Loci scriptorum

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questo volume, sprovvisto del talloncino a fronte (o opportunamente punzonato o altrimenti contrassegnato),è da considerarsi copia di saggio - campione gratuito, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 l. 633/1941). esente da iva (dpr 26.10.1972, n. 633, art. 2, lett. d). esente da documento di trasporto (dpr 26.10.1972, n. 633, art. 74).

Marzia Mortarino, Mauro Reali, Gisella Turazza

lo t sa io

l’oPERa CoMPlEta Profilo storico della letteratura latina Orazio Livio Seneca Il romanzo. Petronio e Apuleio Tacito

Versionario

sallustio De coniuratione Catilinae; Bellum Iugurthinum

i percorsi antologici

Il De coniuratione Catilinae; Il Bellum Iugurthinum

le schede

La figura di Catilina; Chi erano i congiurati; Le complesse vicende dell’Africa romana; La riforma dell’esercito di Mario

il lessico

Il lessico morale

Figure, temi, motivi

Il moralismo nella storiografia romana; I discorsi nella storiografia greca

oltre sallustio

Leopardi: il Dialogo di un lettore d’umanità e di Sallustio; Il Trionfo di Mario di Tiepolo

i laboratori

verifiche dei percorsi; lavoro sul testo latino e traduzione italiana; brani di versione dal latino e guida all’analisi

sallustio è indicato per il terzo anno del liceo classico e del liceo scientifico.

3555 PREZZo al PuBBliCo

€ 6,90 ValiDo PER il 2012

MoRtaRiNo, REali, tuRaZZa loci scriptorum sallustio nell’elenco dei liBri di testo indicare l’intero codice isBn

sallustio

le opere

Loci Scriptorum

Lucrezio Catullo Cesare sallustio Cicerone Virgilio

in copertina: frammento di un rilievo architettonico con scena di un sacrificio, i secolo a.c. da roma. parigi, museo del louvre. © foto scala, firenze

iP M st

Loci scriptorum: una proposta agile e flessibile per lo studio del latino nel triennio: gli autori, le opere, i generi della letteratura latina sono raccolti in un volume di sintesi piana e scorrevole, ma al contempo documentata ed esaustiva. I volumetti monografici, tutti autonomi, gestibili e acquistabili separatamente, con la loro ricca selezione antologica permettono poi approfondimento linguistico ed eccellente lavoro sul testo. Completa la proposta un agile versionario, utile anche quale strumento di raccordo con il biennio.

Mortarino, Reali, Turazza

Ci sC R oR u ll u

loCi sCRiPtoRuM

loCi sCRiPtoRuM Antologia modulare di autori latini

sallustio


PERCORSI ANTOLOGICI

1.15

L’ultimo discorso di Catilina ai suoi soldati (De coniuratione Catilinae 58,1-17) Paragonato al primo discorso pronunciato davanti ai congiurati in Roma (D TESTO 1.7), questo secondo e ultimo discorso di Catilina potrebbe risultare, a prima vista, più istintivo e immediato, dettato com’è dalla situazione ormai disperata in cui versano lui e i suoi uomini. Deciso a raggiungere la Gallia dopo la fuga da Roma, ma impedito nei suoi piani dall’ingenuità di Lentulo (D TESTO 1.14), Catilina si trova intrappolato fra l’esercito di Quinto Metello Celere a nord e quello di Antonio a sud, pronti a distruggerlo. L’unica possibilità di salvezza, dice ai compagni riuniti, è combattere fino alla morte: perché nessuno, se non il vincitore, può decidere di mutare la guerra in pace (nemo nisi victor pace bellum mutavit). A una lettura più attenta, tuttavia, il discorso di Catilina tradisce un’abilità retorica che non ci si aspetterebbe da un uomo destinato a morte certa. L’uso di parallelismi per sottolineare il destino comune per sé e i suoi uomini (Compertum ego habeo, milites … Scitis equidem, milites); le ripetizioni insistite sul tema dell’audacia; il ricorso a figure di suono in chiave patetica (pugnare pro potentia paucorum): tutto lascia intendere la sdegnosa determinazione e la consapevolezza del personaggio. Nel momento estremo della decisione, Sallustio sceglie per il suo protagonista gli attributi del tragico. Battetevi da uomini, dice Catilina al termine del suo discorso, lasciate ai nemici una vittoria luttuosa piuttosto che farvi catturare e sgozzare come bestie.

