che nel corso della sua lunghissima (gloriosa e affascinante) storia hanno fatto progredire la nostra conoscenza. Tranne il caso di pochissimi grandi matematici, in questo modo tutti, studenti e studiosi, giungono presto a rendersi conto della propria sostanziale “ignoranza”, non solo di vaste aree della disciplina, ma anche di quelle parti di essa che hanno costituito l’oggetto dei propri studi pi` u approfonditi. Prendere atto di quella che ho chiamato ignoranza costituisce solitamente lo stimolo per approfondimenti e per l’esplorazione di campi nuovi, o solamente poco noti o, addirittura, sconosciuti. Per queste ragioni trovo lodevole che gli studenti di matematica della nostra Universit` a abbiano preso l’iniziativa di istituire una serie di seminari che illustrino argomenti che rimangono, o completamente fuori o ai margini delle mate1
rie d’insegnamento universitario. Questa iniziativa, che, mi piace ribadirlo, origina dai nostri giovani, rallegra un vecchio matematico come me; mi auguro non solo che questa prosegua anche negli anni a venire ma anche che essa divenga un appuntamento fisso e si trasformi in un momento importante della formazione dei nostri studenti, e che questi cos`Ĺ la considerino. Mi sia consentita inoltre la riflessione che l’interesse e, me lo si lasci dire, l’entusiasmo che hanno animato tanto gli studenti che hanno organizzato i cicli di seminari quanto quelli che numerosi li hanno seguiti, lasciano sperare in un futuro migliore di quello che il momento storico nel quale viviamo potrebbe lasciar intendere. Il lettore trover` a nella pagine che seguono la linea dei seminari svolti nel corso del presente anno accademico: che questi servano da ampliamento degli orizzonti culturali e da stimolo allo studio di aspetti della nostra disciplina. Carlo Sempi
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Introduzione Il progetto #Altramatematica ha rappresentato per i corsisti e per i tanti curiosi che vi hanno preso parte una sorta di finestra verso aspetti formali e non che comunemente non sono trattati nel nostro come in tanti altri Corsi di Laurea in Matematica. In questa piccola fucina di idee, giovani e meno, si `e potuto notare in piena positivit` a il fermento che ancora esiste tra le menti di chi continua ad essere interessato alla ricerca e alla “diversificazione del sapere”. Mi sento in pieno dovere di sottolineare la presenza di studenti e appassionati non solo di Matematica pura, ma anche di Fisica e persino di Filosofia, e sono pertanto fortemente compiaciuto dell’interesse che ` #Altramatematica ha destato per i non addetti ai lavori. E stato colto appieno il desiderio di noi organizzatori di creare una rete di discussioni e contestazioni ai metodi, alle idee, alle formalit`a, tipiche di un contesto fertile e di spiriti critici. Si `e messo un accento importante sul carattere della ricerca, della scoperta e l’importanza dell’avanzamento scientifico, si `e sottolineata l’efficacia della collaborazione e dell’autonomia di pensiero, tanto quanto la corrispondenza con l’invettiva e l’intuito. La visione della Matematica come “terra di mezzo” tra scienza, filosofia e linguaggio ha permesso all’antica idea di una Matematica pura di sopravvivere e alla moderna concezione di una matematica applicata di autoalimentarsi sulla base di teorie sempre pi` u lontane dal concreto e sempre pi` u vicine all’utile. 3
` doveroso, inoltre, ringraziare i docenti Prof. GiusepE pe Micelli, Prof. Giuseppe De Cecco, Prof. Eduardo Pascali, Prof. Antonio Di Nola, Prof. Ruggero Ferro. Un ringraziamento `e anche dovuto al Prof Carlo Sempi per la sua preziosa prefazione. Infine un ringraziamento particolare alla Prof. Elisabetta M. Mangino della nostra Universit`a, sempre disponibile. Pierandrea Vergallo
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Il seminario Il progetto Il progetto #Altramatematica, per come pensato si suddivide in pi` u fasi correlate tra loro ed essenziali per il raggiun` inizialmente gimento di tutti gli obiettivi che si propone. E prevista una stima del numero di partecipanti tramite firme, a seguito della pubblicazione in cartaceo o tramite mezzi di comunicazione comunemente in uso (come social network, cellulari e posta elettronica..) di un breve sunto degli incontri, degli obiettivi e delle modalit` a di svolgimento del progetto. ` prevista, per`o, la possibilit` E a di iscriversi al progetto o frequentare i vari corsi anche successivamente, ricordando che per l’ottenimento dei dovuti crediti formativi il computo della percentuale di presenze verr` a in ogni modo effettuato sulla base della totalit`a degli incontri, a prescindere dalla data di iscrizione del singolo corsista. Successivamente, grazie alla creazione di un piccolo comitato interno ai partecipanti e agli organizzatori, sar`a necessario informare i singoli riguardo gli argomenti che verranno trattati grazie a materiale cartaceo o multimediale fornito direttamente dal docente per una breve introduzione alle lezioni oppure per permettere una fruizione del corso pi` u lineare. Parte fondamentale, per` o, dell’intero progetto sono le lezioni frontali che saranno tenute dai docenti appositamente scelti dagli organizzatori per i loro curriculum e gli ambiti di ricerca. Tali lezioni si terranno, per un ammontare di circa 40 5
ore (che possono oscillare a seconda delle necessit`a dei docenti o dei partecipanti), preferibilmente all’interno dello stabile “Ex Collegio Fiorini” del complesso Ecotekne ove risiede il Dipartimento di Matematica e Fisica che rappresenta il pi` u ampio bacino d’utenza. Di seguito elenchiamo i vari incontri: • 3 incontri della durata di 3 ore ciascuno con il docente Prof. Antonio Di Nola, proveniente dall’Universit`a degli Studi di Salerno. Tali incontri verteranno genericamente su Logica e Teorie Logiche, suddivise nei seguenti titoli: “Logica proposizionale”, “Logica dei Predicati”, “Teorie logiche e matematiche”; • 1 incontro della durata di 3 ore con il docente Prof. Giuseppe Micelli, dell’Universit` a del Salento . Durante tale incontro il docente tratter` a “Storia della nascita e dello sviluppo delle Geometrie non Euclidee”; • 1 incontro della durata di 3 ore con il docente Prof. Giuseppe De Cecco, ex docente presso l’Universit`a del Salento. L’ambito di trattazione di questi sar`a “Geometria non Euclidea, l’esempio della sfera”; • 3 incontri della durata di 3 ore ciascuno con il docente Prof. Ruggero Ferro, proveniente dall’Universit`a degli Studi di Verona. Tali incontri verteranno sull’Analisi non standard e verranno suddivisi in “Costruzione dei numeri iperreali e propriet` a” e “Analisi matematica non standard”; 6
• 3 incontri della durata di 3 ore ciascuno con il Prof. Eduardo Pascali dell’Universit` a del Salento. Tali incontri tratteranno la questione della Logica Fuzzy e dell’Analisi Fuzzy; • 1 incontro della durata di 3 ore con il docente Prof. Elisabetta Mangino dell’Universit` a del Salento, riguardante la Costruzione dei Numeri Reali. ` prevista, inoltre, la partecipazione di alcuni docenti interni E al nostro Ateneo che possano affiancare le lezioni dei docenti, presentare gli incontri e introdurre (anche con brevi lezioni) gli argomenti di cui sopra. Gli organizzatori, inoltre, intendono effettuare un breve incontro di introduzione al progetto poco prima dell’inizio dello stesso ed uno di chiusura alla fine per raccogliere i risultati ottenuti e valutarne il raggiungimento degli obiettivi prefissati. In occasione di quest’ultimo verranno selezionati i partecipanti pi` u adatti con l’aiuto di docenti ed organizzatori al fine di raccogliere, rielaborare, e mettere ordine agli appunti presi dai singoli corsisti al fine di assemblare il tutto in seguito. Ricordiamo, infatti, che tra gli obiettivi del progetto vi `e quello di produrre un breve volume dal titolo “Altre matematiche – Raccolta degli incontri” che possa rappresentare una guida introduttiva agli argomenti trattati per i futuri studenti e per i non partecipanti. [Tratto direttamente dalla presentazione ufficiale del Progetto nel bando indetto dal C.d.S. dell’Universit`a degli Studi del Salento] 7
Gli incontri Gli incontri sono stati svolti nelle giornate indicate di seguito, con una durata di tre ore ciascuno. Sono stati trattati gli argomenti riportati nelle pagine successive, nello stesso ordine in cui sono presentati in questo volume. • APERTURA DEI LAVORI. • I INCONTRO. 11 Marzo 2015 – Aula Anni Introduzione alla Geometria non Euclidea. • II INCONTRO. 12 Marzo 2015 – Aula Anni Introduzione alla Geometria sulla sfera. • III INCONTRO. 19 Marzo 2015 – Aula Anni Elementi di Teoria degli Insiemi Fuzzy. • IV INCONTRO. 26 Marzo 2015 – Aula M3 Elementi di Analisi Fuzzy. • V INCONTRO. 09 Aprile 2015 – Aula Anni Alcuni risultati sull’Analisi Fuzzy e proposte di lavoro. • VI INCONTRO. 20 Aprile 2015 – Aula Anni Logica Proposizionale. • VII INCONTRO. 21 Aprile 2015 – Aula Anni Logica dei Predicati. • VIII INCONTRO. 22 Aprile 2015 – Aula Anni Introduzione alle Teorie logiche. • IX INCONTRO. 07 Maggio 2015 – Aula Anni Costruzione dei numeri Reali. 8
• X INCONTRO. 11 Maggio 2015 – Aula Benvenuti Costruzione dei numeri Iperreali. • XI INCONTRO. 12 Maggio 2015 – Aula Benvenuti Teoria della derivazione nell’Analisi non Standard. • XII INCONTRO. 13 Maggio 2015 – Aula Benvenuti Alcuni risultati analitici dimostrati in Analisi non Standard. • CHIUSURA DEI LAVORI. 20 Maggio 2015 – Aula Anni Cerimonia di consegna degli attestati di partecipazione.
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Le lezioni
Le lezioni di seguito sono un’elaborazione dei curatori del manuale sulla base dei corsi tenuti dai docenti durante il ciclo seminariale
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I Geometrie non euclidee 11 Marzo 2015
Prof. Giuseppe Micelli
Parlando di geometria, nell’immaginario collettivo, trattiamo un insieme di regole ben definite, provate e universali che ci sono note fin dalla prima infanzia. Per questa geometria l’idea di triangolo, di cerchio, di punto rappresentano delle immagini universali e ben precise. La teoria che raccoglie tali risultati `e chiamata Geometria Euclidea, dal nome del matematico greco Euclide, vissuto ad Alessandria D’Egitto intorno al 300 a.C.. Egli pubblic` o “Gli Elementi”, in questo primo manuale di geometria della storia dell’umanit` a egli effettu`o una duplice operazione: da un lato raccolse proposizioni, teoremi, concetti gi`a noti formalizzandoli e dall’altro aggiunse egli stesso nuovi risultati. Obiettivo primario era quello di ricercare e delineare i fondamenti della Teoria, precisando: 1. Gli oggetti e gli enti, per mezzo delle definizioni; 11
2. Le regole a cui i primi devono sottostare, indicandone i postulati (dal latino postulo, chiedere); 3. Le propriet` a che logicamente ne conseguono, cio`e teoremi. Il metodo assiomatico. Egli sviluppa un metodo definito assiomatico, rappresentando un esempio di rigore nello studio della scienza in generale. Esso consiste nel fissare un insieme di postulati (o assiomi) e considerare le logiche conseguenze di questi. Pertanto una geometria generata da P `e l’insieme di tutti i teoremi T che sono dimostrati a partire dai postulati scelti. G(P) = {T | T teoremi dimostrati} Osserviamo direttamente che cambiando i postulati viene modificata la geometria. Secondo alcuni studiosi, la scelta del modello assiomatico `e dovuta ad alcune osservazioni del filosofo Platone che aveva sottolineato l’importanza di porre delle basi su cui una scienza dovesse costruirsi. Ricordando, infatti, che dedurre una propriet`a significa conseguirla logicamente da altre gi`a note, diviene chiara la necessit` a di evidenziarne alcune da porre alla base come vere a priori. Le definizioni. Euclide parte dalle definizioni, in cui cerca di fissare gli enti su cui svolger` a la sua indagine. Nello specifico per il matematico alessandrino, “il punto `e ci` o che non ha parti” mentre “la retta `e una linea che giace ugualmente 12
rispetto ai propri punti�, e cos`Ĺ via. Si potrebbe gi`a in queste prime fasi rimproverare la mancata precisione nel definire in maniera univoca questi enti. Basti pensare che non `e stato premesso il significato di parti e una retta potrebbe essere rappresentata (senza alcuna contraddizione) anche da un’elica cilindrica. Sembra quasi che queste non definiscano nulla. In realt`a, il lavoro di Euclide va stimato soprattutto tenendo conto del periodo storico in cui venne sviluppato, divenendo per il suo tempo un esempio di effettivo formalismo e rigore della matematica. Seguono alle definizioni, i postulati. Anche in questo caso non tutte le evidenze vengono elencate, nonostante siano utilizzate in seguito nell’opera. Ad esempio Euclide sfrutta pi` u volte la propriet`a che se una retta entra in un triangolo allora ne deve uscire, cio`e deve incontrare un altro lato, anche se tale propriet`a non viene mai enunciata.
Allo stesso modo, mancano gli assiomi di continuit`a anche se essi sono spesso usati. Sicuramente queste vennero ritenute evidenti a tal punto da non dover essere necessario formalizzarle, elencandole tra i postulati. A tal proposito, ricordiamo 13
che la geometria greca nasceva come descrizione astratta di propriet`a osservabili nel quotidiano dal mondo fisico e, pertanto, non era ritenuto di importanza primaria sottolineare alcuni risultati chiaramente e banalmente evidenti nel mondo fisico. Gli assiomi. Dal punto di vista logico il concetto di assioma e quello di postulato sono equivalenti, e quindi interscambiabili. La divisione di Euclide probabilmente corrisponde ad una visione aristotelica per cui i postulati riguardano direttamente la geometria, mentre gli assiomi esprimono propriet`a che sono valide per ogni disciplina. Tra gli assiomi troviamo ad esempio: “due cose uguali ad una terza sono uguali tra loro” (pi` u comunemente nota con il nome di propriet`a transitiva dell’uguaglianza) e “la parte `e minore del tutto”. I postulati.
Vengono elencati cinque postulati geometrici:
I. Per due punti passa una ed una sola retta; II. Ogni segmento pu` o essere prolungato indefinitamente dai sue estremi. (Anche noto come postulato dell’infinit` a della retta, infatti implica direttamente la sua non finitezza); III. Dato un centro ed un raggio esiste sempre una circonferenza; IV. Tutti gli angoli retti sono uguali; 14
V. Date due rette ed una trasversale ad esse, se la somma degli angoli interni formati con la trasversale `e minore di uno retto, le due si incontrano. Alcune precisazioni sono dovute ai postulati 4 e 5. Il numero 4 potrebbe sembrare banale conoscendo gli angoli retti come angoli di 90 gradi. Ma Euclide definisce retto ognuno degli angoli che si formano quando due rette si incontrano e formano quattro angoli uguali. Con tale definizione il senso acquisito `e pi` u sottile, sottolineando come angoli retti formati da coppie di rette differenti sono uguali tra loro. Per quanto riguarda il postulato V la trattazione `e assai pi` u complessa. Anzitutto, osserviamo che facendo variare uno dei due angoli in questione ottengo un punto di intersezione sempre pi` u distante. Ne consegue che non sempre `e chiara la costruibilit`a di tale punto e, con essa, la sua esistenza (coerentemente con la concezione greca di una matematica che rispecchi il mondo fisico).
La non evidenza del quinto postulato ha indotto a pensare alla possibilit`a della sua eliminazione dalla lista dei postulati, 15
ci`o voleva dire che tale enunciato doveva essere un teorema e quindi dimostrabile a partire dai primi quattro postulati. Nasce cos`ı quella che si chiama la questione delle parallele. Osserviamo ancora che tale postulato viene enunciato didatticamente in una maniera pi` u semplice: dati una retta ed un punto esterno ad essa esiste un’unica retta passante per il punto e parallela alla retta data. L’esistenza di tale retta `e indipendente dal V postulato che, invece, ne garantisce l’unicit`a. Infatti, la parallela ad una retta esiste comunque considerando validi solo i primi quattro postulati. Questa formulazione `e nota come postulato dell’unicit` a della parallela o enunciato di Plaifer. Infine, si noti che il V postulato `e equivalente, tra l’altro, al Teorema di Pitagora, alla propriet`a per cui la somma degli angoli interni di un triangolo `e pari a due angoli retti, e che per tre punti non allineati passa una sola circonferenza. Ne concludiamo che dimostrare una di queste proposizioni utilizzando esclusivamente i primi quattro postulati equivarrebbe a provare il quinto come deduzione logica degli altri. Secondo alcuni studiosi la questione delle parallele nasce dallo stesso Euclide. Ci` o dipende dal fatto che Euclide dimostra alcune propriet` a senza usare il V postulato, mentre si possono dimostrare pi` u semplicemente usando il V postulato. Si vedano ad esempio le Prop. 16 e 17, in cui si prova, senza usare l’enunciato di Plaifer, il teorema dell’angolo esterno e che la somma di due angoli interni di un triangolo `e minore di due retti; allo stesso risultato si arriva molto pi` u semplicemente con la Prop. 32, la quale per` o richiede l’uso del V postulato. 16
La questione delle parallele. Se non con Euclide la questione delle parallele nasce subito dopo. Il primo ad occuparsene fu Posidonio (135 – 50 a.C.). Egli dimostra la valenza del postulato V sfruttando la propriet` a di equidistanza di due rette parallele; ma questa si rivel` o dopo poco proprio una dipendenza diretta dall’assunzione del postulato delle parallele. Il suo lavoro rimase, quindi, di scarso valore. Nel I secolo a.C. il matematico Gemino pensa di porre rimedio al problema di Posidonio cambiando la definizione di rette parallele; definisce parallele due rette equidistanti. Egli sostiene, quindi, che due rette sono parallele se e solo se equidistanti. Grazie a questa “strada alternativa” prova il postulato. Ma Gemino non fu poi cos`ı attento, non osserv`o se realmente due rette equidistanti potessero esistere, o, che `e lo stesso, se il luogo dei punti equidistanti ad una retta fosse ancora una retta. Ci`o `e vero solo se si usa il V postulato. Gli anni del dominio romano in occidente non risultano proficui per la nostra questione, solo il greco Proclo (412 – 485) si dedica alla stesura di un commento al primo libro di Euclide, permettendo la divulgazione della questione delle parallele a pi` u ampio raggio. Grazie a quest’opera siamo a conoscenza dei primi risultati degli antichi studiosi a riguardo, seppur alcune tesi descritte da Proclo verranno smentite in seguito. Egli stesso si occupa della questione ed `e convinto che il V postulato si pu`o dimostrare contando sul fatto che la proposizione inversa, Prop. 17, `e dimostrabile. In et`a rinascimentale si assiste ad una ripresa dello studio del problema grazie ad una serie di circostanze favorevoli. La 17
fuga dall’impero d’Oriente dei monaci basiliani, custodi del sapere antico, porta con s´e diverse opere dei pensatori greci. Grazie all’invenzione della stampa, infine, la loro fruibilit`a diviene sempre maggiore. In questo periodo, il pugliese G. Vitale (Bitonto, 1633 – 1711) insiste nuovamente sulla possibilit` a di porre rimedio al problema sfruttando il concetto di equidistanza. Egli alleggerisce la dimostrazione di Posidonio sostenendo necessari solo tre punti equidistanti dalla retta data. Anche qui, per`o, risulta impossibile provare questa tesi senza asserire la validit`a del V postulato. Poco dopo, J. Wallis (1616 – 1703) dimostra il postulato delle parallele sfruttando la propriet`a di ogni figura del piano per cui ne esiste sempre una simile ma di grandezza arbitraria. Ma ancora, l’idea di Wallis prevede implicitamente l’assunzione di V. Gerolamo Saccheri. Una svolta sostanziale alla questione viene attuata per opera dell’italiano Gerolamo Saccheri (1677 – 1733) grazie alla pubblicazione del libro “Euclide vendicato da ogni macchia” . Scopo di Saccheri `e quello di far vedere che il V postulato discende dai primi quattro e che l’unica geometria possibile `e quella di Euclide, mettendo la parola fine alla questione. In realt` a, sar` a lo stesso Saccheri a costruire nuove geometrie. Saccheri considera la seguente figura nota nella letteratura matematica con il nome di quadrilatero di Saccheri. Seppur era stata gi`a introdotta da un arabo attorno all’anno mille. Si considera un lato AB che chiameremo base, si alzano dagli 18
estremi due segmenti uguali (rispettivamente AD e BC) che formano con la base angoli retti e si congiungono gli estremi grazie ad un segmento denominato appunto vertice (il lato CD).
Innanzitutto, si osserva che la base e il vertice non si intersecano. Infatti il segmento che unisce i loro punti medi `e perpendicolare ad entrambi. Poi, si prova che gli angoli adiacenti al vertice sono congruenti. Da qui le considerazioni: o i due angoli sono acuti, o sono retti, o sono ottusi1 . Ci`o a cui vogliamo giungere `e che le ipotesi di angoli ottusi e acuti sono assurde. Saccheri parte provando l’assurdo nell’ipotesi degli angoli ottusi. Egli sostiene chiaramente che questa: “distrugge s´e stessa”, in quanto comporterebbe direttamente il V postulato. Il che sarebbe assurdo per l’ipotesi degli angoli retti. In realt`a, la prova utilizzata da Saccheri nell’assurdo `e errata. Infatti, nella sua dimostrazione egli utilizza il II postulato, che come verr`a dimostrato in seguito, `e incompatibile con l’ipotesi degli angoli ottusi. 1
Attenzione. Nella nostra visione di geometria euclidea questi sono chiaramente retti, e il quadrilatero `e evidentemente un rettangolo, ma lo si sta provando.
