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SULLA FAMIGLIA (da: "I Doveri dell'Uomo" di Giuseppe Mazzini) La Famiglia è la Patria del cuore. (...) (...) La Famiglia ha in sÊ un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la durata. Gli affetti, in essa, vi si stendono intorno lenti, inavvertiti, ma tenaci e durevoli come l'edera intorno alla pianta: vi seguono d'ora in ora, s'immedesimano taciti colla vostra vita. Voi spesso non li discernete, poichÊ fanno parte di voi; ma quando li perdete, sentite come se un non so che d'intimo, di necessario al vivere vi mancasse. Voi errate irrequieti e a disagio: potete ancora procacciarvi brevi gioie o conforti; non il conforto supremo, la calma, la calma dell'onda del lago, la calma del sonno della fiducia, del sonno che il bambino dorme sul seno materno. (...) (...) Abbiate dunque, o miei fratelli, sÏ come santa la Famiglia. Abbiatela come condizione inseparabile della vita, e respingete ogni assalto che potesse venirle mosso da uomini imbevuti di false e brutali filosofie o da incauti che, irritati nel vederla sovente nido d'egoismo e di spirito di casta, credono, come il barbaro, che il rimedio al male stia per sopprimerla.
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PRIMA PARTE: L’APPROCCIO AL PROBLEMA NO ALLA GESTAZIONE PER ALTRI (Comunemente detta, con volgarissima espressione che i media farebbero bene ad accantonare: “utero in affitto”). NO AL MATRIMONIO FRA PERSONE DELLO STESSO SESSO. NO ALLE ADOZIONI PER LE COPPIE OMOSESSUALI. NO ALLE ADOZIONI DEL FIGLIO DEL CONVIVENTE OMOSESSUALE (cosiddetta stepchild adoption). Il dibattito sulle Unioni Civili sta offrendo uno spaccato sociologico che riflette, in pieno, le divisioni che sempre caratterizzano i momenti di transizione epocale. Ciascuno difende con veemenza le proprie idee, ritenendole verità assolute. Ho preferito iniziare quest’articolo esponendo subito il mio pensiero, perché mi rendo conto che l’elemento più “solleticante” è proprio cosa si pensi su un argomento così delicato. Esaudita la legittima curiosità, quindi, posso serenamente esporre le argomentazioni che mi stanno più a cuore e che riguardano non tanto la materia nel suo complesso, quanto l’approccio a essa riservato dai media, dai politici, dai cittadini. Un approccio che pone tutti dalla parte del torto, per svariate cause, a prescindere dalle tesi sostenute. Precisando subito che nessuno ha il diritto di stabilire, in questo campo, cosa sia giusto e cosa sbagliato, partiamo da alcuni concetti fondamentali, perché senza “paletti fissi” si può solo parlare a vanvera. Una tesi “ritenuta” giusta, difesa in modo sbagliato, perde efficacia; la perde anche se è difesa dagli uomini sbagliati, per fini strumentali. Viceversa, una tesi “ritenuta” sbagliata, sostenuta da persone “giuste” (Chi sono? Quelle di alto spessore etico-morale, che parlano e agiscono onestamente e senza secondi fini, in virtù della loro esperienza, cultura e visione del mondo) acquisisce una forza intrinsecamente superiore alla tesi opposta, in virtù della qualità dei soggetti proponenti. Il dato che emerge da questo assioma, pertanto, è fondamentale per inquadrare l’intero impianto legislativo nella sua giusta ottica, rendendolo spurio da qualsivoglia manipolazione manichea e dalle inevitabili contaminazioni di stampo oscurantista, che rappresentano una costante nella storia dell’Umanità. Come sempre, per capire bene il presente, bisogna guardare al passato. Non si può prescindere, inoltre, da ciò che accade nel resto del mondo. Essendo impossibile una disamina a largo spettro, l’articolo si prefigge solo di offrire una diversa chiave di lettura rispetto al bla bla bla che siamo costretti a sorbirci quotidianamente, favorire una pacata riflessione sui propri convincimenti e stimolare autonomi approfondimenti.
