Monograph.it #3

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ARCHITECTURE

PHOTOGALLERY

ANTONIO CITTERIO PATRICIA VIEL AND PARTNERS

TRANSVERSAL GLANCES ON MILAN BY OLIVO BARBIERI SGUARDI TRASVERSALI SU MILANO DI OLIVO BARBIERI

UNA OFFICINA ITALIANA AN ITALIAN DEL PROGETTO WORKSHOP OF THE CONTEMPORANEO CONTEMPORARY DESIGN

CITY MILANO: THE IMAGES OF THE CHANGE MILANO: LE IMMAGINI DEL CAMBIAMENTO

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A

n t o n io C i t te r io , P a t r icia V iel a n d Par tners represent a studio of excellence for architec ture and industrial design in the Italian contemporary panorama. This issue presents many recent and unpublished works, both implemented and in progress but, above all it highlights the latest architectural experimentation as an extension of the project at different scales, a theme that “monograph.it” follows w i t h i n te r e s t . T h e p r e s e n ta t io n o f t h i s r e n o w n e d I t a li a n a w a r d - w i n n i n g s t u d y, whose products appear amongst the most important collections, together with their work in international architecture, marks an impor tant work of documentation for “monograph.it ” regarding some of the most original contemporar y productions. Following in the wake of the good tradition of Milan, the study encourages research and experimentation as well as design within the territory and the city, between town and countryside, between collective living spaces and the private home. Citterio and Viel (in 1999 founded Antonio Citterio Patricia Viel and Partners) design buildings in Italy, Europe, Japan, and the USA, whilst the study is based in Milan. Their projects range from architecture, design, corporate image, communications, to retail design projects and concepts for Aspesi, Cerruti, Ungaro, Stefanel, Zegna and De Beers. In the field of industrial design they collaborate with some of the most important Italian and foreign companies, including: Ansorg, Arclinea, Axor-Hansgrohe, Aubrilam, B&B Italy, Flexform, Flos, Fusital, Guzzini, Iittala, Inda, Kartell, Maxalto, Sanitec Group - Pozzi Ginori, Simon Urmet, Technogym, Tre Più and Vitra.

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A

ntonio Cit terio Patricia Viel and Partners rappresenta uno degli studi d i e ccelle n z a p e r l ’a r c h i t e t t u r a e l’ industrial design nel panorama italiano contemporaneo. Questo numero presenta molte opere recenti e inedite, sia realizzate e in corso di esecuzione, ma soprat tut to fa emergere la recente sperimentazione architettonica come estensione del progetto alle diverse scale, un tema che “monograph.it” segue con interesse. Presentare questo studio italiano, pluripremiato e segnalato, con oggetti presenti in collezioni importanti e architetture internazionali, è un segno impor tante del lavoro di documentazione di “monograph.it” sulle più originali produzioni contemporanee. Seguendo il solco della buona tradizione milanese, lo studio spinge og gi la ricerca e sperimentazione, oltre il design, nel territorio e nella città, tra la metropoli e i paesaggi, tra la casa collettiva e la casa privata. Citterio e Viel (nel 1999 fondano la Antonio Citterio Patricia Viel and Partners) progettano edifici in Italia, in Europa, in Giappone, negli USA, e lo studio ha sede a Milano. I progetti oggi spaziano tra architettura, design, corporate image, comunicazione, fino al retail design con progetti e concept per Aspesi, Cerruti, Ungaro, Stefanel, Zegna, De Beers. Nel campo dell’industrial design annovera alcune delle più importanti aziende italiane e straniere, tra le quali: Ansorg, Arclinea, Axor-Hansgrohe, Aubrilam, B&B Italia, Flexform, Flos, Fusital, G u z z i n i , Ii t t a l a , I n d a , K a r t e ll , M a x a l t o , Sanitec Group - Pozzi Ginori, Simon Urmet, Technogym, Tre Più, Vitra.

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MARMI FAEDO

stones histories between lagoon and venetian land storie di pietra tra laguna e terraferma veneta

Marmi Faedo Spa for over 50 years, Marmi Faedo has been the sole proprietor of the only Grolla marble quarry in the world. Since the initial extraction work started, the company has developed increasingly vast skills and business areas. Today, Marmi Faedo is able to supply a broad range of services: from products finished according to the customer’s drawings, technical-design advice, on-site assistance up to installation using specialised skills. Thanks to the high production capacity and advanced technology of our production lines, Marmi Faedo is able to manage considerably complex and prestigious projects such as the Sheraton Hotel in Oran and Algiers.

Marmi Faedo Spa da oltre 50 anni opera nel settore lapideo applicato all’architettura e all’edilizia fornendo materiali di provenienza locale ed estera. Tra le numerose tipologie offerte l’azienda propone il Marmo Grolla, un materiale con qualità tecnico-meccaniche certificate e caratteristiche estetiche di pregio. Il basso assorbimento d’acqua, la resistenza all’abrasione, la resistenza chimica ai sali per piscine (Classe UA) e la resistenza alla cristallizzazione dei sali marini, rendono questo marmo particolarmente adatto per l’utilizzo in esterno: pavimentazioni, rivestimenti di facciate con sistema ventilato o incollato, piscine, passeggiate lungomare. INTRO | MONOGRAPH.IT

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MARMI FAEDO QUARRY

FAEDO WORKING

Since the initial extraction work started, the company has developed increasingly vast skills and business areas. Today, Marmi Faedo is able to supply a broad range of services: from products finished according to the customer’s drawings, technical-design advice, on-site assistance up to installation using specialised skills. Marmi Faedo S.p.A has worked for over 50 years in the stone sector applied to the architecture and construction industry, providing local and foreign materials. Among the numerous types

STORIE DI PIETRA

I Faedo, Alessandro, Isa, Nicola e Francesca, sono una famiglia che da due generazioni tratta la pietra con amore e passione. Lavorano nel cuore della terra veneta, per estrarre, nella cava di che fu di un antenato, giganteschi sassi bianco-grigio-rosso variegati. Che poi tagliano, quasi come fosse burro, con l’aiuto di grandi seghe circolari per estrarne splendide lastre e blocchi di dimensioni grandi e piccole. L’azienda Faedo ha sede a Cornedo, nella provincia vicentina, dove storie di cavatori e scalpellini, a cominciare dal Palladio, si intrecciano da secoli e dove le facciate degli edifici, dal passato al moderno, si riempiono di questi cromatismi naturali e di questi strati di venature, che solo la pietra riesce a conferire. Un campionario ricco di superfici, tonalità e sfumature diverse è quello che propongono i materiali di questa cava, dai più tradizionali ai più eleganti e raffinati, ai più “tecnologici” delle

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EDITORIAL/EDITORIALE PAG 10

of marble on offer, the company supplies Grolla marble, a material with certified technical and mechanical properties and aesthetically significant characteristics. Its low water absorption, resistance to abrasion, chemical resistance to swimming pool salts (Class UA) and resistance to sea salt crystallisation, make this marble particularly suitable for outdoor use: paving, ventilated facework or facework applied with adhesives, swimming pools or seafront promenades.

facciate ventilate, con texture variabili per trama e colore. La cava Faedo di Cornedo è una sorta di luogo della “magia alchemica”, una grande “stone gallery” a cielo aperto, dove le venature diverse delle pietre sono capaci di stimolare la creatività dei designer e degli architetti, attraverso un campionario ricco di possibilità: la pietra come la materia grezza che aspetta di essere trasformata, disegnata, sagomata, graffiata, levigata, bocciardata, con l’aiuto della sapienza artigianale dei Faedo che ne conoscono ogni segreto e potenzialità espressiva. Gli impieghi sono estremamente versatili, per esterni e interni, dai grandi spazi aperti, alle facciate, basamenti e cornici, ai rivestimenti, mosaici, alle pareti dei living o dei diversi luoghi della casa. Con effetti sorprendenti e la magia delle cose naturali trasformate dall’uomo con progetti raffinati.

MARMI FAEDO SpA | P.IVA 02283330245 via Cimone, 13 - 36073 Cornedo Vicentino (Vicenza - ITALY) phone/tel. +39 0445 953081 fax +39 0445 952889 http://www.marmifaedo.it/ita/index.asp info@marmifaedo.com

CONTENTS/CONTENUTI

ARCHITECTURE

We have quarried, produced and installed stone for more than 50 years as the sole proprietors of the only Grolla marble quarry in the world Marmi.