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Nell’altro caso egli osserva che se gli angoli fossero acuti allora due rette potrebbero essere: a) incidenti; b) non incidenti ma con una perpendicolare in comune2 ; c) incidenti senza una perpendicolare in comune. Analizzando le propriet` a delle rette di tipo b) si vede che esse hanno una minimi distanza data dal segmento di perpendicolare comune, mentre la distanza cresce, in modo simmetrico, allontanandosi dalla perpendicolare in comune. Per le rette di tipo c) si ha un comportamento diverso: esse divergono in un verso e convergono nel verso opposto, pur restando non incidenti. L’esistenza delle rette di tipo c), che pur avvicinandosi indefinitamente non si incontrano mai, fa dire a Saccheri che l’ipotesi dell’angolo acuto “ripugna la natura stessa della linea retta”, e quindi `e completamente assurda. L’assurdo trovato per` o non `e un assurdo rispetto ai postulati fissati; tutti i risultati ottenuti sono corretti e validi in ogni geometria in cui valgono i primi quattro postulati e l’ipotesi dell’angolo acuto. Per quanto riguarda il parallelismo, Saccheri fa vedere che, se si considera una retta r ed un punto P fuori di essa, per P passano rette secanti r e rette non secanti del tipo b) e due rette del tipo c) che egli chiama “parallele” ad r. Le due rette 2
Si nota che se vi fosse la perpendicolare, allora dovrebbe essere unica, altrimenti si otterrebbe un rettangolo e quindi gli angoli del quadrilatero in questione sarebbero retti. Pertanto varrebbe V.
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sono simmetriche rispetto alla perpendicolare per P alla retta r e l’angolo che formano con tale perpendicolare `e detto angolo di parallelismo. L’angolo di parallelismo `e sempre un angolo acuto, inversamente proporzionale alla distanza P H di P da r ed `e ad essa legata dalla relazione seguente: tan
d α = e− k 2
con k costante e d = P H
Una volta che Saccheri ha eliminato anche l’ipotesi dell’angolo acuto, l’unica ipotesi rimasta `e quella dell’angolo retto che conduce alla geometria euclidea e quindi al V postulato. Sulla scia di Saccheri si muove il matematico tedesco A. M. Legendre, provando che nell’ipotesi dei primi quattro postulati si ha la disuguaglianza: α + β + γ ≤ 180◦ con α, β e γ angoli interni di un triangolo. Fa vedere, erroneamente, che pu` o aversi solo l’uguaglianza che conduce alla geometria euclidea e quindi al V postulato. Storicamente uno dei primi sostenitori della possibilit`a logica di considerare geometrie non euclidee `e Karl Friedrich Gauss (1777 – 1855), che pertanto viene ritenuto il padre di queste geometrie. Riguardo le ipotesi di Saccheri, egli stesso si cimenta a dimostrarle e sostiene che, non avendo ottenuto alcun risultato assurdo, poteva essere logicamente possibile assumere come vera in maniera analoga una delle tre. Egli non si spinge mai a nominare Saccheri, portando ad un interrogativo storicamente assai curioso: come mai Gauss non fece mai cenno all’opera del matematico italiano che era custodita proprio 21
nella sua Universit` a a Gottinga? Pi` u in generale, per`o, Gauss non si esprime mai direttamente riguardo le geometrie non euclidee e quel poco che ci `e noto `e stato possibile solo grazie alla visione di alcuni carteggi con matematici a lui contemporanei. Il motivo che lo portava a tanta segretezza era la paura di poter essere deriso nel sostenere ipotesi cos`ı lontane dalla matematica tradizionalmente “vera”. Si raccomanda, perci`o, che le sue ipotesi siano pubblicate solo dopo la sua morte. Non ugualmente furbo pu` o dirsi il russo Nikolaj Ivanoviˇc Lobaˇcevskij (1792 – 1856) gi` a rettore dell’Universit`a moscovita costretto a dimettersi per aver pubblicamente confermato l’esistenza di geometrie di tipo non euclideo. In particolare, egli ritiene valide le geometrie iperboliche. Infine, l’ungherese Giovanni Bolyai (1802 – 1869) grazie al padre, collega di Gauss, rende noti i suoi risultati e ottiene l’approvazione dello stesso Gauss che, per` o, ne rivendica privatamente il primato. Intorno al 1850 viene affermata ufficialmente l’esistenza di nuove geometrie di tipo non euclideo; resta il problema di trovare dei modelli di tali geometrie, trovare cio`e una regione del piano del piano e dello spazio in cui effettivamente tali geometrie si realizzano. Esaminiamo brevemente due modelli di geometria non euclidea relativa all’ipotesi dell’angolo acuto di Saccheri, detta anche geometria iperbolica. • Modello di Klein-Beltrami. Questo primo modello non euclideo si basa sulla geometria proiettiva. Consideriamo una conica non degenere e chiamiamo punto un punto interno alla conica (ma non sulla frontiera) e retta 22
una qualsiasi corda della conica. Si ha che due rette sono parallele se si incontrano in un solo punto sulla frontiera, sono secanti se si incontrano in un punto del nostro modello, mentre sono iperparallele se non si incontrano nel modello. In questa geometria valgono i primi quattro postulati euclidei ma non il quinto, infatti per un punto passano due parallele alla retta data. Si definiscono perpendicolari, infine, due rette coniugate alla conica.
• Modello di Poincar´ e. (1854 – 1912). Consideriamo una circonferenza Σ e chiamiamo punti i punti interni ad essa e rette i diametri o le corde ortogonali a Σ. Analogamente al modello precedente possiamo incontrare rette parallele e iperparallele.
Si pu`o osservare che i due modelli sono “isomorfi”, poich´e rappresentano la stessa geometria. 23
Ne deduciamo che il V postulato non `e un teorema, perch´e altrimenti dovrebbe valere nel modello, in cui vale invece la sua negazione. Dai modelli consegue anche la non contraddittoriet`a della nuova geometria. Infatti, si vede, per come `e costruito il modello, che un assurdo nella geometria iperbolica si riflette in un assurdo nella geometria euclidea, per cui se questa `e coerente lo `e anche l’altra. Una volta accettate le nuove geometrie, il loro uso dipende dal tipo di problema da risolvere: alcuni fenomeni si interpretano meglio in una teoria piuttosto che in un’altra, mentre dal punto di vista logico non vi `e alcuna differenza. Conclusioni. Immaginando di porre nuovi assiomi e postulati possiamo costruire sempre nuove geometrie, molto lontane dall’idea greca di geometria come specchio astratto del mondo fisico. Il matematico Felix Klein (1849 – 1925) mette ordine a questa ampia prospettiva ponendo una nuova definizione di geometria. In precedenza, abbiamo definito geometria l’insieme di teoremi dimostrabili a partire da postulati, ma alla luce delle ricerche pi` u ultime `e chiaro che non sarebbe ben posta. Klein pone l’accento sui possibili gruppi di trasformazioni del piano. Fissato un gruppo G pone: G(G) = {x | f (x) = x ∀ f ∈ G} Cio`e la geometria `e l’insieme delle propriet`a invarianti per le trasformazioni di G. Questo permette di lavorare sulle geometrie esclusivamente studiandone i gruppi relativi. Osserviamo poi che se G `e con24
tenuto in G0 allora G(G) contiene G(G0 ). Quindi, la geometria pi` u piccola `e data dal gruppo pi` u ampio che `e quello proiettivo, poi da quello affine continuando con il gruppo delle similitudini. Quest’ultimo presenta proprio la geometria euclidea da cui si era partiti. Dal punto di vista logico, non vi `e alcuna differenza tra le svariate geometrie e la scelta di una piuttosto che un’altra `e dovuta esclusivamente alla nostra necessit` a di studio. Alcune, infatti, possono rivelarsi molto utili nello studio dell’infinitamente grande, altre nell’infinitamente piccolo. Curiosamente, non tutto funziona come Euclide aveva supposto.
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II Geometria della Sfera 12 Marzo 2015
Prof. Giuseppe De Cecco
La possibilit`a evidenziata da Giovanni Saccheri di studiare geometrie esenti dal postulato delle parallele ha dato vita ad una serie di nuovi modelli (tra cui quelli gi`a visti di KleinBeltrami e di Poincar´e) di studio di questo ambito della matematica moderna. A rigori una geometria non euclidea `e una geometria che non verifica tutti e 5 i postulati di Euclide; ma usualmente `e detta non euclidea una geometria che non verifica il V postulato. Le proposizioni che si possono dimostrare senza usare il V postulato fanno parte della cosiddetta “geometria assoluta”. Geometria della Sfera. 3 Il modello di analisi in questione
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Per una trattazione pi` u dettagliata degli argomenti si rimanda a La sfera in geometria e geografia di G. De Cecco e E. Mangino, Quad. 1/2001, Dip. Mat. “E. De Giorgi” Univ. Lecce.
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sar`a quello della sfera. L’approccio che utilizzeremo sar`a per lo pi` u intrinseco all’ambiente di lavoro, studiando la sfera non tanto come “oggetto” immerso in un contesto pi` u ampio, bens`ı come lo potrebbe fare un osservatore che su questa ci abita. La metodologia intrinseca, piuttosto che la estrinseca, `e chiaramente stata scelta per la stretta analogia che lega il solido geometrico della sfera con la nostra Terra. Questa storicamente `e stata spesso considerata un astro celeste piatto, privo di una effettiva consistenza volumica nell’Universo e forse proprio per questo si `e prediletto per anni la scelta di una geometria piana astratta (di cui Euclide `e stato uno dei massimi “esponenti”) e con essa di un approccio di studio prettamente assiomatico. Sembra ora pi` u che dovuta la considerazione della sfera (con la geometria che su di essa pu` o costruirsi) come un ente autonomo, fondamentale pi` u di quella euclidea per una visione pratica della matematica.4 Prima di entrare nel vivo della questione `e bene introdurre un sistema univoco di riferimento per i punti che giacciono sulla nostra sfera. Ricordiamo, a tal proposito, che pur essendo la sfera piena un ente geometrico tridimensionale i punti sul suo bordo necessitano soltanto di due coordinate, in quanto si tratta di una superficie (bidimensionale). Pertanto, definiamo meridiano “l’asse” di riferimento verticale cio`e la semicirconferenza di raggio massimo in direzione verticale, mentre 4
Potremmo curiosamente giungere all’assurdo che la ricerca greca di una matematica astratta fondata sulla visione del mondo fisico per come `e, si rispecchia pi` u spontaneamente in una geometria “opposta” a quella di Euclide, ritenuta dalle culture antiche la pi` u attuale
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chiamiamo parallelo “l’asse” di riferimento orizzontale, perpendicolare ad ogni meridiano. Osserviamo che i paralleli non sono circonferenze di raggio massimo; l’unico caso che soddisfa questa propriet`a `e quello dell’equatore. Nel caso della Terra il meridiano fondamentale `e quello di Greenwich, scelto forse perch´e il suo antimeridiano (che coincide con la linea di cambiamento di data) `e quello che attraversa il minor numero di terre emerse, creando meno disagio. Costruita questa sorta di griglia sulla sfera `e possibile calcolare la longitudine e la latitudine di un punto P su di essa. Riferendoci alla seconda figura, la longitudine del punto P `e data dalla misura (in gradi) dell’angolo P AO; la latitudine dalla misura dell’angolo P CP 0 .
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Passiamo a valutare alcuni enti geometrici fondamentali sulla sfera. Distanza. Intuitivamente `e molto facile concepire la distanza: essa rappresenta la lunghezza della strada pi` u breve che si pu`o compiere per spostarsi da un punto ad un altro nello spazio. Nel caso del piano bidimensionale (e della geometria di Euclide) la questione `e molto chiara in quanto la distanza tra due punti va a definire in maniera univoca un segmento. Eppure, anche concretamente, `e molto pi` u semplice costruire una circonferenza che un segmento. Per una circonferenza `e necessario possedere un palo, una corda collegata ad una sua estremit`a ed un secondo palo collegato all’altra estremit`a della corda; poi basta centrare uno dei due pali e girarci intorno con l’altro tenendo tesa la corda, e il gioco `e fatto. Empiricamente, la costruzione di un segmento sul piano pu`o essere effettuata con un elastico, uno strumento che manterr`a la sua funzione anche sulla sfera. Un segmento `e sempre costruibile con la geometria euclidea e la sua effettiva funzione di “strumento” per indicare la distanza `e provata dalla disuguaglianza triangolare dei lati di un triangolo. Allo stesso modo, questa potrebbe essere giustificata con alcuni risultati nel calcolo delle variazioni. Passando alla sfera la questione si fa pi` u interessante. Sfruttando nuovamente un elastico, la distanza tra due punti della sfera non `e pi` u la misura di un segmento, bens`ı quella di un arco di circonferenza. Ma di quale? Geometricamente, basta considerare il piano passante per i due punti e per il centro; 29
l’intersezione tra tale piano e la sfera `e descritta da due archi: la lunghezza del minore tra questi due `e detta la distanza tra i punti. Osserviamo che i due archi descritti come sopra sono congruenti esclusivamente quando i punti considerati sono opposti tra loro, cio`e si trovano agli antipodi. Questo appena descritto rappresenta per l’osservatore sulla nostra sfera il “segmento”.5 Se il segmento `e rappresentato dall’arco (di cerchio massimo), la circonferenza determina “la retta” sulla sfera. Da qui `e evidente che la geometria che si costruisce sulla sfera non `e euclidea: infatti (poich´e due cerchi massimi si incontrano sempre) non esistono rette parallele sulla sfera e i segmenti non possono essere prolungati all’infinito (contrariamente al postulato numero 2 di Euclide). Anche questo dettaglio formale ha fatto s`ı che la sfera fosse studiata molto pi` u tardi degli altri modelli, in cui si metteva in discussione solo il postulato delle parallele. Ricordando, infine, la classificazione delle geometrie non euclidee conseguentemente ai risultati di Saccheri, si nota che questa `e una “geometria ellittica”. Quest’ultima si basa sull’assioma di B. Riemann (1836 – 1866) che afferma: “Non esistono rette parallele ad una data e passanti per un punto esterno ad essa.” Analizziamo brevemente la situazione su di un cono. Su di esso 5
Precisiamo che, sulla Terra, la distanza tra due citt` a non `e rappresentata dall’arco descritto dal parallelo per esse, bens`ı proprio dalla definizione di segmento data sulla sfera.
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prendiamo due punti e consideriamo, come prima, la lunghezza della strada (sul cono) pi` u breve che congiunge i due punti. Immaginando di aprire il cono in questione (lungo una generatrice) notiamo che la distanza tra i due punti coincide con la lunghezza del segmento che li unisce nello sviluppo su di un piano.6 Dunque la geometria (intrinseca) sul cono `e euclidea. Pi` u generalmente e semplicemente, chiameremo geodetiche le curve che realizzano le distanze minime tra due punti di una superficie. Nel caso della sfera, le geodetiche sono gli archi di cerchio massimo; nel caso di un cilindro o di un cono sono le eliche (cilindriche o coniche).
Triangolo sferico. Consideriamo un triangolo sulla superficie della sfera. Cosa possiamo dire riguardo gli angoli di questa figura? La prima osservazione che possiamo fare `e legata ad un particolare triangolo, quello formato da due meridiani che incontrano l’equatore. Su questo si nota chiaramente che la somma degli angoli interni supera un 6
Questo si giustifica matematicamente in quanto cono e piano sono superfici (localmente) isometriche, cio`e su esse si conservano le distanze. Ci` o accade per tutte le superfici sviluppabili su di un piano, mentre la sfera non lo `e.
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angolo piatto, infatti gi` a i soli meridiani cadono sull’equatore in maniera perpendicolare. La geometria sulla sfera possiede una sorta di sfasamento nel computo degli angoli interni di un triangolo dovuta all’assenza del postulato delle parallele che, per come gi`a visto, `e equivalente al considerare la somma degli angoli interni ad un triangolo pari al doppio di un angolo retto. Nel singolo triangolo vale la seguente formula: c1 + A c2 + A c3 − π (> 0) ε=A ci `e la misura Dove ε `e detto eccesso sferico del triangolo e A dell’i-esimo angolo interno. Vale il seguente risultato: Teorema di Girard (1625) : Indicati con A(T ) l’area del triangolo sferico, r il raggio della sfera e ε l’eccesso sferico del triangolo T si ha A(T ) = εr2 . Questo semplice risultato ci pu` o permettere di calcolare il raggio terrestre a partire da un triangolo su di esso, grazie alla formula inversa: r A(T ) r= ε In realt`a, questa applicazione del Teorema di Girard rimane esclusivamente teorica in quanto `e assai complesso, nella pratica, considerare un triangolo di tali dimensioni da poter essere effettivamente considerato sferico. Ricordiamo, infatti, che la geometria sulla Terra pu` o essere molto semplicemente approssimata ad una geometria di tipo euclideo, a causa dell’ampio 32
raggio terrestre che permette di assimilare la sua superficie a quella di un piano. Si osserva, infine, che il Teorema di Pitagora non `e valido sulla geometria sferica, vale invece che: a2 < b2 + c2
Analogamente non sono valide le seguenti propriet`a: 1. La somma degli angolo interni di un triangolo `e costante; 2. Gli angoli inscritti nella semicirconferenza hanno un angolo costante; 3. Un lato di un quadrato e la sua diagonale sono incommensurabili. Geometria del tassista. Una piccola digressione. Un altro esempio di geometria in cui non `e valido il Teorema di Pitagora e i risultati precedenti `e la geometria del tassista. Per costruire questo modello basta considerare un piano reticolato come nel disegno sottostante e definire la distanza tra due punti del 33
reticolo esclusivamente con linee orizzontali e verticali. (Non esiste la linea obliqua). Questa `e pi` u comunemente nota come geometria del tassista perch´e ricorda gli spostamenti delle auto su un reticolo di strade.
La definizione di distanza utilizzata `e: d(A, B) = |xA â&#x2C6;&#x2019; xB | + |yA â&#x2C6;&#x2019; yB | che chiaramente differisce dalla distanza euclidea sul piano. Se consideriamo per es. il triangolo rettangolo di vertici A(0, 0), B(1, 0), C(2, 0), si vede facilmente che a = d(B, C) = 3, b = d(A, B) = 1, c = d(A, C) = 2, quindi non vale il teorema di Pitagora e conseguentemente non `e euclidea la geometria del tassista. Geodetica del cubo. Nel caso di un cubo, quali sono le geodetiche? Nulla a che vedere con perpendicolari o parallele ai lati. Basta pensare al cubo aperto, tracciarne il segmento euclideo congiungente i due punti e osservare che, richiudendo il cubo, gli angoli generati con lo spigolo sono congruenti. 34
Superficie generica. Consideriamo ora una generica superficie e definiamo, come al solito, geodetica la curva che realizza la minima distanza tra due punti (che abbiamo gi`a visto non essere sempre un segmento). Grazie alle differenti tipologie di geodetiche `e possibile riconoscere le varie geometrie considerando la somma degli angoli interni di un triangolo (geodetico) della superficie. Osserviamo per esempio che su una superficie a forma di sella la somma degli angoli interni di un triangolo `e ` possibile definire un valostrettamente minore di due retti. E re universale per valutare di quanto una superficie si allontana dal generare su di essa una geometria euclidea, questo prende il nome di curvatura. Una delle formule pi` u semplici per calcolare la curvatura di una generica superficie M in un punto P `e la seguente: L(CE ) â&#x2C6;&#x2019; L(CM ) 3 K(P ) = lim Ď&#x20AC; râ&#x2020;&#x2019;0 r3 35
dove L(CE ) e L(CM ) sono rispettivamente la lunghezza della circonferenza di raggio r sul piano euclideo e la lunghezza della circonferenza di raggio r sulla superficie in questione. Si osserva in questo caso che la curvatura `e nulla se e solo se la lunghezza delle due circonferenze coincide e quindi se la geometria `e euclidea. Questa rappresenta una formula intrinseca, coerentemente alle premesse iniziali di analisi delle geometrie. Si ha inoltre geometria ellittica
K(P ) > 0
geometria euclidea
K(P ) = 0
geometria iperbolica
K(P ) < 0
Theorema Elegantissimum (Gauss, 1827) : Sia M una superficie e sia T un generico triangolo geodetico della superficie. Allora Z ˆ + Cˆ − π K(P ) dρ = Aˆ + B T
Se la curvatura `e costante si ha: ˆ + Cˆ − π K0 = A(T ) = Aˆ + B Si osservi che l’espressione precedente, nel caso della sfera, poich´e K0 = 1/r2 , rid` a il teorema di Girard.
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Dall’espressione precedente segue anche un altro teorema fondamentale di Gauss. Theorema Egregium : La curvatura gaussiana di una superficie dipende solo dalla sua metrica intrinseca. Questo grande risultato geometrico ci permette di affermare che superfici isometriche hanno la stessa curvatura. Nel concreto, grazie a questo, `e possibile giustificare fenomeni quotidiani come l’impossibilit` a di incartare un pallone da calcio o di fare carte geografiche effettivamente “simili” alla superficie terrestre. Al contrario, `e chiaro che un cilindro (isometrico ad un piano) pu` o essere facilmente incartato.7
Ma se la geometria sferica e quella euclidea sono difficilmente confrontabili, perch´e si `e lavorato (e si continua a lavorare) 7
Per approfondimenti si rimanda il letto al file multimediale su RaiScuola della lezione della Prof. E. Mangino, disponibile sul web.
