Orizzonti dell'uomo

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Orizzonti dell’uomo Un manuale che aiuta a studiare la storia, presentando con un linguaggio semplice eventi e problemi, con forte attenzione alla storia sociale, materiale, delle mentalità. Un manuale con percorsi visivi, che facilitano il coinvolgimento e la motivazione degli studenti, e con una didattica costruita su competenze e abilità di base. Un manuale attento alla storia settoriale, come previsto dai nuovi programmi.

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Attraverso una scelta di schede illustrate il Dossier prova a indagare particolari aspetti della storia medievale e moderna. Le schede vengono presentate secondo un criterio di successione cronologica e sono organizzate in cinque aree di approfondimento:

Schede di storia settoriale TECNOLOGIA

1 Le nuove tecnologie agricole

p. 328

TECNOLOGIA

2 Acqua e vento, le fonti di energia del mondo antico

p. 330

TECNOLOGIA

3 La costruzione delle cattedrali

p. 332

TECNOLOGIA

4 Tempo della natura e tempo degli orologi

p. 334

TECNOLOGIA

Alimentazione e moda

5 Con Brunelleschi e Leonardo da Vinci nasce la meccanica

p. 336

TECNOLOGIA

6 Un nuovo modo di fare la guerra: la polvere da sparo

p. 338

TECNOLOGIA

7 La bussola e i velieri favoriscono i grandi viaggi per mare

p. 340

TECNOLOGIA

Economia

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8 La nascita della moderna cartografia

p. 342


TECNOLOGIA   9 Gutenberg e l’invenzione della stampa

p. 344

Medicina

ALIMENTAZIONE E MODA

10 Firenze influenza la moda europea

p. 346

SOCIETÀ E CULTURA

11 La nascita e l’affermazione delle università

p. 348

ECONOMIA

12 La globalizzazione

ai tempi di Marco Polo

p. 350

ECONOMIA

13 Le corporazioni:

le prime associazioni professionali

p. 352

Società e cultura

ECONOMIA

14 La Firenze di Dante, centro della finanza europea

p. 354

MEDICINA

15  Epidemie e ospedali nel Basso Medioevo

p. 356

Tecnologia

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TECNOLOGIA

Le nuove tecnologie agricole Tra i fenomeni che segnarono il passaggio dal mondo antico all’Età medievale vi furono i sostanziali cambiamenti del settore agricolo, che incisero soprattutto sulla rotazione dei raccolti e sulla razionalizzazione delle culture. Il processo che caratterizzò la trasformazione delle campagne e che vide l’origine della rotazione continua, l’invenzione dell’aratro a coltro, l’impiego del bue e del cavallo, l’uso dell’erpice, la coltivazione dell’avena, il nascere delle pratiche per la disinfestazione dei campi dalle erbacce fu tutt’altro che lineare e univoco.

Scene di lavoro nei campi in una miniatura quattrocentesca di area lombarda.

Tra il Mille e il Trecento una significativa crescita demografica della popolazione europea e la contemporanea abolizione della servitù della gleba resero disponibili migliaia di contadini per la messa in coltura di nuove terre: si trattò di un fenomeno assai significativo che gli storici hanno definito «riconquista delle terre incolte», sino a quel momento coperte da boschi e paludi. Tale congiuntura favorevole fu accompagnata dall’invenzione di nuovi strumenti che migliorarono le tecniche agricole, accrescendo la rendita dei terreni: importante fu indubbiamente l’introduzione dell’aratro a ruote consistente in un coltro per fendere il terreno e in un versoio per rivoltarlo. Si trattava di parti metalliche sempre più sofisticate che penetravano profondamente anche nei terreni più duri. La sua origine precisa è oscura, ma probabilmente provenne dal Nord Europa, dove rese possibile la coltivazione dei terreni ricchi e pesanti lungo le rive dei fiumi che sino a quel momento erano di difficile drenaggio. Tracciando solchi 328

più profondi si eliminava anche la necessità di procedere all’aratura «incrociata», che prevedeva una seconda serie di solchi intersecanti ad angolo retto quelli della prima serie. Invece, il nuovo aratro diede inizio al tipico sistema, in uso ancora oggi, della coltivazione a strisce. L’invenzione del collare imbottito e del giogo, ovvero un attrezzo in legno con accessori in metallo e in cuoio che veniva applicato alla parte anteriore del corpo degli animali da traino, consentì di aumentare la forza di trazione evitando che i buoi o i cavalli si ferissero o addirittura si strangolassero mentre trascinavano i pesanti aratri. Nello stesso periodo vennero inventati i ferri con cui ferrare gli zoccoli dei cavalli così da utilizzarli anche su terreni sassosi e pietrosi senza rischiare che si ferissero. Un’altra innovazione fondamentale nel settore agricolo fu la razionalizzazione dello sfruttamento dei terreni, chiamata «rotazione triennale delle colture», che rappresentò la prima grande svolta dopo la rivoluzione agricola del Neolitico.


L’agricoltura antica era gravemente limitata dalla mancanza di fertilizzanti, quindi dopo il raccolto estivo dei cereali un contadino non poteva seminare subito il campo, ma doveva attendere mesi prima che le zolle tornassero fertili. A tale inconveniente si ovviava dividendo il campo in due metà che venivano coltivate ad anni alterni con un sistema detto «rotazione biennale». Quella «triennale» invece permise di dividere il terreno in tre parti: nella prima si seminavano in autunno frumento e segale; nella seconda si seminavano in primavera piselli, fave, orzo e avena, mentre la terza veniva lasciata a maggese, cioè a riposo.

Miniatura che illustra alcune tra le principali invenzioni agricole che si diffusero in Europa dopo il Mille.

Contadini nella pausa di mezzogiorno in un dipinto di Bruegel il Vecchio (1565).

L’anno successivo si ruotava e ciò consentiva di rigenerare il terreno in tempi più brevi, usando una superficie produttiva pari a due terzi e non alla metà del campo e soprattutto di diversificare la produzione, offrendo la possibilità di attenuare i rischi di un eventuale cattivo raccolto. Tali migliorie restarono in uso sino al XIX secolo quando comparvero prima aratri di ferro, poi altri di acciaio che vennero inventati dal fabbro statunitense John Deere. Nella seconda metà dell’Ottocento comparvero i primi trattori a vapore che nel giro di qualche decennio sostituirono le bestie da traino.

Un’incisione del XVIII sec. che raffigura diversi lavori agricoli.

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TECNOLOGIA

Con Brunelleschi e Leonardo da Vinci nasce la meccanica Firenze sotto la dinastia dei Medici (1430-1737) divenne l’indiscussa capitale della cultura europea: qui nacquero la grande poesia con Dante, la narrativa con Boccaccio, l’erudizione con Petrarca e la grande pittura con Cimabue e Giotto. Questo clima culturale vivace favorì anche la rinascita delle arti della meccanica, grazie a Filippo Brunelleschi e Leonardo da Vinci, un architetto e un ingegnere, che anticiparono la «rivoluzione scientifica» del Cinquecento. Appassionato di cesellatura, da ragazzo Brunelleschi cominciò a lavorare come orafo; in seguito affinò la sua fantasia e le sue capacità manuali nella realizzazione di grandi orologi per le torri civiche, poi si dedicò alla progettazione e realizzazione di alcuni tra i più celebri palazzi nobiliari fiorentini. Fu una figura poliedrica: ingegnere idraulico e civile, costruttore di fortificazioni militari, scultore e incisore, ma soprattutto architetto. Con lui nacque la figura dell’architetto moderno che partecipa a tutte le fasi della costruzione di un edificio, dal progetto ai processi tecnico-operativi di messa in opera. Brunelleschi considerava fondamentale lo studio della matematica e della geometria che gli permettevano di calcolare in maniera precisa le proporzioni degli edifici: questa passione per il calcolo, unita alla conoscenza di nozioni di ottica, lo spinse a ideare la prospettiva «a punto unico di fuga» (o «geometrica lineare») che fu l’elemento caratterizzante e innovativo delle rappresentazioni artistiche del Rinascimento. Il suo capolavoro fu la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore (1420-1436), il duomo di Firenze, che era diventata un autentico rompicapo per gli ingegneri, visto che i committenti la volevano alta e grandiosa così che sovrastasse tutti gli altri edifici della città. Brunelleschi si ispirò al funzionamento degli orologi, progettando 24 supporti che come una griglia di meridiani e paralleli avrebbero sostenuto la cupola. Sempre rifacendosi agli ingranaggi degli orologi inventò impalcature e ponteggi aerei per

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Ludovico Cigoli, Prospetto della cupola di Santa Maria del Fiore, disegno della seconda metà del XVI sec.; la cupola del Brunelleschi domina ancora oggi il profilo della città di Firenze.


gli operai e gru per tirare su il materiale, sostenuti da carrucole e da un sistema di moltiplicatori, simili a quelli usati nella fabbricazione degli orologi. Per trasportare lungo l’Arno i blocchi di marmo e i mattoni, brevettò un’imbarcazione con propulsione ad eliche mosse da aria e acqua. A Firenze nel 1470 giunse anche Leonardo Da Vinci che era stato mandato dal padre a far pratica nella bottega del pittore Andrea del Verrocchio. Dotato di un grande talento per la pittura, egli si mise in luce prima nella corte medicea di Lorenzo il Magnifico, poi in quella di Ludovico il Moro, duca di Milano, dipingendo capolavori quali La Vergine delle rocce, La dama con l’ermellino e L’ultima cena. Tornato a Firenze dipinse il ritratto della giovane moglie di Francesco del Giocondo, la Gioconda, poi si trasferì in Francia alla corte di Francesco I. Leonardo non fu solo pittore, ma anche scultore, disegnatore, architetto, ingegnere e inventore. Con incredibile anticipo sui tempi progettò macchine che vennero poi realizzate soltanto tra Otto e Novecento, come l’elicottero, che lui aveva battezzato «vite aerea», il «carro sicuro» che sarebbe diventato il carro armato, il paracadute che ideò osservando l’anatomia degli uccelli e studiando la resistenza dell’aria e la caduta dei gravi. Progettò il sistema dei navigli di Milano, disegnò il prototipo di un’automobile a molla e quello di un telaio meccanico che di recente è stato ricostruito dal Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano; ma è nell’invenzione di fortificazioni, armi e marchingegni bellici che Leonardo dimostrò la sua vasta arte. Sia lui che Brunelleschi compirono grandi sforzi

per conoscere e capire: comperavano e leggevano molti libri, studiavano, facevano calcoli matematici e disegnavano progetti. Con loro gli scienziati e gli architetti cessarono di essere solo dei teorici, per diventare anche degli esperti di meccanica e di nuove tecnologie.

Un disegno di Leonardo da Vinci che raffigura la fabbricazione dei cannoni.

Disegni di Leonardo da Vinci per macchine belliche, 1503

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ALIMENTAZIONE E MODA

L’alimentazione tra Sette e Ottocento Dopo la fase delle tre rivoluzioni – agraria, industriale e demografica – iniziata nel XVIII secolo, le condizioni di vita della popolazione europea migliorarono notevolmente grazie soprattutto alla nuova disponibilità di risorse alimentari, resa possibile dalle innovazioni tecnologiche e dalle migliorie apportate alle attività agricole. I prodotti agricoli importati dalle Americhe, come il mais e la patata, si diffusero rapidamente modificando in maniera profonda il regime alimentare degli europei: si trattava di cibi «poveri», poco costosi e di gran rendita, che potevano sfamare un numero crescente di consumatori. Inoltre, grazie alle scoperte in campo chimico che consentirono una miglior conservazione dei prodotti alimentari, anche i ceti medio-bassi poterono iniziare a consumare carne e verdura, riducendo la distanza, sino a quel momento notevole, tra la dieta dei ricchi e quella dei poveri. Inizialmente si cercò di utilizzare le patate per fare il pane, salvo poi consumarle bollite; invece nel Nord Italia venne inventato un modo diverso per impiegare in cucina il mais: esso veniva macinato e consumato sotto

P. Longhi, La polenta, 1740, Venezia, Ca’ Rezzonico.

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forma di polenta, del tutto sconosciuta alle popolazioni dell’America centrale e meridionale. Questi nuovi cibi consentirono a migliaia di persone di placare i morsi della fame, contribuendo così ad attenuare le conseguenze più devastanti delle carestie; tuttavia causarono la diffusione della pellagra, una malattia dovuta alla carenza di vitamine B che procurava la desquamazione della pelle, gravi problemi intestinali e persino forti disturbi neurologici. Nel corso del Settecento la carne continuò comunque ad essere considerata un prodotto di lusso, destinata quasi esclusivamente ai banchetti di corte o alle tavole dei nobili, gli unici che avevano il tempo di dedicarsi alla caccia non più considerata come una necessità, ma ormai sempre più vista come un hobby o una pratica «sportiva» per pochi. La situazione cambiò nel XIX secolo per due motivi sostanziali: innanzitutto perché i progressi della zootecnia (la disciplina che si occupa dell’allevamento degli animali domestici) resero possi-

E. Bird, Il ritorno di Mr Rickett dalla caccia, Bristol, Bristol City Museum and Art Gallery.


C. Pittara, Ritorno alla stalla, 1866, Torino, GAM.

bile una miglior selezione dei capi di bestiame; in secondo luogo perché il progresso tecnologico nei metodi di conservazione e trasporto della carne consentirono di allargare il mercato. Fondamentale per l’industria alimentare risultò lo sviluppo della chimica: il biologo e chimico francese Louis Pasteur, scopritore del vaccino contro la rabbia e considerato il fondatore della moderna microbiologia, svelò le cause del processo di fermentazione di molte sostanze e mise a punto un procedimento per conservare prodotti alimentari (come il latte) che, dal suo nome, fu chiamato pastorizzazione. Sino al XIX secolo i cibi venivano tenuti nelle «conserve» cioè in pozzi o costruzioni sotterranee dove si raccoglievano il ghiaccio e la neve durante l’inverno. Nel 1851 James Harrison, un tipografo scozzese emigrato in Australia, per caso scoprì le qualità refrigeratrici dell’etere, un liquido, se portato allo stato gassoso. Ideò quindi un sistema per refrigerare la birra e trent’anni dopo sperimentò una rudimentale cella frigorifera per trasportare via nave dall’Australia a Londra 40 tonnellate di carne di manzo. La sua invenzione venne sfruttata da alcune industrie alimentari statunitensi che iniziarono a mettere la carne in scatole di latta a chiusura ermetica. Grazie a questi sistemi diverse aziende agricole italiane avviarono l’esportazione di pesche sciroppate, pomodori, fagioli e piselli in scatola. Ormai anche i cibi più deperibili potevano essere trasportati a grande distanza dai luoghi di produzione; ciò significò l’apertura di nuovi mercati, la crescita esponenziale dei guadagni degli imprenditori, oltre a una maggior varietà di alimentazione, visto che frutta e verdura mediterranee arrivarono sulle tavole dei paesi del Nord Europa.

Girarrosto settecentesco.

Dipinto che raffigura Louis Pasteur durante un esperimento nel suo laboratorio.

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TECNOLOGIA

La macchina a vapore di Watt La macchina a vapore inventata nel 1765 dall’ingegnere scozzese James Watt rappresentò il fattore principale di quello sconvolgimento radicale, dal punto di vista sociale, economico e tecnologico, che è stato chiamato «Rivoluzione industriale».

