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“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere”. (Matteo 7, 15-20)
Non tragga in inganno l’incipit estrapolato dal Vangelo. L’ inclusione è stata a lungo ponderata per definire il migliore taglio da conferire all’articolo, soprattutto in funzione di quanto scritto nel numero 96 (giugno 2021, pag.4), dedicato al confronto tra scienza e spirito. Il messaggio evangelico, quindi, assume un valore simbolico che trascende la matrice religiosa da cui scaturisce, espandendosi in contesti molto più ampi. Per i motivi più volte esposti in passato (riassumibili nel famoso aforisma di Henry Louis Mencken: “Il gregge è gregge e ha bisogno di un ovile”) non è possibile dissertare sui falsi profeti riscontrabili nelle varie religioni, pur essendo essi strettamente connessi alla storia dell’uomo, condizionandola non poco, e non certo in modo positivo. Vi è un tempo per tutte le cose e per ora limitiamoci a coloro che abbiano agito al di fuori del misticismo religioso, magari sfruttandolo artatamente Non sono stati e non sono da meno, in termini di negatività. Scegliamo anche di soffermarci nel nostro tempo. I falsi profeti del passato, del resto, sono stati più volte sviscerati in tanti precedenti articoli, a cominciare dall’imperatore Costantino (l’Andreotti e l’Enrico IV dell’antica Roma), per finire con i protagonisti dei vari movimenti culminanti in -ismo, non tutti definitivamente debellati dal genere umano, tra l’altro, e con il più pericoloso di tutti, il liberalismo, in piena virulenza non essendo stato ancora scoperto un antidoto in grado di renderlo innocuo.
“La pubblicità è l’anima del commercio” è un ritornello a tutti noto. Peccato che l’essenza malvagia non sia recepita dalle masse ma subita in modo devastante. George Bernanos, già nel 1947 sosteneva che «i motori di scelta della pubblicità sono semplicemente i sette peccati capitali, per la ragione che è molto più facile appoggiarsi sui vizi dell’uomo che sui suoi bisogni». All’epoca la pubblicità tendeva precipuamente a far conoscere dei prodotti, stimolando la voglia di acquistarli con tecniche di condizionamento subliminale molto elementari rispetto a quelle sviluppatesi nei decenni successivi Il tutto, per lo più, avveniva attraverso immagini e slogan pubblicati sugli organi di stampa o in manifesti affissi sui muri, tendenti a rendere i prodotti simpatici e desiderabili. Chissà cosa avrebbe detto Bernanos, oggi, analizzando l’evoluzione del messaggio pubblicitario e la straordinaria abilità dei creativi nel condizionare le menti di miliardi di persone, inducendole a spendere soldi per prodotti non solo inutili, ma addirittura nocivi. Un condizionamento così forte che riesce a sconfiggere anche la consapevolezza! A nessuno, infatti, sfugge quanto possano essere nocive per la salute quelle merendine che piacciono tanti ai bambini; quei panini venduti in famose catene di
fast-food, quasi sempre accompagnati da gustose bibite gassate e patatine fritte con olio di palma, non a caso definiti junk food Ma quanti sono i genitori capaci di tenere lontani i figli dal cibo spazzatura? Davvero pochi, considerati i fatturati miliardari delle aziende produttrici. I creativi esaltano i prodotti senza sottolinearne i difetti. I consumatori sanno bene che la pubblicità è menzognera, ma la subiscono come se fossero dei tossici che non riescono a stare lontani dalle droghe. Il prodotto pubblicizzato va acquistato, soprattutto se proposto da una star del cinema, della TV, dello sport. Personaggi che per uno spot di trenta secondi, nel quale appaiono per pochi attimi, guadagnano cifre iperboliche. L’attrice Giulia Roberts sorride per una decina di secondi, senza dire una parola, mentre acquista bellissime calze a Parigi, passeggia per le strade innevate di San Pietroburgo, per poi trovarsi magicamente a Verona. Per quel sorriso incassa un assegno a sei zeri e viaggia a spese della multinazionale in tre stupende città, trasformando un lavoro iper retribuito in una splendida vacanza. Tutti soldi che incidono sul costo finale del prodotto perché la pubblicità, come tutti sanno, la paga il consumatore! Quanto si potrebbe risparmiare se si smettesse di ricorrere ai personaggi famosi per la promozione? Davvero tanto! Nel 1945, ad Abbiategrasso, in provincia di Milano, nacque la ditta Vichi Apparecchi Radiofonici, che sicuramente non sollecita alcun ricordo nella maggioranza dei lettori Scrivendo l’acronimo assunto a partire dal 1963, però, tutti diranno: «Ah, sì, la ricordo benissimo!» Dagli anni Sessanta agli anni Novanta del secolo scorso, infatti, i televisori MIVAR dominavano il mercato grazie all’alta qualità e ai prezzi concorrenziali, favoriti dalla rinuncia a ogni forma di pubblicità: si faceva affidamento solo al “passaparola”, ottenuto a costo zero. Sono trascorsi poco più di venti anni dal declino, sancito dall’affermazione dei prodotti coreani e giapponesi, abilmente venduti con campagne pubblicitarie di altissima qualità. Solo venti anni, eppure sembra un secolo, in virtù delle veloci trasformazioni sociali. Oggi si assiste a una vera e propria guerra tra le multinazionali, che però spesso trovano comodo “fare cartello”, in modo da tutelarsi vicendevolmente, penalizzando i clienti non solo sotto il profilo economico. Le auto truccate per renderle compatibili con le norme anti inquinamento sono emblematiche di un cinismo che denota il vero volto di soggetti capaci di passare sui cadaveri di milioni di persone pur di produrre utili. Si potrebbe continuare a lungo nel cesellare le distonie di un sistema marcio, ma quanto scritto è più che sufficiente per delineare i contorni di una bruttissima realtà. Questo capitolo, pertanto, si può concludere aggiungendo solo il paragrafo dedicato alle nuove leve dei falsi profeti: i cosiddetti influencer, autentici signor nessuno molto abili nel trasformare in oro tutto ciò che toccano, a cominciare dalle loro facce e dal loro corpo che, le cui foto ammiccanti pubblicate nei social con ritmi frenetici, fruttano decine di migliaia di euro “al giorno” - talvolta centinaia - grazie alla stupidità di fans pronti a svenarsi pur di acquistare tutto ciò che propongono a prezzi esorbitanti rispetto al normale valore di mercato.
Per certi versi non sono dissimili dai falsi profeti che vendono fumo e illusioni con la pubblicità, ma molto più pericolosi.
Non saranno pochi i lettori di questo magazine che abbiano combattuto –vincendola - la battaglia contro il nucleare. Tutti, ricorderanno, quindi, i numerosi
scienziati che si affannavano a scrivere articoli, saggi, complessi trattati, per spiegare che le centrali nucleari sono sicure, che le scorie radioattive non costituiscono un pericolo e che gli ambientalisti sono un branco di trogloditi ignoranti, nemici del progresso. Non vi era programma televisivo che non desse voce ai loro turpiloqui e forse qualcuno parlava in TV anche alle ore otto ventitré minuti e quarantacinque secondi del 26 aprile 1986, ignorando che proprio in quel momento, in una sconosciuta cittadina dell’Ucraina dal nome impossibile, Pryp"jat', le menzogne profferite con diabolica abilità dialettica e lautamente retribuite dai poteri forti di cui erano servitori, furono seppellite da una nube micidiale che ben presto travolse mezza Europa. Quella città, che allora contava cinquantamila abitanti, molti dei quali dipendenti della vicina centrale nucleare Černobyl', è oggi una città fantasma. E lo resterà ancora a lungo: gli scienziati “non disonesti” parlano di un arco di tempo che va dai tremila ai ventimila anni, prima che vi si possa fare ritorno senza pericoli! Ci dicono, in sintesi, che non è ancora possibile stabilire con esattezza la mostruosità della contaminazione radioattiva. Nel 2011 fu travolta da uno tsunami la centrale nucleare giapponese di Fukushima. Come per Černobyl è impossibile stabilire con certezza il numero delle vittime, perite anche a distanza di molti anni. Parliamo di centinaia di migliaia di persone, forse milioni, e di interi territori contaminati per millenni, ivi comprese vaste aree oceaniche, con terribili conseguenze per la catena alimentare. Molti scienziati, però, ben foraggiati, continuano ancora oggi a parlare di “centrali nucleari sicure” e purtroppo non mancano i politici che fanno finta di prenderli sul serio, essendo più criminali di loro.
Anche le case farmaceutiche si avvalgono di falsi profeti lautamente retribuiti, ma su di loro limitiamoci solo a questo accenno: la materia sanitaria è molto più complessa e richiede una trattazione speciale ed esclusiva.
L’articolo, diciamolo pure senza tanti giri di parole, può ritenersi concluso senza alcun bisogno di questo capitolo, perché è davvero stucchevole parlare di figuri che, soprattutto oggi, sono più assimilabili alle macchiette dell’avanspettacolo che ai veri falsi profeti del passato recente e remoto. Di fatto i politici contemporanei si possono tranquillamente associare ai pubblicitari succitati, perché anche loro vendono fumo spacciandolo per l’arrosto di cui, invece, fanno incetta. Sempre in questo numero, tra l’altro, nell’articolo intitolato “A.A.A. ALLARME ROSSO”, vi sono ampi ed ennesimi riferimenti all’inconsistenza della classe politica. La storia italiana è quella che è; certe cose ce le trasciniamo dietro da tempo immemore e non serve essere Cassandra per presagire che dureranno ancora a lungo.
“CONFINI” ha la presunzione di volare alto ed è giusto che mantenga uno stile che lo preservi dalle piccole cose. I guasti generati da chi rivesta indegnamente ruoli di potere vanno sì analizzati, ma solo come fenomeni sociologici, senza alcun bisogno di citare la lunga lista dei piccoli figuri che li producono. Di essi si occupa ampiamente la cronaca e vi è un giornale che pubblica una rubrica intitolata “Ma mi faccia il piacere”, parodiando un celebre verso di Totò: le tristezze e le contraddizioni di una classe politica imbelle, insieme con quelle dei sodali nei media e altrove, vengono esposte con gustosa ironia e raffinato sarcasmo e chi lo
desideri può comodamente dedicarsi a quella gradevole lettura. Le macchiette è giusto trattarle come tali, senza alcun bisogno, però, di conferire loro l’immeritato onore di essere rampognate su un magazine di alto profilo culturale
Il numero 102 di CONFINI è stato pubblicato pochi giorni prima che le armate russe avviassero la sciagurata invasione dell’Ucraina. Non potevo prevedere, pertanto, che già nei giorni successivi all’invasione, tra le persone che si sono giocate la mia stima con le insulse argomentazioni giustificative dell’efferato crimine, figurasse anche il direttore del quotidiano cui faccio riferimento nell’articolo.
Cari italiani, è inutile perdere tempo nel commentare quanto accaduto in occasione delle recenti elezioni presidenziali e puntare l’indice contro i politici per lo spettacolo indecente, che per l’ennesima volta ha sbalordito il mondo intero. È inutile perché i veri responsabili dello sfascio nazionale siete voi che, sin dalla fine dell’ultima guerra mondiale, avete mandato al potere quanto di peggio si potesse raccattare nella società, costringendo tante brave persone all’oblio o addirittura a scapparsene all’estero. Decennio dopo decennio, o addirittura anno dopo anno, con deprecabile impeto irrazionale avete elevato al rango di primi attori autentici pagliacci (absit iniuria verbis per i rispettabilissimi pagliacci circensi), salvo poi gettarli nella polvere quando vi siete resi conto che non erano buoni nemmeno come comparse. Nel frattempo il Paese sprofondava e continua a sprofondare, non solo metaforicamente, sotto il peso di un potere sempre più contaminato dall’inconsistenza di chi lo eserciti e dalla crescente propensione a sfruttarlo per fini personali.
Che altro deve ancora accadere affinché vi rendiate conto dei guai che avete combinato? Quando vi deciderete a comprendere che dietro ogni azione si cela la qualità di chi la ponga in essere e uomini senza qualità possono solo compiere azioni di pessima qualità?
Qualche settimana fa, in uno dei tanti programmi televisivi incentrati sulla farsa quirinalizia, una buona lezione di dottrina politica è pervenuta addirittura da Paolo Cirino Pomicino, un vecchio arnese espressione della peggiore congerie dei vecchi predatori seriali, che ha ridicolizzato i partiti senz’anima e senza basi culturali, con nomi che assomigliano a quelli dei prodotti di consumo, destinati a dissolversi nel nulla quando non dovessero avere più al timone i mediocri figuri che li hanno fondati per assicurarsi qualche comodo scanno parlamentare e un po’ di poltroncine per i servitori. Quando un popolo si riduce a dover prendere lezioni da siffatti soggetti, o cambia pagina o è destinato a perire. Che cosa occorre fare, quindi? L’astensione dal voto non serve: in questo modo si fa solo il gioco dei nuovi predatori, che possono contare su un solido elettorato fideistico, la cui consistenza è direttamente proporzionale all’aumento dell’astensionismo. Manca un anno alle prossime elezioni: urlate forte il vostro disgusto e spingete con tutte le vostre forze affinché si vari una legge elettorale di stampo proporzionale! Ve lo dice un convinto assertore del maggioritario! Il Paese non si cambia dall’oggi al domani. C’è bisogno di un lungo lavoro, che va fatto soprattutto per le generazioni future. L’inizio può essere rappresentato solo dalla progressiva immissione, nel Parlamento, di persone serie e capaci e questo è possibile solo con una legge elettorale che tuteli le formazioni piccole, ma qualitativamente di alto spessore. Serve soprattutto una formazione di destra capace di chiudere definitivamente l’infausta e infame stagione che ha conferito dignità politica alle macchiette del cosiddetto centro-destra che, come ho più volte scritto, incarnano il peggio del “centro” senza avere nulla che possa configurarsi
A.A.A. ALLARME ROSSO: ITALIA AFFONDA. PERSONE SERIE CERCASI. (Lettera aperta al popolo italiano… e a qualcun altro) *come “destra”. Il rischio è grande, non bisogna nasconderlo. Tutti i fetentoni impegnati in politica, infatti, stanno spingendo proprio in tal senso, ritenendo di poter ritornare ai fasti del pentapartito, quando si riusciva a comandare anche con l’1% dei voti. (Fa eccezione Bersani, che non sarebbe onesto associare ai fetentoni, la cui propensione a favore di una legge di stampo proporzionale muove da considerazioni per molti versi affini a quelle qui enunciate)
L’alternativa è il sistema attuale, che consente ai capipartito di portarsi in Parlamento una bella ciurma di attendenti, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Nell’uno e nell’altro caso, quindi, vi è poco da stare allegri. Tra la certezza di un pateracchio indegno e la possibilità di battere il nemico usando le sue stesse armi, tuttavia, è lecito preferire la seconda strada. Se le armi dovessero essere usate in modo intelligente , la strategia potrebbe risultare vincente. Se invece si dovessero disperdere i voti tra i tanti partiti senz’anima che si presenteranno alle elezioni, sarà tutto inutile e a quel punto si potrà solo dire, per l’ennesima volta: “Chi è causa del suo male pianga sé stesso”. Qualcuno potrebbe obiettare, però, che in mancanza di una “vera destra” vi è poco da cincischiare: o ci si ritira sdegnati nell’astensionismo o si cerca, nel ginepraio dello squallore disponibile, indipendentemente dalla legge elettorale, il male minore, che poi non è mai il minore, perché è male e basta. Obiezione legittima e rispettabile, che si può confutare in un solo modo: offrendo realmente agli elettori, soprattutto a quelli che da anni si rifiutano di votare, “una vera destra”. Cosa non facile, ma possibile. Vediamo come.
Caro Gianfranco, da giovani, pur militando nello stesso partito, eravamo su sponde opposte: la tua più consistente ma di scarsa qualità, come il fluire del tempo avrebbe dimostrato in seguito; la mia minoritaria, ma popolata da persone eccellenti, “che sapevano guardare lontano”, come tu stesso hai umilmente e dignitosamente riconosciuto, molti decenni dopo Quando fondasti “AN”, raccattando l’italico fecciume e alleandoti con un soggetto che invece di essere spedito in uno di quei palazzi con nomi che rimandano alla Regina dei Cieli o a un santo reso famoso da un casello autostradale, fu spedito nei palazzi del potere, riducendo il Paese in un postribolo, mi guardai bene dal seguirti e mi feci da parte, in silenzioso ritiro, assistendo, non senza sofferenza, al continuo degrado sociale. Col passare degli anni, però, nonostante l’iniziale propensione ad accettare l’inaccettabile pur di respirare l’aria del potere, prendesti crescente consapevolezza del baratro melmoso in cui eri precipitato e con un singulto di ritrovata dignità iniziasti a ribellarti. Quel tipo che si sentiva re d’Italia e aveva una visione tutta particolare della politica, però, non riusciva nemmeno a concepirla tanta insofferenza: per lui eravate tutti dei lacché ai quali non era consentito pensare, ma solo obbedire. Vi aveva resi ricchi e famosi, perbacco! Che cacchio volevate di più? Un bel giorno, infatti, ti disse, infuriato, che se “volevi fare politica” dovevi dimetterti da presidente della Camera! A lui non servivano teste pensanti ma burattini pronti a giurare che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak e a votare
leggi concepite apposta per tutelare i suoi interessi. Pazienza se poi servivano a tutelare anche quelli dei banditi e dei criminali comuni.
Tu gli rispondesti a tono, come ben ricordi, puntandogli contro il dito indice che, in quel momento, apparve a tanti come la spada di un cavaliere di Camelot. Lo facesti traballare non poco, non essendo egli aduso a subire gesti del genere. Poi tentasti di farlo cadere, con una coraggiosa azione politica che ti fece senz’altro onore. Sbagliasti i calcoli, tuttavia, perché non considerasti la sua capacità corruttiva e la facile propensione degli italiani a vendersi, anche per un piatto di fagioli: con pochi spiccioli si comprò i voti necessari a impedire la caduta del Governo e tu facesti la figura del babbeo, per giunta ingrato.
Quel gesto, però, scosse tante persone per bene, che da molto tempo avevano abbattuto ogni ponte che potesse condurre a te. Tra costoro vi ero anche io. “Ha tanto sbagliato – pensavamo – però ha fatto ammenda dei suoi errori e intanto è cresciuto culturalmente, intellettualmente e ha anche maturato una significativa esperienza politica”. Perdoniamolo e cerchiamo di dare vita, finalmente, a una “vera destra”.
Ricordo come se fosse ieri l’incontro del 9 gennaio 2013, dopo ben ventotto anni di mancati contatti, nel tuo ufficio di ex presidente della Camera, e quel lungo abbraccio, che non necessitava di tante parole, che funse da prologo alla firma della candidatura alla Camera. “Non saremo tanti – pensavo – ma ora possiamo seriamente dire al Paese che esiste una destra vera, moderna, sociale, europea, sulla quale contare”. E come se fosse ieri ricordo quel 25 febbraio 2013, mentre, impietosi, arrivavano i dati che sancivano non la sconfitta, ma la disfatta. Il “popolo sovrano” si era espresso con il pollice verso, tributando ben dieci milioni di voti al centrosinistra, quasi altrettanto al centrodestra, quasi nove al M5S. In tanti ti avevano capito e perdonato, “guardando lontano”, ma tanti altri non ne furono capaci, buttando acqua bollente su una piaga già estesa. Per quasi un anno non ci vedemmo né sentimmo. Poi trovammo la forza di guardarci negli occhi e decidere di rimboccarci le maniche, ritenendo che era ancora possibile “guardare al futuro”. Tu fondasti “Libera Destra” e io avevo già fondato, molti mesi prima, “Europa Nazione”. «C’è ancora chi crede in noi – ci dicemmo – diamo loro un approdo». Il sogno di tornare a combattere, però, s’infranse quasi subito in virtù del tuo “sbandamento etico personale”, abilmente sfruttato – e con che gioia! – dagli avversari, ancorché con rogne senz’altro più gravi. Sommato allo sbandamento etico politico precedente, indusse anche coloro che ti avevano rinnovato la fiducia ad abbandonarti di nuovo, sdegnati e arrabbiati. Da allora sono trascorsi otto anni e i nostri capelli si sono imbiancati ancor più. Tu hai compiuto da poco settanta anni e sei scomparso dalla scena politica, le cui dinamiche, però, di sicuro non ti sfuggono. Io ti seguo quasi a ruota, ma penso che forse non è ancora il momento di tirare i remi in barca.
In Italia quel popolo di destra che da tempo si rifugia sdegnosamente nell’astensionismo o continua ad accumulare delusioni su delusioni, affidandosi di volta in volta ai mestatori di turno, è senza una guida. Io da solo non ce la faccio a chiamarlo a raccolta e, che piaccia o no, in questo Paese, oltre te e me, non è che
siano tanti coloro che abbiano ben chiaro come dovrebbe strutturarsi “una vera destra” che non si perda nei tanti ossimori tesi a conciliare l’inconciliabile, tipo “destra liberale” o “centrodestra”, concetti che fanno venire i crampi allo stomaco solo a sentirli nominare. Sì, lo so che a pagina 57 del tuo saggio biografico, che mi donasti con la dedica “A te, che sai guardare lontano”, parli anche tu di destraliberale, ma so anche che l’espressione costituisce una palese forzatura rispetto ad altri concetti ben più validi e condivisibili, più complessi da recepire. “Un modo di dire”, pertanto, per farti comprendere anche da chi non fosse stato in grado di discernere il grano dal loglio, ossia la maggioranza di quelle persone che, per esempio, si scandalizzarono in quel di Fiuggi, quando ti sentirono parlare di Gramsci! Io non c’ero, a Fiuggi, avendo già abbandonato da molto tempo l’arena politica, ma seguivo con attenzione il Congresso e l’episodio mi fece sorridere non poco: quei concetti li andavo esprimendo da una ventina di anni, arricchendoli con altre tematiche, tra le quali le prospettive europeiste. Tutte cose che mi rendevano indigesto a tanti “cari camerati” i quali, dopo avermi “sopportato” a lungo, nel 1985 chiesero all’allora segretario regionale di farla finita con un rompiscatole aduso a un linguaggio per loro ostico. Da Napoli, quindi, giunse a Caserta un famoso deputato, già alla seconda legislatura, beneficiario di una cospicua messe di voti per lo più provenienti da quella parte dell’elettorato missino che preferiva il manganello alla penna e ai libri, con il compito di commissionare la sezione di cui ero segretario, nonché la federazione di cui ero dirigente, al quale furono date ulteriori precise istruzioni, che non mancò di comunicarmi con un perfido sorriso: «Pasqualino, sono venuto a farti male». Assolse in modo egregio al suo compito, spaccando il partito pur di impedire la mia elezione a consigliere provinciale e comunale. Mi tolse anche il “fondo cassa” della federazione: trentacinque milioni destinati alle elezioni amministrative, utilizzandoli per favorire l’elezione al consiglio regionale di un suo “protetto”, consentendogli in tal modo di iniziare una fulgida carriera politica, che dopo la riconferma in Regione culminò con l’elezione al Parlamento Europeo.
Lasciamo stare il passato, quindi, e torniamo al presente
Hai fatto cavolate pazzesche, certo, ma gli altri hanno depredato il Paese e continuano a farne strame. Non sei tu il peggiore.
Che dici? Ci riproviamo a mettere insieme un po’ di persone serie? Non è detto che ci riusciremo, ma penso sia nostro dovere tentare e offrire una chance a un popolo disorientato. Non fosse altro per restare con la coscienza a posto. Soprattutto tu. Per quanto mi riguarda – questo mi devi consentire di dirlo – non ho nulla da rimproverarmi, avendo mantenuto sempre la barra a dritta, sin da quando, poco più che ragazzino, incominciai a navigare i mari più tempestosi.
Un abbraccio affettuoso, caro Gianfranco. E spero a presto.
* Lettera scritta nelle vesti di presidente di “Europa Nazione”.
(Dedica di Fini sul suo saggio “Il ventennio”.
Il popolo italiano, disse qualcuno, è un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori. Il riferimento ai pensatori sicuramente riguardava i tanti filosofi che, dal tempo dei Romani in avanti, hanno dato lustro al Paese, senza considerare, però, che il termine avrebbe acquisito maggiore consistenza con un’altra categoria di pensatori, da molti decenni predominante rispetto a un pensiero filosofico in crescente decadenza: “i pensatori di truffe”. In nessun Paese al mondo, infatti, i truffatori riescono a raggiungere la capacità inventiva degli italiani.
È davvero una bella idea quella del bonus 110%, che consente di modernizzare le abitazioni con quegli elementi in grado di ridurre sensibilmente i costi energetici, rendendole contestualmente più confortevoli. Nemmeno gli scrittori dotati di più fervida fantasia, però, sarebbero stati capaci di inventare le trame delle truffe subito poste in essere da un esercito di farabutti, responsabili di quel blocco che sta mandando in tilt un intero settore.
Tutto nasce grazie alla formula che prevede l’erogazione del beneficio con la cessione dei crediti d’imposta, perché in Italia siamo campioni nel rendere difficili cose facili: sarebbe bastato disporre l’erogazione dell’importo, in forma figurata e quindi senza nessun esborso effettivo, direttamente al soggetto beneficiario del bonus, previa approvazione del progetto dopo accurati controlli di legittimità e successivi controlli nell’esecuzione dei lavori, per evitare ogni problema alla fonte. L’impresa scelta, di fatto, che avrebbe dovuto dimostrare preventivamente all’ente di controllo di essere in regola, di “avere una propria storia” e soprattutto che la
storia non fosse inficiata dalle note “italiche distonie”, avrebbe ricevuto la somma erogata dal cliente, emettendo regolare fattura e sottoponendosi ai relativi oneri, come per qualsiasi altro lavoro. Ovviamente anche in questo caso qualche truffa si sarebbe resa possibile, perché la fantasia degli italiani è infinita, ma con severi controlli “preventivi e successivi”, e soprattutto coinvolgendo nella responsabilità penale i beneficiari del bonus, i rischi sarebbero stati davvero minimi. Abbiamo visto, invece, cose “che noi umani non avremmo mai potuto immaginare”, come disse il replicante di un celebre film: interi nuclei familiari – alcuni privi di reddito – hanno fatto molteplici acquisti di crediti per oltre tre milioni di euro; un pakistano, privo del contratto di locazione valevole per l’agevolazione e senza aver presentato dichiarazioni fiscali negli ultimi due anni, “è stato in grado” di cedere crediti per oltre sedici milioni di euro; un senzatetto ha dichiarato di aver comprato sei milioni di euro di crediti bonus facciate da un altro soggetto, anch’egli nullatenente e sconosciuto al fisco; un tizio privo di reddito, ospite di un centro di recupero, ha aperto una partita Iva come procacciatore d’affari e ha tentato di cedere a un intermediario finanziario oltre 400mila euro di crediti fittizi, poi venduti a una società di costruzioni; una pletora di società neo costituite ha pubblicizzato “monetizzazioni veloci dei crediti d’imposta per bonus edili” e non occorre essere maghi per comprendere cosa potessero celare, nella realtà, siffatte operazioni.
Il Governo è corso ai ripari con restrizioni sulla cessione dei crediti d’imposta che dovrebbero impedire le truffe. L’intero settore, però, è nel caos più totale anche per le speculazioni poste in essere dai fornitori che, dopo essersi approvvigionati per tempo di materie prime con costi equi, le stanno immettendo sul mercato con un sovrapprezzo sproporzionato, che sta mandando letteralmente in crisi le imprese edili che avevano effettuato preventivi basandosi sui vecchi prezzari. Un grande casino, insomma, che prevede interventi radicali, non solo di natura “amministrativa” ma anche e soprattutto di natura “repressiva”.
Va anche detto, infatti, che il fronte delle truffe è ben più esteso e riguarda anche molti tecnici che, approfittando della complessità della materia, hanno esposto il progetto a ignari clienti in modo tale da “espugnare” somme di danaro non dovute solo per “avviare la pratica”. In buona sostanza l’intera normativa è da rivedere con una semplice formula di base: si colpiscano duramente i farabutti e si tutelino le persone per bene.
La data di scadenza per la fruizione dell’ecobonus va estesa se non proprio sine die almeno per il tempo sufficiente a “mettere ordine nel caos” e questo vuol dire tutto il 2023 e forse anche il 2024. Il provvedimento, poi, deve riguardare anche le abitazioni unifamiliari e non solo i condomìni. È semplicemente pazzesco, infatti, destinare le risorse a costruzioni realizzate negli ultimi venti o trenta anni, già in parte munite degli accorgimenti che il progresso ha messo a disposizione in tema di ecosostenibilità, escludendo da ogni beneficio case con cento anni di età e quindi molto più bisognose di interventi protesi a renderle ecosostenibili.
Più di ogni altra cosa, comunque, si sbattano in galera i truffatori e si buttino le chiavi.
Volontari da tutta Europa per difendere l’Ucraina: nasce la Brigata internazionale e sono stati organizzati centri di reclutamento presso tutte le ambasciate del Paese sotto l’infernale attacco russo. Inglesi, svedesi, azerie volontaridi altri Paesi hanno già combattuto a fianco delle forze ucraine nella guerra che infuria dal 2014 nel Donbass, contro le forze filo-russe. Sono arrivati anche i ceceni in esilio, scampati alla morte durante le due guerre che culminarono con il trionfo del feroce dittatore Ramzan Kadyrov, attuale presidente della Cecenia, che sostiene Putin con un nutrito gruppo di miliziani. Dei connazionali, pertanto, si potranno trovare di fronte, gli uni contro gli altri armati, in una sorta di stramba guerra civile combattuta in campo neutro.
Un toccante appello è stato lanciato dal ministro degli Esteri del Regno Unito, Elizabeth MaryTruss, meglio nota come Liz Truss: «Se dei cittadini britannici vogliono appoggiare la lotta per la libertà di Kyiv, ilgoverno èassolutamentedisposto asostenerli. Ilpopolo ucraino stacombattendo perla libertà e la democrazia non solo dell’Ucraina ma di tutta l’Europa».
Anche la Danimarca si è mobilitata per sostenere il popolo ucraino in questo difficile momento. Il Premier Mette Frederiksen ha dichiarato che non vi è alcun ostacolo legale per andare a combattere in Ucraina: «È una scelta che può fare chiunque. Vale per i moltiucraini che vivono fra noi, ma anche per gli altri che pensano di poter contribuire al conflitto».
Dalla Giorgia parla il veterano Mamuka Mamulashvili, comandante della “Legione giorgiana”: «Abbiamo aperto l’arruolamento una decina di giorni fa e stanno arrivando un centinaio di richieste algiorno datutto il mondo. Cinque italiani, ex militari, vogliono unirsi a noiper addestrare ivolontari e aiutare gli ucraini a difendere la libertà del loro Paese» .
«Parto per difendere i bambini ucraini – Né soldi, né gloria: non sono Rambo, anche se ho esperienze militari e di antiterrorismo, parto per difendere gli ideali e soprattutto i bambini». Lo ha detto all’agenzia Ansa Francesco – il nome è di fantasia per garantire l’anonimato – 35 anni e originario della Campania, che ha deciso di arruolarsi tra i volontari della Brigata internazionale. Al momento della stesura di questo articolo Francesco era in attesa dei documenti per partire da parte dell’ambasciata ucraina in Italia. Ovviamente non è dato sapere dove sia stato destinato. G.B., invece, meridionale residente in una regione del Nord, mi ha scritto tramite la pagina Facebook “Europa Nazione” per chiedermi come procedere per arruolarsi Gli ho fornito tutte le informazioni
concludendo il messaggio con questa frase: «Che Dio ti assista nella difesa della Civiltà occidentale e di un popolo allo stremo. Un abbraccio affettuoso da un vecchio bersagliere».
La sua replica: «Grazie. Non mi reputo un super soldato, so poco della guerra e ho solo un addestramento milsim (in pratica ha imparato qualcosa dai videogame che simulano battaglie, N.d.R.) Cercherò di difendere l’Ucraina perché non posso stare a guardare. Mi vergogno di essere italiano e di far parte di un’Europa di codardi che lascia morire una nazione in lotta per essere pienamente europea».
Onore a voi, alfieri di civiltà, rari nantes in gurgite vasto di un mondo in dissoluzione.
Vorrei avere vent’anni per essere al vostro fianco e vi sarei comunque anche con una ventina di anni in più, ma oggi forse non riuscirei a buttare giù nemmeno i barattoli che alle giostre fanno vincere un sorridente peluche.
Iltempo sancisce, impietoso, le sue regole, ma sono accanto a voi con tutto il mio cuore e sono sicuro che i miei tanti commilitoni siano pervasi da analoghi sentimenti. Eravamo una squadra fantastica, nel Corpo d’élite dell’Esercito Italiano e al vostro fianco avremmo fatto faville per difendere la civiltà occidentale. Onore a voi e, come sempre, “spes contra spem”.
(Foto in alto: Due volontari della Legione Nazionale Giorgiana. Altre foto: a venti anni, in terza fila, al centro, con la barba e il fucile in mano; sull’elmetto della vecchia foto apposto il simbolo degli United States of Europe. Un sogno destinato a trasformarsi in realtà, se vogliamo evitare la fine dell’Europa. Una Patria comune, con un governo federale e un unico grande esercito, imbattibile).
e bambini in atto e, ovviamente, deitantisoldatiche alla micidiale armata russa possono opporre solo il proprio eroismo volto al sacrificio estremo, considerato che nel resto del mondo si organizzano stupende marce della pace invece di correre in massa in Ucraina, armi in pugno, per difendere non solo un popolo ma i principi più sacri della civiltà.
Ai leoni da tastiera e ai mistificatori in servizio permanente effettivo che popolano i salotti televisivi e le redazioni dei giornali vi ha pensato Antonio Polito con un eccellente articolo pubblicato il 27 febbraio sul Corriere della Sera, qui riproposto integralmente.
“De Luca è uomo colto. Ha preferito dunque incartare la sua difesa delle ragioni di Mosca con motivazioni strategico-diplomatiche, le stesse usate da Putin. Secondo questa versione l’autocrate russo avrebbe sentito il bisogno impellente e immediato di invadere l’Ucraina e occuparne la capitale per impedire un’adesione alla Nato dell’Ucraina che non era all’ordine del giorno, come gli avevano assicurato sia Macron sia Scholz in visita a Mosca, e che non aveva del resto provocato una guerra quando ad aderire erano stati i Paesi Baltici, non meno strategici per la Federazione Russa (due di questi anche confinanti). Poco credibile. Ma, in ogni caso, i motivi geopolitici sono tutti da considerare e da dibattere, perché almeno fanno i conti con la realtà del mondo di oggi. Però ci sono in giro molti filo-russi, decisamente meno colti di De Luca, che ricorrono spesso a un argomento da loro definito «storico», ma che è più che altro un luogo comune della propaganda di Putin, rilanciato anche nella sua concione televisiva. Questa giustificazione dell’intervento russo sostiene che l’Ucraina è da sempre, fin dal medioevo, fin dalla notte dei tempi, parte della Russia. Dunque ci sarebbe un diritto quasi naturale di Mosca a riprendersi Kiev, che con l’aiuto degli occidentali ha invece osato dichiararsi indipendente 31 anni fa, dopo lo scioglimento dell’Urss.
Siccome la mamma degli imbecilli è sempre incinta, non sono mancati, sin dalle prime ore dell’ignominiosa invasione dell’Ucraina, i filo putiniani vecchi e nuovi che, un po’ dappertutto, si arrampicano suglispecchiper trovarelepiù strampalategiustificazionidel massacro didonne, vecchiIn realtà questi argomenti «storici» sono sempre molto scivolosi, anacronistici, ingannevoli. Perché in due millenni di era cristiana le nazionalità, le etnie, i popoli, le dinastie, si sono così tante volte intrecciate, combattute, conquistate reciprocamente, fuse e divise, che è davvero impossibile separarne la storia con la nettezza e la superficialità che pretendono i nazionalisti dei nostri giorni. Prendiamo Kiev, per esempio. Si può dire, al contrario di quanto sostiene l’argomento filo-russo, che la Russia sia nata a Kiev, non a Mosca. La Rus’ è infatti «la prima organizzazione politica degli slavi orientali: sorse nel IX secolo dopo Cristo intorno a Kiev, sul fiume Dnepr, e divenne lo stato più grande dell’Europa medievale, soprattutto dopo la conversione al Cristianesimo orientale nel 988».
Questo embrione di Stato, nato alla periferia dell’Europa ma aperto verso le steppe euroasiatiche, assunse una configurazione stabile e una forma di amministrazione centrale sotto Vladimir, tra il 980 e il 1015. Fu proprio Vladimir a compiere il passo storico del battesimo e della conversione al cristianesimo. CosìKiev “vincolò la Rus’ al mondo cristiano e aquella che più tardisarebbe diventata l’Europa”. Siamo sicuri che Putin sappia perfettamente che il suo primo nome, come quello di Lenin, gli deriva da un sovrano di Kiev. Ma forse non lo sanno molti dei suoi più ignoranti sostenitori sul web, «leoni da tastiera» che dosano la storia un tanto al chilo, e la manipolano a fini politici, cosa che con la storia non andrebbe mai fatto.
La Rus’ di Kiev fu infatti uno stato unitario fino al 1125, e poi si frantumò un po’ alla volta in una federazione di principati. In uno di questi, verso il Nord, nella regione di Vladimir-Suzdal, sorsero numerosiavamposti militari, tracuiMosca, citata per la prima volta nell’antica Cronaca solo alla data del 1147. Poi nel 1169 ci fu il saccheggio di Kiev, e poi l’invasione dei mongoli, e poi il secolare «giogo tartaro», e poi e poi e poi, fino ai nostri giorni. Se si volesse abusare della storia, dunque, gli ucrainidiKievavrebberooggidiritto quanto epiù deirussidiMoscaarivendicareunaprimogenitura. «Dalla frammentazione dei territori della Rus’ di Kiev si è originata una frattura, e la continuità della storia russa è diventata materia di controversia. Dal punto di vista moscovita e russo c’è una evidente continuità, rappresentata dal potere della dinastia dei rjurikidi (di cui faceva parte Vladimir): la casa regnante sopravvisse sotto i mongoli, e al loro tramonto, i principi rjurikidi di Mosca riunirono le terre della Rus’ nello stato russo moscovita che considera Rjurik suo fondatore». E questa è l’interpretazione che ha dominato nell’epoca imperiale e sovietica, e oggi è di Putin. «Ma la storiografia della Grande Russia ha proposto anche versioni alternative. Dal punto di vista territoriale lo stato moscovita nonha mai coinciso esattamentecon la Rus’, e l’annessione di Kiev, avvenuta solo nel XVII secolo, fu ilrisultato dell’incorporazione nell’impero moscovita dell’Ucraina degli Hetman, cosacchi semi indipendenti».
Ecco perché anche l’anniversario dei mille annidalla conversione diVladimir, nel1988, fu occasione di rivalità tra chi considera questa festa russa e chi ucraina. La nascita di un’Ucraina indipendente nel 1991 ha dunque basi storiche più che solide. Ma il punto non è questo, anche irussi hanno certamente le loro ragioni in materia. Il punto è che non si può sfruttare il passato per giustificare il presente. Meno che mai se il presente è una sanguinosa guerra di aggressione. Ps: le informazioni e le citazioni contenute in questo articolo provengono dal volume «Storia della Russia» di Roger Bartlett, edizione Mondadori. Per chi volesse approfondire” .
Ciò premesso, è bene ricordare quanto male abbiano prodotto coloro che, in passato, con una cecità che sgomenta, un po’ per interesse e un po’ per ignoranza, abbiano prestato il fianco al gioco perfido di tanti tiranni, facendoli passare per santi. La lista è lunga e qui ci limitiamo a riportare alcune dichiarazioni di un buffo soggetto che, in Italia, vendendo bufale, è riuscito a diventare uno degli
uomini più ricchi del mondo, incantare masse amorfe sempre pronte a credere alle favole e diventare finanche capo del Governo.
“Mi sono fatto spiegare da Putin come prendere il 71% alle elezioni” (16/3/04); Putin è un fiero anticomunista che ha vissuto l’assedio di Stalingrado” (23/12/05) (Come abbia fatto, però, essendo nato dieci anni dopo, resta un mistero, N.d.R.); Putin mi dice ‘Caro Silvio’, io rispondo ‘Caro Volodia’ (3/4/02); ho detto alle figlie di chiamarmi zio (16/10/02); la Russia di Putin è matura per entrare nell’Unione europea: deve accadere (28/05/02); al Cremlino un’orchestra di cinquanta elementi suona le mie canzoni; con Putin avremo una linea telefonica diretta e protetta per gestire le emergenze e i nostri rapporti una volta alla settimana (16/10/02); Putin è un dono del Signore (10/09/10); Putin è un uomo sensibile, aperto, ha senso dell’amicizia e rispetto per tutti, soprattutto per gli umili, e profonda comprensione della democrazia (22/10/10); è il numero uno dei leader mondiali, quello con la visione più lucida. Lo assumerei in una mia impresa, ha un’idea molto chiara della pace del mondo (5/10/18).
Parlando delle feroci repressioni in Cecenia ha asserito testualmente: «Realtà distorte dalla stampa: in Cecenia c’è un’attività terroristica con molti attentati contro cittadini russi senza una risposta corrispondente dalla Russia, che anzi ha organizzato un referendum democratico» (6.11.03). Non poteva mancare, ovviamente, un “perlina” sulla Crimea, da Putin annessa nell’indifferenza generale dell’Occidente: «Ha assolutamente ragione lui: porta le truppe al confine perché la Crimea ha paura che Kiev compia stragi» (20.5.14).
Nel 2019, poi, ha effettuato la quadratura del cerchio: «Putin è il più colto e anche il più democratico. Tutto il contrario di come è dipinto sui media. Dobbiamo andare in Europa per far sì che la Russia si unisca a noi: ormai è un Paese occidentale» (16.2.19).
Servono altri commenti? Sì, uno solo: quando si tollera tutto questo, prima o poi se ne pagherà il prezzo. Ilsonno della ragione genera mostri. E nonmi riferisco a Putin, che è solo “un” tiranno, come ce ne sono stati tanti e come sempre ce ne saranno. “Un”, ossia “uno”… non so se mi spiego.
Questo articolo è stato scritto seianni fa, il18 novembre 2016, in occasione della giornata che ricorda lo sterminio per fame del popolo ucraino da parte di Stalin, e pubblicato sia sul “Secolo d’Italia” sia nel numero 49 di CONFINI (novembre 2016, pag. 34). Lo riproponiamo in un momento particolarmente tragico per il popolo ucraino, essendo quel genocidio misconosciuto aipiù, nonostante l’altissimo numero di vittime. Conoscere il passato, come più volte scritto, aiuta a comprendere il presente. Nella parte conclusiva dell'articolo si legge testualmente: “Solo nel marzo del 2008 il Governo dell’Ucraina e 19 nazioni hanno sancito che si configura come “genocidio” quanto accaduto dal 1929 al 1933 e il 23 ottobre dello stesso anno il Parlamento europeo ha riconosciuto l’Holodomor come un crimine contro l’umanità. Il giorno della memoria è stato fissato, annualmente, nel quarto sabato di novembre. Tra i 19 Paesi che hanno riconosciuto l’Holodomor come genocidio ���������� l’Italia” Ora non ricordo la fonte da cui trassi la notizia dei diciannove Paesi, ma attualmente la situazione (almeno ufficialmente, anche se dei dubbi persistono) è la seguente: sedici Paesi hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio; sette Paesi rifiutano l’utilizzo del termine “genocidio” e commemorano l’Holodomor come “tragedia umana” L'Italia, purtroppo, manca ancora in entrambe le liste. Il ministro Di Maio, comunque, in occasione di una recente visita a Kyïv, ha reso omaggio al sacrario del National Museum of the Holodomor Genocide.
Sarebbe opportuno che nel Parlamento italiano si avviasse subito un dibattito per riconoscere l'Holodomor come genocidio. ******
Che la storia del mondo debba essere riscritta, è un dato di fatto. Da un lato vanno corrette con un metro più obiettivo le pagine ben note, tramandate con una mistificazione che dura, nei casi più estremi, da millenni; dall’altro vanno rivelate le pagine oscure, quelle antiche e quelle recenti, occultate per i più svariati motivi, non ultimi quelli ancorati alla cinica ragion di Stato, che spesso privilegia malsani equilibri. È quanto accaduto, per esempio, con le foibe, artatamente dimenticate per decenni pur di non irretire Tito; con il genocidio armeno, delquale non siparla come si dovrebbe per tenere buono e calmo il terribile “sultano” della Turchia, scomodo alleato dell’Occidente; con il massacro della classe dirigente polacca, nella foresta di Katyn, occultato come “debito di riconoscenza” nei confronti del prezioso alleato russo nella lotta al nazi-fascismo; con le tante nefandezze care ai dittatorelli del Sud America, “amici degli amici” e quindi legittimati a compiere le più bieche azioni non solo senza doverne pagare il fio, ma addirittura godendo della massima protezione affinché fossero tacitate le poche voci fuori dall’infame coro1 .
Il genocidio di cui si parla in questo articolo è quello perpetrato da Stalin, in Ucraina, dal 1929 al 1933: “Holodomor”, ossia “infliggere la morte attraverso la fame”. In realtà vi furono anche deportazioni, omicidi, esecuzioni, massacri atroci. In totale, sia pure nell’immancabile balletto delle cifre che vede contrapporsidiversi studiosi, incinque anni furono oltre cinque milioni le vittime della ferocia staliniana. Questo è il numero più accreditato, da citare per dovere di cronaca. Molti storici, tuttavia, ai quali chi scrive dà maggiore credito, sostengono che le vittime siano state almeno dieci milioni, conteggiando anche quelle perite negli anni successivi al 1933 a causa delle angherie subite, che non figurano nel computo ufficiale del genocidio. È appena il caso di citare, poi, cosa abbia rappresentato siffatto sterminio sotto il profilo delle nascite: almeno tre milioni di bimbi mai nati. Ma procediamo con ordine.
L’Ucraina, come noto, divenne parte integrante dell’Urss nel 1922. Nel 19° secolo, quando il territorio faceva parte per metà dell’impero russo eper metà diquello austro-ungarico, rappresentava il “granaio d’Europa”. Il processo di russificazione, già avviato ai tempi dello Zar, fu portato alle estreme conseguenze dopo la fine dell’impero austro-ungarico e la completa annessione del Paese. I contadini, chiamati kulaki, possedevano grandi appezzamenti di terreno, erano benestanti e potevano contare sull’aiuto dei kombèdi, i contadini più poveri, scelti come mezzadri. Il rapporto, tuttavia, non rispettava i presupposti di una corretta mezzadria (utili e oneri al 50%), in quanto i kulaki vivevano dignitosamente grazie allo sfruttamento dei mezzadri, costretti a una grama esistenza.
Con la riforma agraria del 1906 sitentò diporrerimedio alla discriminazione, purtroppo in modo così malsano da aggravare il problema invece di risolverlo: fu deciso, infatti, di assegnare le terre ai contadini dietro pagamento di un tributo, col risultato che i poveri diventarono ancora più poveri, mentre quelli in grado di riscattare del terreno – per lo più i kulaki – si trasformarono in ricchi possidenti. Lenin cercò di correggere la discrasia concedendo delle terre anche ai kombédi. Alla sua morte, però, prese corpo la politica repressiva di Lev Trotskij, che riteneva i kulaki una minaccia per i princìpi comunisti, in virtù della loro condizione privilegiata. Con Stalin si arrivò al genocidio vero e proprio, iniziato nel 1929, dopo un periodo in cui il dittatore sembrava addirittura sostenere le tesi di Bucharin, che auspicava l’arricchimento dei contadini, ritenendo l’agricoltura fondamentale per lo sviluppo economico dell’Urss. Stalin, che in realtà la pensava esattamente come Trotskij e aveva recitato per un po’ di tempo la parte del buono al fine di mantenere saldo il distacco con il principale
avversario interno, che farà poi assassinare in Messico, attuò un piano di collettivizzazione forzata delle terre, con lo scopo precipuo di trasferire risorse dall’agricoltura all’industria. I kulaki furono colpiti duramente da tali provvedimenti e iniziarono un’azione di protesta e di boicottaggio della politica staliniana. Mal gliene colse. Stalin approfittò dell’occasione per sterminare i dissidenti e attuare anche un altro suo fermo proposito (reiterato anni dopo in Polonia): distruggere il carattere nazionale del popolo ucraino, estendendo, di fatto, le atrocità repressive contro tutti. Furono distrutte le chiese e perseguitati i cattolici. Fu vietato finanche lo scampanio, che rappresentava l’identità dei villaggi. Manco a dirlo, sulla scia di quanto già perpetrato dai turchi con gli armeni, fu sterminata l’intellighenzia dell’Ucraina al fine di cancellare la memoria storica del Paese e renderlo più facilmente addomesticabile. Non ebbe pietà neppure per i sostenitori del comunismo, che anelavano a una sorta di autonomia rispetto ai diktat di Mosca. Dal 1929 al 1932 lo sterminio si configurò con gli eccidi materiali e la deportazione in Siberia di milioni di contadini, che perirono tra mille sofferenze. Nel biennio 1932-33 fu attuato lo “sterminio per fame”, perpetrato con la requisizione totale dei generi alimentari e l’obbligo di cedere allo Stato tutto il grano prodotto, in modo che ai produttori non restava che morire di fame. Il genocidio è stato qualcosa di mostruoso, in termini numerici superiore addirittura a quello perpetrato da Hitler contro gli Ebrei. La sinistra, per decenni, ha nascosto la testa nella sabbia, nonostante fosse in possesso di tutti gli elementi per scrivere una pagina di storia nel rispetto della verità.
Solo nel marzo del 2008 il Governo dell’Ucraina e 19 nazioni hanno sancito che si configura come genocidio quanto accaduto dal 1929 al 1933 e il 23 ottobre dello stesso anno il Parlamento europeo ha riconosciuto l’Holodomor come un crimine contro l’umanità. Il giorno della memoria è stato fissato, annualmente, nel quarto sabato di novembre. Tra i diciannove Paesi che hanno riconosciuto l’Holodomor come genocidio manca l’Italia.
1. Provate ad acquistare, per esempio, il film “La rivoluzione delle farfalle”, ispirato al romanzo “Il tempo delle farfalle”, nelquale siparladelle vittime diTrujllo, dittatoredellaRepubblicaDominicana e fantoccio degli USA: è più facile azzeccare un terno al lotto che reperirne una copia. Eppure è proprio da quei tragici fatti che trae origine la “Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne”, che dal 1999 si celebra il 25 novembre di ogni anno, in ricordo delle tre sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa) trucidate il 25 novembre 1960 dagli agenti del dittatore: mentre si recavano a far visita ai loro mariti, in prigione in quanto esponenti del movimento rivoluzionario ostile alla dittatura, furono bloccate sulla strada, violentate, torturate finno alla morte e gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente
Nella foto: Il Museo Nazionale delle vittime dell’Holodomor a Kyïv. (In segno di rispetto per il popolo ucraino e seguendo l’esempio di autorevoli colleghi, la capitale del Paese viene scritta nella forma grafica corretta e non nella più nota traslitterazione russofona).
Le poesie non fermeranno i carri armati. Possano almeno riscaldare i cuori di chi soffre, facendoli sentire meno soli.
C’è una strana polvere su via Zhyilianska, in una tetra danza si azzuffa a foglie secche, si mescola, mulina, si annoda e si scioglie.
Qui andavano persone urlanti per lo stadio, avendo l’agio di adirarsi per cose effimere, di loro restano ora soltanto incredule urla.
In un angolo, in terra, come fossero dolmen, colori spezzati, simulano un’arcaica semina, più avanti un quaderno di bambino profanato.
Sta lì, da quella buia notte illuminata a giorno, lasciato andare da una pargola mano spaventata, sbalzato via dalla voglia d’andare senza voltarsi.
E mentre il vento freddo ne gira le rigide pagine, disegni e pensieri felici alternano forme e colori che donandosi puri, ci riportano alle nostre colpe. Alex Porri
Vorrei andare in letargo per non vedere nuvole di fumo nero, che si alzano dalle città squarciate e violentate; per l’impotenza di arrestare le lunghe carovane di mezzi corazzati, portatrici di morte.
Vorrei andare in letargo per non poter consolare quei padri che abbracciano i figli, forse, per l’ultima volta; nell’impossibilità di aiutare persone scacciate dalle loro case e ammassate nei sotterranei, come topi.
Vorrei andare in letargo per il desiderio di accarezzare quei bambini con lo sguardo nel vuoto, senza capire il perché di tanto odio;
per non soffrire nel vedere sulle strade, bianchi lenzuoli macchiati di rosso, ricoprire corpi inermi.
Vorrei andare in letargo in attesa che l’uomo ritrovi il suo senno, rifiuti la sua follia, rinunci ai suoni assordanti dei mortai, elimini la pioggia di bombe, ritrovi la sua umanità e…. celebri la sacralità della vita.
Vorrei svegliarmi al suono dolce e soave dell’inno nazionale, con la melodia delle musiche sacre e l’armonia di canti liturgici di ringraziamento al Signore, che attestino che la guerra è solo un lontano ricordo.