The design workshop as a place of investigation and experimentation L’officina del progetto come luogo di indagine e sperimentazioni by/di Pino Scaglione ARCHITECTURE/ARCHITETTURA

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Interview with/intervista con Antonio Citterio and Patricia Viel, In the city, architecture that builds the landscape Dentro la città, l’architettura che tende a fare paesaggio Edited by/a cura di Pino Scaglione e Valeria Sassanelli Milan, New York, Tokyo and surroundings: Milano, New York, Tokio e dintorni:

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PHOTOGRAPHY

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PUBLIC ARCHITECTURE FOR THE CITY Architetture pubbliche per la città

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LIVING NOW Abitare oggi

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SPACES AND PLACES Spazi e luoghi

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PUBLIC INNOVATIVE INTERIOR Interni pubblici innovativi PHOTOGALLERY

CITY

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OLIVO BARBIERI Transversal glances at Milan Sguardi trasversali su Milano with a text by/con un testo di Ugo Morelli CITY

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MILAN, THE IMAGE OF THE CHANGE IN THE NEW PGT MILANO, L’ IMMAGINE DEL CAMBIAMENTO NEL NUOVO PGT Metrogramma: Andrea Boschetti, Alberto Francini

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EDITORIAL EDITORIALE by/di Pino Scaglione The workshop of the project as a place for investigation and experimentation

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n the1990s, when with d’Architettura we looked at the Citterio office (with a long interview about design and architecture) it was clear, already in that nebulous period of transition again dominated by Aldo Rossi and an endless host of epigones, that the interest for this fellowship, which could be said to be typically Italian, was tied to the good definition of an Italian road to the modern-contemporary project, far from misunderstandings and cultural and linguistic compromises. In the wake of this unchanged interest we meet Antonio Citterio and Patricia Viel in their Milan office to build this issue. The conversation you will find in the long interview that follows covers a wide range of issues and engaging subjects; from the product design to architecture, the city, contemporary art, the Milanese and Italian way of still being the motor of an original “workshop” in which the project is an investigative tool on all scales, design is experimentation with materials and forms, the city is a fascinating challenge and too important to be left out of Milanese and Italian architects’ field of interest. Indeed, the city is today perhaps the sickest “body” in this country, the theme that has to be faced by architects and urbanists on a large and small scale. Yet without forgetting Giò Ponti, but going beyond, to the Milanese city-metropolis that proposes, with difficulty, through a new and long-awaited plan, images of a change that has been pursued for a long time, even though everything still has to be defined and given shape, that is not only of building-real estate but, above all, made of spatial, architectural and urban quality. Antonio Citterio, Patricia Viel & Partners represent, in this sense, the positive condition of an office that proposes, other than in quality and organization, also an intelligent response to the star system, developing projects in different national and international places,

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L’officina del progetto come luogo di indagine e sperimentazioni Negli anni ‘90, quando con d’Architettura ci occupammo dello studio Citterio (con una lunga intervista su design e architettura) era chiaro, già in quel nebuloso periodo di transizione dominato da Aldo Rossi e una infinita schiera di epigoni, che l’interesse per questo sodalizio, tipicamente italiano, fosse legato alla buona definizione di una via italiana al progetto moderno-contemporaneo, lontano da equivoci e compromessi culturali e linguistici. Sulla scia di questa immutata attenzione incontriamo Antonio Citterio e Patricia Viel, nel loro studio milanese per costruire questo numero. La conversazione, che trovate nella lunga intervista successiva, spazia su temi e argomenti avvincenti che vanno dal design di prodotto, all’architettura, alla città, all’arte contemporanea, al modo milanese e italiano di essere ancora oggi il motore di una originale “officina” in cui il progetto è strumento di indagine a tutte le scale, il design è sperimentazione sui materiali e sulle forme, la città una sfida affascinante e troppo importante per essere lasciata fuori dal campo di interesse di un architetto milanese e italiano. Anzi, la città è forse oggi il “corpo” più malato che c’è in questo Paese, il tema di cui devono occuparsi architetti e urbanisti dalla grande alla piccola scala. Senza dimenticare Giò Ponti, dunque, ma andando oltre, alla città-metropoli milanese che propone, faticosamente, con un nuovo e atteso piano immagini di un cambiamento inseguito da tempo, ancora tutto da definire e a cui dare corpo, che non sia solo edilizioimmobiliare, ma fatto soprattutto di qualità spaziale, architettonica e urbana. Antonio Citterio, Patricia Viel and Partners rappresentano, in questa direzione, la positiva condizione di uno studio che propone, oltre che nella qualità, anche nell’organizzazione, un’intelligente risposta allo star system, sviluppando progetti in diversi luoghi nazionali e internazionali, senza mai perdere di vista le

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without ever losing sight of the relationships with the context, the attention to the urban scale, to particulars and detail, the construction of an excellent spatial “shell”, but also with the charm of interiors in which nothing is ever left to chance. Making the project even stronger and more unbeatable, as an excellent and necessary part of the contemporary “made in Italy”. So artisanship, but also technical and organizational efficiency as an antidote to improvisation, technology and mastery of materials, experimentation and sustainability, are themes of an architecture office that wins international competitions and complex professional challenges, that pursues a clear idea of the project as a tool of investigation, knowledge, transformation as a cornerstone and director of change. An office that, with its work and professional strategy, proposes a method composed of an excellent blend of Mediterranean passion, invention and intuition, as well as experience and technique, which comes together in a distinctive Italian profile: just what is missing in a lot of current production. To the question of whether this runs the risk of a “criticizable” eclecticism, Antonio Citterio and Patricia Viel’s brave and honest answer was that this eclecticism, which is not planned beforehand but a result of a day-to-day “contrast of positions”, might be good for architecture if it helped it not to be boring and obvious and if it also helped to overcome the fear and obsession of being “recognizable” at all costs. It is not a coincidence then that the wallpaper of this issue is divided into some sections linked to the main themes that unite the office’s experience with the topical nature of some of the emergent issues in project production: Public architecture for the city, Living now, Spaces and places, Public innovative interior. In addition there are the extraordinary images by Olivo Barbieri of a Milan full of contrasting “black” and “colour”,

relazioni con il contesto, l’attenzione alla scala urbana e quella al particolare, al dettaglio, alla costruzione di un eccellente “guscio” spaziale, ma anche con la suggestione di interni in cui nulla è mai lasciato al caso. Rendendo così, ancora forte e imbattibile, il progetto, come parte eccellente e necessaria del “made in Italy” contemporaneo. Artigianalità dunque, ma anche efficienza tecnica e organizzativa come antidoto alla improvvisazione, tecnologia e padronanza dei materiali, sperimentazione e sostenibilità, sono temi di uno studio di architettura che vince concorsi internazionali e sfide professionali complesse, che insegue una idea chiara del progetto come strumento di indagine, conoscenza, trasformazione, come cardine e regia del cambiamento. Uno studio che propone, con il proprio lavoro e strategia professionale, un metodo fatto di un eccellente mix tra passionalità mediterranea, invenzione e intuizione, oltre che tra esperienza e tecnica, per farle convergere in un profilo italiano riconoscibile: proprio quello che manca a molta produzione attuale. Alla domanda se questo non comporta il rischio di un “criticabile” eclettismo, la coraggiosa, onesta risposta di Antonio Citterio e Patricia Viel è che forse questo eclettismo, non costruito a tavolino, ma esito del quotidiano “contrasto di posizioni”, fa bene all’architettura se aiuta a non renderla noiosa e scontata e se aiuta, inoltre, a vincere la paura e l’ossessione di essere a tutti i costi “riconoscibili”. Non a caso dunque i wall papers di questo numero sono divisi in alcune sezioni legate ai principali percorsi che intrecciano tanto l’esperienza di questo studio, quanto l’attualità di alcuni temi emergenti nella produzione progettuale: Architetture pubbliche per la città, Abitare oggi, Spazi e luoghi, Interni pubblici innovativi. Con corollario le straordinarie immagini di Olivo Barbieri di una Milano ricca di contrasti

of suspended and diluted verticality as strong signs in a sprawling metropolis, with its charm and roughness, typical of the essence of the Italian city, from which Milan cannot escape. The atlas of the “piano di governo del territorio” (PGT) of the city, as scenarios of the change proposed by Metrogramma’s concept, offers enough food for thought, also in this occasion, about how the project today must tap into and measure itself against eclectic materials - and the perverse “charm” - of the contemporary city.

“nero” e “colore”, di verticalità sospese e diluite come segni forti nella metropoli diffusa, di fascino e rugosità, tipiche del dna della città italiana, cui Milano non sfugge. L’atlante del PGT della città, come scenari del cambiamento proposto dal concept di Metrogramma, offre sufficienti spunti per riflettere, anche in questa occasione, su quanto il progetto debba oggi attingere e misurarsi con i materiali eclettici -e dal perverso “fascino”- della città contemporanea.

a detail of bookcase in the Antonio Citterio office/un dettaglio della libreria nello studiolo di Antonio Citterio

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ANTONIO CITTERIO PATRICIA VIEL AND PARTNERS CONTEMPORARY ITALIAN DESIGN WORKSHOP ANTONIO CITTERIO PATRICIA VIEL AND PARTNERS OFFICINA ITALIANA DEL PROGETTO CONTEMPORANEO

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ANTONIO CITTERIO Antonio Citterio, born in Meda in 1950, started his architectural and interior design career in 1972 and graduated in architecture at the Milan Polytechnic in 1975. Between 1987 and 1996 he worked in association with Terry Dwan and, together, they created buildings in Europe and Japan. In 1999, with Patricia Viel, he founded “Antonio Citterio and Partners”. The studio operates at international level developing complex long-term projects, at all scales and in synergy with a qualified network of specialist consultants. Among the several typologies of projects realized are: urban design, residential and commercial complexes, industrial establishments, conservative restructurings of public buildings and planning of spaces for work, offices, showrooms and hotels. The firm is also active in the sector of corporate communication and implements projects for temporary events and exhibitions. In the industrial design field, Antonio Citterio at the moment collaborates with Italian and international firms such as Ansorg, Arclinea, Axor-Hansgrohe, Aubrilam, B&B Italia, Flexform, Flos, Fusital, Guzzini, Iittala, Inda, Kartell, Maxalto, Sanitec Group - Pozzi Ginori, Simon Urmet, Technogym, Tre Più, Vitra. Antonio Citterio was awarded the Compasso d’OroADI in 1987 and 1995. Since 2006 he has been teaching architectural design at the università della Svizzera Italiana, Architecture Academy in Mendrisio. In 2008 he was named “Royal Designer for Industry” by the Royal Society for the encouragement of Arts, Manufactures & Commerce of London and joined the Italian Design Council founded by the Ministero per i Beni e per le Attività Culturali. In September 2009 the studio changed its name to “Antonio Citterio Patricia Viel and Partners”.