Miniera di carbone a cielo aperto in Gran Bretagna, 1790 circa, Liverpool, Walker Art Gallery. È visibile la pompa a vapore inventata da Thomas Newcomen.

Il primo macchinario che sfruttava l’energia del vapore venne costruito nel I secolo a.C. da Erone di Alessandria: si trattava di un recipiente di acqua che, portata all’ebollizione, muoveva una rudimentale turbina. Tale invenzione restò a livello di prototipo, dato che nel mondo antico l’energia più impiegata era la forza-lavoro umana, e si dovette attendere la «Rivoluzione scientifica», con Galileo Galilei, perché fosse ripreso lo studio dell’energia del vapore. Nel Seicento in Inghilterra si verificò una forte crisi energetica causata dall’eccessivo consumo di legna come combustibile e per le costruzioni. Di conseguenza il progressivo disboscamento spinse gli inglesi a scavare nelle visce340

re della Terra per estrarre un altro combustibile, il carbon fossile. Più le miniere scendevano in profondità più diventava urgente risolvere il problema delle infiltrazioni d’acqua nelle gallerie. Nello stesso tempo il settore agricolo, sfruttato in maniera sempre più intensiva, necessitava di strumenti per irrigare i campi. Lo studio per risolvere tali problemi appassionò scienziati e ingegneri, come il francese Denis Papin che progettò una pompa a vapore e inventò pure la pentola a pressione, o l’inglese Thomas Savery il quale sperimentò un sistema che sfruttava alternativamente la pressione del vapore e la depressione provocata dalla sua condensazione per aspirare l’acqua


Macchina a vapore atmosferica di T. Newcomen, incisione del 1727.

La macchina a vapore di J. Watt.

dalle gallerie. Partendo dalla macchina di Savery, società inglese: una sola macchina infatti era più Thomas Newcomen ideò la pompa atmosferica veloce e potente di un mulino e poteva far muoveche però consumava ancora troppo carbone; per re contemporaneamente decine di telai. Nel 1801 evitare tale inconveniente James Watt, un tecnico il motore di Watt venne applicato a una barca, la del laboratorio dell’Università di Londra, si mise a Charlotte Dundas, fatta costruire da lord Dundas e studiare il marchingegno e dopo svariati esperida lui dedicata alla moglie, che in tal modo poteva menti nel 1765 riuscì a realizzare un condensatore trasportare chiatte cariche di carbone lungo il caseparato, per eliminare il gioco della pressione e nale tra Forth e Clyde, in Scozia. Nel giro di pochi sfruttare direttamente l’energia di espansione del decenni i piroscafi a vapore soppiantarono le navi vapore. Per questi studi e innovazioni Watt viene a vela, utilizzando come propulsori grosse ruote a considerato il creatore della prima macchina a pale. Nel 1843 questo continuo processo di svilupvapore, dato che il suo brevetto diede avvio alla po ebbe un’ulteriore svolta con il varo della Grevera e propria «era del vapore», che coincise con at Britain, la prima nave costruita interamente in la prima Rivoluzione industriale. Nel 1768 Watt riferro, che poteva trasportare 4000 passeggeri: una uscì a vendere un esemplare della sua macchina vera rivoluzione per il settore dei trasporti. che servì a muovere i mantici di una fonderia di ghisa; un altro venne invece installato in una miniera della Cornovaglia. Negli anni a seguire l’ingegnere scozzese migliorò la sua invenzione, applicandovi stantuffi, rubinetti e valvole, e rendendolo così applicabile a tutte le macchine impiegate nelle industrie del periodo: non solo quindi miniere, ma anche stabilimenti tessili, cartiere e industrie siderurgiche, dove il vapore serviva a soffiare grandi quantità di aria negli altiforni per raggiungere le alte temperature necessarie alla fusione del composto ferroso estratto dalle miniere per ottenere ghisa e acciaio. L’applicazione della macchina a vapore si estese in breve tempo a macchia Officina per la costruzione di macchine a vapore di Boulton e Watt a Soho, 1790 circa. d’olio, trasformando l’economia e la

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ECONOMIA

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Le città industriali e i villaggi operai A partire dal Settecento la fisionomia delle principali città europee iniziò a cambiare come conseguenza del nuovo ruolo che esse stavano acquistando. Sotto il profilo dello sviluppo urbanistico, fino ad allora i centri abitati avevano mantenuto un forte legame di continuità con il passato medievale, ma le industrie modificarono radicalmente i comportamenti e soprattutto i paesaggi. Ancora nella prima metà del XVIII secolo l’ambiente cittadino rappresentava per la maggior parte della popolazione europea l’eccezione, non la regola: in città viveva appena il 10% della popolazione totale, rappresentato soprattutto da impiegati delle amministrazioni, mentre i nobili e i sovrani risiedevano nelle loro tenute di campagna. Le cose iniziarono a cambiare con il progressivo insediamento delle principali attività produttive nel tessuto urbano: la conseguente emigrazione in città di contadini e braccianti destinati a diventare Un quartiere operaio, stampa inglese del XVIII secolo. la manodopera non specializzadelle grandi industrie manifatturiere, avvenuta a ta delle nascenti fabbriche stimolò l’edificazione di scapito di ampi spazi rurali. Questa prima fase di nuovi quartieri «popolari» nelle periferie. In Inghilcrescita avvenne senza regole precise, se non il terra la calce e i mattoni impiegati per costruire file mantenimento di rigide divisioni di classe tra i nodi misere casette invasero campi e orti della cambili che andavano a risiedere in grandi palazzi del pagna circostante. Si trattò di una vera e propria centro e le classi più umili a cui venivano destinati opera di «colonizzazione» del territorio da parte i nuovi quartieri mal edificati e quindi già in partenza degradati. Le prime linee architettoniche per un nuovo sviluppo urbanistico comparvero soltanto nella seconda metà del XIX secolo durante la seconda Rivoluzione industriale. Fondamentale fu il ruolo dell’architetto George Eugene Haussmann che nel 1849 venne nominato da Napoleone III prefetto di Parigi. In quel periodo la capitale francese era in rapido cambiamento, a causa dell’emigrazione dalle campagne che aveva fatto aumentare la sua popolazione da 700.000 a 1 milione e 200.000 abitanti. Per evitare le epidemie che sarebbero potute scoppiare a causa dell’accresciuta densità di popolazione, Haussmann avviò un progetLa città operaia di Mulhouse, concepita dall’architetto Émile Muller. Incisione su legno di L. Sargent, 1860 circa. to di massicce demolizioni dei vicoli 342


C. Pissarro, Boulevard Montmartre a Parigi, 1897, Pietroburgo, Museo dell’Hermitage.

del centro cittadino al cui posto vennero costruiti ampi viali alberati, i celebri boulevards larghi fino a 30 metri. In Italia l’urbanizzazione fu più lenta e meno radicale, vista l’origine medievale o rinascimentale di quasi tutti i centri storici cittadini. Solo alcune città seguirono l’esempio parigino facendo abbattere le antiche mura medievali e costruendo al posto di quelle ampi viali di accesso. Inoltre una caratteristica italiana fu il tentativo da parte di numerosi imprenditori di ideare soluzioni innovative per organizzare le condizioni abitative dei loro operai e salariati. Preoccupati per la nascita dei primi movimenti sindacali, alcuni proprietari di aziende mossi da spirito paternalistico fecero costruire dei veri e propri villaggi in prossimità dei loro stabilimenti. Il villaggio operaio più celebre è quello di Crespi d’Adda, nei pressi di Bergamo, dove il castello del padrone eretto su una collina dominava dall’alto le casette dei lavoratori. Il padrone come un padre provvedeva ai bisogni degli operai e delle loro famiglie e i ritmi della cittadina si basavano sugli orari della fabbrica tessile; all’interno vi erano un ambulatorio, una chiesa, i locali del dopolavoro, una piscina, uno spaccio dove comprare i generi alimentari e persino il cimitero, come se il padrone avesse potere sulla vita degli operai «dalla culla alla tomba».

Crespi d’Adda: i capannoni dello stabilimento tessile, 1878-80.

Crespi d’Adda: vicino alle fabbriche gli imprenditori milanesi creatori del centro industriale vollero un quartiere d’abitazione per gli operai.

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Quaccheri   [ Capitolo 1, p. 12 ]   Secondo questa comunità

religiosa la presenza di Dio si rivela al singolo attraverso il tremito delle labbra. Di qui il termine inglese quakers che significa appunto «tremanti». Molti di essi emigrarono in America settentrionale. Sotto il loro impulso, Filadelfia, capitale della Pennsylvania, divenne il più importante centro culturale dell’America settentrionale nel Settecento.

Giacomo I   [ Capitolo 1, p. 12 ]   Con l’ascesa al trono di Giacomo I tutte le isole britanniche furono riunite sotto un unico sovrano. Tuttavia, solo nel 1707 si costituì ufficialmente il Regno Unito di Gran Bretagna.

Magna Charta   [ Capitolo 1, p. 12 ]   Documento che Gio-

vanni Senza Terra fu costretto a concedere nel 1215. È considerato il primo documento che riconosce i diritti dei cittadini. Venne chiamata Magna per non confonderla con un provvedimento «minore», rilasciato proprio in quegli anni che regolava i diritti di caccia.

Ship money   [ Capitolo 1, p. 14 ]   Significa «denaro per il

naviglio». Era la tassa che si doveva versare per la costruzione di navi e che fu utilizzata appunto per l’allestimento della flotta navale britannica.

Carlo II   [ Capitolo 1, p. 17 ]   Nei primi anni del regno di Carlo II i teatri riaprirono e non fu più necessario dimostrare apertamente la propria devozione.

Trattato di Westminster   [ Capitolo 1, p. 22 ]   Il Trattato

di Westminster sanciva definitivamente il possesso inglese di tutti gli scali commerciali in America settentrionale. La città di New Amsterdam proprio allora cambiò il suo nome in New York. Un famoso quartiere di New York, Harlem, deriva il proprio nome dalla cittadina olandese di Haarlem, da cui provenivano i suoi fondatori.

nei confronti della religione. Rousseau stesso fu costretto a fuggire per evitare l’arresto.

Cesare Beccaria   [ Capitolo 2, p. 49 ]   La figlia di Cesare Beccaria, Giulia, sposerà Pietro Manzoni e diverrà la madre di Alessandro, l’autore dei Promessi Sposi.

Voltaire   [ Capitolo 2, p. 51 ]   Dal 1749 al 1752 Voltaire fu

ospite alla corte di Federico II di Prussia. La relazione tra il sovrano e il pensatore fu burrascosa, e Voltaire fu addirittura fatto incarcerare per un breve periodo. Ciò tuttavia non impedì che i due intrattenessero una fitta corrispondenza che durò molti anni.

Stamp Act   [ Capitolo 3, p. 77 ]   Lo Stamp Act imponeva che

su ogni documento ufficiale venisse apposto un bollo da acquistare in apposite rivendite autorizzate. Il ricavato della vendita dei bolli andava allo Stato britannico che così poteva finanziare le truppe di stanza nelle colonie.

Benjamin Franklin   [ Capitolo 3, p. 78 ] Franklin fu anche un appassionato di meteorologia e anatomia. Inventò il parafulmine, le lenti bifocali, un modello di stufa-caminetto noto nel mondo anglosassone come «stufa Franklin»; propose inoltre l’adozione dell’ora legale. Diritti fondamentali dell’uomo   [ Capitolo 3, p. 79 ]   I

diritti fondamentali riguardavano solo gli uomini bianchi e ne erano esclusi i neri e i pellerossa. Anche le donne non videro riconosciuto alcun diritto politico in più.

Re Sole   [ Capitolo 4, p. 90 ]   La definizione «Re Sole» fa riferimento al fatto che uomini e gruppi sociali ruotavano intorno al re Luigi XIV «come pianeti intorno al Sole».

Commercio triangolare   [ Capitolo 2, p. 38 ]   Il «Pezzo

d’India» era l’unità di misura degli schiavi e corrispondeva a un maschio adulto, giovane, robusto e senza difetti fisici; ad esso equivaleva un numero variabile di donne e bambini «svezzati». Prima della contrattazione il medico di bordo della nave esaminava i prigionieri che poi venivano marchiati a fuoco e imprigionati in stive appositamente attrezzate.

Asiento de negros   [ Capitolo 2, p. 38 ]   La Spagna non praticò mai direttamente il ripugnante commercio di schiavi, ma preferì appaltarlo con l’asiento («assenso»). In altre parole la Spagna affidava a una compagnia commerciale straniera la «fornitura» di schiavi neri per le proprie colonie. Nuovi titoli nobiliari   [ Capitolo 2, p. 40 ]   L’araldica – di-

sciplina che studia gli stemmi e gli emblemi nobiliari – riesce attraverso ricerche e documenti a risalire all’origine nobiliare di una famiglia. Se questa nobiltà risale al Medioevo è sicuramente una «nobiltà di spada»; se invece risale al Seicento è molto probabile il titolo nobiliare sia stato acquistato e che pertanto la famiglia abbia un’origine borghese.

Jean-Jacques Rousseau   [ Capitolo 2, p. 48 ]   Le autorità francesi proibirono la stampa e la diffusione delle sue opere Emilio e Il contratto sociale perché ritenute offensive

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Jacques Necker   [ Capitolo 4, p. 93 ]   Jacques Necker era

il padre di Madame de Staël, donna di grande cultura che a cavallo dei secoli XVIII e XIX animò il panorama letterario europeo e influenzò profondamente la cultura romantica.

Emmanuel Joseph Sieyès   [ Capitolo 4, p. 94 ]   Si dice

che durante una seduta degli Stati Generali, Sieyès si alzò dai banchi del clero (dove sedeva perché era un abate) per trasferirsi in un seggio nel settore del Terzo Stato e che molti nobili seguirono il suo esempio.

Libertà e uguaglianza   [ Capitolo 4, p. 99 ]   Olympe de

Gouges, scrittrice francese, denunciò nella sua Dichiarazione dei diritti delle donne che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo escludeva totalmente le donne da ogni forma di partecipazione politica; chiese dunque che alle donne fosse concesso il diritto di partecipare ai lavori dell’Assemblea.

Marianne   [ Capitolo 4, p. 102 ]   Lo storico francese Mau-

rice Agulhon spiega che il nome fu scelto perché molto popolare e quindi adatto a evocare proprio il carattere popolare di ciò che la Marianne doveva rappresentare.

La Marsigliese   [ Capitolo 4, p. 108 ]   Il titolo originale del-

la canzone era Canto di guerra per l’armata del Reno. Joseph Rouget de Lisle, ufficiale che si preparava alla battaglia contro le truppe austro-prussiane, la compose nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1792. Da Strasburgo, dove era stata


composta, si diffuse verso la Provenza e a Marsiglia, dove il battaglione dei federati marsigliesi la adottò come proprio inno, portandola poi a Parigi alla fine del luglio 1792. Nella capitale la canzone acquisì popolarità e il 14 luglio 1795 venne proclamata inno nazionale. Fu proibita durante il periodo napoleonico e ridiventò inno nazionale a partire dal 14 febbraio 1879.

Calendario repubblicano   [ Capitolo 4, p. 113 ]   Il calen-

dario rivoluzionario contava gli anni a partire dal 22 settembre 1792, giorno successivo alla proclamazione della repubblica. I mesi furono chiamati vendemmiaio, brumaio, frimaio, nevoso, piovoso, ventoso, germile, fiorile, pratile, messidoro, termidoro, fruttidoro. Il calendario rivoluzionario riorganizzò inoltre ogni mese in tre decadi: i giorni lavorativi erano nove, il giorno dedicato al riposo era solo il decimo (il «decadì»).