Florida Stati
Dardi infuocati squarciano il cielo e impietosi cadono seminando terrore. Corpi scomposti senza vita, nelle strade deserte, con gli occhi sbarrati, sembrano chiedere a Dio: «perché?» Anche i cani soffrono silenti, vagando sperduti e disorientati nella città in macerie, in cerca di calore. Non sanno che sono al fronte, i Cosacchi di Kharkiv, oggi come ieri contro lo Zar di turno, perché tutto torna, in quella terra adusa alla guerra. Un silenzio che odora di morte scandisce il fluire del tempo mentre il sole cede spazio all’imbrunire. Tutto tace, nella città spettrale, quando all’improvviso labili note, appena percepibili, diffondono nell’aere un dolce melodia.
Alzano la testa i cani assopiti tra i corpi senza vita, e lesti rincorrono le note che alimentano speranza. Hanno smesso di piangere, le donne di Kharkiv, nel ventre della città. Anche per loro, quella dolce melodia, scandita dalle corde di un violino, fa guardare al futuro con un sorriso.
La violinista Vera Lytovchenko, il 7 marzo 2022, ha eseguito un brano musicale di Tchaikovsky (Melodie, Op. 43/3), nel bunker dove si erano rifugiati molti cittadini per sfuggire ai bombardamenti. Vera ha raccontato di essere stata ispirata da uno dei suoi studenti che suonava in un rifugio antiaereo improvvisato, all'inizio dell'invasione russa. «È stato molto difficile suonare e pensare a qualcosa che non fosse la guerra, ma ho deciso che dovevo fare qualcosa. Ora siamo diventati una famiglia in questa cantina e quando ho suonato tutti hanno pianto. Ci siamo dimenticati della guerra per alcuni istanti e abbiamo pensato a qualcos'altro». L’esibizionedi Vera Lytovchenkonel bunker diKharkivèdisponibilenel primocanale YouTube di Lino Lavorgna: www.youtube.com/c/LinoLavorgna
Questa composizione era stata predisposta per il numero di marzo di CONFINI, ma non è stata pubblicata.
“Se chiudo gli occhi vedo talvolta un paesaggio oscuro con pietre, rocce e montagne all’orlo dell’infinito. Nello sfondo, sulla sponda diun mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d’avanguardia, sull’estremo limite del nulla: sull’orlo di quell’abisso combatto la mia battaglia”. (Ernst Jünger) ****
Caro direttore, questo mio scritto non si configura come “articolo” precipuamente incentrato sul tema del mese, anche se da esso ispirato, ma come lettera a un amico intellettuale, alla stregua di quanto avveniva un tempo, tra illustri personaggi che dissertavano con lunghi scambi epistolari su varie tematiche Una lettera, quindi, scritta sicuramente senza alcun ricorso all’inutile retorica, ma anche senza falsa modestia per rispetto del politically correct, concetto che affettuosamente mando a quel paese, alla pari dei destinatari inclusi nel titolo, perché arriva il momento, per ciascuno, di scoprire le carte abbandonando ogni cautela diplomatica. Il rispetto del prossimo non può prescindere da quello verso sé stesso, che deve assolutamente precedere il primo affinché non diventi un fardello pesante da sopportare.
Se oggi ti inviassi un bel trattato socio-filosofico sui mali della democrazia, come meglio trasparirà leggendo il seguito diquesta lettera, manchereidirispetto ame stesso e ne soffrirei. Miesimo, quindi, facendo mio il suggestivo monito magistralmente recitato da quello straordinario attore che risponde al nome di Toni Servillo, nello stupendo film “La grande bellezza”: «La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni, è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare». Aggiungo: «Soprattutto se quelle cose siano abbondantemente già state fatte». Facciamo un po’ di conti. Esattamente cinquanta anni fa, proprio in questo mese, un uomo di grande valore e profonda cultura, storico di scuola vichiana, severo fustigatore del malcostume e delle cattive coscienze, mi consegnò un tesserino, accompagnando il gesto con una esortazione che, in virtù della sua voce delicata e imperiosa allo stesso tempo, assumeva la connotazione di un ordine da rispettare senza riserve: “Questo tesserino non fa ancora di te un giornalista sotto il profilo legale, ma da oggi di un vero giornalista devi rispettare tutte le regole. Sicuramente sbaglierai tante cose; sicuramente ne scriverai altre che un giorno ti faranno sorridere e tutto ciò non è grave Due sole cose, invece, sarebbero veramente imperdonabili: mistificare i fatti e scrivere una cosa pensandone un’altra. Tanti auguri e buona fortuna”.
Il suo nome è Nino Tripodi, aveva 61 anni e dirigeva il Secolo d’Italia, di cui divenni corrispondente da Caserta.
Io dianni ne avevo diciassette eilcuore mi batteva forte, ritenendo, conl’ingenuità tipica diquell’età, che mi accingevo a cambiare il mondo.
Studiavo molto e, nonostante per ovvi motivi non potessi certo vantare la preparazione gradualmente acquisita, giorno dopo giorno, negli anni successivi, sulla democrazia avevo già le idee abbastanza chiare, anche se racchiuse in una nebulosa concettuale che si sarebbe progressivamente diradata, fino a sparire del tutto.
Considerando, quindi, una media di almeno due articoli al mese su argomenti che direttamente o indirettamente riguardavano la democrazia (incominciai quasi subito a scrivere anche su altre testate) in cinquanta anni fanno la bellezza di ben 1200 articoli, cifra che se è errata, lo è per difetto.
Quanta fatica! Quanto impegno! Quanto studio per andare a fondo delle cose!
Nel1975 scandalizzaitutticonla frase del manifesto elettorale che vedi nella foto1. Anzi, a dirla tutta, scandalizzai più gli amici che gli avversari politici. Gli avversari che detenevano le leve del potere non davano alcun peso a ciò che diceva un ventenne di destra; quelli di sinistra attaccavano a prescindere, secondo le ben note regole che caratterizzarono gli anni di piombo. A molti amici, invece, il mio coraggio dava fastidio, perché fungeva da metro di valore comparativo, costringendoli ad accettare amare verità. La cosa buffa, ritornando all’attività giornalistica, è che ho sempre scritto per mera passione e solo in età adulta, più per sfizio che per necessità, ho perfezionato la pratica per l’iscrizione all’Ordine. Economicamente, quindi, fatta eccezione per i pochi anni di attività televisiva, ho raccolto molto poco. Le migliaia diarticoli nonhanno cambiato diuna virgola il flusso deglieventiterreni, influendo molto, invece, sulla mia vita: se invece discrivere dipolitica, storia e filosofia, infatti, avessiaccettato le tante proposte ben retribuite per scrivere “a comando”, avrei guadagnato una barca di soldi e ora sarei ricchissimo. Pazienza. Ho scelto di fare sempre ciò che più mi piaceva e va bene così. Ma ora, perdonami, non ne posso più. Sono stanco di ripetere sempre le stesse cose e ti sto scrivendo da un ameno paesino, sulla costa abruzzese, dove mi sono rifugiato da alcuni giorni per respirare aria di mare, che mi è mancata tanto negli ultimi due anni. Ho voglia di passeggiare sulla sabbia e di farmi accarezzare dal vento, mentre lo scroscio delle onde si trasforma in musica e, per quanto possibile, almeno per qualche ora, distoglie la mente dai cupi pensieri di guerra e di pandemia. Del resto cosa potrei dire di più di quanto già detto in passato? Senza andare troppo a ritroso nel tempo bastano e avanzano i tanti numeri di CONFINI nei quali è stato ampiamente dibattuto il fallimento della democrazia come sistema politico e lo sconcerto nel dover accettare che i voti di taluniabbiano lo stesso peso diquelliespressi dai babbei che nonsanno distinguere il grano dal loglio e sono sempre pronti ad affidarsi al messia di turno, salvo poi buttarlo nella polvere non appena si rendano conto di aver preso un abbaglio, per poi ricadere nello stesso errore, perpetuando un ciclo vizioso che fa cascare le braccia.
Oggi sento e leggo cose oscene, molto più oscene di quelle, pur gravi, lette e ascoltate durante gli ultimi due anni segnati dalla crisi pandemica.
Non ho nessuna voglia, quindi, di mischiarmi col ciarpame ciarliero dei tanti pseudo-analisti pregni delle loro certezze spacciate come dogma nei media e, soprattutto, nei salotti televisivi divenuti arene nelle quali ciascuno cerca di sovrastare l’altro, parlandogli addosso anche in modo sconcio, senza alcun rispetto per un serio e civile dibattito. E soprattutto non ho nessuna voglia di dover continuamente replicare alle accuse di “essere a favore di…” sol perché “sono contro l’altro”, dopo tutto quello che ho scritto sugli Usa, sulla Nato, sull’Unione europea. È davvero fastidioso dissertare con chi parli a vanvera, non solo senza sapere nulla di cosa vi sia dietro ciò che dice, ma soprattutto senza conoscere il reale pensiero dell’interlocutore. E non è che si possa sempre partire dal principio. Che dovrei fare, inoltre? Tirare sberle metaforiche anche a Franco Cardini, i cui testi hanno costituito parte importante della mia formazione? A Marco Travaglio, dal quale ho imparato a esercitare con “gusto” la professione giornalistica, usando l’ironia e il sarcasmo per massacrare chi lo meritasse e soprattutto abenarchiviare ledichiarazionideipotenti, in modo dasputtanarlial momentoopportuno, proprio come fatto in altro articolo di questo numero? A Luciano Canfora, che sarà pure di sinistra, ma mi è stato sempre molto simpatico, non fosse altro per l’assoluto idem-sentire su molte tematiche, a cominciare da quelle che afferiscono alla storia romana?
Ne cito solo tre, tra i più importanti, che in queste settimane di guerra con le loro insulse argomentazioni mi fanno venire conati di vomito e mi fanno stare male, in virtù del fatto che li considero “amici”.
E poi vi sono tutti gli altri, cantanti, cabarettisti, passanti, autentici signori nessuno, che in qualche modo riescono a guadagnare la ribalta mediatica, propinando la propria ricetta alle parti in causa per risolvere il problema, che per lo più si riassume con l’invito al popolo ucraino e al suo presidente di
non farla tanto lunga, di inginocchiarsi al cospetto di Putin e mettersi al suo servizio, avendo già rotto abbastanza le scatole perché di restare al freddo per colpa loro (degli ucraini, non di Putin che li ha invasi) non è proprio cosa. Tutti esperti di geopolitica e strategie militari e pazienza se dicono corbellerie sulla Nato, scambiandola per una organizzazione “offensiva” anziché “difensiva” e sul diritto del popolo ucraino di scegliere autonomamente il proprio destino, insieme con tante altre cose che non val la pena citare, chiudendo qui il discorso, perché quando sono tanti i nani che parlano, i giganti fanno bene a tacere.
Con tanto affetto, Pasquale Michele Pompeo Lavorgna detto Lino, alias Galvanor da Camelot il cavaliere errante, figlio di Lorenzo detto “il buono” e di Giuseppina Federico, la “Maestra”, discendente della stirpe di Gambara, Ibor, Aio, Alboino e Adelchi, europeo fino al midollo con retaggio ancestrale che si perde nella notte dei tempi, nonché indomito fautore di quella Patria comune che un giorno si chiamerà STATI UNITI d’EUROPA, faro del mondo e tutrice di pace.
1. Il manifesto è del 1985. La frase fu coniata per le elezioni amministrative del 1975, ma di quei manifesti non ho più traccia. Nel 1980 non mi presentai alle elezioni amministrative.
Partiamo dalle riflessioni di chi, sin dall’antichità, del potere ha colto le dinamiche immutabili. Nel mondo moderno, comunque la si giri, non vi è mai niente di nuovo sotto il sole. In segno di rispetto e affetto per quel popolo che attualmente sta patendo la tirannide del potere, però, iniziamo la serie delle citazioni con quella del poeta Vasyl Symonenko, morto nel 1963 a causa delle ferite riportate durante una spedizione punitiva praticata dalle milizie filosovietiche. Aveva solo ventotto anni ed era nato in una famiglia di contadini nel piccolo villaggio di Biyivtsi, sobborgo di Kharkiv, seconda città dell’Ucraina, oggi divenuta famosa in tutto il mondo per le macerie, purtroppo, e non per la bellezza. Mentre scrivo questo articolo, tuttavia, alba del 14 maggio, l’esercito ucraino sta respingendo le truppe russe e i cittadini di Karkiv possono finalmente riversarsi nelle strade, per quanto possibile, con un accenno di sorriso. Questo articolo è dedicato a loro, all’intero popolo ucraino e a quel giovane poeta, nel 2008 eternizzato su una moneta commemorativa come personalità eccellente dell’Ucraina
“Non c’è niente di più terribile che un potere illimitato nelle mani di un uomo folle”. (Vasyl Symonenko)
“L’umanità non potrà mai vedere la fine dei suoi guai fino a quando gli amanti della saggezza non arriveranno a detenere il potere politico, ovvero i detentori del potere non diventeranno amanti della saggezza”. (Platone)
“Non si può conoscere veramente la natura e il carattere di un uomo fino a che non lo si vede amministrare il potere.” (Sofocle)
“Il potere si conquista soltanto col soccorso delle masse e del denaro”. (Sofocle)
“Quando un uom soave di parole, e tristo di cuor, la folla persuade, è grave il mal della città”. (Euripide)
“Non c'è mai alleanza con chi è potente.” (Fedro)
“La prima arte che devono imparare quelli che aspirano al potere è di essere capaci di sopportare l’odio”. (Lucio Anneo Seneca)
“Per coloro che desiderano il potere, non c’è via di mezzo tra il vertice e il precipizio”. (Publio Cornelio Tacito)
“Il potere è una parola di cui non capiamo il significato”. (Lev Tolstoj)
“Due sentimenti, inerenti all’esercizio del potere, mai mancheranno di produrre questa corruzione: disprezzo per le masse e, per l’uomo che regge il potere, un esagerato senso del proprio valore”. (Michail Bakunin)
“Di tutte le passioni e di tutti i nostri appetiti, l’amore del potere è quello di natura più imperiosa ed egoistica, poiché l’orgoglio di un solo uomo esige la sottomissione della moltitudine”. (Edward Gibbon)
“È il potere, non la verità che crea le leggi”. (Thomas Hobbes)
“Coloro che sono stati intossicati una volta dal potere, ed hanno ottenuto da esso ogni tipo di emolumento, anche se solo per un anno, non possono mai volontariamente abbandonarlo. Possono essere angosciati nel mezzo del loro potere; ma non guarderanno ad altro che al potere per provare sollievo”. (Edmund Burke)
Vasyl Symonenko (1935-1963)“Esistono uomini che desiderano il potere semplicemente per amore della felicità che porterà loro; costoro appartengono in primo luogo ai partiti politici”. (Friedrich Nietzsche)
“Abbiamo bisogno della libertà per evitare gli abusi del potere dello Stato e abbiamo bisogno dello Stato per evitare l'abuso della libertà.” (Karl Popper)
“Per i potenti, i reati sono quelli che commettono gli altri”. (Noam Chomsky)
“Il giorno in cui il potere dell’amore annullerà l’amore del potere, il mondo conoscerà la pace”. (Mahatma Gandhi)
“Il potere è divenuto un potere consumistico, infinitamente più efficace nell'imporre la propria volontà che qualsiasi altro potere al mondo. La persuasione a seguire una concezione edonistica della vita ridicolizza ogni precedente sforzo autoritario di persuasione.” (Pier Paolo Pasolini)
“Per manipolare efficacemente il popolo, è necessario convincere tutti che nessuno li sta manipolando.” (John Kenneth Galbraith)
“L’ipocrisia dei governanti non ha basi oggettive; quando essi difendono le loro buone ragioni, in realtà difendono in primo luogo sé stessi, cioè il loro potere”. (Alberto Asor Rosa)
“La lotta per il potere può essere terribile, ma la lotta per le briciole del potere è sempre patetica”. (Ramón Eder, poeta e filosofo spagnolo contemporaneo, culturalmente formatosi in Francia)
“Quante volte le insegne del potere portate dai potenti di questo mondo sono un insulto alla verità, alla giustizia e alla dignità dell’uomo! Quante volte i loro rituali e le loro grandi parole, in verità, non sono altro che pompose menzogne, una caricatura del compito a cui sono tenuti per il loro ufficio, quello di mettersi a servizio del bene”. (Papa Benedetto XVI)
“Un party in ufficio non è, come spesso si suppone, l'occasione per il Direttore di baciare la ragazza dei caffè. È l'occasione della ragazza dei caffè di baciare il Direttore (per quanto possa sembrare un'ambizione bizzarra a chiunque abbia visto in faccia il Direttore). Far scendere i potenti dalle loro poltrone è un passatempo piacevole e necessario, ma nessuno presume che i potenti, avendo lottato cosìtanto per sedersi, gradiscano la detronizzazione”. (Katharine Elizabeth, 1928 – 2021, giornalista, scrittrice e prima donna a essere nominata Rettore di una università scozzese: Università di St Andrews).
Einstein ci ha fatto comprendere quanto tutto sia relativo a seconda del punto di osservazione delle cose. Ciò che vale nello spazio infinito, con dimensioni indescrivibili, può essere rapportato anche in spazi ristretti, senza che sostanzialmente muti la percezione dell’effetto. Relativamente parlando, quindi, non vi è alcuna differenza tra il potere del presidente degli USA o della Cina e quello di Ivana Simeonie CristianIannuzzi. Ora vistatetuttichiedendo chisiano questiultimidue soggettie pertanto presentiamoli bene. Sono mamma e figlio e abitano a Latina. Modesta operatrice del 118 lei; tecnico informatico, come tanti, lui. Un giorno decisero di candidarsi entrambi alle elezioni amministrative e voi tutti sapete come funzionano queste elezioni: ciascuno, nell’ambito della lista prescelta, può esprimere la preferenza per i candidati ritenuti più meritevoli. Loro, evidentemente, non piacquero proprio agli elettori: il figlio prese solo trentatré voti; la mamma addirittura quattro. In pratica racimolarono voti, e nemmeno tanti, solo nella ristretta cerchia familiare. Nondimeno, nel 2013, decisero di candidarsi nuovamente, addirittura per il Parlamento, quel luogo così delicato dove si fanno le leggi e sidecide il destino di milionidi persone, che per sua natura dovrebbe essere esclusivo appannaggio di menti eccelse. Viene da ridere, quindi, al solo pensiero della loro candidatura: dove vogliono andare persone culturalmente di basso profilo, incapaci non solo di farsi eleggere al comune ma anche di fare una decente figura? Il sistema elettorale per le elezioni politiche, però, è diverso da quello per le elezioni comunali e così, queste modeste persone, aduse a lavorare sodo per campare, si trovarono dalla sera alla mattina eletti l’una al Senato della Repubblica e l’altro alla Camera dei
Deputati! Nel giro di trenta giorni si videro accreditare, tra indennità e rimborsi vari, circa 18 mila euro a testa (equivalenti al guadagno annuo della donna), cosa che sarebbe avvenuta ogni mese, per almeno cinque anni! Il tutto condito da una serie di benefit e agevolazioni, di consistente valore economico, da far strabuzzare gli occhi. Nella città, coloro che li avevano snobbati alle elezioni comunali, incominciarono a correre genuflessi nella loro dimora, manifestando improvvisa stima, opportunamente retrodatata con riferimenti effimeri aggiustati per l’occasione, nonché massima disponibilità per qualsiasi esigenza. Non mancò chi, stringendo entrambi le mani, le portò con impeto all’altezza delle labbra, baciandole convulsamente. Ivana e Cristian non stavano nei loro panni e infatti li cambiarono ben presto, acquistando meravigliosi capi nelle boutique più rinomate e alla moda di quelle famose stradine della capitale che da Via del Corso si dipanano verso Piazza di Spagna. In un attimo la loro vita era cambiata in meglio molto più di quanto non sarebbe avvenuto se avessero vinto alla lotteria: alla consistente e mai vista disponibilità economica, infatti, che già di per sé assicura un certo potere, sommarono “il potere” che derivava dal ruolo politico, effimero quanto sivuole interminieffettivi, mapazzescamenteconsistenteinquelcircoscritto contesto sociale. Se sipotesse misurare l’intensità di godimento scaturita da quella percezione e compararla con quella di qualsiasi uomo politico che diventi presidente di un grande Paese, non troveremmo alcuna sostanziale differenza Tutta la storia dell’umanità, di fatto, non è altro che una manifestazione continua della banalità del potere, proprio perché l’uomo, come ben traspare dalle succitate citazioni, non ha mai imparato a esercitarlo in modo saggio, se non in qualche sporadico caso, che quindi si configura come eccezione Del potere malato abbiamo parlato più volte, essendo esso sempre associato a qualche forma di tirannia, palese o sapientemente occultata da quella formula di governo inventata con i più nobili intenti nell’antica Grecia e via via degradatasi fino a manifestare in modo indissolubile l’inadeguatezza a gestire i destini di un mondo in rapida e perenne trasformazione. Piuttosto che ripetere cose trite e ritrite, pertanto, è più utile andare a vedere come la banalità del potere tenti a sviluppare quella banalità del male sapientemente descritta da Hannah Arendt Iniziamo il viaggio percorrendo gli stessisentieriche, nel1194, portarono in Armenia Enrico II Blois, conte di Champagne. I fatti sono narrati ne “Il nodo di Gordio”, stupendo saggio scritto a due mani da Ernst Jünger e Carl Schmitt. Durante il viaggio, Enrico II, attraversò il territorio degli “Assassini”, in Persia, e fu amorevolmente accolto dal Gran Maestro1, che lo condusse in un simpatico giro turistico tra fortezze e lussuosi castelli. Quando giunsero in una fortezza munita di altissime torri, il Gran Maestro volle mostrare al conte l’obbedienza riservatagli dai sudditi, sicuramente superiore a quella di cui godevano i regnanti cristiani dai propri: al semplice gesto del braccio e senza alcun bisogno di profferir parola, due guardie si buttarono dalla torre, morendo sul colpo. Subito dopo chieseall’esterrefatto contesedesideravaassistereauna scenaancorapiù esplicita: conanalogo gesto avrebbe indotto l’intera guarnigione a buttarsi dalle torri. Il conte, ovviamente, rifiutò asserendo che gli era già ben chiaro l’ineguagliabile potere esercitato sui sudditi Oggi, con la stessa gioiosa dedizione, i terroristi islamici si fanno saltare in aria per massacrare gli “infedeli” occidentali e con ancora più enfasi patriottica in Giappone, in talune circostanze, ancora si pratica quell’estremo sacrificio reso famoso daikamikaze che si schiantavano con i loro aereisulle navi nemiche, fungendo da bomba umana, e più recentemente dal tradizionalista Yukio Miscima, che si tolse la vita nel 1970 in segno di protesta contro la subordinazione del suo Paese all’Occidente. Noi inorridiamo per le succitate usanze, ma se riuscissimo a spogliarci del complesso di superiorità, mettendoci anche solo per pochi attimi nei panni di chi ci osservi da lontane prospettive, muteremmo sensibilmente la percezione delle cose. Non dimentichiamo la lezione einsteiniana: tutto cambia, se osservato da punti diversi.
Nel sottobosco della rete è ancora disponibile quello squallido video in cui si vede un docente universitario di Camerino che si faceva succhiare l’uccello da allieve in lacrime. Le poverette erano costrette a subire le angherie sessuali altrimenti sarebbero state bocciate. Esempio sintomatico di quegli abusi del potere molto frequenti dalle nostre parti che, se citati compiutamente, trasformerebbero questo articolo inun’opera più corposa della Treccani. Quante donne sono costrette a prostituirsi, non volendolo, per lavorare, per fare carriera? Tante. Aprono le gambe con la morte nel cuore, subendo un’atroce violenza, per sopravvivere, vittime indifese del potere di uomini senza scrupoli, molto spesso con il doloroso assenso di mariti, che pur di mettere in bocca ai propri figli un pezzo di pane si riducono a subire la terribile umiliazione. Vi è differenza tra il potere del Gran Maestro capace di indurre al suicidio intere guarnigioni, il potere degli antichi faraoni che se ne andavano all’altro mondo facendosi rinchiudere nelle piramidi con stuoli di fedeli servitori ancora in vita, il potere regale nipponico onorato con varie forme di suicidio e tutte le altre forme distorsive qui omesse per amor di sintesi, e il potere dei docenti universitari porci, degli imprenditori sfruttatori e porci anche loro e di tutte le altre forme distorsive che riguardano noi occidentali? No, ovviamente, o forse se ne può individuare una molto significativa: le vittime dei primi accettano con gioia quella manifestazione di potenza, ancorché terribile, in virtù del proprio retaggio culturale e tradizionale; quelle dei secondi, espressione diuna cultura bendiversa, la subiscono con dolore,terrore, sgomento, schifo.
Solo una pennellata rapida, su questo argomento, perché anche di esso ci siamo occupati più volte, soprattutto negli studi dedicati al comportamento delle masse. Per lo più sono rappresentati dai potentati economici dei Paesi ricchi, che manovrano la politica degli Stati. Sono i veri padroni del mondo: una minoranza effimera dal punto di vista numerico che detiene oltre il 90% della ricchezza mondiale, incurante delle sofferenze di miliardi di persone. Potentati che incarnano la degenerazione più marcata di quel sistema economico chiamato “capitalismo”, già dalla genesi pregno di brutture. Le moderne formule finanziarie sono cosìcomplesse da risultare del tutto incomprensibili alle masse, che ne subiscono le conseguenze sia per imposizione (contorte leggi varate ad arte per favorire talune con conseguente penalizzazione di tanti altri) sia per le conseguenze della massiccia propensione a lucrare sempre e comunque, anche quando ciò voglia dire “mors tua vita mea”. Le cause addotte a giustificazione dell’aumento dei costi energetici, per esempio, sono una bufala: con un’equa gestione economica i costi per gli utenti scenderebbero drasticamente fino a risultare addirittura irrisori. Ogni giorno, invece, la cronaca ci parla dei pescherecci che restano in rada perché i pescatori non possono permettersi il costo del carburante e delle aziende che chiudono per analoghi motivi Tutti noi, negli ultimi mesi, abbiamo ricevuto bollette con importi almeno doppi rispetto alla norma perché, anche nei periodi di contingenza, l’asticella degli utili deve sempre mantenersi ai livelli stabiliti dai burattinai di turno, senza alcun riguardo per chi a causa di questo cinismo perisca. Va anche detto, tuttavia, che le masse subiscono con estrema leggerezza “angherie” facilmente individuabili sol che si prestasse un pizzico di attenzione. Del malsano rapporto tra i costi di produzione e il prezzo finale dei prodotti abbiamo già parlato: i potentati economici immettono sul mercato prodotti con prezzi pazzeschi grazie alla facile propensione all’acquisto di miliardi di persone, abilmente condizionate da falsi miti del modernismo. Abbiamo parlato, per esempio, del telefonino venduto a mille euro mentre in realtà dovrebbe costare non più di 2-300 euro. Lo stesso vale per tanti altri prodotti di massima diffusione, automobili comprese. La propensione a sfruttare in modo spropositato le debolezze dei consumatori induce i padroni del vapore ad elevare il gioco fino al parossismo. Fino a soli pochi anni fa, quando si acquistava un prodotto, si avevano due opzioni: pagamento in contanti o a rate. Era normale beneficiare di uno sconto in caso di pagamento in contanti e di corrispondere
degli interessi alla banca o alla società finanziaria in caso di prestito. Oggi si assiste a un fenomeno cui nessuno presta attenzione, ma che rende ancora più esplicite le distonie di un sistema malato. Quando si acquista un’automobile, i venditori, contrariamente a quanto avveniva in passato (forte esortazione a pagare in contanti evidenziando il vantaggio dello sconto) fanno di tutto affinché si sottoscriva un finanziamento. A loro che interessa? È evidente che a ciò siano spinti da ordini ben precisi. L’arcano diventa più comprensibile citando i prodotti di più largo consumo: elettrodomestici, telefonini, etc. L’acquirente spesso nota che il costo scenda, sia pure di pochi euro, con pagamento rateale, per giunta elargito senza interessi! Pazzesco, vero? Un telefonino, per esempio, venduto in contantialcosto di450 euro, può essere comodamente pagato intrentaratediquattordicieuro!Trenta euro in meno e per giunta con l’importo diluito in modo tale da non costituire alcun problema anche in caso di stipendi non proprio esaltanti. Che bellezza! Tutti, ovviamente, decidono di effettuare il pagamento rateale e a nessuno viene in mente che le società finanziarie non lavorano gratis! All’azienda venditrice, infatti, viene corrisposto un importo di gran lunga inferiore ai 420 euro recuperati in trenta mesi. In una sana economia di mercato quella differenza rappresenterebbe lo sconto praticato al cliente, a prescindere dal fatto – giova ribadirlo – che il costo del telefonino è comunque spropositato. Il sistema, quindi, tende a favorire multinazionali, banche e società finanziarie, gabbando i consumatori e dando loro addirittura l’illusione di aver fatto un affare.
Non sempre ilpotereè stato appannaggio diuomini malvagie, per un approfondito excursus sultema, si può fare riferimento ai saggi di Julius Evola, a partire da “Rivolta contro il mondo moderno”, che illumina la mente più di quanto non faccia il sole con il corpo nei giorni di massimo splendore. In questo contesto basterà citare le gesta di un uomo che, di fatto, non ha posseduto alcun potere reale se non quello scaturito dalla forza d’animo, dalla profondità del pensiero, dalla cultura, dalla capacità di capire il prossimo e di coglierne l’essenza più recondita: Mohāndās Karamchand Gāndhī, meglio noto come Mahatma Gandhi, che indusse alla resa l’impero britannico solo con la “regalità spirituale”, più potente dell’esercito imperiale e delle forze di polizia che sistematicamente lo sottoponevano a lunghi periodi di detenzione con la speranza, sempre risultata vana, di indurlo a rinunciare ai suoi alti propositi, testardamente perseguiti in modo pacifico. È un esempio che va senz’altro citato quale massima espressione dipotenza esercitata daunessere umano con la sola forza della mente. Deve essere ben chiaro, tuttavia, che in mancanza di un Gandhi, e oggi non ve ne sono, per sconfiggere leprepotenzedeitiranni nonservono le marcedellapacecon la sua foto chetroneggia nei cartelli, ma altri mezzi. Intelligenti pauca.
Nella lunga lista di citazioni collocate all’inizio di questo articolo ne sono state omesse due, una di Bacone e l’altra di Nietzsche, perché si differenziavano troppo da quelle che sancivano aspetti dell’essere difficilmente confutabili: il primo ha espresso un pensiero stupendo che, purtroppo, non trova riscontro nella realtà; il secondo quella che, di fatto, si può considerare una mera esortazione.
Per Bacone “la conoscenza di per sé è potere” (Ipsa scientia potestas est) Magari fosse vero nell’accezione da lui agognata. La conoscenza è senz’altro potere, ma spesso utilizzata in modo subdolo, come fanno gli scienziati che negano la pericolosità delle centrali nucleari o gli studiosi che manipolano la storia a pagamento, facendo passare i buoni per cattivi e viceversa.
Nietzsche sublima il concetto di Bacone, rendendolo più realistico: “Il potere corrompe. La conoscenza è potere. Studia sodo. Sii cattivo”. La conoscenza, quindi, esercitata anche con durezza, “deve” servire a sconfiggere la capacità corruttiva del potere. Concetto, del resto, anticipato già da Platone: “Sino a quando nello Stato i sapienti non imperano e coloro che noi chiamiamo re non
posseggono veramente la sapienza, e ad uno stesso fine non convergano potere politico e sapienza, le possenti nature che incarnano separatamente l’uno e l’altra essendo impedite dalla necessità, fino ad allora non vi sarà rimedio per i mali che affliggono gli Stati, anzi la stessa umanità”. Quale migliore insegnamento per le giovani generazioni, anche alla luce dei fatti tristemente attuali, soprattutto se corroborato dal pensiero di quell’uomo potente che combatteva senza armi, citato innanzi: “Quando dispero, io ricordo che nel corso di tutta la storia la via dell'amore e della verità ha sempre trionfato. Ci sono stati tiranni e macellai, e per un po’ possono sembrare invincibili, ma la conclusione è che cadono sempre. Riflettici. Sempre” Perché se è vero che gli ucraini combattono anche con le armi, è solo grazie alla loro straordinaria capacità di “amare” che riusciranno, speriamo presto, a far cadere il tiranno. E giorno verrà che saranno i sapienti a governare il mondo. E allora sì che sarà un bel giorno, per tutti.
NOTE
1. “Discendente di quel al-Ḥasan-i Ṣabbāḥ di cui parla Marco Polo in un brano de “Il Milione”. Gli “ismailiyyah” costituivano una setta ismailita che faceva capo alla confessione sciita dell’Islam, nota anche con il nome di Hašīšiyyūn (Assassini).
Si dice che i panni sporchi debbano lavarsi in famiglia. Questo motto, però, non può valere per la categoria dei giornalisti perché la famiglia è troppo numerosa e, per codice deontologico, può tenere riservato solo ciò che possa nuocere alle persone e all’interesse nazionale. Ricordiamo tutti la bella scena di un famoso film, che vede Nanni Moretti compiere addirittura un gesto volutamente osceno e deprecabile per caricarla di valenza simbolica: uno schiaffo alla giornalista stupidotta, mentre a squarciagola le urlava proprio la frase scelta come titolo di questo articolo. Nella prima decade di maggio si è registrato un diluvio di articoli dedicati alla dichiarazione di Stoltenberg sullaCrimea(laNatononaccetteràmai l’annessioneallaRussia) ealleelezioni nelRegno Unito, conclusesi per la prima volta con l’affermazione del Sinn Féin nell’Irlanda del Nord, lo storico e “romantico” partito che, sin dalla fondazione, auspica l’unificazione dell’Isola Verde. I titoli, però, fatta salva qualche rara eccezione, sono stati tutti caratterizzanti da una “leggerezza” ascrivibile in parte all’ignoranza e in parte a una precisa volontà mistificatoria.
Zelensky – Ucraina.
Scrivere che “Stoltenberg gela Zelensky”; “Stoltenberg corregge Zelensky” è profondamente sbagliato perché dimostra di non aver compreso né lo spirito con il quale il presidente ucraino abbia pronunciato le parole connesse al ripristino dello status quo ante 24 febbraio né lo spirito con il quale il Capo della NATO abbia replicato. Immaginiamo un piccolo imprenditore che subisca un crack finanziario per contingenze particolari a lui non imputabili e, sull’orlo del fallimento, decida di svendere beni familiari e azienda per onorare gli impegni, perdendo praticamente tutto. All’ultimo momento, però, un amico gli viene in soccorso e gli dice: «Ho risorse per sanare i tuoi debiti e sono a tua disposizione. Mi renderai quello che ti presto come potrai e quando vorrai. L’importante è salvare i tuoi beni, l’azienda e il lavoro dei dipendenti». Cosa scriveremmo, in questo caso: “L’amico gela i piani dell’imprenditore?”. No, ovviamente, ma titoli di tutt’altro sentore inneggianti al valore della solidarietà, dell’amicizia, del saper vivere. Zelensky, del quale tutti stiamo ammirano la straordinaria forza d’animo, è comunque un uomo lacerato per la sofferenza del suo popolo. È normale che possa avere avuto qualche cedimento ed è chiaro che le parole sulla Crimea siano ascrivibili a un estremo tentativo di porre fine al più presto alla terribile invasione russa. Parole, quindi, più che comprensibili per chiunque abbia un minimo di raziocinio, senza alcun bisogno di aver perfezionato studi di psicologia. E basta, per favore, con la dietrologia sugli interessi USA. Lo sanno anche le pietre che gli USA tutelano innanzitutto i propri interessi, ma non possiamo scrivere la storia degli ultimi cento anni ogni volta che si discuta di un fatto contingente. Vediamo le cose, pertanto, per quelle che sono nella loro essenza più importante eattuale. È unabominio l’occupazione della Crimea da parte della Russia non meno grave di quella del Donbass Stoltenberg lo ha fatto capire chiaramente e ciò non può che riscaldare il cuore di un disperato Zelensky. Anche i nostri, se siamo persone serie e teniamo alla saldezza dell’Occidente.
Il Sinn Féin è un partito nato nel 1905 per rappresentare il diritto degli irlandesi a liberarsi dell’occupazione inglese. Nel 1921, con il “Patto di Londra” che sancì la separazione dell’Irlanda del Norddalla madre patria, subìuna scissione che portò a una sanguinosa guerra civile. Guerra che costò la vita al più significativo dei suoi esponenti, l’eroico Michael Collins. Nei terribili anni de troubles, “ovviamente”, è stato il “punto di riferimento politico” per “gli eroici combattenti dell’Irish Republican Army, che si battevano contro l’occupazione dell’Irlanda del Nord da parte degli inglesi. La storia è complessa e qui può essere solo accennata. Basti dire che, come in ogni guerra, muore chi
combatte e muoiono i civili per la ferocia degli occupanti. Il numero delle stragi perpetrate dagli inglesi è innumerevole. Famosa quella del Bloody Sunday (il 30 gennaio 1972, a Derry, 26 civili furono massacrati dai soldati inglesi durante una pacifica marcia) grazie al brano degli U2 e al toccante film di Paul Greengrass. Nel maggio del 1987, nei pressi del villaggio di Loughgall, le teste di cuoio della Sas (corpo speciale dell’esercito inglese) uccisero otto militanti dell’Ira e un povero passante che si trovò al posto sbagliato nel momento sbagliato. I massacri sono stati davvero tanti e in un articolo in cui si parli dell’Irlanda del Nord non si può non citare Bobby Sands, altro eroe della resistenza irlandese, che si lasciò morire nel carcere di Long Kesh dopo un lungo sciopero della fame, insieme con altri undici commilitoni.
Il 5 maggio 2022, per la prima volta nella sua storia, il Sinn Féin ha vinto le elezioni nell’Irlanda del Nord e il suo capo, Michelle O’neill si appresta a diventare Primo Ministro. Risultato importantissimo perché, grazieancheadaltrifattoriquiomessiper amor disintesi, sicreano imigliori presupposti per la tanto aspirata unificazione. Tutti a titolare: “Il Sinn Féin, ex braccio politico dei terroristi dell’Ira, vince le elezioni”. Che deve pensare chi legga senza sapere i fatti? I combattenti dell’Ira non erano terroristi! Se così fosse dovremmo considerare tali anche Cesare Battisti (quello nato aTrento nel1875, non l’omonimo, nato nel1954 eterrorista vero alservizio dei proletari armati per il comunismo); gli irredentisti che allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si arruolarono nell’esercito italiano, pur essendo di fatto cittadini austriaci; i nostri nonni che hanno combattuto sull’Isonzo e sul Piave e anche noi che li celebriamo annualmente ogni 4 novembre! Studiare un po’ di più, prima di scrivere, quando si faccia questo mestiere, non guasterebbe.
* Questo articolo, redatto per il numero di maggio di “CONFINI”, non è stato pubblicato a causa di un disguido durante l’impaginazione del magazine.
Chi ci pensava più al doppio cognome?Era una barzelletta di moda alcuni anni fa che poi, come tante barzellette che non fanno ridere, finì nel dimenticatoio, surclassata da altre barzellette a loro volta dimenticate quasi subito e dai fatti più gravemente consistenti che, sommandosi ai precedenti, rendono sempre più faticosa la vita in questo Paese. A fine aprile, invece, come un fulmine a ciel sereno che ditanto intanto squarcia ilcielo, arriva la notizia che lascia tuttia bocca aperta: “Cognome del padre, stop automatismo: ai figli quello di entrambi i genitori. Questa la decisione della Corte costituzionale, anticipata con un comunicato stampa, che bolla come discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola in base alla quale il cognome del padre viene attribuito di default. I giudici delle leggi passano così un colpo di spugna definitivo su una concezione patriarcale della famiglia Ora il figlio assumerà il cognome di entrambi i genitori nell’ordine da loro concordato, a meno che non decidano di attribuirgli soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico». Siccome maiora premunt, per commentare questa “scemenza di ritorno”, trascrivo integralmente un articolo pubblicato ben sei anni fa in questo magazine (Nr. 49, novembre 2016) e replicato nel quotidiano “Secolo d’Italia” in data 11 novembre 2016. Doppio cognome: scenari futuri
Qualche mese fa iconiugi Franco Bianco e Milena Rosso hanno avuto un pargolo: Rosario. I coniugi, refrattari a ogni contesto che si configuri come tradizione, hanno deciso che Rosario debba avere entrambi i cognomi e la Corte costituzionale ha sancito che possono farlo. (Lo aveva deciso già allora? Approfondirò con calma questo punto; ora non ho tempo. N.d.R.) Il pargolo, pertanto, si chiama Rosario Bianco Rosso. Un’altra coppia di giovani sposi, Umberto Verde e Virginia Seppia, è in attesa della prima figlia. I due sono amici di famiglia della coppia Bianco Rosso e hanno già deciso il nome della bimba, che nascerà tra un paio di mesi: Patrizia. Anche loro, manco a dirlo, vogliono ildoppio cognome per la nascitura che, pertanto, sichiamerà Patrizia Verde Seppia. È molto probabile che Rosario e Patrizia, frequentandosi in virtù dell’amicizia dei rispettivi genitori, s’innamorino e decidano di sposarsi. Avremo, in tal modo, la coppia Rosario Bianco Rosso e Patrizia Verde Seppia. Chi si sposa, generalmente, mette al mondo dei figli e noi tutti auguriamo a Rosario e Patrizia di averne tanti e tutti bravi, belli e buoni. Magari il primo lo chiameranno Walter, nome che, a detta degli studiosi, ritornerà di moda fra una ventina di anni. Il primogenito, pertanto, si chiamerà Walter Bianco Rosso Verde Seppia e, ironia della sorte, frequentando il prestigioso liceo internazionale di Verona, s’imbatterà in un’avvenente fanciulla che gli farà battere forte il cuore: Margot Della Valle Dello Stretto Piano. È un colpo di fulmine! Fidanzamento immediato e matrimonio subito dopo le rispettive lauree, baciato dalla nascita di un bellissimo pargolo, Ivan, altro nome che, sempre a detta degli studiosi, ritornerà di moda tra una quarantina di anni. Ivan cresce splendidamente, coccolato dai genitori e dai nonni. Quando s’iscrive alla prima elementare, però, un destino crudele gli spezza il sorriso. La maestra, infatti, facendo l’appello, chiama Ivan Bianco Rosso Verde Seppia Della Valle Dello Stretto Piano, suscitando l’ilarità della classe. Ivan, rosso in volto per la vergogna, prende una penna e la conficca nell’occhio del compagno di banco, che stramazza al suolo. Attonito, vedendo il sangue che scorre a fiumi e gli altri bimbi che scappano terrorizzati, subisce un terribile shock. Il compagno di banco, che si chiama semplicemente Biagio Brambilla, dopo un delicato intervento chirurgico e untrapianto, riacquista la vista etorna a vivere normalmente, diventando, grazie a quella triste esperienza, una importante star televisiva, uno scrittore di successo
eunseguitissimo attore.Ivan, purtroppo,nonsiriprendeepeggioraanno dopo anno. Vienericoverato in una clinica psichiatrica di Zurigo, famosa per nuove formule terapeutiche studiate appositamente per curare i figli dei genitori cretini. La terapia, però, è ancora allo stato sperimentale e non sempre funziona. Ivan, un pomeriggio, riesce a eludere il controllo e sgattaiola nella zona cucine, dove è ubicata una enorme cella frigorifera tarata a ventigradisotto zero. Vientra e si sdraia sul lato opposto dell’ingresso, tra due gigantesche spalle di manzo. Lo troveranno dopo due giorni, con l’espressione che aveva Jack Nicholson, alias Jack Torrance, nella scena finale di Shining. Gentili mamme che bramate il doppio cognome, non me ne vogliate per questo mio scritto e non consideratemi un vostro nemico: è vero l’esatto contrario. Sono un vecchio cavaliere errante, oramai, che considera la Donna il fiore più prelibato di quel magico giardino, ubicato nello spazio infinito, convenzionalmente chiamato Pianeta Terra. Alla pari di tutti i cavalieri erranti, la venerazione tributata all’universo femminile trascende i limiti dell’umano sentire e s’impregna dei colori percepibili solo sulle vette del sublime. Da quelle vette osservo i fremiti di una umanità sempre più smarrita, nella vana ricerca di un senso lì dove un senso proprio non esiste. E intanto le lancette dell’orologio avanzano impietose, incuranti di chi non riesca a godersi le albe perché imbragato nelle tenebre di una insulsa esistenza.
A conclusione di questo articolo, pertanto, consentitemi di invitarvi a tornare a sorridere e di abbandonarvi tra le braccia di colui che amate, restandovi a lungo, rinunciando ai pensieri oscuri e dando sfogo solo alle sensazioni. Vedrete che sarà bello (ri)scoprire una nuova dimensione del vostro essere. Una dimensione che sa d’antico, certo, e proprio per questo ha radici solide che consentono di guardare in modo sano a quel futuro che, anche grazie a voi, potrà essere più roseo e scevro delle troppe distonie che avvelenano il presente. Acquisita questa consapevolezza, sarà meraviglioso accarezzare i vostri figli, che non correranno alcun rischio di finire in una clinica di Zurigo. Tutti gli “Ivan” che verranno, vi ringraziano anticipatamente.
Mentre copio questo vecchio articolo, sul secondo monitor del PC, suddiviso in finestre collegate ai siti dei principali organi di stampa, compare il triste volto del comandante della Brigata ucraina accerchiata nell’acciaieria di Mariupol che l’ancia un disperato appello: «Siamo senza munizioni, senza cibo, senza acqua e vi sono centinaia di bambini feriti che necessitano di immediate cure». Loro dicognome ne hanno uno solo e non vorrebbero vederlo scritto su una fossa comune, cosa molto probabile perché, mentre in Ucraina si combatte e si muore anche per difendere la “civiltà occidentale”, noi perdiamo tempo in chiacchiere insulse. Sic transit gloria mundi.
Il 5 maggio sul sito della CNN è stata pubblicata l’intervista rilasciata dal generale Repass a Peter Bergen. L’intervista non ha avuto eco in Italia, ma gli argomenti trattati risultano di fondamentale importanza per comprendere il complesso scenario che si muove intorno alla terribile invasione dell’Ucraina.
Il generale Mike Repass è l’ex comandante delle operazioni speciali statunitensi in Europa e ha svolto ilruolo diconsiglieredell’esercito ucraino negliultimi seianni. È ancheunautorevole membro delle Global Special Operations Forces, (Organizzazione senza scopo di lucro fondata per offrire soluzioni alle minacce globali di qualsiasi natura; N.d.R.). Nel mese di aprile ha visitato la Polonia e l’Ucraina occidentale per farsi un’idea sull’andamento della guerra.
Proponiamo integralmente l’intervista, tradotta e commentata da Lino Lavorgna. ****
L’autore dell’intervista, Peter Bergen, collabora come analista della sicurezza nazionale con l’emittente televisiva CNN; è vicepresidente della “New America” (think tank statunitense fondato nel 1999, specializzato nelle analisi socio- politiche, economiche, militari ed energetiche; N.d.R.); è docente di “Pratica” presso l’Università statale dell’Arizona (Ruolo specialistico che tende a supportare gli studenti più dotati, al fine di svilupparne le doti di leadership e proiettarli efficacemente nel mondo del lavoro con ruoli prestigiosi; N.d.R.)
B. Cosa ha compreso nel corso del suo recente viaggio?
R. Che l’Ucraina ha ancora bisogno di molto aiuto; che la NATO si sta muovendo troppo lentamente; che non abbiamo visibilità su cosa succede all’equipaggiamento militare quando entra in Ucraina. La fornitura diattrezzaturemilitariè personalizzata anziché professionalizzata. Sistabiliscono le priorità di distribuzione e, da quanto ho potuto osservare, tali priorità non si basano sulla comprensione dei tassidiconsumo, delle operazioni futureo deidatioggettivi. Sibasano sulle decisionidelcomandante della brigata X o del settore Y che chiama e dice: «Ehi, ho bisogno di 27 missili Javelin». Non è così che si gestisce la logistica in tempo di guerra. Si dovrebbe stabilire con precisione il livello di consumo delle singole risorse materiali: carburante, munizioni, batterie, etc.
B. Si può ipotizzare uno scenario bellico che vada avanti all’infinito?
R. I tre scenari futuri più ovvi sono i seguenti: la Russia vince la guerra; l’Ucraina vince la guerra; indefinita situazione di stallo. Il primo e il terzo scenario, di fatto, costituiscono una vittoria per la Russia. In caso di stallo, infatti, la Russia rivendicherebbe la vittoria e continuerebbe ad occupare buonapartedelterritorio ucraino per untempo nonfacilmentequantificabile. Nonproprio unavittoria totale, ma comunque una vittoria. Cosa stiamo facendo noi occidentali, quindi, affinché non si verifichino ledueopzionifavorevoliallaRussia?Almomento stiamo inviando moltearmiall’esercito ucraino affinché possa difendersi dall’aggressione, ma il vero problema è che il Paese ha bisogno di risorse aggiuntive (militari, N.d.R.) per cacciare la Russia dall’Ucraina.
R. Perché l’esercito ucraino non è in grado di respingere l’offensiva: servono più equipaggiamento, una maggiore potenza di fuoco e soldati addestrati. La Russia avrà sempre forze numericamente superiori, ma non necessariamente “migliori”. Ricordiamo cosa disse Stalin: «La quantità ha una qualità tutta sua». Oramai è chiaro a molti che questa battaglia di logoramento prima o poi evolverà a vantaggio della Russia. Per impedirlo occorre potenziare l’esercito ucraino. Penso che vi sia una crescente consapevolezza tra i Paesi della NATO e la comunità internazionale sulla necessità di
meglio sostenere la lotta dell’Ucraina indebolendo la Russia con un più efficace rafforzamento dell’esercito ucraino, scoraggiarla ulteriormente aumentando le nostre capacità (interne agli USA, N.d.R.) e quelle della NATO, ridurne la capacità offensiva e fare in modo che venga sconfitta sul campo. Ciò può avvenire solo costruendo una forza di riserva strategica e operativa che consenta all’Ucraina di svolgere operazioni offensive per cacciare i russi e proteggere i propri confini.
B. In che modo si dovrebbe realizzare questo progetto? R. Stati Uniti, Francia, Polonia, Regno Unito e Germania devono fornire all’Ucraina, ciascuno per proprio conto, ciò che serve ad armare in modo efficace una intera Brigata. Questi Paesi hanno una significativa capacità militare e potrebbero meglio equipaggiare (in tutti i sensi, N.d.R.) l’esercito ucraino, contribuendo anche a un migliore addestramento militare (per un più efficace utilizzo delle armi fornite, N.d.R.)
Si tratterebbe, quindi, di costituire efficacemente cinque brigate in cinque settori operativi, che combatterebbero con equipaggiamento occidentale, secondo le tattiche di guerra occidentali, disponendo di tutto ciò che serve per lo scontro aria-terra, a cominciare dai carri armati NATOinteroperabili (capaci di essere utilizzati da tutti i militari dei Paesi aderenti alla Nato, N.d.R.), supporto aereo ravvicinato e difesa aerea. Un processo che si può attuare in sei-otto mesi. B. Cinque brigate non sono troppe?
R. No. Una brigata è composta da circa ottomila soldati. Parliamo, quindi, di quarantamila soldati. Credo che gli ucraini siano in grado di reperirli, vista l’attuale emergenza nazionale. Storicamente, quando un esercito occidentale si è scontrato con un esercito rifornito dai russi, quest’ultimo è stato completamente annientato da un numero inferiore di forze. Ciò avvenne, per esempio, durante la prima guerra del Golfo, quando l’esercito americano distrusse gran parte dell’esercito di Saddam Hussein, in Kuwait. Gli armamenti occidentali hanno un significativo vantaggio qualitativo rispetto all’equipaggiamento russo. I rapporti di forza, pertanto, variano sensibilmente quando si tratta di confrontare le rispettive risorse. (Si parla di armi ed equipaggiamenti tradizionali. Non vi è alcun riferimento alle armi atomiche. Per meglio inquadrare il pensiero, tuttavia, va considerato che Repass fa riferimento a “eserciti sostenuti dai russi”. In questo caso, però, è l’esercito russo in campo e ciò mina non poco le sue conclusioni; N.d.R.)
B. Perché i russi si attengono a un modello che non funziona efficacemente?
R. Utilizzano modalità retrograde. All’inizio della guerra ritenevano di favorire un colpo di Stato in Ucraina in pochi giorni. Non ha funzionato. Le truppe russe sono state fronteggiate con determinazione. (Traduzione letterale dell’espressione utilizzata da Repass: «Le truppe russe se lo sono fatto mettere nel c…»; N.d.R.) Hanno trasferito tutta la loro potenza di fuoco, quindi, a Est e a Sud, utilizzando massivamente l’artiglieria contro gli obiettivi ucraini, distruggendo tutto ciò che incontravano durante l’avanzata. (Con quali tragiche conseguenze per i civili lo vediamo ogni giorno in TV; N.d.R.) Non si tratta di una guerra di manovra, pertanto, ma di una guerra di logoramento con il fuoco. Esattamente il contrario di ciò che abbiamo in Occidente: eserciti addestrati alla “manovra” (che quindi non prevede il massacro indiscriminato dei civili, N.d.R.)