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L’UOMO AL COSPETTO DEI CAMBIAMENTI La storia dell’umanità presenta, periodicamente, dei periodi di transizione caratterizzati da grandi svolte. In queste fasi sono molto forti le contrapposizioni tra chi non riesce ad accettare il nuovo e chi, invece, vuole lasciarsi alle spalle il vecchio. Ogni “rivoluzione epocale”, per secoli, ha rappresentato una conquista che si caratterizzava come “scoperta”, a volte pagata a caro prezzo dai conquistatori. Il progresso scientifico ha migliorato gradualmente le condizioni di vita degli esseri umani, condizionando anche i costumi, le abitudini, il modo di pensare e di rapportarsi con il prossimo. Non ovunque, ovviamente, e pertanto ci limitiamo, per non ingolfarci, a parlare solo del cosiddetto mondo occidentale. Negli ultimi sessanta anni – convenzionalmente partiamo dal 1961, quando l’uomo ha messo piede per la prima volta nello spazio – il progresso scientifico ha subito un’accelerazione spaventosa, segnando un gap profondo con la capacità degli esseri umani di “assorbirla” in modo “quasi ottimale”, com’era avvenuto nei secoli precedenti. Il 1982, con la nascita, di “Internet”, registra l’inizio di un’accelerazione ancora più violenta, che aumenta il gap. Fette sempre più consistenti di persone stentano a “restare al passo”, registrando quella che, con terminologia psicologica, si definisce “atemporalità esistenziale”, fonte primaria delle più diffuse nevrosi e, in forma minore, ma comunque con numeri rilevanti, delle più complesse e devastanti depressioni. La società cambia “entropicamente”, al di là dei battibecchi e dei contrasti ed è il tempo a scandire i processi dei cambiamenti. Gli uomini hanno solo l’illusione di determinarli, senza rendersi conto di essere ingranaggi di un meccanismo fagocitante molto più grande. Tanto più grande quanto minore è la qualità dei protagonisti della storia. Da qui, però, a stabilire che tutto ciò che accade in fieri sia un bene, ce ne corre. Fin quando il processo era più o meno parallelo (progresso scientifico +/- uguale al progresso intellettivo dell’uomo) grossi problemi non ve ne sono stati, a prescindere da quelli generati dagli uomini stessi in virtù delle loro azioni “pensate” e “ponderate” (anche quando retaggio della follia, singola o collettiva). Per onestà intellettuale devo precisare che la mia teoria vanta un illustre predecessore, l’ungherese John von Neumann, che già negli anni cinquanta, e quindi ben prima della data indicata come inizio del “distacco” tra progresso tecnologico e quello umano, aveva intuito che "il tasso del progresso tecnologico in continua accelerazione sembra indicare l'avvicinarsi di una qualche fondamentale singolarità nella storia dell'umanità, oltre la quale le vicende umane, così come oggi le conosciamo, non potrebbero continuare”. Newmann parla di futuro “imprevedibile” (incompreso). Mentre i nostri antenati lo immaginavano come il loro presente e non dissimile dal loro passato, noi non siamo in grado di immaginare – e la cosa ci spaventa non poco – ciò che accadrà anche in un futuro immediato, come quello che si configuri in un lasso di tempo compreso tra i dieci e i venti anni. La realtà contingente, poi, con le sue incognite, accorcia ancor di più i tempi, aumentando lo sconcerto. La comparazione del progresso tecnologico su una scala temporale ci consente, in qualche modo, se non proprio di prevedere
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il futuro, di comprendere le dinamiche verso cui andiamo incontro. Per migliaia di anni, come già detto, l’uomo ha progredito tecnologicamente con estrema lentezza, rispetto a quanto avvenuto nel ventesimo secolo. I progressi registratosi dal 1900 al 2000, però, equivalgono a venti anni odierni! La proiezione è spaventosa: nel ventunesimo secolo, senza considerare ulteriori accelerazioni, in rapporto con il passato, non avremo cento anni di progresso tecnologico, ma ventimila. Avete letto bene: VENTIMILA. Quanti uomini sapranno assorbire questa “accelerazione” senza subirne i contraccolpi? La vera, unica, scommessa sul futuro, è questa. Pensiamo agli ultimi seimila anni di storia, accantoniamo il progresso scientifico e guardiamo solo all’uomo e al suo “progresso intellettuale”, inserendo necessariamente, a questo punto, tutta l’umanità e non solo l’Occidente. Vengono i