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su una geometria che sembra non appartenerci? La risposta `e molto semplice: per la grandi dimensioni della Terra, un triangolo sferico su di essa (non eccessivamente grande) ed uno piano si possono “sostituire” a vicenda. Stesse considerazioni possono essere evidentemente riportate a tutto l’apparato geometrico euclideo sfruttato nelle scienze applicate. Storicamente, seppur non fosse mai stata utilizzata fino ai tempi di Saccheri, si era parlato della possibilit`a logica dell’esistenza di geometrie di tipo non euclideo gi` a con Aristotele. Fu Kant che, in disaccordo con il filosofo greco, riconobbe nella geometria di Euclide l’unica geometria vera nello spazio. Questa affermazione di Immanuel Kant ci porta direttamente a chiederci: cosa pu` o essere considerato vero in matematica? “Per vero si intende ci` o che `e esente da contraddizioni” secondo Aristotele (384 – 322 a.C.). Egli stesso sosteneva che la dimostrabilit`a delle proposizioni (o degli assunti) potesse essere solo di due tipi: 1. Evidente; 2. Tramite catene di deduzioni che conducono all’evidenza.8 Allo stesso modo, Girolamo Saccheri riteneva che la non contraddittoriet`a implicasse la verit` a di una affermazione. Dunque in Matematica 8
Si pensi, a tal proposito, allo scopo di un manuale scolastico: al termine del corso tutti i risultati devono poter sembrare ovvi. (Enrico Giusti)
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verit` a ⇔ non contraddittoriet` a Ma ogni scienza, compresa la Matematica, ha un valore contenutistico, ossia intende parlare di certi oggetti presenti nella realt`a, per cui nasce il “problema della verit`a”. Si osservi che vero riguarda una questione semantica, mentre contraddizione riguarda una questione sintattica. In conclusione, usando la definizione classica veritas = adaequatio rei et intellectus possiamo dire che una teoria matematica (gi`a esente da contraddizioni) non `e in s´e n´e vera n´e falsa, ma diventa vera se `e possibile rappresentarla adeguatamente (come suggerito da E. Agazzi9 ). Pertanto, una teoria non contraddittoria d`a vita ad un modello non contraddittorio. Chiudiamo facendo una piccola osservazione: non sempre le realt`a matematiche vere sono rappresentabili. Pensiamo allo stesso Gauss che per anni non si espose mai a pubblicare, come gi`a visto, i suoi risultati per le geometrie non euclidee, evitando di “incorrere nelle grida dei beoti”. Ma la verit`a va oltre, `e per questo che la assumiamo non contraddittoria.
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Cfr. E. Agazzi, D. Palladino, Le geometrie non euclidee e i fondamenti della geometria dal punto di vista elementare, La Scuola, Brescia 1998.
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“Negli ultimi anni alcuni sono stati commercializzati vari tipi di prodotti industriali caratterizzati dal termine “fuzzy” . Famosi alcuni spot pubblicitari su lavatrici funzionanti secondo la “logica fuzzy”. Sempre pi` u spesso le riviste scientifiche, soprattutto nel campo ingegneristico, riportano applicazioni “fuzzy” a vari tipi di produzione industriale ed evidenziano nel contempo la estrema flessibilit` a della teoria “fuzzy”. D’altra parte in campo matematico sono ormai numerose le riviste dedicate alla “fuzzy theory” e la bibliografia sui vari aspetti (algebrici, topologici, ecc.) della teoria aumenta in modo esponenziale. Sembra allora opportuno proporre dei seminari, sicuramente non esaustivi, su tale teoria per dare delle indicazioni sulla sua genesi, per indicare alcune linee di indagine percorse (ed i risultati ottenuti) ed anche per prospettarne altre.” Eduardo Pascali
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III Fuzzy Set 19-26 Marzo, 9 Aprile 2015
Prof. Eduardo Pascali
La teoria classica degli insiemi nasce verso la fine dellâ&#x20AC;&#x2122;Ottocento ed `e legata alla nascita ed allo sviluppo della logica matematica. Questa teoria, sebbene sia abbastanza intuitiva, presenta non pochi problemi derivanti da tutta una serie di paradossi logici ed antinomie (celebre lâ&#x20AC;&#x2122;antinomia di Russell). Vi `e inoltre un problema di carattere pratico: la scarsa applicabilit`a di questa teoria logica alla realt` a delle scienze umane (linguistica, psicologia) e delle scienze economico-sociali. I fuzzy set vennero introdotti nel 1965 da L. A. Zadeh e ripresi da Gentilhomme nel 1968. I fuzzy set sono particolarmente utili perch´e permettono di trattare situazioni logicamente ed insiemisticamente ambigue in maniera soddisfacente.
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Il Fuzzy Set. Definiamo l’idea di Gentilhomme di fuzzy set: Definizione : Sia P (x) un’espressione che contiene un’indeterminata, U l’universo del discorso (ovvero l’insieme degli argomenti z che danno un significato ad U (z)) e V un criterio di validazione. Allora per ogni P (x) si individuano 3 insiemi: 1. Gli oggetti per cui P `e vera (valore di verit`a 1); 2. Gli oggetti per cui P `e falsa (valore di verit`a 0); 3. Gli oggetti per cui P non viene validata ne falsa ne vera da V (valore di verit` a 1/2). L’idea di Zadeh `e pi` u generale e conduce ad uno studio sistematico del fuzzy set, come vederemo ci` o permetter`a: 1. Il recupero dei risultati classici dell’analisi, dell’algebra e della geometria; 2. L’individuazione di ambiti in cui la matematica classica fallisce; 3. L’applicazione della matematica fuzzy a situazioni nell’ambito di varie materie scientifiche; 4. La ricerca e lo studio di situazioni non contemplate nella matematica classica. L’idea di Zadeh si formula nel modo seguente: Definizione : Sia X un insieme, il fuzzy set A di X `e caratterizzato da una funzione di appartenenza χA : X −→ [0, 1], dove χA (x) rappresenta il grado di appartenenza di un elemento rispetto all’insieme A. 42
Potremmo applicare questa definizione in numerosi contesti, ad esempio per vedere se un numero `e molto pi` u grande rispetto ad un altro. Definizione : Due insiemi fuzzy si dicono uguali se le loro funzioni di appartenenza sono uguali. Diciamo che l’insieme fuzzy A `e incluso nell’insieme fuzzy B se, considerate le rispettive funzioni di appartenenza si ha che:
χA (x) ≤ χB (x)
∀x ∈ X
Se la disuguaglianza `e stretta allora l’inclusione `e stretta. L’unione `e definita come: C = A ∪ B ⇐⇒
χC (x) = max χA (x), χB (x)
L’intersezione `e definita come: C = A ∩ B ⇐⇒
χC (x) = min χA (x), χB (x)
Un’unione o un’intersezione numerabile pu`o essere ottenuta sostituendo il sup al max e l’inf al min. La differenza `e definita come: C = B − A ⇐⇒
χC (x) = χA (x), χB (x)
∧0
La negazione da: C = X − A ⇐⇒
χC (x) = 1 − χA (x)
Quest’ultima operazione invalida molte propriet`a tipiche della teoria ingenua degli insiemi, perci` o si utilizzano anche le seguenti definizioni: 43
Definizione : definita da:
L’operazione di somma tra due insiemi fuzzy `e
χA+B (x) = χA (x) + χB (x) − χA (x) χB (x) mentre l’operazione prodotto tra due insiemi fuzzy `e data da:
χAB (x) = χA (x) χB (x) Diamo inoltre le seguenti proposizioni: Proposizione : loro somma.
L’unione di due insiemi fuzzy `e contenuta nella
Proposizione : L’intersezione di due insiemi fuzzy `e contenuto nel loro prodotto. Si pu`o dare inoltre una particolare definizione di distanza tra insiemi fuzzy: Definizione : Considerata la classe degli insiemi fuzzy definita su un numero finito n di elementi xi si pu`o definire la cosiddetta distanza di Hammings, ovvero: d(A, B) =
n X
Xi A(xi ) − B(xi )
i=1
Questa distanza pu` o essere utile per dare un’opportuna definizione di indice di sfocatura.
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Topologia Fuzzy. Diamo alcune definizioni preliminari: Definizione : fuzzy
Sia x0 ∈ X e λ ∈ [0, 1], definiamo l’insieme
p(x, λ) =
( λ
x = x0
0
altrimenti
Esso si dice fuzzy punto di supporto x0 e valore λ. S Evidentemente A = x∈Ω p x, χA (x) dove Ω `e il supporto di A, cio`e l’insieme degli x ∈ X per cui χA (x) > 0. Osservazione :
Si ha che [ A=
[
p(x, λ)
x∈Ω 0 < λ ≤ χA (x)
e [
p(x, χA (x)) =
p(x, λ)
0 < λ ≤ χA (x)
Definizione : Se p(x0 , r) `e un fuzzy punto ed A un insieme fuzzy diciamo che p appartiene ad A o che `e un elemento di A se `e strettamente minore del valore di appartenenza di x0 ad A, cio`e r < χA (x0 )
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Vale la seguente proposizione: Proposizione : A `e incluso in B se e solo se ogni punto p che appartiene ad A appartiene anche a B ovvero se e solo se ogni punto p incluso in A `e incluso anche in B. Diamo ora la definizione di spazi topologici fuzzy (che ampliano con un ulteriore assioma gli spazi topologici tradizionali). Definizione : Sia X insieme e T una famiglia di insiemi fuzzy in X. (X, T ) si dice spazio topologico fuzzy se: 1. L’insieme X e il vuoto sono presenti in T; 2. L’unione finita o numerabile di elementi di T `e elemento in T ; 3. L’intersezione finita di elementi di T `e ancora elemento di T ; 4. Le funzioni costanti sono elementi di T . I risultati classici della topologia generale sono in gran parte recuperati nella topologia fuzzy. Per stabilire il concetto di funzione continua occorre una buona definizione di antimmagine. Definizione : Siano dati due insiemi X ed Y ed una funzione f da X verso Y . Se B `e un insieme fuzzy in Y , si dice immagine inversa o antimmagine di B mediante f , l’insieme fuzzy, indicato con f −1 (B), definito dalla seguente funzione di appartenenza: χf −1 (B) (x) = χB f (x) 46
Mentre se A `e insieme fuzzy in X, si dice antimmagine di A mediante f , l’insieme fuzzy, indicato con f (A), definito dalla seguente funzione di appartenenza: ( non vuoto sup χA (z) | z ∈ f −1 (y) χf (A) (y) = 0 altrimenti Osservazione : Se B `e un fuzzy punto la sua immagine inversa non `e detto che sia un fuzzy punto; lo `e se f `e iniettiva. Mentre se A `e un fuzzy punto la sua immagine `e ancora un fuzzy punto. Tutte le propriet` a dell’immagine inversa e dell’immagine della teoria classica sono verificate; `e importante, come ben si sa, che siano verificate le propriet` a dell’immagine inversa. Diamo ora la definizione di funzione F -continua ed una serie di proposizioni che derivano dalla definizione: Definizione : Siano dati due spazi topologici fuzzy (X, T1 ), (Y, T2 ) ed una funzione f tra di essi. Diciamo che f `e fuzzy continua (F -continua) se e solo se l’immagine inversa di ogni aperto B di T2 `e un aperto di T1 . Proposizione : La composizione di funzioni F -continue `e F continua. Se si passa ad una topologia T1 pi` u fine ed ad una topologia T2 meno fine la F -continuit` a di f rimane. Equivalentemente a quanto detto sopra, f `e F -continua se e solo se l’ immagine inversa di ogni chiuso C di T2 `e un chiuso di T1 .
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In letteratura si trovano numerose varianti del concetto di funzione continua e sono state studiare intensamente da svariati autori. Anche il concetto di funzione semicontinua `e stato (ed `e tuttora) oggetto di profonde indagini. Definiamo ora che cosâ&#x20AC;&#x2122;`e una base di una topologia fuzzy e caratterizziamola con un teorema. Definizione : Una famiglia di aperti costituisce una base per la topologia se ogni aperto pu` o essere ottenuto come unione di elementi della famiglia scelta. Vale il seguente: Teorema :
Sia data una famiglia di insiemi fuzzy per la quale:
a) Per ogni fuzzy punto p appartenente allo spazio X esiste un elemento della famiglia a cui p appartiene; b) Se abbiamo due elementi della famiglia ad intersezione non vuota e se un fuzzy punto p appartiene a tale intersezione allora esiste un altro elemento della famiglia contenuto nella intersezione ed a cui p appartiene. Allora esiste una ed una sola topologia per cui la famiglia data `e una base.
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Intorni fuzzy. Vi sono alcune differenze sostanziali nella definizione di intorno nella topologia standard e nella topologia fuzzy. Definizione : Sia (X, T ) uno spazio topologico fuzzy ed M un insieme fuzzy in X. Si dice che U `e un intorno di M se esiste un aperto A contenuto in U e contenente M , ovvero M â&#x160;&#x201A; A â&#x160;&#x201A; U . Equivalentemente si ha quanto segue: Proposizione : 1. Se A `e aperto contenente M allora `e un intorno di M ; 2. M `e aperto se e solo se `e intorno di ogni suo punto; 3. Se N `e contenuto in M , ogni intorno di M lo `e anche di N; 5. Se U `e intorno di M , ogni V contenente U `e ancora intorno di M . Vale inoltre il seguente teorema: Teorema :
Sono equivalenti:
1. U `e intorno di M ; 2. U `e intorno di ogni fuzzy punto appartenente ad M ; 3. U `e intorno di ogni fuzzy punto contenuto in M .
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Enunciamo ora un teorema che segna uno dei primi punti di divisione tra la topologia classica e quella fuzzy: Teorema : Se ad ogni fuzzy punto p di un insieme X `e associata una famiglia di insiemi U (p) verificante le seguenti propriet`a: 1. Se U appartiene ad U (p) ed U `e contenuto in V allora V appartiene a U (p); 2. Lâ&#x20AC;&#x2122; intersezione di una famiglia finita di intorni di p appartiene ad U (p); 3. Il fuzzy punto p `e contenuto in ogni suo intorno; 4. Se U `e intorno del fuzzy punto p, allora esiste un intorno V di p tale che U `e intorno di ogni fuzzy punto appartenente a V ; 5. Se U `e intorno del fuzzy punto p ed il fuzzy punto q appartiene a p allora U `e anche intorno di q. Allora esiste una ed una sola topologia fuzzy per la quale per ogni fuzzy punto p la famiglia U (p) costituisce la famiglia dei suoi intorni. La quinta propriet` a non `e presente nella definizione standard di topologia relativa agli intorni e generalizza ulteriormente il concetto di topologia nel caso fuzzy. Dâ&#x20AC;&#x2122;altra parte `e possibile considerare strutture topologiche fuzzy nelle quali la condizione 5. non `e verificata e questo assicura lâ&#x20AC;&#x2122;indipendenza della 50
condizione 5. dalle prime quattro. Una famiglia U (p) che verifica le 5 condizioni si dice sistema fondamentale di intorni relativo al punto fuzzy p. Nello spazio vettoriale Rn con la usuale norma k k si pu`o definire una palla fuzzy procedendo come segue: indichiamo con B(x, r) la palla aperta di centro x e raggio r. Dato il fuzzy punto p(x, a), consideriamo la famiglia delle funzioni g : Rn −→ [0, 1] (dipendenti da a, x ed r) con le seguenti propriet`a: 1. g(x) = a; 2. g(y) = 0 ⇐⇒ r ≤ ky − xk; 3. ky1 − xk < ky2 − xk =⇒ g(y1 ) > g(y2 ); 4. ky1 − xk = ky2 − xk =⇒ g(y1 ) = g(y2 ); 5. g `e continua in B(x, r). Se definiamo fuzzy palla di centro p(x, a) e di raggio r associata a g proprio il fuzzy set descritto dalla g, si ha che la classe di tali fuzzy palle `e base per una topologia fuzzy in Rn . Separabilit` a. Definizione : Uno spazio topologico fuzzy si dice separato se per ogni coppia p, q di punti fuzzy disgiunti (cio`e a supporti disgiunti) esistono due intorni U e V rispettivamente di p e q tali che la loro intersezione sia vuota. 51
Osservazione : `e separato.
Ogni sottospazio di uno spazio fuzzy separato
Diamo ora qualche esempio di spazio non separato. Esempio : 1. Se la topologia fuzzy `e tale che un insieme `e aperto se e solo se la sua funzione appartenenza `e costante, allora un tale spazio topologico fuzzy non `e separato; 2. Sia X = [0, 1] e la topologia fuzzy sia quella in cui gli aperti siano caratterizzati da funzioni di appartenenza crescenti. Si ha ancora che questo spazio non `e separato; 3. Sia X insieme infinito e la sua topologia fuzzy sia definita dalla famiglia dei chiusi che siano caratterizzati delle funzioni appartenenza nulle salvo un numero finito di punti (e naturalmente da X stesso). Allora tale spazio topologico fuzzy `e non separato. Poniamo ora il problema della convergenza di una successione di punti (pn ). Diamo la definizione di convergenza come segue: Definizione : Per ogni U intorno fuzzy di p esiste un indice nâ&#x2C6;&#x2014; tale che per ogni n > nâ&#x2C6;&#x2014; risulta (pn ) â&#x2C6;&#x2C6; U . Osservazione : Per ogni topologia fuzzy, se pn `e contenuto in p per ogni n, allora la successione (pn ) converge a p.
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La seguente osservazione sui valori dei punti e le relative convergenze `e ovvia. Osservazione : Se una successione di fuzzy punti converge a due fuzzy punti allora i sostegni dei due punti fuzzy coincidono ma non `e detto che coincidano i valori. Vale la proposizione che lega continuit` a e successioni, almeno rispetto alle definizioni fino a qui considerate. Proposizione : Se f `e continua e la successione (pn ) converge a p allora f (pn ) converge ad f (p). Diamo ora la definizione di punto di accumulazione. Definizione : Sia A un insieme fuzzy, p = p(x∗ , r) si dice punto di accumulazione per A se per ogni intorno U di p risulta U ∩ A(p) 6= ∅, dove A(p) `e l’insieme A con r = 0 in x = x∗ . La condizione r = 0 in x = x∗ richiama la condizione x 6= x0 nella definizione di punto di accumulazione nel caso della topologia classica. Si pu`o provare il seguente risultato: Proposizione : Sia A un insieme fuzzy e p un punto fuzzy, se esiste una successione di punti fuzzy contenuta in A e convergente a p e con sostegno definitivamente diverso dal sostegno di p, allora p `e di accumulazione per A. 53
Definizione : Uno spazio topologico fuzzy si dice di classe C 1 se ogni fuzzy punto ammette un sistema fondamentale di intorni numerabile. Compattezza. Vi sono tre definizioni di insieme fuzzy compatto in uno spazio con topologia fuzzy che sono equivalenti. Definizione : Sia (X, T ) spazio topologico fuzzy, allora definiamo X compatto se: 1. Ogni ricoprimento di X mediante aperti ammette un sottoricoprimento finito; 2. Ogni famiglia di chiusi la cui intersezione sia vuota contiene una famiglia finita con la stessa propriet`a; 3. Ogni famiglia di chiusi che abbia la propriet`a dellâ&#x20AC;&#x2122;intersezione finita ha intersezione vuota. 6 Lâ&#x20AC;&#x2122;equivalenza `e analoga a quella ben nota in topologia classica. Facciamo unâ&#x20AC;&#x2122;importante osservazione: Osservazione : Non `e detto che uno spazio topologico fuzzy finito sia compatto, per` o se Y `e un sottoinsieme ordinario di uno spazio topologico fuzzy e lo diciamo compatto se per la topologia indotta esso `e compatto, allora si ha che ogni insieme ordinario che sia anche chiuso `e compatto.
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Diamo inoltre la seguente proposizione: Proposizione : Se (X, T ) `e uno spazio topologico fuzzy separato, ed Y `e un sottoinsieme ordinario di X che sia compatto, allora per ogni fuzzy punto p che non `e contenuto in Y , esistono un intorno di Y ed un intorno di p ad intersezione vuota. Il seguente teorema, invece, trova un analogo pi` u debole nel caso della topologia classica. Teorema : Se f `e una applicazione continua tra due spazi topologici, (X, T ) ed (Y, S), e se `e suriettiva, allora se X `e compatto ne segue che Y `e compatto. Qualcosa di nuovo. Ci sono alcuni risultati non presenti in topologia standard, per ottenerli ci servono delle funzioni che misurano la confidenza che si ha rispetto a un dato insieme di informazioni. Definizione : Se A `e un insieme fuzzy (ed identifichiamo A con la sua funzione appartenenza) e se a â&#x2C6;&#x2C6; [0, 1], possiamo definire: ( 1 A(x) > a Aa (x) = A(x) altrimenti e Aa (x) =
( 0
A(x) < a
A(x) 55
altrimenti
Queste definizioni dicono che da un certo punto in poi posso assumere che i valori siano sempre pari ad 1 o sempre pari a 0 se sotto un certo livello. Queste operazioni non trovano la controparte classica e possono essere utilizzate per indagare aspetti algebrici, reticolari o per applicazioni alle scienze sociali ed umane. Diamo ora il seguente teorema che caratterizza le funzioni precedenti: Teorema : Siano A, B fuzzy sets di un insieme X. Sono veri i seguenti fatti: 1. Le due operazioni lasciano invariati sia X sia l’insieme vuoto; 2. Aa `e contenuto in A che `e contenuto in Aa ; 3. Le due operazioni sono crescenti; 4. Le due operazioni sono idempotenti; 5. C(Aa ) = (CA)1−a o anche C(Aa ) = (CA)1−a ; 6. Se a `e minore od uguale a b allora Ab `e contenuto in Aa ed `e anche (Aa )b = Aa ; 7. Se a `e minore od uguale a b allora Ab `e contenuto in Aa ed `e anche (Aa )b = Aa . Definiamo ora un importante operatore: Definizione :
Sia Op : T −→ T tale che:
1. Op(∅) = ∅; 56
2. A ⊂ Op(A); S S 3. Op ( ni=1 Ai ) = ni=1 Op(Ai ); 4. Op Op(A) = Op(A). Op si dice operatore di chiusura. Evidentemente Aa `e un operatore di chiusura e queste due funzioni definiscono topologie fuzzy duali tra di loro (basta prendere come funzioni Aa e A1−a ). Il comportamento al finito di queste operazioni tramite l’unione e l’intersezione `e standard, nel caso numerabile invece si ha: Proposizione : Data {A}i famiglia di insiemi fuzzy e a ∈ [0, 1], si ha che: S a S Ai 1. (Ai )a = 2.
