Riva raffles part 1

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Raffles

Risvegliarsi in

un sogno


Indice

Incipit

• Rugiada di libertà

• Petali in tempesta • Senza tempo

• Eleganza sublime

L’Incanto

• La mano divina

L’Eterno

Il Risveglio

Prefazione

• La quiete • Il ritorno

• La volta stellata • Il riposo

Frammenti di un sogno

V VII 1

2 15

31

32 54 76

91

92 102 114 120 147

III


Prefazione

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IV

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Piombò in un sonno di sabbia prima del solito quella sera. In un istante, serrati gli occhi, nel letto tutto si ruppe. Non sarebbe mai riuscita in seguito a trovare le parole giuste per esprimere quello sgocciolare lento come in un tunnel, quel sentirsi trascinare giù e altrove. Là in fondo le ore divennero secoli, i doveri inconsistenti, i rumori addolciti e lontani, la velocità sgretolarsi in un lago di petali, come la calma che riveste i sassi del tempo sul letto del fiume dei giorni. La bellezza farsi unica ragione degli occhi e della vista, l’eleganza come un soffice tappeto su cui camminare per osservare il mondo. Fuggiva inseguita dalla cascata degli attimi e trovò da annegarsi nel placido mare dei secoli. Non sarebbe mai stata in grado di decidersi se fosse stato sogno o realtà. E se dal sogno si fosse mai destata da allora. O meglio: se dalla realtà si fosse mai risvegliata da allora, come da un sogno.

V


Incipit

Quella mattina il Sole da dietro le sue tende la trovò notevolmente più indisposta del solito a svegliarsi. Più lento il riemergere dei sensi, più di tutti quello della vista. Qualche retaggio della notte la tratteneva ancora in trappole di ragnatela, ma niente s’era impresso nel suo ricordo di ciò che aveva visto o sentito durante il sonno. Solo più tardi il pensiero sarebbe riandato disperatamente alla ricerca di ciò. Nessuno al risveglio, checché abbia dormito quantomai profondamente, dubita mai che la realtà possa aver disertato il suo posto di granitica sentinella della propria incoscienza notturna. Leggera e senza memoria, né del passato né del futuro già programmato: tutto il prima e il dopo era coperto da una coltre di nebbia impenetrabile. Esisteva solo il suo eterno attimo presente in cui si spostava misurando i passi attraverso i metri di un ambiente solitamente familiare ma che quella mattina le sembrava di non riconoscere. Forse era solo quel suo sentirsi insolitamente minuscola e fragile. Si limitò a seguire con pazienza il primo indizio di sole che vide stagliarsi sul pavimento e gli andò incontro. VI

VII


Il risveglio


Risvegliarsi in un sogno

Con una rotonditĂ e perfezione assoluta

vide intersecarsi i disegni e gli intarsi

della mano divina di una Natura sapientemente

maestosa ed esuberante.

02

Il Risveglio


04



L

a luce calda là dentro l’abbacinò impedendole

la vista: ebbe appena il tempo di sentire la stanza esser percorsa da un fremito quasi impercettibile, come attraversata da un’onda.

Mosse in avanti e sentì crescere l’erba sotto i suoi passi. Erba morbida, verde smeraldo le crebbe intorno fino a sorpassarla in altezza. Una goccia di rugiada fredda le piombò sul naso e attraverso quella vide una caleidoscopica nuova realtà fatta di macchie confuse eppure simmetriche, di fulgido oro e rutilante biancore. Osservò l’improvviso esondare della bellezza irrazionale che si apriva solida verso di lei nella sua lenta esplosione di luci, forme, odori e sapori. S’inoltrò lentamente.

09


10

L

enta a tal punto che il suo arrestarsi di colpo fu impercettibile. Incominciò a percepirlo come

un’eco e senza che avesse il tempo di girarsi

in

quella

direzione

lo sentì crescere veloce come un calpestare ritmico

insopportabile che si

avvicinava. Tremarono i fili d’erba. Quel

terremoto l’aveva ormai

raggiunta, si trovava in mezzo al frastuono.