brividi. RELATIVITA’ DELLE VERITA’. Di là da ciò che è stabilito convenzionalmente, di ciò che è conseguenza di un’attività palese, in virtù di regole stabilite e da tutti osservate, non esistono verità assolute. Parigi è la capitale della Francia: ciò è vero perché così è stato stabilito. Roma è la capitale d’Italia per le stesse ragioni, così come in passato lo sono state Torino, Firenze, Salerno. Una squadra di calcio è prima in campionato, in un dato momento, in virtù del fatto che per tutte le altre valgono le stesse regole nel calcolo dei punti conseguiti. Se oggi, 17 gennaio 2016, ore 10 del mattino, asserisco che il Napoli è primo in classifica nel campionato di calcio italiano, affermo “una verità”. Ciò non era “vero” solo pochi giorni. (E non scrivo che potrebbe non essere vero in futuro solo per risparmiarmi le maledizioni dei tifosi). Banale, vero? Certo, ma solo apparentemente, se pensiamo all’enorme messe di conflitti che si registrano, ovunque, perché in tanti non riconoscono questi principi, ma solo “le loro verità”. In tema di convincimenti personali, pertanto, su qualsivoglia tematica, non è detto che ciò che pensiamo oggi sia valido anche domani. Il tempo e nuove esperienze possono determinare anche sostanziali mutamenti di pensiero. A volte una vita è troppo breve per rendersene conto, ma non sono poche le persone che hanno avuto la possibilità e la capacità di riconsiderare i propri punti di vista. Chi scrive questo articolo, negli anni settanta del secolo scorso, era un dirigente del Movimento Sociale Italiano. Non perché fosse la “linea di pensiero” del suo partito, ma perché intimamente convinto in virtù del “suo pensiero”, combatté contro il divorzio; parlava ai convegni culturali da anti-evoluzionista e antirelativista; pur già coltivando il sogno di un’Europa Unita lo inquadrava in un erroneo contesto che delegava all’Italia una sorta di ruolo guida; storicamente guardava al Risorgimento e ad altre ere con una visione monolitica e partigiana, che separava nettamente le parti, arbitrariamente ritenute buone o cattive. Oggi sorrido di tutto ciò, ma è proprio grazie a questa dicotomia del pensiero, sancita dal fluire del tempo, che posso sostenere con serenità e senza enfasi le tesi esposte in premessa. Sono valide per me, oggi, in funzione di quello che “sono”
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oggi. So bene, però, che potrebbe non essere così fra dieci, venti o cento anni. E so bene, anche, che se fossi gay la penserei, con la medesima onestà intellettuale, in modo diametralmente opposto. Qual è, allora, il vero punto nodale di tutta la faccenda? E’ proprio la presenza o meno di “onestà intellettuale” nel sostenere determinate tesi. Quella che manca in quasi tutti i soggetti che abbiano, a qualsiasi titolo, un ruolo che consenta loro di effettuare una scelta o condizionarla. Ho seri dubbi, ad esempio, che l’intimo convincimento dell’attuale capo del governo italiano sia in linea con le sue azioni. Penso, invece, che esse siano più affini a quelle di Enrico di Navarra, che pur restando “intimamente” protestante, non esitò a convertirsi al cattolicesimo per assurgere al trono di Francia. Se “Parigi val bene una messa”, il cinismo del premier può indurlo senz’altro a sacrificare il suo pensiero per restare a galla, seguendo con attenzione “il vento”, soprattutto quello che spira alla sua sinistra. La mancanza di onestà intellettuale, sia ben chiaro, riguarda tutti. Anche le modalità osservate dai cattolici, intrise di un radicalismo che tende a “obnubilare” la realtà, sconcerta. Non si rendono conto che in tal modo, intrinsecamente, legittimano altri radicalismi, molto più pericolosi. L’unico approccio serio che si dovrebbe dedicare a materie così delicate, pertanto, è quello che scaturisce da una “umiltà del pensiero”, che tenga conto delle ragioni di tutti e suggerisca una presa di posizione “intellettualmente onesta”, che non significa, come ampiamente spiegato, “giusta in assoluto”. Democraticamente, le tesi che otterrebbero maggiore consenso, dovrebbero rappresentare il fulcro per le norme legislative. Così non sarà, invece, perché gli interessi di parte avranno il sopravvento sull’onestà intellettuale, generando l’ennesimo papocchio all’italiana. TESI E ANTITESI Una delle tesi preferiti dai sostenitori tout court del “pacchetto” preconfezionato delle unioni civili è