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PATRICIA VIEL Antonio Citterio nasce a Meda nel 1950, apre il proprio studio di progettazione nel 1972 e si laurea in architettura al Politecnico di Milano nel 1975. Fra il 1987 e il 1996 è associato a Terry Dwan; insieme realizzano edifici in Europa e Giappone. Nel 1999 fonda con Patricia Viel la società “Antonio Citterio and Partners”. Lo studio opera a livello internazionale svi­ luppando programmi progettuali complessi, ad ogni scala ed in sinergia con un network qualificato di consulenze specialistiche. Tra le tipologie progettuali realizzate: piani urbanistici, complessi residenziali e commerciali, stabilimenti industriali, ristrutturazioni conservative di edifici pubblici, pianificazione di spazi per il lavoro, uffici, showroom, alberghi. La società di progettazione è inoltre attiva nel settore della comunicazione aziendale e realizza progetti di immagine coordinata e allestimenti. Antonio Citterio collabora attualmente, nel settore del disegno industriale, con aziende italiane e straniere quali Ansorg, Arclinea, Axor-Hansgrohe, Aubrilam, B&B Italia, Flexform, Flos, Fusital, Guzzini, Iittala, Inda, Kartell, Maxalto, Sanitec Group - Pozzi Ginori, Simon Urmet, Technogym, Tre Più, Vitra. Nel 1987 e nel 1995 Antonio Citterio è stato premiato con il Compasso d’Oro-ADI. Dal 2006 è docente di progettazione architettonica presso l’Università della Svizzera Italiana, Accademia di Architettura di Mendrisio. Nel 2008 riceve dalla “Royal Society for the encouragement of Arts, Manufactures & Commerce” di Londra l’onorificenza “Royal Designer for Industry” ed entra a far parte del Consiglio Italiano del Design istituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. A settembre 2009 lo studio ha cambiato la propria denominazione sociale in “Antonio Citterio Patricia Viel and Partners”.

Patricia Viel, french, was born in Milan in 1962. She graduated in architecture at the Milan Polytechnic in 1987 and started her collaboration with Antonio Citterio in 1986. Since 1999 she has been partner of “Antonio Citterio and Partners” where she participates significantly in the firm management and establishes her role of responsibility in architectural design. In April 2000 the studio opened its new Milan office in Via Cerva 4 and, in the following May, it opened an office in Hamburg, in Wrangelstrasse 75b. The experience in Hamburg was an important phase in her career, giving her the possibility to confront with a new model of Public Administration and Purchaser. The firm works at international level developing complex long-term design projects, at all scales and in synergy with a qualified network of specialist consultants. Since 2005 Patricia Viel is member of the Executive Board of the National Institute of Architecture IN/ARCH – Milan Province Section. She is periodically called to lectures at conferences and to teach: among others she teaches at the Scuola Politecnica of Design, she is visiting professor at the Milan Polytechnic, she has given lectures at the Domus Academy, she was invited by the Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza Archivistica per la Lombardia – to lecture at a study day in the Milan Triennale in occasion of the seventh week of culture, she participated at the Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio for the workshop Architecture Design Enterpreneurship.

Patricia Viel, francese, nata a Milano nel 1962, si laurea in Architettura al Politecnico di Milano nel 1987. Inizia la sua collaborazione con Antonio Citterio nel 1986. Dal 1999 è socia della Antonio Citterio and Partners dove ha partecipato in modo sempre più significativo al management della società ed affermato il ruolo di responsabile della progettazione architettonica. Nell’aprile 2000 lo studio inaugura la nuova sede di Milano in Via Cerva 4 e nel maggio successivo apre la sede ad Amburgo, in Wrangelstrasse 75b. L’esperienza ad Amburgo ha certamente costituito un momento importante della sua carriera, dandole la possibilità di confrontarsi con un modello ulteriore di pubblica amministrazione e committenza pubblica. Lo studio opera a livello internazionale sviluppando programmi progettuali complessi, ad ogni scala ed in sinergia con un network qualificato di consulenze specialistiche. Nel 2005, Patricia Viel entra a far parte del Consiglio Direttivo dell’Istituto Nazionale di Architettura IN/ARCH – Sezione Provinciale di Milano. E’ periodicamente chiamata a parteci­ pare a convegni, tenere conferenze e prestare attività didattica: si segnalano, tra gli altri, la docenza presso la Scuola Politecnica di Design, il ruolo di visiting professor al Politecnico di Milano, le lecture presso la Domus Academy, l’invito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza Archivistica per la Lombardia - a partecipare ad una giornata di studio presso la Triennale di Milano in occasione della VII Settimana della cultura, la parte­ cipazione al Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio per il seminario Architettura Design Imprenditoria.

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PROJECT SITES I LUOGHI DEL PROGETTO 34

PAG CASCINA MERLATA

EX MARTINELLI AREA PAG

LOCATELLI PARK

VARESINE GENERAL INTEREST PAG

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FERRANTE APORTI PAG

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62 PRIVATE VILLA

SONDRIO

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BERGAMO

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MILANO

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TRIENNALE DESIGN MUSEUM

RAVENNA

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PRIVATE SEASIDE HOME PAG

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TECHNOGYM VILLAGE CESENA

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INTERVIEW INTERVISTA with ANTONIO CITTERIO PATRICIA VIEL

SARDINIA

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RENOVATION OF THE SOUTHDOCK

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GREENWAY RESIDENTIAL BUILDING

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PAG GLAXOSMITHKLINE DAY NURSERY

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PAG

PAG

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VERONA

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PAG ALBORETO SQUARE

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SALAINO 10

PAG

BORMIO

NEW HEADQUARTERS ERMENEGILDO ZEGNA PAG

EDEN RESIDENCE

L’AQUILA

02 SAN BERNARDINO CHURCH PAG

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by PINO SCAGLIONE VALERIA SASSANELLI

In an urban and metropolitan reality that is as complex, sprawling and multiform as that seen today, even in Milan itself, one can perceive in your work an aptitude to re-establish “order” rather than accept the chaos within the project of architecture, even though it is a single piece in a complex urban system. What role do you attribute to your projects? Our way of doing architecture aims to make landscapes. When one is inside an urban fabric that has the simplicity of ordinariness, not characterised by its architectural quality but by the relationships between objects, the age of buildings, the climate or the road sections, that is the distance between one building and another rather than their heights, one does not need to use the single building as an object to reveal

VS: In una realtà urbana e metropolitana complessa, tentacolare e poliforme come quella contemporanea, anche dentro Milano, si percepisce nel vostro lavoro un’attitudine a ristabilire “ordine”, piuttosto che accogliere il caos all’interno del progetto di architettura, per quanto sia un singolo tassello di un sistema urbano più complesso. Quale ruolo attribuite ai vostri progetti? PV: Il nostro modo di disegnare l’architettura tende a fare paesaggio. Quando ci si trova all’interno di un tessuto urbano che ha la semplicità dell’ordinarietà, che non si caratterizza per la sua qualità architettonica ma per le relazioni tra gli oggetti, l’età degli edifici, il clima o la sezione stradale, cioè la distanza tra un edificio e l’altro piuttosto che le altezze, non si ha bisogno di utilizzare il singolo oggetto edilizio per rivelare la

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the nature of a place because it already has its own identity. For instance, our office in Milan in Via Cerva is an example of an episode of reordering, a minimal operation that respects the rules of the fabric in which it is found with great simplicity and without other intentions. Ceppo limestome - the stone of the centre of Milan – has been used and it has large windows because there is little light. It hasn’t changed the nature of the place at street level where the sequence of buildings are differentiated without attributing values. However, in other contexts, we are also able to make buildings with more refined contemporaneity, as in the case of the Zegna offices in Milan, inside a courtyard, in which the choices of surfaces, outlines, materials and its staggered flow of angles are linked to the relationships with the context, but totally imperceptible from the street. The role of the design of architecture is to re-establish quality standards, historic thresholds, periods and alignments. It is its right, independent of value judgment. Planning on all scales is a characteristic of the work your office carries out, in a continuous comparison with the complexity of the relationship between architecture, city and territory. Following a mainly Italian policy not to make selfreferential projects, what do you think about the relationships between architecture and context? There have been, in the last ten-fifteen years in Lombardy and Milan, great occasions with new masterplans and integrated transformation programmes for which we have been amongst those to be called to intervene. This has not always happened for architecture, it did occur in the post-war periods and is now happening regarding ex-industrial areas. We have surpassed the town-planning culture of the Seventies that had a general and omnicomprehensive vision. On the other hand, there does exist a type of architecture as an object in itself and another that is that of the street, the place or the quarter, which creates a life space and does not necessarily have to be extraordinary.