1. Compertum ego habeo, milites, verba virtutem non addere neque ex ignavo strenuum neque fortem ex timido exercitum oratione imperatoris fieri. 2. Quanta cuiusque animo audacia natura aut moribus inest, tanta in bello patere solet. Quem neque gloria neque pericula excitant, nequiquam hortere: timor animi auribus officit. 3. Sed ego vos, quo pauca monerem, advocavi, simul uti causam mei consili aperirem. 4. Scitis equidem, milites, socordia atque ignavia Lentuli quantam ipsi nobisque cladem attulerit

1. Compertum … habeo: «So bene»; regge le due infinitive seguenti verba … non addere e ex ignavo … fieri. – verba … fieri: probabile citazione dalla Ciropedia di Senofonte, là dove si dice che non bastano le parole a rendere coraggioso chi non lo è (3,3,50). Ma il discorso di Catilina ha precisamente lo scopo di infondere coraggio e infiammare gli animi dei pochi che lo hanno seguito (nota l’allitterazione verba virtutem e il chiasmo ex ignavo strenuum … fortem ex timido), anche in questo sta la grandezza del suo personaggio. – oratione imperatoris: il discorso del comandante, cioè appunto il discorso di Catilina. 2. Quanta … tanta: «Quanta audacia c’è per natura o per educazione nell’animo di ciascuno, tanta…»; natura e moribus sono due ablativi di causa. – patere solet: «suole manifestarsi». – Quem … hortere: costruisci Nequiquam hortere quem neque gloria neque pericula excitant; hortere = horteris, congiuntivo potenziale; il «tu» generico ha valore impersonale. – timor animi: «la paura dell’animo»; dunque la codardia, che è altra cosa rispetto alla paura legittima di trovarsi accerchiati dal nemico, come Catilina ammetterà subito dopo. – auribus officit: officio regge il dativo nel significato di «ottundere, ostacolare». 3. quo … monerem: proposizione finale retta da advocavi, come la successiva uti … aperirem, coordinata da simul; nota la

variatio nella costruzione e il fitto gioco delle allitterazioni di v, c e m: vos … pauca … advocavi … causam mei consili aperirem. 4. Scitis … milites: riprende, variandolo, l’attacco del discorso, creando di fatto un parallelismo tra due argomenti «ben noti»: tra le righe, Catilina mostra di prendere atto della situazione senza lasciarsene sopraffare. Sa che le parole non bastano, e tuttavia ha convocato i suoi per incoraggiarli e farli partecipi della sua decisione. I soldati, da parte loro, sanno quali sono le circostanze in cui si trovano dopo l’errore di Lentulo, e devono contare solo sulle proprie forze. Tra loro e il comandante viene così a profilarsi un rapporto di parità, un destino comune. – socordia … attulerit: interrogativa indiretta dipendente da Scitis, come la successiva quoque … nequiverim; socordia atque ignavia: «l’inerzia e la viltà». Lentulo aveva ingenuamente svelato i piani della congiura a una delegazione di Allobrogi, una popolazione gallica sottomessa che mal sopportava le angherie del dominio romano, nel tentativo di trovare un sostegno esterno alla rivolta. Cicerone, informato preventivamente sulle intenzioni dei congiurati, aveva sfruttato l’occasione per promettere salvezza alla delegazione in cambio del tradimento: gli ambasciatori degli Allobrogi avrebbero dovuto fingere di collaborare per farsi dare

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1. De coniuratione Catilinae

Soldati romani, rilievo in pietra da una colonna del pretorio di Magonza (Mainz, Romisch-Germanisches Zentralmuseum).

quoque modo, dum ex urbe praesidia opperior, in Galliam proficisci nequiverim. 5. Nunc vero quo loco res nostrae sint, iuxta mecum omnes intellegitis. 6. Exercitus hostium duo, unus ab urbe, alter a Gallia obstant; diutius in his locis esse, si maxume animus ferat, frumenti atque aliarum rerum egestas prohibet; 7. quocumque ire placet, ferro iter aperiundum est. 8. Quapropter vos moneo, uti forti atque parato animo sitis et, cum proelium inibitis, memineritis vos divitias, decus, gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris vostris portare. 9. Si vincimus, omnia nobis tuta erunt: commeatus abunde, municipia atque coloniae patebunt; 10. si metu cesserimus, eadem illa advorsa fient, neque locus neque amicus quisquam teget, quem arma non texerint. 11. Praeterea, milites, non eadem nobis et illis necessitudo inpendet: nos pro patria, pro libertate, pro vita certamus, illis supervacaneum est pugnare pro potentia paucorum.

6. Exercitus … obstant: l’esercito di Antonio a sud; quello di Quinto Metello Celere a nord. – si maxume … ferat: «se anche l’animo lo sopportasse»; ipotetica con sfumatura concessiva; maxume = maxime. 7. quocumque … aperiundum est: «ovunque vorremmo andare, dovremo apririci la strada con le armi»; quocumque … placet: relativa dipendente dalla perifrastica passiva aperiundum est; aperiundum = aperiendum. Catilina chiude la sua premessa senza infingimenti: non c’è altra soluzione che impugnare le spade. 8. uti … sitis: «a essere di animo forte e risoluto»; completiva volitiva dipendente da moneo; animo è ablativo di qualità. – cum … inibitis: temporale. – memineritis: introduce una seconda completiva dipendente da moneo e regge a sua volta l’infinitiva oggettiva vos … portare. – in dextris vostris: «nelle vostre mani destre»; dextris è arcaismo per dexteris e vostris per vestris. Per i romani l’opposizione fra mano destra e sinistra è simbolica (da cui l’italiano «mancino», proveniente da un originale mancus, «manchevole, imperfetto»). Non solo dunque ricchezze, onore e gloria sono nelle loro mani, ma, dice Catilina, la stessa libertà e la patria. Il motivo ultimo che deve spingerli alla lotta è la difesa della loro dignitas.