Repubblica partenopea   [ Capitolo 5, p. 126 ]   Secondo

un mito greco, Partenope era il nome della più bella delle sirene che si diede la morte dopo un rifiuto da parte di Ulisse e venne sepolta in quella zona che oggi è occupata dalla città di Napoli.

Dominio francese   [ Capitolo 5, p. 126 ]   I francesi attua-

rono una requisizione sistematica delle opere d’arte presenti nella penisola italiana. Esse venivano inviate a Parigi per testimoniare le vittorie e arricchire il patrimonio artistico francese. Nel 1815 parte delle opere trafugate nel periodo napoleonico fu restituita all’Italia.

Divorzio   [ Capitolo 5, p. 130 ]   L’adulterio della moglie –

in qualsiasi luogo fosse avvenuto – poteva giustificare la richiesta di divorzio da parte del marito; la moglie invece poteva richiedere il divorzio solo se il marito avesse introdotto l’amante nel domicilio della famiglia.

Giuseppe Mazzini   [ Capitolo 8, p. 195 ] Mazzini fu proba-

bilmente l’uomo più ricercato dalle polizie internazionali dell’epoca e fu costretto a vivere gran parte della sua vita come un fuggitivo. Tra i suoi seguaci la venerazione fu così grande che alla sua morte, avvenuta a Pisa nel 1872, si decise di mummificarne il corpo per esporlo quale emblema ed esempio per le generazioni future. Successivamente la salma fu trasferita nel mausoleo del cimitero di Staglieno, presso Genova, dove riposa tuttora.

Tricolore   [ Capitolo 8, p. 200 ]   Carlo Alberto volle che al posto dell’antico vessillo del Regno di Sardegna le truppe portassero lo scudo dei Savoia sovrapposto alla bandiera tricolore italiana. Questa fu disegnata il 27 marzo 1848 dal segretario del ministro dell’Interno Bigotti. Essa è passata alla storia come la bandiera «modello Bigotti».

Statuto Albertino   [ Capitolo 8, p. 201 ]   Lo Statuto Albertino era formato da 84 articoli divisi in 9 sezioni. Esso in realtà non venne mai applicato alla lettera. Durante il periodo fascista, benché non venisse in alcun modo rispettato, non fu ufficialmente abrogato.

Carlo Pisacane   [ Capitolo 8, p. 204 ]   Gli uomini al seguito

di Pisacane sono passati alla storia come «i Trecento». A loro alla fine del 1857 il poeta Luigi Mercantini dedicò la poesia La spigolatrice di Sapri, che inizia così: «eran trecento, eran giovani e forti e sono morti…»

Camicie rosse   [ Capitolo 8, p. 208 ]   Le camicie rosse ri-

salgono alle imprese di Garibaldi in Sudamerica. Nel 1843 in Uruguay Garibaldi era riuscito a procurarsi uno stock di stoffa rossa destinata ai macellai (il rosso mimetizzava le macchie di sangue degli animali uccisi) grazie al quale era riuscito a far confezionare le camicie per i suoi soldati.

Blocco continentale   [ Capitolo 5, p. 134 ]   Il blocco conti-

Comunicazione delle informazioni   [ Capitolo 9, p. 234 ]

nentale era una ritorsione contro la politica di boicottaggio commerciale adottata dalla Gran Bretagna e prevedeva, oltre al sequestro delle merci britanniche, il controllo della corrispondenza da e per i possedimenti britannici e l’arresto di tutti i sudditi britannici che si trovassero nel continente.

La prima agenzia che si occupò di divulgare le notizie in ogni angolo del mondo fu la Reuters Telegram Company di Londra.

Sant’Elena   [ Capitolo 5, p. 138 ]   Questa sperduta isola

Triplice Alleanza   [ Capitolo 11, p. 282 ]  Guglielmo Oberdan, un patriota triestino che si era rifugiato a Roma per evitare il servizio militare nell’esercito austriaco, tornò nella sua città natale per organizzare un attentato contro l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe. Scoperto, fu impiccato proprio lo stesso anno in cui l’Italia stipulò la Triplice Alleanza con Germania e Austria.

Falansteri   [ Capitolo 7, p. 178 ]   Il falansterio era concepito come unità strutturale composta da un minimo di 1600 a un massimo di 2200 individui. Costoro dovevano convivere e cooperare come una «falange». La parte centrale del falansterio era destinata ad attività comuni di riunione e di ricreazione, e alle abitazioni; altre parti ospitavano le attività manifatturiere e le strutture educative.

Banca Romana   [ Capitolo 11, p. 285 ]   La Banca Romana

1848   [ Capitolo 7, p. 186 ]   Le rivolte del 1848 determinarono una situazione di confusione in tutta Europa. Di qui l’espressione «è tutto un quarantotto» per indicare uno stato di disordine e caos.

La regina Vittoria   [ Capitolo 12, p. 299 ]   La regina Vittoria

britannica situata nell’Oceano Atlantico venne scelta come luogo dell’esilio perché era lontana dall’Europa e quindi scappare era impossibile (si voleva evitare una nuova fuga dopo quella dall’isola d’Elba).

aveva emesso biglietti in più rispetto a quelli autorizzati. Non solo, aveva tentato persino di mettere in circolazione una serie duplicata di biglietti, cioè aveva tentato di emettere denaro falso.

non visitò mai l’India, ma dal 1877 cominciò a introdurre a corte costumi e gusti ispirati allo stile indiano, per esempio assumendo indiani come servitori.

359


L’Europa e il mondo nel primo Novecento

Per orientarti

1870

1880

1890

1870-1914 C 1 Belle époque 1861-1876

C2

Destra storica

1876-1898

C2

Sinistra storica

1870-1914 C 1 Seconda Rivoluzione industriale

1882 Da ricordare

C 1

8

1891

Enciclica Rerum Novarum

Triplice Alleanza

C 2

1890

1895

C 1

C2

Fine ministero Bismarck

Partito socialista italiano


L’

inizio del XX secolo fu caratterizzato da un generale ottimismo, da una situazione economica effervescente e da un’apparente stabilità nelle relazioni internazionali. Un’epoca felice, appunto, la Belle époque. L’Italia partecipava al clima positivo anche grazie al lungo ministero di Giovanni Giolitti, un liberale abile a far dimenticare le tensioni di fine secolo e capace di dialogare con tutti: i grandi proprietari terrieri e quelli industriali, i sempre più forti socialisti e i cattolici decisi a ritornare sulla scena politica dopo la crisi di Porta Pia. Ma il clima di concordia era solo apparente. Le vecchie tensioni tra Stati europei, le ambizioni frustrate delle nuove potenze, il sorgere del nazionalismo, vera e propria degenerazione patologica del vecchio spirito patriottico ottocentesco: tutto questo avrebbe portato l’Europa a un conflitto lungo e sanguinoso. La piccola e giovane Italia non riuscì, contro i propositi dello stesso Giolitti, a sottrarsi a questo evento. La «Grande guerra» apriva di fatto il Novecento. E lo faceva con il tributo di sangue di milioni di soldati mandati al macello nelle fangose trincee di mezza Europa.

1900

1910

1903-1913

C 2

1920 1914-1918 C3 Prima guerra mondiale

Governi Giolitti

1914-1920

1905 C1

1900

Assassinio di Umberto I C 1

1904-1905 C1

1907

25 giugno1914

C1

C3

Triplice Intesa

Attentato di Sarajevo

C3

Rivoluzione russa

1918

C3 Disfatta degli Imperi centrali

Fallita Rivoluzione russa

Guerra russo-giapponese

1912-1913

Guerre balcaniche C 1

1913

Patto Gentiloni C 2

1915

Patto di Londra C 3

9


Il primo Novecento NORVEGIA San Pietroburgo

Stoccolma

R E G NO U N I TO

PAESI BASSI

Londra

Oceano

BELGIO

Atlantico

I M P E R O

R U S S O

Berlino

IMPERO DI GERMANIA Varsavia

Kiev

Colonia

Vienna

SVIZZERA

Bordeaux

Lisbona

a

Amburgo

Parigi

FRANCIA

PORTOGALLO

Mosca

B

Dublino

lt ico

SVE Z I A

Mare del Nord DANIMARCA Copenaghen r a M

I M P E RO

Budapest

AUST RO - U N G A R I CO

Milano

Belgrado

Marsiglia

SERBIA

Madrid

Mar Nero

I TA L I A

Barcellona

S PAG N A

ROMANIA Bucarest

MONTENEGRO

Roma

Costantinopoli

I M P E R O

Napoli

Ankara

O T T O M A N O

GRECIA Algeri Marocco ( Fr.)

Atene

Tunisi

Algeria (Fr.)

Tunisia ( Fr. )

Mare

Antiochia

Mediterraneo

L’Europa tra XIX e XX secolo

1.1 L’Europa tra Ottocento e Novecento

Belle époque: espressione francese che significa letteralmente «bella epoca». Coniata in Francia durante la Prima guerra mondiale essa indicava il periodo compreso tra 1890 e 1914. Da un lato dunque si riferiva al grande progresso di quei decenni, dall’altro conteneva un richiamo nostalgico a un periodo di pace spazzato via dagli orrori della Grande guerra.

10

1870

Gli anni della «Belle époque» Le celebrazioni per il capodanno del 1900 e l’ingresso nel XX secolo si svolsero ovunque in Europa in un clima di straordinario ottimismo e fiducia. Nonostante i contrasti tra i vari Stati per la spartizione delle colonie, nel vecchio continente regnava dunque la pace: l’Europa si trovava nel pieno della Belle époque  , un periodo di benessere crescente e di sviluppo apparentemente inarrestabile. È l’epoca della seconda Rivoluzione industriale. La prima risaliva agli ultimi decenni del Settecento ed era stata caratterizzata dalla prevalenza del settore tessile,

1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi

dalla presenza di industrie ancora relativamente piccole e gestite dagli stessi padroni; nel primo Ottocento, poi, si erano sviluppate la siderurgia e, in generale, l’industria pesante. La seconda Rivoluzione industriale coincide con l’era del petrolio, che veniva però utilizzato, diversamente da oggi, solo per l’illuminazione, per il riscaldamento e per la produzione dei lubrificanti, visto il crescente numero di macchine. Il carbone rimaneva una fonte d’energia importante ma, con l’invenzione della turbina idraulica, si cominciò a sfruttare la forza dell’acqua. Nel settore della chimica si produssero i fertilizzanti, gli esplosivi, i coloranti e venne scoperta per esempio una lega a base di alluminio.

1895 I Lumière brevettano il cinematografo


Il 12 dicembre 1901 Guglielmo Marconi riuscì a trasmettere un segnale radio oltre l’Atlantico dimostrando così che le onde elettromagnetiche, contrariamente a quello che si pensava, seguivano la curvatura terrestre.  D1 Grazie all’invenzione del telefono e del telegrafo divenne poi più facile la trasmissione di notizie. Nelle grandi città, la vita quotidiana cambiò per l’incremento delle tramvie urbane e anche le automobili assunsero un’importanza crescente grazie all’invenzione del motore a scoppio. Negli Stati Uniti, in particolare, l’automobile ebbe una diffusione enorme per iniziativa di Henry Ford che mise sul mercato il Modello T a prezzi moderati.  D5 Nel dicembre del 1903 i fratelli Wright misero a punto l’aeroplano e compirono il primo volo: si sollevarono da terra solo di pochi metri ma aprirono la strada a progressi sempre più rapidi.  D4 In pochi anni si estese la rete ferroviaria: in Russia venne creata la linea transiberiana e negli Stati Uniti ben quattro linee collegarono l’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico. In Europa nuove linee forarono le montagne con lunghe gallerie che unirono così la Francia alla Spagna e l’Italia alla Svizzera. Anche il settore della navigazione conobbe una forte accelerazione tecnologica e accanto ai piroscafi a vapore si cominciarono a vedere motonavi con motori a scoppio. Il progresso della scienza garantiva poi un continuo miglioramento della quali-

tà della vita. Le scoperte in campo medico permettevano di guarire da malattie fino ad allora incurabili, come il colera e la tubercolosi, mentre i miglioramenti igienici e sanitari rendevano più sicura e confortevole la vita delle grandi masse urbane.  D10, 11 Sul piano economico l’aumento delle rese agricole e il miglioramento delle tecniche di conservazione dei cibi avevano determinato un surplus, un’eccedenza alimentare in grado di eliminare il problema del sostentamento per la maggioranza della popolazione. L’allargamento del lavoro salariato, lo sviluppo della produzione industriale e l’avanzata dei commerci – nazionali e internazionali – avevano infine generato una crescita dei redditi e dei consumi e un’impennata nella ricchezza degli Stati.

La borghesia, nuova classe dominante La Belle époque fu però anche un’epoca di profonde trasformazioni sociali. La borghesia, da tempo classe dominante e in possesso delle leve dell’industria e del commercio, soppiantò definitivamente l’aristocrazia al vertice della società, imponendo il proprio gusto e i propri bisogni. Si formava la «società di massa», che non aveva per protagoniste ristrette élites  , ma fasce via via più larghe della popolazione. La borghesia cittadina adottò modelli di comportamento e abitudini di vita del tutto nuovi. Si diffuse il mito del lavoro e del «far-

élite: gruppo ristretto di persone che si distinguono per posizione sociale, ricchezza e cultura.

Le ferrovie in Italia e in Europa tra XIX e XX secolo (km) Paese

1880

1910

9.290

18.090

Regno Unito

28.854

35.186

Francia

26.189

42.827

Italia

Dossier 1 p. 392 Dossier 4 p. 398 Dossier 5 p. 400

Germania

33.838

Guglielmo Marconi davanti alla sua radio, inizio XX secolo.

1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright

51.391

Dossier 10 p. 410 Dossier 11 p. 412

1913 Ford introduce la catena di montaggio

1920

11


1

L’Europa e il mondo nel primo Novecento

si da sé» come mezzo per acquisire ricchezza e potere. Grazie alle accresciute capacità d’acquisto e consumo, favorì lo sviluppo dei commerci: nacquero in questi anni i grandi magazzini e la pubblicità, due nuovi modi di concepire la società dei consumi, rivolti proprio al nuovo ceto e che avrebbero permeato di sé l’intero Novecento.  D15 [Testimonianze  documento 1, p. 70] La borghesia promosse la frequentazione dei teatri, dei primi cinema e soprattutto dei cabaret, locali in cui si allestivano spettacoli di musica e intrattenimento. Favorì inoltre la diffusione della stampa quotidiana, che soddisfaceva la sua grande fame di notizie – per esempio, in Italia, la tiratura del «Corriere della Sera» passò tra 1889 e 1914 da 100.000 a 500.000 copie. Inaugurò la pratica sportiva e sostenne la nascita delle Olimpiadi moderne, che si tennero per la prima volta ad Atene nel 1896.  D3 Introdusse l’abitudine di concedersi periodicamente qualche giorno di villeggiatura, specie nelle località di mare, la cui fama sorse proprio allora, o di fare addirittura del turismo, con lunghe permanenze all’estero. Ciò che nei secoli precedenti era riservato agli esponenti dell’aristocrazia.  D2

Le lotte dei lavoratori

pp. 66, 68

Dossier 2 p. 394 Dossier 3 p. 396 Dossier 15 p. 420

All’affermazione della «società di massa» diedero un importante contributo le classi popolari, che nella Belle époque salirono prepotentemente alla ribalta rivendicando ovunque un miglioramento delle condizioni di vita e maggiori diritti. La loro forza era costituita dagli operai, che grazie alla diffusione delle industrie si erano accresciuti numericamente in modo considerevole. Fortemente consapevoli del proprio ruolo

F. Bazille, Riunione di famiglia, 1863, Parigi, Musée d’Orsay.

12

1870

Manifesto del primo maggio 1902 del Partito socialista italiano.

e della propria importanza nelle vicende economiche dei diversi Stati, mostrarono fin dall’inizio grandi capacità di organizzazione: tra Ottocento e Novecento nacquero i primi grandi sindacati, che lottavano per la riduzione degli orari di lavoro, per l’innalzamento dei salari, per l’affermazione del diritto di sciopero e per la tutela del lavoro minorile e femminile. Sorsero inoltre in tutta Europa i primi partiti politici di massa e di ispirazione socialista: dal Partito socialdemocratico tedesco al Partito laburista inglese, al Partito socialista italiano. Per far fronte alle rivendicazioni dei lavoratori, nei maggiori paesi del continente furono approvate le prime legislazioni assistenziali, che garantivano un sostegno alle classi sociali più povere in caso di malattia o maternità e durante la vecchiaia. Il dirit-

Cartolina della Società di mutuo soccorso.