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natura del luogo perché esso ha già una sua identità. Ad esempio, il nostro studio di Milano in Via Cerva si caratterizza come un episodio di riordino, un’operazione minimale che segue le regole del tessuto in cui si trova con grande semplicità e senza altre intenzioni. E’ fatto di ceppo -la pietra del centro di Milano- e ha delle grandi vetrate perché c’è poca luce. Non ha cambiato la natura del luogo al livello della strada dove si distinguono gli edifici in sequenza senza attribuzione di valore. Però, in altri contesti, siamo capaci di fare anche edifici con una contemporaneità più ricercata, come nel caso della sede Zegna a Milano, dentro un cortile, in cui una ricerca di superfici, sagome, materiali e slittamenti è riferita ai rapporti col contesto, ma totalmente impercettibile dalla strada. Il ruolo del disegno di architettura è ristabilire standard di qualità, soglie storiche, epoche e allineamenti. E’ una sua facoltà indipendentemente dal giudizio di valore. PS: La progettazione a tutte le scale caratterizza oggi il lavoro del vostro studio, in continuo confronto con la complessità del rapporto tra architettura, città e territorio. Dentro una linea soprattutto italiana di non fare progetti autoreferenziali, qual é la vostra idea sulle relazioni tra manufatto e contesto? AC: Negli ultimi dieci-quindici anni, in Lombardia e a Milano, si sono presentate grandi occasioni con nuovi masterplan e programmi integrati di intervento per i quali anche noi siamo stati chiamati ad intervenire. Non sempre ciò avviene per l’architettura, è successo in momenti post-bellici e sta succedendo ora con le aree industriali dismesse. Abbiamo superato la cultura dell’urbanistica degli anni Settanta che aveva una visione generale e onnicomprensiva. Esiste invece un’architettura come oggetto in sé e un’altra che è quella della strada, del luogo o del quartiere, che crea uno spazio di vita e non necessariamente deve essere eclatante. PV: Sul tema di un contributo allo sviluppo del territorio attraverso il progetto di architettura è nata una sorta di coscienza del “paesaggio della città”. E’ un’acquisizione

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In terms of a contribution to the development of the territory through the project of architecture a sort of consciousness of the “landscape of the city” has arisen. It is a recent acquisition, in fact in the European Landscape Convention, approved ten years ago, it was ratified that the landscape is everything. So protecting the landscape at the level of those who walk in the street or the quality of a piazza when lit in the evening in a certain way or the shade, has the same value as the protected historic façade or a view from Resegone. This has determined a type of territorial planning in which the qualitative contents generally prevail over the quantitative ones: the benchmarks have become secondary to urban quality, even with an integration between the public and private sectors. Thus landscape and architecture have become inseparable and it is unthinkable for us to plan an implementation plan without also designing the lampposts. The new season of the city has finally understood the necessity of the project. The relationship between the interior and the exterior is another characteristic of Italian architecture, recognizable from the Seventies. Today some architects concentrate on the container and others on the interior while your work succeeds in uniting both. What does combining these two aspects mean to you? We are witnessing great transformations in living today and dwelling places are required to perform

recente, infatti nella Convenzione europea del paesaggio, approvata dieci anni fa, si sancisce di fatto che il paesaggio è tutto. Sicché tutelare il paesaggio alla quota di colui che cammina per la strada, piuttosto che la qualità di una piazza illuminata la sera in un certo modo, piuttosto che l’ombra, vale tanto quanto una facciata storica vincolata o una vista sul Resegone. Questo ha determinato una pianificazione territoriale in cui i contenuti qualitativi prevalgono largamente su quelli quantitativi: gli indici sono diventati secondari rispetto alla qualità urbana, anche con una integrazione tra pubblico e privato. E quindi parlare di paesaggio e architettura è diventato inscindibile e per noi è impensabile progettare un piano attuativo senza disegnare anche i lampioni. La nuova stagione della città ha finalmente compreso la necessità del progetto. PS: Il rapporto tra interno ed esterno è un’altra caratteristica dell’architettura italiana, riconoscibile fino agli anni Settanta. Oggi accade che alcuni architetti si occupano del contenitore e altri dell’interno mentre il vostro lavoro sembra riuscire a tenere tutto insieme. Che vuol dire per voi coniugare questi due aspetti? AC: Oggi assistiamo a delle grandi trasformazioni dell’abitare e alla residenza si richiedono delle performance diverse da quelle di vent’anni fa. Lo spazio del bagno è uscito dal mondo del bisogno ed è entrato in un altro mondo di riferimento, il mondo dell’acqua. E’ cambiata la tipologia del

differently to those twenty years ago. The bathroom space has left the realm of necessity and has become another point of reference, a realm of water. The typology of the bathroom, the bedroom and the toilet has changed, almost becoming an axiom. The kitchen has once again become a place of reference for the home; a convivial space that has assumed different dimensions from those in the Seventies, no longer only for service and preparation. Describing a project in this way, you realise that a space changes because it is tied to its window, to what you see and in terms of how it relates to the other spaces. The time provided to complete building work is becoming less so intervening in the construction with a project that considers everything, even down to the choice of the doorknobs, becomes a fundamental theme for those who work in the field. When our profession recently started to gain a sort of specialization – something that is more British or American than continental European - this sort of dichotomy was created between the architect who put everything together and the expert in façades or in something else. Relative to this, our way of looking at it is not totally innovative, actually, in some aspects, we represent the continuity of a tradition. We are children of Giò Ponti. We Italians are “planists”, we think about architecture with a spatial programme, a ritual of arrival in buildings and a hierarchy of the communal spaces. We also tend to maintain the spatial composition between the ground and the sky of that of Sixteenth-

bagno, della camera e del closet che sono diventati quasi un assioma. La cucina è ritornata ad essere un luogo di riferimento per la casa, uno spazio conviviale che ha assunto delle dimensioni diverse da quelle degli anni Settanta, non più solo di servizio e preparazione. Raccontando un progetto in questo modo ti rendi conto che lo spazio cambia perché è legato alla sua finestra, a cosa vede e a come si rapporta con gli altri spazi. Il tempo di realizzazione delle opere si sta riducendo per cui intervenire nella costruzione con un progetto che tenga conto di tutto, fino alla definizione della maniglia delle porte, diventa un tema fondamentale per chi produce. Quando di recente la nostra professione ha cominciato a prendere una sorta di specializzazione -cosa molto più anglosassone o americana che non europeasi è creata questa sorta di dicotomia tra l’architetto che metteva le cose tutte insieme e lo specialista di facciate o altro. Rispetto a questo, il nostro modo di vedere non è totalmente innovativo, per certi aspetti anzi, noi rappresentiamo la continuità di una tradizione. PV: Siamo figli di Giò Ponti. Noi italiani siamo dei “piantisti”, ragioniamo sull’architettura con un programma spaziale, un rituale di arrivo negli edifici e una gerarchia degli spazi comuni. Tendiamo anche a mantenere le partiture spaziali tra suolo e cielo proprie dell’architettura cinquecentesca: le relazioni tra il suolo e la parte basamentale, quello che sta a metà e quello che sta in alto. E’ difficile uscire da questo modello. Per noi pensare un’architettura significa innanzitutto pensare un programma spaziale e ideale di quello che serve. PS: Dunque torna il teorema di Purini: la sezione a Milano, la pianta a Roma, il prospetto a Palermo. Una semplificazione molto efficace o ambigua? AC: C’è stato un momento nella storia dell’architettura italiana, quando Aldo Rossi si è affacciato sulla scena, che ha cambiato quello che abbiamo appena detto sostenendo che gli edifici erano indipendenti dalla loro funzione. Negli anni Ottanta, con il Post

century architecture: the relationships between the ground and the base of the building, what is in the middle and what above that. It is difficult to break away from this model. Thinking of an architecture means for us first of all thinking of a spatial and ideal programme of what is needed. Therefore, we come back to Purini’s theorem: the section of Milan, the plan of Rome, the elevation of Palermo. Is it a very effective or ambiguous simplification? There was a moment in the history of Italian architecture, when Aldo Rossi came onto the scene, which changed what we have just said sustaining that buildings were independent from their function. In the Eighties, with Postmodernism, architecture was seen as a series of signs, what happened inside was another thing, even though buildings were designed to be permanent and therefore built with traditional materials. It is a matter of the attribution that is given to the architectural object. Is architecture permanent or is it a shell like a car? I believe that this is one of the big issues. Today we think about machines that are extremely powerful and functional, but this is in contradiction with thinking of permanent buildings. There has always been this ambiguity in Italy between modern or ancient. I believe that your office represents an Italian way to modernity and, beyond the limits of the project, to contemporaneity. Do you see yourselves in this process? Ambiguity is also symbolic tension: using symbols in architecture is very dangerous. Our way of seeing modernity is permanent, it is not a problem to be up-todate because today you are no more modern than you were yesterday. Modernity was true in the Forties, in the Fifties, in 2000 and it will always be so: a status of a relationship with the world of signs. To some extent, what makes you feel an operation like the one Aldo Rossi did was right is that he was a poet because he succeeded in using symbolic material in an authentic way, carrying out