documenti compromettenti riguardo alla congiura, e poter così dimostrare in senato la veridicità del piano di Catilina. – quoque … nequiverim: «e in che modo … io non sia riuscito a partire per la Gallia». – dum … opperior: «mentre attendevo rinforzi da Roma»; proposizioine temporale. Per l’avventatezza di Lentulo, Catilina, che era intenzionato a fuggire in Gallia per raccogliere altre forze, si trova intrappolato fra due eserciti, uno a nord e l’altro a sud: l’unica alternativa che rimane a lui e ai suoi uomini è combattere. 5. quo loco … sint: «a che punto … siano»; nuova interrogativa indiretta dipendente da intellegitis. – iuxta mecum: «al pari di me». Tutto il discorso di Catilina insiste sulla parità di intenti che deve muovere i congiurati.

9. Si vincimus … erunt: periodo ipotetico della realtà, con l’indicativo. L’indicativo non è solo un modo per avvicinare lo scontro e drammatizzare la scena, ma anche per sottolineare che un’alternativa non si pone, quella è l’unica soluzione che resta. – commeatus abunde: sott. erit, «le vettovaglie (saranno) in abbondanza». 10. eadem illa: «quelle stesse cose»; cioè potere, municipi e colonie. – quisquam … teget: «chi le armi non avranno protetto»; relativa con valore eventuale. Nota il polipototo teget … texerint. 11. nobis et illis … inpendet: «sovrasta noi e loro». – necessitudo: è termine arcaico in luogo di necessitas. Sallustio imprime al discorso di Catilina una connotazione quasi religiosa. – illis … paucorum: «per loro è cosa senza valore combattere per la potenza di pochi». Nota la triplice anafora di pro, che si lega con forte effetto patetico all’allitterazione della p in pugnare pro potentia paucorum.

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PERCORSI ANTOLOGICI

12. Quo audacius adgredimini memores pristinae virtutis. 13. Licuit vobis cum summa turpitudine in exilio aetatem agere, potuistis nonnulli Romae amissis bonis alienas opes expectare: 14. quia illa foeda atque intoleranda viris videbantur, haec sequi decrevistis. 15. Si haec relinquere voltis, audacia opus est; nemo nisi victor pace bellum mutavit. 16. Nam in fuga salutem sperare, cum arma, quibus corpus tegitur, ab hostibus avorteris, ea vero dementia est. 17. Semper in proelio eis maxumum est periculum, qui maxume timent; audacia pro muro habetur.

12. Quo: nesso relativo con valore causale. – adgredimini: imperativo deponente. – memores … virtutis: probabile riferimento a chi aveva già combatutto nelle file sillane, come lo stesso Catilina.

dei disperati, dice tra le righe Catilina. – nemo … mutavit: «nessuno se non il vincitore muta la guerra in pace»; sentenza lapidaria: l’unico modo per arrivare alla pace è arrivare al comando, cioè vincere.

13. Licuit: regge la soggettiva aetatem agere. Si tratta di un falso condiziale «avreste potuto», come il successivo potuistis. – nonnulli: apposizione del soggetto sottinteso vos, «alcuni di voi». – amissis bonis: ablativo assoluto. – opes alienas: «la carità altrui».

16. cum … avorteris: costruisci cum avorteris ab hostibus arma, quibus tegitur corpus «dopo aver stornato dal nemico le armi, con le quali si difende il corpo»; cioè le armi che sono a nostra difesa; avorteris = averteris: «tu» generico con valore impersonale. Se si smette di attaccare il nemico, sperare di salvarsi fuggendogli è da ingenui. – ea: riferito alla soggettiva in fuga salutem sperare.

14. quia … videbantur: proposizione causale; videor è costruito personalmente; intoleranda è gerundivo con funzione predicativa: «da non tollerare», «intollerabili»; viris: «per dei veri uomini». – haec: in netta contrapposizione con illa, cioè con la strada dell’esilio, della carità, del disonore. 15. Si haec … opus est: «Se volete uscirne, ci vuole coraggio»; audacia è ablativo retto da opus est. Il coraggio è l’unica arma

1.16

La morte di Catilina

17. eis … est: dativo di possesso; eis introduce la relativa con valore eventuale qui … timent; maxume = maxime. – audacia … habetur: «l’audacia è come un baluardo»; un’altra citazione dalla Ciropedia di Senofonte (3,3,45); il passo ritornerà anche nel discorso di Mario davanti al senato, nel Bellum Iugurthinum (D TESTO 2.12).

(De coniuratione Catilinae 60-61)

Sono i due capitoli finali dell’opera. Sallustio completa il profilo di Catilina con la narrazione della sua morte valorosa. Nel capitolo 5 (D TESTO 1.3), lo storico aveva delineato la figura di un uomo potenzialmente eroico, le cui qualità erano però volte al male. Ora il cerchio si chiude. Per Catilina, il riscatto è possibile solo morendo in battaglia, dopo essersi dimostrato un valoroso combattente e un abile comandante (strenui militis et boni imperatoris officia simul exequebatur), memore in quell’estremo momento della sua stirpe e della dignità passata (memor generis atque pristinae suae dignitatis). Anche nei suoi ultimi momenti, Catilina si conferma, nella fierezza del volto, l’irriducibile ribelle che era stato in vita.