B. Cosa ne pensa del nuovo comandante russo in Ucraina, il generale Aleksandr Dvornikov?
R. È un esperto della guerra di logoramento. Non è un tipo da guerra di manovra. Farà tutto ciò che ha fatto per tutta la vita: far saltare in aria e distruggere tutto ciò che incontra sul suo cammino e poi inviare le truppe con l’intento di deportare con la forza i cittadini ucraini, stroncando ogni possibile resistenza dal Donbass alla Crimea.
B. Come definirebbe lo stato della guerra a Est ea Sud in questo momento? I russi stanno vincendo? R. La Russia sta facendo progressi metodici sia nel Nord sia nel Sud. Vogliono anche accerchiare Mykolayiv, distruggere i difensori e puntare su Odessa, dove possono giungere solo dopo aver distrutto tutte le forze ucraine intorno a Mykolayiv.
B. Perché l’obiettivo è Odessa?
R. Perché senza Odessa l’Ucraina non avrebbe più alcun sbocco sul Mar Nero. La città, inoltre, è anche la porta di accesso alla Transnistria e alla Moldavia.
B. Ritiene possibile un attacco alla Moldavia da parte della Russia? (Ipotesi più volte emersa negli ultimi giorni; N.d.R.)
R. La ritengo una seria minaccia e penso che i russi abbiano gli occhi puntati sulla Moldavia. Se possono prenderla, lo faranno. Per essere precisi, parlano di andare in Transnistria. Se riescono a costruire un ponte terrestre meridionale verso la Transnistria, lo faranno. Ciò li porterebbe alle porte della Moldavia, che ovviamente non sarebbe in grado di opporsi efficacemente all’invasione.
B. La guerra in Ucraina si sta allargando?
R. È un dato di fatto che la Bielorussia, Stato fantoccio al servizio di Mosca, sia stato il trampolino di lancio per l’offensiva in Ucraina. Pur non avendo contribuito con unità militari all’invasione, ha ospitato e supportato le forze russe. Dal suo territorio sono stati lanciati i missili di precisione. I funzionari di Putin hanno anche affermato che il Baltico non ha basi storiche e gli Stati di riferimento sono illegittimi. Hanno detto lo stesso dell’Ucraina, prima della guerra. (A onor del vero anche lo stesso Putin ha detto queste cose, non solo i suoi collaboratori civili e militari, N.d.R.) I tre Stati baltici e la Polonia credono fermamente che saranno i prossimi obiettivi della Russia, ritenuta una reale minaccia esistenziale. Non esistono prove concrete, del resto, sul fatto che Putin sia disposto a fermarsi all’Ucraina.
B. Cosa pensa dei continui riferimenti alle armi nucleari? Ne parlano solo per fare paura?
R. Sì, penso che sia questo lo scopo. Sarebbe diverso se fosse Putin a parlarne. Fin quando ne parla il ministro degli Esteri Lavrov, è tutta un’altra storia. Ritengo che sia solo per “darsi un tono”. I russi, secondo la loro dottrina nucleare e come chiaramente affermato da Putin, userebbero le cosiddette armi nucleari tattiche solo in caso di effettiva minaccia al loro territorio.
B. A seguito dell’affondamento del Moskva, l’incrociatore missilistico che fungeva da nave ammiraglia della flotta russa nel Mar Nero, pensa che i cinesi stiano valutando l’opportunità di attaccare Taiwan?
R. Nonpenso. La Russia sta subendo fortiperdite da un esercito numericamente inferiore, in un Paese invaso via terra. I cinesi dovrebbero attraversare cento miglia d’acqua per arrivare a Taiwan. Devono considerare, quindi, che l’eventuale attacco sarebbe molto più difficile del previsto.
B. Se fosse al posto di Putin oggi, come si sentirebbe? R. Probabilmente meglio del giorno dopo l’affondamento della Moskva. Penso che si senta in conflitto con sé stesso e confuso, ma si rende conto che deve andare avanti per ottenere una vittoria. È prigioniero, inoltre, del suo “isolamento mediatico”. Usa raramente Internet da solo e, almeno fino alla fine del 2020, non disponeva nemmeno di uno smartphone. Non ha alcun legame con il mondo esterno e tutte le informazioni gli vengono fornite dalla sua cerchia ristretta o da ciò che legge nei media russi, controllatidallo Stato e adusi a pubblicare solo “veline”. Sitrova nella stessa situazione in cui si trovano i cittadini della Corea del Nord e non riceve informazioni accurate. (Tipica esagerazione statunitense, che però rende abbastanza bene l’idea: che sia stato ingannato dai suoi collaboratori, anche per timore di riferire esattamente i rischi connessi a un’invasione strutturata in quel modo, è un dato di fatto sul quale nessuno nutre dubbi; N.d.R.)
B. Iniziare una guerra è facile. Le guerre hanno una loro logica. (Altro tipico concetto statunitense, sostanzialmente diverso da ciò che si pensa della guerra in Europa; N.d.R.) Questa guerra, sfortunatamente, potrebbe durare un anno o anche due.
R. Temo che abbia ragione. Questa sarà una guerra struggente e agonizzante se durerà più di un anno e penso che durerà almeno due anni. Ma non possiamo lasciare che entri in una situazione di stallo perché in questo caso Putin rivendicherà il successo seguito da una brutale occupazione del territorio ucraino che controlla.
(Link al testo originale: What it will take for the Ukrainians to win)
Che cosa si può aggiungere a quanto asserito da Repass? Poco o punto. Allo stato delle cose le sue asserzioni risultano inconfutabili. L’Europa, però, ne esce con le ossa rotte perché gli USA guiderebbero l’intero processo di assistenza all’Ucraina, più di quanto non stiano già facendo. Il tono del generale, inoltre, quando cita i Paesi europei che dovrebbero contribuire all’operazione, è quello saccente di chi si pone in una posizione di superiorità, di comando. Addirittura non cita l’Italia, il cui esercito è sicuramente più numeroso e meglio addestrato di quello tedesco, con reparti che non sfigurano al cospetto di quelli di qualsiasi altro esercito del mondo. La mancata citazione, quindi, si può ascrivere a un retaggio pregiudizievole tanto ingiustificato quanto fastidioso, che meriterebbe di essere denunciato con fermezza.
In questi ultimi giorni, con riferimento a un buffo personaggio che popola i talk show, il cui nome non val la pena citare, si è parlato in modo ironico del “pensiero laterale”, aggiungendo quindi, stupidità alla stupidità. Il pensiero laterale è una cosa maledettamente seria, invece, e andrebbe “insegnato” a chiunque fosse designato ad assumere importanti decisioni. Ѐ innegabile che l’Europa stia fornendo concreti aiuti all’Ucraina; come ben traspare dall’intervista, però, non basta e Repass pensa di addestrare quarantamila soldati ucraini, la qual cosa, ancorché valida sul piano concettuale, richiederebbe tempo e quindi un alto costo di vite umane perché, nel frattempo, i russi non se ne starebbero con le mani in mano. Sfruttando bene le decisioni scaturite dal “pensiero laterale”, invece, si potrebbe fare molto più per aggirare l’impossibilità materiale di inviare soldati a combattere. Ogni Paese “occidentale” aderente alla NATO (Turchia esclusa, quindi), ivi compresi quelli che abbiano fatto domanda di adesione, selezionidei volontarinell’ambito deirispettivieserciti. I volontarisidovranno dimettere, diventando quindi dei cittadini comuni. In tal modo potranno arruolarsi nella Brigata internazionale al servizio di Zelensky e, una volta inquadrati nelle Forze armate gestite dallo Stato maggiore ucraino, si troverebbero a combattere con le armi che ben conoscono. Se si riuscisse a mettere insieme almeno centomila uomini comprensivi di tutte le linee gerarchiche, sarebbe tutta un’altra musica. (E sarebbe molto triste se così non fosse, perché in Ucraina stanno combattendo e morendo anche per noi. Sarebbe lecito sperare, pertanto, che il numero possa essere anche superiore). Al termine della guerra ritornerebbero nei quadri precedentemente ricoperti, magari con qualche promozione e decorosi riconoscimenti economici. Questo vuol dire utilizzare in modo sensato “il pensiero laterale”, con buona pace di quel buffo docente che assomiglia a un comico che non fa ridere. E con buona pace anche degli USA, che dovrebbero cedere all’Europa il timone per la tutela della pace nel mondo.
«Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi». Eraclito (I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di Gabriele Giannantoni, Bari, Laterza, 1969).
Il 30 luglio 1932 Albert Einstein scrisse a Sigmund Freud per comunicargli che l’Istituto di cooperazione internazionale, organo della Società delle Nazioni, gli aveva proposto di invitare una persona di suo gradimento a un franco scambio di opinioni su un problema qualsiasi. All’inventore della psicanalisi, pertanto, il più grande fisico mai nato ritenne di rivolgere una domanda che gli appariva la più urgente tra quelle che si ponevano alla civiltà: «C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?»
Il carteggio tra i due è disponibile nel volume “Sulla guerra e sulla pace”, edito da La Città del Sole, 2006. Di seguito se ne trascrivono i passi salienti, in forma di sinossi.
“Caro professore Freud, non le nascondo che sono terribilmente preoccupato perché, consapevole delle grandi conquiste che sistanno registrando inambito scientifico, se dovesse scoppiare una guerra i traguardi raggiunti potrebbero essere utilizzati in modo distruttivo. Voglio rivolgere a Lei che conosce gli istintidell’essere umano, pertanto, una domanda alla quale non riesco a dare una risposta: «Perché gli esseri umani, pur rendendosi conto di quanto sia catastrofica la guerra, ciclicamente ricadono in questa aberrazione? Per quale ragione esiste la guerra, caro professor Freud? So che nei Suoi scritti possiamo trovare risposte esplicite o implicite a tutti gli interrogativi posti da questo problema che è insieme urgente e imprescindibile. Sarebbe tuttavia della massima utilità a noi tutti se Lei esponesse il problema della pace mondiale alla luce delle Sue recenti scoperte, perché tale esposizione potrebbe indicare la strada a nuovi e validissimi modi d’azione. Molto cordialmente Suo, Albert Einstein»
La risposta di Freud.
«Caro professore Einstein, quando gli esseri umani hanno iniziato a popolare questo Pianeta l’unico mezzo per dirimere le controversie era la forza bruta, la violenza, la guerra. Poi le cose iniziarono a cambiare gradualmente: chi sviluppava maggiore intelligenza creava armi più efficaci e riusciva meglio a sopraffare i propri simili. Si arrivò fino al punto di elevare al rango di divinità chi meglio incarnava la forza bruta e la capacità di distruzione e così nacque Ares, il Dio della Guerra. I guerrieri venivano onorati e glorificati e da allora il mondo è sempre stato in guerra, perennemente. Sembra dunque che il tentativo di sostituire la forza reale con la forza delle idee sia per il momento votato all’insuccesso. È un errore di calcolo non considerare il fatto che il diritto, originariamente, era violenza bruta e che esso ancor oggi non può fare a meno di ricorrere alla violenza. Lei si meraviglia che sia tanto facile infiammare gli uomini alla guerra, e presume che in loro ci sia effettivamente qualcosa, una pulsione all’odio e alla distruzione, che è pronta ad accogliere un’istigazione siffatta. Di nuovo non posso far altro che convenire senza riserve con Lei. Noi crediamo all’esistenza di tale istinto e negli ultimi anni abbiamo appunto tentato di studiare le sue manifestazioni, convincendoci che essa (la pulsione all’odio, N.d.R.) operi in ogni essere vivente e che la sua aspirazione sia di portarlo alla rovina, di ricondurre la vita allo stato della materia inanimata. Con tutta serietà le si addice il nome dipulsione di morte, mentre le pulsionierotiche stanno a rappresentare gli sforzi verso la vita. La pulsione di morte diventa pulsione distruttiva allorquando, con l’aiuto di certi organi, si rivolge all’esterno, verso gli oggetti. L’essere vivente protegge, per così dire, la propria vita
distruggendone una estranea. Una parte della pulsione di morte, tuttavia, rimane attiva all’interno dell’essere vivente e non nutriamo alcuna speranza di sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre a profusione tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui vita scorre nella mitezza e sia la coercizione sia l’aggressione sono sconosciute. Posso a malapena crederci; mi piacerebbe saperne di più, su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri della comunità. Io la ritengo un’illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli stranieri. D’altronde non si tratta, come Lei stesso osserva, di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra. (Corsivo e grassetto non compaiono nel testo originale e sono stati utilizzati come esplicito riferimento alle vicende attuali che coinvolgono gli eredi dei bolscevichi, N.d.R.). Io e lei ci indigniamo contro la guerra grazie a quel processo di civilizzazione che ci ha comunque consentito di percepirne la mostruosità. E con noitanti altri. Ma se nonostantequesto processo le guerre continuano a scatenarsi, la vera domanda da porsi è: perché la pace? Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l’influsso di due fattori - un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra. La saluto cordialmente e Le chiedo scusa se le mie osservazioni L’hanno delusa. Suo Sigm. Freud».
LA STORIA NON SI CANCELLA. NEMMENO LE LEGGENDE CHE LA ISPIRANO. “Reset”. Termine inglese che si traduce con “resettare”, voce presente in tutti i dizionari più o meno con questa definizione: “Riportare allo stato iniziale, azzerare – 1.Riportare un sistema di elaborazione allo stato iniziale, riavviare: per correggere un errore abbiamo dovuto resettare il computer; è necessario resettare. 2.Riportare alla condizione di partenza, annullare completamente: resettare una brutta situazione per ristabilire un clima adatto alla collaborazione”.
A chi non è capitato di dover resettare un PC dopo vari problemi, magari generati da qualche virus? Non sono certo pochi, poi, coloro che abbiano resettato particolari modalità del proprio essere, della propria vita, ripartendo da zero: divorzio; cambio di lavoro; addirittura cambio degli abituali luoghi divilleggiatura, dopo che quelli frequentatiper moltianni siano venutia noia; tantealtre cose ancora Il reset consente di azzerare ciò che, evidentemente, costituiva un problema, il che non vuol dire necessariamente risolvere il problema o migliorare la propria condizione; è chiaro, però, che quello sia l’intento. Affinché si realizzi, tuttavia, si rende necessaria la presenza materiale dell’elemento da resettare: sia esso un oggetto da riparare o un luogo o una persona cui dire addio. Esiste anche un reset concettuale, senz’altro più importante delprecedente, presupponendo esso l’abbandono diteorie e pensieri seguiti fino a un certo punto della propria esistenza per abbracciarne di nuovi, per convinzione o convenienza. Inutile citare esempi assimilabili alla sfera “Parigi val bene una messa” (convenienza) e alla sincera e “convinta” conversione di intellettuali o altri soggetti verso differenti filoni culturali, grazie alle esperienze, agli studi o ad altri fattori che abbiano segnato il loro cammino terreno. Ne abbiamo parlato più volte e la lista è davvero lunga. Ciò che non è possibile resettare, come tra l’altro ben traspare dall’accorta lettura del carteggio Einstein-Freud – la lettura integrale, non la stringata sintesi succitata – è il passato. Il passato di un’umanità che, dai suoi albori ai giorni nostri, non ha registrato sensibili mutazioni nella sfera comportamentale, lasciando affiorare con una ciclicità impressionante tanto quell’indissolubile
rapporto tra Eros e Thanatos – ripeto, magistralmente spiegato da Freud ad Einstein – quanto tutti quegli elementi irrazionali che, di fatto, hanno condizionato la Storia. Sarebbe bello “ricreare” il mondo ancorandolo agli esclusivi principi acquisiti con la “civilizzazione” (altro aspetto ben sviscerato da Freud), ma ciò è impossibile proprio perché è la natura umana a non consentirlo. Una natura che affonda le sue radici nella notte dei tempi, confondendo in un miscuglio inestricabile leggende divenute storia e fatti concreti divenuti leggende.
Noi siamo “europei” e occupiamo un continente che si chiama “Europa”, come la figlia di Agenore, re di Tiro, che fece perdere la testa al capo di tutti gli Dei, Zeus, il quale si trasformò in toro e la sedusse, dando vita a quell’evento a tutti noto come “Ratto di Europa”. L’etimologia della nostra patria continentale, di fatto, rimanderebbe a uno stupro perpetrato da un Dio! Che bella storia! Già così sarebbe da “resettare”. Ma a dirla tutta, in verità, è anche peggio. Si dice che i veri lettori dell’animo umano siano ipoeti, i filosofie ipittori, esagerando unpo’ se siconsiderano tutti isoggetti riconducibili ai tre importanti filoni dell’essere, senza peraltro inficiare del tutto il concetto. Saranno almeno una ventina, o forse più, per esempio, i pittori che abbiano dedicato un’opera alla grande trombata tra un Dio e una principessa, tra i quali Tiepolo, Tiziano, Veronese, Guido Reni, solo per citarne alcuni tra ipiù famosi e limitandociagli italiani, anche se tra le opere più belle figurano quelle del fiammingo Gillis Cognet e dell’olandese Rembrandt. Se si guardano attentamente tutti i dipinti, anche quelli dei pittori non citati, in nessuno di essi si riuscirà a cogliere la raffigurazione di un “ratto”, ossia la violenza impetuosa di un Dio aduso a prendersi ciò che vuole senza tanti riguardi per nessuno. I “lettori dell’animo umano” hanno raffigurato Europa che sale dolcemente sul groppone di un “pacato toro”, con tratti sicuramente gentili, per poi volare via con lui. Grandissima zoccola, Europa! Altro che donna stuprata! Del resto, se basta un Berlusconi qualsiasi per indurre fanciulle stupende e giovanissime a donarsi anima e corpo senza ritegno, compiendo pratiche sessuali che per la loro natura diventano gradevoli solo se condivise con partner, come dire, “adeguati alla circostanza”, figuriamoci cosa possa accadere con unDio che porge la sua mano! Dobbiamo resettare anche questa versione, quindi? E a cosa servirebbe? Dopo tutto è leggenda e non cambierebbe di una virgola ciò che, invece, abbiamo scritto molte volte con reale riferimento alla realtà storica: “L’Europa è una vecchia baldracca che ha puttaneggiato in tutti i bordelli, contraendo le peggiori infezioni, tutte culminanti in -ismo”. Come facciamo a resettare questo?
Roma fu fondata nel 753 a.C. grazie a un fratricidio. Bruttissima cosa. Era proprio necessario che Romolo ammazzasse il fratello solo perché aveva scelto un altro colle? No, ovviamente, ma le trame della Storia non amano eccessive complicazioni: essendo un gemello avrebbe potuto condizionare l’attività del fratello “re” e la Storia si libera subito di chi intralci i suoi disegni. Se è brutta la storia diRomolo eRemo, benpeggioreèquellachehacreato ipresuppostidella loro esistenza. Negliscontri finali della Guerra di Troia, Enea non aveva alcuna possibilità di sconfiggere Achille, che già aveva ucciso ilprode Ettore. Poseidone, però, divinità che assomiglia a certinostripoliticiadusia intrallazzi con gli avversari per fini meramente personali, pur essendo filo-greco (cosa già grave perché una divinità dovrebbe essere imparziale), un po’ per i vincoli di amicizia e parentela con la collega e cugina Afrodite (stupenda mamma di Enea che faceva girare la testa a uomini e dei, come ben ci ricordano tante testimonianze, tra le quali quella eloquente dello storico romano Anneo Cornuto) un po’ per interessi “postumi” (essendo un dio aveva già previsto la nascita di Roma, che però necessitava proprio dell’approdo di Enea sulle coste laziali come fase prodromica) fece calare all’improvviso una fitta nebbia sul luogo dello scontro, impedendo in tal modo ad Achille di infilzare Enea con la sua lancia e a quest’ultimo di intraprendere il famoso viaggio. Come a tutti noto, il figlio Ascanio diede inizio alla dinastia deire albaniche portò alla nascita diRomolo e Remo, figlidi quella Rea Silvia che, manco a dirlo, stanca dell’astinenza imposta alle vestali, o siconcesse una scappatella
nel bosco per sedare i suoi appetiti sessuali con il vecchio spasimante Amulio, o fu da quest’ultimo stuprata, come sostiene Tito Livio, o fu stuprata da Marte, come sostiene Publio Annio Floro. Sono passati quasi tremila anni dagli avvenimenti citati e ancora non si è stabilito chi fosse realmente il papà di Romolo e Remo Intanto questi dei che stuprano chi vogliono, proprio come stanno facendo ora i soldati russi in Ucraina e come tante volte accaduto anche in passato, hanno proprio stufato e, in ognicaso, i fattisi configurano come ungrancasino noncerto edificante. Resettiamo?E a che pro?
Da giovane arrotondavo le mie entratedando lezioniprivate aglistudentidelle scuole medie, offrendo loro metodi di studio che prescindevano dai programmi ufficiali, sia per le lingue straniere (inglese e francese) a queltempo insegnate con metodiche nonne facilitavano l’apprendimento, sia per la storia e la letteratura. Parlando della storia romana, per esempio, smitizzavo quell’aura apologetica che trasudava dai libri di testo, soffermandomi precipuamente sul periodo repubblicano (iniziato con la bufala di Muzio Scevola che si punisce per il mancato omicidio di Porsenna, lasciando bruciare completamente la mano destra sul braciere dove ardeva il Fuoco dei sacrifici, episodio che alle scuole elementari fu spiegato dalla mia brava maestra come alto esempio di dignità umana e di coraggio, facendo nascere in me, bimbetto ingenuo ma già intriso di quel misticismo interiore che si sarebbe affinato solo col tempo, creando le necessarie barriere protettive, una duratura e spiacevole sensazione di inadeguatezza dopo aver tentato inutilmente di mantenere oltre un decimo di secondo il dito indice della mano destra sotto il labile fuocherello di un cerino) e sul periodo imperiale. Pratiche che ho continuato a seguire anche successivamente, in qualsivoglia contesto, quando gli avvenimenti correnti offrivano eloquenti spunti comparativi.
Il famoso patto (CAF) tra Craxi, Andreotti e Forlani, cosa aveva di diverso da quello tra Cesare Pompeo e Crasso prima e Antonio, Lepido e Ottaviano dopo?
Cesare che parte alla conquista della Gallia per sanare i suoi debiti con Crasso cosa ha di diverso da Berlusconi che scende in politica per evitare il fallimento delle sue aziende? E il ricco e spietato Crasso cosa ha di diverso da quell’Enrico Cuccia, dominatore indiscusso della finanza italiana dal dopoguerra fino alla sua morte? Esempi trascritti con pennellate rapide che, se approfonditi, offrono pazzeschi spunti di riflessione e analogie, lasciando emergere tanta di quella zozzeria da doversi turare il naso, soprattutto per la loro “ciclicità”. Da Augusto al povero Romolo Agustolo, in mezzo millennio di “impero” che ha visto succedersi una novantina di imperatori, quanti di loro hanno effettivamente meritato quegli attributi eccelsi di cui sono pieni i libri di storia? Dobbiamo ripetere per l’ennesima volta le schifezze comportamentali, le tresche, gli inganni, la spietatezza con la quale tanti di loro abbiano fatto fuori amici e parenti stretti, compreso mamme, mogli, figli, pur di mantenersi al potere, perpetrando crimini che fanno impallidire persino il moderno Putin che sta massacrando un intero popolo, ma mantiene ben al sicuro all’estero mogli, amanti, figli e nipoti? Che facciamo? Resettiamo tutta la storia romana, che ci è stata tramandata come portatrice di civiltà in popoli adusi alla barbarie? Troppo complicato discernere il bene dal male; la verità dalla mistificazione; il vero dal falso. Possiamo provare a discuterne, certo, e lo facciamo un giorno sì e l’altro pure, ma il reset non è proprio possibile. Dovremmo almeno imparare a far tesoro del nostro passato, ma anche questa “saggezza” ci manca nella quotidianità e appare esclusivamente, come metafora della nostra inadeguatezza alla vita, nelle giornate dedicate alle varie ricorrenze, che dovrebbero farci acquisire consapevolezza degli errori e degli orrori di cui siamo stati protagonisti nel corso dei secoli, per mai più perpetuarli. Accade il contrario, invece, e questo ci trasforma, sostanzialmente, in una barzelletta che non fa ridere. E di tristi barzellette che non fanno ridere ne stiamo registrando tantissime proprio in questi giorni che vedono un intero popolo massacrato da un tiranno, nell’ennesima sporca guerra, che sancisce l’ineluttabilità dell’intuizione eraclitea.
Un’ineluttabilità che, chissà se in modo consapevole o meno, traspare evidente anche nella finzione cinematografica. Sulla piattaforma televisiva Sky è disponibile una miniserie tedesca (otto puntate per un totale di non più di sette ore complessive di filmato) intitolata “Otto giorni alla fine”. La trama non ha nulla di originale: il solito asteroide che sta per colpire la Terra, distruggendo gran parte di essa. Solo che questa volta invece che gli USA l’asteroide ha puntato l’Europa Centrale, dalla quale tutti cercano di fuggire in qualche modo. I più ricchi e i potenti hanno l’opportunità di rifugiarsi in poderosi e super attrezzati bunker, vere e proprie città sotterranee, nelle quali, riferisce un fisico di sani principi che vi trova riparo insieme con la famiglia, esistono tutti gli elementi per iniziare una nuova vita, ripartendo da zero, connuove prospettive per l’esistenza umana. Unvero e proprio “reset” scaturito da un evento imponderabile. Si può immaginare la sua sorpresa quando scoprirà che tantissimo spazio, nel quale avrebbero potuto trovare posto altre centinaia di migliaia di cittadini, è stato occupato da potenti carri armati e da ingenti armamenti, perché evidentemente i governanti, anche in un momento come quello, hanno ritenuto che, “dopo”, comunque delle armi non si sarebbe potuto fare a meno. Molti di quei governanti, poi, tanto per non farci mai perdere di vista le distonie del potere, avevano rubato buona parte dei fondi destinati alla costruzione dei bunker, condannando a morte milioni di persone.
Questo articolo potrebbe comporsiancora didecine dipagine, se si volesse seriamente confutaretutto ciò che andrebbe “resettato” dalla caduta di Romolo Augustolo ai giorni nostri, restando in un ambito continentale; ne occorrerebbero centinaia, dipagine, per renderetangibili le scelleratezze e le brutture dell’intera umanità che andrebbero cancellate dalla Storia, per purificarla. Fatica inutile, come ben spiega Freud, ilquale comunque ciaveva lasciato uno spiraglio disperanza, ritenendo che duefattori - un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – potessero indurci ad abbandonare malsane abitudini.
Peccato che, per tutto ciò che si è registrato dopo, e soprattutto per quello che si sta verificando ora, dobbiamo amaramente considerare che il suo auspicio “non utopico”, ancorché ancorato alla speranza, è poggiato sul nulla e possiamo solo continuare a promuovere l’evoluzione civile affinché lavori contro la guerra. Nel frattempo, però, cerchiamo di non abbandonare chi combatte e muore anche per noi, perché altrimenti sarà l’evoluzione civile ad essere cancellata e non la guerra.
INCIPIT NR. 1
In ogniconcorso di bellezza, da quelli più importanticome Miss Universo e Miss Mondo, fino a Miss Pollena Trocchia e Miss Castagna di Roccadaspide, le ansiose aspiranti protagoniste dei fascinosi mondi della moda e dello spettacolo, hanno una sola risposta alla domanda su quale sia la cosa più importante di cui la nostra società abbia bisogno: “La pace nel mondo”. Nel film “Miss detective”, Sandra Bullock, agente sotto copertura inserita tra le partecipanti di Miss America per smascherare un complotto, alla domanda rispose ironicamente: «Punizioni più severe per chi viola la libertà condizionata» Al conduttore, che aveva ascoltato con un perenne e compiaciuto sorriso da ebete stampato sul volto una serie infinita di “pace nel mondo”, per poco non venne un infarto.
INCIPIT NR. 2
Articolo 11 della Costituzione: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altriStati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad unordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni rivolte a tale scopo”
«Le città ucraine vengono distrutte, alcune del tutto come Mariupol dove c’erano circa 500 mila persone, come nella vostra Genova. Ora a Mariupol non c’è più niente, solo rovine. Immaginate la vostra Genova completamente bruciata dopo tre settimane di assedio, di bombardamenti, di spari. […] L’obiettivo dei russi è l’Europa, influenzare le vostre vite, avere il controllo della vostra politica e distruggere i vostri valori, democrazia, diritti dell’uomo, libertà. L’Ucraina è il cancello per l’esercito russo, vogliono entrare in Europa». (Discorso di Zelensky al popolo italiano, 22 marzo 2022).
«L’arroganza del governo russo si è scontrata con la dignità del popolo ucraino. La resistenza di Mariupol, Kharkiv, Odessa - e di tutti i luoghi su cui si abbatte la ferocia del presidente Putin - è eroica. […] Gli italiani hanno spalancato leportedellepropriecaseaiprofughiucraini, conquelsenso di accoglienza che è l’orgoglio del nostro Paese. Continueremo a farlo perché davanti all’inciviltà l’Italia non intende girarsi dall’altra parte. […] Nelle scorse settimane è stato sottolineato come il processo di ingresso nell’Unione sia lungo, fatto di riforme necessarie a garantire un’integrazione funzionante. Voglio dire al presidente Zelensky che l’Italia è al fianco dell’Ucraina in questo processo: l’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea». (Risposta del presidente Draghi a Zelensky)
Si dice che i padri costituenti avessero pesato con la bilancia del farmacista ogni parola della Costituzione varata dopo i terribili anni di guerra. È facile crederlo, perché ciascuno di loro portava sulle spalle il peso del ventennio precedente o addirittura, per buona parte, l’arco temporale ancora più sconvolgente che ingloba entrambe le guerre mondiali. È più che legittimo, quindi, quell’articolo undici scritto con la chiara volontà di preservare il Paese da qualsivoglia “tentazione” bellica, da qualsivoglia “volontà di offesa”, trovandosi ancora tra città in macerie e con un popolo allo stremo a causa della sciagurata volontà didominio perpetrata durantegliannidel fascismo. Affermare inmodo perentorio, pertanto, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli”, aveva un alto senso etico in virtù delle “gravi offese” perpetrate a popoli sovrani, che vivevano in pace e
desideravano solo continuare a vivere in pace. Oggi quel concetto viene ripetuto come un mantra dai costituzionalisti da salotto, tra l’altro decontestualizzandolo e privandolo della seconda parte: si dice solo “l’Italia ripudia la guerra” evitando diaggiungere “come strumento di offesa agli altri popoli”, senzarendersiconto che, pronunciata inquelmodo, la frase fa lo stessoeffetto della “pacenel mondo” auspicata dalle miss dei concorsi di bellezza. La si riduce a un concetto banale, quindi, tanto più irritante quanto più anacronistico rispetto alla straordinaria trasformazione sociale registratasi negli ultimidecenni. Irritantesoprattuttoquandoapparechiara la volontàmistificatoria, comerecentemente accaduto con il manifesto dell’Anpi diffuso per la celebrazione del 25 aprile: articolo della Costituzione privo della parte più importante e addirittura la bandiera italiana con le bande colorate orizzontali, in modo da farla assomigliare a quella ungherese. Poco male: massacratida uno stupendo pistolotto di Massimo Gramellini, che ci fa piacere riportare integralmente in nota1 ,si spera abbiano imparato la lezione, per quel che può valere, avendo stufato e non da ora con tesi farlocche e balle sesquipedali che non incantano più nessuno.
Le costituzioni non sono “per sempre” ed è inevitabile che debbano essere adeguate alla mutevolezza dei tempi. L’articolo undici oggi non solo è anacronistico, ma addirittura ridicolo nella sua banalità. Dire che l’Italia ripudia la guerra èpiù scontato deldire che gli “italiani si fermano tutti quando gioca la nazionale di calcio”, perchéqualcuno disicuro nonsipuò fermareper motividi lavoro evisaranno senz’altro migliaia di italiani non attratti dal calcio. In quanto alla possibilità di offendere gli altri popoli - siamo seri - viene da ridere solo a esprimerlo, un concetto simile. Le guerre scoppiano nostro malgrado e difenderci dai folli che le scatenano è un “dovere”, prima ancora che un “diritto”. In Ucraina stanno combattendo e morendo anche per difendere la nostra libertà.
I costituzionalistida salotto (televisivo e non), che conla saccenteria tipica dei babbeie il tonotronfio degli ignoranti che si sentono colti, un giorno sì e l’altro pure ci ammorbano con le loro teorie tese a impedire di prestare soccorso armato al povero popolo ucraino, pertanto, sarebbe il caso di lasciarli a casa senza conferire loro alcuna dignità interlocutoria. Ogni volta che aprono la bocca, infatti, oltre a suscitare contorcimenti intestinali alla parte “ragionevole” del Paese, offendono – cosa molto più grave - quei poveri ucraini che stanno combattendo in condizioni pietose contro un nemico potentissimo e i loro connazionali qui residenti, costretti a subire de visu le oltraggiose masturbazioni mentali, profferite o per subdole speculazioni politiche o per l’assoluta indisponibilità a rinunciare anche a una briciola della propria agiata condizione.
Vi sarà tempo per una sana revisione costituzionale, magari prodromica di una vera riforma dello Stato che investa anche gli altri aspetti zoppicanti, ma ora vi è la casa che brucia e occorre spegnere l’incendio. Si faccia il possibile per assicurare il massimo sostegno al popolo ucraino, pertanto, inviando anche armi che consentano un’adeguata “resistenza” all’offensiva dell’invasore. Ci si adoperi inoltre, con fatti concreti, al di là del pur nobile proposito espresso da Draghi, affinché l’Ucraina entri presto nella UE. E intanto diciamo grazie e mandiamo fasci di rose a Magdalena Andersson e Sanna Marin, premier di Svezia e Finlandia, che in una conferenza stampa congiunta hanno dichiarato che è cambiata la policydi sicurezza inEuropa, chiedendo espressamente l’ingresso dei rispettivi Paese nella NATO. “Nato”, ossia North Atlantic Treaty Organization, organizzazione internazionale per la collaborazione nel settore della DIFESA, perché siamo noi occidentali che dobbiamo temere “le offese militari” degli altri e non certo gli altri a temere le nostre.
1.Nelsacro nome della Resistenza, all’Anpisi è finito per perdonare ditutto. Non solo che ipochi partigiani ancora vivi non vi avessero più da tempo alcun ruolo, ma che l’associazione fosse sempre in prima linea quando si trattava di manifestare contro gli americani. I quali saranno
pure il male assoluto, ma combatterono accanto alle brigate partigiane e le rifornirono di armi nella lotta all’invasore nazista. All’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è stata perdonata anche la neutralità pelosa nella guerra in corso e persino certi arrampicamenti sui muriper distinguere la Resistenza buona da quella cattiva del popolo ucraino. Ma il manifesto del prossimo 25 aprile è imperdonabile e lascia intendere che il problema dell’Anpi sta diventando la sua P. Anzitutto nessun cenno all’invasore Putin, che se non è un fascista, di certo gli assomiglia. Poi una citazione monca dell’articolo 11 della Costituzione, «l’Italia ripudia la guerra», dimenticandosi di aggiungere «come strumento di offesa» e arrivando così all’assurdo di ripudiare anche quella di Liberazione. Ultimo tocco d’artista, la gaffe delle bandiere alle finestre: simil-italiane ma in realtà ungheresi, omaggio inconscio a un altro politico di estrema destra, Orban, amico caro dell’aggressore russo. Alla fine, l’unica cosa azzeccata del manifesto resta la sigla Anpi, purché la si declini in modo più veritiero: Associazione Nazionale Putiniani d’Italia. (Massimo Gramellini, Corriere della Sera, 12 aprile 2022)
“Le parole sono importanti”, gridava a squarciagola Nanni Moretti in un celebre film, mentre schiaffeggiava una giornalista stupidotta. Sono importanti perché a volte feriscono più di una spada e a volte disorientano, confondono le idee, spacciano per vero il falso e viceversa. La libertà di parola è senz’altro una grande conquista per noi occidentali, così scontata, però, che facciamo fatica a comprenderne l’importanza, anche in questi giorni durante i quali, molto più che in passato, prendiamo atto che in Russia è perfino vietato chiamare con il suo vero nome la guerra che si sta combattendo in Ucraina, pena una condanna a quindici anni di carcere. Accade lo stesso in Turchia, per esempio, dove non è lecito definire con il suo vero nome il genocidio praticato daiGiovani Turchi nel 1915, quando sterminarono oltre un milione e mezzo di armeni, e in tanti altri “paesi” (la “p” minuscola non è un refuso) con grande deficit di democrazia, nei quali sono vietate tantissime cose che per noi occidentali costituiscono quotidiana consuetudine.
Proprio in virtù di quanto sopra esposto dovremmo rispettarla meglio, questa libertà di espressione, che consente, per esempio, a poche decine di migliaia di persone (tra le quali chi scrive), di sostenere senza incorrere in alcun reato penale che il cinema europeo sia qualitativamente superiore a quello statunitense e di essere contestualmente “liberamente” sbeffeggiate da milioni di altre persone che, dopo dieci minuti di visione di un film diretto da uno qualsiasi dei grandi registi francesi, incominciano a grattarsi dappertutto in preda al prurito, o dopo soli cinque minuti di un film di Kieslowski, Wajda, Lean, Branagh, Nolan (non potrò mai dimenticare la faccia di alcuni amici dopo la visione di “Interstellar” e l’imbarazzo nel non riuscire a dichiarare che non avevano compreso nulla), Loach, Jordan, Sheridan, Herzog, Lang, Wenders e tanti altri che non cito per non farla troppo lunga, si ingozzano di Aspirina con la testa che scoppia, dedicandosi ad altro.
In Ucraina si sta combattendo una sporca guerra e in Europa si parla, spesso a vanvera, per conciliare l’inconciliabile e sostenere tesiutili solo a non rinunciare nemmeno a una briciola della propria agiata condizione.
Facciamo chiarezza, in ordine alfabetico.
E – Embargo totale subito.
Lo chiede con insistenza il ministro degli Esteri ucraino, Kuleba, ovviamente in piena sintonia con Zelensky. In linea di principio, quando si parla di problematiche internazionali, tendo a evitare di citare le dichiarazioni dei politici nostrani per evitare la confusione tra l’ipocrisia, retaggio delle bieche strategie (tante), e i reali propositi sinceramente espressi (pochi), limitandomi a esporre un pensiero senz’altro soggettivo e quindi opinabile, ma scaturente esclusivamente dai fatti contingenti e libero daicondizionamentidiqualsivoglia natura. Per questo punto,tuttavia, voglio concedermiuna eccezione, citando – a scanso di equivoci – quanto asserito da una persona dalla quale sono distante milioni di anni luce, ritenendo che la sua asserzione risponda a sinceri sentimenti di vicinanza al popolo ucraino e non a biechi calcoli politici, perché di sicuro con la sua frase corre il rischio di perdere più elettori di quanti non possa guadagnarne: «Quante altre Bucha dovremo vedere prima di deciderci a imporre un embargo totale su gas e petrolio russi? Il tempo è scaduto». (Trascrizione in italiano di un tweet pubblicato in inglese dal segretario del PD, Enrico Letta). L’embargo totale va fatto, indipendentemente dalle restrizioni che da esse scaturiranno, perché si può solo definire vigliacco chi faccia perire un intero popolo, per non rinunciare a una briciola del proprio benessere. È appena il caso, quindi, di aggiungere quanto asserito anche da un’altra persona da me ancora più lontana, il presidente Draghi, che pone un interrogativo non meno eloquente: «Volete la pace o l’aria condizionata?»
E gli altri? A coloro che scrivono e fanno scrivere a caratteri cubitali sui giornali che non si può rinunciare a nulla di ciò che ci siamo guadagnati, che non possiamo rinunciare al nostro stile di vita, alle case iper-riscaldate d’inverno e iper-raffreddate d’estate; a coloro che sbeffeggiano nei social Zelensky per l’interpretazione nella fiction recentemente trasmessa da “La7”, invitandolo a non rompere le scatole e ad arrendersi a Putin perché l’estate sta arrivando ed e tempo di pensare alle vacanze senza tanti grattacapi, che cosa si può dire? Nulla. Anche dire semplicemente “vergognatevi”, infatti, significherebbe conferire dignità interlocutoria alle loro parole. Ma le parole sono importanti e vanno utilizzate “cum grano salis”. Per loro basta e avanza il silenzioso disprezzo.
Diciamo sempre le stesse cose? Fino alla nausea, perché è una grande sciocchezza sostenere che la storia non si faccia con i “se e i ma”. Servono entrambi per farci comprendere il senso delle cose, gli erroricommessi, ciò che va fatto. Conun’Europa veramente unita non ci sarebbe mai stata la terribile aggressione russa. E anche con l’attuale Unione, sol che avessimo avuto il coraggio di mostrare i muscoli e maggiore vicinanza all’Ucraina, Putin e i suoi compagni di merenda sarebbero rimasti ancora più scioccati di quanto non sia avvenuto con l’eroica resistenza di un popolo che pensava di sottomettere in tre giorni. Non so quanti lettori seguano le trasmissioni televisive russe e abbiano contezza della valanga di odio riversata sul popolo ucraino con una propaganda spaventosa. È qualcosa di pazzesco: “vi distruggeremo tutti”; “Zelensky è un demonio e si serve delle streghe”; “tutti gli ucraini sono nazisti”; “il popolo russo è accerchiato da un Occidente che deve essere distrutto”, sono solo alcune delle deliranti frasi pronunciate da autorevoli membri del Governo, dal capo della Chiesa russa, da comuni cittadini, mentre i giornalisti commentano in TV le scene dei massacri in Ucraina con l’entusiasmo che da noi si registra durante le partite di calcio. Il tutto condito con una disinformazione spaventosa, che non costituisce una novità. Se tutti avessimo la possibilità di recepire la piena sostanza della volontà egemonica di gran parte della popolazione e non solo di una classe dirigente che non è per niente impazzita, come tanti sostengono, tante posizioni stolte cambierebbero in un attimo. La realtà dei fatti, invece, e ben nota in Svezia e in Finlandia, Paesi che non a caso hanno deciso dirompere gli indugi e chiedere dientrare nella NATO. Non illudiamociche i conti con la Russia si chiuderanno prima dell’estate e cerchiamo di mantenere la barra a dritta, per non essere travolti, più diquanto nonsia già accaduto. Ditempo adisposizione ne resta davvero poco. In quanto a Zelensky, la si smetta di metterlo sotto pressione più di quanto non lo sia già, e di fargli le pulci per ogni cosa che dica con la spocchiosa sicumera di chi parla e scrive standosene comodamente assiso tra le proprie confortevoli mura domestiche, facendo tesoro di quanto recentemente asserito da Sean Penn, un grande uomo, prima ancora che un grande attore, costretto a scappare in fretta e furia dall’Ucraina proprio all’inizio dell’invasione, sospendendo le riprese del documentario che si accingeva a girare: «Mi ha colpito il fatto che ora stavo guardando un ragazzo che sapeva di dover raggiungere il livello più alto di coraggio e leadership umana. Penso che abbia scoperto di essere nato per farlo».
Tanti autorevoli giuristi e pseudo tali si stanno affannando a spiegare che il termine genocidio non è “legalmente utilizzabile”, perché ciò è possibile solo quando sia dimostrabile “l’intenzione di distruggere un gruppo come insieme”. Per questi strambi figuri, quindi, sostenere che l’Ucraina non esiste e non è mai esistita come Stato; definire tutti gli ucraini dei nazisti; massacrare giovani e valorosisoldati inuna guerra diaggressione ingiustificata; stuprare donne; torturaree uccidere decine di migliaia di civili, bambini compresi, non è genocidio. Vadano a quel paese e ci restino a lungo.
Zelensky ha chiesto espressamente un nuovo processo di Norimberga a carico di Putin e dei suoi complici, a livello politico e militare.
Tuttiadire che nonèpossibileperché RussiaeUcraina(allaparidegliUSA) nonhanno mairatificato il trattato che ha istituito la Corte penale internazionale, che punisce i crimini commessi dalle singole persone. Problema più o meno analogo per l’altro Organo che sioccupa deicriminidi guerra, la Corte internazionale di giustizia, i cui verdetti devono essere ratificati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite “all’unanimità”: la Russia, di esso membro permanente, voterebbe “no” vanificando la sentenza.
La Corte penale internazionale, tuttavia, può incriminare Putin, i membri del Governo che lo hanno sostenuto nell’attacco all’Ucraina e i militari che abbiano eseguito gli ordini, emettendo un mandato di cattura internazionale. L’arresto, ovviamente, si renderebbe impossibile, ma tutte le persone destinatarie del provvedimento non potrebbero “mai” recarsi all’estero (eccezion fatta per pochi Paesi) perché finirebbero in manette subito dopo essere scese dall’aereo. Non è cosa da poco perché ciò potrebbe creare i presupposti per un “sommovimento” interno. In ogni caso il gesto avrebbe un alto valore simbolico oltre che piena legittimità giuridica in funzione di tutto ciò che sta accadendo.
P – Papa Francesco.
Corri in Ucraina, Papa Francesco. Corri in fretta Ergiti al cospetto dei carri armati del tiranno, così come fece Leone I al cospetto di Attila, e fermali intimando quel vade retro Satana di antica e nobilissima memoria, mostrando agli invasori la bandiera donata dai bambini da te amorevolmente accolti, amorevoli testimoni di un popolo che non può, non deve e soprattutto non vuole diventare vassallo di chi ha spostato all'indietro le lancette della Storia.
Mifermo qui, saltando moltealtre letteredell’alfabeto nonmeno importanti, ma molto piùcomplicate da far digerire, perché sarebbe già grasso che cola riuscire a far accettare quelle succitate.
Nessuno può prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi, perché mai come in questo periodo l’imponderabile trionfa su ogni possibile ragionamento razionale. La speranza di pace e di serena armonia tra i popoli, che anima tutte le persone sensate a prescindere dalle rispettive idee politiche, cozza con troppi elementi contrastanti affinché possa affermarsi al di là di un sentito e legittimo desiderio.
Senza perdere tempo a recriminare su ciò che nonè stato fatto inpassato, pertanto, rispettando quanto suggerito sin dal 1972 dagli scienziati del MIT nel famoso rapporto sui limiti dello sviluppo, argomento tra l’altro ampiamentetrattato inpassato in questo magazine, cerchiamo di aprire gli occhi su ciò che va fatto con urgenza per prevenire quei tristi scenari che bussano alla porta in virtù dei colpi di testa di chi, con spietata protervia, cerca di far riemergere dalle fogne della Storia quel triste passato che erroneamente si riteneva “irripetibile”: come giustamente osservava Gramsci, infatti, la Storia è maestra ma non ha allievi.
Il Governo è alle prese con le decisioni da assumere in previsione del prossimo inverno e, all’atto della stesura di questo articolo, sono disponibili solo le misure allo studio nel caso in cui dovesse venire meno il gas della Russia, nostro principale fornitore con i suoi circa trenta miliardi di metri cubi annui: incremento della produzione dei giacimenti petroliferi nazionali; interruzione per alcune ore al giorno delle forniture di gas alle industrie energivore (circa 3.000 imprese che, per la loro attività, necessitano di altissimo consumo di energia elettrica, N.d.R.); incremento del gas naturale liquefatto; riduzione dell’illuminazione pubblica; riduzione di un grado della temperatura nelle case e negli uffici; aumento della produzione di gas nelle sei centrali a carbone ancora in attività (la cui chiusura era prevista entro il 2025, essendo fortemente inquinanti, N.d.R ) A ciò vanno aggiunte le iniziative protese ad ottenere un incremento delle forniture da altri Paesi: Algeria, Congo, Angola, Azerbaigian.
Chi governa non deve assecondare gli umori delle masse ma agire in scienza e coscienza.
Le misure allo studio del Governo forse possono rispondere al concetto “occorre fare di necessità virtù”, ma sono pienamente valide solo per i punti che prevedono la riduzione dell’illuminazione pubblica e quella deigradi nelle abitazionie negliuffici. Nelpiano siparla diungrado, senza ulteriori indicazioni: in realtà, per quanto riguarda il riscaldamento, si potrebbero tranquillamente ridurre almeno tre gradi, consentendo, quindi, sei miliardi di risparmio e non due; non si parla, poi, dell’aria condizionata durante i mesi estivi, che consentirebbe risparmi molto più consistenti sol che si rinunciasse all’abitudine ditrasformare case e uffici in vere celle frigorifere, “aumentando” dialmeno 3-4 gradi la temperatura interna, o rinunciando proprio ad accendere il condizionatore in quelle zone dove il clima permetta serenamente di convivere con la temperatura esterna. Le altre misure, poi, servono solo a creare più problemi di quelli che risolvono. Molte aziende (per esempio le fornaci dei vetrai) devono restare accese 24 ore su 24, 365 giorni l’anno: troppo lunghe e costose le procedure per spegnerle e riaccenderle. Il GNL inevitabilmente ha costi più alti del gas che arriva attraverso i gasdotti, viaggiando precipuamente via mare e necessitando di essere “rigassificato”; inutile ribadire più di tanto, poi, quanto male possano produrre le centrali a carbone, dopo tutte le battaglie fatte dagli ambientalisti negli ultimi decenni per chiuderle definitivamente.
Ben vengano, ovviamente, gli incrementi delle forniture da altri Paesi con i quali già si intrattengono molteplici rapporti commerciali, anche se, sotto il profilo “etico”, non va sottaciuto il fatto che ciò ci obbliga a intessere rapporti con Stati che manifestano un grave deficit di civiltà, di democrazia, di rispetto dei diritti umani e di propensione alla violazione dei trattati internazionali. Pensiamo, per esempio, a come debba sentirsi la corposa comunità armena che vive in Italia per gli stretti legami
intessuti con l’Azerbaigian e fermiamoci qui perché l’argomento è scivoloso e si configura come una complessa e inestricabile matassa per le implicazioni incrociate che investono molti altri Paesi.
L’ottavo punto.
Ai sette punti allo studio del Governo, pertanto, se ne aggiunga un ottavo, che da solo risolverebbe, se non tutti, la stragrande maggioranza dei problemi: proroga sine die della legge che consente di adeguare le abitazioni – tutte le abitazioni del territorio – alle moderne risorse tecnologiche che prevedono la drastica riduzione, o addirittura il pieno annullamento dei costi energetici, grazie allo sfruttamento dell’energia solare e all’isolamento termico. In pratica si tratta di rendere pienamente fruibile a tutti i cittadini quanto previsto dalle attuali norme che disciplinano il cosiddetto “Ecobonus 110%” che, finora, è stato utile precipuamente agli speculatori capaci di approfittare della legge per produrre truffe.
La recente revisione normativa ha consentito senz’altro di chiarire molti aspetti e ridurre drasticamente la possibilità di agire in modo fraudolento, ma i problemi contingenti, determinati sia dalla tempistica, che penalizza soprattutto le singole abitazioni, sia dall’incremento dei prezzi delle materie prime, sta impedendo a molti cittadini di beneficiare del provvedimento. Qualcosa, in realtà, sembra muoversi positivamente in tal senso e può darsi che qualche decisione saggia sopraggiunga dopo che questo articolo vada in stampa. Aspettiamo fiduciosi.
A volte basta un pizzico di buon senso per individuare delle soluzioni ad hoc per i problemi e allungare i tempi per la fruizione dell’ecobonus 110% è uno di questi. Costringere alla chiusura centinaia di aziende che non possono permettersi di rinunciare a un briciolo dell’energia elettrica quotidianamente utilizzata per la propria attività, favorendo in tal modo un aumento spaventoso della disoccupazione, con tutto ciò che ne consegue, e contribuire all’inquinamento ambientale con il ripristino delle centrali a carbone, oltremodo nocive per la salute dei cittadini per l’alta immissione negli ecosistemi di elementi cancerogeni (mercurio, cromo, arsenico, ossidi di zolfo, polveri fini e ultrafini), più che una grossolana scemenza, è un vero crimine contro l’umanità.
Lo slogan scelto come titolo dell’articolo non è più di moda sia nell’Irlanda libera sia in quella sotto dominio inglese. Già da alcuni anni è stato sostituito da Time for real change ed è con esso che il Sinn Féin ha vinto le recenti elezioni nell’Irlanda del Nord, per la prima volta nella sua storia. Il vecchio slogan, ispirato alla canzone composta nel 1840 da Thomas Osborne Davis, ha accompagnato le battaglie combattute dagli irlandesi desiderosi di liberarsi delle catene inglesi e, dal 1921, quelle combattute dagli indipendentistidelNord, separatidalla madre patria in virtù deltrattato anglo-irlandese. Spesso sono state le ultime parole pronunciate dai martiri immolatisi inseguendo un sogno. La stupenda canzone, nella parte iniziale, inneggia ai trecento spartani delle Termopili e ai tre romani che fermarono gli Etruschi sul ponte Sublicio (Orazio Coclite, Spurio Larcio e Tito Erminio), quale esempio metaforico per un presupposto di libertà: «Quando il fuoco dell’infanzia era nel mio sangue, ho letto di antichi uomini liberi, che coraggiosamente restarono in piedi (resistettero combattendo N.d.R.) per laGreciaeper Roma: trecento uominietreuomini. E poiho pregato affinché potessi vedere le nostre catene spezzarsi in due e l’Irlanda, antica terra, diventare ancora una volta una nazione».