Moderno, l’architettura era vista come una serie di segni, quello che succedeva all’interno era un’altra cosa, anche se gli edifici erano pensati per essere permanenti e quindi realizzati con materiali tradizionali. E’ una questione di attribuzione che si dà all’oggetto architettonico. L’architettura è permanente oppure è un involucro come una macchina? Credo che questo che sia uno dei grandi temi. Oggi pensiamo a macchine estremamente performanti e funzionali, ma ciò è in contraddizione con il pensare a edifici permanenti. PS: L’Italia vive da sempre questa ambiguità tra moderno o antico. Io credo che il vostro studio rappresenti una via italiana alla modernità e, oltre i limiti del progetto, alla contemporaneità. Vi identificate in questo percorso? PV: Ambiguità è anche tensione simbolica: usare i simboli in architettura è molto pericoloso. Il nostro modo di vedere la modernità è permanente, non è un problema di essere up-to-date perché oggi non sei più moderno di ieri, la modernità è vera negli anni Quaranta, negli anni Cinquanta, nel

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a literary operation without using the intellectual procedures of architecture itself. In fact a project by Aldo Rossi is an event in the city just as much as a sculpture is, like Cattelan’s finger in front of the Milan stock exchange. Your design projects have testified and given answers to the changes in people’s lifestyles, creating objects with functions that sometimes didn’t exist before. Is it like this for the architectures and projects on a larger scale too? Have you noticed changes in habits in terms of the use of the city that an architect should try to address? We believe there are some imperatives in an architecture project that determine a hierarchy of relevance in the urban space in respect to what happens inside houses. Also because our architecture tends to survive us so it is difficult to connect an urban episode to the life of a person; there is another time horizon. We are trying to break an obvious relationship between spaces that are in proximity to façades (I am talking about loggias or balconies or the way of opening a window) and the design of the façade. In designing doors and window frames, for instance, we have used sophisticated technology with which this threshold can be controlled, for example, the window of a bathroom doesn’t necessarily have to look like one. In urban layouts we try to favour life outside the single housing unit orientating the buildings towards a private interior space and less towards the streets. The direct consequence is keeping the main façades, which give an urban landscape and have a role in urban beauty, with the backs of houses. In regard to the latter, we feel we have invented some things that were missing. The attention to detail that we have had all these years is projected more towards the outside now. Italian architectural culture, and Milan along with it, has not led to a true urban culture. Today, Germany, Austria, Switzerland and many other countries, have developed urban cultures that are attentive to the quality of the living place,

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2000 e lo sarà sempre: resta invariata una condizione di rapporto col mondo dei segni. Per certi versi, ciò che ti fa sentire giusta un’operazione come quella che faceva Aldo Rossi è che lui era un poeta perché riusciva ad utilizzare il materiale simbolico in modo autentico, facendo un’operazione letteraria, senza usare i procedimenti intellettuali propri dell’architettura. Difatti un progetto di Aldo Rossi è un evento nella città tanto quanto una scultura, come la mano di Cattelan in piazza della Borsa. VS: I vostri progetti di design hanno testimoniato e dato risposta ai cambiamenti delle abitudini di vita delle persone, creando oggetti con funzioni che talvolta prima non esistevano. E’ così anche per le architetture e i progetti a più ampia scala? Notate un cambiamento delle abitudini di uso della città alle quali un architetto dovrebbe cercare di rispondere? PV: Nel progetto di architettura esistono, secondo noi, degli imperativi che determinano una gerarchia di rilevanza dello spazio urbano rispetto a quello che succede dentro le case. Anche perché le nostre architetture tendono a sopravviverci per cui è difficile collegare un episodio urbano alla vita di una persona, è un altro orizzonte temporale. Stiamo cercando di rompere una relazione ovvia tra gli spazi che sono in prossimità delle facciate (mi riferisco alle logge, piuttosto che ai balconi o al modo di aprire una finestra) e il disegno della facciata. Nel disegno dei serramenti, ad esempio, abbiamo lavorato con tecnologie sofisticate con le quali questa soglia può essere controllata, ad esempio la finestra di un bagno non deve necessariamente sembrare tale. Negli impianti urbanistici cerchiamo di privilegiare una vita all’esterno dell’unità abitativa singola orientando gli edifici su uno spazio privato interno e meno sulle strade. La diretta conseguenza è gestire delle facciate principali, che disegnano un paesaggio urbano e hanno un ruolo di decoro urbano, con i retri delle abitazioni. Su questo tema secondo noi abbiamo inventato delle cose che mancavano. AC: L’attenzione al dettaglio che abbiamo avuto per tutti questi anni ora si è proiettata

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which is not just your private space but your street, your piazza, communal things. Things in which we are stakeholders. We come from traditions of cities like Rome and Florence where urban quality was the expression of our civilization and democracy, but all this has been pulverised. The outskirts started growing in the Sixties and Seventies but they have not succeeded in creating a place and the very city centres have gone through a sort of urban decadence. There is no urban planning today and there is a lack of civic and public responsibility. Urbanity has been lost, that which Bohigas calls new urbanity and attributes to the Catalans. I would now like to talk about some projects you are currently working on. Cascina Merlata is an original master plan that goes beyond the rationalist city, with the idea of an architecture that makes a new landscape. The church in L’Aquila is a very expressive and elegant project and the building for Zegna addresses the issue of the transformation of a disused factory into a contemporary, modern, transparent object: from a heavy building envelope to a light one. One has the feeling that each project is a new challenge for you, with different elements, shapes and materials from those you have just used, though maintaining continuity and distinctiveness. Is all this part of the way you work? It’s also a great internal debate! I’m glad you say our work is distinctive, I often think it’s not true. The Bulgari Resort in Bali, for example, is a impersonal project compared to certain values of contemporaneity but it corresponds to a strategic choice of ours to adapt material to a place. It is the place that gives us the direction to take and makes us decide to work with brick rather than with stone. Architecture had a shell and a roof until twenty or thirty years ago, today architecture tends to be an object and there is no interruption between

più sull’esterno. La cultura architettonica italiana, e Milano con essa, non ha portato a una vera cultura urbana. Oggi la Germania, l’Austria, la Svizzera e tanti altri paesi, hanno sviluppato una cultura urbana attenta alla qualità del luogo di vita, che non è il tuo privato ma la tua strada, la tua piazza, la cosa comune. VS: Cosa di cui noi saremmo portatori. AC: Noi veniamo da tradizioni di città come Roma e Firenze dove la qualità urbana era l’espressione della nostra civiltà e della nostra democrazia, ma tutto questo si è polverizzato. A partire dagli anni Sessanta e Settanta si sono formate le periferie che non sono riuscite a creare un luogo e gli stessi centri storici hanno avuto una sorta di decadimento urbano. Oggi non c’è disegno urbano e manca una responsabilità civica e pubblica. PS: Si è persa l’urbanità, quella che Bohigas chiama nuova urbanità e attribuisce ai catalani. Vorrei ora ripercorrere con voi alcuni progetti ai quali state lavorando. Cascina Merlata è un originale masterplan che va oltre la città razionalista, con l’idea di un’architettura che si fa nuovo paesaggio. La Chiesa dell’Aquila è un progetto molto espressivo ed elegante e l’edificio per Zegna affronta il tema della trasformazione di una fabbrica dismessa in un oggetto contemporaneo, moderno, trasparente: da involucro pesante a involucro leggero. Si ha la sensazione che ogni progetto sia per voi una nuova sfida, con elementi, forme e materiali diversi da quelli appena usati, pur mantenendo una linea di continuità e di riconoscibilità. Tutto questo è parte del vostro modo di lavorare? PV: E’ anche un grande discussione interna! AC: Sono contento che dici che il nostro lavoro sia riconoscibile, molte volte penso che non sia vero. Il Bulgari Resort di Bali, per esempio, è un progetto anonimo rispetto a certi valori della contemporaneità ma corrisponde alla nostra scelta strategica di adattare il materiale al luogo. E’ il luogo che ci dà la direzione e ci fa decidere di lavorare col mattone anziché con la pietra. Fino a venti,

walls and roof. Hardly anybody makes a building that doesn’t have any vertical or horizontal exceptions anymore. Despite this evolutionary clarification, when we make a slanting surface we look at the problem of its maintenance. I feel your office has perceived and understood this linguistic change. You have chosen, in very measured way, when to use these themes and when not to. I’m referring to Technogym, on the docks of Marina di Ravenna and to Cascina Merlata. The wave-like roof of the Technogym Village is undoubtedly a landscape project but it also refers to this ambiguity between the roof and the building and the use of a building envelope that establishes a relationship with the territory. The ambiguity between façade and roof has been reworked according to your hallmark. What Maurizio Calvesi said in 1964 when Pop Art came to Italy comes to mind. It was the first time that Pop Art had come to Europe and it was a shock for the art world. One of the observations made by Calvesi, who was discussing this phenomenon with Argan, was linked to how contemporary Italian artists were becoming less distinctive as authors compared to Pop artists because the elegance of contemporary Italian art prevailed over its authoriality. Pop artists were so indifferent to the idea of beauty and their actions were so individualist and so revolutionary that a dimension of the identity of the author emerged that meant that contemporary Italian art was all beauty but all the same. And it was a very interesting observation regarding European culture. We European architects are like this: when we are good, we are virtuosos of the discipline and we succeed in using the tools available to create buildings. Today 3D software or new technology concerning assemblage, new glues, new welding systems or new forms of insulation. Buildings may have a “sculptural/ object” role where needed or, in other contexts, the rule of building in an elegant, contemporary and sophisticated way will be put into practice. To make the landscape of a