che l’Italia è in “ritardo” rispetto al resto del mondo. In molti paesi, di fatto, ciò che si sta tentando di introdurre nell’ordinamento legislativo italiano è già una realtà e quindi, da un punto di vista strettamente lessicale, la frase è corretta. Si trasforma in una cavolata mostruosa nella sua genesi interpretativa: siamo in ritardo, loro sono avanti e dobbiamo adeguare le nostre leggi a quelle già in vigore altrove. Si dice, altresì, con estrema leggerezza, che la società italiana è pronta per quelle che vengono definite conquiste di civiltà e vessillo di democrazia. Ciascuno tira l’acqua al suo mulino, ovviamente, con gli argomenti che risultano più facilmente “confezionabili”, a prescindere dalla loro consistenza, quasi sempre effimera. Se fosse possibile misurare su una scala di valori l’effettivo livello di civiltà di un popolo, in funzione delle proprie peculiarità, normate e non, molto probabilmente ai primi posti finirebbero i Siberiani, gli Eschimesi, i Polinesiani. In questi popoli è così radicato il senso di “fratellanza universale”, che agli ospiti viene concesso il diritto di avere rapporti sessuali con le proprie donne. Attenzione: non si tratta,
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come si potrebbe pensare istintivamente, di una violenza perpetrata nei confronti delle donne in ossequio al principio di “dominio”, che prevale, per esempio, in altre realtà geografiche, ma di una tradizione consolidata, che trova tutti d’accordo, a cominciare dalle donne, ben liete di sperimentare nuovi e frequenti approcci erotici, con persone diverse. Ciascun paese, invece, come scritto in precedenza, risponde alle sollecitazioni sociali in virtù della propria storia e del percorso umano compiuto dai suoi abitanti, secolo dopo secolo. Sotto un profilo strettamente “sociologico” è possibile stilare una classifica che distingua i vari paesi in funzione della qualità della vita ed è ben chiaro, come viene rivelato anno dopo anno, che il primato riguarda proprio i paesi del Centro e Nord Europa, dove vigono da tempo le norme all’attenzione dei legislatori di casa nostra, mentre l’Italia fluttua miseramente nelle zone basse della classifica. I due fatti, però, non sono correlati e i parametri che sanciscono le differenze sono ben altri. Ciò va detto con chiarezza, per evitare facili strumentalizzazioni. La seconda parte di questo articolo è dedicata alle norme oggetto del contendere. Sempre per non parlare a casaccio, occorre stabilire dei parametri validi, possibilmente condivisi da tutti, che non siano quelli sciorinati a profusione in queste settimane, associati quasi sempre alla parola: “diritti”. Questo è un punto fondamentale per comprendere il più importante e meno considerato elemento di tutta la materia: l’errore - “antropologico”, perché si è consolidato nel comportamento umano secolo dopo secolo – che antepone i diritti ai “doveri”. La verifica è semplice. Provate a ricercare su Google un aforisma su un termine qualsiasi - amore, vita, avvocati, banchieri, filosofi, etc. - e troverete subito centinaia o migliaia di riferimenti “precisi” sulla vostra ricerca. Provate, invece, a scrivere: “aforismi sui doveri”. Il risultato vi lascerà a bocca aperta. Non solo non compaiono, ma ai primi posta della lista si presentano quelli sui “diritti”. Una distonia esistenziale che ha radici antiche, soprattutto nella società occidentale, tra le principali cause della “crisi dei valori” che è esplosa prepotentemente negli ultimi decenni, proprio in virtù dello “sbandamento” determinato dal gap tra progresso tecnologico e progresso umano. La svolta coraggiosa che bisogna richiedere a tutti, pertanto, senza della quale tutto si riduce a fiumi d’inchiostro destinati a consumare inutilmente carta e a parole al vento, è “riconsiderare”, innanzitutto, il proprio approccio con l’esistenza, sovvertendo le priorità. Al primo posto passano i “doveri” e il comma, da tramutare in principio universale, è il seguente: “E’ dovere di ogni essere umano preservare la continuità della specie, tutelandola da ogni forma di aggressione”. Non serve aggiungere altro nel “principio”, perché poi saranno le leggi a stabilire “come”. Ciò che è importante è il processo mentale, che sostituendo il termine “diritto” con “dovere”, realizza la più grande e bella rivoluzione, creando davvero le premesse per migliorare il mondo.