1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi

1895 I Lumière brevettano il cinematografo


1

Il primo Novecento

Inaugurazione del Crystal Palace a Londra, 1851, a lungo simbolo di innovazione e progresso.

to di voto, che permetteva di partecipare attivamente all’elaborazione della politica nazionale, venne progressivamente esteso a tutti gli uomini adulti (suffragio universale maschile), mentre le donne ne erano ancora escluse. Infine, lo Stato provvide a garantire a tutti l’istruzione elementare, con l’obiettivo concreto di combattere l’analfabetismo. In questo modo si accelerò il processo di democratizzazione della politica e della società e anche i ceti popolari ebbero la possibilità di divenire parte integrante del grande sviluppo che investiva l’Europa.

Ottimismo e fiducia nel progresso A questi epocali sviluppi dell’economia e della società si intrecciò il fervore sperimentato durante questo periodo dal mondo della cultura, che ebbe le sue capitali in Parigi e Vienna. Non a caso il simbolo della Belle époque è spesso considerato la Tour Eiffel, l’altissima torre in ferro progettata dall’ingegnere francese Alexandre Gustave Eiffel e inaugurata nella capitale francese per l’Esposizione Universale del 1889. Parigi era il fulcro delle tendenze artistiche più innovative del continente: i quartieri di Montmartre e Montparnasse, i viali lungo la Senna e i piccoli caffè che sorgevano un po’ ovunque erano i luoghi in cui intellettuali, pittori e letterati di tutta Europa dibattevano di ogni argomento e coltivavano le tendenze più innovative del tempo – dal naturalismo, con i romanzi di Émile Zola, al cubismo, con i quadri di Pablo Picasso. Anche a Vienna, capitale della Felix Austria, l’«Austria felice» alla guida di un «impero eterno», operavano in quegli anni intellettuali e artisti che avrebbero influenzato grandemente il XX secolo: da Sigmund

1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright

Freud padre della psicoanalisi, a Gustav Klimt, l’artista più influente dell’art noveau o liberty, ad Arnold Schönberg, il padre della musica colta contemporanea. Più in generale, lo spirito ottimistico di questo tempo fu interpretato in Europa dalla corrente filosofica del positivismo  . Nato in Francia nell’Ottocento, il pensiero positivista suggeriva che l’avanzamento delle conoscenze e delle capacità umane avrebbe generato un progresso inarrestabile. In realtà, alcuni dubbi sulla tenuta del sistema politico-sociale europeo avevano cominciato a insinuarsi nella riflessione culturale e filosofica già alla fine dell’Ottocento, ma nessuno fu in grado di prevedere che nel giro di pochi anni l’intero mondo della Belle époque sarebbe crollato sotto i colpi della Prima guerra mondiale. E che di quel «progresso» sarebbero rimaste solo macerie fumanti.

positivismo: la fede dei filosofi positivisti nel progresso nasceva da una incrollabile fiducia nelle capacità della scienza. Essi proponevano perciò di applicare il metodo scientifico a tutti i campi del sapere.

Bozzetto per il monumento all’operaio e alla kolchosiana, 1937, San Pietroburgo, Museo di Stato.

Tour Eiffel nel 1889.

1913 Ford introduce la catena di montaggio

1920

13


L’Italia di Giolitti Sondrio Aosta Torino Saluzzo

Udine Milano Verona Brescia

Venezia

linee attivate fino al 1914

Bologna

Genova

Rimini

Pietrasanta Pisa

Firenze

Piombino

Ancona

Perugia Orvieto

Civitavecchia Roma

Pescara

Frascati

Foggia Bari

Olbia

Sassari

linee attivate fino al 1870

Napoli Salerno

Nuoro

Brindisi Potenza

Lecce

Arbatax

Leuca Cosenza

Cagliari

Catanzaro Palermo

Trapani

Enna Agrigento

Messina Reggio Calabria Catania Siracusa

Lo sviluppo della rete ferroviaria in Italia tra 1870 e 1914

Il Pil dell’Italia alla vigilia della Prima guerra mondiale

Commercio e attività terziarie 30% Banca Romana: ex banca dello Stato pontificio, era un Istituto d’emissione: uno dei sei istituti che all’epoca erano autorizzati a emettere moneta circolante in Italia.

28

1870

Agricoltura 45% Industria 25%

1882 Koch scopre il batterio della tubercolosi

2.1 Economia e società in

Italia tra XIX e XX secolo Lo sviluppo demografico ed economico italiano nella Belle époque

Tra 1870 e 1913, la popolazione italiana crebbe da 26 a 36 milioni, un incremento determinato principalmente dalle migliorate condizioni alimentari, igieniche e sanitarie. Per esempio, soprattutto in città, si diffuse l’uso dell’acqua corrente nelle case e fu migliorata l’efficienza degli impianti fognari, con la conseguente diminuzione della mortalità da malattie infettive. Nello stesso periodo l’Italia conobbe anche un deciso sviluppo dell’economia. Durante il periodo della Belle époque lo Stato italiano godette del buon andamento delle finanze pubbliche e della stabilità della lira: grazie alle politiche attuate nell’ultimo quarto dell’Ottocento, all’inizio del XX secolo era stato raggiunto il pareggio di bilancio e la moneta veniva addirittura preferita all’oro sui mercati internazionali. La ricchezza nazionale crebbe, così come il reddito medio degli italiani, che si incrementò del 33% tra 1896 e 1913. La maggiore disponibilità di denaro si tradusse in una crescita dei consumi e del risparmio. Grazie all’aumento di quest’ultimo e dei depositi bancari, il sistema creditizio mostrò una maggiore disponibilità a finanziare gli investimenti agricoli e industriali. Importanti furono, al riguardo, il riordino del settore attuato dallo Stato dopo la crisi della Banca Romana  e la nascita, sul finire del XIX secolo, della Banca Commerciale (COMIT), nella quale predominavano capitali tedeschi, e del Credito Italiano. Va ricordato che le banche intervenivano nei settori più importanti dell’economia. Questo ruolo però non sempre aiutò l’industria: spesso le banche imponevano la presenza di loro rappresen-

1895 I Lumière brevettano il cinematografo


tanti nei Consigli di amministrazione delle società finanziate, cosa che poteva renderne difficoltosa e non priva di contrasti la gestione. Per questo rapporto la COMIT e il Credito Italiano erano definite banche miste. Fu inoltre creata la Banca d’Italia, da allora custode delle regole finanziarie del paese e unica autorizzata a stampare carta moneta. In generale, l’intero apparato produttivo conobbe un avanzamento. Nel settore agricolo, le bonifiche, il miglioramento dei sistemi di irrigazione e l’uso dei primi concimi chimici determinarono la crescita delle rese e dei redditi delle campagne. A cavallo tra Ottocento e Novecento, l’agricoltura occupava ancora la maggior parte dei lavoratori italiani e forniva circa il 55% del prodotto nazionale lordo. Imponenti piani di lavori pubblici consentirono inoltre di estendere la rete stradale e di realizzare opere infrastrutturali come il traforo del Sempione e l’acquedotto pugliese. Particolare attenzione fu dedicata al miglioramento della rete ferroviaria   . Essa fu nazionalizzata nel 1905, e la sua estensione passò dai 9290 chilometri del 1880 ai 18.090 chilometri del 1910: un progresso straordinario, in un campo in cui però Regno Unito (con 35.000 chilometri), Francia (43.000) e Germania (51.000) rimanevano ancora lontani. Infine, nel periodo in esame, l’Italia conobbe un deciso sviluppo in campo industriale.

La potenza industriale italiana La crescita impetuosa del settore industriale fu decisiva per aumentare la ricchezza e il prestigio del paese, e consentì anche all’Italia di proporsi come un interlocutore credibile sui grandi temi di politica internazionale. Tutti i comparti dell’industria progredirono e nel 1913 il settore secondario garantiva il 25% del prodotto nazionale lordo, mentre il numero degli addetti cresceva costantemente e la stessa produzione appariva raddoppiata rispetto al 1896. In primo luogo avanzarono i comparti sostenuti dallo Stato perché di interesse strategico, come la siderurgia, la cantieristica o l’idroelettrico. La siderurgia aveva la sua punta di diamante nelle Acciaierie di Terni, in Umbria. La cantieristica brillava nell’Ansaldo di Sampierdarena, in Liguria. Nel 1898 cominciò a funzionare la centrale

1903 Primo volo aereo dei fratelli Wright

Donne impiegate come operaie alla catena di montaggio delle Officine Ansaldo, Genova, 1915 circa.

Cartellone pubblicitario della Fiat, 1928.

L’aumento della popolazione in Italia tra 1861 e 1921 40.000.000

36.921.000

35.000.000 30.000.000

37.876.000

33.778.000

26.328.000

28.151.000

29.791.000

25.000.000 20.000.000 15.000.000 10.000.000 5.000.000 0

1861

1871

1881

1891

idroelettrica di Paderno sul fiume Adda, in Lombardia. Essa forniva energia alla città di Milano, distante ben 32 chilometri. Si calcola che in questa nuova industria vennero investiti circa 550 milioni di lire nel 1914. Per lo sviluppo di questi settori strategici ebbe fondamentale importanza la scelta protezionistica effettuata già nel 1887, che imponeva dazi elevatissimi sulla concorrenza estera e favoriva la crescita dell’industria nazionale. Grande sviluppo conobbe l’industria meccanica: sia quella pesante, che fabbricava per esempio locomotive e macchine per l’agricoltura, sia quella leggera, in cui spiccava la nuovissima produzione di automobili, con Fiat (Fabbrica italiana automobili Torino) e Lancia a Torino, e Alfa (Anonima lombarda fabbrica automobili) a Milano. La Fiat, in particolare, fondata a Torino da Giovanni Agnelli nel 1899, divenne presto il maggior produttore automobilistico del paese, stimolando la produzione di gomma, sorta a Milano nel 1872 ad opera di Giovanni Battista Pirelli. Anche se, in generale, l’in-

1913 Ford introduce la catena di montaggio

1901

1911

1921

 Tweet Storia p. 430

1920

29


1

L’Europa e il mondo nel primo Novecento

politica nazionale; il numero degli elettori passò da 3,5 milioni a 8,5 milioni, circa il 23% della popolazione. La nuova legge elettorale fu applicata per la prima volta nel 1913 e le consultazioni furono un successo per Giolitti, che poté contare su un’ampia maggioranza parlamentare. Tuttavia, il contributo dei cattolici alla vittoria, cercato con tenacia attraverso il «Patto Gentiloni», era stato fondamentale e il nuovo governo si mostrò assai meno stabile dei prece-

Municipio di Alfonsine (Ravenna) dopo l’incendio appiccato dagli insorti durante la «settimana rossa».

denti. In breve tempo Giolitti, stretto tra le richieste dei cattolici e una sinistra sempre più intransigente, fu costretto a dimettersi. Era il marzo del 1914. Gli subentrò Antonio Salandra, un liberale moderato, appoggiato dallo stesso Giolitti. Durante il governo Salandra l’Italia tornò a una politica di stampo nettamente più conservatore. Se ne ebbe prova nel giugno 1914, quando in occasione di una manifestazione socialista ad Ancona, le guardie regie spararono e uccisero tre dimostranti. Lo sciopero generale, le tensioni e i tumulti di stampo insurrezionale che allora scossero l’Italia nella «settimana rossa», tra il 7 e il 13 giugno, causarono 17 morti e centinaia di feriti. La situazione era esplosiva, ma il 28 giugno giunse da Sarajevo, in Bosnia, la notizia dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, che mise a rischio la pace europea e distolse anche gli italiani dai problemi interni. Un anno dopo il nostro paese sarebbe entrato nella Prima guerra mondiale, proprio guidato da Salandra.

I NODI DELLA STORIA Il colonialismo italiano: italiani brava gente? L’impresa di Libia fu il secondo tentativo coloniale italiano. Alla fine dell’Ottocento c’era stata l’avventura nel Corno d’Africa terminata con il disastro della sconfitta di Adua. A metà degli anni Trenta, come vedremo, nel pieno del regime fascista, l’Etiopia venne finalmente conquistata riscattando, se così si può dire, la sconfitta di quarant’anni prima. Sul tema del colonialismo italiano e, più in generale, sul modo di fare la guerra dell’esercito italiano in questo periodo la storiografia ha recentemente manifestato un interesse molto forte. Non si può dire che lo stesso zelo, pur con le significative eccezioni, sia avvertibile nella produzione precedente. In effetti si tratta di una materia scabrosa, una di quelle questioni che mettono in imbarazzo, soprattutto se si scoprono particolari poco edificanti per l’immagine nazionale. Il mito degli italiani brava gente, del popolo e dei suoi soldati magari un po’ pasticcioni ma fondamentalmente incapaci di compiere azioni abiette, è duro a morire. La realtà fu, invece, molto diversa. Tutte e tre le iniziative colonialiste italiane furono caratterizzate da episodi feroci e brutali, nei quali non mancarono, da parte del nostro esercito, veri e propri crimini. Impiccagioni sommarie, campi di concentramento, uso di gas velenosi, saccheggi e stupri di gruppo sono fatti noti e ampiamente accertati. Il fatto che la dominazione coloniale di altre nazioni fosse anche più disumana non può certo costituire una scusante.

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La sconfitta italiana ad Adua fu sostanzialmente giusta e – in parte – anche prevedibile: venne infatti attaccato l’unico Stato africano minimamente organizzato e dotato di un esercito in certa misura efficiente. La disfatta fu poi agevolata dal comportamento dilettantesco dello Stato maggiore italiano. L’impresa di Libia fu condotta con il generale consenso dell’opinione pubblica italiana e in un clima di ubriacatura nazionalista. Fa una certa impressione pensare che anche un poeta delicato, alieno alla retorica e di antiche simpatie socialiste come Giovanni Pascoli potesse celebrare l’evento con il discorso La grande proletaria si è mossa. Il nuovo attacco all’Etiopia (o Abissinia, come si usava dire) portato avanti da Mussolini nel 1936, come vedremo, non segnò solo l’inizio dell’isolamento internazionale dell’Italia, ma anche una nuova pagina gravissima di violenze e crimini di guerra. Nell’immaginario pubblico nazionale si preferì stemperare tutto nella retorica nazionalista o nel mito sempre efficace dell’italiano buono, civilizzatore e magari un po’ seduttore. Da qui la fortuna di canzoni come Tripoli, bel sol d’amore o la stessa Faccetta nera, storia dell’innamoramento di un soldato italiano per una bella ragazza etiope. Per una grottesca ironia della sorte la canzoncina, per certi versi la più celebre del periodo fascista, fu censurata proprio dal regime. All’indomani delle leggi razziali del 1938, un amore misto «italo-africano» non era tollerabile per il regime.