trent’anni fa l’architettura aveva un involucro e un tetto, oggi l’architettura tende ad essere un oggetto e non c’è soluzione di continuità tra parete e tetto. Ormai quasi più nessuno realizza un edificio che non abbia delle eccezioni verticali o orizzontali. Nonostante questa chiarezza evolutiva, nel momento in cui realizziamo una superficie inclinata per noi si pone il problema della manutenibilità. VS: Mi sembra che il vostro studio abbia percepito e recepito questo cambiamento linguistico e non ne sia indifferente. In maniera molto misurata avete scelto quando era il momento in cui utilizzare questi temi e quando no. Parlo di Technogym, del molo di Marina di Ravenna e di Cascina Merlata. Nel Technogym Village la copertura ondulata è indubbiamente un progetto di paesaggio ma fa anche riferimento a questa ambiguità tra copertura ed edificio e all’uso di un involucro che si relaziona con il territorio. L’ambiguità tra facciata e tetto è stata rielaborata secondo la vostra cifra. PV: Mi è venuto in mente ciò che disse Maurizio Calvesi nel ‘64 quando la Pop Art sbarcò in Italia. Era la prima volta che la Pop Art arrivava in Europa e fu uno shock per il mondo dell’arte. Una delle osservazioni di Calvesi, che discuteva con Argan di questo fenomeno, era proprio legata a quanto gli artisti contemporanei italiani diventassero poco riconoscibili come autori, confrontati con gli artisti Pop, perché l’eleganza dell’arte contemporanea italiana prevaleva rispetto all’autorialità. Gli artisti pop erano così indifferenti all’idea di bellezza, il loro gesto era così individualista e di rottura, che emergeva una dimensione identitaria dell’autore che faceva si che l’arte italiana contemporanea fosse tutta bella ma tutta uguale. Ed era un’osservazione molto interessante rispetto alla cultura europea. Noi architetti europei siamo così: quando siamo bravi, siamo dei virtuosi della disciplina e riusciamo effettivamente ad utilizzare gli strumenti a disposizione per realizzare un edificio, oggi il computer 3D piuttosto che le nuove tecnologie di assemblaggio, le nuove colle, i nuovi sistemi di saldatura o i nuovi

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details, put you in a position to make some breakthroughs in terms of the perception of a building: they created buildings that seemed normal, then, when you looked more closely, they were not normal at all, you understood the difference in the size of the doors and window frames. This is also the feature that makes Siza stand out, in a minimal language. It is a characteristic feature for a cultured public. In the ambit of design, like that of architecture, there are those who work on expression and those who work on other details. For example this chair (Visavis, for Vitra, 1992) comes from the historic model by Breuer but it has evolved a lot. It is much more comfortable than Breuer’s and is the fruit of a structural invention: there is a rotation about an axis that allows you to adapt the back of the chair and a special type of welding that allows cantilever movement so that the back of the chair is independent from the seat. It is totally different in respect to Breur’s design, we work on the elasticity of materials and the object can be taken to pieces, that is, totally recyclable. street you need an eaves line, while on the end of a dock you can make an object of fibreglass with a light that flashes. This doesn’t mean not being distinctive, but it means taking an approach in which our discipline is a social practice that must be at the service of a series of events and not for our own glory. Some objects become icons even if a distinctive object is not necessarily beautiful, and this brings us back to the discussion about Pop Art. The spectacular nature of important signs in architecture is inevitable because everything that is photogenic becomes an icon. Unfortunately the world of signs may be much stronger than the world linked to evolution. For instance, this lamp (Kelvin led, for Flos, 2010) is extremely innovative, even though I wasn’t interested in trying to be modern or spectacular at all costs when I designed it: I redesigned some details of the arm, which is 12-15 years old, and this is enough for me. The innovation compared to other products

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isolanti. L’edificio avrà un ruolo “sculturale/ oggettuale” dove serve, oppure in altri contesti verrà praticata la regola dell’edilizia in modo elegante, contemporaneo e sofisticato. Per fare il paesaggio di una strada hai bisogno di una linea di gronda, mentre sulla punta del molo puoi fare un oggetto di vetroresina con una luce che lampeggia. Questo non vuol dire non essere riconoscibili, ma significa assumere una filosofia di comportamento in cui la nostra disciplina è una pratica sociale che deve essere al servizio di una storia di eventi e non finalizzata alla nostra gloria. AC: Alcuni oggetti diventano delle icone anche se un oggetto riconoscibile non è necessariamente bello, e ritorniamo al discorso della Pop Art. La spettacolarità del grande segno nell’ambito dell’architettura è inevitabile perché tutto quello che è anche fotogenico diventa un’icona. Purtroppo il mondo dei segni può essere molto più forte del mondo legato alla evoluzione. Questa

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is in the synthesis, in the relationship between the quality and the cost and in the possibility of production. Does this forsaking of sensationalism, which I think is a trait d’union of your office, reveal more complex work? Absolutely. Despite the diversity of signs we use in our projects, they are distinctive because there is our knowledge about how things are built, after 25-35 years of work. We design things in a certain way because that is the way we build them, the relationship between a stone envelope and a glass surface that can be opened is something that is ours, an imperceptible aspect that cannot be seen from a page of a magazine. This comes under the great tradition of contemporary architecture. Many architects have worked in this direction and we are just some of them. Asnago and Vender as well as Terragni did the same. Their constructive ability, down to the design of

lampada (Kelvin led, per Flos, 2010), ad esempio, è estremamente innovativa anche se quando l’ho disegnata non mi interessava cercare di essere moderno o spettacolare a tutti i costi: ho ridisegnato delle piccole parti del braccio, che ha 12-15 anni, e per me questo è sufficiente. L’innovazione rispetto ad altri prodotti sta nel lavoro di sintesi, nel rapporto tra la qualità e il costo e nella possibilità di produzione. VS: Questa rinuncia al sensazionalismo che mi sembra un trait d’union del vostro studio, denuncia un lavoro molto più complesso? PV: Tantissimo. Malgrado la diversificazione dei segni che utilizziamo nei progetti, questi si riconoscono perché c’è un nostro sapere sul come si costruiscono le cose, dopo 2535 anni di lavoro. Disegnamo delle cose in un certo modo perché le costruiamo in quel modo, il rapporto fra un involucro di pietra e la superficie apribile di vetro è una cosa nostra, un aspetto impercettibile che non si

According to the Garzanti dictionary elegance is the “quality of what is refined and attractive but without affectedness.” So sensible and refined. To speak of elegance in architecture is unusual but it comes to mind when thinking about the production of your office. Earlier, I told the story of Calvesi and Argan when, stopping off in a café after having visited the Biennale d’Arte di Venizia in 1964, they said that our artists were too elegant. The word Calvesi used was “elegant” and he was referring to Vedova. A picture by Vedova really is disposed towards beauty, to harmony, to balance and proportions. We have this natural tendency, ours is a predominantly visual culture and our lives as Italians is constantly besieged by anthropic beauty. So I don’t believe one can scoff at the word “elegance.” We have an inclination to give value to beauty and this means that we are not prepared to make an ugly object in the context of an architectural

vede nella pagina di una rivista. AC: Questo rientra nella grande tradizione dell’architettura contemporanea. Tanti architetti hanno lavorato in questa direzione e noi siamo fra quelli. Asnago e Vender, oppure Terragni, facevano la stessa cosa. La loro capacità costruttiva fino al disegno dei dettagli ti metteva in condizione di fare dei salti sulla percezione dell’edificio: realizzavano edifici che sembravano normali, poi andavi a vedere e non erano normali per niente, capivi la differenza sulla dimensione del serramento. PV: Questa cifra contraddistingue anche Siza, in un linguaggio minimale. AC: E’ una riconoscibilità per un pubblico colto. Nell’ambito del design, come dell’architettura, c’è chi lavora sull’espressione e chi lavora su altri dettagli. Per esempio questa sedia (Visavis, per Vitra, 1992) parte dal modello storico di Breuer ma è estremamente evolutiva. E’ molto più comoda di quella di Breuer e nasce da un’invenzione strutturale: c’è una rotazione su un asse, che ti permette di adattare lo schienale sulla schiena, e un certo tipo di saldatura che ti permette di lavorare col sedile a sbalzo, così da rendere indipendente lo schienale dal sedile. E’ un altro mondo rispetto al progetto di Breuer, lavoriamo sulla elasticità dei materiali e l’oggetto è totalmente disassemblabile, cioè riciclabile. VS: Eleganza, secondo il dizionario Garzanti, è la “qualità di ciò che è fine e avvenente ma senza ricercatezza”. Quindi sensibile e raffinato. Parlare di eleganza in architettura è inusuale ma viene spontaneo pensando alla produzione del vostro studio. PV: Raccontavo prima la storia di Calvesi e Argan quando, soffermandosi al bar dopo aver visitato la Biennale d’Arte di Venezia del ’64, commentavano che i nostri artisti erano troppo eleganti. La parola di Calvesi era “eleganti”e si riferiva a Vedova. Effettivamente anche un quadro di Vedova è incline alla bellezza, all’armonia, alla misura e alle proporzioni. Noi abbiamo questa naturale tendenza, la nostra è una cultura fortemente visiva e la nostra vita di Italiani