60,1. Sed ubi omnibus rebus exploratis Petreius tuba signum dat, cohortis paulatim incedere iubet; idem facit hostium exercitus. 2. Postquam eo ventum est, unde a ferentariis proelium committi posset, maxumo clamore cum infestis signis

60,1. ubi … dat: proposizione temporale; dat ha valore causativo, «fa dare». – omnibus … exploratis: ablativo assoluto; anch’esso con valore temporale. – Petreius: è il luogotenente di Antonio, assente dal campo per malattia o, più probabilmente, per sottrarsi allo scontro con il suo vecchio amico Catilina. – cohortis … iubet: «ordina alla coorti di avanzare lentamente»; cohortis = cohortes: accusativo plurale, soggetto dell’infinitiva.

2. Postquam … ventum est: «Dopo che si giunse»; temporale con il perfetto passivo impersonale. – eo … unde: «là … dove»; unde introduce la relativa impropria con sfumatura consecutiva retta da posset. – ferentariis: i ferentari erano soldati armati alla leggera che aprivano la battaglia lanciando frecce e pietre, prima dell’ingresso della fanteria. – maxumo clamore: «con altissime grida»; lo scontro tra le fanterie era violentissimo e sostenuto dalle grida dei soldati, che correvano letteralmente

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1. De coniuratione Catilinae

Particolare di un mosaico raffigurante un soldato romano.

concurrunt; pila omittunt, gladiis res geritur. 3. Veterani pristinae virtutis memores comminus acriter instare, illi haud timidi resistunt: maxuma vi certatur. 4. Interea Catilina cum expeditis in prima acie vorsari, laborantibus succurrere, integros pro sauciis arcessere, omnia providere, multum ipse pugnare, saepe hostem ferire; strenui militis et boni imperatoris officia simul exequebatur. 5. Petreius ubi videt Catilinam, contra ac ratus erat, magna vi tendere, cohortem praetoriam in medios hostis inducit eosque perturbatos atque alios alibi resistentis interficit. Deinde utrimque ex lateribus ceteros adgreditur. 6. Manlius et Faesulanus in primis pugnantes cadunt. 7. Catilina postquam fusas copias seque cum paucis relicuom videt, memor generis atque pristinae suae dignitatis in confertissumos hostis incurrit ibique pugnans confoditur. 61,1. Sed confecto proelio, tum vero cerneres, quanta audacia quantaque animi vis fuisset in exercitu Catilinae. 2. Nam fere quem quisque vivos pugnando locum ceperat, eum amissa anima corpore tegebat.

lo stesso Catilina dice nel suo primo discorso davanti ai congiurati a Roma (20,16 D TESTO 1.7): Vel imperatore vel milite me utimini, «Servitevi di me come comandante o come soldato». Mettendo in risalto la sua coerenza, Sallustio proietta il personaggio in una dimensione eroica.

gli uni contro gli altri. – cum infestis signis: «con le insegne rivolte contro il nemico». – pila … geritur: «gettano i giavellotti, si combatte con le spade»; il pilum era un’asta di legno lunga un paio di metri e coronata da una cuspide. Il fatto che i due eserciti tralascino questa fase della battaglia, che prevedeva appunto il lancio incrociato dei giavellotti, dà la misura della velocità dello scontro, che passa subito al corpo a corpo. 3. Veterani: i soldati di Petreio. – comminus … instare: «incalzano violentemente da vicino»; instare è infinito narrativo. – haud timidi: «per nulla intimoriti»; litote con valore rafforzativo. 4. Interea Catilina: lo sguardo di Sallustio si sposta su Catilina, ritratto con una serie di sei infiniti narrativi che rendono il lavoro instancabile del comandante e del valoroso soldato che egli mostra di essere. – cum expeditis: i soldati armati alla leggera, con i quali Catilina si sposta velocemente sul campo dando supporto a chi è in difficoltà. – in prima acie … ferire: «imperversa in prima linea, porta aiuto a chi è in pericolo, chiama soldati freschi al posto dei feriti, provvede a tutto, egli stesso combatte con valore, ferisce spesso il nemico». – strenui … exequebatur: «adempiva a un tempo ai doveri di valoroso soldato e di comandante»; exequebatur chiude la serie degli infiniti narrativi fissandone l’eco nell’aspetto imperfettivo del verbo, che continua la sua azione nel tempo. Ricorda quanto