(Per i più curiosi che vorranno approfondire: non date retta alle interpretazioni alternative sui tre romani, da taluni fantasiosi storici associati a Bruto, Cassio e Decimo Bruto, che, con l’assassinio di Cesare, avrebbero inteso preservare Roma dalla tirannia. A prescindere dall’erronea e ingiusta “promozione etica” dei tre congiurati – e di riflesso dei loro complici che a tutto pensavano fuorché al bene di Roma - va precisato che Osborne trasse spunto dai “Canti di Roma antica”, scritti dallo storico e politico inglese Thomas Babington Macaulay. Il primo canto della corposa opera, infattimolto bella, tra l’altro, ancorché misconosciuta in Italia – è dedicato proprio ad Orazio Coclite). La canzone, oggigiorno, è cantata prevalentemente dalle persone anziane, dai vecchi e gloriosi ex combattenti dell’Irish Republican Army, in bar e pub poco o per nulla frequentati dai giovani e dai giovanissimi nati un po’ prima e dopo “l’accordo del venerdì santo” (10 aprile 1998), che mise fine ai terribili anni dei troubles. Nelle nuove generazioni l’afflato romantico dell’indipendentismo si sta lentamente spegnendo, soppiantato da altre problematiche, sapientemente sfruttate da Michelle O’Neillper vincere leelezioni. Per correttezzavadetto che labravaerededell’ultimo eroedelvecchio Sinn Féin, Gerry Adams, non ha mai mancato di ribadire l’importanza del ricongiungimento con i fratelli dell’Éire, puntando però in modo più incisivo sul malcontento generale per le difficoltà economiche e sui tanti problemi insorti dopo la Brexit. Onore al merito, quindi, per la partita abilmente giocata e vinta, ma questo articolo è dedicato soprattutto a “loro”, a quegli irlandesi con la pelle ruvida e il corpo segnato da mille cicatrici, che ancora saltano dal letto al primo rumore e affogano nei boccali di Guinnes i ricordi di un periodo terribile, durante il quale vivevano ogni giorno senza sapere se avrebbero visto l’alba di quello successivo. Unperiodo che ha vistotantidi loro cadere sotto il fuoco deglioccupanti e subire l’ancora più dolorosa repressione perpetrata dai connazionali della Royal Ulster Constabulary, irlandesi al servizio di Sua Maestà che nonavevano alcuna pietà nel trattare come bestie destinate al macello altri irlandesi.
Il turista che visita l’Irlanda resta sempre incantato dalla sua bellezza. Spiagge sabbiose, scogliere a picco sul mare, antiche fortezze, splendiditramonti, una natura variegata che incornicia vastiterritori, sono elementi già sufficienti a suscitare meraviglia, facendo insorgere il desiderio di tornarvi presto. I più acculturati possono deliziarsi percorrendo i sentieri dove la storia ha impresso fortemente il proprio sigillo e visitando i luoghi cari ai tanti artisti e letterati che, con le loro opere, hanno
conquistato fama planetaria Solo chi riesca a entrare nello spirito celtico-gaelico, tuttavia, può sublimare al meglio l’incontro con una terra che, ancora oggi, preserva quel retaggio che si perde nella notte dei tempi, immune dalla contaminazione inferta dai romani ai popoli, anche limitrofi, assoggettati al loro dominio. Occorrono anni per penetrare nell’universo dei Muintir, dei Parthóloin, dei Clanna Nemid, dei Fir Bolg, dei Túatha Dé Danann, dei Maic Míled e dei Gaeli; studiare le divinità celtiche; le festività diBeltaine, Imbolc, Lughnasad, Samhain. Occorrono anniper assimilare l’essenza della vecchia Irlanda, ma senza questo percorso culturale si perde davvero molto. Chi dovesse iniziare il viaggio, invece, con calma e pazienza per non smarrirsi nel fantastico intreccio di storia e leggenda, mito e bellezza, suggestione e magia, non riuscirà più a staccarsi da quel mondo e correrà ogni volta che gli sarà possibile lì dove il passato si fonde nel presente e viceversa. Lasciando ai più volenterosi il compito di viaggiare a ritroso nel Tempo, pertanto, per questo saggio partiamo dal 1167, anno in cui un gruppo di Normanni, provenienti dal Galles, iniziò ad invadere l’isola, scombussolando il sistema gaelico che regnava sin dalla preistoria. Quattro anni dopo Enrico II sbarcò con una grande flotta a Waterford, diventando il primo re d'Inghilterra a mettere piede sul suolo irlandese, con il pieno assenso del papa Alessandro III. Senza addentrarci nei complessi intrecci dinastici, va detto che i primi contatti tra Inglesi e Gaeli favorirono un processo di assimilazione ben gradito dalle popolazioni autoctone in virtù dei vantaggi da esso scaturiti, soprattutto sotto il profilo economico. I sovrani, invece, si opposero agli approcci amichevoli, ritenendo che il loro compito fosse solo quello di “civilizzare un popolo rozzo e barbaro”, secondo la definizione coniata qualche secolo dopo da Elisabetta I, che regnò dal 1558 al 1603. Nel 1367, per stroncare il forte legame tra i coloni inglesi e gli irlandesi, la Corona varò lo Statuto di Kilkenny, pesantemente discriminatorio1 . Guai più seri insorsero con l’avvento al potere di Enrico VIII. Stanco dei poco piacevoli bunga bunga con l’insipida Caterina d’Aragona e preoccupato per la mancata nascita di un erede, il capriccioso monarca si dedicò anima e corpo a quella grandissima zoccola di Anna Bolena, provocando addirittura uno scisma con la Chiesa di Roma pur di legittimare il matrimonio contrastato flebilmente dal papa Clemente VII e incisivamente dall’imperatore Carlo V, figlio della sorella di Caterina In Irlanda, i dettami della Chiesa Anglicana furono imposti a tutti i sudditi, generando sconcerto tanto negli irlandesi con retaggio gaelico quanto nei vecchi inglesi cattolici, che di convertirsi non avevano proprio voglia. I funzionari inglesi riuscivano a malapena a far rispettare le disposizioni della Corona e pertanto, tra il 1608 e il 1610, per creare migliori condizioni di controllo e di condizionamento, fu avviato quel processo passato alla storia col nome di “Plantation”: sistematico trasferimento di coloni inglesi e scozzesi fedeli alla Corona (e quindi protestanti), che si impossessarono delle terre più fertili nelle Contee del Nord (Tyrone, Donegal, Derry, Armagh, Cavan e Fermanagh), costringendo gran parte della popolazione a trasferirsi nell’entroterra. Nel 1641 scoppiò una rivolta, organizzata dagli irlandesi gaelici e dai vecchi inglesi di religione cattolica, al fine di recuperare le terre espropriate. È con questi scontri che ebbe inizio la secolare divisione tra le comunità cattoliche e protestanti.
In quegli anni, in Inghilterra, acquisiva crescente popolarità un ricco possidente, Oliver Cromwell, convinto calvinista e seguace di quella corrente puritana che si opponeva tanto alla Chiesa Cattolica (che, a suo parere, negava il primato della Bibbia a favore di quello del papa e tiranneggiava i protestanti in tutta Europa) quanto a quella Anglicana (che per mano di Carlo I “inciuciava” con la Chiesa Cattolica, adottandone alcune regole quali l’investitura dei vescovi e l’introduzione dei libri di preghiere, invece di affidarsi esclusivamente alla Bibbia).Erafermamenteconvinto che lasalvezza eterna fosse alla portata di tutti coloro che seguivano fedelmente gli insegnamenti della Bibbia, secondo quanto sancito dal “Provvidenzialismo”, dottrina filosofica che prevedeva l’intervento diretto di Dio negli affari del mondo terreno, condizionandone gli eventi grazie alle “persone elette” da lui scelte. Manco a dirlo, Cromwell ritenne sin da giovinetto di essere uno dei prescelti e improntò tutta l’attività politica, militare e religiosa alla suggestione di tale convincimento. La monarchia
incarnata da un assolutista come Carlo I, fervente sostenitore del diritto divino reale, era per lui intollerabile e pertanto fu tra gli artefici della guerra civile, che culminò con la spettacolare decapitazione del re, nel 1649. Istituito il Commonwealth of England (Repubblica Inglese), si preoccupò subito disedare gli scontri inIrlanda, riprendendo il pieno controllo dell’isola con i metodi più classici che la storia ci tramanda da sempre, purtroppo tristemente resi attuali dalla terribile invasione dell’Ucraina: massacro indiscriminato di circa cinquecentomila irlandesi (un quarto della popolazione totale); esproprio delle terre ai legittimi proprietari per distribuirle ai soldati e ai nuovi coloni; promulgazione dell’Act of Settlement, che prevedeva la deportazione degli irlandesi a ovest del fiume Shannon, pena morte certa in caso di rifiuto. (Per intenderci: il fiume Shannon divide l’Irlanda da Nord a Sud e la zona occidentale, all’epoca, era alquanto desolata e povera di risorse). Nell’eterna lotta tra bene e male l’umanità non è mai stata in grado di fermare preventivamente i tiranni di turno e impedire le terribili guerre, i massacri, i genocidi da loro praticati con una ferocia pienamente comprensibile solo dalle vittime, ma dopo immani sofferenze è sempre riuscita a far sì che essi non terminassero serenamente il cammino terreno nel proprio letto, tranne sporadiche eccezioni che non inficiano la consistenza dell’assunto. Una di queste eccezioni riguarda proprio Cromwell, che morì nel 1658, a 59 anni, per cause naturali, anche se un diplomatico veneziano che lo conosceva bene, medico, asserì che la morte fu dovuta alle cure non adeguate praticate dai medici personali, chissà se volontariamente o per incapacità. Carlo II, comunque, dopo aver riconquistato il trono, non pago della semplice morte, il 30 gennaio 1661, esattamente dodici anni dopo la decapitazione del padre, fece riesumare la salma e organizzò uno spettacolo molto più macabro e truculento: impiccagione, sventramento e squartamento! Con Carlo II e il fratello Giacomo II, che glisuccesse altrono, entrambi cattolici, in Irlanda siregistrò un periodo di relativa tranquillità e di pieno riconoscimento della monarchia.
La “Gloriosa rivoluzione” (o Seconda rivoluzione inglese), però, sancì l’avvento al potere di Guglielmo III d’Orange, che depose lo zio e suocero (Giacomo era il fratello della madre, Maria Enrichetta Stuart e padre di Maria, che a quindici anni andò sposa del cugino, dopo aver pianto per circa due giorni, essendo fermamente contraria alle nozze) e lo mandò in esilio. Divenuto re di un Paese sostanzialmente diverso dal suo, non riuscì mai a comprenderne le peculiarità che avrebbero dovuto consentirgli di governarlo con saggezza. Non gli piaceva nemmeno il clima e quindi durante l’estate se ne scappava di gran lena nell’amata terra natia, un po’ per sollazzarsi e un po’ per guidare le truppe in varie battaglie, lasciando alla sorella Maria il compito di gestire gli affari della Corona. Nel 1689, accettando la proposta congiunta di tutti i leader parlamentari, promulgò il documento considerato da molti storici, chissà perché, tra i più importanti della storia inglese o addirittura il cardine del “sistema Westminster”: la “Dichiarazione dei diritti”. Di esso si dice che indirizza il sistema costituzionale verso la tutela delle libertà dei cittadini, che possono vedere nel Parlamento un baluardo a difesa dei propri diritti. Che belle parole! Peccato che fossero inficiate dalla norma che, di fatto, ne incarna la vera essenza: a nessun cattolico era consentito ascendere al trono e sposare un monarca inglese!
L’Irlanda era rimasta fedele a re Giacomo, rifugiatosi in Francia, ospite del cugino Luigi XIV che, per alleviargli il dolore dell’esilio, gli mise a disposizione una struttura residenziale all inclusive in un’amena cittadina collinare dalla quale si gode la vista di Parigi e di un lungo tratto della Senna, più 50.000 lire annue per le spesucce personali (86.500 euro attuali, con un valore d’acquisto, però, almeno triplo). Va da sé che la struttura era a misura di “re”: ottomila metriquadrati; cinquantacinque appartamenti; un salone da ballo lungo quanto un campo di calcio; sette cappelle disseminate in vari posti, in modo da trovarne sempre una in caso di imbellente bisogno di quattro chiacchiere col Padreterno; una prigione; una dependance chiamata “castello nuovo”; una terrazza-giardino lunga 2400 metri bordata ditigli; giardino inglese e giardino francese; grotte congiochi d’acqua e scalinate che degradavano direttamente sulla Senna; una nutrita schiera di varia servitù, per ogni esigenza.
(Perdonate la “divagazione turistica”, inserita sia per spezzare un po’ la noiosa cronistoria di tristi eventi sia per indurre chi non l’avesse ancora fatto a visitare Saint-Germain-en Laye: dista solo una ventina di chilometri da Parigi e recarsi in vacanza nella capitale francese, magari perdendo molto tempo a “Euro Disney” , senza programmare una tappa nella cittadina con annesso castello che ospita il Museo delle Antichità celtiche e gallo-romane - oggi scioccamente definito Museo delle antichità nazionali - e il Museo di Archeologia Nazionale, è un vero delitto). Splendore dei luoghi e agi, però, non fecero perdere a Giacomo la speranza di riconquistare il trono e così, con l’aiuto del cugino, che gli fornì un discreto esercito, nel marzo 1689 sbarcò in Irlanda, accolto da una folla festante. La controffensiva inglese non si fece attendere, ma si trasformò in una clamorosa disfatta: tutte le roccaforti sull’isola furono occupate senza eccessivi sforzi e il tentativo di sbarco effettuato dalle truppe inglesi fu bloccato sulla battigia. Guglielmo s’incazzò di brutto per le batoste e l’anno successivo guidò personalmente un nuovo attacco, giungendo a Belfast con trecento navi e oltre ventimila soldati di varie nazionalità, ai quali si aggiunsero quindicimila guglielmiti locali. Lo scontro avvenne sulle sponde del fiume Boyne, porta d’entrata di Dublino, dove era schierato l’esercito di Giacomo, inferiore per numero, armamenti, capacità e determinazione bellica: le truppe francesi non è che avessero tanta voglia di morire per “Dublino”; quelle locali, composte di volontari mal addestrati, non potevano reggere il confronto con veri soldati e se la svignarono non appena si resero conto che non c’era partita. A Giacomo non restò che ritirarsi con lo stato maggiore nel bel castello francese, perdendo però il rispetto dei sudditi irlandesi, che si sentirono abbandonati e continuarono una flebile resistenza a Limerik, presto soffocata da un abile condottiero, il I duca di Marlborough, John, figlio di un certo Winston Churchill, capostipite di una famiglia che avrebbe avuto un ruolo importante in tante successive vicende della storia inglese. La guerra fra giacobiti e guglielmitipotevaoramaiconsiderarsiatuttiglieffetticonclusae il3ottobre1691 fu siglato iltrattato di Limerick, in virtù del quale agli sconfitti furono offerte due opzioni: arruolarsi nell’esercito orangista (non furono pochi coloro che decisero in tal senso); raggiungere il loro ex sovrano in esilio e arruolarsi nella Brigata Irlandese al servizio del Re di Francia, opzione scelta dalla maggioranza del disciolto esercito giacobita, che si trasferì in Francia con mogli e figli al seguito. “Volo delle oche selvatiche” fu definito questo triste abbandono del suolo natio, utilizzato per tutti gli irlandesi che, fino al XVIII secolo, emigrarono per arruolarsi in vari eserciti continentali. ASaint German, intanto, Giacomo trascorreva le giornatetrafeste, balli e ricevimenti. Dopo la morte della prima moglie (mamma delle future regine Maria II Stuart e Anna e di altri sei figli prematuramente deceduti) aveva sposato la bella quindicenne Maria Beatrice d’Este, dalla quale ebbe Giacomo nel 1688 e Luisa Maria, nata proprio durante l’esilio, ne 1692 Re Sole, nel 1696, tentò diorganizzare un bel complotto per assassinare Guglielmo e ridargli il trono, ma il progetto naufragò sul nascere. Nello stesso anno si rese disponibile il trono della Polonia e subito il re francese, estremamente generoso con lo sfortunato cugino, glielo offrì su un piatto d’argento, ottenendo però un cortese rifiuto perché Giacomo ancora sperava di riprendersi la corona inglese.
In Irlanda, intanto, le cose si misero davvero male per i cattolici, vessati ed espropriati di tutti i beni Le famigerate “Penal Laws” contemplavano una serie infinita di divieti in campo sociale, civile, politico, amministrativo. Fu anche vietata, per esempio, l’iscrizione al prestigioso Trinity College di Dublino.
Paradossalmente furono i protestanti a formulare le prime richieste nazionaliste, preoccupati dell’eccessiva ingerenza inglese, soprattutto in campo economico e commerciale. Nel 1782 ottennero - per la verità senza eccessivi sforzi – una “Dichiarazione di Indipendenza” che impediva al Parlamento inglese di legiferare sulle questioni prettamente irlandesi. Un gruppo di intellettuali, per
lo più liberali protestanti ispirati dalle rivoluzioni americana e francese, fondò la “Society of United Irishmen”, con lo scopo di favorire una riforma parlamentare e la creazione di una nazione irlandese, capace di superare le divisioni tra cattolici e protestanti. L’associazione si diffuse rapidamente e approfittò dello scoppio della guerratra Francia e Inghilterra, nel1793, per ostacolare in modo ancora più incisivo il dominio britannico. Nel 1798 i membri dell’associazione organizzarono addirittura una rivolta, che però fu stroncatadalle forze governative, messe in allerta daalcuni informatori, anche cattolici, che mal digerivano di essere sottomessi al potere politico di una minoranza protestante, in caso di loro vittoria. Il Parlamento irlandese fu abolito e tutto ritornò come prima. I protestanti, pertanto, si andarono via via convincendo della necessità di uno stretto legame con la Gran Bretagna, beneficiando dei vantaggi offerti dalla comune fede religiosa. I cattolici, che avevano ottenuto il diritto di voto senza però poter accedere alle cariche pubbliche, maturarono un forte risentimento che sfociò nell’aperta volontà di creare reali presupposti di indipendenza.
Nel1823 emerse lagigantesca figuradiDanielO’Connel, detto “il liberatoreel’emancipatore”, padre ufficiale della lotta per l’indipendentismo irlandese. Eletto nel 1828 alla Camera dei Comuni, rifiutò il seggio per non giurare fedeltà a re Giorgio IV, ma la sua determinazione indusse il Governo inglese ad abolire la legge che impediva l’elettorato passivo ai cattolici, per timore di sommosse sanguinose. La terribile carestia che colpì il Paese tra il 1845 e il 1849, però, determinò una forte battuta d’arresto alla sua attività politica. I cattolici non erano proprietari delle terre che coltivavano e vendevano la quasi totalità del raccolto per pagare gli esosi canoni di affitto. L’unico alimento era costituito dalle patate, che marcirono nei campi a causa della peronospora. La carestia provocò diverse epidemie (tifo, dissenteria, scorbuto) e decine di migliaia di persone morirono di stenti e di fame per la mancanza di cure. Le strade erano lastricate di cadaveri, alcuni dei quali furono trovati con l’erba in bocca, utilizzata nell’estremo tentativo di alimentarsi con qualcosa. Sul processo migratorio verso gli USA che scaturì da questo disastro e sulle inadeguate (quando non apertamente vessatorie) azioni della monarchia per venire incontro alle necessità dei sudditi irlandesi esiste una florida e valida letteratura, alla quale si fa riferimento per amor di sintesi. Qui basti dire che il diffuso senso di abbandono funsedaulterioresuggello per la spinta indipendentista, grazieancheall’aiuto deicattolici emigratinegliUSA, dovebenpresto conquistaronoposizioniagiateericchezzaeconomica. Nel1849, per sfuggire alla carestia, emigrò negli USA anche il figlio di un contadino, stabilendosi nella zona orientale di Boston, insieme con tanti connazionali: si chiamava Patrick Kennedy. Il famoso Primo ministro Gladstone (proprio quello che definì i Borbone di Napoli “La negazione di Dio”) si dimostrò favorevole a concedere una sorta di autodeterminazione politica (Home Rule), ma il progetto fu fortemente osteggiato dai protestanti, contrari a spezzare il solido legame con la Gran Bretagna. Il tentativo di portare pace nell’isola, pertanto, determinò l’effetto opposto, dando vita al “movimento unionista”, che si prefiggeva di contrastare con ogni mezzo possibile qualsivoglia rivendicazione avanzata dai cattolici.
Nei primi anni del XX secolo, quindi, si crearono le premesse per scontri sempre più accesi e sanguinosi e incominciarono a entrare nella storia quei personaggi leggendari che poi, più di tutti gli altri, avrebbero incarnato l’essenza della lotta indipendentista. James Connolly fondò L’Irish Republican Socialist Party; Arthur Griffith fondò il giornale “United Irishman”, che adottò lo slogan “Sinn Féin” (Solo Noi). Ecco nascere, quindi, il partito simbolo della causa indipendentista, che avrà un ruolo fondamentale in tutta la storia irlandese, fino ai giorni nostri. Allo scoppio della Prima guerra mondiale circa centomila nazionalisti si arruolarono nell’esercito britannico con la speranza di ottenere finalmente la ratifica del nuovo Home Rule, approvato dal Parlamento britannico nel maggio 1914. Un gruppo minoritario, però, composto prevalentemente di
cattolici, si rifiutò di scendere a patti col Governo inglese e diede vita all’Irish Republican Army, passata alla storia con l’acronimo “I.R.A”.
Il 24 aprile 1916, un gruppo di patrioti (iniziamo subito a utilizzare il termine “patrioti” per definire i combattenti repubblicani, in modo da smontare sul nascere il persistente equivoco insorto più per ignoranza che per malafede - che comunque non manca - in virtù del quale li si definisce “terroristi”. Con lo stesso metro di giudizio dovremmo chiamare terroristi anche i nostri nonni che hanno combattuto contro l’Austria, per liberare i territori irredenti), guidati da James Connolly e dal poeta Padraig Pearse, organizzò una rivolta passata alla storia come “Insurrezione di Pasqua” (Easter Rising), riuscendo in un primo tempo a proclamare la nascita della Repubblica d’Irlanda. Le forze di sicurezza, però, supportate dagli ingenti rinforzi giunti da Londra, sedarono la rivolta e arrestarono quasi tutti i principali protagonisti, giustiziandone quindici, tra i quali i due capi. James Connolly era rimasto gravemente ferito durante gli scontri e non poteva reggersi in piedi, ma senza alcuna pietà gli inglesi lo fucilarono su una sedia.
Nel corso della rivolta emerse imponente, gigantesca, nobile, austera, la figura del più grande condottiero irlandese, Michael Collins, coraggioso e puro, combattente nato e per nulla predisposto agli intrighi della politica; insieme con luiacquisìconsistente fama anche l’amico Eamon De Valera, che invece nel mare della politica navigava con grande abilità. Vedremo più avanti come il confronto tra questi due personaggi, che fino a un certo punto condivisero gioie e dolori, avrebbe condizionato la storia del Paese.
Nel 1918 il Sinn Féin, guidato da De Valera, vinse nettamente le elezioni ottenendo settantatré seggi contro i ventisei degli unionisti. I deputati si rifiutarono di occupare i seggi nel Parlamento inglese e proclamarono a Dublino la nascita della Repubblica Irlandese. L’anno successivo si tenne a Parigi la Conferenza di pace, organizzata dai vincitori della Prima guerra mondiale. De Valera sperava nel sostegno del presidente statunitense Wilson e restò fortemente deluso quando Seán Thomas O'Kelly, presidente del Parlamento, inviato a Parigi come delegato dell’Irlanda, gli riferì del disinteresse generale per la causa indipendentista. Nondimeno decise di recarsi personalmente a Washington, confidando sull’aiuto dei tanti emigrati affinché si creassero le premesse per essere ricevuto da Wilson come “presidente” dell’Irlanda libera. Speranza vana anche questa, perché gli stretti legami con la Corona inglese non consentirono a Wilson di riceverlo, non essendo l’Irlanda uno Stato riconosciuto dalla comunità internazionale. Michael Collins, intanto, era fermamente convinto che l’indipendenza si sarebbe conquistata solo combattendo e riorganizzò gli “Irish Volunteers”, addestrandoli alla guerriglia. La Gran Bretagna rafforzò la presenza militare nell’isola inviando i famigerati “Black and Tans”, così chiamati per il colore della loro uniforme, che ricevettero l’ordine di reprimere le istanze repubblicane senza tanti riguardi. Gli scontritra le due fazioni sitrasformarono in una vera guerra e ancor più emerse la grande personalità di Michael Collins, che divenne l’idolo del popolo repubblicano desideroso di staccarsi dall’Inghilterra. Come la storia insegna, tuttavia, i grandi uomini alimentano gelosia e invidia non tanto tra i nemici quanto “tra gli amici”, nella fattispecie frustrati per la debordante capacità attrattiva delcondottiero,che lioffuscavarendendoliquasideinanialcospetto diungigante.EamonDeValera, la cui furbizia e subdola propensione all’autoreferenzialità è stata compiutamente sviscerata negli studi che riguardano la storia irlandese, restò a godersi la bella vita statunitense per oltre un anno, lasciando che Collins se la vedesse da solo con gli inglesi, rischiando la vita ogni giorno. Anche il mediocre ministro della Difesa, Cathal Brugha, mal sopportava Collins perché il suo ruolo, di fatto, lo portava ad essere il capo ufficiale dell’IRA senza che, però, nessuno lo prendesse in considerazione: in ogni circostanza tutti obbedivano solo alle direttive del condottiero. Gli scontri, sempre più sanguinosi, indussero ilParlamento delRegno Unito aemanare, nel1920, il “Government of Ireland Act”, ossia il quarto “Home rule”, che prevedeva la divisione dell’Irlanda e due sistemi di autogoverno: le sei contee nord-orientali avrebbero dovuto formare “l’Irlanda del Nord”, le restanti
contee “l’Irlanda del Sud”. Entrambi i territori, però, sarebbero rimasti parti integranti del Regno Unito, cosa per nulla gradita nella parte meridionale dell’isola, che determinò l’immediata ripresa dei combattimenti.
Nel 1921, pertanto, gli inglesi proposero una tregua e un vertice per discutere come risolvere la questione irlandese. Momento molto delicato, che avrebbe condizionato la storia futura fino ai giorni nostri e chissà per quanto altro tempo ancora. De Valera si era fatto cambiare il ruolo di “capo del Governo” in quello di “presidente della Repubblica”, per mettersi sullo stesso livello degli altri capi di Stato del Pianeta, nonostante il mancato riconoscimento. Politicamente era da tutti considerato –anche da Collins – l’uomo ideale per le trattative diplomatiche: intelligenza, abilità dialettica e cultura non gli mancavano certo. Nonsolo per Collins, quindi, che nel Governo ricopriva il ruolo di ministro delle Finanze, ma per tutti gli altri ministri e deputati era scontato che sarebbe andato lui a Londra per il vertice anglo-irlandese. Con una mossa a sorpresa, invece, De Valera rifiutò l’incarico, asserendo che, siccome al negoziato non avrebbe partecipato re Giorgio V, non poteva partecipare nemmeno lui, suo “omologo” in virtù del ruolo di presidente della Repubblica, ribadiamolo: auto conferitosi. Giustificazione subdola e barbina, come meglio trasparirà in seguito. In sua vece scelse proprio Michael Collins, affiancandolo ad Arthur Griffith, ministro degli esteri, e ad altri tre deputati che fungevano precipuamente da accompagnatori Collins cercò di opporsi con fermezza alla designazione: era un soldato, lui; sapeva come combattereunaguerra;sapevacome motivare ilpopolo, ma nonsi sentiva ingrado digestiretrattative così delicate con scaltri ed esperti politicanti De Valera, però, fu irremovibile e quindi dovette obbedire.
La delegazione inglese era guidata dal Primo Ministro David Lloyd George, uomo di grande esperienza e artefice, insieme con Wilson e Clemenceau, del nuovo assetto mondiale stabilito dal Trattato di Parigi. La sua squadra comprendeva, insieme con figure meno influenti ma di grande peso politico-sociale, Austen Chamberlain (ventennale esperienza politica, ex segretario di Stato in India, ministro del Tesoro, presidente della Camera dei Comuni, cugino del futuro primo Ministro Neville Chamberlain) e un certo Winston Churchill, del quale non serve scrivere nulla. Non occorre molta fantasia per capire come si svolsero i negoziati e come i rappresentanti inglesi ebbero facile gioco con avversari sicuramente più nobili d’animo, ma non certo alla loro altezza sul piano meramente politico-strategico. Collins, che di fatto condusse da solo la trattativa nonostante il capo delegazione fosse il ministro degli Esteri, si rese conto – nonera certo stupido – che non sarebbe riuscito ad ottenere nulla più di quanto non fosse stato stabilito dagli inglesi e quindi poteva fare solo due cose: accettare o rifiutare gli accordi. Ritenendo che un primo passo comunque fosse stato compiuto e che esso poteva rappresentare un valido presupposto per la futura riunione dell’isola, accettò. Il 6 dicembre 1921, pertanto, fu siglato il Trattato anglo-inglese, che prevedeva la nascita dello Stato Libero d’Irlanda (l’attuale Eire), mentre le sei contee nord-orientali, nelle quali i protestanti erano in maggioranza, avrebbero costituito l’Irlanda del Nord. Quando Collins ritornò a Dublino fu apertamente osteggiato dalla parte più dura del Sinn Féin, sostenuta da De Valera, che lo accusò di aver svenduto l’Irlanda. Prescindendo dalle contee del Nord, a tutti gli effetti sotto il pieno dominio inglese, lo Stato Libero d’Irlanda, nonostante la forte autonomia politico-amministrativa, aveva lo status di “dominion dell’Impero britannico”, che implicava il giuramento di fedeltà al re, la
qual cosa per i repubblicani era inconcepibile. Collins tentò invano di spiegare che, al momento, proprio non era possibile ottenere di più e che il trattato doveva essere considerato come un sensibile passo in avanti verso la Repubblica. Ciò che Collins ignorava era ilcontenuto delle conversazioni intercorsetraDe Valera e Lloyd George quando fu concordata la tregua propedeutica ai negoziati: il Primo Ministro inglese, infatti, disse al “Presidente” che se l’IRA non avesse cessato subito le azioni ostili, avrebbe inviato in Irlanda un soldato per ogni cittadino. Con quali conseguenze è facilmente immaginabile. De Valera, quindi, sapeva bene quali fossero le reali intenzioni degli inglesi e i limiti entro i quali si sarebbero mossi durante i negoziati. Da qui la decisione di mandare Collins allo sbaraglio e poi recitare la parte dell’offeso che tutelava i diritti di tutti gli irlandesi, proponendo di non ratificare il trattato. Quando il condottiero comprese di essere stato usato come un burattino mandato allo sbaraglio, la spaccatura si rese inevitabile. Il 7 gennaio 1922, dopo la ratifica del trattato da parte del Parlamento della Repubblica irlandese, De Valera si dimise dalla carica di presidente dando inizio, con indefessa attività propagandistica, alla fase prodromica della guerra civile che sarebbe scoppiata nel giugno successivo e che vide da unlato isostenitorideltrattato, guidatida MichaelCollins, e dall’altro l’Irish Republican Army (IRA), contraria al trattato, militarmente guidata da Liam Lynch ma eterodiretta da Eamon de Valera Sulla guerra civile irlandese vanno ben illustrati alcuni aspetti che, soprattutto in Italia, non trovano adeguata trattazione nella storiografia di riferimento. Come abbiamo visto, Michael Collins era un abile condottiero militare ed Eamon de Valera un politico a tutto tondo. I giovani dell’IRA che si schierarono con quest’ultimo erano i “ragazzi” di Collins, da lui formati e addestrati! Figli del popolo, infervorati di furore repubblicano, in massima parte con limitata formazione scolastica, per nulla in grado di districarsi nelle complesse pastoie politico-diplomatiche. Quando de Valera li arringò, accusando Collins di aver tradito le aspettative del popolo irlandese, ebbe facile gioco nel fagocitarli. Collins soffrì moltissimo per questa frattura all’interno dello schieramento repubblicano e cercò in tutti i modi di limitare i danni, di far ragionare i vecchi amici e commilitoni che avevano seguito de Valera, del quale, oramai, aveva ben compreso il gioco sporco. Soprattutto non voleva che gli scontri generassero troppe vittime, da una parte e dall’altra: l’IRA era cosa sua, non di de Valera! Vedere morire tanti ragazzi innocenti non lo faceva dormire di notte, ma anche per un grande uomo è difficile conciliare l’inconciliabile. La fazione di de Valera attaccava a tutto spiano; i soldati governativi non nutrivano nei confronti dei connazionali, in quel momento avversari, gli stessi sentimenti di tolleranza e reagivano con pari impeto e maggiore efficacia grazie ai consistenti aiuti ricevuti dagli inglesi: armi, munizioni, aerei, artiglieria. Un vero disastro, come tutte le guerre civili del resto, che vedono i fratelli contro i fratelli. Collins cercò fino all’ultimo, purtroppo invano, dievitare lo spargimentodisangue, che inevitabilmentecoinvolseanche i civili: 250 vittime nella sola Dublino. Ben presto la sua maggiore capacità nel guidare un esercito e la sproporzione di forze costrinse i guerriglieri di Lynch a ritirarsi nell’entroterra. De Valera manovrava nell’ombra, secondo le consolidate abitudini, ed è in questo contesto di trame oscure, che molti ritengono ancora irrisolte e che invece non presentano sfumature grigie per chi scrive, che accadde l’evento più tragico della guerra civile. Il 22 agosto 1922, Michael Collins, con un convoglio di fedelissimi, partì da Macroom per recarsi a Bandon, una trentina di chilometri a sud. Entrambe le cittadine erano nella contea di Cork, ossia “casa sua”, essendo egli nato a Woodfield, nella zona sud dellaContea, non lontano dalle due insenaturemarinechecostituiscono unagrandeattrattivaturistica. Il suo intento era quello di incontrarsi con i ribelli, che proprio non riusciva a considerare avversari, e trovare una soluzione per far tacere le armi. Sisentiva sicuro, a casa sua, ritenendo che sarebbe stato facile far ragionare la sua gente, soprattutto nel momento in cui le sorti della guerra sembravano segnate. La strada percorsa attraversava il piccolo villaggio di Béal na Bláth, dove ancora oggi è possibile frequentare lo stupendo pub “Diamond Bar” , tra i più antichi d’Irlanda ancora aperti al
pubblico. Nel deposito alle spalle del locale, proprio nel giorno in cui Michael Collins sarebbe transitato inzona, fu organizzata una importanteriunione dialcuni militantirepubblicani anti-trattato. Importante perché presieduta nientepopodimeno che da de Valera in persona! Argomento principale della discussione? L’uccisione di Michael Collins, sulla cui vittoria nella guerra civile nessuno più nutriva dubbi. Duecento metri ad est del locale vi era la stradina su cui sarebbe passato Collins, dominata da una collina, sulla quale trovarono facile riparo una decina di ribelli e Denis Sonny O’Neill, descritto daiservizi segreti inglesi, inun registro del1924, come “un tiratore diprima classe, severo e disciplinato e senza dubbio un uomo pericoloso”. Era nato nel 1888 a Timoleague, nella stessa Contea diCollins, che aveva conosciuto personalmente durante gliscontridel1920. Uncalesse (o forse un altro ostacolo più consistente) messo di traverso sulla strada, costrinse il convoglio a fermarsi per rimuoverlo, ma subito dalla collina partirono i colpi di fucile, cogliendo di sorpresa la scorta di Collins, che iniziò a rispondere al fuoco senza però poter individuare gli attentatori. Denis mirò con calma in direzione dello stupito Collins, che tutto si aspettava fuorché un agguato nella sua terra. Il tiro preciso lo centrò alla fronte, ponendo fine alla sua avventurosa vita e soprattutto al sogno di vedere presto un’Irlanda unita. Aveva 31 anni e la sua morte sconvolse gran parte del mondo e soprattutto nel Regno Unito in tanti si chiesero, senza sapersi dare una risposta, come si fosse potuto giungere a tanto. Alla cerimonia funebre parteciparono oltre cinquecentomila persone, attonite, appartenenti a entrambe le fazioni in lotta. Il nome di chi armò la mano di Denis O’ Neill non vi è alcun bisogno di scriverlo. Un giorno, Joe Mgrath, stretto amico di Collins, chiese al subdolo personaggio di partecipare alla sponsorizzazione di una fondazione dedicata all’eroe irlandese, ottenendo la seguente testuale risposta: «Non vedo come possa divenire sponsor di una fondazione Collins; è mia convinzione che la storia riconoscerà la sua grandezza, e ciò avverrà a mie spese».
Così è stato e così sempre sarà, perché si può vivere agiatamente quasi un secolo, guidare un Paese come presidente per dodici anni, ricoprire importanti ruoli politici nazionali e internazionali per altri quaranta, restando nell’oblio o addirittura nelle pagine più cupe della storia, mentre altri, in soli sei anni di vita pubblica, riescono a conquistare l’aura degli eroi, che li rende immortali. Lo spirito di Michael Collins non cesserà mai di illuminare quell’oceano di nuvole e luce, quel tappeto che corre veloce sull’isola verde, e a riscaldare il cuore di un popolo che, al di là degli slogan costruiti dagli abili comunicatori moderni, è legato indissolubilmente al sogno antico di “A Nation Once again” (Continua nel prossimo numero)
1 Nello Statuto si legge testualmente: «Dall'epoca della conquista dell'Irlanda, e per molto tempo dopo, gli inglesi di suddetta terra usavano parlare in lingua inglese, usavano modi di cavalcare e di vestirsi inglesi, ed erano governati, sia loro che i loro sudditi chiamati Betaghes, secondo la legge inglese. Ora, tuttavia, molti inglesi di suddetta terra, dimenticando la lingua inglese, gli usi e costumi e le leggi inglesi, vivono e si governano secondo gli usi e i costumi dei nemici irlandesi eusanola lorolingua;hannostipulatomatrimoni edalleanzetra loroei suddettinemiciirlandesi;dacché la detta terra, il sovrano popolo d'Inghilterra, la lealtà dovuta al sovrano e le leggi inglesi sono tutte decadute e perdute». Lo Statuto, pertanto, era destinato precipuamente agli inglesi con l’intento di impedire la crescente “media natio”, risultando oltremodo penalizzanteper i nativi edando avvio, di fatto, alle successive discriminazioni. I punti salienti sono molto eloquenti: “Ogni Inglese faccia uso della lingua inglese, e riceva un nome inglese, abbandonando completamente l'uso dei nomi irlandesi; che ogni inglese faccia uso dei costumi, dell'abbigliamento e del modo di cavalcare e di comportarsi secondo la sua origine; chenessun inglese che da ora in poi abbia una qualche disputa con un altro inglese la sottoponga alla legge Marcia (di epoca romana) o alle leggi Brehon (le antiche leggi vigenti in Irlanda prima della colonizzazione); che nessun irlandese della nazione d'Irlanda sia ammesso in una cattedrale o chiesa collegiata per provvigione, collazione o per presentazione di altra persona, e che non sia ammesso a godere di alcun beneficio della Santa Chiesa tra gli inglesi di questa terra; è anche stabilito che nessuna alleanza tramite matrimonio, adozione di figli, concubinaggio o per amore, e in nessuna altra maniera, debba da ora in poi essere stipulata tra gli Inglesi e gli Irlandesi; e che nessun Inglese, in tempo di pace o di guerra, doni o venda a un Irlandese cavalli o armi, e se qualcuno oserà farlo, verrà giudicato e condannato a morte come traditore del nostro sovrano”.
L’OMBRA DI STALIN: UN FILM SUL PRIMO GENOCIDIO UCRAINOEsterno giorno. Campo di grano accarezzato dal vento, ripreso in campo lungo. Sullo sfondo, un vecchio casolare di legno. La scena si restringe verso l’interno di una stanza e il rumore del vento si fonde col ticchettio di una macchina da scrivere. Un uomo inquadrato prima alle spalle e poi di lato sta scrivendo qualcosa. La voce fuori campo ci rivela cosa : «Sull’opera non voglio fare commenti. Se non parla da sola è un fallimento. Volevo raccontare una storia facilmente comprensibile da chiunque; una storia cosìsemplice che persino un bambino potesse capirla. La verità eratroppo strana per dirla in un altro modo. Non sono nato per un’epoca come questa. E voi? Il mondo è invaso da mostri, ma suppongo che non vogliate sentire parlare di questo. Avrei potuto scrivere romanzi d’amore, romanzi che la gente ama davvero leggere; forse in un’epoca diversa lo avrei fatto. Ma se racconto la storia dei mostri per mezzo degli animali parlanti di una fattoria, forse l’ascolterete, forse capirete. È in gioco il futuro di tutti, quindi vi prego di leggere attentamente tra le righe». L’uomo incomincia a scrivere il romanzo e la voce fuori campo, declamando le parole iniziali, ci fa comprendere che si tratta di George Orwell mentre dà corpo a uno dei suoi capolavori: “La fattoria degli animali”.
La scena si sposta altrove. Un giovane, in un grande salone con attempati signori raccolti attorno al tavolo, parla del viaggio in aereo in compagnia di Hitler e Goebbels. Da ciò che dice capiamo che siamo a Londra, nel 1933, e il giovane è Gareth Jones, il giornalista gallese del Western Mail che aveva trascorso qualche mese in Germania per raccontare l’ascesa al potere di Hitler. Con palpabile enfasi riferisce ai membri del Governo capeggiato da Lloyd George, di cui è consulente per gli affari esteri, le impressioni maturate durante il soggiorno, suscitando condivisa ilarità perché nessuno dà credito alla sua previsione circa “l’imminenza di una guerra”.
(Dal film Mr. Jones, disponibile in italiano con il titolo “L’ombra di Stalin”, diretto dalla regista polacca Agnieszka Holland).
“Ben seduto sopra al trono, Stalin suona il suo violino. Guarda in basso con cipiglio, il Paese che dà il pane. Il violino è in legno scuro e l’archetto è molto teso. Quando suona i suoi comandi, li ascoltiamo tutti quanti. Ora Stalin ha finito di suonare il suo strumento. L’ha suonato così forte che le corde si son rotte. Sono morti quasi tutti, pochi sono sopravvissuti. (La poesiola, fino a questo punto nel film declamata da una bambina, continua sotto forma di canto, in russo). Affamati e infreddoliti, siamo nelle nostre case. Niente da mangiare, nessun posto per dormire e il nostro vicino ha perso la testa (has lost his mind; ha perso la mente, è impazzito, N.d.R.) e ha mangiato suo figlio”. (Triste canto dei bambini ucraini vittime dell’holodomor).
Non amo parlare delle piattaforme on line che trasmettono film, spesso producendoli e quindi impedendo la diffusione nei circuiti tradizionali, e mi genera grande sofferenza vedere la massiccia e crescente propensione all’utilizzo del tablet o addirittura del telefonino per la visione, la qual cosa equivale ad entrare nel ristorante La Tour d’Argent all’ora di pranzo e ordinare un hamburger con patatine fritte. Ora, però, sirende necessaria una eccezione perché su una nota piattaforma, nona caso appartenentealterzo uomo piùricco delmondo, èdisponibileun filmdel2019 letteralmentesnobbato dalle principali emittenti televisive e, manco a dirlo, mai uscito nelle sale italiane: “Mr. Jones”, tradotto con il titolo “L’ombra diStalin”. Un film da vedere assolutamente sia per il valore intrinseco di natura storica sia per il solido rapporto con i fatti attuali. (È comunque disponibile nei principali web store anche in DVD).
Latramariguarda lo sterminio per fame delpopoloucraino perpetrato daStalin, denunciato almondo dal giornalista gallese Gareth Jones, che si recò in Russia nel 1933, dopo l’esperienza berlinese, e poi in Ucraina, per seguire le orme di un collega assassinato perché aveva scoperto il genocidio che si stava perpetrando. Jones aveva solo ventotto anni, ma il solido background culturale, la prima laurea conseguita a soli ventuno anni, la seconda presso l’Università di Strasburgo nel 1929, la perfetta conoscenza del francese, del tedesco e del russo, gli avevano consentito una grande autorevolezza presso la redazione del giornale con cui collaborava, il Western Mail di Cardiff, e di essere nominato consulente per gli affari esteri dal Primo Ministro inglese. L’apprendimento del russo era stato facilitato dalla madre, che aveva lavorato al servizio di John Hughes, fondatore di Hughesovka, l’attuale Donetsk, caduta nelle mani dei russi dopo la recente invasione. Jones vi abitò per un breve periodo, insegnando l’inglese agli abitanti.
Il film ricostruisce dettagliatamente le vicende connesse alla drammatica scoperta dell’Holodomor, mettendo bene in evidenza la difficoltà riscontrata nel far conoscere la verità a causa della “simpatia” tributata dagli intellettuali di tutto il mondo al regime sovietico, grazie anche ai reportage di corrispondenti infami, per convenienza personale asserviti al regime staliniano, pur conoscendone la feroce essenza. Sotto questo profilo spicca il confronto tra James e il collega Walter Duranty, inglese di nascita ma emigrato negli USA, dove fu assunto dal New York Times per poi essere inviato a Moscacomecorrispondente. Durantydivenne benpresto un“convinto”propagandistadiStalin, vinse anche un premio Pulitzer e con la sua influenza indusse il presidente Franklin Delano Roosevelt a riconoscere ufficialmente l’Unione Sovietica, nascondendogli le atrocità di cui era responsabile Stalin. Nel film, mentre in un lussuoso ristorante Duranty festeggia con i facoltosi amici e colleghi l’evento solennemente annunciato dalla radio, drammaticamente impietosa, la voce fuori campo cita un passo del romanzo orwelliano: «Le creature fuori guardavano dal maiale all’uomo, dall’uomo al maiale e ancora dal maiale all’uomo, ma già era possibile dire quale fosse l’uno e quale fosse l’altro». Il film, è facile intuirlo, è pregno di scene che evidenziano magnificamente il tormento di un uomo che in Ucraina vede scene raccapriccianti e non riesce a comprendere come, occidentali come lui, riescano a fare la bella vita a Mosca, incuranti delle atroci sofferenze di un popolo costretto a cibarsi con i cadaveri dei propri cari, morti prima di loro. Indescrivibile, per crudezza, la scena nella quale Jones, rifugiatosi nella casa dove aveva abitato con la mamma, dopo essere sfuggito alle autorità sovietiche che lo avevano smascherato ed avevano timore che potesse rivelare quanto scoperto, si vide offrire del cibo da alcuni ragazzi e alla domanda su dove lo avessero reperito gli fu indicato il corpo senza vita del loro fratello maggiore. Emblematico anche l’incontro con Orwell, al quale rivelò che le autorità russe, dopo averlo catturato, gli intimarono di ritornare in Inghilterra e raccontare che in Ucraina tutto funzionava a perfezione e che nessuno moriva di fame, altrimenti sei ingegneri inglesi, anch’essi imprigionati senza che avessero commesso alcun reato, sarebbero stati uccisi. «Se racconto questa storia – disse Jones – moriranno sei uomini innocenti; se però la scrivo, milioni di vite umane potrebbero essere salvate». Lapidaria la replica di George Orwell: «Io penso che dire la verità senza curarsi delle conseguenze sia un suo dovere, e un nostro diritto ascoltarla». Jones raccontò la storia e disse anche che se Stalin non fosse stato fermato in tempo, ne sarebbero arrivatialtricome lui. Ancora una volta, però, nessuno glidiede retta: l’unica preoccupazione era fare di tutto per non irretire Stalin con le sue storie. Ancora una volta la voce fuori campo rimanda a Orwell: «Ma proprio in quel momento, come a un segnale convenuto, tutte le pecore scoppiarono in un belato tremendo. Quattro zampe buono, due gambe meglio. Continuarono per cinque minuti senza fermarsi. Quando le pecore si furono fermate l’occasione diprotestare ormai era persa perché i maiali erano rientrati nella fattoria».
Anche Lloyd George rampognò severamente Jones, invitandolo a ritrattare le sue dichiarazioni, avendo ricevuto le dure rimostranze del governo sovietico. Con estrema chiarezza e tono non certo conciliante gli disse che non poteva permettersi di rompere i rapporti con Stalin, mettendo a rischio gli scambi commerciali e l’attività delle industrie che operavano in Unione Sovietica, sostenendo le finanze del Regno. Tutta la stampa anglo-americana si scagliò contro Jones, sobillata dal potente Walter Duranty, che sul New York Times pubblicò un articolo diffamatorio nei confronti del collega e altamente elogiativo per Stalin: «Voglio rassicurare i miei lettori affermando che la storia della carestia è completamente inventata», scrisse l’infame.
Jones ritornò a Cardiff e riprese a lavorare presso il Western Mail, ma con ruolo ridimensionato rispetto al suo valore. Caso volle, però, che ebbe l’opportunità di parlare con William Randolph Hearst, a capo del più imponente gruppo editoriale e multimediale dell’epoca, che contava decine di giornali, riviste, stazioni radiofoniche, agenzie che fornivano notizie ai quotidiani di tutto il mondo. I giornali di Hearst pubblicarono l’articolo di Jones e così la cortina di fumo che aveva avvolto i crimini di Stalin si dissolse come neve al sole. Solo apparentemente però, perché, nonostante l’evidenza, i fatti futuri avrebbero dimostrato che l’umanità non ha tratto alcuna lezione da quei drammaticieventi. «Per giornie giorniglianimali non mangiarono che paglia e barbabietole. La fame sembrava guardarli dritti in faccia. Eradi vitale importanza nascondere questo fatto al mondo esterno. Incoraggiati dal crollo del mulino, gli umani stavano già inventando nuove menzogne sulla fattoria degli animali» fa dire la regista alla voce fuori campo, lasciando a Orwell le ultime drammatiche e profetiche parole.
«Il giornalismo è la professione più nobile; devi seguire i fatti, dovunque portino, senza prendere posizione». Così si esprimeva Jones parlando con una collega tedesca, giustamente irretita per la piega che stava prendendo la politica del suo Paese, ma scioccamente ritenendo che il comunismo staliniano potesse essere la soluzione per i problemi del mondo. Seguire i fatti senza prendere posizione è qualcosa di straordinariamente sublime, perché consente di dire oggi che Tizio è stato bravo nella tal cosa e domani che ha commesso un’infamia. Chi eserciti la professione “prendendo posizione”, invece, ponendosi al servizio di qualcuno, prima o poi riceverà l’ordine di scrivere che Ruby Rubacuori è la nipote di Mubarak; che Putin è buono e misericordioso e la Russia dovrebbe entrare nell’Unione Europea; che la colpa della Seconda Guerra Mondiale va attribuita a Francia e Inghilterra e altre amenità simili. I giornalisti veri, gli uomini come Gareth Jones dovrebbero essere portati in palmo di mano, ma la storia insegna, invece, che sono i Walter Duranty a vincere i premi Pulitzer e a vivere alla grande.
Per la cronaca: nell’agosto del 1935, Gareth Jones, mentre effettuava un reportage nella Mongolia Interna, fu rapito da alcuni banditi grazie alla complicità della guida, di cui ignorava il legame con i servizi segreti sovietici. Fu ucciso il 12 agosto, alla vigilia del trentesimo compleanno. La sua attività giornalistica in Unione Sovietica, come ampiamente trasparso, ispirò Eric Arthur Blair, alias George Orwell, per la stesura del romanzo “La fattoria degli animali”.
Questo articolo è stato pubblicato nel quotidiano on line “Ondazzurra” lo scorso 28 giugno. Purtroppo risulta non solo ancora tristemente attuale ma addirittura aggravato dagli sviluppi recenti che investono un provvedimento importantissimo per assicurare al Paese quell’efficientamento energetico da sempre auspicato e reso ineludibile dalla terribile contingenza attuale. Nell’articolo, ovviamente, si fa riferimento al presidente Draghi, mentre questa rielaborazione viene effettuata all’alba del 15 luglio, dopo le sue dimissioni. Non è facile prevedere cosa accadrà nei prossimi giorni e pertanto quando “CONFINI” sarà on line potremo avere un nuovo governo Draghi o un governo tecnico di transizione per il voto anticipato o qualsiasi altra diavoleria che i nostri fantasiosi politici saranno in grado di individuare. Chiunque dovesse prendere il timone tra le proprie mani, comunque, sappia che il Superbonus, ben gestito, è un provvedimento di cui l’Italia proprio non può fare a meno.