gesture that may seem appropriate. This is dangerous if we think about Mozart’s famous words about Salieri: Mozart said that in Salieri’s music there were too many right notes and not even one that was wrong. This made it banal and this is what happens. There is that risk, but it doesn’t mean that it will happen. I must say that if we were able to be the bearers of even ordinary beauty we would be really happy, very satisfied with ourselves. We really have no need for masterpieces. Could you tell us how you work? The two of you and with your partners and contributors? I work in a 1:1 scale and there is no detail that is not discussed. Working in a 1:1 scale doesn’t mean designing in 1:1 because it would be antihistorical, but all issues are addressed, from the structure to the layout. We can’t think of an architecture if we don’t know how it is done or what its process is, we go into so much detail because it is our way of doing things. We have been working together for 25 years and we sometimes have a sort of contrast in visions, which is inevitable. And very healthy. As with any form of expression, architecture, with all its rationality, develops a sensibility that slowly becomes your own, at that point it is the mediation about your sensibility that puts you in a position to get to the bottom of an issue. When one of us takes a stand and makes a choice, the other “takes a step back.” It is a principle of coherence because when you realise that the other has an idea that is going in a certain direction you can only support that and then it is difficult to contribute. We are talking about tiny things, details that are not even perceivable to a normal user, mere ultrasound. Is there an object or a building that represents you at this very moment?

è costantemente assediata da una bellezza antropica. Quindi non credo che ci si possa schernire dietro la parola “eleganza”. Noi abbiamo un’inclinazione a dare valore alla bellezza e ciò vuol dire che non siamo disposti a fare un brutto oggetto in ragione di un gesto architettonico che può sembrare appropriato. Il che è pericoloso se pensiamo al famoso detto su Salieri e Mozart: Mozart diceva che nella musica di Salieri c’erano troppe note giuste e neanche una sbagliata. Ciò la rendeva banale ed è così che accade. VS: C’è il rischio, ma non è detto che debba accadere. PV: Devo dire che se fossimo capaci di essere i portatori di una bellezza anche ordinaria, saremmo contentissimi, molto soddisfatti di noi stessi. Non abbiamo assolutamente bisogno del capolavoro. PS: Ecco, ci dite come lavorate, voi due e con i vostri partner e collaboratori? AC: Io lavoro in scala 1:1 e non c’è dettaglio che non sia discusso. Lavorare in scala 1:1 non vuol dire disegnare in 1:1 perché sarebbe antistorico, ma qualsiasi argomento è trattato, dalla struttura all’impianto. Non riusciamo a pensare un’architettura se non sappiamo come si fa o qual è il suo processo, entriamo così tanto nel dettaglio perché è un nostro modo di vedere. Lavoriamo insieme da 25 anni e alcune volte viviamo una sorta di contrasto di visioni, che sono inevitabili. PV: E molto sane. AC: Come qualsiasi forma di espressione l’architettura, con tutta la sua razionalità, si sviluppa su una sensibilità che poi diventa la tua, a quel punto è la speculazione sulla tua sensibilità che ti mette in condizione di portare avanti fino in fondo un argomento. Nel momento in cui uno di noi prende una posizione e fa una scelta, l’altro “si ritira”. PV: E’ un principio di coerenza perché quando capisci che l’altro ha un’idea che va in una certa direzione, non puoi che approvare e poi è difficile contribuire. Stiamo parlando di cose millimetriche, di distanze che a un utente normale non sono neanche percepibili, sono ultrasuoni.

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Something in which you find a sort of manifesto of your work. I would choose three to describe three very different areas. For a public building, an isolated one and therefore with its own morphological autonomy, the company day nursery in Verona. A residential building that mirrors what we have said about interiors, the hierarchy of relationships, the role of the inhabitant, the relationship between city and landscape, would be via Salaino 10 in Milan. However, a project that expresses sophisticated technical research in an extremely closely-controlled design is the Zegna group headquarters in Milan. This lamp (Kelvin led by Flos) could be a manifesto. Perhaps a manifesto is also my way of working and succeeding in putting things together. Design is a job that includes many complexities and disciplines and you have to earn respect from all these disciplines. Is this not true of architecture as well as design? It is much easier to reach this awareness in design, there are relationships that have lasted for years and all the people involved try to work for innovation that has to be successful. This sort of contribution is not as evident in the world of architecture because, at a certain point, there is a sort of conflict of interests between those who project and those who have to sell. On the other hand, the way of designing and thinking about the construction of industrial products influences the quality-price ratio and the level of success you may or may not have. The thing I like most as a designer is when I succeed in building relationships with the people with whom I work. The best thing about design is the continuous experimentation and the work on mechanisms: they are stories of continuous experimenting of prototypes. Cities tend to lose a precise connotation of identity but we have an increasing need of landscapes and places in which to identify ourselves. How are you addressing this need today? What might the role of the

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PS: C’è un oggetto o un edificio che in questo momento vi rappresenta? Qualcosa in cui trovate una specie di forma manifesto del vostro lavoro. PV: Ne sceglierei tre per rettificare tre ambiti molto diversi. Per un edificio pubblico, isolato e quindi con una sua autonomia morfologica, l’asilo aziendale di Verona. Un edificio residenziale che rispecchia quello che abbiamo detto sull’interno, la gerarchia dei rapporti, il ruolo dell’abitante, il rapporto tra città e paesaggio, è via Salaino 10 a Milano. Invece un progetto che esprime una sofisticata ricerca tecnica in un disegno estremamente controllato è la sede del gruppo Zegna a Milano. AC: Questa lampada (Kelvin led di Flos) potrebbe essere un manifesto. Forse un manifesto è anche il mio modo di lavorare e di riuscire a mettere insieme le cose. Fare il design è un lavoro di tante complessità e discipline e devi guadagnarti il rispetto da tutte queste discipline. VS: Questo non vale solo per il design ma anche per l’architettura? AC: Nel design è molto più facile arrivare a questa consapevolezza, ci sono rapporti che durano degli anni e tutte le persone coinvolte cercano di lavorare per un’innovazione che deve avere successo. Nel mondo dell’architettura questa sorta di collaborazione non è così evidente perché a un certo punto c’è quasi un conflitto di interessi tra chi progetta e chi deve vendere. Nel prodotto industriale, invece, influisce molto il modo di progettare e di pensare la costruzione, il rapporto qualità-prezzo e il successo che puoi avere o meno. Come designer la cosa a cui sono più affezionato è quando riesco a stabilire dei rapporti con le persone con cui lavoro. La parte più bella che ha il design è la sperimentazione continua e il lavoro sui meccanismi: sono storie di continui esperimenti di prototipi. VS: Le città tendono a perdere una precisa connotazione identitaria ma abbiamo sempre più bisogno di paesaggi e luoghi in cui riconoscerci. Come affrontate oggi

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project of architecture in regard to the sense of urbanity be? A sort of distance now exists between the world of communication, understood as movement, and the world of living styles and the activity of being, between fast life and slow life. We are so used to being swept along by the sequence of events at a rhythm that is difficult to measure that, when we are in one place, when we work or we communicate with others - as we are doing here today - we are immersed in an omnicomprehensive dimension of slowness. Hence there is no longer the home, work, family or church; slow life and fast life coexist. Fast life is that in which there is bustling movement, internet and e-mails. Slow life is that which allows you to look at the world in which you live, to talk to people, to interact at a human level, to walk, to eat, to read and so on. I believe that the recognisability of spaces and the success of architecture come from this transversal dimension of the relationship with time that may or may not produce a sense of affiliation with these spaces. If we talk about a place you are actually physically in and where events happen that you perceive as your own, that place belongs to you, be it at work, in a piazza or café, at home or at church. If the dimension of the relationship with time is immaterial no place belongs to you, the Internet is a place where you don’t recognize yourself. The concept of place was acquired by our tradition, therefore it was not so important to confirm it in architecture. We are today surrounded by ‘non-places’ so that creating living places has again become a central issue in architecture. It is a necessity. However, projects linked to strong expressions may not necessarily succeed in creating a place. The project for the docks of Marina di Ravenna is emblematic for the ambiguity in the treatment of a single surface that can be sat on or crossed, horizontally or vertically. It refers to well-