5. Petreius: l’azione ritorna nuovamente su Petreio, che accortosi della furia di Catilina decide di lanciare contro il centro della battaglia la corte pretoria, i soldati scelti che costituivano la guardia del corpo del comandante e venivano impiegati solo nei momenti decisivi di una battaglia. – ubi videt: temporale. – contra … erat: «contrariamente a quanto aveva supposto»; Sallustio tiene a sottolinare che il disprezzo diffuso per Catilina e per i suoi non teneva conto del loro coraggio e del loro effettivo valore sul campo. – in medio hostis: «contro il centro nemico»; hostis = hostes, con valore predicativo. – eosque … interficit: «e scompigliati, mentre resistono chi qua chi là, li massacra»; perturbatos … resistentis (=resistentes): participi congiunti con eos, con valore predicativo. – ex lateribus … adgreditur: «li assale dai fianchi». Dopo lo sfondamento centrale ad opera della corte pretoria Petreio assale l’esercito dei catilinari dall’interno, colpendo le due ali e smembrandolo definitivamente. 6. Manlius et Faesulanus: i due luogotenenti di Catilina che comandavano, rispettivamente, l’ala destra e l’ala sinistra. – in primis: «in prima fila»; riferibile preferibilmente a pugnantes. 7. postquam … videt: temporale. Nota il chiasmo patetico fusas copias seque cum paucis relicuom; relicuom = reliquum. Catilina si guarda intorno e capisce di non avere scampo; memore della sua stirpe e della passata dignità, si lancia in mezzo ai nemici. – confertissumos = confertissimos «la parte più fitta»; hostis = hostes. – ibique … confoditur: «e lì, combattendo, viene trafitto». 61,1. confecto proelio: ablativo assoluto. – cerneres: «avresti potuto vedere»; congiuntivo potenziale alla seconda persona con valore impersonale; regge l’interrogativa indiretta quanta … fuisset. – audacia: come abbiamo visto, è termine chiave dell’ultimo discorso di Catilina (D TESTO 1.15). 2. Nam … tegebat: costruisci Nam quisque amissa anima tegebat fere corpore eum locum, quem ceperat pugnando vivos, «Ciascuno infatti, persa la vita, teneva all’incirca col suo corpo la stessa posizione che aveva tenuto combattendo da vivo»; amissa anima è ablativo assoluto; vivos ha valore predicativo. Dunque i catilinari, pur in netta minoranza, avevano tenuto la posizione senza indietreggiare.

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PERCORSI ANTOLOGICI

3. Pauci autem, quos medios cohors praetoria disiecerat, paulo divorsius, sed omnes tamen advorsis volneribus conciderant. 4. Catilina vero longe a suis inter hostium cadavera repertus est, paululum etiam spirans ferociamque animi, quam habuerat vivos, in voltu retinens. 5. Postremo ex omni copia neque in proelio neque in fuga quisquam civis ingenuos captus est: 6. ita cuncti suae hostiumque vitae iuxta pepercerant. 7. Neque tamen exercitus populi Romani laetam aut incruentam victoriam adeptus erat. Nam strenuissumus quisque aut occiderat in proelio aut graviter volneratus discesserat. 8. Multi autem, qui e castris visundi aut spoliandi gratia processerant, volventes hostilia cadavera, amicum alii, pars hospitem aut cognatum reperiebant; fuere item qui inimicos suos cognoscerent. 9. Ita varie per omnem exercitum laetitia, maeror, luctus atque gaudia agitabantur.

3. quos … disiecerat: «che la corte pretoria aveva scompigliato al centro»; medios ha valore predicativo. – paulo … conciderant: «erano caduti un po’ qui un po’ là, ma tutti con ferite al petto». Pur costretti a indietreggiare, scompaginandosi, i soldati delle schiere centrali non avevano voltato le spalle al nemico ed erano perciò stati colpiti al petto; divorsius = diversius; advorsis volneribus = adversis vulneribus: ablativo di qualità o di causa; nota l’allitterazione, che riprende anche il precedente divorsius.

7. laetam … erat: «aveva riportato una vittoria lieta o incruenta». Anche per l’esercito romano il sapore della vittoria è amaro. – strenuissumus quisque: «i più valorosi»; strenuissumus è una forma di superlativo arcaico in luogo del più diffuso maxime strenuus. – graviter … discesserat: «(ne) erano usciti gravemente feriti»; volneratus = vulneratus.

5. quisquam … est: «nessun cittadino libero fu fatto prigioniero»; ingenuos = ingenuus; è il cittadino «nato libero», a differenza dei liberti che lo sono diventati. Il discrimine di Sallustio suggerisce, da una parte, la presenza di liberti e uomini «nati liberi» dentro le file dei catilinari; dall’altra la difesa strenua, a oltranza, della loro dignitas, che ha fatto loro preferire la morte piuttosto che una prigionia indegna di un romano.

8. qui … processerant: «che si erano spinti (fin là: sul campo di battaglia). – visundi … gratia: «per vedere o per predare»; gratia + genitivo del gerundio è uno dei modi in cui si può costruire la finale. – volventes … reperiebant: «rivoltando i cadaveri dei nemici riconoscevano chi un amico, chi un conoscente, chi un parente»; nota la variatio e il chiasmo nella combinazione amicum alii, pars hospitem aut cognatum. È senza dubbio il vertice drammatico del finale e forse di tutta l’opera. Al posto del trionfo, Sallustio preferisce la desolante scena del campo di battaglia, sul quale i vincitori depredano i cadaveri dei vinti, accorgendosi, sembra ora per la prima volta, che si tratta di loro concittadini. È la degna chiusura di un’opera incentrata su un personaggio tragico, che porta in sé le contraddizioni di una società avida, spregiudicata, fiera, vittima della discordia. – fuere … qui: «ci furono coloro che…».