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SECONDA PARTE: LE RAGIONI DEL NO Le tesi sostenute in questo articolo prescindono da ogni condizionamento che possa scaturire da influssi religiosi e politici. L’approccio alla materia è di stampo laico e rappresenta il libero pensiero dell’autore, espresso nel pieno rispetto di tutti coloro che, con pari onestà intellettuale, espongono tesi opposte. Nessuna considerazione e nessun rispetto, invece, per coloro che speculano su una materia così delicata, per secondi fini, non ultimi quelli elettorali. NO ALLA MATERNITA’ SURROGATA In un bellissimo film di Jonathan Mostow, “Il mondo dei replicanti”, gli esseri umani sono sostituiti da androidi, veri e propri surrogati, che agiscono al loro posto. Lo scopo è quello di restituire mobilità ai disabili, curare malattie gravi, realizzare senza sforzi ogni desiderio e preservarsi dai rischi connessi alla vita quotidiana. Gli androidi, infatti, in caso di distruzione per incidenti o aggressioni, sarebbero facilmente sostituibili. Qualcosa, però, va storto. Dopo alterne e variegate vicende, pertanto, l’umanità torna a vivere in prima persona, accettando il bello e il brutto della vita. E’ normale, per qualsiasi coppia, desiderare un figlio e si può immaginare il dolore profondo che generi lo scoprire di non poterne avere. Questo, però non basta a giustificare l’utilizzo del corpo di un’altra donna. Indipendentemente dal concepimento, infatti, il feto interagisce con la “Mamma” (sostantivo, iniziale in maiuscolo e virgolette non sono un caso), restando “influenzato” dalle sue azioni, positive e negative. L’interazione lascia un’impronta sulla psiche del feto, condizionando per sempre il suo modo di essere e di reagire. Il bimbo che per nove mesi vive nella pancia della “Mamma”, appartiene a quest’ultima. Il distacco dopo la nascita, anche consenziente, si configura come una violenza alla natura. Tra le più gravi. Basterebbe questo a chiudere ogni discorso, ma vi è dell’altro, non meno grave. La maternità surrogata è un business economico che vede contrapposte due entità sociali: coppie ricche da un lato, donne povere dall’altro. Le mete più gettonate sono Stati Uniti, Canada, Ucraina, Armenia, Georgia, Russia, India, Africa del Sud e Creta. I costi vanno dai 120 mila euro negli States, ai 30-40 mila in Ucraina. In India ne bastano 25mila. I fautori di tale pratica si affannano nello spiegare tutte le “cautele”, le “tutele”, le “rigide clausole”, “il supporto psicologico e medico” assicurati alla donna che “affitta l’utero”, affinché non abbia contraccolpi emotivi che ne possano minare l’equilibrio. Non mancano ben studiate interviste, ottimamente realizzate, a donne che dichiarano di sottoporsi all’esperienza perché, per loro, è motivo di grande “felicità” poter donare felicità. Tutte chiacchiere. E’ solo la condizione di “necessità” che induce una donna a portare in grembo il figlio di altri. Qualche eccezione, che vi può essere, perché non mancano mai, in nessun campo, non fa testo. E’ più o meno la stessa condizione che si registra nel campo della prostituzione: la stragrande maggioranza delle donne che la pratica, ne farebbe volentieri a meno. La vita è amara, a volte, e non si può sconfiggere l’amarezza con artifizi che si possano
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configurare come “delitto”. La strada da seguire è quella delle adozioni, che andrebbero regolamentate in modo diverso, rendendole più facilmente accessibili. Nessuno venga a dire che non è la stessa cosa perché il “figlio” è nato da altri e non da uno spermatozoo che abbia fecondato in vitro un ovulo! L’Amore, quello vero, non si misura su nessuna scala e l’adozione non è altro che donare amore a un bimbo che cresce nel cuore della sua Mamma anziché nella sua pancia. E per chi vi crede, poi, Dio giudica gli alberi dai frutti e non dalle radici. NO AL MATRIMONIO TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO “Matrimonium”, in latino, nasce dalla fusione di “mater” e “munus” (madre e compito). Il matrimonio indica, quindi, il "compito della madre" nel suggellare un legame che renda legittimi i figli nati dall'unione con il “pater familias”, assegnatario del “patrimonium”, ossia il compito di sostenere la “famiglia”, l’importante nucleo che funge da fondamento della società. Parlare di “matrimonio” tra persone dello stesso sesso, pertanto, costituisce un ossimoro già nella definizione lessicale. Vogliamo sorvolare su questo dato? L’amore che lega due persone, indipendentemente dal sesso, vince su tutto e quindi anche sul lessico: dimostriamo che non stiamo a cercare il pelo nell’uovo e sorvoliamo. La crisi della famiglia è sotto gli occhi di tutti e la parabola discendente, insorta verso la metà degli anni sessanta, ha oggi raggiunto livelli tali che lasciano presagire la prossimità di “un punto di non