questa esigenza? Quale può essere il ruolo del progetto di architettura rispetto al senso di urbanità? PV: Esiste una sorta di distanza ormai tra il mondo della comunicazione, inteso anche come spostamento, e il mondo dell’abitare e dello stare, tra la vita veloce e la vita lenta. Siamo così abituati a essere travolti dal succedersi degli eventi in tempi difficilmente misurabili che, quando siamo in un luogo, quando lavoriamo o comunichiamo con gli altri -come noi qui oggi- siamo immersi in una dimensione onnicomprensiva della lentezza. Per cui non c’è più casa, lavoro, famiglia o chiesa, coesistono la vita lenta e la vita veloce. La vita veloce è quella dell’apnea dello spostamento, di internet e della e-mail. La vita lenta è quella che ti consente di percepire il mondo nel quale vivi, di parlare con le persone, di interagire a livello umano, di camminare, mangiare, leggere e così via. Credo che la riconoscibilità degli spazi e il successo dell’architettura vengano da questa dimensione trasversale del rapporto col tempo che produce o meno un senso di appartenenza di quegli spazi. Se si tratta di un luogo dove sei fisicamente e dove accadono eventi che percepisci come tuoi, quel luogo ti appartiene sia esso lavoro, piazza, bar, casa o chiesa. Se la dimensione del rapporto col tempo è immateriale nessun luogo ti appartiene, la rete è un luogo dove non ti riconosci. AC: Il concetto di luogo era acquisito nella nostra tradizione, pertanto non era così importante ribadirlo in architettura. Oggi siamo circondati da ‘nonluoghi’ cosicchè creare luoghi di vita è ritornato ad essere un tema centrale in architettura. PV: E’ un bisogno. AC: Non è detto però che progetti legati alla forte espressione riescano sempre a creare un luogo. VS: Il progetto per il molo di Marina di Ravenna è emblematico per l’ambiguità nel trattamento di una unica superficie che può essere seduta o percorso, orizzontale o verticale. Fa riferimento ad esempi noti come il Terminal portuale di Yokohama dei FOA, sia

known examples like the Yokohama Port Terminal by FOAs, both in terms of its use of materials and the handling of the ground. Yes indeed, initially that project was only made up of the wooden dunes and the cochlea-shaped terminal. Then, after having won the competition, it was inevitably enhanced with other facilities. It was a real opportunity: a 1-kilometre-long dock, in disuse, in an extraordinary position. A promenade leading nowhere. In your projects of private villas one perceives an atmosphere that I would define as Mediterranean, also with a reference to the Portuguese school of Siza and Souto de Moura. The wall is the generative element of a simple, but at the same time, complex space in terms of the relationship with the views created by the cuts in it and its transparency. It is clear that together with Souto de Moura, Siza and other Portuguese and Spanish architects we all have a common reference point which is Mediterranean architecture. We are similar in that respect: we are Mediterranean and the Mediterranean is heaven on earth for us. Mediterranean architecture has the 6x6 module of a self-bearing wall that is one or, at the most, two storeys high, which can do everything and is a generative module of the internal space in antithesis with nature. It is so solid, intense, indivisible as a generative element of a project that we can see it again and again in a lot of architecture that has links to the sea. Its ability to relate to the territory by “multiplication”; placing them side by side creates architecture styles that range from nuraghe to Medina and that of Greek villages. What we introduce with the language of our projects is the rationalist vision of architectural scenography: starting from this primigenial nucleus, we reason about the wall that is no longer a design on a plan but a backdrop and scenography, a cut or a scene, a perspective sequence. At that point, do the cuts and transversal views that run through the

nell’uso dei materiali sia nella manipolazione del suolo. PV: Infatti, inizialmente quel progetto era fatto solo dalle dune di legno e dalla coclea terminale. Poi, dopo aver vinto il concorso, si è inevitabilmente arricchito di attrezzature. Era veramente una opportunità: un molo lungo 1 km, inutilizzato, in una posizione straordinaria. Una promenade verso il nulla. VS: Nei vostri progetti di ville private si percepisce un’atmosfera che definirei mediterranea, con riferimento anche alla scuola portoghese di Siza e Souto de Moura. Il muro è l’elemento generatore di uno spazio semplice ma al tempo stesso complesso nel rapporto con le visuali create dai tagli e dalle trasparenze. PV: E’ chiaro che insieme a Souto de Moura, Siza e altri architetti portoghesi e spagnoli, tutti abbiamo un comune riferimento che è l’architettura mediterranea. Ci assomigliamo per quello, siamo mediterranei e il mediterraneo per noi è il paradiso terrestre. L’architettura mediterranea ha il modulo 6x6 di muro, alto un piano massimo due, che si porta da solo, che fa tutto ed è una cellula generatrice dello spazio interno in antitesi con la natura. E’ talmente solido, intenso, indivisibile come elemento generativo del progetto, che lo si ritrova in maniera riconoscibile in moltissima architettura legata al mare. La sua capacità di relazionarsi col territorio per “moltiplicazione”, affiancandone uno all’altro, crea architetture che vanno dal nuraghe alla medina, al villaggio greco. Quello che noi introduciamo con il linguaggio dei nostri progetti è la visione razionalista della scenografia architettonica: partendo da questo nucleo primigenio, ragioniamo sul muro che non è più un disegno in pianta ma è un fondale e una scenografia, un taglio o una quinta, una sequenza prospettica. VS: A quel punto i tagli e le viste trasversali che attraversano l’intero edificio hanno un ruolo? PV: Assolutamente si. Per disegnare il muro che contiene il cortiletto degli agrumi di fianco alla casa di Villa Simius abbiamo speso un

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whole building have a role? Absolutely. It took us an entire weekend to design the wall that contains the small courtyard of citrus trees next to the house of Villa Simius. Antonio and I were there, in contemplation about the sunrise or the sunset, having the workers on the site place some wooden rods to establish heights, lengths or edges; go over there, come over here, if I am here what happens, in the morning, in the evening. It is a way of doing architecture that gives you the luxury of “tailoring”, so you are near to the body, the materials, the places and you spend time that is not time spent for reasoning but for perception. This is part of your vision of the job of an architect as a passion. You have said that design and architecture are predominantly poetic acts. You have to feel it. Sustainability seems to have become the new contemporary paradigm. Do you agree? We need to leave this Italian auroral phase regarding the respect of the environment. Sooner or later we will all come to realise that sustainability is not mere conjecture but a matter of fact and we have always known this. Techniques regarding the control of energy consumption are details in comparison to the environmental problem in all its complexity. We believe sustainability is a bigger concept than only the problem of the impact of consumption and recyclability. Each project consumes irreplaceable and irreproducible resources like territory, time, intelligence, the goodwill of an investor or a commercial opportunity. Dedicating our energies to the redevelopment, substitution or renovation of buildings, we have always tried to make a virtuous project because it can generate a process that improves over time. There must be a sort of state-of-theart way of living that allows a building to be used correctly, without producing uncivilised parking or poor refuse management and to be orderly in the day-to-day relationships

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weekend, Antonio e io lì, in contemplazione del sorgere del sole piuttosto che del tramonto, facendo mettere delle bacchette di legno agli operai del cantiere, per stabilire altezze, lunghezze o spigoli; mettiti di là, mettiti di qua, se sto qui cosa succede, la mattina, la sera. E’ un modo di fare architettura che ti riporta ai lussi della “sartorialità”, per cui stai vicinissimo al corpo, ai materiali, ai luoghi e spendi del tempo che non è un tempo di ragionamento ma un tempo di percezione. VS: Questo fa parte di questa vostra visione del lavoro dell’architetto come passione. Avete dichiarato che il design e l’architettura sono un fatto prevalentemente poetico. PV: Lo devi sentire. PS: La sostenibilità sembra diventata il nuovo paradigma contemporaneo. Siete d’accordo? PV: Bisogna uscire da questa fase aurorale italiana nei confronti del rispetto dell’ambiente. Prima o poi diventeremo tutti grandi e capiremo che la sostenibilità non è un argomento ma è un dato di fatto e noi lo sappiamo da sempre. Le tecniche relative al controllo del consumo di energia sono un argomento molto di dettaglio rispetto al problema ambientale nel suo complesso. Per noi la sostenibilità è un concetto più vasto che non il problema dell’impatto del consumo e la ciclabilità dei percorsi. Ogni progetto consuma risorse insostituibili e irriproducibili come il territorio, il tempo, l’intelligenza, la buona volontà di un investitore piuttosto che un’occasione economica. Dedicandoci al recupero di edifici, alla sostituzione o alle ristrutturazioni, abbiamo sempre cercato di fare un progetto virtuoso perché in grado di generare un processo che migliora nel tempo. Ci deve essere una sorta di regola d’arte del vivere che rende un edificio utilizzabile in modo corretto, senza generare parcheggio selvaggio o una cattiva gestione dei rifiuti ed essendo ordinato nei suoi rapporti di quotidianità col sistema. Un edificio sostenibile è un edificio che può cambiare ed evolvere nel tempo e che ha una configurazione con dei principi generativi flessibili, ad esempio spostare il filo della

with the system. A sustainable building is a building that can change and evolve over time and that has a configuration with flexible generative principles, for instance moving the line of the façade, generating loggias or making more vertical accesses, finding settlement principles that give you a multiplicity of uses, in both the decisional process and, then, in the life of that fragment of a city. It has always been like this and it would be better if you could build something that could change rather than something that has to be demolished. Cities like Milan, which is weak because it doesn’t have places that represent it in a scenographic way, are better where they are old. To find a principle of duration in architecture is another element of sustainability, especially for important interventions of transformation.

facciata, generare logge o fare più punti di risalita, trovare un principio insediativo che ti consenta la molteplicità degli usi, sia nel processo decisionale che poi nella vita di quel frammento di città. E’ sempre successo così ed è meglio se si riesce a costruire qualcosa capace di cambiare senza essere per forza demolito. Città come Milano, debole perché non ha luoghi che la rappresentano in modo scenografico, sono meglio là dove sono vecchie. Trovare un principio di durata nell’architettura è un altro elemento di sostenibilità, soprattutto per i grandi interventi di trasformazione.

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