6. ita … pepercerant: «a tal punto tutti quanti avevano risparmiato allo stesso modo la propria vita e quella dei nemici»; tutti cioè erano morti vendendo cara la pelle; parco regge il dativo.

9. laetitia … agitabantur: «si mescolavano allegrezza, tristezza, gioia e dolore»; ancora un chiasmo, questa volta semantico, tra le due coppie antitetiche laetitia, maeror, luctus atque gaudia.

4. longe a suis: «lontano dai suoi». Al culmine della battaglia, Catilina si era lanciato sulle schiere nemiche trovando la morte. – paululum … retinens: «mentre ancora respirava e mostrava in volto quella fierezza d’animo che aveva avuto da vivo»; vivos = vivus; nota l’elegante allitterazione vivos in voltu (= vultu), a rimarcare la sdegnosa compostezza che Catilina mostra anche in punto di morte.

Analisi del testo I temi e le idee La battaglia ha inizio ed è subito violentissima. Catilina corre da una parte all’altra, instancabile, soccorre i feriti, rimpingua le file, gestisce tutto, combatte egli stesso con furia. Tutti i gesti del comandante sottolineano la coerenza di ciò che aveva detto davanti ai congiurati a Roma: Vel imperatore vel milite me utimini, «Servitevi di me come comandante o come soldato» (20,16, D TESTO 1.7). Le forze degli avversari sono nettamente superiori; anzi, la loro superiorità è fin dall’inizio talmente scontata che lo stesso Petreio che comanda l’esercito repubblicano si stupisce della strenua resistenza dei catilinari, come dire che il senato li ha sempre sottovalutati, ma si tratta di uomini di grande coraggio. Anche per questo la loro sconfitta ha un sapore amaro. Morto Ca-

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1. De coniuratione Catilinae tilina, lo sguardo di Sallustio si innalza sorvolando un desolante campo di battaglia. I vinti hanno mostrato grande coraggio e non sono indietreggiati; quelli al centro, nota Sallustio, rifiutandosi di girare le spalle al nemico che li incalzava sono morti colpiti al petto. Il cadavere di Catilina è addirittura in mezzo a quelli dei nemici, tanto è stato lo slancio con cui, combattendo, ha trovato la morte. Ma anche i vincitori non sembrano così felici. Chi non è caduto sul campo e va in cerca di bottino, voltando i cadaveri degli sconfitti riconosce ora un parente, ora un amico, ora un semplice concittadino. È la scena più amara dell’opera: a questo ha portato la discordia che ha rovinato la società romana.

La lingua e lo stile L’apparato retorico-stilistico è imponente, soprattutto nell’ultimo capitolo, in cui la descrizione assume un taglio più riflessivo. Un po’ ovunque ritroviamo la combinazione tipicamente sallustiana di chiasmo e variatio: vedi il patetico fusas copias seque cum paucis relicuom, che mette in risalto la tensione, l’unità di anima e corpo, la totale immersione di Catilina nella battaglia. In chiusura possiamo osservare il chiasmo semantico laetitia, maeror, luctus atque gaudia, con le due coppie tra loro antitetiche e la variazione di numero e di coordinazione (asindeto + congiunzione). Ancora notevole è l’esplicitario amicum alii, pars hospitem aut cognatum, un vero e proprio alternarsi di affetti discordanti e contraddittorii, un’eco perdurante delle contraddizioni di tutto un popolo. Ricca la serie delle allitterazioni e degli arcaismi, anche associati: divorsius … advorsis volneribus; vivos, in voltu; Postremo ... copia … in proelio ... captus est. Il tutto teso a drammatizzare la scena e a fissarla in una dimensione assoluta, lontana dal tempo. Ma la bravura di Sallustio si misura soprattutto nella complessità della narrazione, che in un’opera influenzata dagli stilemi della tragedia potrebbe facilmente cadere in secondo piano. Invece ecco la sapiente alternanza di tempi che distingue i due capitoli conclusivi: il primo dominato da una rapida sequenza di infiniti narrativi in funzione mimetica (Interea Catilina … vorsari … succurrere … arcessere … ecc.); il secondo introdotto da un secco ablativo assoluto (confecto proelio), scandito su imperfetto e perfetto, a indicare lo sguardo ormai postumo di Sallustio sulla congiura. Scena di battaglia, particolare di un sarcofago romano, ii secolo d.C.

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PERCORSI ANTOLOGICI

FIGURE TEMI MOTIVI

Il moralismo nella storiografia latina (Sallustio, Livio, Tacito) Per «moralismo» nella storiografia romana si intende la tendenza a interpretare la storia secondo le categorie di vizio e virtù. Radicate nella forma mentis dell’uomo romano, queste due categorie influenzano la riflessione storica formalizzandosi in una serie di topoi ed espressioni ricorrenti, una sorta di «linguaggio» comune che si tramanda da un autore all’altro. Il primo e più diffuso di questi topoi è senza dubbio il declino inarrestabile della storia, che vista da momenti diversi mostra comunque il suo andamento discendente: la società è sempre più corrotta. Il secondo (e conseguenza del primo) è che non si dà alcuna possibilità di cambiamento se non nel deterioramento stesso della società. È quel comune senso di pessimismo che, pur nelle diversità delle loro esperienze, accomuna i tre grandi storici della letteratura latina: Sallustio, Livio e Tacito.