T T (Ai )a = Ai a
3.
S
4.
T
Ai
Ai
a
a
⊂
S
(Ai )a
⊂
T
(Ai )a
Le definizioni e gli operatori precedentemente definiti generano naturalmente delle topologie fuzzy, posso essere spunto per lo studio di interessanti questioni. In particolare considerata la seguente definizione, Definizione : Sia (X, T ) uno spazio topologico fuzzy su un insieme X. Se abbiamo due altri spazi topologici (X, U ) e 57
(X, V ), diciamo che questi costituiscono una decomposizione di (X, T ) se esiste a in [0, 1] per cui U coincide con la topologia data da Aa e V coincide con la topologia data da A1−a . Si possono ottenere i seguenti problemi: 1. Esempi o classi di spazi topologici che ammettono decomposizioni; 2. Esempi di spazi topologici che non ammettono decomposizioni; 3. Decomposizioni equivalenti pur se effettuate con parametri differenti. Alcuni di questi problemi sono gi` a stati indagati e le precedenti definizioni hanno avuto applicazioni concrete. Problemi da indagare. Una linea di indagine ancora non molto chiaramente sviluppata nell’ambito della teoria fuzzy sembra essere uno studio sistematico del concetto di “numero fuzzy”. In letteratura sono sviluppati vari concetti di “numero fuzzy” modellati secondo l’applicazione concreta del problema studiato. Forse sarebbe opportuno auspicare uno studio astratto in cui far confluire le idee dell’analisi matematica e quelle della teoria fuzzy.
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IV Introduzione alla logica 20-21-22 Aprile 2015
Prof. Antonio Di Nola
Logica proposizionale. Le idee di logica e logicit`a rappresentano nella mente degli uomini un concetto implicito, come insito in noi. Ma evidentemente non `e semplice formalizzarlo, n´e tanto meno poterne dare una definizione completa e rigorosa in poche semplici parole. Intuitivamente, per`o, la concezione comune di logica sembra essere legata in maniera diretta alla Verit`a. Soprattutto in matematica. Chi non crederebbe alla verit` a del Teorema di Pitagora, ad esempio. Dovuta in modo particolare alla possibilit`a di accertare la sua valenza, di provarla e verificarla grazie alla dimostrazione matematica. Ci iniziamo, pertanto, ad imbattere in “enti matematici” sempre pi` u specifici e connessi all’idea intuitiva di Verit`a. I risultati della matematica sono chiaramente veri, quindi. Evidenziando sempre maggiormente la stretta relazione che lega la logica alla verifica, all’accertamento. Diviene necessario formalizzare queste chiare linee guida 59
grazie ad una teoria che ce ne garantisca il funzionamento effettivo. Potremmo dire, pi` u semplicemente, sentiamo il bisogno di lavorare su di una matematica della Verit`a, tanto quanto l’aritmetica lavora sulla matematica dei numeri. Questa `e la logica. Iniziamo con il raccogliere quattro punti essenziali per definire una logica di tipo formale: 1. La Verit`a, come ente filosofico insito nel metodo matematico; 2. La dimostrazione, come idea fortemente intuitiva ma chiara. Che prevede, molto semplicemente, una serie di passaggi da provare per raggiungere la verit`a matematica cercata sotto forma di Teoremi10 ; 3. Il linguaggio, che utilizziamo per definire ci`o che vogliamo provare; 4. Il significato, che da un effettivo senso al linguaggio. Verit` a. Come in un Tribunale, `e noto lo stretto legame tra verit`a e linguaggio. Potremmo dire, pertanto, che la Verit`a “si dice” e “non si dice”, mettendo un accento particolare sul significato che diamo al linguaggio utilizzato. Pur non approfondendo la questione filosofica sulla Verit` a11 `e necessario porre 10
Osserviamo che la Verit` a di un Teorema esiste a prescindere dalla sua dimostrazione. Ad esempio, il Teorema di Pitagora esiste al di l` a del fatto che sia stato dimostrato. Questo “ente matematico” rappresenta una sorta di convinzione universale della valenza del Teorema citato. 11 Che da questo momento indicheremo con la lettera minuscola, in quanto verit` a fisica e non filosofica.
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delle condizioni primarie concordate che ci permettano di intraprendere un ben pi` u ampio discorso formale. Osserviamo a tal proposito, che la verit` a riguarda sicuramente le espressioni ma solo alcune di queste. Non `e possibile, ad esempio, affermare se una frase del tipo “Domani piove?” `e vera oppure falsa, o analogamente con “Vieni subito qui!”. L’“aggettivo12 ” vero o falso possono essere considerati solo per affermazioni. Si nota, inoltre, che la negazione di un’espressione implica direttamente un cambiamento del suo valore di verit` a. Basandoci semplicemente su queste brevi annotazioni potremmo gi`a poter lavorare sui questionari di tipo binario, dove ci si interroga esclusivamente su due possibili risultati o valori di verit`a di ogni asserzione. O pi` u sul pratico, possiamo lavorare su una logica molto lineare che definiremo “la logica dei semafori”: immaginiamo di trovarci in un parcheggio con un semaforo che ci indica grazie al colore verde e al colore rosso la possibilit`a di parcheggiare o meno. Un esempio concreto, quindi, che ci permetta di estrarre l’interno della questione, studiando la funzione e la funzionalit` a di una logica bivalente. Linguaggio. Partiamo anche in questo caso dal concreto. Tutti conosciamo come funziona una tastiera, l’abbiamo vista e sappiamo che i caratteri su di essa ci permettono di comunicare. Nel caso formale, l’insieme di caratteri da combinare viene definito un alfabeto, ed `e del tipo: {Pj }j∈N = {P1 , P2 , . . . } 12
Per ora ci limitiamo a considerarlo un “aggettivo” dell’espressione.
61
I suoi elementi vengono definiti variabili proposizionali e ci permettono di esprimere delle stringhe pi` u lunghe di concetti, grazie soprattutto alla possibilit` a di legare pi` u elementi con dei connettivi chiamati anche simboli binari. Ad esempio: ∧
∨
¬
Detti rispettivamente and, or e not. La prima osservazione importante che possiamo fare riguarda la combinazione di variabili proposizionali e connettivi. Questa genera un’algebra molto simile a quella dei polinomi, tra i quali consideriamo solo una classe ristretta. Nel nostro caso, non tutte le combinazioni hanno un senso (o un significato) come avviene nelle lingue comuni. Ad esempio, `e chiaro a tutti che la parola “qrts” sicuramente non appartiene alla lingua italiana in quanto non `e possibile reperirla sul vocabolario e non rispetta le regole grammaticali note. Analogamente, poniamo tre condizioni: 1. Pj `e una parola; 2. Una stringa `e del tipo Pj ∧ Pi o Pj ∨ Pi o ¬ Pj , dove Pj , Pi sono parole; 3. Ogni stringa si ottiene della composizione finita di parole. ` possibile introdurre ulteriori simboli, ma gi`a con queste apE parentemente povere nozioni abbiamo un esempio di matematica. Formalmente, diamo vita ad un’aritmetica che possa combinare le variabili proposizionali come sopra. Dove le 62
stringhe appartengono ad una famiglia ω di elementi. E siamo riusciti a decontestualizzare il concetto di logica e verit`a rendendolo meramente formale. Come `e evidente nel caso dei messaggi di testo che inviamo quotidianamente. Significato tipo:
Ma cosa significa effettivamente una stringa del
¬ (P3 ∧ P5 ) Il linguaggio da solo non ci permette di trasmettere alcun tipo di messaggio, il vero significato delle stringhe non `e affatto insito nel linguaggio, `e pertanto fondamentale rendere esplicito questo problema. Il significato `e qualcosa di cui il linguaggio si fa solo “portavoce”, ma che non lo caratterizza in maniera univoca. Basti pensare che una negazione non va a modificare la stringa di per s´e, ma il significato che il mittente ed il desti` necessario dare un senso alle formule, natario danno ad essa. E che rispecchia l’analogo della valutazione di un polinomio in determinato contesto come un reticolo o un anello. Si suddivide l’atto della comunicazione in generale (a prescindere che esso sia di logica formale o meno) in due “enti” fondamentali: la sintassi e la semantica. Per sintassi intendiamo la forma, il linguaggio, le stringhe utilizzate, mentre con la semantica andiamo a cercare il significato delle “fredde parole”, dandone un senso. Matematicamente, `e come se avessimo una funzione valutazione dall’insieme di tutte le formule di 63
un linguaggio in un insieme binario, ad esempio nell’insieme {0, 1}.13 Forniamo un esempio. Consideriamo la parola P1 , `e questa vera o falsa? Non possiamo affermarlo direttamente, per`o `e possibile accertare che esiste una valutazione di questa parola (o stringa) nell’insieme binario sopra definito, pertanto `e sempre valido associare uno dei due valori ad essa. Indicando, pertanto, la funzione valutazione con il simbolo X si afferma che: ( 1 se vera X(P1 ) = 0 se f alsa Evidentemente anche il polinomio o la stringa (P1 ∧ P2 ) ha un suo valore di verit` a. Per definire le regole della semantica `e pertanto utile sfruttare le tavole di verit` a, di cui portiamo alcuni esempi: A F V
¬A V F
A F F V V
B F V F V
A∧B F F F V
A∨B F V V V
A⊃B V V F V
A≡B V F F V
I primi risultati di questa teoria sono: 1. La matematizzazione del concetto di Verit`a; 13
La definizione rimane stabile ed equivalente se anzich´e studiare le formule con valutazione 0 o 1, le valutassimo con i simboli X o × oppure ancora con Vero e Falso. Infatti, tutti gli insiemi di cardinalit` a 2 sono isomorfi sotto questa visione.
64
2. La semplicit` a delle funzioni utilizzate. ` quindi sempre attuabile una valutazione del valore di verit`a E di ben pi` u grandi stringhe di quelle prese in esempio, a partire da semplici input inseriti in qualsiasi calcolatore. Tautologie. Chiamiamo tautologia un’espressione sempre vera, per ogni variabile proposizionale dell’alfabeto. L’insieme delle tautologie, che indichiamo con T , rappresenta una filosofia sempre vera e identifica la verit` a matematica. Volendo rappresentare con i diagrammi di Eulero-Venn si avrebbe:
Ad esempio, l’espressione X Pj ∨ ¬Pj = 1 ∀ j ∈ ω Al contrario di X ¬ Pj ∨ ¬Pj = 0 ∀ j ∈ ω Ma come riconoscere una tautologia? Osserviamo che la funzione valutazione `e pari ad 1 costantemente, ma esiste un algoritmo per controllare se una formula `e una tautologia o meno? Questo problema `e anche noto come problema di decidibilit` a. La risposta `e affermativa, basta valutare banalmente la sua tavola di verit`a che, come ci aspettiamo, deve valere sempre 1. 65
Dimostrazione. Ultimo aspetto fondamentale nello studio primitivo della logica matematica `e quello della dimostrazione. ` necessario, a tal proposito, poter controllare e manipolare E con questi pochi mezzi anche questo importante ente. Chiaramente, abbiamo intuito che la dimostrazione di un teorema matematico `e composta da un numero finito di passaggi che ci permettono di dedurre una propriet` a P (ad esempio) da alcune verit`a di base. Intervengono, quindi: la verit`a degli assiomi iniziali e le regole del ragionamento. Pi` u nello specifico, 14 analizziamo lo schema della dimostrazione : 1. Ax. Indichiamo con Ax l’insieme degli assiomi che scegliamo dall’insieme delle formule. Si noti, che `e preferibile scegliere sempre delle tautologie tra gli assiomi, in modo da accertare la verit` a dei primi passi della nostra verifica; 2. Regole di deduzione. Il modus ponens rappresenta il mez` necessario, zo primario e indispensabile per lavorare. E per questo, definire un nuovo connettivo che indicheremo con → e che fa le veci dell’implicazione logica nelle comuni dimostrazioni matematiche. Semplicemente, possiamo definire una tavola di verit`a per questo nuovo connettivo, che ci permetta formalmente di dedurre nuove formule (vere) dagli assiomi di base; 14
La dimostrazione diviene pertanto, un ente matematico al pari della dimensione di uno spazio vettoriale o dell’ideale di un anello, all’interno della logica formale.
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` la conclusione dello schema dimostrativo e 3. Teorema. E rappresenta una verit` a dimostrata. Dove per dimostrata intendiamo deduzione logica (tramite il modus ponens) di risultati sempre pi` u vicini al teorema, partendo dagli assiomi. Formalmente: A1 , A2 , . . . , An , An+1 dove Ai sono assiomi (se presi inizialmente nell’insieme Ax) o formule che provengono da questi e An+1 `e il teorema dimostrato. Definiamo ora l’insieme dei Teoremi dimostrati detto insieme dei teoremi formali e lo indichiamo con T . Ci chiediamo, esiste una sorta di isomorfismo o di comportamento similare tra l’insieme T delle tautologie e l’insieme T dei teoremi formali? Se cos`ı fosse si avrebbe un paradiso della logica formale. Effettivamente: Teorema di completezza : Tutte le tautologie sono teoremi formali e tutti i teoremi formali sono tautologie. Osserviamo direttamente che la seconda affermazione `e chiaramente vera, la prova sorprendente (al contrario) si trova nella prima. Inoltre, `e curioso notare come questo teorema “fuoriesca” dalla teoria appena descritta, come se lavorasse su di essa. A tal proposito, `e definito un metateorema. Conseguenze. Notiamo, concludendo, che se A `e una formula della nostra teoria `e sempre possibile associarle una tavola di verit`a. Pertanto, esiste sempre una funzione (detta 67
booliana dal nome del matematico inglese Georg Boole) che associa ad una formula un valore di verit`a, che pu`o essere rappresentata come segue:
Si crea, cos`ı, una mappa dall’insieme delle formule nell’insieme delle funzioni booleane. Teorema :
Si prova che:
1. La mappa non `e iniettiva. Infatti, esistono formule con la stessa funzione booleana; 2. La mappa `e suriettiva. Queste due asserzioni concludono che una funzione booleana pu`o essere identificata con pi` u formule, come delle “targhe” che la identifichino, ma `e possibile formalmente costruire un algoritmo (detto delle forme semplici ) che associ ad ogni funzione booleana un solo elemento della classe di equivalenza delle contro immagini. Pertanto, la logica proposizionale si presta appieno nello sviluppo di software informatici, che non sono altro che pro68
grammi, cio`e stringhe di codici, cio`e proprio funzioni booleane. Esse sono rappresentate in maniera univoca da una serie di valori binari, come `e ben noto ai programmatori, che permettono di generare tutta la tecnologia che ci circonda, dai circuiti elettrici a quelli informatici. Logica predicativa. Andiamo ad approfondire la questione della Logica come “Teoria della Verit` a”, arricchendo il povero linguaggio che abbiamo costruito grazie alla semantica introdotto dal logico polacco Tatzij, anche nota come Logica della quantificazione15 . Partiamo da un esempio: “Ogni uomo `e immortale, Socrate `e un uomo, allora Socrate `e immortale” Al contrario della logica proposizionale tutte le parole hanno una struttura particolarmente rilevante. Identifichiamo, nello specifico, un quantificatore nella parola “ogni” e delle variabili tra di loro omogenee, come la parola “Socrate”. Si riscontrano facilmente, infine, delle propriet` a, come quella di essere “immortale”. Potremmo pertanto ridurre la frase come segue: “ ∀ uomo P, x `e uomo, allora x `e P ” Abbiamo cambiato le variabili, generalizzato le propriet`a e formalizzato i quantificatori. Stiamo lentamente costruendo una struttura sempre pi` u astratta. Nel complesso si avranno: un 15
Spesso tale parte della logica viene trattata anche in ambito filosofico.
69
nuovo linguaggio, delle nuove formule e nuove relazioni tra teoremi, dimostrazione e deduzione. Linguaggio. Consideriamo l’insieme delle variabili {vi }i∈N dette variabili individuali, per focalizzare l’essenza di possibili individui come Socrate, Platone o un qualsiasi uomo nel nostro esempio. Valutiamo, poi, l’insieme delle propriet`a {Pi }i∈N che sono dette singolarmente lettere predicative e quello dei connettivi e quantificatori come ∀, ∃, ∧, ∨, =. Osserviamo che le coppie formate da quantificatori e/o connettivi con le variabili hanno senso solo se giustapposte. Nel complesso questi continuano a rappresentare semplici simboli posti all?interno della nostra tastiera. Formule. Definiamo, ora, parola atomica la pi` u piccola parte del linguaggio che pu` o essere della forma: Pj (v1 , v3 , v7 , v13 ) Notiamo che, come gi` a accennato in precedenza, esiste una regola concordata per indicare il numero di variabili di ogni propriet`a o la forma per scriverle. Definiamo, inoltre, un nuovo simbolo che, molto chiaramente, definiremo “doppia sbarra orizzontale” e che si indicher`a con = . Attenzione, questo non `e il nostro simbolo di uguale, non rappresenta la nostra idea di uguaglianza, `e solo un simbolo. Per brevit` a potremo pertanto dire: v1 = v5 70
Possiamo, infine, applicare pi` u connettivi e quantificatori tra propriet`a e variabili in maniera giustapposta: P1 ∧ P2
P1 ∨ P2
P1 → P2
(∃ v3 )P7
Queste vengono definite parole, e si generano con un numero di regole per i connettivi e variabili finitarie. Anche ora abbiamo costruito un linguaggio puramente formale. Assiomi, Deduzioni, Teoremi. logici singolarmente:
Analizziamo questi enti
` possibile scegliere singolarmente e fisicamen1. Assiomi. E te degli assiomi, compromettendone chiaramente la teoria a cui diamo origine. Ad esempio se decidiamo di prendere per assioma una formula che utilizza il quantificatore “∀00 dobbiamo essere “pronti” a far vale quella formula in ogni caso specifico. Questi assiomi descrivono il comportamento delle formule in maniera generale, ad esempio se scegliamo di utilizzare il simbolo = come nelle teorie matematiche moderne `e necessario lavorare in maniera analoga al valore di uguaglianza, seppur ancora privo di una effettiva interpretazione. Quella dell’uguaglianza rappresenterebbe una esclusiva codifica del simbolo. 2. Deduzione. Anche in questo caso abbiamo come mezzo di deduzione il modus ponens ma ad esso si affianca un metodo di generalizzazione. La formalizzazione di tale 71
ϕ , cio`e se proviamo una formula ϕ per (∀ v)ϕ una generica variabile v allora la propriet`a ϕ vale (∀ v). metodo `e
Un linguaggio di questo genere viene detto linguaggio del primo ordine, poich´e si quantifica esclusivamente sulle variabili individuali. Un esempio di formula nel linguaggio del primo ordine pu`o essere: ∀ x1 , x2 , x3
(x1 + x2 ) + x3 = x1 + (x2 + x3 )
Linguaggi di questo tipo possono essere utilizzati ad esempio per descrivere le propriet` a di gruppo, che sono evidentemente del primo ordine: 1. ∀ x1
(0 + x1 = x1 = 0 + x1 );
2. ∀ x1 , x2 , x3 (x1 + x2 ) + x3 = x1 + (x2 + x3 ); 3. ∀ x1 ∃ x2 (x1 + x2 = 0) . Come gi`a visto, questo rappresenta un esempio di formalizzazione del concetto di gruppo ma non assume affatto un valore di gruppo come entit` a algebrica, l’idea di struttura algebrica `e ben lontana. La macchina che abbiamo costruito ci permette di introdurre sempre nuovi assiomi pi` u specifici, come nel caso della teoria dei gruppi, originando in maniera diretta nuovi teoremi e nuove deduzioni, pur lavorando solo in maniera formale. Verit` a di una formula. Ma cosa significa, allora, dire che una formula `e vera? In questo breve paragrafo studieremo cosa significa studiare una formula logica. 72
Un esempio: “La neve `e bianca” Per il filosofo e matematico Tartzij una formula `e vera se c’`e una corrispondenza effettiva tra ci` o che si dice e ci`o che `e. Matematicamente, questo significa che, dato un ambiente X, deve esistere un oggetto di tale ambiente ed una propriet`a verificabile in tale ambiente che `e effettivamente verificata sull’oggetto. Possiamo, per` o, intuire che tale definizione non `e pienamente esaustiva nel nostro linguaggio, seppur ci permette di comprendere al meglio l’idea di verit` a. Esistono, infine, esempi di formule che non ha senso dire se sono vere o false, ad esempio: x<y Se, invece, diciamo su R che: ∀ x, ∀ y
x<y
`e facile provare che in tale ambiente la formula precedente `e falsa. Diamo, allora, una definizione pi` u concreta: Definizione : Data una struttura relazione A = X, {Rn }n , dove X `e un insieme e {Rn }n `e un insieme di relazioni, una frase si dice vera se: R(xi , xj ) vale 1 Nello specifico pu` o essere: 73
R3 (x1 , x3 ) =
( 0 1
Tale definizione `e stata riconosciuta valida da meno di cento anni, nella Teoria della Verit` a di Tartzij. Secondo questa, per`o, formule uguali possono non valere in universi differenti. Quindi: v1 = v2 `e vera se si specifica lâ&#x20AC;&#x2122;ambito di valenza, cio`e lâ&#x20AC;&#x2122;universo dove si lavora. Ad esempio, fissando un assegnamento del tipo: = identifica il nostro comune concetto di uguaglianza e gli ambienti a1 = 1, 2, 3, 4 e a2 = 2, 2, 3, 7, 5 `e chiaro capire che la formula suddetta `e vera sono nel secondo caso e non nel primo. Per concludere esistono formule che valgono in ogni assegnazione, come ad esempio: v1 = v1 In questo caso, tali formule vengono dette sentenze universalmente valide, che corrispondono nella logica proposizionale alle tautologie. Nel concreto, (e banalmente) una sentenza universalmente valida nella teoria dei gruppi `e rappresentata da uno degli assiomi che li caratterizzano. Teorie. Le teorie che si generano da assiomi sono dette del primo ordine se gli assiomi specifici agiscono esclusivamente nelle variabili. Formuliamo un esempio. Consideriamo la teoria T 1 con i seguenti assiomi: 74
1. ∀ x1
¬(x1 < x1 );
2. ∀ x1 , x2 , x3
(x1 < x2 ) ∧ (x2 < x3 ) → (x1 < x3 ) ;
3. Assiomi logici universali. Dato un insieme X dotato di ordine stretto vale chiaramente T 1. Una struttura relazionale in cui valgono degli assiomi di una teoria si dice modello. Ma per quali modelli vale questa teoria? E pi` u generalmente: Quanti modelli vi sono per una teoria data? Se questo modello fosse unico si dice che la famiglia di assiomi assiomatizza banalmente la teoria di cui `e modello. Ma ancora: per ogni modello esiste una teoria? E per ogni ` sempre possibile trovare teoria esiste un relativo modello? E una lista di assiomi di un modello dato? Ci`o significherebbe trovare un’assiomatizzazione del primo ordine di questa teoria, ma se questo non fosse possibile allora il modello si direbbe non assiomatizzabile al primo ordine. A esempio, consideriamo i numeri reali e i numeri razionali, non esiste chiaramente una formula valida nei razionali ma non nei reali al primo ordine. Infatti, non esiste alcuna distinzione del primo ordine tra gli insiemi e gli assiomi relativi. Ma come lavora la Teoria delle Teorie (cio`e la Logica formale) su una specifica teoria? Visitiamo, in particolare, la Teoria formale dell’aritmetica nella sua presentazione formale, esposta da Peano. Ma anzitutto, cos’`e un numero naturale? 75
Bisogna considerare che secondo Giuseppe Peano era necessario esclusivamente trattare la questione dell’aritmetica dal basso, definendone in maniera lineare tutte le sue conseguenze pi` u complesse16 . Concordiamo su alcuni assiomi dei naturali detti Assiomi di Peano: 1. 0 `e numero naturale17 ; 2. Se x `e naturale, allora esiste un altro naturale x0 successore di x18 ; 3. 0 non `e successore di alcun naturale19 ; 4. Se x0 = y 0 allora x = y; 5. Se Q `e una propriet` a dei numeri naturali, con 0 avente la propriet`a Q e se Q valente per x implica Q valente per x0 , si ha che Q vale per tutti i naturali20 . Tutte le dimostrazioni che possono essere direttamente o indirettamente dedotte da questa assiomatizzazione sono dette dell’aritmetica di Peano. ` necessario, per` E o, aumentarne il rigore. Ad esempio, esiste un altro modello in cui vale tale teoria formale, non soltanto 16
Osserviamo che Peano non era a conoscenza del Teorema di Godel. Ne affermiamo effettivamente l’esistenza, senza definirlo. Nello specifico stiamo affermando che l’insieme N non `e vuoto. 18 Deduciamo che N `e infinito. 19 Esso rappresenta l’inizio, che implicher` a il futuro buon ordinamento dell’insieme. Si osservi che il senso dell’insieme rimane invariato se considerassimo come elemento iniziale il numero 13. 20 Quest’ultimo assioma `e detto principio di induzione. 17
76
quello dell’aritmetica dei naturali. Si pu` o provare, infatti, che tale assiomatizzazione ha pi` u modelli, pertanto `e un numero naturale qualsiasi ente che rispecchia questa teoria. Consideriamo le classi di equivalenza di successioni quasi ovunque uguali, cio`e uguali a meno di un numero finito di punti. Questo rappresenta un modello non standard di numeri naturali, in cui provare teoremi formali significa provare teoremi ancora validi nel modello comune dei naturali. ` Ma tale sistema `e coerente? Cio`e non contraddittorio? E possibile provare al contempo A e ¬A? Il sistema ha coerenza banalmente, infatti, se non valesse nella teoria non potrebbe tanto meno valere nel singolo modello. In questo caso `e sempre possibile trattare tale teoria all’interno della teoria stessa. Per generalizzare: Teorema di Godel : La prova o la controprova della coerenza di un sistema non si pu` o effettuare all’interno della teoria stessa. I teoremi formali hanno pertanto dei limiti. Questo rappresenta un concreto contributo della Logica alla matematica. Posso, infatti, studiare in maniera pi` u consistente e nel profondo la matematica. La distinzione dei modelli si ha, quindi, ammettendone la raffinatezza: pi` u sono gli assiomi e pi` u l’analisi `e fine. Se considero, quindi, l’esistenza di una propriet`a P che possa essere al contempo provata come vera e falsa, ho raggiunto nel concreto l’incompletezza di una teoria.