È di queste ore la notizia che la Guardia di Finanza, nelle sole province di Caserta e Napoli, ha sequestrato quasi 800 milioni di euro a finti titolari di credito. Ben 143 le persone fisiche e giuridiche coinvolte nella colossale truffa, che fa seguito a quelle precedenti, per importi ancora più consistenti, rilevatrici della grande abilità delinquenziale che troppe persone mettono in campo a fronte di importanti azioni di politica sociale, sempre utili e, mai come in questo momento, fondamentali per contrastare i costi delle risorse energetiche, in quotidiana crescita.
A quanto pare tra i beneficiari dei crediti figurano parcheggiatori abusivi, soggetti privi di partita Iva, addirittura un detenuto e, con altissima percentuale, percettori del reddito di cittadinanza (insulso provvedimento che si è trasformato in un boomerang per i troppi abusi, determinando tra l’altro una vera crisi in tanti settori imprenditoriali, costretti a chiudere le attività per mancanza di mano d’opera) Non ci vuole un mago per comprendere che costoro rappresentino solo la facciata di un articolato sistema, gestito a ben più alti livelli criminali.
Comea tuttinoto, il presidenteDraghi, pregnodel pragmatismotipicodi tutti i grand commis dell’alta finanza, è un netto oppositore della misura di incentivazione. La sua formazione culturale, ovviamente, è ancorata ai dettami di quel liberal-capitalismo da sempre fonte delle profonde iniquità sociali e già da molto tempo degenerato verso i complessi e oscuri lidi della finanza sporca (ammesso e non concesso che esista quella pulita), incomprensibili dai comuni mortali, che ne possono solo patire le nefaste conseguenze.
Offrirgli su un vassoio d’argento le troppe distonie che traspaiono dalla cattiva gestione del progetto, gli consente di esprimersi con toni di disapprovazione ancora più marcati e argomenti non facilmente confutabili.
Non bisogna demordere, tuttavia. Gli sviluppi di una crisi planetaria per ora non facilmente decantabili, ma benprevedibili nelle grandi linee a meno che non intervengano drastici eimmediati interventi risolutori, hanno resobenevidentequantofosseimportantel’autonomia energetica per evitaredi dipendereda chi vuolespostare all’indietro le lancette dell’orologio, utilizzando le proprie risorse come arma di ricatto pur di continuare impunemente a massacrare il popolo ucraino.
I momenti di grande turbolenza sociale generano sempre quel “caos” che, lungi dal manifestare le immaginifiche e talvolta stupende rappresentazioni offerte da filosofi, letterati, scienziati, psicologi e artisti, mettono in luce precipuamente i limiti della natura umana, le debolezze di troppi soggetti che popolano le stanze del potere e soprattutto la nefasta propensione ad approfittarne per tornaconto personale. Dopo decenni di battaglie a favore delle energie rinnovabili, infatti, le drammatiche vicende di questi ultimi mesi stanno spingendo già troppe persone “importanti” a parlare di ripristino delle centrali a carbone e, addirittura, di ritorno al nucleare.
(Mi sia consentita una nota personale: avevo ancora i pantaloni corti quando fondai un’associazione ecologica e iniziai a diffondere le tematiche elaborate nel famoso (e disatteso) rapporto del MIT, dicendo, di fatto, le stesse cose che dice oggi Greta Thunberg - e a combattere contro le centrali nucleari,
fortunatamente con pieno successo Ritornare a parlarne a distanza di mezzo secolo mi riempie il cuore di tristezza)
Premesso, quindi, che la strada per rendere sempre più fruibili le fonti energetiche rinnovabili è “segnata” e si può solo andare avanti in tal senso, senza alcun cedimento verso pericolosi passi indietro, la straordinaria idea della riqualificazione edilizia con l’ecobonus “non deve” essere assolutamente accantonata solo perché inficiata da una miriade di delinquenti. Si sbattano in galera i delinquenti, si presti maggiore attenzione nella fase dei controlli, ma si vada avanti senza indugi, colpendo severamente anche gli speculatori che hanno determinato l’ingiustificato aumento dei costi delle materie prime.
Per gli esperti inmateria èungiocoda ragazzicalcolarequantimiliardisipossonorisparmiareconl’isolamento termico delle abitazioni, la sostituzione dei generatori di calore, la coibentazione, i pannelli fotovoltaici. Altro cheritornoal nucleare, coni rischiconnessiai possibiliincidenti eil problema (irrisolvibile) dellescorie, senza considerare - cosa che evidentemente sfugge a chi parla a vanvera – che per costruire una centrale nucleare occorrono non meno di nove-dieci anni, mentre noi dobbiamo ridurre “subito” i costi dell’energia elettrica e del gas per tutelare le famiglie allo stremo e le attività produttive che, in ogni settore, sono prossime al fallimento. Al momento, la piena attuazione dell’efficientamento energetico, realizzabile in tempi brevi, costituisce una delle soluzioni più valide alla tragedia che sta condizionando pesantemente la vita di milioni di cittadini.
Molti soggetti, soprattutto i proprietari di singole unità abitative, si sono sottoposti già a cospicui esborsi economici sia per le parcelle corrisposte ai tecnici esecutori dello studio di fattibilità e dell’analisi preventiva dei costi e dei benefici sia per gli oneri connessi al deposito delle pratiche nei comuni di pertinenza. (Non avrebbero dovuto anticipare nulla ai tecnici, ma sono state costrette a “subire” le richieste economiche pena il rifiuto dell’incarico). Queste persone, con il blocco dei lavori, corrono il rischio di aggiungere al danno la beffa, mentre molti truffatori si stanno godendo fior di milioni guadagnati solo con un pizzico di fantasia. Sintomatico quanto dichiarato da uno di loro che, con gaudenti complici, degustando “pizza, panini e birre”, passava le nottate a caricare sulla piattaforma digitale dell’Agenzia delle Entrate i crediti di imposta, per poi dichiarare telefonicamente a un amico: «Sono diventato uno squalo! Cinquanta milioni di crediti in appena quindici giorni. Lo Stato italiano è pazzesco; vogliono essere fregati, praticamente»
Può il Governo permettere tutto questo? Sui parlamentari non è lecito contare più di tanto perché ora sono tutti occupati a “trovarsi” una sistemazione personale, considerata l’imminenza delle elezioni politiche e l’evidente impossibilità, per tanti di loro, di essere rieletti. Non è un delitto, tuttavia, ricordare loro che dovrebbero operare “soprattutto” nell’interesse dei cittadini e ogni tanto sarebbe opportuno rispettare questo mandato.
Si provveda subito, pertanto, a rimediare con chiari provvedimenti che rendano possibile, soprattutto a chi si trovi “a metà dell’opera”, di portarla a compimento. Una proroga generale, se non proprio sine die almeno di tre-quattro anni, si rende necessaria per consentire la reale e totale ristrutturazione energetica del Paese. Una proroga, però, che deve essereancorata ad una efficace prevenzione delle inevitabili truffe chesarannotentate. Uno Stato che si rispetti non può essere prigioniero dei delinquenti e deve liberarsi soprattutto di coloro che possono commettere i crimini grazie al potere scaturito dal ruolo esercitato.
Alle forze dell’ordine giungano il plauso e la gratitudine della parte sana del Paese per la loro meritoria opera in chiave repressiva. Non smettano mai e s’impegnino sempre più. Più delinquenti si assicurano alla giustizia, meglio staremo tutti.
Sulla differenza tralibertà e libero arbitrio sisono affannati fior di filosofi sin dall’antichità e pertanto chi avesse voglia di approfondire la tematica ha solo l’imbarazzo della scelta tra centinaia di opere disponibili. Qui basti dire che il libero arbitrio consiste nella capacità di decidere liberamente come operare e come giudicare eventi e persone, facendo attenzione a non lasciarsi sopraffare né dai pregiudizi né dai propri convincimenti. Quando ciò accade, esso si trasforma in tirannide, ossia una delle più schifose forme della condotta umana, minando pericolosamente l’altrui “libertà di pensiero e azione”.
Questa pericolosa deriva del “libero arbitrio” ho avuto modo di riscontrarla e subirla in uno dei più famosi Social network del mondo, specializzato in microblogging: Twitter.
Veniamo ai fatti. Nell’account dal quale risulto “ben identificabile” sia anagraficamente sia professionalmente, ai primi di luglio ho pubblicato dei post critici sulla diffusa volontà di approvare la liberalizzazione della cannabis, che trova eco anche in una classe politica sempre più decadente sotto tutti i punti di vista. Contestualmente ho pubblicizzato il famoso testo di uno dei più grandi psicoterapeuti al mondo, il prof. Claudio Risé: “Cannabis – Come perdere la testa e a volte la vita” , San Paolo Edizioni, 2007
I post, ovviamente, eccezion fatta per poche critiche espresse civilmente, sono stati subissati di commenti pregni di offese; insulti; volgarità; becera ilarità; accuse di vario genere addirittura relative a mostruosità dell’essere da me sempre combattute in tutti gli ambiti sociali nei quali abbia operato e ancora operi, come facilmente evincibile grazie alla facile e abbondante reperibilità, in rete, di centinaia di articoli. Soggetti di bassissimo livello etico e culturale, quindi, si sono permessi di commentare senza nemmeno accertarsi con chi avessero a che fare. Non solo: in tanti si celavano dietro falsi profili con nomi di fantasia e avatar al posto della propria foto, privi di qualsivoglia informazione che consentisse di individuare l’effettiva identità dei titolari. Uno di loro mi ha addirittura accusato di essere complice della criminalità organizzata che gestisce lo spaccio della droga!
Eccezion fatta per i pochi che avevano mosso critiche anche sciocche e prive di fondamento scientifico, o con i soliti riferimenti redatti ad arte per favorire la liberalizzazione, ma senza prodursi in offese, ingiurie, minacce e volgarità, ho segnalato gli account che, a mio giudizio, meritavano di essere censurati La risposta è stata negativa per tutte le segnalazioni: nessuno di loro, infatti, quindi anche i profili non identificabili, dietro i quali si potrebbe celare “chiunque”, secondo le valutazioni effettuate dagli addetti al delicato compito, violava il codice comportamentale e le linee guida del network.
Dopo la notifica mi è stato chiesto di inviare un feed back sulla mancata accettazione dei reclami e ho risposto spiegando, con estrema chiarezza, che non ero assolutamente d’accordo con la loro decisione per i seguenti motivi: nessuno ha il diritto di entrare in casa d’altri e offendere utilizzando espressioni scurrili e volgari; nessuno ha il diritto di etichettare le persone, attribuendo loro appartenenze partitiche o diqualsivoglia altra natura magariantitetiche rispetto all’effettivo pensiero; criticareè lecito, ma semprenelrispetto dell’altruilibertàdipensiero; per nessunaragionedovrebbero essere permessi i profili fake, che consentono alle persone di offendere impunemente perché non identificabili: se qualcuno si permettesse di rivolgermi gravi e false accuse o di offendere la mia reputazione, potrei avvalermi della facoltà di denunciarlo, cosa impossibile nei confronti dei molestatori anonimi.
Tutto ciò a prescindere dalle altre gravi distonie evinte nella lettura dei post, anche non strettamente connessi ai miei. Alcuni giorni dopo ho pubblicato un post decisamente ironico traendo spunto da
un articolo pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”, il cui titolo con relativo catenaccio recitava testualmente, sopra la foto di qualcuno che fumava allegramente uno spinello: «Cannabis, gli Stati Generali a Milano: è il vero campo largo, sì alla legge» Ho effettuato lo screenshot del titolo e l’ho montato in una foto sul cui lato destro figuravano in alto un vasto campo di papaveri e in basso una vasta piantagione di cannabis. Sulla linea di demarcazione delle due foto ho scritto: “IL CAMPO LARGO DEL PD”. Ho poi pubblicato la foto commentandola come di seguito trascritto: «Che definizione reboante! Chi farà la parte di Filippo il Bello? Non si fumava nemmeno nella sua epoca. E il campo largo come sarà? Come quello nella foto, immagino! SUICIDATEVI! Droga libera? No grazie!» Ho aggiunto, quindi, per l’ennesima volta, il link al libro di Risé, acquistabile su vari web store. Combatto le droghe (tutte!) sin da quando porto i pantaloni corti e ora incomincia a far paura la crescente propensione verso questa pericolosa deriva, protesa alla legalizzazione. Con somma sorpresa, tuttavia, il giorno successivo mi sono visto bloccare l’account per alcune ore essendo stato imputato di “istigazione al suicidio!” Mi rifiuto di commentare “seriamente” questo provvedimento per rispetto della mia dignità e dell’altrui intelligenza: solo un cretino, infatti, potrebbe non cogliere il sarcasmo e la sottile ironia ben armonizzati tra foto e testo, non certo inficiati da quel “Suicidatevi” utilizzato al posto di “andate a quel paese” per enfatizzare, a mio avviso doverosamente, l’avversione a un’iniziativa molto pericolosa, essa sì portatrice di morte.
La risposta più eloquente alla vicenda di cui sono rimasto vittima, comunque, proprio nello stesso giorno è stata fornita da un articolo di “Milano Finanza” (trascrivo il link alla versione integrale: www.milanofinanza.it/news/senza-musk-chi-ci-perde-e-twitter-202207111551008879) nel quale si leggetestualmente: «Ilsocial mediaètroppo politicizzato. LadecisionediElonMusk venerdì8 luglio diannullare l’acquisto diTwitter èuna perdita per il sito disocial media e per la libertà diespressione. Gli unici vincitori saranno i progressisti, che appoggiano la censura del sito sulle opinioni non conformi alle loro idee su politica, clima e molti altri argomenti. […] La crescita degli utenti del sito sta rallentando e Twitter ha perso 1,3 miliardi di dollari negli ultimi due anni, anche se i profitti delle società tecnologiche sono aumentati. […] I tweet dei conservatori che presentano anche informazioni puramente fattuali su argomenti come i trattamenti Covid e il clima vengono spesso etichettati come disinformazione. Gli account vengono sospesi senza spiegazioni. Nessuno sa chi siano i maghi dietro le quinte che prendono queste decisioni e Musk dice che consentirebbe un dibattito più aperto». L’articolo è molto chiaro nella sostanza, a prescindere dai termini inappropriati come “progressisti”, per definire l’universo sinistrorso che sta al progresso come un vinello da novanta centesimi sta un Barolo Riserva Monfortino, e “conservatori”, per definire gli antagonisti, nonostante il termine sia ormai obsoleto, dal momento che le persone veramente “sane e sagge” hanno ben poco da conservare e guardano al futuro con lungimiranza e prospettive protese a preservare la migliore “tradizione”, che proprio non va confusa con “il conservatorismo” caro a chi, dal dopoguerra ai giorni nostri, magari predicando bene e razzolando male, ha fatto strame della democrazia e dei diritti dei cittadini, precipitandoci in quella subcultura che si sta diffondendo a macchia d’olio a livello planetario, anche grazie alla multimedialità. Il vertice di “Twitter”, quindi, detta una linea “politica” cosa di per sé già molto grave. Questa linea, poi, soprattutto in Europa, viene osservata da dipendentiche sidimostrano più lealisti del re, imprimendovi quel libero arbitrio che appaga il loro senso di onnipotenza: il libero arbitrio dei servi, appunto, tra le cose più nefaste che affliggono l’umanità.
Le bazzecole diTwitter, comunque, rapportatealla mia persona, sono insignificantie non mitoccano: ho due blog, due testate giornalistiche con le quali collaboro liberamente ed è in arrivo una terza testata che mi vedrà come direttore responsabile. Un po’ dappertutto, quindi, posso scrivere tutto quello che voglio, senza problemi. Ciò che ben traspare dall’articolo di “Milano Finanza”, tuttavia,
evidenzia il grave problema che impatta con la libertà di milioni di persone che non sono certo nella mia condizione e subiscono il libero arbitrio di un arbitro non neutrale, che sospende gli account con modalità dittatoriali. Twitter dovrebbe garantire a tutti la possibilità di esprimersi civilmente, censurando chi non fosse in grado dirispettareil prossimo e, proprio come ha detto Musk, combattere con maggiore determinazione i falsi profili, per buona parte pilotati dalla componente più schifosa e marcia della società mondiale. Se questo non accade, è lecito ritenere che di quella componente il vertice di Twitter sia correo.
Lettera scritta all’amico Angelo Romano in lode di S.A.I. il novello Zar della Russia attuale e di quella futura, conquistata armi in pugno, con il beneplacito dei popoli d’Europa che, gaudenti, si sottomettono al suo dominio, ben felici di tenere i condizionatori accesi.
Carissimo Amico, chi mai potrà cessare dagli encomi l’inclito novello Zar, Vladimir Vladimirovič Putin? Egli, combattendo in tutta Europa i suoi nemici, li vinse e li vincerà. Il suo nome imperioso, che a tutti incute rispetto e risuona con forza tanto in patria sua quanto nel Continente e nel mondo intero, offusca grandi condottieri come Cesare e Scipione, e la sua risonanza assume così alta pregnanza da indurre all’inchino anche il prode Alessandro il Macedone. Giustamente da tutti, con immensa gioia, definito “Sommo Inclito”, il grande laborioso e indomito novello Zar, d’ingegno sublime, del potere gran cultore, nonché di maniere leggiadro si è posto alla guida di un potente esercito, pregno anche di delicata grazia cecena, per sottomettere i popoli d’Europa ai dettami del suo volere. Prima di tutto si è dedicato a quelli limitrofi come l’Ucraina per ivi innalzare le insegne della sua libertà e della sua democrazia, rovesciando il Governo Il festoso popolo, gaudente, della Russia si appresta ad accettare lingua, usi, leggi e costumi. Quanto amore per tutti e che ardore nel massacrare i civili ingrati! Per le sue gesta è degno d’essere immortale. Giusta la condanna dei miseri e lerci sudditi, infami traditori ad altri assoggettati e con pessimo palato. Amico mio, dopo tremila anni di fallace condotta e tanto dolore, possiamo ora avere un grande onore. Senza un così prode Eroe noi tutti potremmo fare una ben misera fine e ridurci alla miseria senza tornaconto. Grazie alla sua magnanimità, chi più sarà fedele e servizievole vedrà sparire ogni effetto della malasorte Indi, chiunque nella Patria nostra, ora governata da empi adusi a depredarla, più non patirà tirannide e leccandogli il sedere godrà di lussi, agi, prebende e alti riconoscimenti! Voglia Iddio presto remunerare l’invitto novello Imperatore, preservandolo da ogni male e accrescendo la sua forza, per poi chiamare nell’abisso i fabbri delle umane miserie e delle tante stragi di innocenti; soprattutto voglia illuminare con eterna gloria la generosa nazione russa e il suo invitto capo. Vogli altresì l’Altissimo presto concedere ai suoi amici, ovunque disseminati, il dono del Paradiso, accettandoli con un sorriso.
Lino LavorgnaNella nostra bella Italia la maggioranza dellepersonesi ferma all’apparenza egiudica; leggedi fretta epresume di aver compreso tutto. Non potrò mai dimenticare, per esempio, ciò che mi riferì mia sorella, ridendo a squarciagola, dopo aver incontrato dal parrucchiere una conoscente che aveva “visto” un mio articolo sul genocidio armeno, sicuramente soffermandosi esclusivamente sul titolo e sul catenaccio: «Annalisa – le disse – ho notato in rete un articolo di tuo fratello che parla di una strage! Oltre un milione e mezzo di morti! Ma dove è successo? Il telegiornale non ha detto nulla!» Non mi sorprenderei, pertanto, se qualcuno dovesse prendere alla “lettera” quanto scritto nella “lettera”, non riuscendo a comprendere come debba essere letta. Ma di spiegarlo proprio non mi sembra il caso.
Per la cronaca: l’amicodirettoreAngeloRomano, che ovviamente ha subitointuito il “benevoloplagio” di uno scritto leopardiano (del papà, non del figlio), ha ritenuto di non pubblicarla: troppo offensiva nei confronti di Putin.
A NATION ONCE AGAIN (Seconda parte)La divisione dell’Irlanda provocò gravi tumulti nelle contee del Nord, generalmente ed erroneamente indicate coniltermine “Ulster”, ossia laprovincia nelNord-Est dell’isola che ingloba sia leseicontee sotto dominio britannico (Antrim, Armagh, Down, Fermanagh, Derry, Tyrone) sia le tre contee che ricadono sotto la sovranità dell’Irlanda libera, ossia la Repubblica d’Irlanda o ÉIRE, secondo la corretta denominazione sancita dalla Costituzione (Cavan, Donegal e Monaghan).
Nell’Irlanda libera, la guerra civile tra i sostenitori del trattato siglato da Michael Collins e coloro che reclamavano l’indipendenza totale dell’isola si concluse nel 1923, con la vittoria dei primi. Nonostante gli scontri, tuttavia, molti cattolici del Nord vi si rifugiarono per sfuggire sia alla repressione praticata dalle forze di sicurezza (irlandesi come loro!) e dalle feroci milizie britanniche sia alla dolorosa e umiliante ostilità dei protestanti, che ovviamente si sentivano forti proprio perché protetti dal Governo inglese.
Anche i protestanti, comunque, nei due anni di guerra civile non si sentirono particolarmente tranquilli, temendo che le forti pressioni dei nazionalisti potessero indurre il Governo britannico ad abbandonarli e annettere le contee del Nord allo Stato Libero d’Irlanda. Preoccupazioni del tutto infondate che, tuttavia, nell’aprile 1922, indussero il Governo a conferire poteri speciali alle forze di sicurezza [Civil Authoritty (Special Powers) Act], grazieallequalisiresero possibiliunaserie infinita di soprusi: arrestare senza mandato e senza accusa; condannare gli arrestati a lunghe detenzioni carcerarie senza un regolare processo, rifiutando il ricorso di fronte all’Habeas Corpus o alla Corte di Giustizia; perquisire le abitazioni senza mandato; dichiarare il coprifuoco e vietare riunioni, cortei e processioni; consentire la fustigazione come punizione; arrestare le persone convocate come testimoni con incriminazioni costruite sul nulla; compiere qualsiasi atto “ritenuto lecito” (e quindi anche “illecito” o in violazione del diritto di proprietà privata); impedire le visite dei legali e dei familiari a una persona in stato di fermo; proibire l’apertura di un’inchiesta in seguito alla morte di un prigioniero; vietare la diffusione di particolari giornali, film o dischi; vietare l’erezione di monumenti e l’affissione di targhe in ricordo degli eroi repubblicani (per loro erano “terroristi”); entrare liberamente in qualsiasi banca per “controllare” i conti correnti e “ordinare” trasferimenti di fondi, titoli o documenti alla Civil Authority (per chi non avesse ben compreso: potevano rubare legalmente i risparmi delle persone invise); arrestare chiunque compiva qualsiasi atto, anche non previsto a livello legislativo, mirante a danneggiare il mantenimento della pace e del buon ordine in Irlanda del Nord (sempre per chi non avesse ben compreso l’effettivo significato della contorta disposizione: potevano arrestare chiunque, accusandolo di essere un sobillatore o un terrorista, anche se per ventura fosse stato sordomuto, cieco, zoppo e privo di un braccio)
Per la cronaca: questo caleidoscopio di alta democraticità, che ricalcava il perfetto english style reiterato in tutte le colonie, sia pure con leggere periodiche modifiche, durò fino al 1973. Procediamo con ordine, comunque, perché la faccenda è maledettamente ingarbugliata.
La vita per i cattolici del Nord, come facilmente intuibile, negli anni Venti del secolo scorso non fu certo facile a causa della feroce repressione praticata dai protestanti, i quali, come se non bastassero iprivilegidi cuigodevano, aduncerto punto decisero che isuccitatipoterispeciali erano insufficienti a garantire una serenità in linea con le aspettative. Nel 1932, pertanto, anno in cui il Parlamento fu spostato nel Palazzo di Stormont (zona orientale di Belfast, dove erano in maggioranza), furono avviate nuove e più incisive persecuzioni dei cattolici, miranti a meglio salvaguardare i privilegi, soprattutto quelli della classe dirigente. Vediamo come.
Noi italiani siamo famosi per le leggi elettorali bislacche e truffaldine, varate dal 1953 ai giorni nostri per favorire dei partiti a discapito di altri. Anche altrove, però, non è che si scherzi perché il bello
della democrazia consiste proprio nella sua flessibilità - simile a quella della salamandra - che le consente di trasformarsi in dittatura dando ai poveri cristi che si recano a votare la sensazione di essere uomini liberi artefici del proprio destino. (In parte è ancora così, anche se un po’ dappertutto il bluff inizia a sgretolarsi, come dimostra l’alto astensionismo. Ma questa è un’altra storia). Negli Stati Uniti, un tizio molto furbo di nome Elbridge Gerry, governatore del Massachusetts dal 1810 al 1812 e poi addirittura vice presidente dal 1813 al 1814, si rese conto che, in alcune aree territoriali, anchedivasteproporzioni, vipossono essereconcentrazionidielettoriche, per lepiù svariateragioni, sono favorevoli a un determinato partito. (Un po’ come da noi nel Nord-Est, dove la Lega è predominante rispetto ad altre zone del Paese). Pur di garantirsi la rielezione disegnò un nuovo collegio elettoraleconconfiniparticolarmentetortuosi, inmodo daescludere lezonea luisfavorevoli. Le linee del collegio erano così irregolari da farlo somigliare a una “salamandra” , salamander in inglese. Da qui iltermine per definire il sistema inventato dalprecursoredei nostriScelba e Calderoli: “Gerrymandering”, nato dalla fusione del nome dell’inventore con “salamander”. Il Gerrymandering varcò l’Atlantico e fu adottato dai lealisti, che disegnarono i nuovi collegi avendo come unico punto di riferimento la dislocazione della popolazione. I cattolici erano disseminati in poche zone di grandi dimensioni, ciascuna delle quali costituiva un singolo collegio, mentre i protestantierano concentrati inaree più piccole, tuttetrasformate incollegi elettorali. Ildiritto divoto fu limitato ai proprietari delle abitazioni in cui vivevano e agli inquilini che pagavano un regolare contratto di locazione e fu anche concesso il voto plurimo ai detentori di una rendita annua superiore alle dieci sterline e ai titolaridi società commerciali. Questiultimi potevano beneficiare di un numero divotitanto più cospicuo quanto più elevato erail loro potere economico eilgiro d’affari. Nonostante la superiorità numerica dei cattolici, pertanto, con questo campionario di schifezze i protestanti riuscirono a ottenere una netta maggioranza nelle elezioni municipali. Che meraviglia! Ma non è ancora finita. Ai sindaci spettava l’assegnazione delle abitazioni, da cui scaturiva il diritto di voto! Risultato: le abitazioni belle e confortevoli finirono nelle mani dei protestanti mentre i cattolici furono confinati in misere pensioni familiari, quando non in ancora più misere camere ammobiliate, prive di ogni confort. Siffatta condizione, come scritto sopra, li privava del diritto di voto. Manco a dirlo, era più facile trovare un ago in un pagliaio che un cattolico impiegato, anche con modeste mansioni, in un ufficio pubblico. Nel primo capitolo abbiamo parlato del Government Ireland Act, varato nel 1920, che contemplava il divieto di ogni discriminazione e conferiva particolare peso a quelle di carattere religioso. Le mostruose limitazioni delle libertà fondamentali inferte ai cattolici, pertanto, costituivano una palese violazione della legge Il Governo di Londra aveva piena sovranità sulle questioni nord-irlandesi e il diritto-dovere di intervenire per reprimere ogni abuso. Sperare in un intervento per punire i fedeli sudditi protestanti, tuttavia, è un po’ come sperare che, ai giorni nostri, Putin punisca Lukashenko e Kadyrov per i crimini commessi in Bielorussia e Cecenia, e dal secondo anche in Ucraina Gli anni, in Nord Irlanda, si susseguivano lenti e monotoni, registrando il continuo strapotere dei protestanti e le miserevoli condizioni dei cattolici, che non avevano neanche la forza di ribellarsi.
Nell’Irlanda libera le cose andavano decisamente meglio, anche se la povertà non mancava e molti irlandesi continuarono ad alimentare il flusso migratorio verso gli USA. Al termine della guerra civile, il politico di razza di cui abbiamo parlato nel primo capitolo, Eamon de Valera, divenne la figurapiù rappresentativadel “Sinn Féin”, senzaperòpossedere ilcarisma e lacapacità condizionante del defunto Michael Collins. Sull’impossibilità di riprendere la lotta armata erano quasi tutti d’accordo, ma De Valera tentò di convincere gli amici che l’immobilismo solidificatosi con la fine delle ostilità non avrebbe portato a nulla di buono: bisognava conquistare politicamente un potere in grado di rompere definitivamente i ponti con la monarchia e trasformare lo “Stato Libero d’Irlanda”
in una repubblica. L’ambizioso progetto, tutto sommato, era ben valido, ma richiedeva, appunto, quel carisma che De Valera non possedeva, affinché potesse essere imposto a “galletti” che avevano iniziato a beccarsi l’un l’altro, essendo morta l’unica persona in grado di dettare una linea senza che altrifiatassero. (Unpo’comeaccadde nel MSI quando Almirante, cheriuscivaatenere sotto controllo le diverse e contraddittorie anime, lasciò la segreteria del partito e dei somarelli incominciarono a nitrire autopromuovendosi cavalli di razza). De Valera capì subito che con quei soggetti non avrebbe cavato un ragno dal buco e non ci pensò due volte a salutarli e a fondare, nel 1926, il Fianna Fáil (Soldatidel Destino), conferendogliun’impronta di centro-sinistra, benpresto abbandonata, però, per coprire quell’area di centro-destra che risultava particolarmente attrattiva per la maggioranza degli elettori moderati. Avviò subito una campagna di netto contrasto al Cumann na nGaedheal, partito al potere dal 1923 e favorevole al Trattato del 1921, con discreti successi sin dall’esordio nell’agone politico: nel 1927 si tennero due elezioni legislative che gli assicurarono rispettivamente 44 seggi (su 153) nella prima e 57 nella seconda. Nei cinque anni successivi, con una martellante campagna propagandistica, conquistò crescente consenso popolare e creò le premesse per vincere le elezioni del 1932, ottenendo ben 72 seggi. Insediatosi come presidente del Consiglio esecutivo, provvide subito a varare una profonda revisione costituzionale, approvata con un referendum popolare e divenuta esecutiva nel1937. Lo “Stato libero d’Irlanda” mutò ilproprio nome in “Irlanda”o “Éire”, nelrispetto dell’etimo gaelico. Fu introdotta anche la carica di presidente dell’Irlanda, che subentrava a quella di governatore generale. Il Consiglio esecutivo fu definito “Governo”, dotato di maggiori poteri e guidato da un “Taoiseach” (termine gaelico che si può tradurre con “capo”). Tra i dettami più importanti della Costituzione figuravano: il riferimento al territorio nazionale, che inglobava l’intera isola (aperta sfida alla sovranità della Gran Bretagna sui territori del Nord); il riconoscimento della posizione speciale del cattolicesimo romano in contrapposizione alla chiesa anglicana del Regno Unito; l’adozione della lingua irlandese come lingua nazionale e il declassamento dell’inglese a seconda linguaufficiale. Ilmonarcad’Inghilterra, comunque(all’epocaGiorgio V, nonno dell’attuale regina), manteneva il titolo di “Re d’Irlanda” e le funzioni di rappresentanza nelle relazioni diplomatiche e internazionali, precluse al presidente. Il primo presidente della Repubblica d’Irlanda fu Douglas Hyde, che restò in carica dal giugno 1938 al giugno 1945. Uomo di grande cultura, poeta e scrittore, condusse una strenua battaglia per la rivalutazione dell’antica lingua gaelica, fondando con altri poeti, scrittori e intellettuali la Gaelic League (Conradh na Gaeilge), che si prefiggeva di promuovere la rinascita dello spirito nazionale irlandese, comunque minato dalla forte influenza inglese: la lingua, come noto, è il primo elemento di ogni effettivo dominio. Il vero padrone dell’Irlanda , però, era il cinico e freddo De Valera, che di fatto condizionava ogni attività politica e giocava contemporaneamente, con grande abilità, su tutti i fronti. Dopo la vittoria del1932, che scioccò la Corona inglese, capìche doveva approfittaredelvento favorevole per diventare ancora più forte: sciolse il Parlamento, indisse nuove elezioni nel 1933 e portò il partito dal 44,5% al 49,7%, conquistando settantasette seggi. Per il Fianna Fáil fu l’inizio di una lunga gestione del potere che ha subìto solo brevissime interruzioni: dal 1932 al 2011 ha governato per diciannove legislature e un totale di sessantatré anni. Nel 2011 andò all’opposizione grazie alla vittoria del Fine Gael (Famiglia degli irlandesi), altro partito dicentro-destranato nel1933 dall’unioneditrepartitichea loro voltaavevano radici nel Sinn Féin; nel2016 hasostenutoilgoverno Varadkar, leader del Fine Gael, enel2020ètornato alpotereconl’attualeTaoiseach, MicheálMartin. In quanto a De Valera, la sua vita, seppure segnata da qualche anno di prigione e dalla sofferenza per non essere talvolta riuscito a imporsi come avrebbe voluto, è stata costellata da una serie infinita di successi sin dalla più tenera età. Nato negli USA, a New York, nel 1882, da madre irlandese e padre spagnolo (forse: vi sono voci discordanti in merito e molti sostengono che fosse il figlio di una ragazza madre), dopo un paio di anni fu portato dalla nonna materna, secondo alcune fonti a seguito della morte del padre. Di sicuro la madre restò negli USA e si risposò. Già nelle scuole primarie
emersero la dedizione allo studio e la nitida intelligenza: sempre primo della classe e plurivincitore di premi e borse di studio; docente di matematica a soli ventuno anni; presidente della Camera bassa del Parlamento dal 1919 al 1921; presidente della Repubblica d’Irlanda (non riconosciuta a livello internazionale) dal 1921 al 1922; Rettore dell’Università Nazionale d’Irlanda dal 1921 fino alla sua morte; presidente del Consiglio esecutivo dello Stato libero d’Irlanda dal 1932 al 1937; presidente dell’Assemblea generale della Società delle Nazioni dal 1938 al 1939; Primo Ministro dal 1937 al 1957, eccezion fatta per brevissimi periodi durante i quali si concesse gradevoli viaggi in USA, Australia, Nuova Zelanda e India; presidente dell’Irlanda dal 1959 al 1973, solo per citare gli incarichi istituzionali, ai quali vanno aggiunti gli importanti ruoli di capo partito, una bella collezione di lauree honoris causa, l’Ordine supremo del Cristo conferitogli da Papa Giovanni XXIII e tante altre cose che ora sicuramente mi sfuggono. Abbandonò i sentieri terreni nel 1975, a novantatré anni, ebbro di potere. Michael Collins, di cui era l’ombra delle scarpe, morì a soli trentadue anni, sicuramente per sua mano, con il forte tormento di essere stato la causa involontaria di una guerra fratricida. Pensava solo a combattere per il bene degli altri, Collins, e non aveva tempo per studiare Machiavelli e iclassici latini, daiquali invece De Valera traeva utili insegnamenti. Sui testi di Seneca sottolineò le frasi che utilizzò come modello per le proprie azioni: «Molto potente è chi ha sé stesso in proprio potere»; «La prima arte che devono imparare quelli che aspirano al potere è di essere capaci di sopportare l'odio». La necessità di utilizzare qualsiasi mezzo per raggiungere il fine prefissosi era già insita nel Dna e quindi dal “Principe” trasse precipuamente lo spunto per organizzare un movimento diriscossa nazionale contro “l’invasore straniero”, proprio come suggerito da Machiavelli ai Medici nella parte conclusiva della sua opera, con i ben noti toni accesi e di palpabile disprezzo nei confronti del «barbaro dominio che a ognuno puzza» Come già scritto nel primo capitolo, si rifiutò cinicamente di finanziare una fondazione dedicata all’eroe ammettendo che, un giorno, la Storia avrebbe riconosciuto la grandezza di Collins a sue spese. Così è stato, ovviamente, perché sarebbe davvero triste se taluni soggetti, ancorché capacidi vivereuna vita interaaggrappatialpotere,traagie lusso, dovessero anchecolorare le pagine belle della Storia, che devono restare di esclusiva pertinenza degli Eroi, rendendoli immortali.
Prima di addentrarci negli aspetti decisionali, connessi alla neutralità dell’Irlanda, bisogna considerare questitreaspettifondamentali: 1) Nelle conteedelNord l’arruolamento prescindevadalla volontà dei singoli: erano costretti a combattere nell’esercito inglese alla pari dei sudditi di tutte le altre colonie; 2) l’Éire, di fatto, dipendeva intutto eper tutto dalla GranBretagna, che assorbiva molti lavoratori, forniva le principali materie prime per l’industria ed esportava le risorse alimentari, a cominciare dal grano, per supplire alle forti carenze produttive interne; 3) lo scoppio della guerra spaccò ancora una volta in due correnti di pensiero gli irlandesi, o per meglio dire, in “tre”: i protestanti erano favorevoli ad appoggiare la Gran Bretagna nella lotta contro il nazismo; molti cattolici (ma non tutti) volevano approfittare dell’occasione per darle una definitiva spallata e ricongiungere le contee del Nord alla madre patria. In entrambe le fazioni religiose, poi, vi era chi vedeva nella guerra solo un aggravamento delle non certo rosee condizioni generali e manifestava apertamente la volontà di non schierarsi con nessuno. Tutti questi aspetti, ancorché assomiglianti a una intricata matassa, erano ben chiari a De Valera, il quale – nonostante avesse a disposizione una opzione della quale parlerò al termine del paragrafo - decise di sospendere la Costituzione varata nel 1937 e di varare un piano di emergenza (The Emergency) che consentiva al Governo di osservare, con poteri speciali, una stretta neutralità. Egli, infatti, almeno fino all’inizio del 1941, prevedeva la vittoria della Germania e quindi mantenne aperte le ambasciate dei Paesi dell’Asse, giocando abilmente con entrambi gli schieramenti. La neutralità, tuttavia, non significava essere
completamente fuori dalla guerra. La Gran Bretagna, infatti, non poté più assicurare la massiccia fornitura di beni primari e cibo, avendone bisogno per soddisfare le esigenze interne. A ciò si aggiungeva ilrisentimento per il mancato sostegno. Churchill pensò addirittura di invadere l’isola per occupare i porti e rendere più agevoli gli aiuti dagli Stati Uniti, le cui navi avrebbero corso meno rischi per la minore distanza da coprire inunOceano nelquale i sottomarini tedeschirappresentavano unagrave minaccia. Lastrettaneutralità, tuttavia, incominciò ascemarea mano amano che le vicende belliche volgevano a favore degli Alleati e va anche detto che oltre sessantamila irlandesi, violando le direttive governative, corsero ad arruolarsi come volontari nell’esercito inglese, pagando un triste tributo non solo per le perdite sul campo di battaglia ma anche per le conseguenze post belliche, poi mitigate gradualmente: essendo considerati disertori, quando tornarono in Irlanda ebbero vita dura e mancati riconoscimenti pensionistici.
Per amor di sintesi non faccio cenno ai progetti tedeschi sulla possibile invasione dell’Irlanda, naufragati sul nascere dal momento che l’impresa era ancora più difficile della paventata invasione dell’Inghilterra; dei rapporti dell’IRA con i tedeschi, che vi furono ma non portarono a nessuna particolare azione effettiva perché questi ultimi si resero conto che non potevano contare né su un marcato sostegno armato nésuunefficacesupporto logistico;ad altriaspettinon marginali, matroppo complessi per essere esplicitati in questo mini-saggio e che vanno approfonditi leggendo i testi segnalati nella bibliografia essenziale. L’unico dato importante che nonpuò essere sottaciuto riguarda ancora una volta De Valera. Nel1970 fu reso pubblico dal Governo inglese ciò che avvenne all’inizio della guerra: tutti i Paesi ostili alla Germania fecero forti pressioni affinché l’Irlanda si schierasse apertamente al fianco dell’Inghilterra. Il sostegno sarebbe stato molto importante, sia per la maggiore disponibilità di soldati sia (o forse soprattutto) per l’utilizzo dell’isola come strategica base logistica. In cambio fu promesso che, al termine della guerra, la questione irlandese sarebbe stata ridiscussa e, qualora i nord-irlandesi fossero stati d’accordo, le contee del nord si sarebbero riunite all’Éire, coronando in tal modo il sogno di tutti coloro che volevano “A nation once again”. De Valera, però, come già detto, era convinto che la guerra sarebbe stata vinta dai tedeschi e in più, per indole, non si fidava della parola dei governanti inglesi e pertanto rifiutò la proposta. Purtroppo non sapremo mai cosa sarebbe realmente accaduto alla fine della guerra in caso di accettazione, ma è lecito sostenere che se De Valera si fosse cautelato con un documento sottoscritto in presenza dei rappresentanti degli altri Paesi alleati, difficilmente Churchill avrebbe potuto non onorare l’impegno. L’avventata decisione, pertanto, ha fatto sì che uno dei più grandi problemi della storia umana, risolvibile nel 1945, perduri ancora oggi. De Valera, il 2 maggio 1945, firmò anche il libro di condoglianze per la morte di Hitler nella sede dell’ambasciata tedesca L’Unione Sovietica si vendicò per il mancato sostegno bellico bloccando l’ingresso dell’Irlanda nelle Nazioni Unite fino al dicembre 1955. Nel 1949, intanto, il Paese cessò definitivamente di essere un dominio della Corona inglese.
Conquistata la totale indipendenza, in Irlanda si avviò un lento processo di stabilizzazione che consentì rapporti più stretti ed armonici con l’eterna rivale dirimpettaia. I partiti di centro-destra che sisono succedutialpotere, Fianna Fáil e Fine Gael, nonhanno mairinunciato alsogno diriannettersi pacificamente le contee del Nord e siffatto proposito li ha indotti a collaborare col Governo inglese nella repressione dell’Irish Republican Army. Il Sinn Féin, infatti, partito di riferimento dei patrioti nord-irlandesi, si è rifiutato di partecipare alle elezioni politiche nell’Éire fino al 1980 proprio per questo motivo. Passato sotto la guida di Gerry Adams, l’ultimo eroe della “vecchia” IRA (nato nel 1948 echeconosceremo meglio nellaterzapartedell’articolo), hainiziato inquelperiodo apresentare la propria lista, guadagnando crescenti consensi e, nelle elezioni del 2020, addirittura la maggioranza relativa, obbligando il capo del Fianna Fail a formare un governo di coalizione con i Verdi e il Fine
Gael di Leo Varadkar, che glisuccederà alla guida delGoverno alla fine del 2022. Il bislacco sistema elettorale irlandese, infatti (“Voto singolo trasferibile”), sulle cui complesse caratteristiche non mi soffermo per evitare inutili emicranie, non ha consentito al Sinn Féin di formare un governo: con quasi due punti di percentuale in più (24,5 contro 22,2) ha ottenuto lo stesso numero di seggi del Fianna Fáil (37) e solo due seggi in più del Fine Gael, che si è fermato al 20,9%. In teoria avrebbe potuto formarlo alleandosi con tutti gli altri partiti (compreso i Verdi, però) raggiungendo complessivamente 87 seggi (maggioranza 81), ma ciò non si è reso possibile, ufficialmente per l’opposizione riservata al partito guidato da un uomo che, un tempo, era un leader dell’IRA. Il vero motivo, invece, è ben diverso: nonostante il Sinn Féin non sia più guidato da Gerry Adams sin dal 2018 (l’attuale leader è Mary Lou McDondald) e l’IRA, tra l’altro nel dopoguerra operativa solo nel Nord-Irlanda, avesse cessato ogni attività paramilitare sin dagli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, a nessuno faceva piacere allearsi con un partito che, anche simbolicamente, aleggiava intorno alla figura carismatica di un gigante come Gerry Adams. I nani non amano il confronto con i giganti e preferiscono allearsi tra loro.
Sotto il profilo socio-economico, nel dopoguerra vanno distinte tre fasi temporali: la prima va daglianni Cinquanta agli anniNovanta; la seconda daglianni Novanta alla Brexit; la terza dalla Brexit ai giorni nostri. I due partiti di centro-destra egemoni “avevano fame” essendo composti di uomini che la fame l’avevano patita davvero e si erano barcamenati negli anni difficili per restare a galla in un mare paludoso, rinunciando a ogni attività che potesse nuocere loro più di tanto. (Non dimentichiamo che, seppur divisi tra loro, erano tutti “allievi” del torbido De Valera). Una volta conquistato il potere, non essendo attrezzati idealmente per gestirlo secondo quei principi etici che erano esclusiva prerogativa del Sinn Féin, si diedero alla pazza gioia predatoria delle risorse pubbliche, creando disastri di bilancio aggravati dalla recessione economica globale che si registrò negli anni Settanta. I tassi di interesse arrivarono al 60% e l’altissima disoccupazione generò un nuovo flusso migratorio verso gli USA e anche verso l’Inghilterra. Corruzione ed evasione fiscale raggiunsero livelli “italiani” e la stragrande maggioranza dei cittadini oltrepassò la soglia di povertà. Purtroppo quel periodo fu caratterizzato anche dall’assenza dell’Istituzione che, più di ogni altra, in un Paese cattolico, avrebbe dovuto fungere da freno inibitore di ogni devianza. La Chiesa, infatti, parte integrante della cultura del Paese e strettamente legata al potere politico, invece di mondarlo dalle malsane tentazioni, si è fatta essa stessa contaminare per oltre un ventennio dalle deprecabili derive culminate, nella loro essenza più grave, in oltre quindicimila casi di abusi sessuali, molti dei quali riguardanti minori o addirittura bambini. Le belle fanciulle irlandesi, nel fiore della loro adolescenza e gioventù, pregne di catechesi imposta sin dalla più tenera età, trovavano nel parroco il punto di riferimento naturale per chiedere consigli sui primi amori e su qualsiasi altro argomento a quei tempi ancora non facilmente gestibili in ambito familiare o scolastico Tanti parroci non seppero resistere al candore di quelle ragazzine, che si approcciavano in sacrestia con abitini che ne mettevano in bella mostra le graziose forme, corti come la moda imponeva e spesso realizzati dalle abili mani delle mamme e delle nonne con le sottili stoffe comprate a buon prezzo nei mercatini rionali, che rendevano quelli estivi troppo leggeri e trasparenti. La fresca bellezza intrisa di “innocente” sexy appeal e l’evidente ingenuità di chi nutriva fiducia estrema nei confronti di soggetti che indossavano l’abito talare, facevano girare la testa, stimolando i sensi. Le fanciulle desiderose di aiuto non facevano certo caso a quelle mani che accarezzavano le gambe, salendo sempre più su, mentre una voce tremula dispensava consigli sull’amore che move il sole e l’altre stelle, ritenendo il gesto semplicemente affettuoso, almeno fino al momento in cui era troppo tardi per considerarlo di tutt’altra natura. Non occorreva molta fatica per rubare la loro innocenza e in tanti ne approfittarono, piegando alle loro torbide pulsioni anche i maschietti, che sitrovavano nella stesa condizione disoggezione psicologica,
senza alcuna possibilità di difesa. Nell’agosto 2018, a Dublino, per la prima volta papa Francesco si scusò pubblicamente per le atrocità commesse dai sacerdoti della Chiesa cattolica irlandese. Negli anni Novanta, grazie al forte sviluppo del settore edilizio ed immobiliare, iniziò un periodo d’oro per l’Irlanda, non a caso definita “Tigre celtica”. La disoccupazione fu quasi azzerata e il Pil registrò vertiginose crescite anno dopo anno. Una politica di bassa tassazione sulle imprese funse da richiamo per le principali multinazionali del Pianeta, che ivi trasferirono le loro sedi legali, creando nuova occupazione e ulteriore sviluppo. Nel 2008 l’Irlanda aveva il Pil pro capite più alto della zona Euro. La crescita veloce e indiscriminata, però, come del resto accaduto anche in altri Paesi, non fu accompagnata da un adeguato sviluppo dei servizi sociali, delle infrastrutture e di tutto ciò che consente a un Paese di prosperare potendo contare su basi solide. Il credito facile concesso alle imprese, l’importazionedi manodoperael’altaredditivitàdelsettoreavevano reso ilPaesetotalmente dipendente dal mercato edile-immobiliare. Tale situazione determinò una sopravvalutazione dei prezzi delle case maggiore del 30%. Fu l’inizio di quella bolla immobiliare che portò al collasso delle banche, indebitatesi oltre ogni normale logica di mercato. Il Governo fu costretto a nazionalizzare quelle più importanti, con effettidevastanti nell’economia del Paese, che vide dicolpo salire vertiginosamente anche il tasso di disoccupazione. Dopo anni molto bui, grazie agli aiuti comunitari e ai drastici tagli alla spesa pubblica si incominciò a registrare una lenta ripresa che, insieme con i vantaggi fiscali concessi alle imprese estere, ha consentito all’Irlanda se non proprio di tornare a ruggire come negli anni d’oro, di trasformarsi almeno inuna Fenice Celtica, secondo da definizione coniata daglianalistidel prestigioso quotidiano “The Economist”. La definizione, che rimandava alla capacità di risorgere dalle proprie ceneri, faceva leva precipuamente sulla connessione tra capitali, incentivi statali, forza lavoro di qualità, una lingua che favorisce l’internazionalizzazione e il progressivo riassorbimento della disoccupazione. Maètuttooro quello che luccica?Secondo PaulKrugman, vincitoredelpremio Nobelper l’economia nel 2008, la realtà è ben diversa. Le multinazionali presenti sul territorio, producendo altrove, determinavano un impatto irrisorio sull’occupazione interna, come dimostrato dagli oltre 40.000 irlandesi costretti a lasciare l’isola anche negli anni della ripresa economica Nel 2016, intanto, una grossa nuvola si addensò sulla vicina Inghilterra, estendendosi nelle aree territoriali limitrofe sotto il suo dominio e, di riflesso, anche nell’Éire. Una nuvola nota in tutto il mondo con il termine “Brexit”.
(Continua nel prossimo numero)
A scanso di equivoci, essendo questo il Paese di Machiavelli; di “Franza o Spagna purché se magna”; del Gattopardo; di Ludovico il Moro e Piero de’ Medici, che accolsero festosamente il re francese disceso in armi pensando di dover combattere per conquistare i territori ambiti; della battaglia di Fornovo, dove l’esercito in ritirata del re di cui sopra, accerchiato e in netta minoranza numerica, le suonò di bruttoalla Lega Italica, il cui comandante in capo, però, ordinò ad Andrea Mantegna di dipingere “La Madonna della Vittoria”, ancora oggi causa di forte emicrania per i visitatori del Louvre che non riescono a capire perché nella didascalia sia scritto “Eseguita su commissione di Francesco Gonzaga come ringraziamento per la vittoria riportata dal marchese sui Francesi presso Fornovo nel 1495”; di politici capaci di cambiare partiti con la disinvoltura necessaria alle modelle per i cambi d’abito durante le sfilate ed esaltare enfaticamente la loro coerenza morale e intellettuale; essendo anche il Paese di tanti altri soggetti che fanno diventare un dilettante alle prime armi dell’intrallazzo il pur scaltro Enrico di Navarra, con il suo “Parigi val bene una messa”, dico subito che, alle ultime elezioni politiche, ho infoltito l’alto numero degli astensionisti, avendo da tempo rinunciato alla logica “del male minore”, come scritto in un bell’articolo del 12 agosto, reperibile nel blog www.galvanor.wordpress.com. Il primo che si azzardi solo a pensare, pertanto, che questo articolo possa configurarsi in qualche modo come “captatio benevolentiae” nei confronti di chi si appresta a governare l’Italia, deve mordersi la lingua a sangue. Ho pagato un prezzo altissimo per mantenere sempre la schiena dritta, navigando in un mare tempestoso per oltre mezzo secolo, senza affondare, nonostante con un semplice schiocco di dita avrei potuto godere gli agi delle acque placide, figuriamoci se la piego ora, nel pieno della… “seconda gioventù”.
Il titolodell’articolo, pertanto, insegnoaugurale, è mutuatodall’EurovisionSongContest 2021. L’Italia aveva in gara i Maneskin, freschi di vittoria al Festival di Sanremo e sbocciati da soli quattro anni grazie al talent show “X Factor”, di cui furono i veri trionfatori, nonostante fossero arrivati secondi, perché del vincitore non ricordiamo né il nome né che fine abbia fatto Durante la lunga serata dell’Eurofestival in pochi puntarono sull’effettiva possibilità di vittoria che, come noto, scaturisce dai voti provenienti dagli altri Paesi in gara. I conduttori, pertanto, ad ogni votazione ripetevano la frase “Non succede, ma se succede…”, con crescente pathos a mano a mano che, votazione dopo votazione, il gruppo superava i concorrenti avvicinandosi alle posizioni di vertice. Alla fine“successe” davvero einpocotempoil gruppo musicale è diventatoil più seguito del mondo.
Dalla fondazione di Roma ai giorni nostri sono trascorsi circa tremila anni e chi ben conosce la storia non è che si faccia troppe illusioni su una radicale “trasformazione” dell’italico DNA. Qualcosa si sta muovendo, tuttavia. Non succede… ma se succede…, anche in piccola parte, sarebbe davvero qualcosa di meraviglioso. Di seguito alcune linee guida sui principali temi all’ordine del giorno, riservando ad altra occasione, dopo aver visto come si muoverà il nuovo Esecutivo, un’analisi più approfondita.