2 1887 Il protezionismo incentiva l’industria

1891 Enciclica di Leone XIII Rerum Novarum sui temi sociali

L’Italia di Giolitti

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Mentre la popolazione cresce, tra fine del XIX e inizio del XX secolo l’Italia diventa una grande potenza industriale. Tra la fine dell’Ottocento e il primo quindicennio del Novecento, l’Italia conobbe un notevole sviluppo demografico ed economico. La popolazione aumentò da 26 a 36 milioni, mentre tutti i campi dell’apparato produttivo crebbero, così come il Pil e il reddito medio. L’agricoltura restò il settore con più lavoratori, ma l’ascesa più vistosa fu quella dell’industria, favorita da una politica protezionistica: essa permise all’Italia di entrare a far parte degli Stati più avanzati del mondo. I comparti più dinamici furono quello siderurgico, il cantieristico, il meccanico, l’idroelettrico, il tessile e il chimico.

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1895 Fondazione del Partito socialista italiano

1898 Repressione violenta delle manifestazioni contro il rincaro del pane

1899 Fondazione della Fiat

1900 Assassinio di Umberto I

1903-1914 Governi Giolitti

1912 Suffragio universale maschile; conquista della Libia

1913 Patto Gentiloni: i cattolici di nuovo in politica

Il proletariato assume un notevole peso politico, i cattolici si auto-escludono dalla vita pubblica, il Meridione soffre di una grave arretratezza. Grandi questioni politiche e sociali animavano i dibattiti pubblici nell’Italia d’inizio Novecento. La classe operaia, e in generale le classi lavoratrici, avevano acquisito grande visibilità attraverso le loro organizzazioni sindacali e partitiche: il Partito socialista italiano, fondato nel 1895, chiedeva che ai salariati fossero concessi adeguati miglioramenti delle condizioni di vita e di impiego. I cattolici, ancora soggetti al non expedit di Pio IX, rimanevano ai margini della vita pubblica nazionale, ma vivevano un’intensa stagione associazionistica e contribuivano al dibattito sociale. Il Meridione, afflitto da povertà, malattie, arretratezza economica e sociale, criminalità organizzata, vedeva aumentare il divario che lo separava dal Nord.

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Giovanni Giolitti domina la scena italiana nel primo quindicennio del Novecento e favorisce la partecipazione delle masse operaie alla vita politica. Nel 1900 fu assassinato il re Umberto I e il figlio Vittorio Emanuele III, che gli succedette al trono, ne abbandonò la politica autoritaria. Grande interprete di questa svolta fu Giovanni Giolitti, al governo dell’Italia quasi ininterrottamente dal 1903 al 1914. Egli era convinto assertore del dialogo con le masse popolari, e lo considerava l’unico modo per evitare proteste dagli esiti potenzialmente rivoluzionari. Giolitti promosse una ricca legislazione assistenziale e mai intervenne nei conflitti di fabbrica tra padronato e operai, lasciando che essi trovassero un accordo attraverso la libera contrattazione. Al contempo, per contenere la spinta della sinistra massimalista, Giolitti cercò e ottenne nel 1913 l’appoggio dei cattolici («Patto Gentiloni»). Inefficace fu invece l’azione di Giolitti nel Meridione. Anzi, l’alleanza con i latifondisti e la sua tolleranza verso la scarsa legalità della lotta politica al Sud valsero a Giolitti l’accusa di «ministro della malavita» e la fama di depredatore del Mezzogiorno a vantaggio del Nord già sviluppato.

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Alle soglie della Prima guerra mondiale, l’Italia conquista la Libia e introduce il suffragio universale maschile. A inizio Novecento, l’Italia era vincolata in campo internazionale alla Triplice Alleanza, che la legava a Germania e AustriaUngheria. Giolitti cercò un avvicinamento a Francia e Regno Unito, lanciando poi il paese in una nuova avventura coloniale, largamente sostenuta dall’opinione pubblica borghese e nazionalista. Con una guerra che si svolse tra 1911 e 1912, Roma strappò all’Impero ottomano la Libia, verso la quale progettava di dirottare parte dell’imponente emigrazione italiana. Nello stesso 1912, grazie a una riforma elettorale, il suffragio venne esteso a quasi tutti i cittadini maschi e le consultazioni politiche del 1913 diedero ancora una volta un’ampia maggioranza parlamentare a Giolitti. Il suo governo si dimostrò però assai poco stabile, tanto che lo statista piemontese dovette dimettersi e lasciare il posto ad Antonio Salandra: questi riportò l’azione dell’esecutivo su strade decisamente conservatrici. L’«età giolittiana» poteva così dirsi conclusa.

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L’Europa e il mondo nel primo Novecento

Gli italiani tra fine XIX e inizio XX secolo: un popolo di migranti È sufficiente un solo dato per definire la dimensione sociale di massa dell’emigrazione italiana tra la fine del XIX secolo e lo scoppio della Prima guerra mondiale: stando alle rilevazioni statistiche ufficiali (dal 1876 al 1914), furono oltre 14 milioni gli italiani che espatriarono in cerca di lavoro o per congiungersi con i propri familiari già all’estero. La punta massima di questo flusso migratorio fu toccata nel 1913, quando furono quasi 400.000 gli emigrati italiani a partire. L’espansione demografica, dovuta alla contemporanea riduzione della mortalità e incremento della natalità, e gli sviluppi tecnologici nei diversi settori produttivi portarono a una sproporzione tra la quantità di popolazione e le possibilità di occupazione, che contribuì in modo decisivo alla scelta di emigrare. La maggior parte dei migranti italiani erano maschi e analfabeti; le mete privilegiate soprattutto nel primi quindici anni del XX secolo furono oltreoceano: Brasile, Argentina e Stati Uniti.

Il viaggio

Gli emigranti italiani in attesa di imbarco in un dipinto di Raffaello Gambogi, 1895.

I migranti erano carichi di masserizie di ogni sorta provenienti da casa, con cui avrebbero cercato di affrontare il soggiorno in una terra ignota, senza risorse immediatamente disponibili. A fianco di una larga maggioranza di migranti poveri ne figuravano alcuni altri più abbienti, che speravano di migliorare la propria sorte e di fare fortuna all’estero. I piroscafi, o navi a vapore, mezzo di trasporto tipico della seconda metà dell’Ottocento, erano il solo mezzo con cui compiere un viaggio oltreoceano, rischioso e faticoso, pieno di incognite.

Lo sbarco I migranti dall’Europa diretti in America approdavano a Ellis Island, piccola isola di fronte a Manhattan (New York) dotata delle strutture per la prima «accoglienza»: infatti, una severa selezione attraverso gli uffici di polizia e di sanità verificava che tra gli immigrati non vi fossero criminali, sovversivi o portatori di malattie infettive. Gli immigrati italiani, come quelli irlandesi, tedeschi, ebrei, russi o polacchi, ecc., venivano così classificati e schedati prima di raggiungere la terraferma.

Un gruppo di emigranti appena sbarcato in America mentre viene condotto a Ellis Island.

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L’Italia di Giolitti

L’inserimento nella società americana La più nota e importante zona di insediamento italiano negli Stati Uniti era il quartiere di Little Italy, a New York, nella parte meridionale di Manhattan. Ben presto all’interno della comunità italiana si crearono profonde differenze sociali tra chi era riuscito rapidamente ad affermarsi nella nuova società e chi invece continuava a svolgere i lavori più umili. Alcuni furono coinvolti in attività illecite o apertamente criminali. In generale, comunque, gli immigrati (non solo italiani) furono prevalentemente impiegati nei lavori più pesanti, quali la coltivazione dei campi, la costruzione di ferrovie o l’estrazione dalle miniere; con il loro lavoro contribuirono ad ammodernare le infrastrutture fondamentali della società americana.

Little Italy a New York, primi del Novecento.

Un esempio di successo Alcuni emigrati italiani riuscirono a fare una considerevole fortuna economica e a costruirsi una brillante carriera sociale. Il caso più noto è quello di Fiorello La Guardia: figlio di un emigrato foggiano e di un’emigrata triestina, divenne sindaco di New York tra il 1933 e il 1945.

La regina Guglielmina dei Paesi bassi visita New York: il sindaco è Fiorello La Guardia,1942.

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L’Europa e il mondo nel primo Novecento

Ragiona sul tempo e sullo spazio

ATTIVITÀ

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Osserva la cartina a p. 28 e la tabella a p. 32 e costruisci una cronologia dello sviluppo ferroviario italiano per nord, centro e sud; poi prova a incrociare i dati che ricavi con quelli della tabella sull’alfabetizzazione: come pensi si possa interpretare la correlazione tra i dati che ricavi? Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento, poi distingui con tre colori diversi gli eventi riconducibili allo sviluppo economico italiano, quelli che riguardano la questione sociale e quelli che si riferiscono alle vicende politiche del primo Novecento in Italia.

1 Nel Giovanni Agnelli fonda la Fiat a Torino 2 Nel nasce il Partito socialista italiano, guidato da Filippo Turati 3 Nel papa Leone XIII promulga l’enciclica Rerum Novarum, che segna la nascita della «dottrina sociale» della Chiesa 4 Il 29 luglio del l’anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza il re Umberto I 5 Nel il re Vittorio Emanuele III affida il governo esecutivo a Giuseppe Zanardelli, esponente della Sinistra liberale 6 Dal al 1914 Giovanni Giolitti rimane alla guida del governo quasi ininterrottamente: questo periodo è passato alla storia come «età giolittiana» 7 Nel Giolitti fa approvare la riforma elettorale in base alla quale acquisiscono il diritto di voto tutti i cittadini maschi 8 Nel viene indetto il primo sciopero generale nella storia d’Italia, promosso dal Partito socialista 9 Nel Giolitti stipula il «Patto Gentiloni», un patto di mutuo sostegno tra liberali e cattolici 10 Nel si conclude la guerra contro la Libia: l’Italia ottiene la Libia e mantiene Rodi e le isole del Dodecaneso 11 Nel Giolitti è costretto a dimettersi

Esplora il macrotema 3

Completa il testo. Il progetto politico-sociale di Giolitti ha come obiettivo principale quello di allargare le basi del consenso allo stato liberale, cercando di coinvolgere i socialisti e i cattolici che finora sono rimasti esclusi, al fine di garantire lo sviluppo (1) del paese. La sua azione politica in tema di «questione sociale» si rivela efficace: egli infatti abbandona la linea repressiva contro le classi lavoratrici e promuove il (2) tra istituzioni e lavoratori, garantendo loro una reale libertà di astensione dal lavoro, un sistema fiscale più equo, una legislazione (3) più attenta ai loro problemi, nonché l’estensione del (4) di voto. Anche la sua azione politica in tema di «questione (5) » è efficace: il Patto Gentiloni è il primo passo verso la partecipazione piena dei cattolici alla vita (6) del paese, che serve a Giolitti per bilanciare l’estremismo delle sinistre e scongiurare il rischio di un’affermazione del socialismo; grazie a esso, nel 1913 molti candidati liberali vengono eletti alla Camera con il voto dei cattolici. Nel complesso la stagione giolittiana porta grandi benefici all’Italia: Giolitti riesce a coinvolgere nel governo le forze più avanzate della società, la (7) capitalistica e i socialisti riformisti, favorendo il progresso dell’agricoltura e dell’(8) e l’assorbimento delle sinistre moderate nel campo degli interessi nazionali.

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L’Italia di Giolitti

Impara il significato 4

Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nell’«età giolittiana». 1 2 3 4 5 6 7 8

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Congiuntura Sistema creditizio Prodotto nazionale lordo Endemico Politica di non ingerenza Sostegno previdenziale Clientelismo Corruzione

Nei primi anni del Novecento la criminalità organizzata acquista sempre maggior potere nelle regioni del Mezzogiorno: rifletti sul significato di «criminalità organizzata» e spiega in che cosa si differenzia dalla semplice «criminalità»?

Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6

Osserva la mappa concettuale relativa al dibattito politico in Italia all’inizio del Novecento. Poi rispondi alle domande.

Il dibattito politico in Italia all’inizio del Novecento

1 Chi rappresenta le rivendicazioni degli operai? 2 Qual è la posizione della Chiesa riguardo alla «questione sociale»? 3 Quali furono le conseguenze dell’emigrazione dal Mezzogiorno? Esse furono negative o positive?

Mostra quello che sai 7

Osserva l’immagine a p. 38 e spiega la rappresentazione di Giolitti alla luce delle sue scelte politiche.

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Diritti di libertà e diritti politici Secondo alcuni studiosi, la Prima guerra mondiale segnò una rottura storica: solo allora furono definitivamente seppelliti gli ultimi residui dell’Ancien régime. Nei paesi sconfitti crollarono i vecchi imperi e si aprì una fase costituente: al mutamento della forma di Stato, con la proclamazione della Repubblica, si accompagnarono Costituzioni che innovavano profondamente in direzione democratica la vita degli Stati. Fu quel che accadde in Germania e in Austria, ma anche per molti versi in Turchia. Il fondamento delle nuove Costituzioni era dunque il principio democratico: esse si fondavano sulla democrazia di massa pluralista, che oltrepassava il costituzionalismo classico avente le basi nello Stato di diritto e nel principio parlamentare. Le Costituzioni del primo dopoguerra, infatti, recepirono innanzitutto la piena affermazione dei diritti di libertà e dei diritti politici e li preservarono con una serie di garanzie per il loro esercizio. Quel passaggio non riuscì all’Italia: paese vincitore, ma ferito nelle proprie aspirazioni, non conobbe un passaggio verso la piena democrazia pluralista. Fu invece la dittatura fascista a guidare il passaggio alla dimensione di massa. Anche nei paesi sconfitti, la democrazia pluralista fu un fatto effimero. Travolte le nuove Costituzioni dall’ondata fascista e nazista, che imperversò in Europa fino alla Seconda guerra mondiale, il costituzionalismo democratico si riaffacciò prepotentemente nella fase di ricostruzione degli assetti europei nel secondo dopoguerra. In particolare, per l’Italia l’Assemblea costituente fu la prima esperienza di elaborazione condivisa del testo fondamentale. E tutte le culture politiche, pur in contrasto su molti temi e con sensibilità assai differenti, recepirono gli sviluppi del costituzionalismo novecentesco. La prima sottocommissione, della quale facevano parte alcuni tra i più eminenti deputati (Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Aldo Moro per i democristiani, Palmiro Togliatti, Concetto Marchesi e Nilde Iotti per il PCI, Lelio Basso per il PSI, Francesco De Vita per il PRI, Mario Cevolotto per il Partito democratico del lavoro, Roberto Lucifero e Giuseppe Grassi per il PLI), ebbe il compito «di elaborare i principi generali della nuova Costituzione nonché i diritti fondamentali delle libertà della persona umana». Non tutti in Assemblea costituente furono d’accordo sulla centralità acquisita dai principi affermati nella prima parte del testo. Alcune componenti, infatti, avrebbero preferito che i principi fondamentali, come nella Costituzione francese del 1946, fossero racchiusi in un preambolo da premettere alle norme vere e proprie dell’organizzazione dei poteri dello Stato. La soluzione che invece prevalse – fondata sulla centralità della prima parte del nostro testo fondamentale – dava ai diritti di libertà una rilevanza eguale alla regolazione dei diversi poteri dello Stato. La Costituzione si apre con i principi fondamentali, enunciati negli articoli che vanno da 1° al 12°, per poi passare ai diritti e ai doveri dei cittadini. Il titolo I si occupa dei rapporti civili, ovvero dei diritti di libertà, che coprono gli articoli 13-28. I rapporti politici sono regolati dal titolo IV, che comprende gli articoli 48-54. Si chiude con le disposizioni transitorie e finali, che in origine vietavano il ritorno in patria dei discendenti di casa Savoia e la ricostituzione del disciolto Partito fascista. Erano precedute dall’articolo 139, secondo il quale «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale».