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â&#x20AC;&#x153;...Per gettare un ponte tra la continuit` a del nostro concetto di tempo e a discontinuit` a intrinseca del concetto di numero, lâ&#x20AC;&#x2122;uomo dovette una volta di pi` u ricorrere a quella facolt` a della mente che si rivela capace di concepire il ripetersi allâ&#x20AC;&#x2122;infinito dello stesso atto solo che per una volta tale atto sia stato possibileâ&#x20AC;? T. Dantzig
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V Costruzione dei numeri reali 7 Maggio 2015
Prof.ssa Elisabetta Mangino
Numero e misura. Il concetto di numero rappresenta uno ` degli argomenti cardine della matematica, a ragion veduta. E unâ&#x20AC;&#x2122;idea, seppur formalizzata molto pi` u tardi, che ha una storia pari quasi a quella dellâ&#x20AC;&#x2122;uomo. Si pensi che i primi ad utilizzare il concetto di numero furono gli uomini della preistoria, che lo utilizzavano per contare. Formalmente, contare significa rappresentare le quantit` a di elementi (considerati indivisibili) di un insieme. Per questo risulta ovvio dover lavorare con numeri che si prestino facilmente ad operazioni di tipo insiemistico, come i numeri Naturali. Lo sviluppo economico delle attivit`a umane porta, per` o, a dover introdurre nuove tipologie di numeri, come quelli negativi. Si pensi alla rendicontazione, al concetto finanziario di dare e avere e al debito. Ancora dopo, infine, si sviluppano i numeri da â&#x20AC;&#x153;dividereâ&#x20AC;?, con delle quantit`a da considerare e altre da tralasciare, nascono le frazioni e i numeri razionali. Tutti questi insiemi, pur essendo contenuti 79
l’uno nell’altro, hanno in comune la sensazione di possedere chiara in mente l’idea pressoch´e finita e completa del numero che valutiamo. Con l’avvento dell’agricoltura nasce una differente necessit`a: diviene indispensabile misurare l’ampiezza dei campi, misurare le strade, valutare grandezze che nella matematica moderna definiremo continue21 . Nell’atto del misurare, invece, si identifica un confronto tra grandezze. In particolare, si confronta la grandezza in esame con quella di un ente gi`a noto, prefissato. Attualmente sono considerati grandezze “fissate” le unit`a di misura internazionali, utili per la comunicazione dei ` facile osservare che dati anche tra lingue e culture differenti. E le grandezze oggetto della misurazione sono ben diverse dagli elementi di un insieme: sono divisibili infinite volte. Presi due valori, infatti, `e sempre possibile considerare un terzo che possa essere maggiore di uno e minore dell’altro. In ovvio contrasto con i numeri Naturali, queste grandezze si prestano ad essere un continuo di possibilit` a. Ma si pone chiaro un quesito: cosa significa passare da discreto (o finito) a continuo? ` proprio qui che io vedo la genesi del conflitto tra “E l’intuizione geometrica, da cui derivano i concetti fisici, e la logica dell’aritmetica. L’armonia dell’universo non conosce che una forma musicale, il legato, mentre la sinfonia del numero non conosce che il suo opposto, lo staccato. 21
Tale concetto non verr` a mai esplicitato nella nostra trattazione, al contrario lo considereremo come un concetto “insito” e chiaro, simile a quello di pienezza tra misure.
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...Per gettare un ponte tra la continuit` a del nostro concetto di tempo e la discontinuit` a intrinseca nel concetto di numero l’uomo dovette una volta di pi` u ricorrere a quella facolt` a della sua mente che si rivela capace di concepire il ripetersi all’infinito dello stesso atto solo che per una volta tale atto sia stato possibile” T. Dantzig Breve storia del numero. Per i matematici preellenici, come gli egiziani e i babilonesi, il concetto di numero era ben chiaro. In Egitto si studiarono per la prima volta le formule delle aree delle figure geometriche elementari e i volumi dei solidi pi` u “naturali”, si studi` o il cerchio, la circonferenza e con essa il pi greco, ottenuto dal rapporto tra lunghezza della circonferenza e quella del raggio. Era pertanto necessaria l’introduzione delle prime quantit` a intese come risultato di una ripartizione o di una divisione di un ente: si introdussero le prime frazioni, seppur con molte restrizioni formali22 . Con esse si svilupp`o il concetto di sottomultiplo e di infinit`a divisibilit`a di ` curioso pensare, invece, che i babilonesi alcune grandezze. E fossero gi`a al corrente del π e che ne conoscevano una prima approssimazione e che erano grandi fruitori del teorema di Pitagora. Paradossalmente, per` o, Pitagora nacque diversi anni dopo e dette presto vita ad una scuola filosofica di pensiero 22
Venivano considerate le frazioni come somme di frazioni aventi al numeratore il numero 1, o al pi` u veniva considerata essenziale la frazione 2/3
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basato ampiamente sulla matematica, il cui motto era “Tutto `e numero”. Non numeri qualsiasi, bens`ı proprio numeri interi (o ad essi riconducibili), che rappresentano l’esaltazione del discreto, tralasciando la possibilit` a di avere misure “continue”. Con la scuola Pitagorica si raggiunge al contempo la massima esaltazione ed il crollo della matematica delle quantit`a discrete, utilizzate perfino per le grandezze geometriche di aree e volumi ed in una nuova teoria dei rapporti di numeri interi, di cui fanno parte le proporzioni. Per Pitagora le frazioni erano definite come semplici rapporti tra interi sempre commensurabili, cio`e: a : b = c : d ⇐⇒ ∃ m, n, p, q t.c.
a = mp b = mq c = np d = nq
Per assurdo, fu proprio la scuola di Pitagora a svelare l’esistenza di grandezze numeriche non commensurabili, come √ 2. Questo esempio ha accertato filosoficamente e matematicamente l’insufficienza della teoria basata sui soli Naturali. L’incommensurabile, scoperto grazie allo stesso teorema di Pitagora applicato ad un triangolo rettangolo isoscele, aveva segnato la fine di una concezione matematica e filosofica fortemente razionale23 . Pur di evitare, pertanto, concetti eccessivamente complessi e che facilmente avrebbero portato a contraddizione, come l’infinito e il continuo, i greci intrapre23 `
E doveroso osservare che secondo alcuni linguisti il concetto di ragione (ratio in latino) e quello di divisione vengono identificati con lo stesso termine come se mantenessero l’idea pitagorica di numero intero come mattone del nostro universo.
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sero una strada ben differente, basata su grandezze astratte e verit`a geometriche assolute. Uno dei pi` u importanti geometri greci fu Eudosso, egli faceva parte dellâ&#x20AC;&#x2122;Accademia di Platone e fu il fautore della Teoria delle proporzionalit` a. Questa viene ripresa allâ&#x20AC;&#x2122;interno de Gli Elementi di Euclide, nel libro V. Euclide utilizzava, come gi`a discusso precedentemente, delle definizioni per introdurre le sue teorie, in questo caso precis` o: I. Una grandezza `e parte di una grandezza, la minore della maggiore, quando essa misuri la maggiore (sottomultiplo); II. La grandezza maggiore `e multipla di quella minore, quando sia misurata dalla minore; III. Rapporto (in greco, logos) fra due grandezze omogenee `e un certo modo di comportarsi rispetto alla quantit` a; IV. (Postulato di Archimede) Si dice che hanno rapporto le grandezze le quali possono, se moltiplicate, superarsi reciprocamente. In termini moderni: date le grandezze A e B esiste m numero naturale tale che Am > B Nelle prime definizioni del libro V si pu`o ben osservare come il rapporto sia stato s`Äą definito, seppur in maniera futile e scarna, quasi banale. In realt`a, Euclide si sofferma a definire le classi di grandezze omogenee che 83
possono essere confrontate senza soffermarsi a trattare la questione del continuo. Unica espressione di questo fenomeno resta (e lo sar` a per tutta la matematica greca) il postulato di Archimede che sembra gettare, anche solo intuitivamente, le basi ad una teoria tutt’altro che discreta. La definizione 5 dice: V. Si dice che [quattro] grandezze sono nello stesso rapporto, una prima rispetto ad una seconda ed una terza rispetto ad una quarta, quando risulti che equimultipli della prima e della terza [presi] secondo un multiplo qualsiasi, ed equimultipli della seconda e della quarta [presi pure] secondo un multiplo qualsiasi, sono gli uni degli altri, cio`e ciascuno dei due primi del suo corrispondente fra i secondi, o tutti e due maggiori, o tutti e due uguali o tutti e due minori, se considerati nell’ordine rispettivo. Detto pi` u chiaramente si introduce la proporzione, rendendola una mera definizione di grandezze commensurabili: A, B commensurabili ⇐⇒ ∃ m, n, P t.c.
A = nP B = mP
e tralasciando totalmente la trattazione delle grandezze incommensurabili. Infine, Euclide definisce le grandezze proporzionali: VI. Grandezze che hanno lo stesso rapporto si dicono proporzionali. 84
Seppur molto lontano dallâ&#x20AC;&#x2122;ampio dibatto degli inizi del 1900 sulla definizione dei numeri reali, la teoria di Eudosso (ripresa da Euclide) rappresent` o per diversi matematici la pietra miliare su cui basare la costruzione di R, soprattutto per alcune specifiche osservazioni riguardanti classi di frazioni minori o maggiori di una frazione scelta. Per sintetizzare i suoi risultati possiamo notare che se A e B sono grandezze commensurabili, allora esistono sicuramente due numeri interi m, n ed una grandezza P per cui: A = mP
B = nP
Viceversa, se due grandezze A e B sono incommensurabili (per questo studiato da Eudosso e rivisto con un formalismo moderno) la definizione V divide lâ&#x20AC;&#x2122;intero insieme dei numeri razionali in due sottoinsiemi:
m
m A m
m A L= < e U = > n n B n n B dove ogni elemento di L `e sicuramente minore di ogni elemento di U 24 . Questâ&#x20AC;&#x2122;idea, per` o, verr` a totalmente abbandonata fino agli inizi del secolo scorso, in quanto la ricerca e lo sviluppo scientifico verteranno in ambiti di lavoro ben differenti. Si pensi che nel secolo XIII gli Arabi, che avevano introdotto nellâ&#x20AC;&#x2122;Occidente il sistema numerico posizionale, fecero del 24
Il lettore potr` a notare una fortissima affinit` a tra questo risultato e la definizione di sezione di Dedekind, fondamentale al termine della lezione per la definizione di numero reale.
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discreto un elemento cardine per i propri scambi commerciali, introducendo l’Algebra tra le materie di studio pi` u avanzate e trattando grandezze non sempre commensurabili ma senza alcuno specifico interesse. Nel secolo XVI si introdussero le equazioni di un generico grado n, spostando l’attenzione sulla ricerca delle radici n-esime di un polinomio che, non essendo sempre numeri interi o razionali, venivano definite numeri surdi (o pi` u chiaramente assurdi) e non venivano dotate di una effettiva identit`a matematica. Con l’avvento del XVII secolo e lo sviluppo della geometria analitica grazie a Ren´e Descartes e a Fermat si fa strada una nuova visione della matematica e soprattutto dell’analisi; un discorso seppur prematuro ma fondamentale per la ricerca nel campo dello studio di funzione e del calcolo differenziale. Quest’ultimo fu considerato l’emblema del secolo successivo soprattutto per l’applicabilit`a fisica che ne concerneva. Questa nuova matematica, che era la geometria analitica, si basava sull’interessante possibilit`a di trovare una corrispondenza univoca tra equazioni della forma f (x, y) = 0 e curve sul piano cartesiano. Pi` u in seguito, inoltre, il calcolo differenziale di Newton e Leibnitz permise di associare a queste curve un significato fisico, come quello del moto, introducendo il concetto di derivata25 . Comune denominatore di questo periodo resta l’indifferenza verso la ricerca di un’identificazione pi` u profonda di queste realt`a geometriche continue sul piano e nello spazio. 25
Si rimanda alla lezione “Analisi non Standard del Prof. R.Ferro” su questo stesso manuale.
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In seguito: Euler, D’alembert, Bernoulli, Fourier, Lagrange, Laplace sviluppano il calcolo verso le serie di funzioni, la variabile complessa, le equazioni differenziali, etc., con una serie impressionante di successi basati su un calcolo puramente formale tramite i differenziali con una sconcertante disinvoltura nell’uso di operazioni su enti infiniti ‘in analogia’ con le analoghe operazioni sugli enti finiti. La disinvoltura appare meno sconcertante se si osserva che i problemi di natura fisica da cui essi partivano consentivano quasi sempre tale analogia, e la visualizzazione geometrica era in genere il ponte tra il trattamento formale degli infinitesimi e il modello fisico... ...la crescente esigenza di rigore si accompagnava al tentativo di separare l’analisi dalla geometria per legarla al concetto di numero. L. Borzacchini Grandi matematici e pensatori come Cauchy, Lagrange ed Eulero sentono stretta un’applicazione “ignara” del numero reale e si impegnano a non utilizzare grafici nei propri scritti, al fine di “liberare” la Teoria dal mero intuito. A tal proposito, sostituiscono all’intuizione geometrica i principi formali dell’aritmetica. D’altro canto, la diffusione delle geometrie non euclidee crea il problema di dover decidere su quale geometria fondare i concetti analitici. E al tempo stesso, gli studi di Bolzano e 87
di Weierstrass di approfondimento della continuit`a evidenzie` in ranno carenze nell’approccio geometrico ai numeri reali. E questa situazione che inizia il processo di “aritmetizzazione” dell’analisi matematica. I lavori di Dedekind, in “Stetigkeit und irrationale Zahlen”, di Meray, in “Nouveau pr´ecis d’analy¨ se infinit´esimale”, e di Cantor, in “Uber die Ausdehnung eines Satze aus der Theorie der trigonometrischen Reihen”, mirano a svincolare l’analisi dall’intuizione geometrica e fisica. In Essenza e significato dei numeri, Dedekind afferma: “... io intendo gi` a di considerare il concetto di numero come del tutto indipendente ... e di riconoscere piuttosto in questo concetto una emanazione diretta delle pure leggi del pensiero.” E conclude: “Alla domanda espressa nel titolo di questo scritto io rispondo: i numeri sono libere creazioni dello spirito umano.” Costruzione formale degli insiemi numerici. Per semplicit`a diamo, come gi` a affermato pi` u volte, per nota la costruzione formale dei numeri naturali. Se cos`ı non fosse consideriamo intuitivamente i numeri naturali come quei numeri primitivamente conosciuti per contare quantit`a finite, comuni nel quotidiano. Definiamo pertanto i numeri interi Z. Consideriamo l’insieme N e poniamo la seguente relazione: ∀ (m, n), (h, k) ∈ N × N
(m, n) ∼ (h, k) ⇐⇒ m + k = n + h
Questa si prova essere una relazione d’equivalenza. Poniamo quindi: Z= ˙ N × N/∼ 88
E su questa denotiamo due operazioni (somma e prodotto) compatibili con la relazione e con l’insieme dei naturali. Per rintracciare, infine, quest’ultimo nell’insieme degli interi consideriamo la funzione: ϕ : N −→ Z, n 7−→ [(n + 1, 1)] Questa funzione rappresenta sicuramente un’iniezione, pertanto `e un’immersione dei numeri naturali nei numeri interi. Definiamo, ora, i numeri razionali Q. Consideriamo l’insieme delle coppie Z × N e su questo poniamo allo stesso modo una relazione: ∀ (m, n), (h, k) ∈ Z × N
(m, n) ∼ (h, k) ⇐⇒ mk = nh
Anche questa si prova essere una relazione di equivalenza e si definisce, quindi: Q= ˙ Z × N/∼; dotandolo delle seguenti operazioni: + : (Z × N) × (Z × N) −→ (Z × N), (m, n) + (h, k) 7−→ (mk + nh, nk) ∗ : (Z × N) × (Z × N) ←− (Z × N), (m, n) ∗ (h, k) 7−→ (mh, nk) Tali operazioni sono compatibili con la relazione di equivalenza e con i numeri interi e naturali. Si prova facilmente che (Q, +, ∗) `e un campo ordinato, rispetto alla seguente relazione d’ordine totale: 89
m h ≤ ⇐⇒ mk ≤ nh n k Per rintracciare Z nell’insieme dei razionali basti considerare l’omomorfismo iniettivo: ϕ : Z −→ Q, m 7−→ [(m, 1)] Si prova, infine, che Q `e un campo archimedeo, cio`e vale la propriet`a archimedea delle grandezze. Costruzione formale dei numeri reali. L’insieme che si vuole costruire dovr` a soddisfare le seguenti propriet`a: In (R, +, ∗, ≤) devono valere: 1. (R, +) `e un gruppo abeliano, con 0 elemento neutro; 2. (R \ {0}, ∗) `e un gruppo abeliano; 3. ∀ a, b, c ∈ R
(a ∗ b) + (a ∗ c) = a ∗ (b + c);
Queste prime permettono di affermare che R `e un campo. Inoltre: 4. ∀ a, b ∈ R
a ≤ b o b ≤ a;
5. ∀ a, b, c, ∈ R 6. ∀ a, b ∈ R 7. ∀ a ∈ R
(ordine completo)
a ≤ b e b ≤ c =⇒ a ≤ c;
a ≤ b e b ≤ a =⇒ a = b; a≤a;
Ci`o permette di affermare che R `e totalmente ordinato. Devono valere, inoltre, propriet` a di compatibilit`a tra operazioni e ordine: 90
8. ∀ a, b, c ∈ R 9. ∀ a, b ∈ R
a ≤ b =⇒ a + c ≤ b + c; 0 ≤ a e 0 ≤ b =⇒ 0 ≤ a ∗ b.