Volente o nolente, per la prima volta dalla fine della guerra, il Paese sarà guidato da una coalizione politica sostanzialmente diversa dalle precedenti. Pur considerando, infatti, che le componenti di cui è costituita abbiano già avuto esperienze di governo, è ben evidente che la differenza rispetto al passato sia notevole, essendo stato sostituito il vecchio e coriaceo front man con una front woman che sta dimostrando, con i fatti, carattere e carisma. È appena il caso di ricordare, tanto per arare ancora meglio il terreno sul quale sarà scritto il prosieguo dell’articolo, che proprio la presenza del vecchio front man ha impedito a milioni di persone di recarsi alleurne, limitandouna vittoria che, sefossestata solo leggermentepiù sostanziosa, avrebbeconsentito al Parlamento di muoversi con maggiore agilità, soprattutto sul piano delle riforme costituzionali. L’augurio sincero, pertanto, è che presto quella ingombrante fetta di coalizione si dissolva come i pericolosi iceberg che, scivolando sempre più giù nell’Atlantico, si trasformano in innocui cubetti di ghiaccio. Quegli “appunti” osceni1 che stanno facendo il giro del mondo, diciamolo senza tanti giri di parole, confermano in modo inequivocabile ciò che, almeno chi scrive, ribadisce da sempre.
“Promissio boni viri est obligatio” e pertanto non è nemmeno il caso di soffermarsi troppo su questo punto. Bisogna perseguire con fermezza e determinazione l’obiettivo e pazienza se si renderà necessaria la dura battaglia referendaria per colpa di chi ha indotto ben 16.666.364 elettori, più o meno equamente divisi tra destra e sinistra, a schifare la politica ed astenersi dal voto Una sola precisazione: “Repubblica presidenziale” si compone di sole due parole e non vi è alcun bisogno di spiegare in cosa consista. Restino inalterate, le due parole, senza quel prefisso (semi) la cui eco mi è giunta alle orecchie anche se solo di sfuggita Tra un vino riserva speciale da mille euro e un buon vino che ne costi 90/100, potendo scegliere “gratuitamente” quale portarsi a casa, non vedo perché non si debba puntare sul primo.
Serve ribadire ancora una volta quanto sia disastroso l’attuale assetto amministrativo? Non serve. Una repubblica presidenziale, del resto, si sposa bene con uno Stato federale che preveda non più di due-tre macroregioni rette da un governatore. (Per quanto mi riguarda non avrei alcuna difficoltà nel ripristinare lo Stato unitario, ma non voglio tirare troppo la corda). Alla Sicilia e alla Sardegna, a prescindere dall’assetto che dovesse realizzarsi, si revochi la facoltà dello “statuto speciale” – inutile perdere tempo a spiegare il perchéda preservare solo per le altre regioni che ne beneficiano in virtù di “reali” ragioni storiche e geografiche. Via anche le amministrazioni provinciali, con trasferimento delle funzioni alle prefetture, e si accorpino i piccoli comuni affinché la popolazione non sia inferiore ai quindicimila abitanti, in modo da evitare “centri di potere” che servono solo a favorire il clientelismo
Lungi da me l’idea di essere indulgente nei confronti dei cinghiali che invadono i centri abitati, visti in tanti filmati trasmessi dalle emittenti televisive oramai con cadenza quasi quotidiana. Filmati per certi versi divertenti, senza che però attenuino i timori di molte persone, soprattutto dei genitori che non vorrebbero mai vedere i loro pargoletti imbattersi nel selvatico mammifero mentre giocano placidamente per strada o in qualsiasi altro luogo. Per fortuna, almeno fino ad oggi, al di là dei disastri causati nei campi agricoli, non si registrano danni alle persone, ma è evidente che il problema vada affrontato e risolto, anche se non è certo il più grave che affligge il Paese, come traspare dal titolo metaforico conferito a questa sezione dell’articolo. Le iene, infatti – quelle a quattro zampe – non costituiscono alcuna minaccia essendo assenti dai nostri territori. Molto pericolose, invece, sono quelle a due zampe, capaci di approfittare di qualsivoglia circostanza per trasformarla inunvantaggiopersonale, attuandoconuncinismocheatterrisceilconcetto “mors tua vita mea”.
In questo periodo stanno assurgendo alla ribalta della cronaca, per esempio, i gestori delle società che controllano il mercato dell’energia, responsabili, come ha giustamente osservato il presidente Mattarella, di speculazioni intollerabili che minano la coesione sociale e non hanno nulla a che vedere con i pur gravi effetti causati dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Speculazioni che vanno fermate subito per tutelare i cittadini, i lavoratori prossimi al licenziamento (o già licenziati) per la chiusura delle aziende che non possono sostenere i pazzeschi e ingiustificati aumenti dei costi energetici e le stesse aziende che, con la loro chiusura, fanno perdere competitività al Paese nei mercati esteri, soprattutto nei settori che da sempre contribuiscono sensibilmente alla ricchezza nazionale.
A queste nuove leve di famelici predatori vanno aggiunte le iene “storiche”, che depredano sistematicamente il Paese grazie alla scellerata privatizzazione dei servizi sociali primari e al decentramento amministrativo di quello più importante: la sanità. Si ritorni all’antico, quindi, con una gestione centralizzata dei trasporti, dell’energia, delle comunicazioni, in modo da evitare i guasti di un libero mercato che, lungi dal determinare vantaggi per i cittadini in virtù della concorrenza, li penalizza grazie ai cartelli aziendali e a metodiche truffaldine che di certo un sistema statalizzato non potrebbe permettersi. La sanità ritorni ad essere gestita a livello ministeriale con norme valide su tutto il territorio nazionale, in modo da sopprimere l’attuale caos, utile solo a chi da esso trae vantaggi. Lo stesso si faccia per le Poste, che devono ritornare ad essere “un servizio sociale” per gli “utenti”, rinunciando al ruolo di “struttura commerciale” che ha trasformato i cittadini in “clienti”.
Il ritorno all’antico, sia ben chiaro, deve riguardare precipuamente la “formula gestionale”, rifuggendo dalle logiche distoniche proprie del vecchio pentapartito, che comunque consentivano sprechi e ruberie: gestione
centralizzata, quindi, ma conrigida applicazione disevereregole che impediscanoai dipendenti di farei “porci comodi loro” come avveniva in passato e, allo stesso tempo, ai vertici dei vari enti di “sfruttare i lavoratori”, come accade ora, stressandoli fino alla depressione, con conseguente penalizzazione della qualità dei servizi.
Questo è uno dei temi più scottanti e una riforma radicale è necessaria almeno quanto l’acqua che disseta il viandante nel deserto. In primis bisogna meglio bilanciare il rapporto tra potere politico e potere giudiziario, in modo che la separazione sia sostanziale e non formale: oggi è decisamente sbilanciata a favore del potere politico. Vanno ridefinite, pertanto, le competenze del Ministero della Giustizia in modo che non “sia” e non “appaia” un organo gerarchicamente superiore al CSM, con revisione dell’art. 107 della Costituzione e revoca al ministro della facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati, che deve restare di esclusiva pertinenza del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione. Va anche abolita la norma che prevede la nomina parlamentare di 1/3 dei membri del CSM, fonte primaria di tanti guasti che hanno minato e continuano a minare il settore giudiziario. Sul fronte prettamente operativo bisogna adeguare il vecchio codice penale alle molteplici mutazioni sociali registratesi nell’ultimo trentennio. I gradi di giudizio, ai fini della sentenza definitiva, vanno ridotti da tre a due, senza comunque precludere la facoltà del ricorso alla Corte di Cassazione. Con duegradidigiudizio, incaso di condanna edi trasferimentoimmediatoincarcere, passerebbe la voglia di ricorrere in Cassazione a meno che non si fosse “più che sicuri” di poter contare su una sentenza favorevole. Il consistente calo dei ricorsi ridurrebbe sensibilmente i tempi per la conclusione dei processi, ottenendo finalmente uno dei risultati più ambiti. Prescrizione: da abolire senza se e senza ma ed evitiamo di scendere nei dettagli in questo contesto, avendone già parlato diffusamente in molti altri articoli, così come fattoanche per la separazione delle carriere, altro italico nonsense, che obbligherebbe un magistratoa svolgere la stessa funzione per tutta la vita. (Il 12 giugno scorso il popolo italiano ha boicottato in massa unreferendum sulla Giustizia che, tra gli altri punti, prevedeva anche la separazione delle carriere: in caso di vittoria del “Sì” , avrebbe aggravato i problemi invece di risolverli).
Il rispetto della dignità degli esseri umani è uno dei cardini di uno Stato di diritto e deve riguardare tutti, anche i detenuti: ce lo ricordano ogni giorno i membri delle tante associazioni che si battono per i loro diritti e a nessuno viene in mente di sostenere il contrario. È su come risolvere il problema che vi è qualche differenza Loro propongono, per esempio, di eliminare l’affollamento delle carceri, cosa senz’altro grave e deprecabile, liberando i delinquenti in eccesso rispetto alla capienza dei singoli istituti di pena. Questa soluzione – absit iniuria verbis - riportaalla menteuna famosa espressionedi Fantozzi dopoaver visto “La corazzataPotëmkin” e pertanto ritengo che sia molto più logico, e soprattutto “più giusto”, costruire nuove carceri, considerato che i delinquenti aumentano anno dopo anno anziché diminuire.
Si veda il numero 93 di CONFINI (marzo 2021) “Pubblica distruzione”; art. pag. 13: “La buona scuola?”. Poi ne riparleremo.
Si vedano i seguenti numeri di CONFINI: 55 (giugno 2017) pag. 9; 89 (ottobre 2020), pag. 4; 100 (novembre 2021) pag. 4. Relativamente alla contingenza attuale, che sta “resuscitando” la tentazione nucleare, ne riparleremo con in un prossimo numero. Per soddisfare la legittima curiosità dico semplicemente che non ho mai ragionato in termini “radicali” e affronto ogni problema senza pregiudizi ideologici o strumentali. Nell’insieme il quadro è chiaro e non mi sfuggono le sfumature che hanno indotto “anche” la giovanissima “mia erede” Greta Thunberg a sostenere: «Se proprio si devono fare delle scelte forzate, meglio il nucleare del carbone». Comprendo pienamente la “fredda” razionalità della giovane ambientalista e aggiungo solo – per ora – che ho il triplo della sua età e ho trascorso gran parte della vita a combattere e “a vincere” le battaglie contro il nucleare e ciò, evidentemente, ha il suo peso nelle analisi. Ma come dicevo, ne riparleremo.
Metto insieme questi due argomenti, perché strettamente legati. È ben chiaro che la scellerata riforma Fornero vada abolita, ma dissento sia sulla proposta “Opzione Uomo” (pensione anticipata a 58-59 anni con 35 anni di
contributi e ricalcolo dell’assegno tutto contributivo, come già accade per “Opzione Donna” , con una riduzione dell’assegno di un bel 30%) sia “Quota 41” (che prevede il pensionamento anticipato a chi abbia raggiunto 41 anni di versamenti a prescindere dall’età anagrafica. Ma quanti sono? E soprattutto: quanti saranno?)
“Quota 100” era perfetta e molto equilibrata e non mi convincono i ragionamenti di chi spinga a lavorare fino a tarda età. Bisogna fare di tutto per creare i presupposti affinché si possa lasciare il lavoro, con dignitosa pensione, a non oltre 63 anni. Sorvolando sulle “chiacchiere” dette da qualcuno in campagna elettorale, alle quali ovviamente nessuno ha creduto, bisogna incidere in qualche modo sulle pensioni al di sotto dei 1 500,00 euro netti ein modopiù incisivosu quelle mortificanti, aldi sotto dei 600,00 euro netti. Una strada percorribile è quella della riduzione graduale dell’Irpef, che di fatto consentirebbe già un sensibile aumento, ma di sicuro un Governo che voglia davvero essere vicino “agli ultimi” deve fare di più e meglio di quanto da me descritto. Sul fronte delle tasse sarò semplicemente drastico: ridurre sensibilmente l’Irpef sui redditi fino a 30.000,00 euro netti, aumentarli in modo razionale e “congruo” a quelli superiori e combattere con “tolleranza zero” gli evasori fiscali.
La primavera è la stagione che più di ogni altra, da sempre, incanta poeti, artisti, letterati. “Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera”, sosteneva il grande Pablo Neruda. Riccardo Cocciante a primavera rinasceva cervo o gabbiano da scogliera, senza più niente da scordare, senza domande più da fare. Marina Rei, invece, respirava l’aria aspettando solo la primavera, proprio come i boiardi di Stato che aspirano a guidare Eni, Enel, Enav, Poste, Terna e Leonardo. Se il buongiorno si vede dal mattino, siamo sicuri che Giorgia Meloni nonsifarà mettereipiediintesta da nessuno edeffettuerà lemigliorisceltepossibili. Vedremo, perché primavera poi verrà, senza permetterci minimamente di aggiungere altro, per ora.
Parliamo, invece, di un organo sovranazionale molto importante, il cui attuale presidente, dopo ben otto anni di mandato, si appresta a dirigere la Banca centrale di Norvegia. Ci riferiamo, come da tutti inteso, a Stoltenberg e alla NATO. L’Italia, a quanto pare, è in pole position per la guida dell’importante Organismo di difesa militare, inun momentoparticolarmente delicato. ConunGovernoa guida Meloni mi sembra pura follia il solo dare credito ai nomi che giravano fino a poche settimane fa, a cominciare da Gentiloni, e per “delicatezza”tacciosuDraghi, ilcuinomepurefigurava tra ipapabili. Iounnomecel’avrei, ma nonlorivelerò nemmeno sotto tortura. Al massimo posso delineare le caratteristiche che vorrei vedere nell’uomo che guida la NATO, a prescindere dal nome che ho in mente: se europeo, dovrebbe come minimo essere un convinto europeista, non alla Macron, per intenderci, ma uno che abbia una vera coscienza “europea”, che gli consenta di sentirsi nella “sua patria” tanto a Roma o Berlino, quanto a Praga o Dublino o in qualsiasi altro luogo del Continente; deve essere esperto di “cose militari” e quindi è bene evitare banchieri e affini; unendo l’amore per l’Europa e la consapevolezza che l’unione faccia la forza, con estremo tatto ma grande determinazione, zitto zitto, quatto quatto, ma non troppo lentamente perché il tempo stringe, deve riuscire a convincere tutti gli stati membri dell’Unione Europea (alcuni dei quali non fanno parte della NATO, ma per fortuna sono pochi e saranno ancora di meno con la ratifica ufficiale dell’adesione della Svezia, alla quale si aggiungerà la Norvegia, che però non fa parte della UE) a formare una forza d’intervento, coordinata da un unico stato maggiore guidato da un generale che anche nel solo nome di battesimo trasmetta forte carisma (un nome come Giuseppenicola tutto attaccato, tanto per citarne uno a caso), che costituisca l’embrione di quell’esercito continentale che vedrà la luce con la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa Per far capire che è l’Europa il faro del mondo, poi, deve imporsi, sia pure elegantemente, anche nelle circostanzi formali, non consentendo, per esempio, che gli statunitensi mettano il formaggio grattugiato sulla pizza e bevano il cappuccino durante il pranzo. Non so se mi sono spiegato, spero di sì.
I talk show post elezioni politiche, gli articoli sulle principali testate giornalistiche, i commenti nei social media, stanno offrendo uno spaccato di un’Italia frastornata come non mai. Giovedì, 13 ottobre, Corrado Formigli, conduttore di Piazza Pulita, si è fatto soccorrere addirittura dal collega Giovanni Floris, che nella stessa rete conduce un talk show più o meno identico il martedì sera. Entrambi sembravano due maschere funerarie; parlavano, però, e ciò conferiva loro un’aura di talentuosi teatranti impegnati a recitare opere
shakespeariane o ibseniane. Peccato che non fossero a teatro ma in uno studio televisivo e discutessero seriamente.
Pasolini già nel 1974 sosteneva che non vi sia nulla di peggio del fascismo degli antifascisti. Quanto aveva ragione! Stanno diventando davvero stucchevoli le ore e ore di discussioni sul “pericolo fascista”, nonostante anche a sinistra qualcuno di buon senso non manchi e mandi tutti in un posto che per rispetto dei lettori non cito, perché non è “quel paese”.
Facciamola, allora, a conclusione di questo articolo, una bella provocazione per far diventare ancora più verdi di rabbia lefaccediFormigli eCo ; di queisaccenti enoiosi figuricheil venerdì sera, sempresu “la7”, pensano di prendere in giro il mondo intero ritenendosi i detentori delle verità assolute, di tutti i sinistrorsi e compagni di merenda che stanno vomitando fiele (e non solo) da circa un mese, ben intenzionati a continuare chissà per quanto altro tempo ancora. Nel numero 99 di CONFINI, “L’occidente perduto” (ottobre 2021), a pagina 39 vi è l’articolo “Il bla bla bla degli sciacalli”, nel quale, a fronte delle reiterate richieste di sciogliere “Forza Nuova”, ritenuto un partito “pericoloso per la tenuta democratica del Paese”, riportai i dati ottenuti alle varie elezioni politiche ed europee, sempre pari allo zero virgola qualcosa. Parimenti trascrissi un indirizzo stradale di una bella città della Virginia, Arlington, dove ha sede, cambiando spesso ubicazione logistica, udite udite, nientepopodimeno ché la sede legale del partito nazista statunitense! Eh sì, perché negli USA è legittimo fondare un partito caratterizzato da fuori di testa che predicano strampalate tesi di superiorità razziale e tutto lo stupidario europeo che quando viene trasferito negli USA assume sempre dilatazioni ancora più grottesche. Vogliamo davvero chiudere per sempre la bocca agli antifascisti di maniera? Bene! Cambiamola quella norma transitoria della Costituzione e diamo anche agli italiani la possibilità di “rifondare” il partito fascista in modo da rendere ben evidenti sia la (in)consistenza numerica degli elettori sia e soprattutto la in(consistenza) culturale e caratteriale, che tutto lasciano presagire fuorché un reale pericolo per la tenuta democratica del Paese. Che ne dite cari sinistrorsi dei mei stivali? A risultati acquisiti, quando vi renderete conto che in Italia non esiste alcun rischio di deriva democratica e che gli unici a dare fastidio, in ogni senso, siete voi, la smetterete di rompere i coglioni o continuerete all’infinito a sparare minchiate come gli scemi dei villaggi, i terrapiattisti, i complottisti e quegli strani tipi che dicono ogni giorno che domani verrà la fine del mondo? Sarebbe davvero bello scoprirlo.
NOTE
1 A futura memoria
Negli anni Cinquanta del secolo scorso gli unionisti del Nord Irlanda avviarono una feroce campagna repressiva nei confronti dei cattolici che, ovviamente, non smettevano mai di sognare la riunificazione con l’Eire La spirale di crescente violenza indusse le forze residue dell’Irish Republican Army, che nel Sud dell’isola oramai non avevano nemici da combattere, a correre in soccorso dei confratelli del Nord. Gli attentati contro numerose installazioni militari, però, non produssero alcun effetto positivo e servirono solo a far giungere in soccorso della Royal Ulster Constabulary (RUC, le forze dell’ordine locali) i reparti speciali dell’esercito inglese. Siamo alla fine degli anni Sessanta e ha inizio quel sanguinoso conflitto che è passato alla storia con il termine Troubles. I cattolici organizzavano continue manifestazioni pacifiche, sistematicamente represse con inaudita violenza Nell’IRA tutto ciò alimentò forti contrasti interni: alcuni militanti, infatti, accusarono apertamente il vertice dell’organizzazione di non essere in grado di contrastare le forze di occupazione e difendere adeguatamente le tante famiglie costrette a trasferirsi altrove, avendo avuto le case incendiate dai protestanti. I contrasti, divenuti insanabili, nel 1971 sfociarono nella scissione che diede vita al nuovo gruppo paramilitare Provisional Ira. Il nucleo storico, Official Ira, in breve tempo perse ogni consistenza operativa, essendo gli scissionisti superiori in ogni campo. Entrano in scena, pertanto, gli eroi che si dedicheranno anima e corpo a perseguire il sogno di A Nation Once Again, i più famosi dei quali sono Gerry Adams (nato nel 1948); Martin McGuinnes (1950-2017); Bobby Sands (1954-1981). Ancorché giovanissimi, i tre esprimevano una forte carica carismatica e fecero breccia nei cuori di migliaia di nordirlandesi, soprattutto coetanei, che corsero ad arruolarsi nelle brigate della nuova IRA, strutturatasi in un vero e proprio esercito. Gli scontri ripresero in ogni angolo del Nord Irlanda, concentrandosi precipuamente nelle due città “simbolo” della lotta di liberazione, Belfast e Derry, quest’ultima dagli inglesi rinominata sprezzantemente Londonderry.
La reazione non si fece attendere e la RUC ebbe l’ordine “di arrestare e internare chiunque fosse sospettato di essere un membro dell’IRA”. (Per comodità espressiva continuiamo a utilizzare il termine IRA, essendo ben chiaro che si fa sempre riferimento alla Provisional Ira). Gli ordini “espliciti”, in quel contesto, avevano sempre una larga estensione “implicita” facilmente intuibile e fedelmente interpretata tanto dalle forze di polizia quanto dai reparti speciali. I primi effetti si ebbero tra il nove e l’undici agosto 1971, con l’operazione “Demetrius”, che sfociò nel massacro passato alla storia col nome del quartiere occidentale di Belfast dove si erano rifugiati molti cattolici costretti ad abbandonare la zona orientale, a maggioranza protestante: “Massacro di Bullymurphy”. I super addestrati paracadutisti inglesi uccisero a sangue freddo undici civili disarmati, colpevoli solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono le prime vittime innocenti e ricordiamo i loro nomi, associandoli simbolicamente agli oltre duemila caduti, tra civili e combattenti dell’IRA, in trenta anni di guerriglia: Francis Quinn, 19 anni, ucciso a colpi di arma da fuoco da un cecchino mentre si recava a salvare un uomo ferito; Hugh Mullan (38), prete, anch’egli ucciso mentre si apprestava a soccorrere un
ferito; Joan Connolly (50), uccisa pur essendo relativamente lontana dal luogo degli scontri; Daniel Teggart (44), massacrato con ben quattordici fori di proiettile, la maggior parte dei quali sparati alla schiena, quando era già disteso a terra; Noel Phillips (20), anch’egli colpito alla schiena. Joseph Murphy (41), ferito mentre dava le spalle alla base militare inglese, fu imprigionato dall'esercito, torturato e fucilato in prigione; Edward Doherty (28), ucciso mentre passeggiava lungo Whiterock Road; Jean Laverty (20), colpito alla schiena; Joseph Corr (43), colpito più volte, morì per le ferite il 27 agosto; Jean McKerr (49), ferito mentre si trovava di fronte a una chiesa, morì il 20 agosto; Paddy McCarthy (44), morì d’infarto durante l'arresto: i soldati gli misero in bocca la canna di una pistola, dopo averla scaricata, premendo il grilletto per schernirlo e spaventarlo, ma lo sventurato non resse quei momenti di terrore Ci sono voluti ben cinquanta anni per imputare ufficialmente ai militari il massacro. La sentenza è stata emessa l’11 maggio 2021 dal tribunale di Belfast e ha spazzato via le tante inchieste farsa inscenate con l’intento di attribuire la responsabilità degli scontri ai civili. I paracadutisti sotto accusa, colpevoli anche di un altro massacro del quale parleremo tra poco, sono ora ultrasettantenni e sicuramente non faranno un solo giorno di prigione, ma la condanna che dovesse scaturire dal processo a loro carico avrebbe un alto valore simbolico, ben superiore alla pur più che meritata detenzione in carcere.
L’evento dei Troubles che più di ogni altro ha conquistato fama planetaria è quello verificatosi, solo cinque mesi dopo, nel quartiere Bogside di Derry, passato alla storia come Bloody Sunday e noto anche come Strage del Bogside In una tipica grigia domenica invernale, il 30 gennaio 1972, i cattolici iscritti alla Northern Ireland Civil Rights Association avevano organizzato una marcia pacifica di protesta contro l’esecutivo nord irlandese (Parlamento di Stormont) che, oltre ad essersi reso responsabile del succitato eccidio, aveva introdotto l’internamento senza processo dei cittadini solo sospettati di essere membri o fiancheggiatori dell’IRA e il divieto di ogni manifestazione di piazza. Il promotore della marcia fu il protestante Ivan Cooper, co-fondatore dell’associazione e, nel 1970, con tre amici, del SDLP (Partito social democratico e laburista, di cui divenne deputato), convinto assertore della pacifica convivenza tra le due fazioni religiose. Oltre quindicimila persone partirono dal Bishop Field con l’intento di raggiungere la sede del municipio, ubicato a poco più di due chilometri di distanza, sulla sponda occidentale del fiume Foyle. Non vi riuscirono perché la zona era protetta dai reparti speciali dell’esercito, che avevano eretto insormontabili barricate per fermare i “teppisti; terroristi; schifosi viscidi; pezzi di merda da mettere tutti al fresco entro stasera”, tanto per citare solo gli epiteti meno volgari utilizzati dagli ufficiali che diramavano gli ordini e dai soldati stessi. I manifestanti, pertanto, decisero di cambiare rotta e dirigersi verso il “Free Derry Corner”, seguendo le direttive di un concitato Ivan Cooper, che correva come un forsennato tra i manifestanti del suo gruppo, i soldati e i sopraggiunti militanti dell’IRA, per cercare di indurre tutti a mantenere la calma. Nel tragitto verso la nuova meta si registrarono piccole scaramucce, senza gravi conseguenze; poco dopo le sedici, però, ai paracadutisti inglesi fu dato l’ordine di oltrepassare le barriere e arrestare i manifestanti. Alla vista dei militari in posizione di attacco tutti si riversarono verso il Glenfada Park, in cerca di qualche via di fuga. Alcuni ebbero l’infelice idea di rifugiarsi nel parcheggio di una grande area residenziale denominata “Rossvile flats”, presumendo di potersi disperdere nelle stradine che separavano i palazzi; parimenti fecero coloro che si rifugiarono nel grande parcheggio del Glenfada Park. È in questa area che si consuma il dramma, artatamente fomentato dagli ufficiali inglesi, insensibili anche ai richiami delle forze
dell’ordine, che avevano intuito ciò che si stava orchestrando e tentarono invano di fermarli. Parliamo comunque di agenti della RUC che, in questa fase, dimostrarono maggiore umanità rispetto ai militari, chiedendo espressamente che i manifestanti ultimassero la pacifica marcia senza essere disturbati. I paracadutisti, però, avevano altri ordini e soprattutto erano animati da ben altri propositi, retaggio di quell’odio profondo nei confronti degli irlandesi, tanto irrazionale quanto ingiustificato, essendo loro gli invasori. Erano in trappola, i poveri manifestanti, e non avevano alcuna possibilità di sfuggire all’accerchiamento praticato da coloro che sono considerati tra i migliori soldati del mondo. La scena è surreale. In lontananza già si sentono i primi colpi mentre Ivan Cooper arringa la folla da un palco improvvisato, cercando di non far trasparire tensione e preoccupazione Esordisce plaudendo all’iniziativa, alla massiccia adesione di popolo a una marcia che si propone di far comprendere la necessità di un cambiamento radicale che porti alla fine dell’egemonia unionista. Concetto – non sembri superfluo ribadirlo –di pregnante importanza proprio perché espresso da un protestante. «La scelta - dice - è come ottenerla; è tra la violenza e la non violenza. Se abbiamo intenzione di dare un futuro ai giovani di questa città, ai ragazzi là in fondo, a quelli che in questo momento partecipano ai disordini, laggiù, come tutti i giorni, se vogliamo dare a quei ragazzi un futuro, dobbiamo dimostrare loro che la non violenza funziona, o domani non tireranno solo pietre. (Si riferisce in particolare ai militanti dell’IRA, N.d.A.) Quella dei diritti civili non è una soluzione comoda, non quando volano i mattoni e la polizia e l’esercito con i manganelli caricano i cortei. Non è facile rimanere non violenti quando intorno tuti gli altri urlano “così non si ottiene niente, tiriamo fuori le armi e vendichiamoci”, ma se invece credete nel movimento per i diritti civili con tutto il cuore e l’anima come ci credo io, se credete a quello in cui credevano Gandhi e Martin Luther King, con passione, come ci credo io, allora alla fine, con una sola marcia, tutti insieme, tutti insieme, vinceremo. Grazie». Era un uomo buono Ivan Cooper, un sognatore visionario convinto che la bontà dell’animo umano dovesse vincere su ogni altra cosa e che dopo tanto sangue era giunto il momento di vivere in pace, indipendentemente dal credo professato. I suoi riferimenti culturali, senz’altro nobili, li ha citati nel discorso, senza considerare che le loro battaglie, alla luce del “poi”, non è che abbiano dato i frutti sperati. Mentre parlava, laggiù, quei giovani cattolici cui faceva riferimento, avevano già notato i paracadutisti appollaiati su un muretto, pronti ad aprire il fuoco. Erano cresciuti in fretta e avevano imparato a difendersi sin da quando frequentavano le scuole elementari; avevano visto le loro case in fiamme; la disperazione nei volti dei genitori e dei nonni dopo aver perso tutto, anche la dignità; avevano subito insopportabili umiliazioni a scuola, nei luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici; non avevano bisogno di riferimenti culturali - anche perché di tempo per studiare non è che ve ne fosse molto - per sapere da che parte stare e soprattutto come starci, senza sognare l’impossibile. Coloro che riuscivano a conciliare l’impegno militante con lo studio, poi, non avevano come riferimento Gandhi, Martin Luter King o il connazionale George Bernard Show, altro importante cesellatore del socialismo e fervente sostenitore della Russia stalinista, ma gli eroi del passato e il brillante ventenne Martin McGuinnes, già vicecomandante della Brigata Derry, seconda per importanza solo a quella di Belfast, colto, arcigno trascinatore, che spiegava con chiarezza la storia della splendida isola e le gesta eroiche di chi per essa aveva combattuto fino all’estremo sacrificio. Era un uomo d’azione, il giovane patriota irlandese, che riporta alla mente le infuocate parole scritte da un altro grande europeo, Ernst Jünger, ferito nell’animo nel vedere le orde fameliche di ogni tipo avventarsi sulle spoglie della sua patria, uscita a pezzi dalla Grande Guerra: «La guerra, madre della dolorosa Europa di oggi, è anche nostra madre: è lei che ci ha forgiato, scolpito, indurito e fatto ciò che
siamo. E sempre, per tutto il tempo che girerà in noi la ruota della vita trepidante, la guerra sarà l’asse attorno a cui la ruota girerà». (La guerre, notre mère, 1934, Ed. AlbinMichel, disponibile in italiano col titolo "La battaglia come esperienza interiore”, Edizioni Piano B, 2014). Per combattere occorrono le armi, però, e quella maledetta domenica anche i militanti dell’IRA, convinti di dover solo marciare pacificamente o al massimo, come di fatto avvenne nel primo pomeriggio, non andare oltre le solite scaramucce, furono colti di sorpresa e poterono solo lanciare un po’ di sassi raccolti lungo le strade, appena sufficienti a spaventare qualche gatto ma subdolamente fatti passare per bombe dai parà inglesi, che reagirono di conseguenza.
Il primo a cadere fu il diciassettenne John "Jackie" Duddy, colpito mentre col cuore in gola cercava riparo nel parcheggio dei Rossvile Flats; 17 anni avevano anche Hug Gilmour, Michael Kelly, Kevin McElhinney, Gerard "Gerry" Donaghy e John Young, quest’ultimo ucciso con il ventenne Michael McDaid mentre entrambi si accingevano a prestare soccorso al diciannovenne William Nash, a sua volta trucidato con una raffica al petto sotto gli occhi del padre, ferito non in modo mortale. William McKinney, 26 anni, fu colpito alle spalle mentre tentava di scappare attraverso il parcheggio del Glenfada Park. Gerard "Gerry" McKinne, 35 anni, durante la fuga incrociò un soldato che gli sparò a bruciapelo mentre con le mani alzate lo implorava di non fare fuoco. Il proiettile gli attraversò il corpo e uccise anche il diciassettenne Gerard Gerry Donaghy, che era proprio dietro di lui. Il giornalista francese Gilles Peress fu testimone oculare di quei tragici momenti e scattò una foto al trentunenne Patrick Doherty un attimo prima che cadesse sotto il fuoco del famigerato “Soldato F.”, identificato come uno dei principali carnefici di quel triste giorno, così infame da dichiarare spudoratamente di aver sparato avendo visto impugnare una pistola contro di lui. Fu smascherato proprio dalla foto di Peress e poi anche dalle perizie sulla mano della vittima, effettuate per verificare se vi fossero residui di polvere da sparo. Bernard "Barney" McGuigan aveva 41 anni, una bella moglie di nome Bridie e ben sei figli. Non gli interessava la politica e riteneva che cattolici e protestanti dovessero vivere in pace e buona armonia. Non a caso era benvoluto da tutti, in città, e poteva contare su sincere amicizie in entrambe le fazioni. (Questo aspetto sociale, di fondamentale importanza per meglio “entrare” nel mood che caratterizzava - e forse ancor più caratterizza oggi - i rapporti tra protestanti e cattolici, nel bene e nel male, è stato ben sviluppato nel bellissimo film di Kenneth Branagh, “Belfast”, uscito lo scorso anno). Gli amici cattolici dovettero faticare non poco per convincerlo a partecipare alla marcia, che egli riteneva foriera di possibili scontri, a suo giudizio assolutamente da evitare. Quando i paracadutisti iniziarono la strage si riparò dietro un muretto, ma non esitò ad uscire allo scoperto per soccorrere Patrick Doherty. La marcata propensione pacifica lo indusse a pensare che, sventolando un fazzoletto bianco, avrebbe avuto campo libero, essendo ben chiaro che stava solo prestando soccorso a un ferito. Il “soldato F.”, però, era assetato di sangue irlandese e lo centrò dietro la nuca, spezzando per sempre i suoi propositi di pacifica convivenza. John Johnston, 59 anni, non era un manifestante ma si stava recando a casa di un amico: ferito gravemente alla gamba e alla spalla sinistra, morì il 16 giugno. Non poteva credere ai propri occhi, Ivan Cooper, mentre vedeva cadere a uno a uno giovani vite per le quali sarebbe stato pronto a dare la sua, e lo sconforto aumentò a dismisura all’interno dell’ospedale, dove il caos regnava sovrano, a mano a mano che gli giungevano le notizie sull’entità della strage: ben ventotto persone tra morti e feriti. Con il cuore in gola abbracciò i parenti, i genitori, gli amici dei caduti, che disperati si accalcavano all’esterno Diceva solo “mi dispiace”, mentre li stringeva forte, ma tanto basta-
va per spezzare i cuori e trasformare le urla che seguivano la ferale notizia in un macabro concerto di dolore. Mentre parlava di non violenza, dal palco improvvisato nei pressi del famoso murale del Bogside dove troneggia la scritta “You are now entering Free Derry”, la violenza esplodeva nell’intero quartiere, spegnendo, insieme con i sogni, la speranza di un futuro migliore in decine di migliaia di persone. La strage lo segnò profondamente e si allontanò gradualmente dalla vita politica, avendo compreso che la pacifica convivenza tra cattolici e protestanti era destinata a rimanere un’utopia. Si è spento nel 2019 e riposa nel cimitero di Altnagelvin, a oriente del fiume, nella zona protestante. Dopo aver reso omaggio ai luoghi sacri del Bogside, ai murales, ai cippi disseminati in ogni angolo della zona occidentale e al Derry City Cemetery, dove in tombe interrate dalle toccanti epigrafi riposano i martiri della repressione, portate un fiore anche sulla sua tomba e se qualcuno dovesse chiedervi chi siate, rispondetegli pure tranquillamente, sorridendo con dolcezza: «Just a dreamer like he was, still hoping to see a nation once again». La strage ebbe una sconvolgente eco in tutto il mondo e furono molti gli artisti, soprattutto in campo musicale, che espressero il proprio sdegno con toccanti brani. Di particolare pregnanza simbolica furono quelli composti dai cantanti inglesi. Il primo fu Paul McCartney che compose, a poche settimane dal massacro, Give Ireland Back to the Irish, subito censurato dalle autorità. Il famoso bassista, front man dei The Wings, fondati dopo lo scioglimento dei Beatles, ancorché nato a Liverpool, aveva radici irlandesi Nel giugno dello stesso anno John Lennon inserì ben due brani dedicati al massacro nell’album Some Time in New York City: Sunday Bloody Sunday e The Luck of the Irish. (Anche John Lennon aveva radici irlandesi). Nel 1973 un altro cantante inglese con radici irlandesi, Geezer Butler, noto soprattutto agli amanti dell’heavy metal in quanto bassista e compositore dei Black Sabbath, scrisse il testo della canzone Sabbath Bloody Sabbath, che diede il titolo all’omonimo album. La lista è lunga e sarà esaustivamente citata nella bibliografia del saggio. Qui si devono solo ricordare il film diretto nel 2002 da Paul Greengrass, “Bloody Sunday”, che ricostruisce fedelmente tutte le fasi di quella drammatica domenica, e il brano musicale più famoso, “Sunday Bloody Sunday” , composto nel 1983 da una delle più grandi bande musicali della storia, gli U2, presente nell’album “War”, considerato una delle principali opere musicali di tutti i tempi e insignito di ben cinque dischi d’oro e sette dischi di platino. Eseguito centinaia di volte nei concerti dal vivo, il brano tocca punte di lirismo che non lasciano indifferenti gli spettatori, soprattutto quando nel finale vengono citati i nomi dei quattordici irlandesi periti sotto il micidiale fuoco inglese. Così come avvenne con il massacro di Bullymurphy, anche per quello di Derry si sono registrate inchieste farlocche, tendenti a giustificare l’operato dei paracadutisti. Nel 1998, però, l’allora premier Tony Blair istituì una commissione d’inchiesta, presieduta dal giudice della Suprema Corte Lord Mak Saville of Newdigate, chiedendo espressamente che fosse accertata la verità su quanto accaduto, senza mistificazioni. I lavori sono durati dodici anni e il rapporto finale, di ben cinquemila pagine, ha sancito quanto già noto a tutti: i paracadutisti avevano sparato su una folla inerme, disarmata, terrorizzata e in concitata fuga. Il 15 giugno 2010, David Cameron, da poco nominato Primo Ministro, chiese ufficialmente scusa al popolo irlandese nell’atteso discorso alla Camera dei Comuni: «Sono patriottico, e non voglio pensare male del mio Paese. Ma le conclusioni del rapporto sono chiarissime L’attacco dei soldati ai manifestanti è stato ingiustificato e ingiustificabile. Nessuno dei morti e dei feriti poteva essere considerato una minaccia. Chiedo profondamente scusa per quanto è successo quel giorno. Il primo colpo è stato sparato dall’esercito britannico. Sono arrivati colpi anche dalla folla (attenzione: per colpi della folla s’intendono solo le scaramucce che avvennero durante la
marcia, con l’inoffensivo lancio di pietre contro i militari britannici. Nessun civile reagì al fuoco dei paracadutisti perché pensarono tutti a scappare come meglio potevano e le vittime furono quasi tutte colpite alle spalle, N.d.A.) che però non giustificano in nessun modo l’attacco. All’epoca, diversi soldati mentirono sugli avvenimenti. Non si può sostenere l’esercito difendendo l’indifendibile. Non ci sono prove di una premeditazione dell’attacco. Non ci sono prove di un insabbiamento dei fatti. Bisogna ricordare il lavoro e il sacrificio dell’esercito britannico in Irlanda del Nord. Più di 1000 soldati hanno perso la vita per portare la pace. (Inevitabile frase di “circostanza” pronunciata a beneficio dell’ala più oltranzista della Camera e di quella fetta di popolo che viveva (e ancora vive) in un ripugnante passato, ancorché fuorviante: se gli inglesi non avessero mai occupato l’Irlanda, gli irlandesi non sarebbero stati costretti a difendersi. Vicenda che ricalca per certi versi quella attuale, in Ucraina, dove anche gli invasori russi muoiono, N.d.A.) Quest’inchiesta dimostra come si dovrebbe comportare il Governo: guardare in maniera aperta al passato non lo rende più debole, ma più forte. Quello che è successo non sarebbe mai e poi mai dovuto succedere. Non possiamo dimenticare il passato, ma bisogna andare avanti. Capisco il dolore dei familiari, ma spero, come ha detto uno dei genitori, che la verità possa renderli liberi».
Le adesioni all’IRA, dopo il massacro del gennaio 1972, crebbero a dismisura e gli scontri tra le due fazioni, tanto a Derry quanto a Belfast, assunsero una cadenza quasi quotidiana. Gli obiettivi dei cattolici, fortemente perseguiti anche da Ivan Cooper, consistevano nella riforma del governo locale, incarnato dal Parlamento di Stormont, (che operava ad esclusivo servizio dei protestanti, come abbiamo visto nel capitolo precedente) e alla cessazione di ogni forma di discriminazione nella distribuzione delle case, del lavoro e di fronte alla giustizia. Il Governo inglese, seguendo logiche interne e non certo per accontentare i cattolici, decise comunque di sopprimere il Parlamento, assumendosi il compito di mantenere l’ordine in Irlanda con le proprie forze militari. I cattolici accolsero con piacere il provvedimento, nonostante non fosse stato approvato a loro beneficio (lo ribadisco perché certe dinamiche della storia irlandese sono di difficile assimilazione a meno che non si penetri profondamente nel loro particolare e controverso “mood”), perché da un lato vedevano come il fumo negli occhi un organo esecutivo sicuramente ostile e dall’altro speravano che un marcato controllo del territorio, senza ingerenze locali, potesse portare all’agognata pacificazione e alla fine degli scontri. Non tutti erano concordi nel dover combattere una sanguinosa guerra civile, sacrificarsi in prima persona e vedere morire i propri cari.
I giovani dell’IRA erano pronti a dare la propria vita per la causa e lo stesso valeva per i gruppi paramilitari protestanti Ulster Volunteer Force e Ulster Defence Association (che nel 1973 mutò il nome in Ulster Freedom Fighters – Combattenti per la libertà dell’Ulster), ma le mamme di quei ragazzi abbagliati dal reciproco odio, spesso si trovavano a pregare insieme per la loro salvezza. Il già citato partito co-fondato dal “protestante” Ivan Cooper nel 1970, SDLP (Social Democratic and Labour Party) fu il principale interprete del desiderio di pacificazione che accomunava molti irlandesi, sia cattolici sia protestanti, anche se nei libri di storia, pur figurando legittimamente come “movimento di ispirazione cattolica che rifiutava l’uso delle armi”, non si fa alcun riferimento al suo co-fondatore, trascurato a vantaggio dei suoi amici che ne assunsero in successione la guida: Gerry Fitt (dalla fondazione al 1979) e John Hume (dal 1979 al 2001), uno dei principali artefici del processo di pace e vincitore del premio Nobel nel 1998, in condivisione con l’allora leader del Partito Unionista, David Trimble. Fatta salva qualche svista della quale mi scuso a priori, pur ritenendola improbabile, in Italia
questo è il primo testo nel quale viene dato risalto a Ivan Cooper. Ma procediamo con ordine.
Non si può comprendere appieno l’essenza del conflitto nord-irlandese se non si comprende bene il distorcimento mentale che pervade la stragrande maggioranza dei protestanti, convinti di essere superiori ai cattolici in ogni campo. Il “complesso di superiorità” coinvolge tutti gli strati sociali a causa dell’indottrinamento che avviene fin dalla più tenera età nelle scuole e nelle chiese e solo pochi ne restano immuni (citiamo ancora una volta Ivan Cooper), anche se precipuamente nel campo femminile. Nulla di diverso, del resto, da tutti gli indottrinamenti manichei di cui è piena la storia dell’umanità, gli ultimi dei quali attualissimi perché riguardano i bambini russi “educati” ad odiare gli ucraini con cartoni animati o addirittura direttamente da Putin quando si reca a visitare qualche scuola, come traspare da tanti reportage trasmessi dalle emittenti televisive, facilmente reperibili in rete. Molto altro vi sarebbe da aggiungere sulla “formazione” protestante, a prescindere dall’argomento trattato, e ciò sicuramente sarebbe di aiuto, ma dobbiamo glissare per non andare fuori tema, limitandoci a suggerire la lettura del prezioso saggio di Max Weber sull’etica protestante e lo spirito del capitalismo, molto illuminante perché da esso traspare ampiamente come nel mondo protestante il povero sia colpevole intrinsecamente perché privo della grazia di Dio, a differenza dei benestanti e dei ricchi, che di essa sono i privilegiati beneficiari, indipendentemente da come abbiano accumulato la propria ricchezza materiale. I cattolici irlandesi, ancorché poveri soprattutto per le angherie subite dai protestanti, andavano perseguitati quasi per “volontà divina” e ciò determinava la sostanziale differenza tra l’attività dell’IRA, rivolta precipuamente contro obiettivi militari ed economici (il che non escludeva che talvolta si verificassero i cosiddetti spiacevoli “effetti collaterali”) e quella dei succitati gruppi paramilitari protestanti, rivolta indiscriminatamente contro la popolazione civile per punirla non tanto per la fede professata quanto per la condizione esistenziale, non degna di essere rappresentata in un consorzio umano. Non bastava ucciderli, quindi, ma si rendeva necessario ridurli prima in uno stato di estremo degrado, compito egregiamente assolto dai principali carnefici dei due gruppi, tra i quali spiccava il famigerato Hugh Leonard Thompson Murphy detto “Lenny”, nato a Belfast nel 1952. A soli dodici anni già subì la prima condanna per furto e a sedici aderì all’UVF, distinguendosi subito per la forte carica di violenza, anche verbale, e per le continue manifestazioni di odio nei confronti dei cattolici, sempre definiti “feccia e merda”. A venti anni iniziò a formare una “banda” personale all’interno del gruppo, non a caso denominata Shankill Butchers (I macellai di Shankill; Shankill Road è la principale strada del quartiere protestante di Belfast e il suo nome deriva dal gaelico sean cill - vecchia chiesa), con la quale seminò il terrore in tutta la città, non solo tra i cattolici: uccise anche dei membri del suo gruppo per futili motivi o perché li riteneva spie. Era temutissimo anche dai compagni, quindi, che di certo non erano angioletti, e nessuno osava contrastarlo anche se in pieno disaccordo con metodi che denotavano un vero disturbo mentale. Si divertiva a torturare e mutilare lentamente le vittime, per poi finirle tagliando loro la gola, sempre con estrema lentezza affinché si rendessero conto di cosa stesse accadendo e morissero col terrore negli occhi. In dieci anni uccise oltre venti persone e, fortunatamente, nel 1982 due militanti dell’IRA riuscirono a farlo fuori In alcuni testi si legge che le forze dell’ordine irlandesi, svolgendo le indagini, vennero a conoscenza di un “aiuto” offerto all’IRA proprio dai “nemici” dell’UVF, che avrebbero segnalato dove beccare Lenny, il 16 novembre 1982. Che il rapporto della polizia con la notizia dell’aiuto esista, non vi è alcun dubbio. Se la soffiata vi sia effettivamente stata, non sono in grado né di confermarlo né di smentirlo: negli
ultimi quaranta anni mi sono trovato a mutare più volte pensiero in un senso o nell’altro, in funzione di sopraggiunti elementi. Caso vuole che fossi a Belfast proprio in quel periodo e nessuno dei miei “contatti” locali – inutile precisare di quale componente - fece cenno a un possibile supporto per motivi umanitari, cosa che invece è avvenuta molti anni dopo, lasciando comunque insoluti i tanti pensieri che affollano la mente: gli agenti della RUC avrebbero “inventato” l’aiuto affinché fungesse da deterrente contro possibili reazioni a catena (eliminato un soggetto comunque scomodo per entrambe le fazioni, il problema poteva ritenersi risolto); nell’UVF la sua crescente fama incominciava a dare fastidio a qualcuno e comunque vi erano i parenti dei “compagni di fede” uccisi senza valide ragioni, ai quali non era certo simpatico; il tutto avvenne realmente come riportato nel rapporto della polizia, per lo sdegno provocato dai suoi eccessi; altre ragioni più complesse qui omesse per amor di sintesi, essendo comunque abbastanza chiaro il contesto nel quale maturò e si concluse la vicenda.
Continua I capitoli precedenti sono stati pubblicati nei numeri di giugno e luglio (106 e 107).
(Pubblichiamo il comunicato stampa diffuso dalle associazioni Europa Nazione ed Excalibur Multimedia, dirette dal nostro collaboratore Lino Lavorgna, organizzatrici della rassegna multimediale città di Caserta, che a partire da prossimo anno avrà anche il sostegno del gruppo editoriale cui fa capo Confini. A.R.)
«La speranza divampa», sussurra Gandalf, mentre i fuochi delle Torri-faro sulle Montagne Bianche vengono avvistati da Aragorn, che convince il re di Rohan a correre in soccorso di Minas Tirith, assediata dalle forze del male. La speranza divampa, è il caso di ripetere, se in un’aula consiliare di un importante comune del Mezzogiorno d’Italia si ritrovano non i politici in perenne lotta tra loro ma qualificati esponenti della società civile, ciascuno con la propria storia ancorché accomunati da un idem sentire: l’amore per la cultura. Quella cultura che costituisce l’urlo degli uomini in faccia al loro destino, come sancì il sempre arrabbiato Albert Camus, che proprio non sopportava gli uomini senza qualità.
Trasformando l’urlo camussiano in un pacato messaggio – oggi sono altri i soggetti che urlano e comunque non serve a nulla – una piccola fetta “dell’Italia che va”, quella di cui poter essere fieri, si è riunita per la cerimonia di premiazione della Rassegna multimediale città diCaserta, varata in piena pandemia dal presidente delle associazioni culturali Europa Nazione ed Excalibur Multimedia, il giornalistaescrittoreLino Lavorgna, proficuamentedirettadalbrillantecommercialistaedexsindaco Pio Del Gaudio, da un quarto di secolo importante rappresentante del tessuto cittadino in seno all’amministrazione comunale e non solo. La rassegna si è avvalsa anche del prezioso supporto del “Cenacolo Accademico Poeti nella Società”, diretto da Pasquale Francischetti, che pubblica l’omonima rivista nella quale trovano spesso ospitalità le divagazioni poetiche e letterarie di Lino Lavorgna.
Il sindaco di Caserta, avvocato Carlo Marino, che ha gentilmente concesso il patrocinio del comune, ha esordito porgendo il saluto della città ai convenuti, manifestando sincero apprezzamento per un progetto che, essendosidipanato alivello nazionale, sarà attentamente vagliato dall’Amministrazione per assicurargli l’attenzione che merita. Gli ha fatto da eco l’assessore alla cultura, il dottore Enzo Battarra, rimasto fino al termine della cerimonia, avendo così modo di apprezzare l’alto livello dei candidati premiati.
Il presidente Del Gaudio ha riassunto la genesi dell’iniziativa, ricordando le tante difficoltà brillantemente superate, tipiche di ogni “prima edizione” ma nella fattispecie aggravate dalla terribile pandemia che, per esempio, non ha consentito un’adeguata promozione della rassegna in ambito scolastico.
Lino Lavorgna, dalsuo canto, ha ricordato come la rassegna non sia altro che la pratica perpetuazione di vecchi progetti avviati, quando, giovanissimo, iniziò a predicare l’ineluttabilità di una reale unione politica del continente con l’associazione “Movimento Libera Europa”, antesignana di “Europa Nazione”, e l’ineluttabilità di uno sviluppo sostenibile, propugnato con “l’Associazione nazionale salvaguardia ecologica”, fondata nel 1975 per diffondere i dettami sanciti dal famoso rapporto del MIT suilimitidello sviluppo, dopo essersistaccatodalleassociazioniecologichetradizionali, ritenute inadeguate a fronteggiare la crisi ambientale, essendo precipuamente impegnate ad organizzare allegre scampagnate e a difendere leprotti e uccellini, attività senz’altro lodevoli ma del tutto insufficienti a garantire una vera tutela degli ecosistemi. In pratica, cinquanta anni fa, Lavorgna diceva ciò che dice oggi Greta Thunberg, la qual cosa è tristissima perché, di fatto, sancisce il fallimento totale delle politiche ambientali. La rassegna, pertanto, dal prossimo anno avrà delle aree tematiche che affronteranno proprio questi argomenti, attuali più che mai. I guasti della mancata attuazione del processo unitario sono sotto gli occhi di tutti: con gli Stati Uniti d’Europa e un “forte”
esercito europeo oggi non avremmo una sciagurata guerra nel continente. I disastri ambientali, parimenti, hanno un unico responsabile, il genere umano, che va educato con maggiore determinazione a rispettare la natura.