«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione». Con queste parole Piero Calamandrei, membro dell’Assemblea costituente, iniziò a spiegare ai giovani le caratteristiche principali della Costituzione italiana durante un incontro tenutosi a Milano nel 1955. La Carta entrata in vigore nel 1948 tratta dei diritti e dei doveri nella prima parte, articoli 13-54.

1 Quali sono i pericoli maggiori che possono condizionare il diritto di libertà? 2 Ti pare che certe iniziative intraprese in nome della sicurezza dei cittadini possano portare a limitazioni dei diritti sanciti dalla Costituzione?

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Documenti 1. Lo Statuto Albertino del 1848 e la Costituzione della Repubblica del 1948 Si mettono a confronto alcuni articoli dello Statuto Albertino del 1848, divenuto con l’unità italiana, la legge fondamentale dello Stato, e della Costituzione democratica del 1948, relativamente ai diritti di libertà. Nel primo essi sono meramente enunciati, nella seconda sono affermati e tutelati da prescrizioni circostanziate alle quali il legislatore non può sottrarsi. Art. 24. [Statuto Albertino] – Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi. Art. 3. [Costituzione della Repubblica] – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti

i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 26. [Statuto Albertino] – La libertà individuale è guarentita. Art. 13. [Costituzione della Repubblica] – La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

Art. 28. [Statuto Albertino] – La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Art. 21. [Costituzione della Repubblica] – Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

2. I diritti La formulazione del termine «diritti» fatta da Giuliano Amato. L’obiettivo di fondo del costituzionalismo moderno di questo secondo dopoguerra – sul quale si è verificata e almeno sino ad ora rinnovata, una convergenza tra le diverse forze sociali e politiche ammesse alla competizione nello Stato democratico e pluralista – può essere sintetizzato nel tentativo di sottrarre alla politica, come volontà della maggioranza, e all’economia, come risultato del confronto fra le proprietà e le iniziative private, il diritto per ciascun individuo di condurre un’esistenza nel contempo libera e dignitosa. Ogni uomo, indipendentemente dalle ragioni del calcolo economico

e dei caratteri dell’indirizzo politico che di volta in volta si afferma come prevalente, deve essere posto nella condizione di poter realizzare nella maniera più piena lo sviluppo della propria persona. A tal fine la maggior parte delle Costituzioni contemporanee vigenti nell’Europa continentale, e tra queste in maniera esemplare quella italiana, riconoscono come patrimonio, pre dato, di ogni individuo, un complesso arcipelago di libertà civili e di pretese a non essere escluso dai diversi luoghi sociali nei quali e mediante i quali il singolo si fa appunto persona e si realizza come persona. Attraverso le prime,

tradizionalmente definite «libertà negative», o «libertà da», al cittadino viene riconosciuta, nei confronti dello Stato in tutte quante le sue manifestazioni, e nei confronti degli altri individui, una sfera di autonomia privata, in linea di principio, intangibile. Attraverso le seconde, che potremmo anche definire «libertà positive» o «libertà di», al cittadino è invece riconosciuta la pretesa di partecipare alla vita politica, economica e sociale della comunità. Nel riconoscimento di questi diritti si può constatare il superamento della concezione individualistica propria del pensiero liberale dell’Ottocento.

G. Amato, I diritti, in L. Violante (a cura di), Dizionario delle istituzioni e dei diritti del cittadino, Roma, Editori Riuniti, 1996

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Testimonianze Documento 1

Il diffondersi della moda nel vestire differenzia la Belle époque dal passato (capitolo 1)

La maggiore disponibilità di denaro, l’aumento dei consumi e la possibilità di volgersi per la prima volta a beni non essenziali coinvolsero tra Ottocento e Novecento tutte le classi sociali, seppure in misura differente. Uno dei risultati di questo straordinario cambiamento fu il diffondersi della moda nel vestire. Il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel indagava tale fenomeno con grande acutezza già nel 1911, notando come le mode variassero da ceto a ceto e come riguardassero prima di tutto le donne. La moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un mero esempio. Nondimeno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi. Se da un lato questo risultato le è possibile con il cambiamento dei contenuti che caratterizza in modo individuale la moda di oggi nei confronti di quella di ieri e di quella di domani, la ragione fondamentale della sua efficacia è che le mode sono sempre mode di classe, che le mode della classe più elevata si distinguo-

no da quelle della classe inferiore e vengono abbandonate nel momento in cui quest’ultima comincia a farle proprie. […] Che la moda sia un puro prodotto di necessità sociali o psicologico-formali è provato nel modo più convincente dal fatto che infinite volte non si può trovare la minima giustificazione per le sue forme in rapporto a finalità pratiche o estetiche o di altro tipo. Mentre in generale il nostro abito è praticamente adatto alle nostre necessita, nelle decisioni della moda per dargli forma non c’è traccia di utilità pratica: come quando si stabilisce se si debbono portare gonne larghe o strette, capelli lunghi o corti,

cravatte nere o a colori. […] Se la moda porta a espressione e accentua l’impulso all’eguaglianza e quello all’individualizzazione, il fascino dell’imitare e quello del distinguersi, si può forse spiegare perché in generale le donne dipendano particolarmente dalla moda. […] La moda offre loro una felice combinazione: da un campo di imitazione generale, un nuotare nella più ampia corrente sociale, una liberazione dell’individuo dalla responsabilità del suo gusto e delle sue azioni, dall’altro una distinzione, un’accentuazione, un ornamento individuale della personalità. G. Simmel, La moda, Milano, Mondadori 1998

Documento 2

L’organizzazione scientifica del lavoro secondo Taylor (capitolo 1)

Frederick Taylor pubblicò L’organizzazione scientifica del lavoro nel 1911 e in essa spiegò come adattare le mansioni dell’operaio allo scopo di ottenere da lui «il più alto rendimento». Obiettivo non secondario della nuova organizzazione di fabbrica era, per Taylor, promuovere un coinvolgimento maggiore dell’operaio nelle scelte dell’azienda e corresponsabilizzarlo. I fatti avrebbero in realtà dimostrato che la nuova suddivisione del lavoro accresceva, e non diminuiva, l’alienazione e l’insoddisfazione del salariato. Primo. Chi dirige deve eseguire, per ogni operazione di qualsiasi lavoro manuale, uno studio scientifico, che sostituisca il vecchio procedimento empirico. Secondo. Deve selezionare la mano d’opera con metodi scientifici, e poi prepararla, istruirla e perfezionarla, mentre nel passato ogni individuo sceglieva per proprio conto il lavoro e vi si specializzava da sé come meglio poteva. Terzo. Deve cordialmente collaborare con i dipendenti, in modo da garantire che tutto il lavoro venga eseguito in osservanza ai principi stabiliti. Quarto. Il lavoro e la relativa respon-

sabilità sono ripartiti in misura quasi uguale fra la direzione e la mano d’opera; chi ha mansioni direttive si assume quei compiti per i quali è più adatto dei lavoratori, mentre in passato quasi tutto il lavoro e la maggior parte della responsabilità venivano fatti pesare sulla mano d’opera. È questa concomitanza della iniziativa della mano d’opera coi nuovi compiti assolti dalla direzione che rende l’organizzazione scientifica tanto più efficiente del sistema tradizionale. […] Ogni lavoratore, dal momento che rappresenta uno degli elementi che influiscono su questa accresciuta

produttività, viene sistematicamente preparato perché possa raggiungere il più alto rendimento ed eseguire un lavoro di maggior levatura di quanto fosse in grado di compiere nel sistema organizzativo tradizionale. Al tempo stesso egli acquista un’attitudine più amichevole verso i datori di lavoro e il complesso delle condizioni di lavoro, mentre prima gran parte del suo tempo era impiegata in opera di critica, in sospettosa vigilanza e talvolta in atteggiamenti apertamente ostili. Cotesto guadagno diretto per tutti coloro che lavorano con il sistema moderno è senza dubbio l’elemento più importante dell’intero problema.

F.W. Taylor, L’organizzazione scientifica del lavoro, Milano, Etas Kompass 1967

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Testimonianze Documento 3

Il pensiero di Giovanni Giolitti sulla «questione sociale» (capitolo 2)

Nel 1922, pochi anni prima di morire, Giovanni Giolitti rilasciò alle stampe le Memorie della mia vita, in cui tornava con dovizia di particolari sulla sua carriera politica e sui principi ispiratori della sua azione. In questo brano, l’uomo politico piemontese spiega quale approccio ebbe con la «questione sociale», fin dai tempi in cui fu ministro dell’Interno di Zanardelli: dialogo con le classi lavoratrici per la pace e il benessere dell’Italia. Per la politica interna io ritenevo arrivato il momento di avviarsi ad un più decisivo e pratico esperimento dei criteri democratici. […] Io pensavo […] che fosse già arrivato il momento di prendere in considerazione gli interessi e le aspirazioni delle masse popolari e lavoratrici, che in quasi tutto il paese soffrivano sotto la pressione di condizioni economiche, di salario e di vita, spesso addirittura inique, ed avevano cominciato, tanto nelle grandi città industriali che qua e là nelle campagne, ad agitarsi e a farsi sentire […]. Osteggiare questo movimento non avrebbe potuto avere altro effetto

che di rendere nemiche allo Stato le classi lavoratrici, che si vedevano costantemente guardate con occhio diffidente anziché benevolo da parte del governo, il cui compito invece avrebbe dovuto essere di tutore imparziale di tutte le classi di cittadini. […] Il moto ascendente delle classi operaie si accelerava sempre più ed era moto invincibile perché comune a tutti i paesi civili e perché poggiava sui principi dell’uguaglianza fra gli uomini. Nessuno poteva ormai illudersi di poter impedire che le classi popolari conquistassero la loro parte d’influenza sia economica che politica; ed il dovere degli amici delle

istituzioni era di persuadere quelle classi, e persuaderle non colle chiacchiere ma coi fatti, che dalle istituzioni attuali esse potevano sperare assai più che dai sogni avvenire […]. Solo con un tale atteggiamento ed una tale condotta […] si sarebbe ottenuto che l’avvento di queste classi, invece di essere come un turbine distruttore, riuscisse a introdurre nelle istituzioni una nuova forza conservatrice e ad aumentare grandezza e prosperità alla nazione. […] Il governo non aveva che due doveri, quello di mantenere l’ordine pubblico ad ogni costo e quello di garantire nel modo più assoluto la libertà del lavoro.

G. Giolitti, Memorie della mia vita, Milano, Garzanti 1995

Documento 4

Il «ministro della malavita» nelle parole di Gaetano Salvemini (capitolo 2)

Gli storici attribuiscono a Giovanni Giolitti molti meriti nella modernizzazione d’Italia. Ma alcuni suoi contemporanei diedero di lui giudizi meno lusinghieri o addirittura negativi. Tra i suoi più implacabili avversari ci fu all’inizio del Novecento il meridionalista Gaetano Salvemini. Egli accusava il presidente del Consiglio di mantenere scientemente il Mezzogiorno d’Italia in condizione di grande arretratezza, prima di tutto politica. E di praticare senza scrupoli brogli e violenze elettorali, pur di legare a sé i deputati meridionali. Per questo Salvemini chiamò Giolitti il «ministro della malavita». Nelle lotte elettorali di tutti i tempi e di tutti i luoghi è sempre avvenuto e sempre avverrà che gli elementi peggiori di ciascun partito pensino di sopraffare gli avversari con la violenza e con la corruzione, quando i mezzi legittimi di vittoria manchino, o siano insufficienti, o appaiano di esito incerto. E quanto più agevole e fruttifero si presenta l’impiego dei metodi elettorali malsani, tanto più forte deve essere la tentazione di adoperarli. Ora, un corpo elettorale poco numeroso è fatto apposta per allettare i partiti alla prepotenza e alla frode. Quando gli elettori sono

scarsi, il segreto del voto è una finzione: ogni partito riesce facilmente a comporre l’anagrafe completa ed esatta degli amici sicuri, dei nemici inflessibili e della massa incerta. Basta allora comprare qualche centinaio d’incerti e bastonare qualche centinaio di avversari: e la elezione è fatta. Questo è il caso dell’Italia meridionale […]. Affinché questo possa avvenire, è necessaria la complicità del governo. Ed ecco dove incominciano le responsabilità personali e consapevoli dell’onorevole Giolitti. Il quale approfitta delle miserevoli condizio-

ni del Mezzogiorno per legare a sé la massa dei deputati meridionali: dà a costoro carta bianca nelle amministrazioni locali; mette nelle elezioni a loro servizio la mala vita e la questura; assicura ad essi e ai loro clienti la più incondizionata impunità. […] Nessuno è stato mai così brutale, così cinico, così spregiudicato come lui nel fondare la propria potenza politica sull’asservimento, sul pervertimento, sul disprezzo del Mezzogiorno d’Italia; nessuno ha fatto un uso più sistematico e più sfacciato nelle elezioni del Mezzogiorno di ogni sorta di violenze e reati.

G. Salvemini, Il ministro della malavita, Torino, Bollati Boringhieri 2000

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Interpretazioni Tempi, settori produttivi e localizzazione dello sviluppo industriale italiano (capitolo 2) In questo passo, lo storico Massimo Salvadori delimita il decollo dell’industria italiana nei settori produttivi e nei luoghi: nei settori siderurgico, meccanico, elettrico, chimico e tessile, e nel Settentrione del paese, con ulteriore allargamento del divario socio-economico che già separava il Nord dal Sud. I progressi furono assai rilevanti nel campo della siderurgia e della meccanica, e in quello «nuovo» dell’industria elettrica; e proprio in questi settori, […] l’intervento del capitale bancario fu specialmente largo. L’industria siderurgica […] acquistò rapidamente la fisionomia di un potentissimo trust […] che prosperava sulle commesse anzitutto dello Stato (ferrovie, navi, armamenti). L’industria meccanica […], assai forte nel campo delle macchine pesanti (locomotive, motori per navi ecc.), rimase piuttosto debole nel settore delle macchine utensili, delle macchine agricole ecc. […]. Un notevolissimo slancio ebbe l’industria automobilistica, concentrata soprattutto

a Torino. Ma ben presto, fra le varie industrie del settore […] la Fiat […] acquistò una netta preminenza. Nel 1908, a Ivrea, sorse un’altra fabbrica, di macchine da scrivere, destinata a un grande avvenire, fondata da Camillo Olivetti. L’industria […] elettrica […] suscitò esagerate speranze, alimentate dall’incidenza che sul passivo della bilancia dei pagamenti aveva l’importazione del carbone dall’estero. […] Comunque i progressi […] furono notevoli: dai circa 100 milioni di chilowattora del 1898 si passò nel 1914 a 2575 milioni, cifra peraltro assolutamente insufficiente al fabbisogno. Un settore in grande crescita fu anche quello dell’industria chimica, che

aumentò molto la produzione specie di fertilizzanti, di materiale elettrico e di prodotti di gomma […]. Fra le industrie tessili, quella del cotone fu la più dinamica, mentre minori progressi conobbero l’industria laniera e l’industria della seta (quest’ultima, anzi, verso il 1907 iniziò una netta discesa). […] Nel periodo giolittiano i progressi dell’industria contribuirono ad accentuare i divari territoriali non solo fra il Nord e il Sud, ma all’interno dello stesso Settentrione. Infatti sia quantitativamente che qualitativamente l’industria si concentrò nel cosiddetto «triangolo industriale», con i suoi centri di Genova, Torino e Milano.