Frastuono di mille

coppie di zampette di formica che marciavano

obbedienti e serrate ai

suoi lati. Semplicemente non pensò. Nauseata da quel

rumore, non importava

dare un perché logico a quell’esercito di formiche operaie, con tanto di elmetto, che lungo quella strada probabilmente si dirigevano laboriose al luogo di lavoro, dietro agli schiamazzi deliranti del capofila. Si fece piccola piccola e aspettò che riprendessero la strada lasciandola lì. Quella mattina, diversamente dal solito, non sarebbe andata con loro, ovunque esse stessero andando. Pallido come un fantasma, il senso di colpa sparì assieme all’ultima formica, con una eco fastidiosa di strascico.



Risvegliarsi in un sogno

La necessità sgusciava via

tra gli snodi di quel sentiero

d’erba, scivolava giù come lo spargersi a terra

delle foglie in autunno

e lasciava sui rami spogli

lo spazio per rugiada di cristallo come pendenti di signora:

la rugiada della possibilità

15

e della libertà. Il Risveglio


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20

U

na

minuscola

estranea

viaggiatrice in

un mondo conosciuto: un infimo ingranaggio caricato

a molla che si

muove nell’intrico del maestoso meccanismo della Natura. Al suo

passaggio

sbocciavano fiori tanto diafani da essere trasparenti, bocche di primule

aperte

calici broccati segnavano la strada. Si snodavano alberi sontuosi dalle

foglie robuste,

come

l’aria azzurra e tersa il mare candido in cui tutto si immergeva. Solcò di millimetrici spostamenti una cunetta erbosa, levigò di passi il dorso di

una pietra azzurro marina, tornì la parete di un mogano, si lasciò scivolare

dentro a soffici letti

di innumerevoli petali di pervinca. Da lì dentro, come attraverso una

lente azzurra e viola,

l’immensa qualità della vita le riempì gli occhi di entusiasmo e stupore, e

lavò l’onta della sua

crepa di rammarico, sciogliendo i cattivi ricordi di una

abitudinarietà di piombo e grigiore.


U

n rumore meccanico iniziò a raggiungerla sommesso.

Uno scricchiolio metodico come da un continuo macinare la avvicinò a un cespuglio di erbacce. Nascosta osservò al centro dello spazio di terra arida una poderosa Locusta intenta a trangugiare avida qualsiasi cosa le fosse rimasta a tiro. Foglie, pezzi di legno, frutti marci, niente faceva differenza, niente la saziava veramente. Pensò che non fosse neanche in grado di muoversi, tanto la sua affannata attività l’aveva appesantita. Appiattita dietro al cespuglio rimase per un po’ ad osservare pietosa l’infelicità di chi non vuole più

distinguere

perciò

e

ingurgita

l’indifferenziato, di chi non sa più desiderare né riconoscere ciò che è meglio, di chi consuma la sua felicità distratto dall’abitudine, corrodendola

piano

piano, ogni giorno.

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A

ll’improvviso fu distratta da una melodia che dissolse il meccanico masticare in un ricordo e si

trovò sul sentiero che seguiva ondeggiante quel suono armonioso. Tra candide pareti di ottuagenarie betulle trotterellò quando sentì la fonte sonora più vicina, ma ad un tratto la terra le tremò sotto i piedi e si sentì sollevare improvvisamente dalla spinta di un albero che nasceva al suo passaggio. Si trovò tra esili rami gemmati di lunghi amenti marronigiallastri ad osservare in basso il corteo di satiri dalla coda biforcuta, che soffiavano festanti in trombe eburnee. Al passare della musica si accendevano luci inspiegabili lungo tutto il cammino, fiammelle luminose e dondolanti che attiravano la danza di schiere d’api in volo. Fu condotta da tale corte in un campo sterminato di alteri e variopinti fiori: tempeste di azzurre borragini e purpuree betoniche. Là dove aceri e ontani, intarsiati con vene dorate da mano

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meticolosa, si intrecciavano bassi per dare un tetto al loro passaggio, rami e foglie s’esibivano in arabeschi e trine. Si trovò così nel bel mezzo del desiderio di rinnovamento, in un punto non meglio precisato di quella stanza a cui la consuetudine aveva strappato anche i colori dalle pareti.


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