Il generale Enzo Pennacchio, che ha servito la patria in armi nell’Aeronautica Militare, non ha potuto che ribadire i concetti espressi da Lino Lavorgna, auspicando che si parta subito con una campagna di sensibilizzazione protesa a creare maggiore armonia tra la società civile e le Forze Armate. Il vecchio motto Si vis pacem, para bellum, purtroppo, è sempre valido perché non c’è periodo della storia umana che non sia segnato “anche” dalle velleità di qualche folle, che in genere si fa beffe di coloro che presumono di risolvere i problemi mettendo i fiori nei cannoni. Prima della cerimonia di premiazione, la professoressa Ilaria Cervo ha letto una nota ispirata alla letteradiSanPaolo Apostolo aiCorinzi, ilcuitestocostituisce labaseper l’inno di“EuropaNazione”, composto dalpolacco Zbigniew Preisner quale colonna sonora di“Film blu”, diretto dalconnazionale Krzysztof Kieślowski, per poi prodursi nelle osservazioni sul lavoro svolto nell’ambito della giuria, alla pari dei colleghi Renata Montanari e Aldo Cervo, intervenuti subito dopo. I giurati non hanno mancato di elogiare la qualità dei lavori esaminati, rivolgendo un plauso particolare ai poeti, il cui livello si è rilevato davvero altissimo.
In una giornata che ha registrato ben due importanti eventi nella locale Caserma “Ferrari Orsi”, la rappresentanza delle Associazioni combattentistiche e d’arma (ricordiamo che Lino Lavorgna è il commissario della sezione bersaglieri di Caserta nonché vice-presidente provinciale dell’ANB) è stata assicurata da una folta rappresentanza dell’Associazione nazionale combattenti e reduci, capeggiata dal generale Pennacchio e dai dinamicissimi coordinatori territoriali Salvatore Serino ed Enrico D’Agostino, nonché dal tenente dei bersaglieri Giuseppe Maietta e dal colonnello Giuseppe Casapulla (Aeronautica Militare). La società civile casertana è stata rappresentata dal dottor Lorenzo La Peruta, delegato a ritirare i premi vinti da un candidato del Friuli, assente, nonché da una vera colonna portante dell’universo culturale territoriale, il professore Raffaele Raimondo, giornalista “vecchio stampo”, il che vuol dire serio, raffinato, estremamente colto e soprattutto in grado di utilizzare correttamente la lingua italiana, rifuggendo tanto dalle distonie provocate dal palpabile deficit professionale quanto dalle mode insulse che si stanno diffondendo con crescente propensione, tese a stuprarla in un modo che assomiglia alla deturpazione delle opere d’arte talvolta effettuate da autentici criminali.
Candidati premiati
Sezione fotografia. Vincitore: Luigino Vador, Friuli Venezia Giulia. Sezione racconto. Terzo classificato: Gino Abbro, Campania; Luigino Vador, Friuli Venezia Giulia; secondo classificato: Paolo Casella, Campania; vincitore: Riccardo Di Leva, Puglia. Sezione narrativa. Terza classificata: Ornella Fiorentini, Lazio; terza classificata: Rossana Cilli, Lazio; secondo classificato: Riccardo Di Leva, Puglia; vincitore: Marco Termenana, Lombardia. Sezione silloge. Terzo classificato: Alessandro Porri, Lazio; seconda classificata: Brina Maurer, Friuli Venezia Giulia; vincitore: Massimo Massa, Campania.
Sezione poesia. Terzo classificato: Fausto Marseglia, Campania; Maurizio Albarano, Campania; secondo classificato: Antonio Damiano, Lazio; vincitore: Vittorio Di Ruocco, Campania.
Gli autori premiati e alcuni altri candidati, distintosi per l’eccelsa qualità dei lavori proposti, figureranno nell’antologia della rassegna, edita da “Giuseppe Gallina Editore”.
Rassegna fotografica: Pagina Facebook “Rassegna multimediale città di Caserta” Video della cerimonia di premiazione: YouTube –“Rassegna Multimediale Città di Caserta - Prima edizione” .
«Certo che non sono preoccupata di intimidire gli uomini. Il tipo di uomo che viene intimidito da me è esattamente il tipo di uomo che non mi interessa». (Chimamanda Ngozi Adichie)
«C'è qualcosa di davvero speciale in una donna che domina in un mondo di uomini. Ci vuole una certa grazia, forza, intelligenza, impavidità e coraggio per non accettare mai un 'no' come risposta». (Rihanna)
«Non c'è limite a ciò che noi donne possiamo realizzare». (Michelle Obama)
«Le donne sono leader ovunque tu guardi, dall'amministratore delegato che gestisce un'azienda della Fortune 500, alla casalinga che alleva i suoi figli e dirige la sua famiglia. Il nostro Paese è stato costruito da donne forti e continueremo a rompere i muri e sfidare gli stereotipi». (Nancy Pelosi)
«Le parole hanno potere. La televisione ha potere. La mia penna ha potere». (Shonda Rhimes, sceneggiatrice e produttrice televisiva, considerata da TIME una delle 100 donne più influenti del mondo).
«Indipendentemente dalfatto che io debba farlo, metto in discussione ipreconcettisulle donne. Metto a disagio alcune persone, di cui sono ben consapevole, ma questo è solo una parte del venire a capo di ciò che credo sia ancora una delle questioni incompiute nella storia umana: dare potere alle donne perché siano in grado di difendersi da sole» (Hillary Clinton)
«Dobbiamo rimodellare la nostra percezione di come ci consideriamo. Dobbiamo farci avanti come donne e prendere il comando». (Beyoncé)
«In futuro, non ci saranno leader femminili. Ci saranno solo leader». (Sheryl Sandberg, ex direttrice operativa di Facebook, con un patrimonio personale “parziale” stimato in circa due miliardi di dollari).
«Ho sentito dire che io vorrei le donne un passo dietro agli uomini. Miguardionorevole Serracchiani, le sembra che io stia un passo dietro agli uomini?» (Il presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, durante l’intervento alla Camera dei deputati prima del voto di fiducia al nuovo Governo).
Il tema del mese, dedicato alla condizione femminile in rapporto col potere, in teoria, potrebbe esaurirsi con le frasi trascrittenell’incipit e pochialtririghi. Anche se spesso lo neghiamo a noistessi, infatti, è chiaro a tutti che le donne abbiano una diversa percezione del potere rispetto agli uomini e le eccezioni, che ovviamente esistono, non fanno testo proprio perché tali. Una donna a capo di uno Stato difficilmente scatenerebbe una guerra come quella che in Ucraina sta rivelando la ferocia di maschi capaci di massacrare donne e bambini (“mi ubriaco per ammazzarne di più”, ha rivelato telefonicamente un soldato russo alla mamma, intercettato dall’Intelligence ucraina); difficilmente userebbe il ruolo per favorire la promulgazione di leggi ad personam, protese a tutelare i propri interessi; non si circonderebbe mai di uno stuolo di amanti, buoni solo a letto, gratificandoli con importanti ruoli professionali, politici o di governo, penalizzando in modo sfacciato chi a tali ruoli dovrebbe accedere per i propri meriti. Potremmo continuare a lungo su questa linea, ma per amor di sintesi basterà chiudere il discorso citando il famoso assioma di Gandhi: «Le donne costituiscono la metà migliore dell'umanità». Come dargli torto?Le donne – senza voler generalizzare, sia benchiaro, perché nulla a questo mondo assume valore assoluto – in genere manifestano maggiore propensione all’impegno, qualsiasi cosa facciano, e ciò favorisce lo sviluppo di una maggiore competenza nell’esercizio delle funzioni svolte. Non va sottovalutata, inoltre, la capacità di mettere in campo anche una maggiore resistenza a determinate pressioni, la qual cosa a prima vista sembrerebbe non plausibile e invece è dimostrata da molteplici esempi che non lasciano adito ad alcun dubbio. Non essendo possibile scendere troppo neldettaglio, per utiliapprofondimentirimando il lettoreall’ottimo
saggio di Federica Morrone, “101 motivi per cui le donne sono più intelligenti degli uomini ma non sono al potere” (Newton Compton, 2012), nel quale l’autrice, sviscerando le cause remote alla base della volontà di dominio del maschio nei confronti di quello che, non a caso, fino a non molto tempo fa era addirittura definito il sesso debole, spiega esaustivamente perché le donne arrivino con l'intuito lì dove i maschi approdano - non sempre tra l’altro - con il ragionamento; vivono contemporaneamente il razionale e l'irrazionale, senza la linea di demarcazione che i maschi hanno bisogno di tracciare; non cercano appigli e si tuffano in cerca della soluzione, senza il timore di navigare in acque poco frequentate e quindi potenzialmente pericolose; sono capaci di prendere decisionicomplesse intempi brevi ediuscire dagli schemiper trovaresoluzioni fantasiose ma sempre efficaci, conferendo la massima applicazione al pensiero laterale, per giunta creato da un maschio1 e dai maschi pochissimo sfruttato perché abituati atavicamente a ragionare con schemi verticali che, soprattutto in una società complessa come quella attuale, risultano inefficaci, quando non addirittura dannosi.
Qui è sufficiente porre in evidenza la crisi del maschio e la sua incapacità a esercitare il potere nel rispetto dei doveri che il ruolo esplicitamente prevede, nonché il gap culturale e intellettuale che lo separa dalle donne, per troppi versi e in troppe aree del Pianeta considerate ancora alla stregua di oggetti da possedere; “oggetti” che quando agiscono con piena autonomia, smarcandosi dalla tirannide maschile, spaventano in modo così irrazionale, come le bambole dei film del terrore, da indurre i maschi con i quali si relazionano a massacrarle, bruciarle vive, lapidarle, in poche parole a togliere loro la vita essendo fonti di profondi turbamenti dell’essere. Una crisi che nasce dalla incapacità di accettare la mutevolezza dei tempi, solo parzialmente attribuibile alla lentezza del processo evolutivo: nel Nord Europa, per esempio, il gap è stato superato già da molti decenni. Un significativo aspetto del problema è rappresentato dalla mediocrità maschile al potere, oltremodo opprimente per le donne che si trovino in posizione di subalternità, soprattutto quando fosse ben evidente la loro maggiore attitudine al comando, perché inevitabile causa di mobbing, marcate molestie (in aggiunta a quelle “ordinarie”, praticate da sempre), distruttive azioni lesive della dignità umana. Per delineare unquadro d’insieme quanto più realistico possibile, tuttavia, va messa sull’altro piatto della bilancia anche quella forte propensione femminile a sopportare terribili angherie, pur essendo ben evidente la natura maligna di certi soggetti. Fenomeno in netta regressione, per fortuna, grazie alle denunce sempre più frequenti dei porci e degli psicopatici, ma lungi dall’essere sconfitto, come ben traspare dalla cronaca quotidiana. Il titolo del paragrafo, naturalmente, è iperbolico rispetto all’effettiva possibilità di effettuare una radiografia planetaria, più attinente a unsaggio che a unarticolo. Accontentiamoci, pertanto, dipoche foto, scattate qua e là, comunque in grado di far percepire le gravi distonie che affliggono l’umanità nella gestione del potere. In Brasile, in occasione delle recenti elezioni politiche, il potere è stato conteso tra due soggetti maschili alquanto discutibili, tanto per usare un eufemismo e non affondare troppo il coltello nella piaga. Di Bolsonaro, che durante i circa quattro anni di presidenza ne ha combinate di tutti i colori, è impossibile riportare le peculiarità negative, tra l’altro facilmente evincibili con una semplice passeggiata in rete, senza monopolizzare le pagine destinate all’articolo; del neo presidente Lula, che aveva già guidato il Paese per ben otto anni, dal 2003 al 2011, al netto delle accuse poi rivelatesi montate ad arte dagli avversari per toglierselo dai piedi, considerato il grande appeal popolare, senza alcuna volontà di scadere nel deprecabile razzismo intellettuale, possiamo dire serenamente che è una brava persona, ma che forse in un Paese con oltre 215 milioni di abitanti non sarebbe difficile individuarne “almeno una decina” con titoli più accattivanti di quelli di un sindacalista costretto a lasciare gli studi dopo la quarta elementare per dedicarsi dignitosamente al lavoro di lustrascarpe, per poi sempre dignitosamente riprendere gli studi e diplomarsi. USA? Quante volte ne abbiamo parlato? Decine, centinaia, per dire sempre le stesse cose sulla mediocrità non solo dei tanti presidenti, fatta qualche sporadica o addirittura singola eccezione, ma anche di
governatori e membri del Congresso le cui biografie fanno paura a noi europei, almeno a quelli con sani principi, mentre oltreoceano costituiscono un valido passaporto per il successo. Pochi giorni fa si sono concluse le elezioni di Mid-Term e in Florida è stato riconfermato il governatore uscente, Ron DeSantis, che molto probabilmente sfiderà Trump alle primarie del Partito Repubblicano per le prossime elezionipresidenziali, con buone possibilità di vincere sia le prime sia le seconde. Emblema perfetto dell’americano medio, ancorché con doppia laurea, non ha alcun ritegno nel manifestare una spiccata avversione nei confronti delle energie rinnovabili: lo scorso anno ha firmato una legge che vieta la collocazione di colonnine per rifornire le auto elettriche intutte le stazioni di servizio; sempre lo scorso anno, con una seconda legge, ha vietato l’applicazione di qualsivoglia restrizione per risparmiare energia elettrica e carbon fossile. A parlare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina, diceva qualcuno che la sapeva lunga, e in questo caso non serve grande intelligenza per associare gli insulsi provvedimenti al servilismo nei confronti delle lobby petrolifere, con conseguente cinico menefreghismo per gli interessi deicittadini. Manco a dirlo sioppone a qualunque controllo e restrizione sulle armi da fuoco e critica aspramente il predecessore Rick Scott, attuale senatore, promotore di una legge che vietava la vendita dei fucili d'assalto ed elevava l’età legale per l’acquisto delle armi dai 18 ai 21 anni, ma non all’atto della mera presentazione dei documenti in armeria, bensì, udite udite, dopo un periodo d'attesa di “tre giorni” (!), restrizione ritenuta “troppo lunga” da milioni di statunitensi! Proprio un cattivone traditore della Costituzione, sostiene DeSantis, che per la sfacciata difesa delle armi si è beccato un bellissimo A+ dalla National Rifle Association of America, potente associazione che difende i produttori di armi, senza il cui aiuto economico e mediatico la Casa Bianca te la puoi solo sognare, adusa ad assegnare voti alle persone come se fosse una scuola o un istituto universitario! Solo che al posto dell’impegno nello studio viene valutata la capacità nel far vendere più armi, di qualsiasi tipo.
Amarŭs in fundo, DeSantis si oppone al Patient Protection e Affordable Care Act (legge voluta da Obama per porre un freno al costante aumento della spesa sanitaria e ridurre l’ampia fascia di popolazione priva diassicurazione medica) nonché alle organizzazioniumanitarie che contribuiscono a sostenere le spese mediche per le persone che non possono permettersele: gli ammalati poveri è meglio che tirino le cuoia, in modo da non costituire un peso per un Paese in cui il metro di valore sociale più importante è il conto in banca.
Un soggetto con queste caratteristiche per noi europei meriterebbe il TSO. Negli USA governa oltre venti milioni di persone e vi è un serio rischio che tra due anni ne governi ben 332 milioni: roba da brividi. Alternativa? Trump (ossia il suo mentore) o qualche altro mediocre democratico, perché il migliore, Al Gore, vincitore delle elezioni del 2000 e fatto fuori con un imbroglio dal Clan Bush (quanto è costato al mondo intero quel babbeo di George Junior alla Casa Bianca!) e ancora in età spendibile per il ruolo, è fuori da ogni gioco, essendo un “uomo buono” (ossia un uomo in gamba, che si eleva non di poco sugli altri) e non il “buon uomo” che piace tanto agli americani, come più volte spiegato in queste pagine, in pregressi articoli.2 Anche per la mediocrità al potere la lista dei soggetti citabili è lunga, al netto dei dittatori, fondamentalisti religiosi e signori delle guerre che vessano una buona fetta della popolazione mondiale in modo decisamente più drammatico di quanto non accada in Occidente. Il potere esalta gli uomini mediocri, se ne vengono in possesso, quindi, come ben narrato nel bellissimo romanzo di Erich Maria Remarque “Niente di nuovo sul fronte occidentale” , 3 inducendoli ad assumere atteggiamenti malsani che non risparmiano le donne. La stupefacente e cosmopolita scrittrice statunitense Rebecca Solnit, nata nel 1961 da un padre ebreo e da una madre cattolica irlandese, culturalmente formatasiprima a Parigi e poia San Francisco (laurea ingiornalismo a23 annie master post universitario presso la vicinauniversitàdiBerkeley), hatrattato in un prezioso saggio4 il concetto di mansplaining, neologismo sincratico da lei coniato per definire quell'atteggiamento paternalistico utilizzato da alcuni uomini quando intendono spiegare qualcosa a una donna con un tono più appropriato per i bambini delle elementari. Atteggiamento che scade nel
patetico quando lo si pratichi con donne che, con lo stile che contraddistingue sempre l’eccellenza, non fanno trasparire di essere molto più ferrate in materia. L’autrice ha rivelato in un’intervista che l’idea del libro e l’ispirazione per il neologismo – man (uomo) + splaining, derivato dal gerundio di to explain (spiegare) - nacque conversando conil babbeo diturno, che non manca mai inogni cocktail party. Mentre gli parlava del fotografo britannico Eadweard Muybridge, con dovizia di particolari che ne evidenziavano la profonda conoscenza, il tizio la interruppe per chiederle, con fastidiosa aria di superiorità, se avesse sentito parlare di un “importantissimo saggio” uscito quell’anno e dedicato proprio al fotografo britannico! Non gli passò minimamente per la testa, non avendolo letto e forse visto di sfuggita in qualche recensione giornalistica, che stava discorrendo con l’autrice!5
Altro che “tetto di cristallo!” Con la vittoria di Giorgia Meloni è crollato un intero grattacielo, travolgendo non solo gli spocchiosi avversari politici ma anche buona parte del fronte amico, composto da soggetti nella cui testa il concetto di tetto di cristallo, sia pure senza gli eccessi che con termine riassuntivo si possono definire “talebani”, è comunque ben radicato.
In ogni caso, grazie alla credibilità conquistata in molti anni di paziente e intelligente lavoro e un po’ grazie anche ai tanti demeriti di chi ha perso ogni visione del Paese reale, per la prima volta nella storia d’Italia abbiamo una donna a capo del Governo.
Come più volte ribadito e come sempre ribadirò, a scanso di equivoci, mi sono astenuto dal voto in quanto, in scienza e coscienza, non potrei mai sostenere una coalizione che comprende Forza Italia, non voterei mai candidati imposti dai partiti e non mi renderei mai complice della formazione di compagini governative non composte da soggetti di altissimo spessore etico-culturale. Nondimeno, considerato ciò che ci lasciamo alle spalle, pur senza celare le tante riserve che frenano i facili entusiasmi, auguro a Giorgia Meloni ogni bene, nel pieno convincimento che si batterà per alcuni sacriprincipi, fino a pochi mesi fa assimilabili solo a quelle proiezioni oniriche destinate a dissolversi all’alba: un sano europeismo che coniughi al meglio il motto “uniti nella diversità”; una revisione costituzionale che sfoci nella repubblica presidenziale (senza “semi”); una riforma della giustizia che metta fine alle distonie attuali, tutte sbilanciate a favore di chi delinque; una maggiore attenzione alla Famiglia tradizionale, che resta sempre il “fulcro” della società; il recupero di quella dignità dell’istruzione scolastica, vessata da comportamenti indegni di una società civile; una decisa repressione dello squallido traffico di esseri umani e un approccio serio al problema dei flussi migratori, diradando le troppe cortine fumogene che creano confusione e disinformazione, soprattutto per quanto attiene all’oscuro ruolo (ma mica tanto, a dirla tutta) delle Ong In tema di ambiente staremo a vedere, sperando che sappia conciliare le esigenze di una società tecnologicamente avanzata con la tutela degli ecosistemi, tenendo a freno coloro che su questi punti abbiano le idee molto confuse o si prestino a giochi sporchi per interesse personale. Sono altresì convinto che, sia pure tra le mille difficoltà e i paletti posti dai fan di Putin, che abbondano nel Paese e anche dalle sue parti, non abbandonerà a un infame destino il popolo ucraino e lo straordinario presidente Zelensky, al quale nessuno potrà togliere il titolo di “Uomo del secolo”.
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Pausa
[Sono le ore 11,32 dell’undici novembre 2022 e la storia sta scrivendo una delle sue pagine salienti Mi fermo per alcuni momenti, pertanto, mentre con gli occhi lucidi e il cuore che batte forte mi accingo ad alzare il volume delle casse collegate al PC: sul secondo monitor, suddiviso in finestre sintonizzate su vari canali mediatici, tracimano impetuose le immagini festose dei cittadini di Kherson, liberata dagli invasori. Mi si perdoni questa digressione sentimentale di carattere strettamente personale, ma scripta manent e voglio fissare questo momento, che fonde gioia e dolore
allo stesso tempo, perché una bella notizia non cancella né la drammaticità di fatti che non sarebbero mai dovuti accadere né quel senso di frustrazione che scaturisce dall’impossibilità di essere materialmente vicino a chi combatte anche per la libertà di tutti noi europei. Ci vuole un caffè, ora]. ***
Auguri a parte, tuttavia, è bene non perdere di vista la realtà. Un grattacielo distrutto è poca cosa in un contesto urbano che di grattacieli ne contiene decine di migliaia, con immancabili tetti di cristallo. Anche se costruiti con materiali di pessima qualità, non è facile abbatterli tutti. Il rischio che dopo lo smarrimento iniziale, chi ora marci un passo indietro si organizzi per trasformare i paletti in travi invalicabili, è alto. Hanno iniziato subito, del resto, come ben traspare dai servizi giornalistici delle principali testate e dai talk show. La reazione al fuoco incrociato, di converso, è molto debole, per i limiti del materiale umano sul quale può contare il neo presidente del Consiglio, costretto da un lato a fare la guerra con i soldati che ha a disposizione e non con quelli che magari vorrebbe avere, e dall’altro a bilanciare le scelte degli alleati con quelle personali, legate alle dinamiche interne di partito, non facili da gestire, con il risultato che è sotto gli occhi di tutti.6
In psicologia si studia attentamente la propensione delgenere umano, soprattutto inOccidente, a farsi carico di “inutili fardelli” che condizionano negativamente l’esistenza. Immaginiamo, per esempio, dicamminare ognigiorno conuno zaino ditrenta-quaranta chili sulle spalle, senza che ve ne sia alcun bisogno. Nel momento incuidovessimo imparare a farne a meno, il sollievo, è facile intuirlo, sarebbe impagabile. I fardelli mentali, anche se non sembra, sono più pesanti di uno zaino di trenta-quaranta chili e più difficilmente rimovibili perché fanno parte del nostro retaggio ancestrale: ce li portiamo addosso sin dalla nascita e aumentano di peso progressivamente. La loro rimozione, tuttavia, soprattutto in un momento come questo, è fondamentale per evitare che il tetto di cristallo infranto si trasformi in una “scogliera di cristallo (glass cliff)”, espressione insignificante per chi non abbia confidenza con gli anglicismi di recente conio (questo risale al 2013), ma facilmente comprensibile se tradotta con la locuzione latina “Promoveatur ut amoveatur”, che nella fattispecie vedrebbe il presidente Meloni proiettato al vertice del potere politico in un momento in cui ogni scelta comporta seri rischi di impopolarità. In caso di fallimento, le iene capaci di restare nell’ombra uscirebbero allo scoperto digrignando i denti, con rinnovata famelicità. Si può evitare tutto ciò? Chi scrive, onestamente, non è in grado di fornire una risposta e non ci prova nemmeno, limitandosi solo a esporre una strategia seguita a livello personale nel rapporto col prossimo, che se sapientemente sfruttata potrebbe neutralizzare i dardi infuocati che giungeranno da ogni parte Prima, però, occorre ritornare ancora una volta su un argomento trito e ritrito, ma con parole al vento stando ai risultati: l’esatta definizione del concetto di “destra”, considerato che Giorgia Meloni ribadisce con fermezza la sua vocazione destrorsa, risalente agli anni giovanili.
Se non la si smette di parlare di destra in termini politici, l’insulsa diatriba pregna di stantio e insopportabile ciarpame mediatico, non cesserà mai. Cerchiamo di sublimare il termine, pertanto, proiettandolo allo stesso tempo in uno scenario scientifico, filosofico, antropologico. Sulla natura dell’individuo si sono cimentati i grandi filosofi sin dall’antichità. All’innatismo di Platone e Cartesio7 ha fatto da contraltare la corrente empirista che ha visto Locke, Hume e Hobbes tra i principali interpreti. Con una sintesi più in linea con il tempo contemporaneo si può sostenere che la conoscenza innata (retaggio ancestrale insito nel Dna di ciascuno) subisca alterazioni più o meno intense tanto dal condizionamento ambientale quanto dal livello di conoscenza acquisito vivendo. Soprattutto il condizionamento ambientale può fungere da stimolo per le componenti innate (positive o negative che fossero) o da elemento obnubilante. Nel primo caso il rapporto tra retaggio ancestrale e ambiente è conseguenziale, anche se non scevro di eccezioni: Dna guasto più ambiente guasto generalmente sviluppano soggetti guasti; Dna positivo più ambiente sano, sia pure con sfumature diverse, sviluppano soggetti positivi; nel secondo caso si rendono possibili infinite serie di variabili, determinate dal livello del condizionamento e dalle tante circostanze imponderabili e imprevedibili
che afferiscono all’esistenza umana. Dalla combinazione di questi fattori scaturiscono le azioni degli individui e le scelte effettuate in ogni campo. Per quanto concerne i sistemi politici, però, il genere umano è stato costretto a utilizzare degli schemi rappresentativi che consentissero a tutti di riconoscersi in qualcuno di essi, snaturandone l’essenza metafisica. Sorvolando su secoli di storia per snellire il discorso, soffermiamoci su destra e sinistra, rappresentandole come i colori originali di una tavolozza che, via via, è divenuta sempre più variopinta, raggiungendo una quantità tale di sfumature la cui percezione è materialmente impossibile alla maggioranza delle persone, che possono solo effettuare delle scelte tra ciò che effettivamente riescono a vedere, proprio come gli incatenati nella caverna di Platone. Una scelta limitata per mancanza di visione globale, per giunta condizionata dai fattori precedentemente esposti, non può che portare ad associazioni improprie tra i colori scelti e ciò che essi invece effettivamente rappresentano. Il caos contemporaneo, a ogni livello, non è altro che la conseguenza di queste distonie cognitive. Ma procediamo per gradi. Se si prende in esame l’Universo dal punto di vista “fisico” (quindi nell’accezione scientifica) commisurandolo nella visione “filosofica” (amore per la sapienza), possiamo facilmente dedurre che il termine “destra” si configura come elemento positivo non solo del genere umano ma di tutto ciò che da esso trascende. Alcuni esempi essenziali: il tempo scorre a destra e per misurarlo le lancette dell’orologio girano a destra; le piante rampicanti si attorcigliano al sostegno con spirali a destra; le conchiglie univalve dei gasteropodi mostrano la spirale a destra; i motori ruotano verso destra; in inglese, per definire un galantuomo, si dice right hand man; il figlio dell’uomo è seduto alla destra del Padre; tenere la destra è garanzia di disciplina nel traffico automobilistico; cedere la destra è segno di cortesia; di un inetto si dice che è un maldestro; un artista crea quando gli viene il destro; destreggiarsi: superare con intelligenza le difficoltà; destriero: cavallo da battaglia coraggioso, agile, generoso; “Alicui fidem dextramque porrigere” (Cicerone) – Porgere la mano destra in segno di fedeltà; ogni contratto d’onore si sancisce stringendo la mano destra; si giura alzando la mano destra (in passato ponendola su un testo sacro).
Sia pure con i doverosi limiti che vanno tributati ai testi religiosi, va comunque detto che anche nella dottrinaebraicaecristiana ilconcetto didestraèsemprestato affiancato albene, alpositivo: “Ilsaggio ha il cuore alla sua destra, lo stolto l’ha alla sua sinistra” (Ecclesiaste 10:2): secondo i libri sapienziali della Bibbia il cuore ha la stessa valenza che per noi contemporanei ha la mente. Se fosse davvero possibile proiettare in un essere umano tutto ciò che traspare dai succitati esempi, avremmo una persona meravigliosa, capace di elevarsi naturalmente e serenamente in qualsivoglia contesto, senza dover produrre alcuno sforzo. Trasformando il concetto di destra in qualcosa che non attenga alla dialettica politica ma alla sfera dell’essere, vanificheremmo all’origine ogni discussione pregiudizievolmente critica Nessuno discute “l’acqua” perché “acqua”; si discutono coloro che l’inquinano, che lucrano sui soldi destinati alle riparazioni di fatiscenti e obsoleti acquedotti rendendola imbevibile; si discute della sua assenza a causa della siccità in talune zone e su come risolvere il problema; si discute della sua capacità distruttiva in caso di abbondanza e delle colpe di chi non abbia creato adeguati provvedimenti per ben regimentarla. Si discute di questi aspetti che la vedono solo come protagonista “neutrale”, senza colpe e con il solo grande merito di essere un elemento fondamentale per la vita degli esseri umani. Si faccia in modo che la destra venga concepita e recepita come se fosse un elemento naturale, in modo da discutere solo il suo eventuale cattivo utilizzo, non la sua essenza. L’antidoto che serve, pertanto, per non essere travolti dal caos, è un solido rafforzamento culturale che consenta di seppellire definitivamente, insieme con tante altre cose, tutte le sciocchezze ossimoriche proprie di coloro che, con estrema leggerezza, si definiscono di “destra” associando altermine concettiche con la destra nulla hanno a che vedere (liberale; centro; repubblicanesimo statunitense; farneticazioni di vario genere prodotte da pseudo-filosofi, molti dei quali davvero fuori di testa) e comportamenti che di essa sono l’esatta antitesi (spocchiosa saccenteria; tutela della propria libertà a discapito di quella altrui; propensione all’irritazione in caso
di confutazione anche legittima del proprio pensiero; culto del “particulare” e ristrettezza mentale; incapacità di cogliere l’essenza delle cose; presunzione marcata pregna di ridicola autoreferenzialità; concetti come “il fine giustifica i mezzi” interpretati e soprattutto praticati distortamente; citazioni errate pronunciate convintamente e con aria da intellettuali, del tipo “come ha detto Einstein tutto è relativo”, frase ovviamente mai pronunciata in questi termini, esprimendo essa un elemento “assoluto” (tutto è relativo); scarsa propensione allo studio severo, come facilmente dimostrabile sol che si prendessero a caso un po’ di soggetti e li si sottoponessero anche a un semplice esame. In questo magazine abbiamo dedicato decine di articoli e un intero numero al liberalismo8, spiegando bene che è il vero cancro della società contemporanea perché assomiglia alle polveri sottili: esiste, ma non si vede materialmente e viene subito inconsapevolmente dalle masse amorfe, vittime dello strapotere del globalismo capitalista gestito dalle multinazionali. Conosco molte persone autodefinitisi “fieramente” di destra. Sorvolando su quelle più anziane, che continuano a sognare impossibili ritorni e alle quali non va detto nulla perché è preferibile che permangano nella loro generosa illusione, evitando, in età avanzata, le acque melmose della disillusione, vanno attentamente “vagliate” tutte le altre pervase dalle succitate nefaste caratteristiche, soprattutto in un momento in cuiper tantidiloro sistanno spalancando ledorateportedeipalazzidelpotere, senzaessereall’altezza dei ruoli che saranno chiamati a svolgere. Ciò, alla lunga, o anche non troppo alla lunga, potrebbe far crollare non il tetto di cristallo ma il castello di cartone, perché è ben evidente che “gli altri” impareranno presto a meglio sfruttare queste deficienze a loro vantaggio. Tutto ciò premesso, riflettano bene sulle proprie azioni almeno coloro che, oggi, sono costretti a combattereneicampidibattaglia mediaticie istituzionali, perché il vero punctum dolens èl’approccio relazionale con il prossimo. Dialogare muro contro muro con chi fosse pervaso da odio rancoroso e pregiudizi fallaci non serve a nulla per svariati motivi: il ragionamento banale ha sempre maggiore efficacia sulla gente rispetto a quello complesso; la menzogna sparata a casaccio sugli argomenti in discussione arriva prima e meglio della realtà dei fatti affrontata e gestita oggettivamente; i mestatori intelligenti sono imbattibili sul piano dialettico da chi attualmente sia chiamato a fronteggiarli perché sanno sfruttare tutte le lacune e gli errori - inevitabili in ogni contesto – per colpire ad alzo zero, mischiando abilmente briciole di verità con le mistificazioni a loro utili. Il sistema mediatico, infine, ha fatto sì che autentici signor nessuno, capaci solo di far caciara, abbiano ampia ribalta proprio per questa ragione, essendo la caciara uno dei piatti preferiti dalle masse La loro inconsistenza risulta chiara alle persone in grado di distinguere il grano dal loglio, ma negli studi televisivi, insieme con i mestatori, i rancorosi, gli odiatori seriali e chi più ne abbia più ne metta, massacrano chi tenti faticosamente e spesso invano, di fornire una versione veritiera dei fatti discussi Ѐ proprio questo che non deve accadere, perché, conferendo dignità interlocutoria a chi non la meriti, si concede loro un grande vantaggio. Ѐ fondamentale, quindi, considerare il succitato caleidoscopio umano “l’inutile fardello” del quale liberarsi ad ogni costo, ignorandolo sistematicamente Come già detto non sono poche le distonie, anche gravi, presenti sia nell’attuale compagine governativa sia in quella parlamentare che la sostiene. Tante osservazioni critiche che nascono “dall’altra parte”, per certi versi, non sono campate in aria: anche un orologio rotto, due volte al giorno, segna l’ora esatta. Se si riuscisse a far percepire a tuttiche comunque diorologirottisitratta, si farebbe un belpasso inavanti. Si isolino completamente gliorologirotti, pertanto, e sidiscuta esclusivamente, anche in modo critico e aspramente oppositivo, all’interno di quel mondo, politico e sociale, che oggi si trova a reggere le sortidelPaese. Siabbia il coraggio diconsiderare tutto ciò che sitroviall’esterno come consideriamo le tempeste in mare, le trombe d’aria, i fulmini: esistono e sempre esisteranno e ci obbligano a prendere delle precauzioni, senza fare tante storie. Si stabiliscano metodi comportamentali ben strutturati per i talk show televisivi, prendendo in considerazione anche la possibilità di evitare quelli nei quali ci si dovesse confrontare con i cretini di turno, spiegando chiaramente ai conduttori che non s’intende in alcun modo discutere di argomenti delicati con chi non abbia titoli e competenze in
materia. Con gli avversari che invece li abbiano, nel confronto, si evitino i battibecchi e ci si limiti a esporre programmi e visione del mondo pacatamente, con estrema chiarezza, senza dare peso né alle provocazioni né agli attacchi personali. Mantenere la calma quando gli altri urlano conferisce credibilità ai calmi, non agli urlatori; non dare peso alle argomentazioni altrui, qualsiasi cosa venga detta, farebbe percepire lo stile raffinato, una grande forza interiore e la superiorità morale e culturale. Bisogna realmente possederla, questa superiorità, però, per metterla in campo efficacemente! E qui casca l’asino, perché ritorniamo alla necessità del già citato “rafforzamento culturale”, che ovviamente non si costruisce dall’oggi al domani. Ma vedremo più avanti che qualche soluzione comunque esiste, solo che si abbia la capacità e la volontà di farvi ricorso. Soprattutto – e ripetiamo anche questo concetto fino alla nausea - si faccia sempre attenzione alle parole. Sulla vicenda dell’Ocean Viking e conseguente crisi dei rapporti con la Francia9 , per esempio, ho sentito una sequela impressionante di dichiarazioni tutte comprensive della frase “reazione spropositata”, pronunciata non solo da esponenti politici ma anche da un vescovo. Niente di più sbagliato! Spropositato è un aggettivo sinonimo di scorretto, erroneo, madornale, tutti termini inappropriati per inquadrare correttamente il problema. Sembra quasi che si sia scelto consapevolmente di essere morbidi e non calcare troppo la mano, con il risultato che “l’assurdo” (ecco il termine esatto) comportamento dei francesi, ingigantito dalle strumentalizzazioni interne, ha creato condizioni ottimali per esporre il Governo a ingiuste critiche, dando un vantaggio ai mistificatori: seppur minimo, sempre di vantaggio si tratta. Quando gli altri attaccano duramente, bisogna sì mantenere la calma, ma replicare senza tentennamenti, alzando il tiro e spiattellando con fermezza le distonie insite nei “loro” comportamenti malsani, che nella fattispecie non sono certo di lieve entità: basta fare un salto a Ventimiglia per rendersene conto ed è appena il caso di ricordare che i cari cugini francesi la linea dura la stanno adottando da ben sette anni. Comportarsi sempre in modo appropriato e onesto, se si riesce a farsi capire, risulta straordinariamente attrattivo per chi ascolti. Prendiamo in esame, inoltre, due importanti fattori troppo sottovalutati. (Ecco la possibile soluzione al problema cui facevo riferimento innanzi).
1) Per una consistente fetta diquelle persone confuse, ma anche arrabbiate, che inperfetta buona fede ancora brancolano nei campi desolati di una sinistra allo sbando e in quelli più pericolosi che sta arando con abile maestria Calenda, trovarsi al cospetto di soggetti di alto spessore significherebbe ricevere quel ceffone che fa svegliare all’improvviso chi dorma profondamente sulla barca che sta affondando, consentendogli di saltare sul canotto che gli salverà la vita
2) Per quanto possa essere difficile da digerire, bisogna considerare che la parte migliore del Paese, in ogni campo, è racchiusa in quei sedicimilioniseicentosessantaseimilatrecentosessantaquattro cittadini che non si sono recati alle urne perché non si sentono rappresentati da nessuno. Occorre pensare soprattutto a loro, per recuperarli sia come elettorato attivo sia (e soprattutto) come elettorato passivo, in modo da rigenerare la classe politica con risorse che finalmente non presentino ombre nei curricula e nella fedina penale. Una metà guarda a sinistra, ma l’altra metà aspetta solo di trovare a destrauncampo florido da arare. Come tutti i “migliori”, però, sono molto esigenti, e quindi con loro non si può e non si deve scherzare. La fiducia non la danno facilmente, non si mischiano col ciarpame esono cautiper natura. Bisognacoltivarliseriamente, pertanto, sbagliando il meno possibile e dimostrando sempre e comunque che di meglio, con le risorse attuali, proprio non si poteva fare. Senza perdere troppo tempo, poi, si ponga rimedio a qualche sfasatura che proprio non si regge, valorizzando le risorse già disponibili sulla piazza. Gratteri sarebbe stato un ottimo ministro, per esempio, ma non è stato preso in considerazione. Ora si parla di lui come possibile direttore del Dap. Che aspetti?Già questo sarebbe un buon segnale. E nondimentichiamoci di Di Matteo, uno deipochi veri eredi della nobile tradizione di servitori dello Stato incarnata da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino. Poic’è tutto ilresto, che nonè poco: efficientamento energetico, da rivedere in modo che nessuno resti fuori e punendo aspramente chi abbia lucrato sull’ecobonus (molto probabilmente
questo numero sarà on line dopo il decreto e spero vivamente che si corregga la barzelletta dei quindicimila euro di ISEE per le villette unifamiliari: tutti devono essere messi in condizione di ridurre i costi energetici e non serve spiegare il perché); risorse culturali del Paese, che non vanno offese matutelatecome meglio nonsipossa; lottaspietataaglievasorifiscali, dimostrando seriamente che nonsi pensa proprio a chiudere entrambi gli occhi per fini elettorali; scuola; università; ambiente; tasse; pensioni: un vero abominio sia quelle milionarie sia quelle intorno ai cinquecento euro mensili, o addirittura inferiori; tanto altro ancora. Ti guardano i migliori del Paese, cara Giorgia Meloni, davvero con simpatia, ma senza alcuna intenzione di farti regali o sconti anche minimi, in quanto prediligono una sola cosa: l’eccellenza. Tra loro ve ne sono davvero tanti che, se ne avessero la possibilità, farebbero vedere i sorci verdi a quei meschini che spopolano nelle TV, sputando più veleno dimilleserpieridicolizzando iltuo esercitoacorto diarmi valideper replicareadeguatamente. (D’istinto avevo utilizzato l’espressione “loschi figuri”, appresa dal mio maestro Pietro Buscaroli, che così definiva i meschini di ieri. Oggi, però, quella espressione risulta quasi gratificante, perché essere un losco figuro nella società attuale è motivo di vanto e non di vergogna. Molto meglio “meschini”, quindi).
Fai pure ciò che vuoi, cara Giorgia, perché te lo sei conquistato questo diritto, ma rifletti bene sulle conseguenze delle tue azioni: puoi accontentarti di andare avanti fino a quando le circostanze favorevoli te lo consentiranno, mandando poi il Paese in malora, o entrare alla grande nei libri di storia. Per il momento: chapeau. Non è poco, ma non è nemmeno tanto. E soprattutto non serve al Paese.
1. Edward De Bono, “Il pensiero laterale: come produrre idee sempre nuove”, 19ª ed., Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2020 [1969]
2. Si veda, in particolare, “Bye Bye american dream”, Confini nr. 48, ottobre 2016, pag. 28. Nell’articolo si parla anche del gap culturale che limita l’accesso delle donne ai vertici del potere, traendo spunto dal film “The contender”, del 2000, che tratteggia magistralmente il feroce ostracismo tributato a una donna chiamata alla vicepresidenza del Paese. Sono trascorsi ventidue anni e alla Casa Bianca un vicepresidente donna ora c’è, senza peraltro che si registrino sensibili cambiamenti di mentalità nella stragrande maggioranza degli statunitensi. Giova sempre ribadire, inoltre, quando si parla degli Stati Uniti, l’errore concettuale che si commette in Europa e più marcatamente in Italia, nell’attribuzione delle aree politiche di pertinenza. I repubblicani vengonoconsiderati di “destra” e idemocratici di “sinistra”. Premessochenella parteconclusiva dell’articolo si parlerà proprio di questa distinzione sotto un profilo più attinente alla realtà anche per quanto concernenoi europei, per gliUSA èunacosa fuoridalmondoparlaredi“destra”e,mancoadirlo, di“sinistra”. I repubblicani sono l’incarnazione di quel liberal-capitalismo che in Italia trova similitudini teorico-pratiche in Forza Italia (partito, ripetiamolo finoallanausea, chenon hanessuna attinenza con una vera destra), mentre i democratici incarnano un liberalismo di stampo progressista abbastanza simile a quello professato in Italia da Calenda. Giova ribadirlo perché nulla è più difficile da scardinare dei convincimenti radicati nell’immaginario collettivo, grazie anche al forte condizionamento esercitato dai media e dagli stessi politici, che utilizzano impropriamente tanti termini, cadendo nel ridicolo quando si autodefiniscono con espressioni palesemente ossimoriche. Sarebbe il caso di ricordare loro lo sdegno di Nanni Moretti, sia purenella finzione filmica, mentre ascoltava una giornalista stupidotta che si beccò un bel ceffone seguito dal famoso grido: «Le parole sono importanti».
3. Himmelstoss, maturo portalettere richiamato al fronte con i gradi di sergente, vessa pesantemente i giovani studenti volontari, generando grande stupore, essendo stato con loro in gradevole confidenza fino al giorno precedente. Il calzolaio analfabeta Kat fornisce una bella lezione di vita agli ingenui liceali corsi ad arruolarsi convinti di vincere subito la guerra e tornare a casa per Natale: «Se tu tiri su un cane a patate, e poi un giorno gli dai un pezzo di carne, quello slunga il muso ugualmente, perché è nella sua natura. Così, quando dai a un uomo un pezzetto di potere, è la stessa cosa: anche lui slunga il muso. E una faccenda che va da sé, perché l'uomo è prima di tutto un animale e poi magari ci hanno spalmato sopra un po' d'educazione, come il burro su una fetta di pane». Nella vita civile, subirela mediocrità altrui, è ancora più faticoso che nella vita militare, a meno che non si sia in guerra: in questo caso, infatti, la mediocrità dei superiori può far perdere la vita
4. “Gli uomini mi spiegano cose”, 2017, casa editrice Ponte alle Grazie, Milano.
5. Il saggio, del 2004, s’intitola “River of Shadows: Eadweard Muybridge and the Technological Wild West” e parla dello sviluppo in California dopo la guerra civile, visto anche attraverso le foto di Muybridge. Ѐ inutile che proviate a reperirlo in italiano: se vi va di vedere la prima foto in movimento ad alta velocità, scattata nel 1872 con 24 fotocamere sistemate parallelamente lungo un tratto di strada percorso da un cavallo, nonché apprenderequalcosa sulleorigini di Hollywood e della Silicon Valley, dovete acquistarela versioneoriginale, anche in e-book, sui soliti web store.
6. Glissando suglialtri componentidella compaginegovernativa, Sgarbi, eccezion fatta quandoparli di arte, può senz’altro apparire oltremodo noioso e irritante, ma vederlo in una posizione di subalternità nei confronti dell’attualeministro della Culturarisulta abbastanza ridicolo. Ha senz’altro sbagliato ad accettare il ruolo, ma per un dicastero così delicato, e soprattutto con tanti nomi realmente validi a disposizione, il problema non doveva proprio sorgere. Il compiacente amico, del resto, era stato già abbondantemente beneficiato con la direzione di un TG ed elevarlo al rango di ministro è una vera nota fuori posto in uno spartito musicale già di per sé di difficile esecuzione orchestrale.
7. Per Platoneuna personaha nozioni e concetti già all’atto della nascita, che precedono quelle successivamente apprese grazie all’esperienza di vita; per Cartesio sono innate delle capacità di organizzazione di ciò che si apprende attraverso l’esperienza
8. Confini, nr. 81, dicembre 2019: “L’oppressione liberale”.
9. A futura memoria. La Ocean Viking è una nave appartenente alla ONG Sos Méditerranée. Verso la fine di ottobre 2022 ha raccolto 230 “clandestini” (dai media e non solo sistematicamente ed erroneamente definiti “migranti”, che invece sono solo coloro che “emigrano” legalmente da un Paese) tentando di farli sbarcare in un porto italiano, ottenendo la ferma opposizione delle autorità governative, che avevano già consentito l’approdo, nella prima decade di novembre, a due altre navi piene di clandestini. Dopo tre settimane di navigazione nei pressi della costa siciliana, la nave si è diretta a Tolone, dove l’11 novembre sono sbarcati tutti i clandestini. La Francia, responsabile di feroci e violenti respingimenti alle frontiere, ha reagito scompostamente accusando il Governo italiano di comportamento disumano. Debole e inappropriata la reazione del Governo italiano. Le Ong che operano nel Mediterraneo sono complici degli scafisti nella tratta degli esseri umani e ciò va denunciato con maggiore fermezza e soprattutto producendo atti concreti di contrasto. I governanti europei con doppia faccia vanno smascherati con non minore fermezza. Con calma e sorridendo, ma con fermezza, mettendoli con le spalle al muro e impedendo loro, con i fatti, ogni possibile replica. Il tutto senza mai dimenticarsi di distinguere i governanti dai popoli che rappresentano, in modo che sia ben chiarola propensionea un sano europeismo, elemento fondamentale cherende“superiore” a chiunque altro chi lo faccia ben percepire.
(31 ottobre 2022)
Caro direttore Abbate, potrei trasformare questa lettera in un romanzo, ma ovviamente non è il caso dal momento che, per tutti, maiora premunt Solo per chiarezza espositiva, pertanto, premetto che, pur appartenendo a quel variegato universo sociale convenzionalmente definito “destra”, ma con peculiarità che mi tengono lontano dagli apparati partitici, ritenendo i valori di cui sono portatore racchiusi esclusivamente nel “club” (chiamiamolo così) da me fondato col nome “Europa Nazione”, da ben trentadue anni sono un lettore assiduo del settimanale di cui sei direttore. Nel trentennio precedente, o per meglio dire dal 1962 (quando era ancoraun mensile), incasa ne circolava un altro, delquale presagii l’ingloriosa fine con largo anticipo rispetto ai fatti che l’avrebbero resa ancora più drammatica, inutili da rimarcare Tra il non informarsi proprio e informarsi attraverso organi di stampa non affini alla visione del mondo coltivata, scelsi questa seconda opzione. “Organi”, perché, come facilmente intuibile, nel 1994, divenuto illeggibile anche il bel quotidiano fondato dal defenestrato Indro Montanelli, lo sostituii con “la Repubblica”. Leggevo serenamente gli articoli che per ovvi motivi non potevo condividere, apprezzando quelliche – nonmancavano mai- quale che fosse la tematica trattata, anche politica, essendo caratterizzati da un fulgido rigore professionale, risultavano gradevoli, condivisibili e talvolta davvero istruttivi.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, da allora, e chi ti scrive continua ancora ad essere orfano di una “vera” destra, perché, quella che tutti definiscono tale, in virtù di un caos concettuale che non può essere compiutamente sviscerato in questo contesto se non precisando che è pregno di ossimori, tra
le tante cose belle che di certo non posso non apprezzare, presenta pericolose contaminazioni dalle quali mi separano interi oceani.
Ciò premesso, devo aggiungere – absit iniuria verbis – che anche quegli “organi di stampa” che leggevo con serena consapevolezza del loro ruolo nella società, hanno perso via via consistente qualità, trasformandosi non solo in lamentosi gazzettini di una società in dissoluzione ma anche in spericolati testimonial dei principali dissolutori.
Sorvolando sulla violenza lessicale – sempre più pericolosa diquella fisica - conla quale siaffrontano talune tematiche sociali, sulla tiritera senza fine delpericolo fascista, che ha veramente rotto le scatole e riporta alla mente quei tipi strani che guardano il dito mentre si indica la luna (intendendo per luna precipuamente, ma non solo, la degenerazione del liberal-capitalismo verso derive lerce che sono alla base dei veri mali sociali), sta diventando davvero insopportabile lo stupro della lingua italiana con simboli estranei all’alfabeto e sgrammaticature figlie non dell’ignoranza ma di una precisa volontà distorsiva, ancorata a presupposti sui quali è preferibile glissare: il terrorismo, di qualsiasi natura, si combatte e basta.
Già due anni fa, sia pure succintamente, affrontai l’argomento, che stava montando con crescente intensità, come di fatto è poi avvenuto. (Cliccare qui)
Anche nell’ultimo numero de “L’Espresso” (che mi è giunto con qualche giorno di ritardo: il numero 43, quindi, non quello in edicola), come già accaduto più volte negli ultimi mesi, vi è un articolo che, al di là dei patetici concetti espressi (dato irrilevante, sia ben chiaro, in quanto meramente soggettivo), presenta strambi simboli ortografici al posto delle vocali finali dei sostantivi. Non serve citare chi li abbia usati: più dei nomi dei “terroristi” sono importanti quelli delle loro vittime e non si scambi questo concetto per una iperbole, essendo il problema maledettamente serio. Sono davvero tante le persone ferite dal continuo stupro della lingua italiana e pertanto sarebbe opportuno che rendessero di pubblico dominio il proprio sdegno, come sto facendo io. Soffro di colite e tu sai bene che da essa non si guarisce: si può solo tenerla a bada evitando eccessi alimentari, taluni cibi particolarmente dannosi, gli alcolici e soprattutto le persone fastidiose. Mancano ancora sei mesi alla scadenza dell’abbonamento a “l’Espresso”, ma ti prego vivamente, a titolo di mera cortesia personale e facendo appello alla solidarietà di categoria (pur senza essere importante come te ho festeggiato quest’anno cinquanta anni di attività giornalistica), diconsiderarlo rescisso, senza alcun obbligo di rimborso, qualora dovessi ancora consentire l’ignominioso stupro della lingua italiana. Se proprio voglio concedermi qualche sporadica eccezione al rigido regime comportamentale imposto dalla colite, preferisco farlo con una frittura di pesce accompagnata da mezzo bicchiere di Riesling dei Colli Orientali del Friuli, o con una bella grigliata accompagnata da mezzo bicchierediAmarone, noncerto leggendo bruttiarticoliaggravatidasegnioscenichebloccano la digestione, per i quali non esistono farmaci abbastanza potenti da utilizzare come antidoti. Caro presidente dell’ordine dei giornalisti, senza tanti giri di parole, pongo ufficialmente alla tua attenzione il problema succitato, che necessita quanto meno di una pacata riflessione e di qualche direttiva ancorata al buon senso, prima che degeneri in modo incontrollabile, come del resto già abbondantemente trasparso dal farneticante recente comunicato dell’Usigrai, nel quale si fa cenno alla “piena libertà di espressione nella scelta del maschile o del femminile, in base alle proprie ragioni”. Come se la lingua fosse paragonabile al menù di un ristorante, che consente a ciascuno di scegliere liberamente le pietanze preferite. Davvero si vuole trasformare questo Paese in una Torre di Babele? Non lo è già abbastanza per altri versi? Un affettuoso saluto a entrambi.
Lino Lavorgna Nella foto: “Grande Torre di Babele”, Pieter Bruegel il Vecchio, 1563. Kunsthistorisches Museum - Vienna(Io mi fermo qui e parlo solo di quella bella).