Deve, infine, valere l’Assioma di Dedekind o di completezza: ∀ A, B ⊆ R A∪B =R tali che A, B 6= ∅ ∀ a ∈ A, ∀ b ∈ B : a ≤ b ∃ c ∈ R t.c. a ≤ c ≤ b ∀ a ∈ A, ∀ b ∈ B c `e detto l’elemento separatore di A e B.26 ` necessario premettere che esistono diversi modi per coE struire formalmente il campo dei numeri Reali. In particolare, ricordiamo come sia Richard Dedekind che Georg Cantor hanno mostrato due differenti costruzioni basate su idee intuitive ben lontane l’una dall’altra. Noi, in questa lezione, ci soffermeremo ad analizzare la costruzione di Dedekind. Nello scegliere questa strada `e fondamentale capire il concetto di sezione, formalizzata in pi` u modi da diversi matematici e intuitivamente introdotta (come gi` a notato) dal greco Eudosso. Di seguito riportiamo tre differenti definizioni: Definizione 27 : Una coppia (A, B) viene detta sezione di R se A, B ⊆ Q, A, B 6= ∅ e 1. ∀ a ∈ A, ∀ b ∈ B
a < b;
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Con l’assioma dell’esistenza di tale elemento numerico si supera la concezione pregressa di numeri surdi. 27 Questa definizione `e utilizzata nel celeberrimo manuale di Analisi di E. Giusti.
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2. A non ha minimo; 3. A ∪ B = Q. Definizione 28 : Una coppia (A, B) viene detta sezione di R se A, B ⊆ Q, A, B 6= ∅ e 1. ∀ a ∈ A, ∀ b ∈ B
a < b;
2. A non ha massimo e B non ha minimo; 3. A ∪ B = Q o A ∪ B = Q \ {r}29 . Definizione 30 : Sia α 6= ∅, α si dice una sezione di Dedekind se 1. ∀ p ∈ α, ∀ q ∈ Q | q < p
allora q ∈ α;
2. α non ha massimo. Nel seguito utilizzeremo l’ultima definizione, seppur `e doveroso notare che una costruzione analoga pu`o essere effettuata usando indifferentemente una delle altre due. Osservazione : Si osserva che se p ∈ α e q ∈ / α, allora p < q. Analogamente, se r ∈ / α e r < s, allora r ∈ / α. 28
Questa definizione `e del prof. Ruggero Ferro. Tale puntualizzazione `e fondamentale poich´e l?unione di semirette disgiunte per un solo estremo non sarebbe pari all?intero insieme dei razionali. 30 Cfr. Principios de An´ alisis Matem´ atico, W. Rudin, edizione McGraw Hill 1980. 29
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Definizione fondamentale :
R= ˙ {α | α e` una sezione di Q}.
Definiamo in maniera opportuna una relazione d’ordine ≤ e le operazioni + e · nell’insieme R, e proviamo che con questa definizione le propriet` a attese nei numeri reali sono effettivamente verificate. • Ordine. ∀ α, β ∈ R ∀ α, β ∈ R
α < β ⇐⇒ α ⊂ β
α ≤ β ⇐⇒ α ⊂ β o α = β
` chiaro notare che valgono tutte le propriet`a dell’ordine. E Proviamo, invece, che l’ordine `e completo, cio`e che vale la propriet`a 4. Dimostrazione. Siano α, β ∈ R. Supponiamo che non sia vero che α < β o α = β, `e necessario provare che β < α. Infatti, se α 6⊂ β, allora ∃ b ∈ α | p ∈ / β. Sia ora q ∈ β. Si ha q < p, quindi q ∈ α, pertanto β ⊆ α. Ma β 6= α, quindi β < α. Proviamo che vale: • Assioma di Dedekind. ∀ A, B ⊆ R | A ∪ B = R, con A, B 6= ∅ per cui ∀ α ∈ A, ∀ β ∈ B allora ∃ γ ∈ R | α ≤ γ ≤ β
α<β
∀ α ∈ A, ∀ β ∈ B
S Dimostrazione. (1) Sia γ = ˙ α∈A α, proviamo che γ `e una sezione di Dedekind. Supponiamo per assurdo 93
che γ = Q, allora ∀ r ∈ Q ∃ α ∈ A | r ∈ α. Allora ∀ r ∈ Q, ∀ β ∈ B r ∈ β, pertanto ∀ β ∈ B β = Q. Ma questo `e assurdo, allora γ ⊆ Q. (2) Ora, sia p ∈ γ. Quindi ∃ α ∈ A | p ∈ α, pertanto anche q ∈ α, cio`e q ∈ γ. (3) Sia p ∈ γ, allora ∃ α ∈ A | p ∈ α, quindi anche r ∈ α | p < r. Ne deduciamo che ∃ r ∈ γ | p < r. ` facile quindi notare che Allora γ non ha massimo. E γ `e un elemento separatore, perch´e ∀ β ∈ B si ha che S α ≤ α∈A α = γ ≤ β ∀ α ⊆ β. • Operazioni. Definizione : ∀ α, β ∈ R
α+β = {p+q | p ∈ α, q ∈ β}.
Proviamo che la definizione `e ben posta, cio`e che effettivamente questa sia ancora una sezione di Dedekind. Infatti, vale banalmente che α + β ⊆ Q e che α + β 6= ∅. Proviamo ora che α + β 6= Q. Siano r0 ∈ / α, s0 ∈ / β, 0 0 allora ∀ r ∈ α, ∀ s ∈ β risulta r < r e s < s . Quindi r 0 + s0 ∈ / α + β. Sia p ∈ α + β tale che p < q. Proviamo che q ∈ α + β. Ma se p = r + s, con r ∈ α e s ∈ β, si ha che q < r + s, cio`e q − s < r e quindi q − s ∈ α. Pertanto q = (q − s) + s ∈ α + β. Infine, sia p ∈ α + β. Allora p = r + s, da cui ∃ t ∈ α | r < t. Ci`o vuol dire che p = r + s < t + s. Concludendo, la nostra sezione non ha massimo. Infine `e dimostrabile che (R, +) `e un gruppo abeliano, in cui 94
0 = {q ∈ Q | q < 0}, −α = {p ∈ Q | ∃ r ∈ Q, r > 0
−p−r ∈ / α}
Vale la compatibilit` a con l’ordine, infatti ∀ α, β, γ con α ≤ β, vale che α + γ ≤ β + γ. Definizione : Siano α, β ∈ R tali che α > 0, β > 0. Poniamo αβ = {p ∈ Q | p ≤ rs r ∈ α, s ∈ β, r, s > 0}. Se invece α < 0 o β < 0, allora poniamo (−α)(−β) α < 0, β < 0 αβ = −[(−α)β] α < 0, β > 0 −[α(−β)] α > 0, β < 0 Si prova, anche in questo caso, che la definizione `e ben posta e che (R \ {0}, ∗) `e un gruppo abeliano per cui vale la propriet`a distributiva e dove 1 = {p ∈ Q | p < 1}. Infine, possiamo verificare che esiste una copia di Q in R. Questa `e l’immagine della funzione: ϕ : Q −→ R,
q 7−→ q 0 = {q ∈ Q | q < q 0 }
e viene detta la sezione generata dal numero razionale. Si prova, ancora, che ϕ `e un omomorfismo iniettivo rispetto alla somma, al prodotto e all’ordine. Un esempio concreto di sezione di Dedekind `e la sezione √ α = {q ∈ Q | q ≤ 0 o q 2 < 2, q > 0} = 2 Tutto ci`o da origine ad un campo ordinato in cui vale l’assioma di Dedekind. Questo non `e l’unico modello costruibile dei numeri reali, ma comunque si ha: 95
Teorema : Due campi ordinati per cui vale l’assioma di Dedekind sono isomorfi. Cenni alla costruzione di G. Cantor L’idea di Cantor `e quella di approssimare qualcosa di discreto per ottenere il continuo, e trova nelle successioni di Cauchy un mezzo molto esauriente. Considera S = {(xn )n | xn ∈ Q e di Cachy }. In seguito pone una relazione di equivalenza: (xn )n ∼ (yn )n ⇐⇒ xn − yn −→ 0 Ed infine ha potuto definire R = ˙ S /∼. Si pu`o osservare che la costruzione di Dedekind e quella di Cantor differiscono per il metodo di approssimazione. Nel primo vengono considerate tutte le approssimazioni possibili di un valore numerico, mentre nel secondo solo alcune.
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Perch´e interessarsi all’analisi non standard? Dopo l’individuazione di quantit` a non commensurabili, nella civilt` a greca lo studio del continuo prosegu`ı sono per via geometrica senza associare alle varie situazioni numeri di nuovo tipo, diversi dai razionali, adatti a cogliere i problemi della continuit` a. Nel fervore del secolo quindicesimo e sedicesimo di risolvere problemi che venivano dalla pratica, non risolubili con metodi classici, vennero introdotte quantit` a infinitesime e numeri infinitesimi che le rappresentassero. Con questa introduzione, grazie ai lavori di Newton, Leibniz, e molti altri che seguirono, si svilupp` o il calcolo infinitesimale, con tutti i suoi successi. Allora si usavano alcuni numeri reali, anche se non fosse stata ancora raggiunta una nozione di numero reale, e anche infinitesimi positivi (quantit` a positive ma minori di un n-esimo per ogni n naturale positivo) pur non essendo la nozione d’infinitesimo del tutto chiara: assurdamente si pretendeva che questo sistema arricchito di numeri dovesse avere tutte le propriet` a che hanno i numeri reali (pur non ancora conosciuti), senza essere in grado di precisare di che tipo dovessero essere tali propriet` a comuni. Di fronte a questa difficolt` a si cerc` o di riottenere tutti i risultati cui si era arrivati, ma senza l’uso degli infinitesimi, inventando complicazioni e bizantinismi, quali la nozione εδ di limite, atti a raggiungere lo scopo. Lungo questo sviluppo si arriv` o anche a precisare la nozione di numero reale, e, successivamente, su questi punti cardine si basarono tutto il calcolo infinitesimale, e le sue ulteriori conquiste. 97
Nel ventesimo secolo ci si accorse del rilevante ruolo del linguaggio nel determinare concetti e sviluppi della matematica, e, con questi strumenti Robinson fu in grado di precisare le propriet` a in comune tra il sistema dei reali e quello esteso mediante gli infinitesimi, riabilitando completamente l’approccio e le idee dell’inizio dell’analisi infinitesimale, ed evitando i contorcimenti per eliminare gli infinitesimi. Ne esce una teoria che, non perdendo niente rispetto alla presentazione che `e diventata classica, eventualmente semplificando il percorso, permette anche nuovi modelli per affrontare applicazioni in cui convivono quantit` a molto piccole e molto grandi. L’interesse dell’analisi non standard non si limita ai contributi e metodi che sa offrire, ma coinvolge anche una visione della matematica. Certi resoconti storici della disciplina mettevano in risalto i vari apporti in quanto utili al conseguimento della situazione ritenuta ultima a definitiva delle conoscenze odierne. Questo atteggiamento non pu` o reggere di fronte a sviluppi alternativi, magari assopitisi per secoli, ma che riemergono con contributi notevoli a una matematica che non ha pi` u un solo traguardo, ma vari modi di vedere i problemi, tra i quali scegliere in funzione degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Viene a cadere anche il mito della categoricit` a di certe teorie (aritmetica di Peano ad esempio) e della formalizzazione a tutti i costi: nozioni centrali della matematica, dalla finitezza d’insiemi alla nozione di numero naturale, all’archimedeit` a, non sono precisabili con i linguaggi formali. Questi aspetti, direi di 98
carattere culturale della matematica, si manifestano con evidenza affrontando lo studio dellâ&#x20AC;&#x2122;analisi non standard. Per tutti questi motivi, ritengo che sia auspicabile e opportuna una prima familiarizzazione con questa visione dellâ&#x20AC;&#x2122;analisi matematica, che sia seria e non parolaia (come purtroppo, a volte, avviene quando si introducono nozioni alternative a quelle classiche, pensando che cos`Äą si possa eliminare ogni difficolt` a ed esigenza di precisione). Ruggero Ferro
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VI Analisi non Standard 11-12-13 Maggio 2015
Prof. Ruggero Ferro
Introduzione. Per un primo approccio all’Analisi non Standard e soprattutto ai numeri iperreali `e opportuno riconsiderare concetti a noi gi` a noti in alcune delle precedenti lezioni: il contare e il misurare. Del primo abbiamo un’idea radicata e concreta nella storia, e i numeri naturali divengono uno dei pi` u fini strumenti per tale scopo. C’`e da notare, per`o, che non sempre sarebbe necessario introdurre un numero (e soprattutto un numero naturale) per apprezzare e confrontare quantit`a di elementi, a volte `e molto utile accoppiare gli elementi di un insieme con quelli di un altro, valutare le quantit`a, senza prestare attenzione e giungere al valore numerico effettivo: basterebbe una semplice biezione. Fondamentale rimane, invece, l’essenza indivisibile e atomica del numero e degli oggetti in questione. Misurando, al contrario, abbiamo a che fare con il divisibile (e spesso con l’infinitamente divisibile), gi`a questo pu`o porsi come un problema. Misurare significa prendere 100
una grandezza tipo, preferibilmente omogenea e confrontare quante volte questa `e presente nell’oggetto della misurazione. Non sempre, anche qui, la situazione `e ben definita, anzi spesso `e assai pi` u complessa: farebbe comodo poter lavorare con i naturali. Ma questo non `e possibile, e per questo si `e reso indispensabile, anche se non sufficiente, l’introduzione del sottomultiplo di una qualsivoglia misura. Per gli antichi Greci, contare significava lavorare con i numeri, mentre misurare significava trattare grandezza che non corrispondono ad alcun numero, a causa dell’inatteso fenomeno dell’incommensurabilit` a. Filosoficamente si `e cercato di affrontare il problema “tralasciando” la possibilit`a di introdurre nuovi tipi di numeri; curiosamente questa scelta `e stata pienamente abbracciata, ai giorni nostri, dai grafici e dagli informatici in vari ambiti, come ad esempio nella strutturazione dei pixel e delle immagini formate da linee e circonferenze senza tutti i loro punti (reali). Alternativamente, affrontando nel concreto la misurazione con numeri razionali si approd`o al concetto di approssimazione. Sia n una lunghezza qualsiasi, e U un’unit`a di misura a essa omogenea. Allora esistono sicuramente due insiemi di numeri razionali della forma: Ainf = {q | qU < n}
e
Asup = {q | qU > n}
Ma `e facile chiedersi: n `e commensurabile con U ? Esiste un numero naturale o al pi` u razionale che esprima unicamente e definitivamente il valore di n? 101
Queste domande possono sembrare irrisorie, ma non lo sono affatto. Indicano la necessit` a di poter disporre di un insieme numerico che non abbia “buchi”, e nel quale `e sempre possibile trovare un valore numerico per ogni punto. Per molti secoli si `e pensato che la retta potesse rappresentare l’emblema pi` u concreto della continuit` a, ma si `e notato che anche questo `e un concetto relativo. Si pensi alla mancanza di buchi, come in una fittissima maglia, ma si pensi anche a una maglia ancora pi` u fitta: la presenza di buchi dipende da chi ci deve passare. Quale continuo? Tornando alle due classi Ainf e Asup costruite per cercare di precisare mediante razionali la grandezza di n, la precisano davvero o ci sono pi` u grandezze maggiori di tutte quelle individuate da Ainf e minori di tutte quelle individuate da Asup ? Questa domanda equivale a chiedersi se c’`e qualcosa maggiore di 0 e minore di tutti i numeri del tipo 1/n, con n naturale positivo? L’assioma di Archimede dichiara che tra 0 e tutti questi numeri non vi `e alcun numero. Perch´e? Non c’`e alcun motivo che costringa ad accettarlo. Lo abbiamo scelto, `e un assioma che la teoria classica dei Reali si `e data per precisare la propria visione degli enti considerati. Ancora una volta non tutto fila liscio, e non solo teoricamente. Si pensi alle nozioni di velocit` a e accelerazione e alla loro misurazione, sembra quasi contro l’esperienza dover ottenere la velocit`a istantanea da quella media come in un limite, principalmente perch´e `e proprio il contributo di tutti gli istanti che permette di giungere alla media. Spesso si sceglie di considerare i singoli istanti come grandezze (nulle) fisse e indi102
visibili, ma perch´e non ipotizzare istanti non nulli di dimensioni non ben definite (un istante pi` u un istante sarebbe ancora un istante)? Situazione analoga si pu` o creare nell’analisi della capienza di un barile dalla superficie curva. Siano a e b e due numeri di nuovo tipo tali che la loro distanza (δ = d(a, b)) sia minore di 1/n per ogni numero naturale positivo n. Diremo allora che δ rappresenta una distanza infinitesima. Ma vale anche che, per un qualsiasi numero naturale k, se δ < 1/n per ogni n naturale positivo, allora anche kδ < 1/m per ogni m naturale positivo (basta vedere n come km), cio`e anche kδ `e un infinitesimo. Allora gli infinitesimi non sono affatto pochi! Diciamo che potremmo costruirne infiniti. Consideriamo, ancora una volta la retta:
Quanti sono quindi i punti della retta? Sono davvero in numero pari a quello dei numeri reali, come ha provato Georg Cantor partendo dalla nozione di retta reale? Effettivamente `e tutta questione di come ci s’immagina la retta, e in particolare del nostro immaginario collettivo che ci ha educati a vedere la retta come la retta reale archimedea. La possibilit`a che esitano pi` u punti di quelli che ci immaginiamo `e confermata dalla possibilit` a di “zoomare” infinitamente un intorno di un punto di una retta e trovare sempre nuovi punti. 103
Questo ci fa realmente capire che il senso della derivata pu`o essere ben diverso e in accordo alle posizioni di Leibniz e di New` sempre possibile, infatti, ingrandire il grafico e valutare ton. E il valore del rapporto incrementale della funzione in questione con maggiore approssimazione, fino a che questo diventa “quasi constante”, cio`e a tutte le possibili scelte dell’incremento infinitesimo della variabile indipendente fa corrispondere rapporti incrementali che differiscono solo per infinitesimi, cio`e che sono sostanzialmente sempre la stessa quantit`a. Cio`e: per ogni δ infinitesimo non nullo, i rapporti Dδ = (f (x + δ) − f (x))/δ, sono tutti tra loro infinitamente vicini (cio`e differiscono per un infinitesimo), cio`e sono sostanzialmente la stessa quantit`a. Non a caso il grande matematico e filosofo G. Leibniz ha dato proprio questa come definizione di derivata. Osserviamo, inoltre, che potendo considerare la relazione di “infinitamente vicino” `e facile provare che questa `e una relazione di equivalenza. Questa `e, infatti, riflessiva, simmetrica 104
e transitiva e possiamo considerare le classi di equivalenza dei numeri che si stanno introducendo rispetto a questa relazione e definirle numeri reali, poich´e costituiscono esattamente un sistema isomorfo a quello dei numeri reali che conosciamo. Gli iperreali. Chiameremo d’ora in poi numeri iperreali l’insieme di tutti i numeri che si stanno introducendo che includono i reali e gli infinitesimi e lo indicheremo con il simbolo R∗ . Per questo insieme devono poter valere (come aveva gi`a richiesto Leibniz, con le difficolt` a conseguenti) tutte le caratteristiche e propriet` a dei numeri reali e la struttura (R∗ , +, ×, <) deve essere un campo ordinato. Per avviare una teoria di questo insieme numerico, partiamo da due assiomi specifici. Primi assiomi. 1. (R, +, ×, <) `e un campo ordinato completo; 2. (R∗ , +, ×, <) `e un campo ordinato estensione propria di (R, +, ×, <). Prima conseguenza immediata `e che R ⊂ R∗ . Diamo ora alcune definizioni. Definizione : Un numero a ∈ R∗ si dice infinitesimo se per ogni numero reale positivo r si ha che −r < a < r. Definizione : Un numero a ∈ R∗ si dice finito se per qualche numero reale positivo r si ha che −r < a < r. Un numero a ∈ R∗ si dice infinito positivo se per ogni numero reale r si ha 105
che r < a, mentre si dice infinito negativo se a < r per ogni numero reale r. Valgono alcune propriet` a di “chiusura” delle operazioni omogenee tra numeri finiti, infinitesimi e infiniti: somme di finiti sono finite, prodotti d’infinitesimi sono infinitesimi, ma anche prodotto di infinitesimo per finito `e infinitesimo e tutte le altre situazioni analoghe (si noti per` o che del rapporto di infinitesimi non si pu` o dire niente, si `e in una situazione di indeterminazione, che si supera solo con la conoscenza degli infinitesimi in questione; e questa non `e l’unica situazione di indeterminazione). Sfruttando gli assiomi 1 e 2 si dimostra un semplice ma efficace teorema: Teorema :
Esistono gli infinitesimi.