SALLUSTIO

Sallustio è il primo «moralista» della storiografia latina. La sua opera si contraddistingue sin dall’inizio per un certo «catonismo dello stile» (A. La Penna), ovvero, come abbiamo avuto modo di notare, per la tendenza a radicalizzare il linguaggio in senso retorico, esasperando i chiaroscuri e semplificando il racconto storico a fini drammatici. L’etica di Sallustio, se paragonata per esempio a quella di Cicerone, è più stereotipica, formalizzata. La caratterizzazione dei personaggi ne fissa la psicologia in forme tendenzialmente rigide, così un pur ricco e contraddittorio personaggio come Catilina sembra infine vittima delle sue contraddizioni e dei suoi vizi. Il moralismo di Sallustio affonda le sue radici nell’ideologia rurale-militare del ceto provinciale da cui proviene, avverso tanto alla corrotta élite senatoria quanto alla plebe urbana. Al momento di indagare la cause che hanno portato al declino di Roma, Sallustio riconduce tutto alla perdita di quella dimensione che ha fatto grande la storia di Roma. La distruzione di Cartagine ha eliminato il metus hostilis; le campagne asiatiche di Silla hanno prodotto amore per il lusso sfrenato, invidia e avidità: tutto è sintomo di una perdita, di una scissione tra le antiche leggi e i bisogni della vita associata. Questa deformazione patologica ha il suo fulcro, nella visione dello storico, nella violenza che serpeggia in seno alla società. Testimone diretto di mezzo secolo di guerre civili, egli vede nella violenza e nella discordia un pericolo letale per le istituzioni. Il suo moralismo è una reazione di difesa, una sorta di istinto di protezione: per lui, «come effetto più drammatico, attuato via via, e presente sempre alla mente quale incubo di una consumazione finale, [la violenza] si determina in aggressione allo Stato» (Sandra Citroni Marchetti, Plinio il Vecchio e la tradizione del moralismo romano, Pisa, Giardini, 1991, p. 96).

LIVIO

Il caso di Livio, letterato e non uomo politico, anch’egli di estrazione provinciale, è interessante per intendere la direzione in cui si sviluppa il moralismo sallustiano. Sin dalla Praefatio, Livio indica nella corruzione dei costumi la causa della decadenza di Roma («le ricchezze hanno trascinato con sé l’avidità, e i soverchi piaceri hanno condotto alla bramosia di rovinarsi e di rovinare ogni cosa tra il lusso e le libidini», 12; trad. L. Perelli). Livio mostra di aver fatto proprio l’insegnamento di Sallustio: nella sua lettura della realtà, il fatto morale fornisce la chiave interpretativa per intendere la storia romana, dalle origini (Ab Urbe condita), all’inarrestabile ascesa della città, sino al suo attuale declino. È a questa visione d’insieme che si possono ascrivere gli exempla morali liviani, cioè gli esempi di virtù di quei personaggi che con le loro gesta e con il loro sacrificio hanno incarnato i principi del mos maiorum. Per Livio – ed è questa la prima differenza notevole rispetto a Sallustio – la storia ha un valore pedagogico: «questo soprattutto è utile e salutare nello studio della storia, l’avere davanti agli occhi esempi di ogni genere testimoniati da un’illustre tradizione; di qui potrai prendere ciò che devi imitare per il bene tuo e del tuo Stato, di qui ciò che devi evitare, perché turpe nei moventi e negli effetti» (Praefatio 10; trad. L. Perelli). Nell’apertura del moralismo liviano, tuttavia, noi vediamo pure il banalizzarsi delle motivazioni autentiche che informavano l’opera di Sallustio. Estraneo tanto alla politica dello

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1. De coniuratione Catilinae