«Solo et pensoso i più deserti campi vo mesurando a passi tardi e lenti, et gli occhi porto per fuggire intenti ove vestigio human l’arena stampi». (Francesco Petrarca)
«Se chiudo gli occhi vedo talvolta un paesaggio oscuro con pietre, rocce e montagne all'orlo dell'infinito. Nello sfondo, sulla sponda di un mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d'avanguardia, sull'estremo limite del nulla: sull'orlo di quell'abisso combatto la mia battaglia». (Ernst Jünger)
«Quando mi veniva voglia di capire qualcuno o me stesso, prendevo in esame non le azioni, nelle quali tutto è convenzione, bensì i desideri. Dimmi cosa vuoi e ti dirò chi sei». (Anton Pavlovic Cechov)
«Mamma, perché hai scelto Pompeo comesecondo nome?Lo sto studiando oraenonèche mipiaccia molto».
«Sapevo che non ti sarebbe piaciuto, ma non ti dirò perché ti ho chiamato come lui. Dovrai scoprirlo da solo». «E come?» «Vi sono solo tre modi: studiare bene la storia; non fidarti di ciò che studi; impegnarti a scoprire dove si celi l’imbroglio. Se vi riuscirai, vorrà dire che avrai capito il senso della vita. E sarai un uomo migliore». «E se non vi riuscirò?» «Poco male, sarai come la maggioranza del genere umano». (Giuseppina Federico, la Maestra, mia Madre, 1966)
«Sei nato troppo tardi rispetto al passato e troppo presto rispetto al futuro, ma per quelli come te questa frase sarebbe valida sia nelpassato sia nel futuro, quindi non crucciartie cerca solo di imparare a convivere col presente, senza farti male». (Papà Lorenzo, l’uomo che sapeva solo amare, 1974).
«Se un giorno dovessi renderti conto che ti occorrono più di cinque secondi per scegliere le prime parole di un articolo, non scriverlo quell’articolo». (Piero Buscaroli, 1975)
«La più consistente scoperta che ho fatto dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare». (Frase rubata a Jep Gambardella (2013) nel 2020) Ille est Pasquale, qui difficilius ab honestate quam sol a cursu suo averti potest. (Michele Falcone, amico del cuore, 2015). *****
Caro direttore, caro amico Angelo, sonpassaticinquantaanni nove mesiealcunigiorni daquando, conilcuoreche battevaforte,ricevetti da Nino Tripodi la nomina a corrispondente da Caserta del “Secolo d’Italia”. Da oltre mezzo secolo, quindi, su variorganidistampa nonfaccio altro che parlare dei malidel mondo ediciò che servirebbe per curarli. Non ho mai pensato che i miei scritti potessero influire in qualche modo sul corso degli eventi, anche perché ho sempre relegato l’impegno giornalistico in una dimensione extraprofessionale, coltivandolo per passione o come supporto per altre attività in campo politico, culturale, lavorativo. Nondimeno mi è sempre piaciuto esporre il mio pensiero, tirare sberle ai lestofanti, sbeffeggiare i mestatori, suggerire ciò che ritenevo potesse costituire un correttivo a qualsivoglia bruttura, in buona o cattiva fede commessa. Da sette anni, non ho mai mancato, inquesto magazine, diperpetuare leconsolidate metodologie analitiche, facendo talvoltaancheriferimento agli
scritti di un passato che sembra remoto, e di fatto lo è, ma viene reso attualissimo dal ciclico ripetersi delle distonie epocali e dalla mancata attenzione a chi, con largo anticipo rispetto ai tempi attuali, aveva previsto la deriva planetaria verso gigantesche forme di disfacimento e disperatamente cercava difarsiascoltare. Io ero esono ancoratracostoro,ma ciò che vedooraètroppo nauseabondo epesante da digerire. Soprattutto è pesante da descrivere, come meglio si percepirà più avanti, e pertanto ho deciso di cambiare registro narrativo. Ho vissuto e continuo a vivere all’insegna di valori rigorosi, per i quali ho pagato, consapevolmente, un prezzo altissimo. Pur volendo, del resto, non sarebbe stato possibile altrimenti, per manifesta incapacità a derogare da quelle regole insite nel DNA ed esaltate dal continuo esempio di genitori straordinari, più unici che rari. Va bene così, quindi, mentre vago tra i ricordi, indelebili, perché carta canta, assaporando il magnifico profumo di una libertà assoluta e totale, che mi ha consentito di camminare sempre a testa alta e di farla abbassare ai servi intrisi di squallore esistenziale, anche quando proprio grazie ad esso sono stati ritenuti utili al potere, traendone grande beneficio. Una libertà che senz’altro ha limitato i “doni materiali”, ma mi ha consentito di ricevere quello più bello che un uomo (un vero uomo) potesse desiderare, racchiuso in quella stupenda frase presente nell’incipit, pronunciata da una delle poche persone che sono state capaci di amarmi senza riserve e con piena sincerità d’animo. Oggi Michele Falcone cavalca le verdi praterie, essendosi dovuto arrendere a quel terribile virus che flagella l’umanità da circa tre anni, ma me lo trovo ogni attimo al mio fianco, grazie proprio a quella frase affissa alla parete del mio studio e che quindi si proietta costantemente alla vista, dal momento che ivi trascorro gran parte delle mie giornate. Una frase contenente quel termine sublime il cui significato va ben oltre quello scontato che subito salta alla mente (per quella onestà non sarebbe stato necessario scomodare Eutropio, essendo sufficiente la storia personale e familiare) sublimando scelte di vita di ben altra natura. Ho conosciuto uomini straordinari e ho combattuto contro uomini terribili. Ѐ stato veramente bello; sono state belle le vittorie e dolorose le sconfitte, ma non mi hanno mai appagato le prime né fiaccato le seconde. Oggi, però, trovo indignitoso tenere la mia Excalibur sguainata contro le mezze cartucce che si sono impossessate di questa meravigliosa Terra che si chiama Europa. Assisto a un “gioco” tra bande nelle quali ciascuno recita la sua parte, facendo girare come trottole chiunque fosse estraneo al gioco. Non se ne parla nemmeno, ovviamente, di diventare parte del gioco; tanto meno mi si addice il ruolo di trottola, che mi obbligherebbe oggi a parlare bene di Tizio e male di Caio e domani di fare l’esatto contrario. Un gioco stancante e soprattutto inutile. Lo lascio ad altri, pertanto, dando vita a un nuovo ciclo narrativo. Invece di privilegiare, con le continue denunce, il concetto banale insito nel proverbio “non è tutto oro quello che luccica”, voglio dare corpo a quello esattamente opposto, di ben più alto valore simbolico, coniato da Tolkien e messo sulle labbra di Gandalf, che lo dedicò ad Aragorn: “Non tutto quel che è oro brilla”. C’è tanto di buono, in questo Continente, che non brilla perché per troppo tempo si è lasciato che fossero le patacche a luccicare. Ecco, da oggi voglio dedicarmi ai “buoni”, a narrare le loro storie, a farli conoscere, affinché tutti possano capire la differenza tra oro vero e oro laccato. E magari regolarsi di conseguenza. Per me è questo il modo di tornare a scrivere con la gioia nel cuore, senza stressarmi. Magari riuscirò a far percepire anche la “vera” differenza tra Pompeo e Cesare (senza spiegazioni esplicite, che diventerebbero confutabili), chegrazieall’incitamento dimia Madresono riuscito acogliere, esoprattutto lasostanzialedifferenza tra i Cesare e i Pompeo del nostro tempo, da tanti percepiti in modo distonico rispetto alla loro vera essenza, contribuendo in tal modo a far lievitare quel grande Caos nel quale sguazzano, divertendosi un mondo, i burattinai di turno. Con immutato affetto
Lino(Questa lettera, ai fini della pubblicazione, è stata spostata al primo numero del 2023. La inserisco nella raccolta dell’anno 2022 in quanto ad esso strettamente connessa, dopo averla pubblicata anche nel blog personale).
Le continue stragi e i feroci scontri tra le due fazioni in lotta spinsero il Governo britannico a individuare una soluzione ritenuta accettabile per tutti. Con l’abolizione del Parlamento di Stormont si stabilì che i cittadini nord-irlandesi avrebbero avuto una loro Assemblea (Northern Ireland Constitution Act, 1973). Aicittadini coinvoltinella guerriglia, nonostante l’opposizione di moltiparlamentari, fu riconosciuto lo status di prigionieri politici, come da loro fortemente richiesto. Fu anche stabilito che, per qualsivoglia cambiamento dello status costituzionale, si rendeva necessario il consenso della maggioranza deicittadini nord-irlandesi, tenendo conto, per quanto possibile, anche delpunto divista dell’Éire. In un articolo dell’atto parlamentare si legge testualmente: «Con la presente [legge, N.d.A.] si dichiara che l'Irlanda del Nord resta parte dei domini di Sua Maestà e del Regno Unito, e si afferma che in nessun caso l'Irlanda del Nord o parte di essa cesserà di far parte dei domini di Sua Maestà e del Regno Unito senza il consenso della maggioranza del popolo dell'Irlanda del Nord, che vota in un sondaggio tenuto ai fini della presente sezione in conformità con l'Allegato 1 alla presente legge» L’intento era quello di placare gli animi dei militanti dell’Ira e dei fiancheggiatori e non a caso fu anchestabilito che irappresentantidella minoranza cattolicapartecipassero alpotereesecutivo Come già anticipato nel capitolo precedente, anche tra i cattolici nacquero dei dissensi e i moderati ostili all’Ira diedero vita al Partito Socialdemocratico e Laburista (SDLP), che rifiutava la lotta armata come strumento per ottenere l’indipendenza. Il 9 marzo 1973 i nord irlandesi furono chiamati a scegliere, con un voto referendario (nella nota succitata definito “sondaggio”), se restare provincia del Regno Unito o riunificarsi con l’Éire e formare un’Irlanda unita.
Il referendum fu giudicato dai cattolici una presa per i fondelli in quanto era chiaro che avrebbero vinto gli unionisti, più numerosi: più o meno il 60% contro il 40%. Fu deciso di boicottarlo, pertanto, lasciando ai soli protestanti il compito di recarsi alle urne. Va detto, tuttavia, che anche alcuni cattolici, per lo più elettori del SDLP, votarono per il remain, nonostante il chiaro appello al boicottaggio lanciato anchedaidirigentidel loro partito. Suuntotaledi1.029.544votanti, quindi, siebbeun’astensione di circa il 42%, che consentì agli unionisti di vincere con il 98,2%. I militanti dell’Ira manifestarono il loro disappunto con numerosi attentati, sia nel Nord Irlanda sia a Londra, dove due autobombe provocarono un morto eduecento feriti. Lo scontato risultato referendario portò alla creazione di un esecutivo formato da sei membri degli Unionisti Ufficiali e cinque membri del Partito Socialdemocratico e Laburista Questo atto politico, alla pari di tanti altri descritti in precedenza, consente una considerazione molto importante, che la dice lunga sul perché il processo di riunificazione non è mai andato in porto: il Partito dei cattolici moderati, che aveva boicottato legittimamente il referendum, non ci pensò due volte a governare con gli unionisti. Ѐ si vero che era nato proprio con quello scopo, concettualmente definibile, come in effetti da tanti definito, “un nobile proposito1” , ma a quel punto era anche chiaro che gli unionisti non avrebbero mai lasciato vero spazio operativo ai cattolici e che l’unica opposizione seria era quella effettuata dal Sinn Féin. Si andò avanti a tentoni, pertanto, e fu concordata con il Governo dell’Éire una conferenza che si tenne nel piccolo villaggio di Sunningdale, una cinquantina di chilometri a ovest di Londra. (Sunningdale Agreement, 9 dicembre 19732). Fu stabilita l’istituzione di un Consiglio d’Irlanda che avrebbe dovuto consentire una cooperazione tra l’entità giuridica nord-irlandese e l’Éire, riunendo collegialmente rappresentanti della nuova Assemblea nordirlandese e rappresentanti del Parlamento irlandese. Il Consiglio era composto da trenta membri della nuova Assemblea nord-irlandese e da trenta membri del Dail diDublino, ossia la Camera bassa dell’Oireachtas (Parlamento) della Repubblica d’Irlanda. I socialdemocratici irlandesi in buona fede (perché non tutti erano come quelli descritti nella nota nr. 1) confidavano, ingenuamente, che il Consiglio potesse rappresentare il primo passo verso l’unità dell’isola. I protestanti, infatti, temendo che con ilTrattato sisarebbe potuto realmente coronare il sogno unitario deicattolici, formarono l’Ulster Unionist Council, organismo di contrasto composto dagli eletti nell’Assemblea, che subito firmarono una mozione disfiducia nei confrontidell’Esecutivo, guidato da Brian Faulkner, anch’egli unionista ma convinto sostenitore dell’accordo sottoscritto a Sunningdale e per questa
ragione inviso alla maggioranza dei colleghi di partito. La mozione fu respinta e l’Ulster Workers Council indisse uno sciopero generale, cui aderì anche l’Ulster Defence Association, che mise in ginocchio le Contee e sancì il completo fallimento del Trattato nel maggio 1974. Il successo galvanizzò i protestanti, che ripresero una feroce campagna di attentati contro inermi cittadini cattolici e i militanti dell’IRA. La risposta non si fece attendere e ancora una volta fu la violenza ad avere il sopravvento. Nell’ottobre 1974, a Guildford, cittadina a sud-est di Londra, due bombe, collocate in due pub frequentati prevalentemente da militari inglesi, provocarono cinque vittime (quattro militari e un civile) e sessantacinque feriti. Il 21 novembre 1974 si replicò in due pub di Birmingham, con un bilancio più grave: ventuno vittime e 182 feriti. Gli attentati alimentarono il già abbondante odio nei confronti dei nord-irlandesi cattolici, grazie anche alla stampa che non perse tempo nel gettare benzina sul fuoco: l’essere umano èportato avedere il male solo neglialtri, senza rendersiconto di quello proprio e senza mai chiedersi il perché di certe azioni. Le masse inferocite avevano bisogno di colpevoli da crocifiggere, ma i guerriglieri dell’IRA non erano certo degli sprovveduti e non avevano lasciato alcun elemento che consentisse la loro identificazione. Il Parlamento di Westminster, però, varò in fretta e furia il Prevention of Terrorism Acts (Leggediprevenzionecontro ilterrorismo), cheprevedeva il fermo deicattoliciper settegiorni, senza assistenza legale, sol che fossero sospettati di simpatizzare per l’IRA - accusa che praticamente era possibile imputare al90% dei cattolici- ed essere processatisenza una giuria. Le pressioni sulle forze dell’ordineaffinchétrovassero subito “dei”colpevolis’intensificavano giorno dopo giorno e alla fine, in mancanza di meglio, furono presi undici poveracci che con l’IRA non avevano nulla a che vedere e sbattuti in prigione. Bisognava indurli a confessare, però, per rendere credibile l’arresto, cosa che fu ottenuta facilmente con i pressanti interrogatori, la tortura psicologica, la privazione del sonno e la minaccia di uccidere i familiari. A uno di loro, Paul Hill, dissero che avrebbero ucciso la moglie incinta se non avesse “confessato” Alle confessioni estorte con la tortura furono allegati falsi verbali dai quali risultava la positività alla nitroglicerina, che i poveretti manco sapevano cosa fosse. In un processo farsa furono comminati quattro ergastoli; due condanne a 14 anni; tre condanne a dodici anni; due condanne a 5 e 4 anni per due fratelli minorenni Un vero incubo per due famiglie imparentate, che in prigione subirono pesanti vessazioni. Nei testi e nei media che si sono occupati della vicenda si parla dei “quattro di Guildford” (Gerry Conlon, Paul Hill, Carole Richardson e Paddy Armstrong) e dei “sette Maguire”, creando un po’ di confusione. Tra i sette Maguire, infatti, vengono inseriti anche Giuseppe Conlon (padre di Gerry3 e cognato di Anne Smith, che aveva sposato suo fratello Patrick), e Patrick O’Neill, amico di famiglia. In pratica i membri della famiglia Maguire arrestati furono cinque: Anne e il marito Patrick; il primo figlio diciassettenne Vincent; il secondo figlio quattordicenne Patrick; Sean Smith, fratello di Anne, 37enne. I membri dell’IRArivendicarono ufficialmente l’attentato e, neldicembre 1975, quattro militanticatturati a Londra per altri fatti, dichiararono che degli undici se ne ignorava addirittura l’esistenza e pertanto andavano scarcerati subito. I giudici, però, fecero orecchie da mercanti: con la riapertura del processo avrebbero perso credibilità agli occhi dell’opinione pubblica. Dopo tutto si trattava solo di undici poveracci irlandesi: marcissero pure in carcere, anche se innocenti. Per l’attentato di Birmingham accadde esattamente la stessa cosa: altri sei irlandesi innocenti (Hugh Callaghan, Patrick Hill, Gerard Hunter, Richard McIlkenny, William Power e John Walke) furono condannati all’ergastolo nel 1975.
Giuseppe Conlon inviò numerosi appelli ai media, ai politici, ai giudici, chiedendo che si riaprisse il processo, facendone chiaramente percepire la natura farsesca e strumentale, ma fu tutto inutile: si ammalò, non fu curato e morìtra le sbarre il 23 gennaio 1980, senza aver potuto mai rivedere il figlio. La sua tragica morte, però, diede linfa ai tantiappelli rimasti inascoltati, e qualcosa iniziò a muoversi.
Vi è un dato importante su questo punto che, come per tante altre fenomenologie sociali più o meno analoghe, non viene preso sufficientemente in considerazione, pur essendo fondamentale per inquadrare il problema. Gli inglesi che bramavano sangue irlandese sapevano benissimo che il processo era una farsa e che gli attentati erano imputabili a veri militanti dell’IRA: bastava guardarli anche
senza che aprissero bocca, gli imputati, per capire che manco alle giostre sarebbero stati capaci di imbracciare un fucile e men che mai di destreggiarsi con gli esplosivi e organizzare attentati impeccabili. La farsa giudiziaria, tuttavia, risultava appagante in virtù di particolari processi mentali e quindi scambiata per un legittimo processo. Attenzione: non si faccia confusione tra gli esponenti del potere(magistrati, politici, giornalisti) e le masse: iprimi mentivano sapendo dimentireeconspietato cinismo mandavano innocenti in galera, esponendoli al pubblico ludibrio; il popolo “si convinceva realmente” della colpevolezza degli imputati, anche di fronte a un’evidenza che avrebbe dovuto e potuto consentire di aprire gli occhi. La psicologia spiega questa distonia dell’essere con il termine scotoma, mutuato dalla scienza oculistica: l’occhio vede solo ciò che la mente vuole vedere. Allo scotoma spesso si associa una seconda distonia mentale che affligge una consistente fetta del genere umano: ridurre il proprio livello di frustrazione, per qualsivoglia motivo insorto, praticando atti di violenza contro chi non si possa difendere Anche la manifestazione di odio verso soggetti con in quali non si entrerà mai in contatto, infatti, è una forma di violenza. Si rendono necessari eventi davvero straordinari o sconvolgenti affinché l’effetto di offuscamento mentale cessi e sentimenti diversi affiorino – parliamo sempre “esclusivamente” delle masse aduse a ragionare di pancia e a conferire valore assoluto alproprio pensiero - facendo cambiare completamente le prospettive analitiche, tra l’altro a volte sostituite da altre non meno fallaci delle precedenti Nella fattispecie, la stampa iniziò ad attenuare la linea aggressiva nei confronti degli irlandesi ingiustamente imprigionati; a livello di opinione pubblica si iniziò a parlare sempre più insistentemente della loro innocenza e dell’atroce morteprovocata alpovero Giuseppe Conlon; AmnestyInternational (che quando non esagera nella difesa di chi si renda colpevole di crimini efferati, fa cose buone) intervennedrasticamente, denunciando le decisioni strumentali dei giudici e diffondendo gli articoli della stampa irlandese, che evidenziavano punto per punto le discrasie processuali e la chiara volontà persecutoria. A poco a poco, persone che fino al giorno precedente sputavano fuoco e fiamme contro gli irlandesi, si trovarono a marciare a favore dei detenuti, chiedendone la scarcerazione. Ѐ a questo punto che entra in gioco l’avvocatoingleseGarethPeirce, notaper lasuastraordinariaabilità nellatuteladeidiritticivili. (Vi invito a guardare il film “Nel nome del Padre”, diretto da Jim Sheridan, con lo straordinario Daniel Day-Lewis che interpreta Gerry Conlon ed Emma Thompson nei panni della Peirce, la cui struggente colonna sonora è stata composta da Bono degli U2- già citati per il brano sul Bloody Sunday – e dal cantante irlandese Gavin Friday). La Peirce si mise al lavoro sommando furore civile a razionale metodo professionale e ben presto riuscì a dimostrare che le prove erano state manipolate e la pubblica accusa aveva nascosto ogni elemento in grado di scagionare gli imputati. Negli archivi della polizia trovò documenti che riportavano la scritta: “da non mostrare alla difesa”. Vinse la sua battaglia e il 19 ottobre 1989, dopo ben quindici anni dietro le sbarre, “i quattro di Guildford” furono finalmente scarcerati. Per i cinque Maguire e l’amico di famiglia, invece, l’innocenza fu riconosciuta solo nel 1991, quando ormai avevano finito di scontare le proprie condanne. Il riconoscimento valse simbolicamente anche per Giuseppe Conlon, che come abbiamo visto morì in carcere Gerry Conlon, dopo la terribile esperienza, non riuscì più a reinserirsi nella vita civile: depresso, sfiduciato, ferito nel profondo dell’animo per essere stato, sia pure senza colpa diretta, causa delle sofferenze e della morte del padre, si diede all’alcool e morì di cancro il 21 giugno 2014, a sessanta anni. Paul Hill, invece, s’impegnò subito nella causa dei diritti umani e scrisse il libro “Anni rubati” (Dalai Editore, 1995), che funse da soggetto per il film “In nome del padre”. Nel 1993 si sposò con Courtney Kennedy, figlia del senatore Bob (assassinato nel 1968) e nipote dell’ex presidente John (assassinato nel 1963). La coppia si separò nel 2006 e la loro unica figlia, Saoirse Rosin, morì a soli 22 anni, nel 2019, per overdose. Paddy Armstrong si trasferì a Dublino con la moglie, che gli ha dato due figli. Nel 2017 ha scritto un bellissimo saggio (purtroppo non disponibile in italiano): “Life after Life” (Edito da Gill Books), nel quale esprime una toccante testimonianza sulla capacità di resistenza dello spirito umano, sul potere del perdono e sulla ritrovata libertà che funge da balsamo in grado di guarire le profonde ferite causate dall’ingiustizia più selvaggia. «Questo libro mette in luce la dolce anima diPddy», esclamò commosso ilregista JimSheridan, dopo averlo letto. Nel2014, quando morì Gerry Conlon, Paddy volle mettersi al posto di uno dei portatori di bara a spalla, per accompagnare
l’amico fino alla tomba, nel Miltown Cemetery di Belfast, dove riposano tanti eroi della resistenza irlandese. Carole Richardson si ritirò a vita privata dopo essersi sposata e aver messo al mondo una figlia. Ѐ morta di cancro, a 55 anni, nel 2013. I figli di Anne e Patrick, ai quali fu negata la loro adolescenza, continuano a raccontare la tragica storia in conferenze e convegni celebrativi. Il 14 marzo 1991 furono scarcerati anche i sei di Birminghan, con il pieno riconoscimento della loro innocenza.
Tony Blair, così come fece il suo predecessore Cameron nel 2010 per il Bloody Sunday (vedi il capitolo precedente), si scusò per i quattro di Guildford, riconoscendo “l’errore giudiziario” in una lettera inviata a Courtney Kennedy e resa pubblica durante un programma della BBC: «Credo che sia un atto d'accusa contro il nostro sistema di giustizia e motivo di grande rammarico quando qualcuno subisce una punizione a causa di un errore giudiziario. Ci sono stati errori giudiziari nel caso di suo marito, e nei casi di coloro che sono stati condannati insieme con lui. Sono davvero molto dispiaciuto che ciò sia accaduto». In questo caso, però, la toppa fu peggiore del buco, come si suol dire: parlando di “errore giudiziario” svilì “artatamente” la vera essenza di undramma umano, civile e politico Non dimentichiamo che Blair fa parte del primo gruppo succitato (i potenti spietati), non delle masse ballerine, e il suo cinismo avrebbe raggiunto vette apicali nel 2003, quando passò a Bush Junior le informazioni sulle presunte armi di distruzione di massa possedute da Saddam, pur sapendo che erano false. Ben altro avrebbe dovuto fare, invece, per dare un effettivo segnale di vero rincrescimento: riconoscere l’azione strumentale dell’autorità giudiziaria e mettere sotto accusa il giudice che emise la sentenza, il feroce e squallido John Donaldson, che si permise anche di lamentarsi per non aver potuto comminare la pena di morte, come avrebbe desiderato, impedendogli di proseguire la brillante carriera, culminata col prestigioso incarico di Master of the Rolls, il secondo giudice più importante d’Inghilterra dopo il Lord Chief. Per tutti pagarono i tre poliziotti che avevano occultato le prove, come se fossero stati loro i registi della messa in scena e non dei timorosi e forse non consenzienti esecutori di ordini.
ANNI OTTANTA: BOBBY
Roibeard Gearóid Ó Seachnasaigh, alias Robert Gerard Sands, detto “Bobby”, nacque a Belfast il 9 marzo 1954, inunquartierepopolato prevalentementedaprotestanti, confessione abbracciatadaisuoi avi. I genitori, John (deceduto nel 2014) e Rosaleen (deceduta nel 2018), invece, erano cattolici e ben presto furono costretti a trasferirsi in una nuova dimora nella zona sud di Belfast, amorevolmente messa a disposizione daigenitori di Rosaleen, per sfuggire alle continue intimidazioni dei lealisti Bobby era il maggiore di quattro figli: Marcella, nata nel 1955; Bernadette, nata nel 1958, importante membro della causa indipendentista, fondatrice del County Sovereignty Movement e moglie di Michael McKevitt, a sua volta importante membro dell’IRA (deceduto nel gennaio 2021); Sean, nato nel 1962. L’infanzia di Bobby è stata segnata dalla continua visione delle angherie subite dai cattolici Una vicina offendeva sistematicamente la madre, mentre il papà era al lavoro. Rosaleen subiva in silenzio, per evitare guai
peggiorialla famiglia. Anche dopo iltrasferimento, però, iproblemi nonsirisolsero deltutto e la casa fu quasidistruttadai lealisti. La famiglia, pertanto, preferìtrasferirsi in unaltro quartiere, più protetto, nella zona ovest della città.
Bobby, nel 1970, iniziò un apprendistato come carrozziere, ma le continue vessazioni subite lo costrinsero ad abbandonare ilpercorso formativo. Lagoccia che fecetraboccare il vaso siebbe nel1971, quando i colleghi lo affrontarono armi in pugno, dicendogli che la zona dove sorgeva l’istituto era interdetta ai “sporchi feniani” e che se si fosse fatto rivedere lo avrebbero ucciso. Nel 1972, a diciotto anni, entrò nel 1° Battaglione della Brigata “Belfast” dell’Ira, citata in un precedente articolo per motivi strettamente personali4 . Nello stesso anno sposò Geraldine Noade e nel 1973 nacque il loro unico figlio, Gerard.
Arrestato più volte e condotto nel terribile carcere di Long Kesh, si batté ripetutamente affinché ai combattenti dell’IRA fosse riconosciuto lo status di prigionieri politici. Con i compagni di prigionia, nel 1978, diede vita alla dirty protest: spalmavano gli escrementi sui muri delle celle e buttavano l'urina sotto le porte per evitare di essere picchiati duramente dai secondini quando andavano a svuotare ibuglioli. Dopo quattro annidi trattamentidisumani, i detenutidecisero didare seguito a proteste più incisive e il27ottobre1980iniziarono ilprimo sciopero della fame. BobbySands, chegià fungeva da portavoce del gruppo, fu scelto come ufficiale comandante della rivolta. Lo sciopero della fame durò 53 giorni e fu interrotto a seguito delle promesse della Thatcher sull’accoglimento delle loro istanze. Promesse mai mantenute. Il 1° marzo 1981, pertanto, Bobby Sands decise che si sarebbe dovuto iniziare un secondo sciopero della fame, coinvolgendo più detenuti, in modo che subentrassero a coloro costretti a fermarsi avendo raggiunto condizioni critiche. Poco dopo l'inizio dello sciopero morì Frank Maguire, un repubblicano indipendente non affiliato all’IRA, membro del Parlamento del Regno Unito per il collegio di Fermanagh and South Tyrone. Per le elezioni suppletive Bobby Sands fu scelto come candidato delSinnFéin, ma conuna lista denominata AntiH-Blocks/ArmaghPolitical Prisoner (H-Blocks erano gli otto edifici tristemente famosi del carcere di Long Kesh; nel carcere femminile di Armagh erano rinchiuse le detenute dell'IRA e dell'INLA- Irish National Liberation Army). Nonostante fosse impossibilitato a dialogare con gli elettori, sia per lo stato detentivo sia per le condizioni pietose in cui si era ridotto, Bobby Sands strapazzò il rivale dell’Ulster Unionist Party, diventando, a 27 anni, il più giovane membro del Parlamento del Regno Unito. Come rabbiosa vendetta, il Governo varò subito una legge che vietava ai detenuti di partecipare alle elezioni politiche. Il cinque maggio 1981, dopo sessantasei giorni di digiuno, il grande cuore dell’Eroe cessò di battere. La sua morte generò sdegno in tutto il mondo e su Londra piovvero miglia di richieste da parte di governanti, politici, associazioni, semplici cittadini, affinché si creassero le condizioni per far interrompere lo sciopero della fame agli altri detenuti. Quella perfida donnaccia alla guida del Regno Unito, però, non diede ascolto a nessuno e lasciò morire, uno dopo l’altro, i compagni di sventura dell’Eroe, ivi compresi alcuni militanti dell’Inla (Irish National Liberation Army, organizzazione parallela dell’Ira, ma politicamente più orientata a sinistra) di seguito citati mentre la gola prende a bruciare e gliocchi luccicano, come sempre accade quando devo rievocare le tragedie scaturite dall’umana crudeltà: Francis Hughes, di Bellaghy, contea di Derry, 12 maggio; Raymond McCreesh, diCamlough, contea diArmagh, 21 maggio; PatsyO'Hara (membro dell’Inla) diDerry,21 maggio 1981; Joe McDonnell, di Belfast, 8 luglio 1981; Martin Hurson, di Cappagh, contea di Tyrone, 13 luglio 1981; Kevin Lynch (Inla), di Dungiven, contea di Derry, 1º agosto 1981; Kieran Doherty, di Belfast, 2 agosto 1981; Thomas McElwee, di Bellaghy, contea di Derry, 8 agosto 1981;
Mickey Devine (Inla) di Derry, 20 agosto 1981 Riposano tutti nel cimitero di Miltown, a Belfast. A Derry, nel quartiere del Bogside, a pochi metri dal Free Derry Corner, è stato eretto un memoriale a forma di H. Sotto i nomi delle vittime – è proprio il caso di dirlo una volta tanto non in senso figurato: scolpita sulla pietra - viè una delle tante stupende frasi lasciate in eredità al mondo da Bobby Sands: «La nostra vendetta sarà la risata dei nostri figli». I memorial e i murales di Belfast e Derry meritano di essere visti almeno una volta, nella vita. Durante lo sciopero della fame gli scontri tra le due fazioni crebbero notevolmente. L’Ira colpiva prevalentemente le guardie carcerarie che maltrattavano i detenuti; i lealisti colpivano indiscriminatamente tutti i cattolici. Il Segretario di Stato per l’Irlanda del Nord, presumendo di allentare la tensione, nel 1982 propose un progetto di legge per la creazione di un’Assemblea elettiva cui delegare gli affari interni dell’Ulster, sulla base di una devoluzione progressiva. Le elezioni si tennero il 20 ottobre e cinque dei 78 seggi furono conquistati dal Sinn Féin che, nelle successive elezioni generali del 9 giugno 1983, incrementò sensibilmente il consenso elettorale (da 64.191 a 102.701 voti) eleggendo al parlamento di Westminster quel gigante della causa indipendentista che risponde al nome di Gerry Adams
L’Assemblea varata nel 1982 ebbe vita breve e fu sciolta nel 1986, senza esercitare alcun peso sulla politica nordirlandese: i protestanti, infatti, non avevano nessuna intenzione di condividere il potere con i cattolici.
Allarmato dal crescente successo del Sinn Féin, ma soprattutto dal soverchiante carisma di Gerry Adams, John Hume (rimando ancora alla nota nr. 1), sirecò a Dublino per chiedere l’aiuto delPrimo Ministro dell’Éire, GerryFitzgerald. I due leader organizzarono unconvegno passato alla storia come “New Ireland Forum”, al quale parteciparono i delegati dei principali partiti nord-irlandesi (Fianna Fáil, Fine Gael, Labour e SDLP) che, seppure avversari tra loro, trovavano sempre una salda unione quando sitrattava diandare contro ilSinn Féin. IlForumsi svolse dal21 settembre 1983 al9 febbraio 1984, suscitando l’ilarità degli esponenti del Sinn Féin, che lo bollarono come una “lunga chiacchierata senza costrutto”, come di fatto si rivelò realmente. Quasi cinque mesi di discussioni infinite, cui parteciparono anche importanti esponenti della società civile, docenti, accademici, scrittori, religiosi di varie confessioni, per redigere due stringate proposte e una misera opzione da sottoporre alla Thatcher, per le quali non serviva alcuna discussione, rappresentando esse un obiettivo secolare: un’Irlanda unita con il consenso dei cittadini delle trentadue Contee, la creazione di uno Stato federale oppure la creazione di un’autorità congiunta.
Cinque mesi di inutile lavoro bruciati in cinque secondi, ossia il tempo necessario alla Thatcher per affermare, con il volto corrucciato, durante una conferenza stampa: «questo è fuori; questo è fuori; questo è fuori».
Dopo la fase tragica, diceva qualcuno che non mi va di citare, la storia si ripete come farsa e così, ancora una volta, fu stipulato l’ennesimo inutile trattato tra i rappresentanti del Regno Unito e della Repubblica d’Irlanda che prevedeva il consenso della maggioranza della popolazione nord-irlandese per la modifica dello status costituzionale. IlTrattato prese il nome dalcastello diunpiccolo villaggio non lontano da Belfast, dove fu sottoscritto il 15 novembre 1985: “Trattato di Hillsborough” . Esso prevedeva anche una Conferenza intergovernativa, presieduta dal ministro degliEsteri irlandese e dal segretario di Stato dell’Irlanda del Nord, il cui compito consisteva nella gestione dei problemi giuridici, politici e di sicurezza comuni alle due entità irlandesi. Si auspicava, infine, la creazione di un Governo nord-irlandese che fosse compatibile con gli interessi della minoranza cattolica.
Come sempre accaduto per qualsivoglia concessione ai cattolici, anche di infima importanza, i protestanti si opposero con determinazione al Trattato, dichiarando addirittura di “sentirsi traditi” dal Governo inglese. Manco adirlo, gliattentaticontro icattoliciripresero,impetuosi, in tutte le contee. Furono anche organizzati scioperi e manifestazioni di vario tipo per far giungere a Londra un chiaro messaggio di disaccordo. Per rendere il messaggio ancora più eloquente si effettuarono sistematici attacchi agli agenti della RUC (già citata nei capitoli precedenti: il Corpo di polizia al servizio del Governo inglese), molti dei quali ebbero le case incendiate e finirono all’ospedaleper le bottericevutedurantegliscontri, che li vedevano in forte difficoltà, non potendo certo usare contro i protestanti le maniere forti solitamente usate contro i cattolici. Il messaggio fu ben recepito da Londrae, nel1988, ilGoverno emanò unprovvedimento in pure stile talebano, il Broadcasting Ban, in base al quale fu vietato agli esponenti di dieci organizzazioni politiche nord-irlandesi di parlare in trasmissioni televisive e radiofoniche. Per salvare la faccia nell’elenco furono inseriti anche un paio di gruppi unionisti, ma era chiaro a tutti che s’intendeva colpire precipuamente il Sinn Féin. Il ministro dell’Interno Douglas Hurd, rivolgendosi ai membri della Camera dei Comuni, affermò testualmente: «I terroristi traggono sostegno e sostentamento dall'accesso alla radio e alla televisione; è giunto il momento di negare questa facile piattaforma a coloro che la utilizzano per propagare il terrorismo». Gli fece da eco la donnaccia a capo del Governo, che a sua volta dichiarò: «Negherò ai terroristi l’ossigeno della pubblicità». Per la cronaca: il Broadcasting Ban è stato revocato solo nel1994, grazie anche alle continue proteste dei giornalisti, in particolare della BBC, che contestarono sin dall’inizio l’assurdo provvedimento, che tra l’altro contemplava anche l’abominio della “retroattività”: le emittenti televisive non potevano trasmettere nemmeno i documentari, i film, i reportage realizzati in precedenza, se in essi figuravano esponenti dei gruppi sanzionati con l’oblio mediatico.
1. John Hume ha vinto il premio Nobel per la pace, è stato nominato Cavaliere Comandante dell’Ordine Pontificio di San Gregorio Magno e addirittura “Il più grande d’Irlanda” in un sondaggio pubblico. Leviamoci il cappello e facciamogli un bell’inchino, pertanto, per ildoverosorispettochesidevenon soloa luimaancheaglialti dignitari della Fondazione Nobel, a Sua Santità Benedetto XXI e al popolo irlandese. Detto questo, per quel poco che può valere il mio pensiero, mi corre comunque l’obbligo di precisare che non ho mai creduto alla sua “purezza d’intenti” e ancor meno a quella dei suoi successori. Mi è capitato di parlare con alcuni sostenitori del partito e mi hanno sempre dato l’impressione, tanto per rendere l’idea, che in Italia danno i tanti politici sempre pronti a spararle grosse pur di tutelareesclusivamente ilorointeressi, magari dicendo oggiil contrariodi ciò che dicevano ieri. Posso sbagliarmi io, ovviamente, ma ricordo che anchedi Costantinosi dice ancora chesia statoun “grande” imperatore (per mantenersi al potere fece uccidere il suocero, la moglie Fausta, il figlio Crispo, il marito della sorella Costanza, il cognato e s’inventò la favoletta della croce in cielo per galvanizzare i suoi soldati nella battaglia di PonteMilvio). In quanto alla nomina papale, ricordo chelaChiesa cattolica (tacendo su altro)hanominato santo Carlo I d’Asburgo, che autorizzò learmi chimiche durante la battaglia di Caporetto, adducendo come prova dellasuasantità“laguarigionedellevenevaricosedi una suorain Sudamerica chepregava per lui”. Alfred Worm, considerato uno dei giornalisti austriaci più importanti del XX secolo, dichiarò testualmente: «La beatificazione di Carlo I èuna presa per i fondelli dei fedeli. Centinaia dimigliaia di personesono morte come martirinei campi di concentramento. Loronon vengonofatti santi. Lalobbydei monarchicicelafa con levenevaricose. El'Austria ufficiale applaude. Penoso» (Frase tratta da un articolo de “Il Piccolo” di Trieste del 3 ottobre 2004, a firma di Flavia Foradini, citata nel saggio sulla Grande Guerra “Il Piave mormorava”, pubblicato a puntate su Confini da gennaioadicembre2018). Ciòpremesso, a pensarmalesi fapeccato, ma spessoci siazzecca. Sulcomportamento
delle masse presumo di aver scritto già abbastanza e quindi faccio solo riferimento a tanti pregressi articoli pubblicati in questo magazine e altrove, aggiungendo solo, per dovere di cronaca, che anche in Irlanda del Nord si stanno rendendo conto, sia pure con molto ritardo, che forse hanno preso un grande abbaglio con la “beatificazione” dei furbastri socialdemocratici, ridimensionandoli progressivamente politicamente, a vantaggio di chi veramente il consenso se lo merita per il suo passato, per il presente e sicuramente per ciò che farà anche in futuro, nel commosso ricordo di chi alla causa indipendentista ha donato la propria vita.
2. A pag. 176 un mio articolo sul “Secolo d’Italia” del 12 dicembre 2017:
3. Giuseppe, operaio in una fabbrica di vernici a Belfast, si era recato a Londra per chiedere informazioni sul figlio, ben sapendo che era innocente. Fu subito arrestato anche lui, invece, perché il semplice tentativo di voler scagionare il figlio lo rese complice.
4. Quella Terra magica chiamata Irlanda
(Continua nel prossimo numero. I capitoli precedenti sono stati pubblicati nei numeri 106, 107, 109).
Dopo il successo della 1^ edizione, nonostante fosse stata varata in piena pandemia (video della cerimonia di premiazione) è stato diffuso a livello nazionale il bando della seconda edizione, con importanti novità contemplate nelle aree tematiche dedicate alle problematiche giovanili, ai terribili venti di guerra che spirano sul cielo d’Europa e all’ottantesimo anniversario dei tragici eventi dell’autunno 1943.
Le associazioni culturali Europa Nazione ed Excalibur Multimedia, con la collaborazione dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (U.N.U.C.I. – sezione di Caserta), del Cenacolo Accademico “Poeti nella Società” e dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci (federazione provinciale CE), organizzano la II edizione della RASSEGNA MULTIMEDIALECITTÀDI CASERTA, concepitaper valorizzareitalentinell’ambitodell’artee della cultura residenti nel territorio italiano, indipendentemente dalla loro nazionalità. La rassegna è insignita del patrocinio concesso dal Comune di Caserta.
Art.1 – Sezioni ordinarie.
Adulti (18 anni compiuti in data antecedente al 1° gennaio 2023)
Sezione A: Poesia Max tre poesie a tema libero.
Sezione B: Silloge Raccolta di poesie inedite o edite in data non antecedente al 1° gennaio 2019.
Sezione C: Racconto Max. dieci pagine formato A4 – Font Times New Roman – Corpo 12.
Sezione D: Narrativa Romanzi inediti o editi in data non antecedente al 1° gennaio 2019.
Sezione E: Fotografia Max. tre fotografie 30x40 cm, formato JPG. Peso: max. sei Mb.
Sezione F: Video reportage effettuato nell’ambito del continente europeo.
Documentario di max. trenta minuti, professionale o amatoriale (per esempio realizzato durante una vacanza o un viaggio di lavoro), che illustri le peculiarità del luogo: piccolo o grande agglomerato urbano, capitale di uno Stato, area particolarmente interessante per motivi storico-archeologici o di altra natura. Ai ventisette Stati aderenti all’UE vanno aggiunti: Montenegro, Serbia, Macedonia (inteso per tale lo Stato definito ufficialmente Macedonia “del Nord”), Albania, Moldavia, Ucraina, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Georgia, Groenlandia, Islanda, Isole Faroe, Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord, Norvegia, Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Principatodi Monaco, Andorra,Malta, San Marino, Città del Vaticano.
Studenti delle scuole medie e istituti superiori (Il comitato organizzatore preferisce la vecchia denominazione dei livelli di studio, ritenendola più appropriata, sintetica ed elegante di quella attuale).
Sezione G: Poesia Max. tre poesie a tema libero.
Sezione H: Racconto Max. dieci pagine formato A4 – Font Times New Roman – Corpo 12.
Sezione I: Componimento “La spiralecheuccide espegneil futuro deigiovani: droga, alcool, rifiuto della cultura come valore primario, accettazione e pratica di formule proprie del degrado sociale promosse in campo musicale e in alti settori. Analisi del fenomeno e riflessioni sulle azioni da adottare per uscire dal tunnel”.
Max. dieci pagine formato A4 – Font Times New Roman – Corpo 12.
Sezione L: Fotografia Max. tre fotografie 30x40 centimetri, formato JPG. Peso: max. 6Mb.
Art. 2 – Sezioni tematiche.
Adulti (18 anni compiuti in data antecedente al 1° gennaio 2023)
Sezione M: Componimento inedito o edito.
“Venti di guerra. Riflessioni sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e sul ruolo che dovrebbe esercitare l’Europa per creare i migliori presupposti di pace e tutelare i propri confini dalle altrui mire espansionistiche”.
Cittadini ucraini residenti in Italia, senza limiti di età.
Sezione N: Componimento inedito o edito.
12.
“Slava Ukraïni. Riflessioni sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”. Nessun limite di pagine. Formato A4 – Font Times New Roman – Corpo 12.
Per i componimenti inediti possono essere allegate max. dieci foto, da stampare su fogli A4 secondo le modalità di composizione preferite (una o più per ogni pagina).
Ferma restando la massima libertà espressiva, il candidato potrà raccontare episodi vissuti in prima persona o appresi da connazionali; esporre il proprio pensiero sul presidente Zelensky, rimasto a coordinare la resistenza del suo popolo pur potendo scegliere di mettersi subito in salvo con la famiglia; descrivere come meglio ritenga opportuno il triste momento che si trova a vivere il popolo ucraino. Il componimento può essere presentato in lingua ucraina, con versione in italiano; nella sola versione in italiano; nella sola versione in ucraino qualora non si fosse in grado di tradurlo adeguatamente in italiano. (In quest’ultimo caso la traduzione sarà effettuata a cura dell’organizzazione).
Adulti (18 anni compiuti in data antecedente al 1° gennaio 2023).
Sezione O - (Suddivisa in tre sottosezioni: Traccia 1-2-3) Saggio edito in qualsiasi data o inedito
Il candidato ha facoltà di scegliere una o più tracce.
I premi saranno assegnati ai primi tre classificati di ogni sottosezione.
Traccia nr. 1: “Quel terribile autunno di ottanta anni fa: per non dimenticare. Riflessioni sulle stragi perpetrate, in provincia di Caserta, dai soldati tedeschi in ritirata, dopo l’annuncio dell’armistizio firmato a Cassibile con i rappresentanti delle Forze Alleate”.
Traccia nr. 2: “Mortui ut patria vivat. Riflessioni sull’attività del 1° Raggruppamento Motorizzato, incaricato di facilitarel'avanzata delle truppe Alleate per lo sfondamento delle linee nemiche nel settore di Cassino, soffermandosi in modo particolare sulla battaglia di Montelungo e sugli aspetti reconditi che ne segnarono la sorte, nel bene e nel male”.
Traccia nr. 3: “8 settembre 1943: l’Italia occupata. Riflessioni sull’ottantesimo anniversario dell’armistizio di Cassibile e sui tragici eventi che sconvolsero il Paese fino alla completa resa dell’esercito tedesco”. Nessun limite di pagine per i componimenti brevi e i saggi inediti. Formato A4 –Font Times New Roman – Corpo 12. I componimenti e i saggi inediti possono essere integratida documentistoriciefotod’epoca, riprodotti su fogli A4secondolemodalità di composizione preferite. Per la traccia nr. 3 sia i componimenti sia i saggi editi o inediti possono riguardare anche singoli argomenti afferenti agli anni 1943-1945.
Art. 3 – Struttura delle opere e modalità di invio. Ѐ possibile presentare opere già premiate in altri concorsi. Poesie, romanzi, racconti e componimenti dovranno pervenire in formato Word o Pdf, in copia singola.
Per le sezioni “fotografia” e “video reportage” è preferibile utilizzare una casella abilitata all’inoltro dei file voluminosi (Jumbo Mail, sistemi equivalenti, dropbox.com, etc.) Ѐ possibile utilizzare i suddetti strumenti anche per inviare le opere delle eventuali altre sezioni scelte ai fini della candidatura. Inalternativa, esclusivamente per le sezioni “fotografia” e “video reportage”, èpossibilespedireilmateriale (formato cartaceo e supporto magnetico) al seguente indirizzo: “Excalibur Multimedia – C/O Sepi S.r.l.– Via Ernesto Rossi 18 – 81100 Caserta”, preferibilmente con modalità che consentano la tracciatura del plico.
Art.
Nessun limite di pagine – Formato A4 - Font Times New Roman – CorpoLe opere devono essere inviate all’indirizzo di posta elettronica rassegna@europanazione.eu entro il 6 maggio 2023 (o spedite entro tale data, limitatamente all’opzione prevista all’art. 3), insieme con i seguenti allegati:
a) Scheda di partecipazione debitamente compilata e sottoscritta. Qualora non fosse possibile produrre il file PDF si dovrà optare per il formato immagine;
b) Copia della ricevuta del versamento;
c) Copia del documento di identità; d) Curriculum vitae quanto più esaustivo possibile, sotto qualsivoglia punto di vista.
Art. 6 – Giuria.
La giuria sarà composta da eminenti personalità del mondo dell’arte, della cultura, delle professioni.
Art. 7 – Premi.
Ogni sezione prevede premi per i primi tre classificati, come di seguito specificato.
a) Premio in denaro per i vincitori delle singole sezioni. L’importo sarà quantificato entro la data di scadenza per la presentazione delle opere, in funzione delle sponsorizzazioni che saranno acquisite, e comunicato a tutti i partecipanti con formula work in progress. In ogni caso il premio in denaro non potrà essere inferiore al 50% dell’importo proveniente dai contributi versati dai candidati, al netto delle spese organizzative.
b) Coppa e pergamena con indicazione del risultato conseguito per i vincitori delle singole sezioni.
c) Pergamena con indicazione del risultato conseguito ai secondi e terzi classificati di ogni sezione.
Ai succitati premi, stabiliti nella fase organizzativa, potranno aggiungersene altri in funzione delle sponsorizzazioni acquisite, la cui entità sarà tempestivamente comunicata ai candidati e pubblicizzata tramite gli organi mediatici di riferimento.
La cerimonia di premiazione avrà luogo a Caserta, in una data da stabilire, nel mese di settembre 2023 La sede prescelta (nel centro di Caserta) sarà comunicata entro la fine del mese di giugno 2023. Chi volesse pernottare a Caserta potrà beneficiare dell’assistenza dell’organizzazione per il reperimento di una struttura alberghiera o di una casa vacanza. Nel caso in cui un vincitore fosse impossibilitato a partecipare alla cerimonia di premiazione potrà delegare una persona di fiducia. La cerimonia di premiazione sarà interamente registrata e il video sarà pubblicato su YouTube.
Ciascun candidato autorizza l’organizzazione della rassegna al trattamento e alla tutela dei dati personali inseriti nella scheda di partecipazione e negli altri documenti inviati, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezionedei datipersonali”edell’art. 13del Regolamentogeneralesullaprotezionedeidati (Regolamento UE 2016/679). Autorizza, altresì, l’invio di messaggi “esclusivamente” in posta elettronica da parte delle strutture che collaborano a vario titolo con la rassegna, ben identificabili in questo bando attraverso la denominazione ufficiale o attraverso il logo pubblicato nella parte alta o in calce del medesimo. Ogni comunicazione conterrà la formula prevista dalle vigenti norme in materia di privacy per l’immediata cancellazione dal database del mittente.
Art. 10 – Accettazione del regolamento.
L’organizzazione si riserva la facoltà di apportare variazioni al presente regolamento entro la data di scadenza fissata per la presentazionedelleopere, eccezion fattaper l’aggiuntadiulteriori premi, chepotrannoessereinseriti anchenel periodo che separa la succitata data dalla cerimonia di premiazione, impegnandosi a comunicarle tempestivamente ai candidati e ad aggiornare il bando nei portali on line di riferimento. La partecipazione alla rassegna implica l’accettazione di tutti gli articoli del presente regolamento. Implica, altresì, l’autorizzazione, senza nulla pretendere, alla pubblicazione nell’antologia dedicata alla rassegna delle opere premiate e degli abstract di quelle non pubblicabili integralmente, ivi comprese le opere che, pur senza classificarsi nei primi tre posti, dovessero essere ritenute valide e degne di promozione.
destra)
O Adulti - Componimento Traccia 3 – (Mettere una x nello spazio a destra)
Si allega:
1) Attestazione del versamento di €…………… a titolo di corresponsione del contributo di partecipazione previsto dall’art. 4 del regolamento; 2) Copia di un documento di identità in corso di validità; 3) Curriculum vitae.
Il sottoscritto dichiara che, con la candidatura alla II edizione della Rassegna Multimediale Città di Caserta, conferisce alle associazioni promotrici il diritto e la licenza di pubblicare e diffondere le opere inviate come meglio si ritenga opportuno, senza nulla pretendere in termini economici e in qualsiasi altra formula. Dichiara, altresì, che le opere inviate sono frutto esclusivo del suo personale lavoro e non comportano la violazione dei diritti di terzi. Il sottoscritto autorizza il trattamento dei dati personali ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali” e dell’art. 13 del Regolamento generale sulla protezione dei dati (Regolamento UE 2016/679). Autorizza, altresì, l’invio di messaggi “esclusivamente” in posta elettronica da parte delle strutturechecollaborano a variotitolo con la rassegna, ben identificabili nel bandoattraverso la denominazione ufficiale o attraverso il logo pubblicato nella parte alta o in calce del medesimo, riservandosi di ordinare in qualsiasi momentolacancellazionedelproprioindirizzodipostaelettronicanel databasedelmittente, secondoquantoprevisto dalle vigenti norme in materia di privacy.
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