Dimostrazione. Consideriamo a ∈ R∗ \ R. Osserviamo chiaramente che a o `e un infinito o `e un finito. Se a `e infinito basta considerare il valore a0 = 1/a che `e un infinitesimo. Altrimenti a `e finito e consideriamo st(a), cio`e sup{r | r ∈ R, r < a}, che `e chiamato la parte standard di a. Valutiamo l’insieme A = {r | r ∈ R, r < a}, che si osserva essere limitato superiormente (per la finitezza di a, cio`e per l’esistenza di un reale maggiore di a). Sia s = sup A , studiamo il valore di s − a. Si ha che, per ogni reale positivo r, s + r > a e s − r < a, poich´e s `e il sup di A, sicch´e −r < s − a e s − a < r. Pertanto s − a `e un infinitesimo. Possiamo introdurre la notazione a ≈ b, per indicare che a `e infinitamente vicino a b, cio`e che la loro differenza `e un infinite106
simo. Con questa notazione per indicare che un certo numero b `e un infinitesimo si scriver` a b ≈ 0. Definizione : Chiamiamo funzione parte standard la funzione st : R∗ −→ R, tale che x 7−→ st(x) cio`e al numero iperreale finito x associa la sua parte standard. Osserviamo, infatti, che non ha senso parlare della parte standard di valori infiniti poich´e gli infiniti non sono infinitamente vicini al alcun numero reale. Definizione : Per ogni x appartenente a R∗ , chiamiamo monade di x e lo indichiamo con mon(x), l’insieme: {a ∈ R∗ | (a − x) ≈ 0} Per cui, banalmente, si ha che gli infinitesimi coincidono con l’insieme mon(0). Definizione : Indichiamo con il termine galassia di x e con la notazione gal(x), l’insieme: {y ∈ R∗ | y − x e` un f inito} Si osserva che il valore di x pu` o essere anche infinito, e che la galassia dello 0 coincide con tutti i numeri finiti di R∗ . Algebricamente si pu` o provare che gal(0) `e un sottoanello, mentre mon(0) `e un suo ideale proprio massimale. Infatti, se consideriamo un qualsiasi ideale I che contenga propriamente mon(0) e preso b ∈ I − mon(0) , sicch´e b `e un finito non infinitesimo, si ha che b−1 ∈ I e quindi bb−1 ∈ I, cio`e 1 ∈ I, quindi I = gal(0). 107
Proposizione : gal(0)/mon(0) u R: le classi di equivalenza dell’anello degli iperreali finiti quozientato rispetto alla relazione d’infinita vicinanza costituiscono un campo isomorfo ai reali. Ma cosa succede nello specifico in tutte le funzioni che possiamo definire sui reali? Abbiamo gi` a osservato che le operazioni binarie di somma e prodotto hanno un diretto corri` necessario aggiungere degli altri spondente, ma le altre? E assiomi. Assiomi fondamentali. 3. Per ogni funzione reale f esiste una sua estensione naturale in R∗ , questa viene indicata con f ∗ . Esistono sicuramente infinite funzioni estensioni agli iperreali di ciascuna funzione reale, questo assioma non indica quale tra le tante va scelta, ma afferma che sicuramente ne esiste una, con le caratteristiche che verranno precisate, che deve essere considerata la corrispondente “naturale”, f ∗ , della funzione reale f . L’estensione naturale dovrebbe essere quella che mantiene lo stesso significato (aggiungere per l’addizione) della funzione reale di partenza. Leibniz cerc` o di precisare questa idea dicendo che tutti i nuovi enti introdotti devono avere le stesse propriet`a degli enti reali cui corrispondono. Quest’affermazione presenta delle notevoli difficolt` a perch´e non `e ben precisato che s’intende per propriet` a. Con certe nozioni di propriet`a `e banalmente falsa, sicch´e va precisato cosa debba 108
intendersi per propriet` a.31 Questa precisazione verr`a con il prossimo assioma. Le equazioni e disequazioni sono ovviamente uguaglianze e diseguaglianze di due termini, e per termini accettiamo quelli che vengono definiti nella logica a partire, in questo caso, dalle variabili, dalle costanti reali e dalle funzioni reali. 4. Se due sistemi di equazioni e disequazioni hanno le stesse soluzioni reali, allora i due sistemi, riferiti alle estensioni naturali delle funzioni che in essi occorrono, hanno anche le stesse soluzioni iperreali. Notiamo che quest’assioma ci fornisce una maggiore restrizione nella determinazione delle funzioni che sono estensioni naturali di una funzione reale.32 Conseguenza diretta di questo assioma `e che estensione naturale di una funzione reale non la estende tra i reali. Infatti, se x appartiene al dominio delle funzione f allora i due sistemi composti da una sola equazione: f (x) = f (x) e x = x hanno le stesso soluzioni reali, sicch´e per l’assioma 4 devono avere le stesse soluzioni iperreali, cio`e f ∗ (x) = f ∗ (x), e x apparterr`a al dominio di f ∗ che dunque estende f . D’altra parte, se x non 31
Questa idea di Leibniz se da una parte permetteva a coloro che capivano cosa dovesse intendersi per propriet` a di lavorare con naturalezza agli sviluppi dell’analisi, d’altra parte era di forte ostacolo per coloro che non coglievano il significato inteso di questa proposta. Va, per` o, considerato sicuramente il limite temporale che l’idea leibniziana incontra: a quel tempo non era ancora sufficientemente sviluppata la logica che avrebbe poi permesso di chiarire cosa s’intendeva e mostrarne la correttezza. 32 Ma non ce la determina univocamente.
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appartiene al dominio della funzione f , i due sistemi composti da una sola equazione: f (x) = f (x) e x 6= x hanno le stesse soluzioni reali (entrambi non ne hanno), sicch´e non hanno neppure soluzioni iperreali e non sar` a f ∗ (x) = f ∗ (x), mostrando che x non appartiene al dominio d f ∗ . Cos`ı la funzione f ∗ ristretta ai reali ha lo stesso dominio di f . Inoltre vale che se r ∈ R, allora st(r) = r, e che se st(r) = s, allora r − s ≈ 0 ⇐⇒ r = s; infatti lo 0 `e l’unico infinitesimo reale. Proposizione : zione reale.
La funzione st non `e estensione di alcuna fun-
Dimostrazione. L’unica funzione candidata a tal proposito sarebbe la funzione identit` a, Id, poich´e la restrizione di st ai reali `e la funzione identica. Ma varrebbe che: Id∗ : R∗ −→ R∗ , x 7−→ x e non `e detto che x sia un numero reale, e allora sicuramente non sarebbe la sua parte standard. Quindi Id∗ non `e la funzione st e questa non `e l’estensione naturale di alcuna funzione reale. Teorema : Siano S e T due sistemi di equazioni e disequazioni reali. Siano XS e XT gli insiemi delle soluzioni reali di S e di T rispettivamente. Analogamente siano XS∗ e XT∗ gli insiemi delle soluzioni iperreali di S e di T rispettivamente. Allora XS ⊆ XT implica XS∗ ⊆ XT∗ . Finora si sono considerate le estensioni naturali agli iperreali delle funzioni reali, ma cosa possiamo dire dell’estensione 110
naturale agli iperreali di un insieme di reali? Poich´e ogni insieme `e individuato e individua univocamente la sua funzione caratteristica, per determinare l’estensione iperreale di un insieme di reali faremo ricorso all’estensione agli iperreali della sua funzione caratteristica. La funzione caratteristica di un insieme di reali X `e la funzione fX dai reali nell’insieme {0, 1} tale che fX (r) = 0 se r ∈ X e fX (r) = 1 se r ∈ / X. Una qualsiasi funzione caratteristica f di un insieme, potendo assumere solo i valori 0 e 1, `e caratterizzata precisando che per ogni valore della variabile indipendente la funzione `e uguale al suo quadrato: f (x) = f 2 (x) per ogni x reale. Data una funzione di questo tipo essa individua univocamente l’insieme di reali Xf = {r | f (r) = 0}. E? facile vedere che l’insieme XfX caratterizzato dalla funzione caratteristica fX di un insieme X `e X, e che la funzione caratteristica fX individuata da un insieme X `e la funzione caratteristica fXf dell’insieme Xf che questa caratterizza. Queste osservazioni sulle funzioni caratteristiche d’insiemi ci permettono di definire l’estensione naturale agli iperreali di un insieme di reali X come l’insieme X ∗ determinato dall’estensione fX ∗ agli iperreali della funzione caratteristica fX di X. Ci`o `e ben determinato perch´e la funzione fX ∗ estensione agli iperreali della funzione caratteristica fX ∗ `e ancora una funzione caratteristica, grazie all’assioma 4 applicato ai due sistemi costituiti uno dall’equazione f (x) = f 2 (x) e l’altro dall’equazione x = x, che hanno le stesse soluzioni reali se f `e una funzione caratteristica: cos`ı avranno le stesse soluzioni iperreali imponendo all’estensione agli iperreali della funzione 111
f di essere una funzione caratteristica, in modo da consentire di definire l’insieme di iperreali X ∗ che sar`a l’estensione naturale di X. Definizione : Chiamiamo iperinteri, che indichiamo con Z∗ , l’estensione naturale dell’insieme degli interi agli iperreali. Consideriamo Z∗ . Valutiamo la funzione parte intera [ ] sui reali, e la sua estensione [ ]∗ . Questa funzione iperreale pu`o essere correttamente chiamata la parte intera sugli iperreali, poich´e, sempre per l’assioma 4, la caratterizzazione [x] ∈ Z e 0 < ([x] − x) < 1 della funzione [ ] tra i reali continua a valere anche tra gli iperreali, cio`e [x]∗ ∈ Z∗ e 0 < ([x]∗ − x) < 1. Si osserva che 0 < ([x]∗ − x) < 1 vale anche quando x `e un infinito, sicch´e c’`e la parte intera anche degli iperreali infiniti, e ci dovranno essere iperinteri infiniti. Alcuni elementi di topologia non standard. Diamo per noti gli usuali concetti di topologia sulla retta reale. Si vogliono confrontare con la pi` u immediata modalit`a non standard di introdurre gli stessi concetti. In particolare, classicamente si dice che x `e interno ad un insieme X se e solo se esiste un intorno di x (cio`e un insieme che contiene un intervallo aperto (a, b) cui x appartiene) contenuto in X. La corrispondente nozione non standard dice che x `e interno a X se e solo se mon(x) ⊂ X ∗ . Anzitutto mostriamo l’equivalenza tra le due nozioni. Infatti, “=⇒” se c’`e un tale intervallo aperto con estremi a e b, si avr`a che a < x < b, e (a, b) ⊆ X; se poi x `e tale 112
che x ∈ mon(x), allora certamente si avr` a a < x < b, sicch´e ∗ l’intera monade sar` a contenuta in X . Viceversa, “⇐=”, per contronominale, supponiamo x non interno, cio`e ogni suo intorno non `e contenuto in X e in particolare tutti gli intorni del tipo (x − r, x + r), per ogni reale positivo r, non sono contenuti in X; cio`e per ogni reale positivo r c’`e un elemento che dista da x meno di r e che non appartiene a X. Passando agli iperreali grazie all’assioma 4 ci` o deve avvenire anche ri0 spetto a ogni iperreale positivo r , che pu` o essere infinitesimo, sicch´e dovranno esserci elementi infinitamente vicini a x che non appartengono a X ∗ e mon(x) non pu` o essere contenuta in X ∗. Definizione : Classicamente, un sottoinsieme X di R si dice aperto se ogni suo punto `e interno. Vista la caratterizzazione non standard dei punti interni a un insieme, la definizione non standard d’insieme aperto diviene: X `e aperto se per ogni elemento x di X, mon(x) ⊂ X ∗ . Poich´e i chiusi sono i complementari di aperti, una caratterizzazione non standard dei sottoinsiemi chiusi dei reali `e la seguente: un sottoinsieme X dei reali `e chiuso se, per ogni x appartenente a X ∗ , st(x) ∈ X. Pertanto la chiusura CX di un insieme X `e data da CX = {st(x) | x ∈ X ∗ }. Proposizione : Le monadi e le galassie non sono estensioni naturali di alcun insieme reale. Dimostrazione. Se x ha parte standard, questa `e l’unico numero reale di mon(x), sicch´e la restrizione di questa ai reali 113
`e {st(x)}, unico possibile insieme reale a essere candidato ad avere mon(x) come sua estensione naturale; ma l’estensione naturale {st(x)}∗ agli iperreali di {st(x)} `e {st(x)} che non `e mon(x). Se poi x non ha parte standard allora `e un infinito e la restrizione di mon(x) ai reali `e l’insieme vuoto, la cui estensione naturale agli iperreali `e l’insieme vuoto che non `e mon(x). Analogamente, se x `e finito, la restrizione di gal(x) ai reali `e R la cui estensione naturale agli iperreali `e R∗ che non `e gal(x); mentre, se x `e infinito, la restrizione di gal(x) ai reali `e l’insieme vuoto la cui estensione naturale agli iperreali `e l’insieme vuoto che non `e gal(x). Alcuni concetti fondamentali in analisi non standard. Ricordiamo che la definizione standard di derivata della funzione in x `e il limite del rapporto incrementale della funzione f in x al tendere a zero dell’incremento della variabile indipendente. Per evitare di riempire la scrittura di asterischi, decidiamo di indicare con lo stesso simbolo sia le funzioni reali sia le loro estensioni naturali agli iperreali; ci` o non provoca confusioni se si presta attenzione agli elementi cui `e applicata la funzione: se `e applicata a iperreali si tratta dell’estensione naturale della funzione, mentre se `e applicata a reali pu`o essere o l’una o l’altra ma `e indifferente perch´e forniscono lo stesso valore. La definizione non standard di derivata della funzione f (x) in x `e invece st f (x+δ)−f se questa `e sempre la stessa δ per ogni infinitesimo δ diverso da 0. Se in x c’`e la derivata della funzione f , si dice che la funzione f `e derivabile in x. Si osserva, banalmente, che la derivata della funzione f non 114
esiste in x nei seguenti casi: A) f (x) non `e definito oppure `e infinito; B) per qualche infinitesimo δ diverso da 0, f (x + δ) non `e definito oppure `e infinito; C) ci sono infinitesimi non (x) nulli δ e ε tali che f (x+δ)−f non `e infinitamente vicino a δ f (x+ε)−f (x) . Consideriamo un esempio che evidenzi l’ultima ε situazione ricordata di non esistenza delle derivata: la funzione valore assoluto (f (x) = |x|) in 0. Per ogni infinitesimo non nullo ∆s dobbiamo calcolare: |∆s| − 0 st ∆s |∆s|−0 Se ∆s > 0 allora st |∆s|−0 = 1, altrimenti st = ∆s ∆s −1. Pertanto la derivata, non essendo unica la parte standard del rapporto incrementale per ogni infinitesimo non nullo, non esiste in 0. Leibniz indica la derivata con df /dx, dove, fissato il valore di x, df `e il valore di f (x + ∆x) − f (x), dipendente dall’infinitesimo non nullo ∆x. Osserviamo che se (∆f /∆x) ≈ b = st(∆f /∆x), allora (∆f /∆x) = b + ε, quindi ∆f = (b + ε)∆x. Ne deduciamo che ∆f = b∆x + ε∆x, cio`e ∆f − b∆x = ε∆x. Ma, essendo ε un infinitesimo, ε∆x `e un infinitesimo rispetto a ∆x. Notiamo che b∆x `e l’incremento di ordinata lungo una retta di pendenza b relativamente all’incremento ∆x dell’ascissa. Sicch´e di tutte le rette che passano per il punto (x, f (x)) quella che ha pendenza b `e l’unica che nel punto x + ∆x differisce dal valore f (x + ∆x) della funzione f per un infinitesimo talmente piccolo da essere infinitesimo rispetto all’infinitesimo ∆x; cio`e se si 115
guarda con un microscopio infinito puntato su (x, f (x)) tarato alla scala di ∆x (cio`e in cui si pu` o vedere la distanza ∆x) non si possono distinguere la funzione e la retta di pendenza b per quel punto, poich´e le differenze tra le ordinate delle due sono infinitesimi rispetto a ∆x, cio`e rispetto a quello che si riesce a vedere.33 Questo risultato fondamentale va sotto il nome di teorema dell’incremento che pu` o essere espresso dalla seguente affermazione: per ogni infinitesimo ∆x la differenza ∆f −b∆x, cio`e f (x + ∆x) − f (x) f (x + ∆x) − f (x)) − ∆x · st ∆x `e ε∆x, cio`e un infinitesimo rispetto a ∆x, e questo vale anche quando ∆x = 0. La retta per (x, f (x)) di pendenza b viene chiamata retta tangente nel punto di ascissa x alla curva grafico della funzione f . Poich´e in un punto di ascissa infinitamente vicina a x (visibile alla scala di ∆x) il grafico della funzione non `e distinguibile dal grafico della retta, pu` o essere utile considerare l’incremento delle ordinate, corrispondente all’incremento delle ascisse ∆x, lungo la retta tangente nel punto di ascissa x, invece che lungo la curva, tanto sono indistinguibili, cio`e il loro rapporto `e infinitamente vicino a 1, ovvero la loro differenza `e infinitesima rispetto a ∆x. Il differenziale, secondo Leibniz, di una funzione f nel punto di ascissa x, indicato da ∆f , `e la quantit` a f (x + ∆x) − f (x) se questa `e infinitesima rispetto a ∆x qualunque sia il valore non nullo di questo infinitesimo. Questa condizione `e rispet33
Questo rappresenta un fondamentale risultato di analisi non standard.
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(x) esiste ed `e sempre la stessa tata se e solo se st f (x+∆x)−f ∆x qualunque sia l’infinitesimo non nullo ∆x. La funzione f si dice differenziabile in x se l`ı c’`e il suo differenziale ∆f . Cos`ı f `e differenziabile in x se e solo se f `e derivabile in x. Si indica con df la quantit` a ∆x · st(∆f /∆x), cio`e l’incremento delle ordinate lungo la retta tangente corrispondente all’incremento delle ascisse ∆x. Da quanto si `e visto risulta che ∆f e df sono indistinguibili, sicch´e si pu` o sostituire l’uno all’altro, e anche df sar`a detto differenziale (secondo Robinson) della funzione f in x. Se f `e differenziabile in x, il vantaggio di usare l’infinitesimo df al posto di ∆f sta nel fatto che il rapporto di infinitesimi df /∆x `e sempre lo stesso numero reale, diciamo b, qualunque sia l’infinitesimo non nullo ∆x (sicch´e la derivata di f in x che `e st(df /∆x) `e uguale a df /∆x), mentre il rapporto di infinitesimi ∆f /∆x `e solo infinitamente vicino a b (cio`e alla derivata di f in x), qualunque sia l’infinitesimo non nullo ∆x. Considerando la funzione identica, f (x) = x, si nota che ∆f = ∆x = df = dx, sicch´e sar` a opportuno indicare l’incremento delle variabile indipendente con dx, e la notazione per la derivata delle funzione f in x sar` a, alla Leibniz, df /dx, rapporto che va inteso proprio come rapporto di numeri infinitesimi e non come un’unica scrittura globale per indicare la derivata, come avviene nell’analisi classica, magari utilizzando la notazione f 0 per la derivata della funzione f . Teoremi che giustificano le regole di derivazione. Un importante aspetto dello sviluppo dell’analisi `e il calcolo a essa associato, cio`e la possibilit` a di ottenere la derivata di una 117
data funzione f mediante delle regole che non richiedono di conoscere il significato di derivata. Per questo scopo sono essenziali i vari teoremi di derivazione della funzione costante, di derivazione della somma di due funzioni, del loro prodotto e del loro quoziente, della radice di una funzione, della funzione composta di due funzioni, eccetera. Tutti questi teoremi hanno dimostrazioni molto semplici basandosi sulla nozione non standard di derivata. Esemplifichiamo ci` o nei due casi dei teoremi della derivata dalla somma e della derivata della funzione composta. Se sia la funzione f che la funzione g sono derivabili in x allora la derivata della loro somma `e la somma delle loro derivate. Infatti: d(f + g)/dx
=
= +g)(x) st (f +g)(x+∆x)−(f ∆x (x)−g(x) st f (x+∆x)+g(x+∆x)−f ∆x
=
df /dx + dg/dx
=
Poich´e st `e un omomorfismo su R. Con questo, abbiamo provato il teorema della derivazione sulla somma. Allo stesso modo si possono provare i teoremi sulla derivazione della differenza, del prodotto e del quoziente di funzioni. Teorema (Derivata della funzione composta) : Sia y = h(x) = f (g(x)) con g(x) = t e y = f (t). Supponiamo che la funzione f e la funzione g siano derivabili, la prima in g(x) e la seconda in x. Allora 118
dy dy dt = · dx dt dx cio`e h0 (x) = f 0 (g(x)) · g 0 (x). Dimostrazione. Dalla notazione sembrerebbe che la dimostrazione sia del tutto banale: basta semplificare il dt che compare a denominatore con quello che compare a numeratore nel membro di destra dell’uguaglianza, e il risultato `e raggiunto. Ma questo procedimento non `e corretto perch´e non considera il fatto che simboli uguali hanno significati diversi. L’occorrenza di dy a sinistra dell’uguaglianza considera y come funzione di x (`e la funzione h), mentre l’occorrenza a destra considera y come funzione di t (`e la funzione f ). Inoltre l’occorrenza di dt al denominatore indica l’incremento della variabile indipendente della funzione f (cio`e un qualsiasi infinitesimo non nullo), mentre l’occorrenza di dt al numeratore indica l’incremento della variabile dipendente lungo la tangente alla funzione g, e non c’`e nessuna garanzia che questo sia non nullo e che possa assumere ogni valore infinitesimo non nullo. Solo le due occorrenze di dx hanno lo stesso significato d’incremento della variabile indipendente x sia nella funzione h che nella funzione g (cos`ı dx indica un qualsiasi infinitesimo non nullo). Per superare la difficolt` a che dt in funzione di dx possa essere nullo, e quindi non utilizzabile nella definizione di derivata della funzione f , utilizziamo il teorema dell’incremento per ottenere ∆f anche quando dt `e nullo: f (t + dt) − f (t) = (st(df /dt) · dt) + ε · dt. Poich´e stiamo considerando t = g(x), t + dt = g(x + dx) e dt = g(x + dx) − g(x), si ha che: 119
f (g(x + dx)) − f (g(x)) = (t) = dt · st f (t+dt)−f + ε · (g(x + dx) − g(x) dt Dividendo il tutto per dx, risulta: f (g(x+dx))−f (g(x)) dx
=
(t) g(x+dx)−g(x) = (dt/dx) · st f (t+dt)−f + ε · dt dx (g(x)) dove ε · g(x+dx)−f `e un infinitesimo perch´e prodotto dx dell’infinitesimo ε per il finito che `e la derivata della funzione g in x. Passando alle parti standard, l’addendo infinitesimo rispetto a dx sparisce e si ha: d(f ◦ g) df dg (x) = (g(x)) · (x) dx dt dx cio`e (f ◦ g)0 (x) = f 0 (g(x)) · g 0 (x). La nozione di limite. Nel definire la derivata di una funzione si era utilizzato il particolare modo di operare di considerare la parte standard del suo rapporto incrementale se rimaneva la stessa per qualunque incremento infinitamente vicino a 0 ma non nullo della variabile indipendente. Questo modo di operare pu`o essere usato anche in contesti pi` u ampi e diviene la considerazione della parte standard di una funzione f (nel caso della derivata la funzione rapporto incrementale) che deve rimanere sempre la stessa per qualunque valore della variabile indipendente infinitamente vicino a una certa quantit`a c (0 nel caso della derivata) e diverso da questa. Operando in questo 120
modo non standard, si dice che si ottiene il limite della funzione f al tendere della variabile indipendente x a c, che si indica cos`ı: limx→c f (x). Sicch´e limx→c f (x) `e la parte standard di f (x) se questa c’`e ed `e sempre la stessa per ogni valore di x infinitamente vicino a c ma diverso da c. Detto altrimenti: lim f (x) = l se per ogni x, con x ≈ c e x 6= c, risulta f (x) ≈ l
x→c
Di seguito, vengono proposte tre proposizioni che possano identificare le nozioni di limite standard, non standard e quella errata comunemente presentata dai testi scolastici: 1. “Pi` u mi impegno meglio faccio”; 2. “Se mi impegno moltissimo faccio benissimo”; 3. “Se mi impegno moltissimo faccio benissimo”. ` chiaro notare come la prima stia a parafrasare la definizione E di limite presente in molti testi scolastici attraverso colonne di valori attribuiti alla variabile indipendente e colonne dei corrispondenti valori della variabile dipendente senza mai garantire che i valori della variabile dipendente divengano pi` u vicini a un traguardo ipotizzato pi` u di una qualunque quantit`a prefissata: il tutto si gioca su comparativi relativi. La seconda presenta la definizione di limite non standard con i suoi comparativi assoluti corrispondenti agli infinitesimi che per quanto sommati tra loro rimangono infinitesimi, cio`e assolutamente piccoli. L’ultima presenta la nozione standard di limite, con la sua nozione relativa di piccolo (pi` u piccolo di una prefissata quantit`a), in uso nell’Analisi reale. 121
La notazione per le derivate e i differenziali (anche parziali di funzioni di pi` u variabili) di Leibniz ebbe un ampio successo tanto che si mantenne spesso anche nell’analisi standard, forse di pi` u delle notazione introdotta da Newton che ha trovato maggior successo in fisica matematica. Per la definizione di limite l’analisi classica ricorre alla seguente proposta da Weierstrass: lim f (x) = l ⇐⇒
x→x0
⇐⇒ ∀ ε > 0 ∃ δ > 0 t.c. ∀ x : (|x − x0 | < δ ⇒ |f (x) − l| < ε) Ma in che corrispondenza `e questa con la definizione non standard di limite? Proviamo che le due nozioni sono equivalenti: Dimostrazione. “=⇒”, cio`e la nozione classica di limite implica quella non standard. L’ipotesi asserisce che fissato un qualsiasi reale positivo ε c’`e almeno un corrispondente valore positivo, indichiamolo con δε , tale che ogni valore di x che soddisfi |x − x0 | < δε `e pure una soluzione di |f (x) − l| < ε. Passando all’estensione di f agli iperreali questa mantiene la propriet`a che le soluzioni iperreali di |x − x0 | < δε sono anche soluzioni di |f (x) − l| < ε. In particolare, se si considera un valore per x che sia infinitamente vicino a x0 , x ≈ x0 , tale x `e soluzione di |x − x0 | < δε , qualunque sia l’ε cui corrisponde δε , e dovr`a esserlo anche di |f (x) − l| < ε, per ogni ε positivo, pertanto |f (x) − l| `e un infinitesimo e f (x) ≈ l.