ritorno”, superato il quale la società sarà completamente scompaginata, avviandosi verso nuove e non meglio definite formule di convivenza. Ciò è auspicato da tanti come un bene e come un inevitabile sbocco per superare, dicono, “l’anacronistica e fallimentare famiglia tradizionale”. Ma è proprio così? La famiglia tradizionale ha davvero esaurito il suo ciclo vitale? La risposta è “NO” per entrambe le domande. Ho molti amici e amiche omosessuali e per qualche anno ho avuto una bellissima storia con una stupenda modella che si divideva, senza alcuna “confusione mentale” (come talvolta accade in simili circostanze) tra me e una sua collega, non meno bella. A un certo punto sentì che l’attrazione verso le donne aveva surclassato quella verso gli uomini e io dovetti fare un passo indietro, tramutando la storia d’amore in una bella amicizia. Parlando con i miei amici non percepisco quella “tensione” che traspare dai media, da ultima spiaggia rispetto alla necessità di “legittimare” il matrimonio. Ciascuno vive il suo stato più o meno serenamente, come qualsiasi altra persona, e vive le proprie storie, tra alti e bassi, come capita a chiunque altro. Senza alcuna volontà di generalizzare, pertanto, perché le generalizzazioni sono sempre pericolose, si può prendere in considerazione l’ipotesi che dietro la “caciara mediatica” dei matrimoni gay si nasconda ben altro. La crisi della famiglia tradizionale e una società sempre più aperta verso modalità comportamentali che abiurino sia i valori tradizionali sia quel rigore esistenziale che serve per percorrere i sentieri della vita “senza sbandare”, è molto utile a coloro che vogliono proprio “una società allo sbando”, per poterla meglio gestire. I
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criminali di tutto il mondo, i narcotrafficanti, i poteri forti, i politici in stile “House of cards” (la stragrande maggioranza), le multinazionali sempre più orientate verso la degenerazione del capitalismo (che fa già male anche quando non è degenerato) sono i primi beneficiari di questa continua deriva, che alimentano con grande abilità comunicativa, trasformando le persone in pupazzi, come quelli manovrati dai pupari nelle sagre paesane. La battaglia è davvero impari, ma va combattuta con grande determinazione, perché la posta in gioco è alta. Come scrivevo nella prima parte, però, non basta mettersi al servizio di una “giusta causa”. Occorrono anche persone adeguate e argomenti validi, altrimenti tutto diventa facilmente confutabile. E purtroppo ciò che manca, al fronte del NO, è proprio questo. NO ALLE ADOZIONI PER COPPIE OMOSESSUALI Ho affrontato più volte il tema della “questione terminologica” e dei rischi connessi a un cattivo uso delle parole. Si fa molta confusione, ad esempio, tra i termini “omosessuale” e “gay”, che vengono scambiati per sinonimi. Errore. La differenza esiste ed è abissale. L’omosessuale è colui che prende coscienza, a un certo punto della sua vita, del suo orientamento sessuale. Il gay, invece, dopo aver superato questo stadio esistenziale, trasforma la sua condizione in una cultura, un modo di vivere. Jean-Pier Delaume-Myard, omosessuale e scrittore di successo, asserisce che il gay “ha bisogno che il suo salumiere, il suo panettiere e il suo edicolante siano gay; vuole vivere insieme ad altri gay. Invece io come omosessuale, a Parigi o in provincia, ho sempre fatto la scelta di scegliere il mio alloggio senza preoccuparmi dell’orientamento sessuale dei miei vicini”. La stragrande maggioranza degli omosessuali, di fatto, sono persone responsabili, che rifiutano la logica delle lobby, sempre negativa e in questo caso “devastante”. E’ senz’altro opportuno leggere il suo libro: “Non nel mio nome. Un omosessuale contro il matrimonio per tutti”, (in Italia edito da “Rubbettino”), che affronta a largo spettro e in modo chiaro il problema. Lo stesso dicasi per Nathalie de Williencourt, lesbica e portavoce di “Homovox”, che in tante interviste e manifestazioni esprime il disappunto per norme ritenute liberticide e fuorvianti, nonché pericolose per la stabilità della società, ben spiegando il concetto di lobby e le strumentalizzazioni della LGBT. (I Francesi, come sempre, sono all’avanguardia in tutti i campi). Con molta umiltà e grande senso di responsabilità, in un’intervista a “Tempi” di qualche anno fa, la Williencourt affermò testualmente: “La coppia omosessuale è diversa da quella eterosessuale. Ed è diversa per un semplice dettaglio: non può dare origine alla vita, per cui ha bisogno di una forma di unione specifica che non sia il matrimonio […]La pace si costruisce dentro la famiglia e per avere pace nella famiglia bisogna donare ai bambini il quadro più naturale e che più infonde sicurezza per crescere e diventare grandi. Cioè la composizione classica uomo-donna”. Parole chiare e sagge, che non necessitano di commenti.