M. Salvadori, Storia dell’età contemporanea, Torino, Loescher 1976

L’effetto leva del protezionismo sullo sviluppo industriale dell’Italia (capitolo 2) Nel brano che segue Giorgio Candeloro spiega come la crescita dell’apparato di fabbrica italiano dovesse molto o quasi tutto all’intervento dello Stato, che fin dal 1887, con l’introduzione delle tariffe doganali ai danni dei prodotti esteri, favorì lo sviluppo assistito e quindi in qualche modo artificioso della nostra economia. L’introduzione del protezionismo implicò […] la creazione di una situazione privilegiata per certi settori produttivi a danno di altri ed implicò l’aumento dei prezzi delle merci prodotte dai settori protetti, sicché la massa dei cittadini in quanto consumatori pagò le spese di uno sviluppo settoriale che avvantaggiò gruppi relativamente ristretti. […] Comunque gli effetti favorevoli […] si fecero sentire anzitutto sull’industria cotoniera, che prima d’ogni altra conquistò il mercato interno e divenne esportatrice […]. Fu questo il primo esempio in Italia di una grande industria moderna, divenuta competitiva sul mercato mondiale, che lavorava

materia prima importata […]. Anche l’industria laniera si avvantaggiò della protezione doganale, senza peraltro riuscire a dominare completamente il mercato interno, che rimase tributario dell’estero per alcune qualità di tessuti. Qualche vantaggio dalla protezione doganale trasse pure l’industria tessile serica, che riuscì allora ad affiancare alla tradizionale cospicua esportazione di seta greggia e filata una notevole esportazione di tessuti. La protezione dell’industria siderurgica suscitò vivaci critiche non solo da parte dei liberisti ma anche da parte di quelli che sostenevano la necessità di proteggere invece

l’industria meccanica […]. L’argomento fondamentale di queste critiche […] era l’altissimo costo della produzione siderurgica italiana, dovuto alla mancanza di carbone fossile nazionale, che rendeva questa industria non competitiva sui mercati esteri e la costringeva a reggersi soltanto sulle ordinazioni dello Stato e dell’industria cantieristica (anch’essa protetta dopo il 1885) per le costruzioni delle navi da guerra e mercantili. […] Tuttavia si deve riconoscere che, dietro «le mura difensive» della protezione doganale, questa industria riuscì a conservare una certa vitalità […].

G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, Milano, Feltrinelli 1974

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Interpretazioni I nazionalisti italiani sono per una nuova Italia, forte e autoritaria potenza europea (capitolo 3) Giancarlo Lehner sostiene che l’obiettivo ultimo dei nazionalisti italiani fosse quello di riportare l’Italia, dopo l’epoca giolittiana, a un governo forte e capace di imporsi con autorità sulle diverse classi sociali. La guerra, con la sua urgenza di coesione e obbedienza, si presentava come strumento perfetto di tale disegno. Il giorno stesso della dichiarazione di guerra della Germania alla Russia (1° agosto 1914) la giunta esecutiva dell’ANI votava un ordine del giorno in cui si invitavano gli aderenti a «fare attiva propaganda per preparare il Paese ad affrontare virilmente qualsiasi necessario cimento». […] Appoggiati dalla classe dominante, non esclusi gli alti gradi dell’esercito e la monarchia, i nazionalisti ebbero, dunque, il compito non solo di preparare l’opinione pubblica all’intervento a fianco dell’Intesa, ma anche di delineare con precisione i fini e gli obiettivi della guerra. Non si trattava soltanto di realizzare un’irredentistica «quarta guerra d’indipendenza»,

come volevano gli interventisti democratici, ma di inaugurare una politica da grande potenza. […] Ma una «grande Potenza» aveva bisogno di un governo autoritario ed assolutistico e la guerra era l’occasione propizia per un capovolgimento antidemocratico che avrebbe dovuto prendere le mosse da un colpo di mano della monarchia sin dal momento della dichiarazione di guerra (nell’«Idea Nazionale» del 13 maggio 1915 si leggeva: «Oggi l’ora suprema è sonata; l’ora del Re. L’Italia attende. Non il Governo può compiere l’atto supremo […]; non il Paese può compierlo, e tanto meno il Parlamento, torbida cancrena della nostra giovane vita

nazionale […]. Egli, ed Egli soltanto, può e deve salvare l’Italia […]». Così l’interventismo antidemocratico non solo preparava la guerra ma mirava al dissolvimento delle istituzioni ed incitava ad una politica eversiva. E le frequenti manifestazioni di piazza dei nazionalisti assunsero spesso piuttosto il carattere di azioni squadristiche contro gli avversari politici che di esplosioni di idealistico patriottismo. […] Di fatto l’intervento verrà imposto ad un Parlamento, neutralista per i due terzi, proprio dalla duplice azione coercitiva del vertice dello Stato (monarchia, industria, governo Salandra) e della «piazza interventista».

G. Lehner, Economia, politica e società nella prima guerra mondiale, Firenze, D’Anna 1973

Il silenzioso desiderio di pace della maggior parte degli italiani (capitolo 3) Dal brano di Alberto Monticone emerge come sia gli interventisti sia i neutralisti fossero assai lontani dal vissuto quotidiano degli italiani, e in specie dei contadini, i quali non volevano la guerra per il semplice motivo che non ne avrebbero avuto alcun vantaggio. Salandra lo sapeva, perché glielo rivelarono i 69 prefetti del regno, da lui apposta interrogati nell’aprile del 1915. Ma l’indagine gli permise anche di scoprire che la guerra non avrebbe causato la rivolta del popolo. E questo era ciò che al presidente del Consiglio bastava conoscere: il Patto di Londra era già sul tavolo. Dalla lettura delle risposte [dei prefetti] risalta generale, diffusa e di gran lunga prevalente la corrente neutralista; non tanto quella del neutralismo organizzato, dei socialisti ufficiali o di altre correnti politiche, quanto piuttosto quello spontaneo, non protestatario delle masse contadine, tinto talora di indifferentismo verso il problema della guerra. […] Anche ad un osservatore superficiale non sfugge, leggendo le risposte dei prefetti, che il paese nella sua grande maggioranza per motivi diversi non desiderava la guerra, che specialmente i contadini, che avrebbero

dovuto fornire gli uomini all’esercito, anelavano alla pace, che infine il desiderio di annettersi Trento e Trieste e di avere certi vantaggi nell’Adriatico era assai limitato pur nei ceti della borghesia da cui veniva il nucleo degli interventisti. Salandra scorrendo questi rapporti non poteva che constatare di rappresentare una ristretta minoranza, ma nello stesso tempo indubbiamente si compiaceva nel vedere che l’opposizione violenta al conflitto non ci sarebbe stata o avrebbe assunto proporzioni trascurabili. Erano i giorni della decisione per l’intervento o per

la neutralità […]. Salandra al momento della firma del Patto di Londra era pienamente cosciente di operare contro la grande maggioranza degli italiani: non aveva avuto bisogno di attendere tutte le risposte dei prefetti per esserne a sufficienza edotto e nel medesimo tempo non aveva più interesse a condurre a termine l’indagine sullo spirito pubblico quando ormai, verso il 20 aprile, l’accordo con l’Intesa era pressoché concluso, e pronto entro breve tempo sarebbe stato l’esercito. Queste due cose erano quanto importava al fine di realizzare le sue idee.

A. Monticone, Gli italiani in uniforme, 1915-1918, Laterza, Bari-Roma 1972

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Unità 1 • L’Europa e il mondo nel primo Novecento Verso la Prima prova: tema di argomento storico

1 Ora che hai studiato la Prima guerra mondiale, prova a completare la tabella in modo sintetico; poi, dopo aver raccolto le informazioni richieste, scrivi un breve testo, più analitico, che le metta in relazione.

Argomento: Lo scoppio della Prima guerra mondiale (capitolo 1) Qual è l’ambito tematico di riferimento del fenomeno: politico-istituzionale, economico-sociale, filosofico-culturale o religioso?

Chi sono i protagonisti?

Dov’è stata combattuta la guerra?

Quando è iniziato lo scontro? Per quanto tempo è durato?

Quali sono le cause che lo hanno innescato?

Quali sono, invece, le conseguenze del conflitto?

Verso la Terza prova: quesiti a risposta singola

2 Rispondi in tre/cinque righe ai seguenti quesiti. 1 In che cosa consisteva il progresso economico in Europa negli anni della Belle époque?

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2 In che cosa consisteva, invece, il progresso scientifico?

4 In che cosa differiva il nazionalismo dilagante nell’Europa della Belle époque dalla politica della concertazione internazionale?

3 Quali erano le caratteristiche della «società di massa» negli anni della Belle époque?

5 Spiega che cosa si intende con l’espressione «dottrina Monroe» e quali conseguenze ebbe.


Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta

3 Costruisci una mappa concettuale sulla politica estera nell’Italia giolittiana (capitolo 2). Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale

4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sulla politica interna nell’Italia giolittiana (capitolo 2), che potrai poi esporre oralmente.

Belle époque à Sviluppo economico (agricoltura e industria) nel Nord à Crescita del proletariato industriale e dei braccianti agricoli à Rivendicazioni à Conflittualità Questione sociale Giolitti à Opera riformista à Dialogo tra istituzioni e lavoratori à Suffragio universale à Legislazione sociale, libertà di sciopero e incremento delle retribuzioni à Vantaggio per il sistema produttivo Arretratezza del Sud à Inefficienza dell’amministrazione pubblica à Carenze infrastrutturali à Analfabetismo à Disoccupazione à Condizioni igieniche precarie à Emigrazione à Impoverimento umano

Questione meridionale

Giolitti à Azione inefficace à Aumento del divario tra Nord e Sud à Accuse di Salvemini à Clientelismo e corruzione à Trasformismo Non expedit (Pio IX) à Rerum Novarum (Leone XIII) à «Dottrina sociale della Chiesa» à Costruzione di una società più equa

Questione cattolica

Giolitti à Patto Gentiloni à Ingresso in politica dei cattolici

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Dignità e valore della persona

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425


Sommario Premessa

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PARTE A – PRIMA PROVA Introduzione Gli elementi comuni tra le tipologie B e C: argomentazione ed esposizione La tipologia B: saggio breve o articolo di giornale Le prime operazioni da compiere per scrivere un testo della tipologia B Le differenze tra un saggio breve e un articolo di giornale Il saggio breve L’articolo di giornale Che cosa fare dopo la stesura del testo: la correzione formale La tipologia C: tema di argomento storico Che cosa fare dopo la stesura del testo: la correzione formale Criteri di valutazione

8 9 11 11 20 21 28 34 35 42 43

PARTE B – TERZA PROVA Introduzione Trattazione sintetica di argomenti Criteri di valutazione Suggerimenti Quesiti a risposta singola Criteri di valutazione Suggerimenti Quesiti a risposta multipla Criteri di valutazione Suggerimenti

46 49 50 50 52 53 53 54 57 57

PARTE C – COLLOQUIO ORALE Introduzione Argomento a scelta del candidato, o “tesina” Scegliere che cosa produrre Scegliere l’argomento, sottotematizzarlo e definire le materie coinvolte Cercare la documentazione Progettare una bibliografia e una sitografia La costruzione del “prodotto” La valutazione

60 62 62 63 67 68 69 72

APPENDICE – ARCHIVIO DELLE PROVE PREDISPOSTE DAL MINISTERO Esami di Stato dal 1999 al 2011 Tipologia B/3 – Saggio breve o articolo di giornale di ambito storico-politico Tipologia C – Tema di argomento storico

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Premessa

Questa Guida all’Esame di Stato vuole essere uno strumento per aiutarti ad affrontare una prova importante, che si colloca alla fine di un lungo percorso di studi. Per questa ragione è utile che tu possa lavorarci fin dall’inizio dell’ultimo anno di corso, perché, integrata con gli esercizi della sezione Verso l’Esame presenti sul tuo manuale, potrà aiutarti a costruire gradualmente le competenze necessarie ad affrontare l’Esame. Infatti, se prendiamo le norme che istituivano il “nuovo” (ormai sono passati più di quindici anni!) Esame di Stato, leggiamo: Gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore hanno come fine l’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato in relazione agli obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo di studi; essi si sostengono al termine del corso di studi della scuola secondaria superiore […]. (L. 425/1997, art.1, comma 1) L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite. (DPR 323/1998, art. 3) Quindi l’Esame di Stato non rappresenta solo una verifica delle conoscenze che hai acquisito in questi anni di scuola superiore, ma anche (anzi, soprattutto) un’occasione per valutare le abilità, comprese quelle operative, e le capacità di ragionamento e di rielaborazione che hai costruito attraverso il lavoro scolastico. Per questo motivo non si tratterà solo di una guida teorica ma, almeno in parte, anche operativa. Chiarito questo aspetto, dobbiamo porci una domanda: perché questa Guida è allegata al manuale di storia del triennio, dal momento che la storia è solo una delle diverse discipline coinvolte nell’Esame di Stato? Innanzitutto la storia è una delle poche materie presenti in tutti i piani di studio, indipendentemente dalle specializzazioni, e in secondo luogo, come vedremo, è una disciplina che viene coinvolta direttamente o indirettamente nelle prove d’esame. A proposito delle prove d’esame, facciamo sempre riferimento alle fonti di legge: 1. L’Esame di Stato comprende tre prove scritte aventi le caratteristiche di cui ai commi 2, 3 e 4 ed un colloquio volti ad evidenziare le conoscenze, competenze e capacità acquisite dal candidato […]. 2. La prima prova scritta è intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato, consentendo la libera espressione della personale creatività; essa consiste nella produzione di uno scritto scelto dal candidato tra più proposte di varie tipologie, ivi comprese le tipologie tradizionali, individuate annualmente dal Ministro della pubblica istruzione […].