122
“⇐=” Per assurdo neghiamo la definizione classica di limite, ottenendo l’affermazione: ∃ε > 0 ∀δ > 0
∃ x t.c. |x − x0 | < δ e |f (x) − l| ≥ ε
cio`e, fissato un valore reale positivo per ε, per ogni reale positivo δ, c’`e un valore xδ per x tale che |xδ − x0 | < δ e |f (xδ ) − l| ≥ ε. Allora, per l’assioma 4, si ha che questa affermazione continua a valere anche per gli iperreali relativamente all’estensione naturale della funzione f agli iperreali. In particolare, se si considera un valore infinitesimo positivo per δ, si ha che xδ ≈ x0 e |f (xδ ) − l| ≥ ε, ovvero f (xδ ) 6≈ l. Pertanto l non `e il limite non standard della funzione f (x) per x tendente a x0 . Osservazione : La nozione non standard di limite parla del comportamento di una funzione reale nell’infinitamente vicino a un punto, mentre quella classica parla del comportamento della funzione nelle vicinanze di quel punto. Il teorema appena dimostrato asserisce che i due comportamenti coincidono. Continuit` a. Definizione : Una funzione reale f si dice continua in c se f (x) ≈ f (c) per ogni x tale che x ≈ c, cio`e: lim f (x) = f (c)
x→c
Allo stesso modo dell’analisi standard, si dice che la funzione `e continua nel suo dominio se `e continua in ogni punto di questo. 123
Si noti che nella definizione non standard di continuit`a si considerano valori della variabile indipendente che siano infinitamente vicini a un reale. Cosa succede se invece si considerano valori infinitamente vicini anche a un iperreale del dominio della estensione naturale di una funzione f reale, cio`e se si considerassero funzioni tali che per ogni due valori x e y appartenenti al dominio dell’estensione naturale di f , e tra loro infinitamente vicini, x ≈ y, risultasse f (x) ≈ f (y)? Certamente una tale funzione sarebbe continua nel suo dominio, perch´e, quando uno dei due `e un valore reale, si avrebbe che per tutti gli iperreali infinitamente vicini a quel reale i valori assunti dalla funzione sono infinitamente vicini al valore assunto nel reale, come vuole la definizione di continuit`a in un punto. Ma la nozione appena introdotta `e pi` u forte della continuit`a in ogni punto del dominio, in effetti si tratta della uniforme continuit` a nel dominio. Per mostrare che la nozione non standard appena introdotta corrisponde proprio alla uniforme continuit`a consideriamo questa nell’analisi classica come caratterizzata dal risultato che una funzione continua in un compatto K `e uniformemente continua. Un compatto `e un chiuso e limitato, e queste due caratteristiche hanno i loro corrispondenti non standard: come si `e gi`a visto un insieme X chiuso se e solo se per ogni x ∈ X ∗ si ha che st(x) ∈; mentre un insieme X `e limitato se e solo se a X ∗ non appartengono iperreali infiniti, poich´e all’estensione naturale agli iperreali di un qualsiasi insieme non limitato appartengono elementi infiniti. Cos`ı, K `e un compatto se e solo se ogni elemento k di K ∗ `e finito, e dunque ha parte standard, 124
e inoltre st(k) appartiene a K. Sia ora f una funzione continua su K, e x e y siano elementi di K ∗ tra loro infinitamente vicini, allora hanno la stessa parte standard appartenente a K, e, per la continuit` a, f (x) ≈ f (st(x)) = f (st(y)) ≈ f (y), cio`e f (x) ≈ f (y), e dunque la funzione `e uniformemente continua nel senso dell’analisi non standard. Teoremi fondamentali dimostrati con metodi non standard. Teorema (del valor medio) : Sia f : [a, b] −→ R∗ continua e sia D ∈ [f (a), f (b)]. Allora ∃ c ∈ [a, b] tale che f (c) = D. Dimostrazione. Supponiamo che f (a) ≤ D ≤ f (b); sia n ∈ N e consideriamo δ = (b−a)/n ∈ R e la successione (a+iδ)i≤n , con (a + 0δ) = a e (a + nδ) = b. Confrontando i valori assunti dalla funzione nei punti della successione f (a), f (a + δ), . . . , f (b), poich´e sono in numero finito, se ne pu` o individuare uno, i0 < n, tale che f (a + i0 δ) ≤ D ≤ f (a + (i0 + 1)δ). Poich´e tra un numero finito di quantit` a ce n’`e sempre una maggiore o uguale alle altre, e ci`o `e esprimibile mediante un sistema di equazioni o disequazioni, la stessa propriet` a vale anche passando agli iperreali. Cos`ı in un insieme ordinato con un numero n0 iperfinito di quantit`a (cio`e n0 ∈ N∗ ) ce n’`e una maggiore o uguale alle altre. Si consideri pertanto un numero n ∈ (N∗ − N) e la quantit`a infinitesima δ = (b−a)/n: anche in questo caso dovr`a esserci un numero i0 tale che f (a+i0 δ) ≤ D ≤ f (a+(i0 +1)δ). Poich´e δ `e un infinitesimo segue che a + i0 δ ≈ a + (i0 + 1)δ e anche che st(a + i0 δ) = st(a + (i0 + 1)δ). Chiamiamo c 125
quest’ultimo numero reale. Si ha che, per la continuit`a di f , f (c) = f (st(a + i0 δ)) ≤ D ≤ f (st(a + (i0 + 1)δ)) = f (c), sicch´e si `e trovato un punto, c, appartenente a [a, b] in cui f (c) = D. Teorema (di Weierstrass) : Sia f : [a, b] −→ R∗ una funzione continua nell’intervallo [a, b]. Allora f ha massimo e minimo in [a, b]. Dimostrazione. Dividiamo [a, b] in n ∈ N parti e poniamo δ = (b − a)/n; come nel teorema precedente, otteniamo la successione finita di punti (a + kδ)k≤n e la successione finita dei corrispondenti valori della funzione. Confrontiamo i valori di f (a), f (a + δ), . . . , f (b) e possiamo trovare il massimo tra questi, sia f (a + i0 δ), poich´e i valori da confrontare sono in numero finito. Allora, per ogni k ≤ n, vale la disequazione f (a + i0 δ) ≥ f (a + kδ). Al solito, questa disequazione vale anche negli iperreali, e considerati n1 ∈ (N∗ −N) e l’infinitesimo δ = (b − a)/n1 , ci sar` a un ipernaturale i0 ≤ n1 tale che f (a + i0 δ) ≥ f (a + kδ) per ogni k ≤ n1 . Sia c = st(a + i0 δ): c deve appartenere all’intervallo [a, b] perch´e questo `e chiuso. Poich´e per ogni reale x ∈ [a, b] esiste un ipernaturale ix ≤ n1 tale che x ∈ [a + ix δ, a + (ix + 1)δ], e, come si `e visto, f (st(a + i0 δ)) ≥ f (st(a + ix δ)), dalla continuit`a di f segue che f (c) = f (st(a + i0 δ)) ≥ f (st(a + ix δ)) = f (x). Per cui f (c) ≥ f (x) per ogni x ∈ [a, b]. Quindi f (c) `e il massimo. Analogamente si prova l’esistenza del minimo.
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Integrali dal punto di vista non standard. Passiamo ora a considerare velocemente come si sviluppano gli integrali in analisi non standard. Il problema tipico che si vuole affrontare `e quello di determinare l’area sotto una curva grafico di una funzione reale f positiva e continua in un certo intervallo [a, b]. A questo scopo pare naturale approssimare l’area cercata mediante polirettangoli costruiti nel modo seguente. Sia ∆x un reale positivo minore di b − a; si considerino i punti a, a + ∆x, . . . , a + i∆x, . . . , a + k∆x dove k `e il minimo numero naturale tale che a + k∆x ≥ b e i un qualsiasi naturale minore o uguale a k. Si consideri la somma delle aree dei rettangoli con base l’intervallo da a + i∆x a a + (i + 1)∆x e altezza f (a + i∆x). Questa somma dipende dagli estremi a e b dell’intervallo, dalla funzione f e dal numero ∆x; P sicch´e pu`o essere indicata con la notazione ba f (x)∆x, detta ` chiaro che se ∆x `e un numero somma di Riemann finita. E “piccolo” questa somma non differisce molto dall’area limitata dal grafico della funzione f , dall’asse delle ascisse e dalle rette verticali per i punti a e b. Si possono considerare anche le analoghe somme di rettangoli, sempre con base ∆x, ma di altezza il minimo della funzione f in ciascun intervallo P [a + i∆x, a + (i + 1)∆x] (indicata da ba f (x)∆x e detta somma di Riemann inferiore finita), oppure di altezza il massimo della funzione f in ciascun intervallo [a + i∆x, a + (i + 1)∆x] P (indicata da ba f¯(x)∆x e detta somma di Riemann superiore ` chiaro che Pb f (x)∆x ≤ A ≤ Pb f¯(x)∆x, e anche finita). E a Pb P a P che a f (x)∆x ≤ ba f (x)∆x ≤ ba f¯(x)∆x. Le tre somme 127
di Riemann considerate, fissata la funzione f e gli estremi a e b dell’intervallo, sono funzioni reali di ∆x. Come tali, ciascuna di esse ha la propria estensione naturale agli iperreali in cui la variabile indipendente pu` o assumere tutti i valori iperreali. Attribuendo alla variabile indipendente il valore infinitesimo non nullo dx, saranno infiniti gli intervallini in cui `e diviso l’intervallo [a, b] dai punti del tipo a + idx con i ipernaturale, e le somme ottenute avranno infiniti addendi e possono P P essere indicate rispettivamente da ba f (x) dx, ba f (x) dx e Pb ¯ a f (x) dx, e dette rispettivamente somma di Riemann infinita, somma di Riemann inferiore infinita e somma di Riemann superiore infinita. Continuano a valere le disequazioni gi`a notate per le somme finite, sicch´e diviene molto interessante valutare la differenza ∆A tra la somma di Riemann superiore infinita e quella inferiore: ∆A =
b X
f¯(x) dx −
a
b X
f (x) dx
a
Notiamo che per ogni ipernaturale i minore o uguale a k, che `e il minimo numero ipernaturale tale che a + k∆x ≥ b, ciascun intervallino [a + idx, a + (i + 1)dx] ha lunghezza infinitesima, sicch´e il massimo e il minimo della funzione continua f in tale intervallino disteranno di un infinitesimo, e si avr`a che f¯(x)dx − f (x)dx < rdx per ogni reale r positivo. Sommando tutti questi rettangolini, tutti di altezza minore di r, per ogni reale positivo r, il polirettangolo che si ottiene sar`a contenuto nei rettangoli di base b − a e altezza r, sicch´e ∆A < (b − a)r per ogni reale positivo r, e ∆A dovr` a essere un infinitesimo. 128
Poich´e le varie somme di Riemann infinite sono tutte maggiori di (b − a)m, dove m `e il minimo della funzione f nell’intervallo [a, b], e minori di (b − a)M , dove M `e il massimo della funzione f nell’intervallo [a, b], allora tutte le somme di Riemann sono finite e dovranno avere parte standard. Poich´e ∆A `e infinitesimo le parti standard saranno tutte uguali e si definir`a l’integrale definito della funzione continua f da a a b proprio come la parte standard delle somme di Riemann infinite: ! Z b b X f (x) dx = st f (x) dx a
a
Si dimostra inoltre che l’integrale definito `e indipendente dalla scelta dell’infinitesimo dx: per ogni infinitesimo ds non nullo Rb Rb e dello stesso segno di dx, a f (s) ds = a f (x) dx. Sono valide tutte le propriet` a tipiche degli integrali definiti, quali le seguenti propriet` a rettangolare e addittiva. Z b (b − a)m ≤ f (x) dx ≤ (b − a)M a
Z
c
Z f (x) dx +
a
b
Z f (x) dx =
c
b
f (x) dx a
Z Al solito si definisce la funzione integrale F (t) =
f (x) dx e a
se ne pu`o cercare la derivata dF (t)/dt. Si ha che: dF F (t + dt) − F (t) (t) = st dt dt
129
t
R t+dt = st
= st
f (x) dx − dt ! R t+dt f (x) dx t dt a
Rt a
f (x) dx
!
Ma questo `e uguale a: st(f (t)) = f (t) e si `e cos`ı ottenuto il teorema fondamentale dell’analisi: la derivata della funzione integrale `e la funzione integranda. Com’`e ben noto da quando cominciarono gli studi di analisi, sia nell’approccio non standard che in quello classico, questo risultato permette di calcolare integrali definiti ricorrendo alle primitive delle funzioni integrande.
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I partecipanti
1. Baccaro Maria Grazia;
11. Delle Donne Francesco;
2. Beccarisi Marina;
12. De Vitis Jonathan;
3. Bisanti Francesco;
13. Elia Erica;
4. Caramia Federica;
14. Giannone Giulia;
5. Caramia Iolanda;
15. Giannuzzo Veronica;
6. Cipressa Laura;
16. Giordano Pierangela;
7. Console Pietro;
17. Grande Raffaele;
8. Contino Andrea;
18. Intini Salvatore;
9. Costa Cesari Martina;
19. La Stella Veronica;
10. Dâ&#x20AC;&#x2122;Alconzo Giuseppe;
20. Limosani Erika; 131
21. Marotta Daniele;
29. Quarta Paola;
22. Marullo Silvia;
30. Romano Rosanna;
23. Mazzotta Marzia;
31. Sabato Elisabetta;
24. Mighali Maria Paola;
32. Scaringella Marianna;
25. Monteforte Roberta;
33. Scrimieri Francesco;
26. Myrto Megla;
Alessandro
34. Stefanelli Maria Grazia;
27. Prete Annamaria;
35. Vergallo Pierandrea;
28. Quarta Jennifer;
36. Viva Francesco.
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Riflessioni “La creazione della geometria non Euclidea fu il passo pi` u rivoluzionario e pi` u denso di conseguenze compiuto in matematica dal tempo dei greci. La nascita di queste nuove teorie cambi` o il pensiero dei matematici nei confronti della geometria. Infatti, prima della “Rivoluzione non Euclidea” si riteneva che l’unica geometria possibile fosse quella degli Elementi, perch´e in grado di descrivere la realt` a e rafforzata dal fatto che ormai persisteva da secoli. Ma quando si `e dimostrata l’esistenza di altre geometrie ugualmente valide, allora si pens` o a questa come branca della matematica che dava possibilit` a di ricerca e di inventiva perch´e si potevano creare nuove teorie purch´e fossero coerenti. A tutt’oggi la geometria pi` u diffusa `e ovviamente quella euclidea perch´e la pi` u semplice da utilizzare nello studio dei fenomeni direttamente osservabili dai nostri sensi.” Annamaria Prete Federica Caramia Laura Cipressa
“Crediamo che la logica, oggi, si situi a mezza strada tra la filosofia e la matematica. Infatti, da una parte usa modalit` a matematiche per sviluppare la propria analisi sul linguaggio e dall’altra vuole applicare i risultati di tale analisi proprio alla comprensione del fenomeno matematica, cio`e ad una filosofia della matematica e, magari, anche ad una della conoscenza. 133
Ma si tratta di traguardi ambiziosi, e chiss` a se effettivamente raggiungibili.” Erica Elia Veronica Giannuzzo Marianna Scaringella
“Al povero pastore bastava associare ad ogni pecora un sasso e controllare, a fine giornata, se il numero di sassi fosse uguale a quello delle pecore. L’atto, in realt` a, era ancora pi` u semplice. Non pensate a numeri, a valori, a quantit` a definite. Pensate che ogni volta che una pecora rientrava nell’ovile il pastore lasciava cadere dalla propria mano un sassolino per terra. Se, dopo l’ultima pecora rientrata, non vi erano pi` u sassi nella propria mano la giornata poteva dirsi conclusa in maniera soddisfacente. Pur finendo la giornata lavorativa dello stanco pastore del Neolitico, il decorrere della Matematica era divenuto inarrestabile e i problemi sempre pi` u complessi e di difficile risoluzione. La Storia della Matematica ebbe, allora, inizio.” Pierandrea Vergallo
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Bibliografia Citazione. • “La Matematica tra sogno e realt` a” (1995), scritto per la XXXVI Olimpiade di Matematica, in “Ennio De Giorgi, Anche la scienza ha bisogno di sognare”. Lezione 1. • “Gli Elementi di Euclide”, a cura di A. Frajese, L. Maccioni, UTET. Lezione 2. • “La sfera in geometria e geografia” di G. De Cecco e E. Mangino, Quad. 1/2001, Dip. Mat. “E. De Giorgi” Univ. Lecce; • “Le geometrie non euclidee e i fondamenti della geometria dal punto di vista elementare”, E. Agazzi, D. Palladino, La Scuola, Brescia, 1998. Lezione 3. • “Introduzione alla teoria degli insiemi sfocati”, A. Fadini, editore Liguori (1979); • “Elementi di topologia fuzzy”, C. De Mitri, Tesi A.A. 1976/77; • “Equivalence among some neighborhood structures in fuzzy topology”, C. De Mitri, Intern. Journal of Mathematics and Mathematical Science (2005); 135
• “Characterization of fuzzy topology from neighborhoods of fuzzy points”, C. De Mitri – E. Pascali, J. Math. Anal. Appli. 93 (1983), n◦ 1. Lezione 4. • “Introduzione alla Logica Matematica”, E. Mendelson, Boringhieri Editore. Lezione 5. • “Analisi Matematica 1”, E. Giusti, Bollati Boringhieri, Torino; • “The Historical Development of the Calculus”, C.H. Edwards, Jr., Springer-Verlag; • “Gli Elementi di Euclide”, a cura di A. Frajese, L. Maccioni, UTET; • “Discreto e continuo”, R. Ferro, preprint; • “Storia e fondamenti della matematica, Parte II. La matematica moderna e i fondamenti della matematica, appunti”, L. Borzacchini; • “The History of the Calculus and its conceptual development”, C. B. Boyer, Dover publications; • “Il numero. Linguaggio della scienza”, T. Dantzig, La Nuova Italia.
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