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NO ALLA STEPCHILD ADOPTION Per quanto concerne la stepchild adoption, non solo valgono tutti gli argomenti sopra esposti, ma ne bisogna aggiungere un altro che viene artatamente sottaciuto e che, invece, rappresenta una mina vagante in un terreno già pregno di trappole. Come noto, in caso di coppia tradizionale, è possibile adottare il figlio del partner, mentre quelli successivi risultano figli naturali. Per le coppie omosessuali, invece, l’approvazione della legge “spalancherebbe un portone” verso la maternità surrogata. Il figlio nato all’estero da uno dei due partner sarebbe automaticamente “adottabile”. Un caos pazzesco. CONCLUSIONI: LA FAMIGLIA TRADIZIONALE RESTA IL FULCRO DELLA SOCIETA’. SI RITROVI IL CORAGGIO DI RIBADIRLO CON FORZA, LA SI INCENTIVI, LA SI SOSTNEGA, SI EDUCHINO I GIOVANI AL RISPETTO DI QUESTO VALORE. SOPRATTUTTO TROVINO I GIVANI, DA SOLI, LA FORZA PER COMPRENDERE CHE IL MIGLIORE VIATICO PER UN FUTURO MIGLIORE PASSA PER IL RECUPERO DELLA MIGLIORE TRADIZIONE. A conclusione di questo articolo il messaggio più incisivo va rivolto principalmente ai giovani. Perché sono loro, nello stesso tempo, vittime e carnefici di una società fagocitante. Vittime per le colpe di adulti che non hanno saputo lasciare in eredità un mondo decente; carnefici nella misura in cui lo peggiorano, abbandonandosi a scelte solo apparentemente soggettive, invece di ribellarsi con tutte le forze, assumendo un ruolo “positivamente rivoluzionario” e “culturalmente evoluto”. Le difficoltà le conosciamo; la rabbia è legittima e comprensibile; l’insicurezza per il futuro è un dato di fatto e tutto ciò va considerato. Ma piangersi addosso non serve a nulla, tanto meno assumere atteggiamenti attendisti o rinunciatari. Non è certo la prima volta che, nella storia dell’uomo, una generazione si trovi a pagare lo scotto degli errori di chi l’ha preceduta. Basti pensare, ad esempio, ai giovani che a venti anni si sono trovati a vivere la più terribile delle guerre. Per superare il disorientamento vi è un solo antidoto: la cultura, unita alla forza di volontà che deve spingere ciascuno a trasformarsi da comparsa in protagonista della propria vita. Prendetevi per mano, cari giovani, e sorridetevi l’un l’altro senza curarvi dei ciarlatani che cercano di abbindolarvi. Diventate realmente arbitri del vostro destino e cercate di inseguire i vostri sogni con la mente lucida, non annebbiata dai “falsi miti” propinati da una società in declino. Se poi, proseguendo il vostro cammino, con le vostre mani stringerete quelle di un pargolo che guarderete sorridendo, avrete fatto il più bel regalo non solo a voi stessi, ma al mondo intero. Un regalo che si chiama Famiglia, la cosa più bella che esista. (Lino Lavorgna)© Articolo tratto dal blog www.galvanor.wordpress.com pubblicato in due parti, il 17 e il 20 gennaio 2016. Riproduzione autorizzata citando la fonte.