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Premessa 3. La terza prova, a carattere pluridisciplinare, è intesa ad accertare, oltre quanto previsto dal comma 1, le capacità del candidato di utilizzare ed integrare conoscenze e competenze relative alle materie dell’ultimo anno di corso, anche ai fini di una produzione scritta, grafica o pratica. La prova consiste nella trattazione sintetica di argomenti, nella risposta a quesiti singoli o multipli, ovvero nella soluzione di problemi o di casi pratici e professionali o nello sviluppo di progetti. Le predette modalità di svolgimento della prova possono essere adottate cumulativamente o alternativamente. La prova è strutturata in modo da consentire anche l’accertamento della conoscenza delle lingue straniere se comprese nel piano di studi dell’ultimo anno. 4. Il colloquio tende ad accertare la padronanza della lingua, la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle nell’argomentazione e di discutere ed approfondire sotto vari profili i diversi argomenti. Esso si svolge su argomenti di interesse pluridisciplinare attinenti ai programmi e al lavoro didattico dell’ultimo anno di corso. (DPR 323/1998, art. 4)

Come vedremo nei prossimi capitoli, delle quattro prove che costituiscono l’Esame, ben tre (la prima, la terza e il colloquio), hanno molto a che fare con la disciplina storica, e non solo per una questione di contenuti specifici della materia, ma soprattutto perché le competenze legate allo studio della storia sono necessariamente trasversali (per esempio collocare un evento, un testo, un personaggio nel tempo e nello spazio, oppure stabilire relazioni tra fenomeni e così via); di conseguenza esse sono indispensabili per sviluppare le proprie abilità e capacità ed elaborare le proprie conoscenze anche relativamente ad altre discipline. In particolare, la prima parte della Guida all’Esame di Stato sarà dedicata alla prima prova, e più nello specifico alle tipologie B/3 e C, la seconda parte riguarderà la terza prova e infine la terza parte avrà come oggetto il colloquio orale, con maggiore attenzione alla preparazione dell’argomento a scelta del candidato.

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PARTE A PRIMA PROVA

La tipologia B: saggio breve o articolo di giornale

Le tipologie che vengono riunite sotto la lettera B, saggio breve o articolo di giornale, sono state introdotte nell’Esame di Stato a partire dall’anno scolastico 1998/99, e all’epoca rappresentarono un’assoluta novità per la scuola italiana. Si tratta di testi che si distinguono dal tradizionale tema (di argomento storico o generale) per almeno quattro ragioni: • presentano, nella consegna, istruzioni precise per la loro compilazione; • richiedono una destinazione editoriale specifica, che fa riferimento a una tipologia testuale che dovrebbe avere caratteristiche proprie; • richiedono la scelta di un titolo, che deve essere adeguato al tema e alla tipologia testuale scelta; • mettono a disposizione del candidato un dossier di fonti da utilizzare. Scrivere un saggio breve o un articolo di giornale è dunque un’attività complessa, perché l’autore deve prima acquisire informazioni e conoscenze a partire dai testi forniti dalla traccia d’esame, poi deve rielaborare e organizzare il materiale, individuare un destinatario per il proprio testo, e solo a questo punto cominciare a scrivere. Nell’elaborazione di queste tipologie testuali si integrano, quindi: • abilità di lettura; • abilità nell’individuazione e nella selezione delle informazioni; • capacità di rielaborazione e di presentazione delle proprie idee in modo chiaro, organico ed esauriente in funzione del lettore definito. Come abbiamo già detto, si possono distinguere testi a carattere prevalentemente argomentativo e testi a carattere prevalentemente informativo-espositivo, ma, nella maggior parte dei casi, il saggio breve e l’articolo di giornale contengono sia paragrafi espositivi, sia paragrafi argomentativi. Vediamo ora quali operazioni sarai chiamato a svolgere se deciderai di affrontare la tipologia B della prima prova. Una premessa: per evidenti ragioni, faremo costantemente riferimento all’ambito 3, vale a dire all’ambito storico-politico, ma questo non significa che le indicazioni che ti daremo non siano applicabili anche ai saggi brevi o agli articoli di giornale relativi agli altri ambiti.

Le prime operazioni da compiere per scrivere un testo della tipologia B Nell’esemplificare le prime fasi del lavoro non faremo, per ora, distinzione tra saggio breve e articolo di giornale. Solo più avanti cercheremo di individuare le specificità di ciascun tipo di testo.

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18

epurazioni

persecuzioni politiche

esilio

Cina

Il Cile negli anni ‘70 (Altamirano)

Stalinismo/ URSS

Fascismo/ Italia

confino

esempi

Nazismo/ Germania

sterminio

Iran

Diritti violati oggi uso Medio dei Oriente media

Attività Giornata della memoria

Altri regimi totalitari nel mondo

Primo Levi

Repressione oppositori Partito unico

La violenza politica nei regimi totalitari

Culto del capo

Concetto di TOTALITARISMO

Uso uso dei dei media

Propaganda propaganda

La manomissione della memoria (Todorov)

L’esclusione del nemico (Courtois)

Concetto di genocidio (Conv. ONU - 1948)

PARTE A PRIMA PROVA

Cristo si è fermato ad Eboli

La tipologia B: saggio breve o articolo di giornale


dove?

secondo il quale

tutte d’accordo su

ma

Calamandrei

da

secondo il quale

Scoppola

da

non fu la realizzazione di un modello di equilibrio politico

favorì la partecipazione sempre più attiva dei cittadini alla vita politica e sociale

si basa su

ha

PARTE A PRIMA PROVA

che sono

che sono

alcune caratteristiche

alcuni principi fondamentali

fu un ponte tra l’Italia pre-fascista e quella post-fascista

secondo il quale

Bobbio

da

come un elemento di continuità o di cambiamento solo parziale

La Costituzione Repubblicana

è stata interpretata come un cambiamento

perché?

nacque dalla necessità di tenere conto di tante diverse “anime”

da

è nata

quando?

Ragionieri

secondo il quale

ad opera di chi?

La tipologia B: saggio breve o articolo di giornale

ESERCIZI par. 6 – Operazione: produrre idee

1. Partendo dall’argomento proposto per la tipologia B/3 nell’anno 2007 (Appendice, pagina 85), dopo aver letto il dossier di fonti, prova a completare i campi vuoti della mappa concettuale.

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La tipologia B: saggio breve o articolo di giornale PARTE A PRIMA PROVA

2. Costruisci una mappa mentale, ispirandoti all’esercizio 1, partendo dall’argomento della tipologia B/3 del 2011 (Appendice, pagina 91); in questo caso sono stati realizzati solo i primi passaggi.

nella storia (Carocci)

secondo Bobbio

secondo Veneziani

La differenza tra DESTRA e SINISTRA nella cultura

secondo Panebianco nella situazione attuale nella società nella politica

Le differenze tra un saggio breve e un articolo di giornale Arrivati a questo punto del lavoro, sarà opportuno precisare la scelta della tipologia testuale, il che significa che dovremo esaminare le differenze tra un saggio breve e un articolo di giornale: • con la definizione, per la verità piuttosto generica, di “saggio” si fa riferimento a un testo destinato a esaurire, per quanto possibile, un argomento opportunamente individuato e delimitato, esponendo tutte le informazioni pertinenti ed esaminando le principali interpretazioni in merito, eventualmente argomentando una posizione personale. In genere, chi scrive un saggio è un esperto della materia, o comunque è qualcuno che ha affrontato una ricerca sul tema, e il testo rappresenta il prodotto finale di tale ricerca. In particolare, la traccia d’esame ti indica di svolgere la trattazione in modo piuttosto sintetico (saggio “breve”); • l’articolo di giornale (anche questa definizione è piuttosto generica e nasconde, come vedremo, varie tipologie testuali anche molto diverse tra loro) dovrebbe essere incentrato principalmente sulle informazioni in esso contenute, e in particolare sulla notizia o sulle notizie, che ne giustificano la pubblicazione sul giornale. A seconda del sottogenere al quale appartiene, può anche contenere l’argomentazione relativa all’opinione del giornalista, che in alcuni casi ne diventa l’elemento principale. Ne è autore un giornalista che, per quanto specializzato, non sempre conosce in maniera approfondita la materia, ma si è documentato, magari intervistando qualche esperto dell’argomento. È chiaro che le differenze tra i due tipi di testo ti impongono di effettuare una distinzione ancor prima di iniziare la fase di vera e propria produzione del testo, a partire dalla scelta della destinazione editoriale, andando avanti con l’elaborazione della scaletta, proseguendo con la stesura del testo e con le opportune citazioni dai documenti dei dossier, per finire con la scelta del titolo.

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PARTE A PRIMA PROVA

La tipologia C: tema di argomento storico

Per quanto riguarda le considerazioni generali relative alla tipologia C, il tema di argomento storico, puoi senz’altro fare riferimento a quanto abbiamo già scritto in precedenza nell’Introduzione generale alla prima prova (pagina 8). In particolare, rileggi quanto già scritto circa le funzioni comunicative prevalenti dei testi che produrrai all’esame, vale a dire esposizione e argomentazione. Anche in questo caso partiamo dalla normativa che definisce la prova di tipologia C come: sviluppo di un argomento di carattere storico, coerente con i programmi svolti nell’ultimo anno di corso. Di conseguenza, le tracce proposte dal Ministero dovranno necessariamente far riferimento alla storia del Novecento, così come è previsto dalle Indicazioni ministeriali per gli istituti professionali. Per la precisione, le tracce relative a questa tipologia terranno conto non solo dei contenuti strettamente connessi al XX secolo, ma a quello che gli storici definiscono il “lungo Novecento”, che comprende anche gli ultimi decenni del XIX secolo, con le grandi trasformazioni sociali, politiche e culturali determinate dalla Seconda rivoluzione industriale e dall’affermarsi della società di massa. Inutile sottolineare che una condizione necessaria per poter svolgere al meglio questa tipologia di prima prova è una buona conoscenza degli argomenti di storia in programma. Il tema di argomento storico, infatti, è un testo nel quale le caratteristiche più importanti sono la qualità e la quantità di informazioni presenti. Inoltre, contrariamente a quanto avviene per la tipologia B, non hai a disposizione un dossier di documenti che può orientarti nell’esposizione. Anche il carattere argomentativo non è certo assente nella tipologia C, ma dovrebbe essere prevalentemente dedicato al dibattito storiografico relativo al tema in oggetto. Questo non significa che tu non verrai mai chiamato ad argomentare le tue opinioni, ma più spesso si tratterà di esporre quali sono le posizioni dei principali storici al riguardo. Ancora una volta, quindi, è necessario essere in grado di padroneggiare l’argomento a un certo livello di approfondimento e senza l’aiuto di un dossier di fonti. Come fare a raggiungere questo risultato? Devi aver lavorato costantemente sul manuale e avere svolto con continuità, fin dall’inizio dell’anno scolastico, le esercitazioni previste dal tuo manuale nella sezione Verso l’Esame di Stato. Ma se, come si è detto, la quantità e la qualità delle informazioni sono la condizione necessaria per la buona riuscita del tema, da sole non sono però sufficienti, vale a dire che non ti garantiscono un buon risultato se non sei abile nello svolgere tutte le operazioni complesse che sono connesse alla scrittura di un testo storico. Facciamo riferimento alle stesse che abbiamo già citato nell’esaminare la tipologia B e in particolare il saggio breve, che è molto affine al tema di storia per caratteristiche, finalità e struttura:

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La tipologia C: tema di argomento storico ESERCIZIO par. 2 – Operazione: produrre idee

Mutamenti nella condizione della donna nell’Italia del Novecento Le donne conquistano il diritto di voto nel 1946

Cause: avevano partecipato alla lotta contro il nazi-fascismo per la democrazia

PARTE A PRIMA PROVA

1. A partire dalla seguente traccia, prima elabora una lista disordinata di idee (come nell’esempio precedente), poi completa la tabella sottostante con le idee prodotte: Cittadinanza femminile e condizione della donna nel divenire dell’Italia del Novecento. Illustra i più significativi mutamenti intervenuti nella condizione femminile sotto i diversi profili (giuridico, economico, sociale, culturale) e spiegane le cause e le conseguenze. Puoi anche riferirti, se lo ritieni, a figure femminili di particolare rilievo nella vita culturale e sociale del nostro Paese. (Esame di Stato 2008) FIGURE FEMMINILI ESEMPLARI Nilde Iotti Tina Anselmi

Conseguenze: le donne conquistano un ruolo politico che non avevano GIURIDICI

Il nuovo diritto di famiglia

Cause: Conseguenze: Cause: Conseguenze:

ECONOMICI

Cause: Conseguenze: Cause: Conseguenze:

SOCIALI

Cause: Conseguenze: Cause: Conseguenze:

CULTURALI

Cause: Conseguenze:

Al posto della tabella puoi impostare una mappa di idee come quelle esemplificate alle pagine 18 e 19.

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Tipologia B/3 – Saggio breve o articolo di giornale di ambito storico-politico

CONSEGNE

Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano. Se scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro). Se lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo. Se scegli la forma dell’“articolo di giornale”, individua nei documenti e nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su di essi il tuo “pezzo”. Da’ all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro). Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo). Per entrambe le forme di scrittura non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.

APPENDICE

1999 ARGOMENTO: La resistenza intellettuale al nazismo DOCUMENTI

Passo tratto dall’autobiografia di Klaus Mann, figlio di Thomas, scrittore come il padre, ed emigrato dalla Germania negli Stati Uniti. «Dal mio diario, New York, giugno 1940. I nazi a Parigi. La Germania giubila, tutta, ahimè, la Germania. Hitler balla dalla gioia. Un incubo... Ma così folle e atroce può esser solo la realtà. Le notizie dalla Francia fan sempre più schifo. Appare evidente che alcuni ambienti francesi molto influenti desideravano e favorirono la sconfitta del loro Paese. “Meglio l’occupazione tedesca che il dominio del fronte popolare”. Simili affermazioni le ho udite io stesso: il maresciallo Pétain certo è anche lui di questo parere. Il vincitore di Verdun diventato il tirapiedi del nemico. Odioso

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Tipologia C – Tema di argomento storico

1999 Mentre in Italia e in Germania la democrazia non riuscì a sopravvivere ai traumi sociali ed economici del primo dopoguerra, lasciandosi sopraffare da regimi totalitari, in Francia e in Inghilterra, pur in presenza di instabilità politica e di una profonda crisi istituzionale, le forze democratiche seppero resistere ad ogni tendenza autoritaria. Sviluppa l’argomento, illustrando le ragioni di comportamenti e risultati così differenti.

2000 Tra gli eventi tragici del XX secolo emerge in particolare l’Olocausto degli ebrei. Spiegane le possibili cause, ripercorrendone le fasi e gli eventi, ricordandone gli esiti e aggiungendo riflessioni personali, scaturite dall’eventuale racconto di testimoni, da letture, da film o documentari.

2001

APPENDICE

Uno dei fenomeni più significativi del Novecento è la presa di coscienza dei propri diritti da parte delle donne, prima nei Paesi più avanzati come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, e poi negli altri Paesi occidentali. Dalle rivendicazioni del diritto di voto agli appelli sempre più chiari e vigorosi per l’uguaglianza con gli uomini in tutti i settori della vita economica e civile, il principio delle “pari opportunità” è stato il vessillo delle lotte femminili. Illustra le fasi e i fatti salienti che hanno segnato il processo di emancipazione femminile nel nostro Paese, facendo possibilmente riferimento anche a canzoni, film, pubblicazioni e a qualunque altro documento ritenuto significativo.

2002 Secondo un giudizio storico largamente condiviso, con il Papa Giovanni XXIII la Chiesa si lascia alle spalle le fasi più aspre della contrapposizione alla modernità, quali, ad esempio, le pronunzie del “Sillabo” e la scomunica del modernismo. Si avvia al tempo stesso un lungo travaglio, culminato nel Concilio Vaticano II, teso al dialogo ecumenico con i “lontani” e i “separati” e al confronto con un mondo aperto a moderne prospettive politiche. Illustra questa importante fase della storia della Chiesa ed il ruolo che essa ha avuto nel contesto italiano ed internazionale.

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