TACITO

Stato quanto ai complessi rapporti di forza tra l’imperatore e le nuove classi dirigenti, Livio trova nel glorioso passato di Roma un motivo di rivisitazione nostalgica più che un’occasione per indagare la cause del principato. Di indole e di formazione conservatrice, egli vede nella classe senatoria la depositaria della tradizione repubblicana, ma a differenza del suo predecessore sembra essere tacitamente consapevole dall’impossibilità di un suo ritorno al potere, sicché, come ha notato lo storico Emilio Gabba, il suo moralismo deve essere inteso in una dimensione etica e non politica: «Livio è perfettamente consapevole […] dell’alto valore ideale della storia delle origini di Roma quale premessa per i futuri destini imperiali della città. Per questo egli non si sente disposto a far cadere il mito e la leggenda che costituiscono un patrimonio morale e tradizionale per la città, al di là della verità storica, qualunque essa possa essere» (E. Gabba, Storia e letteratura antica, Bologna, il Mulino, 2001, pp. 26-27). La «verità storica» torna invece in primo piano nell’ultimo e forse più grande storico latino: Tacito. Sin dall’incipit degli Annales, Tacito sottolinea il suo proposito di raccontare gli eventi sine ira et studio («senza avversione né simpatia», Annales 1,1; trad. Bianca Ceva), offrendone una ricostruzione fondata su un’accurata collazione delle fonti. La tendenza tacitiana di indulgere in coloriti racconti di tipo biografico non intacca la veridicità del suo racconto; il suo moralismo, che riprende da Livio l’uso degli exempla virtutis (ne virtutes sileantur,, «perché le virtù non passino sotto silenzio», Annales 3,65), è temperato dalla consapevolezza che le manifestazioni virtuose di singoli uomini, se pure valgono come modelli di virtù per i posteri, non possono cambiare la realtà che li circonda. Autorevole membro del senato, ma consapevole della necessità storica del principato, Tacito ha visto il «grande futuro» dell’impero di Augusto incarnarsi in figure tutto sommato mediocri come Tiberio, Claudio, Galba, Otone, Vitellio; o peggio ancora nel tirannico e sanguinario principato di Nerone. Il suo pessimismo è più radicale e anche più autentico di quello liviano, e corroborato dalla delusione per l’impossibilità di un vero riequilibrio tra principato e libertas come pure avevano fatto sperare Nerva e Traiano. Non è un caso che tra gli exempla virtutis brillino quelli in mortem, gli exitus virorum inlustrium, le «morti degli uomini illustri», in massima parte costretti al suicidio dall’ingiusta violenza del potere (Seneca, Petronio, Trasea Peto). Per Tacito, la parabola della storia di Roma coincide infine con quella di questi uomini, come se la loro grandezza ormai non si rivelasse più a vantaggio, ma «contro» lo Stato romano. In Tacito moralismo e pessimismo tornano ad avere, come già in Sallustio, una precisa connotazione politica.

Il togato Barberini, marmo, fine i secolo a.C. (Roma, Musei Capitolini).

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PERCORSI ANTOLOGICI

Oltre Sallustio Leopardi: il Dialogo di un lettore d’umanità e di Sallustio Reduce da sette anni di studio «matto e disperatissimo», nel 1819, accanto alla nuova poesia degli Idilli e al progetto di un romanzo wertheriano, Leopardi progetta una serie di «dialoghi satirici alla maniera di Luciano, ma tolti i personaggi e il ridicolo dai costumi presenti o moderni» (G. Leopardi, Scritti letterari, Firenze, Le Monnier, vol. II, p. 267). Un anno più tardi, in una lettera a Pietro Giordani, scrive: «In questi giorni, quasi per vendicarmi del mondo e anche della virtù, ho immaginato e abbozzato certe prosette satiriche» (Lettere, 285). Sono i primi accenni di un’opera che verrà composta in gran parte nel corso del 1824, ma vedrà la luce solo nel 1827 col titolo di Operette morali. Delle venti operette che compongono questa prima edizione del ’27, il Dialogo di un lettore d’umanità e di Sallustio compare al quinto posto. Lo spunto è già in una pagina del diario di pensieri che prende il nome di Zibaldone e che rappresenta per molti versi il prologo ideale delle Operette. La nota porta la data del 4 febbraio 1821 (Zibaldone, pp. 606-7): Cum proelium inibitis, (moneo vos ut) memineritis vos divitias, decus, gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris vestris portare. Parole che Sallustio (B. Catilinar. c.61 al.58.) mette in bocca a Catilina nell’esortazione ai soldati prima della battaglia. Osservate la differenza dei tempi. Questa è quella figura rettorica che chiamano Gradazione. Volendo andar sempre crescendo, Sallustio mette prima le ricchezze, poi l’onore, poi la gloria, poi la libertà, e finalmente la patria, come la somma e la più cara di tutte le cose. Oggidì, volendo esortare un’armata in simili circostanze, ed usare quella figura si disporrebbero le parole al rovescio: prima la patria, che nessuno ha, ed è un puro nome; poi la libertà che il più delle persone amerebbe, anzi ama per natura, ma non è avvezzo neanche a sognarla, molto meno a darsene cura; poi la gloria, che piace all’amor proprio, ma finalmente è un vano bene; poi l’onore, del quale si suole aver molta cura, ma si sacrifica volentieri per qualche altro bene; finalmente le ricchezze, per le quali onore, gloria, libertà, patria e Dio, tutto si sacrifica e s’ha per nulla: le ricchezze, il solo bene veramente solido secondo i nostri valorosi contemporanei: il più capace anzi di tutti questi beni il solo capace di stuzzicar l’appetito, e di spinger davvero a qualche impresa anche i vili. (4. Feb. 1821.) L’operetta, il cui manoscritto porta la data del 26-27 febbraio 1824, è incentrata sul dialogo immaginario fra Sallustio e un lettore moderno intorno al significato di questa gradatio (D TESTO 1.16), che serve a Leopardi per denunciare il capovolgimento di valori presso noi moderni con una serie di ironiche frecciatine al povero Sallustio, il quale finisce per ritrattare parte delle sue parole piegandole alle mutate necessità di oggi. Ecco il testo che si ritrova nell’Appendice alle Operette morali: Dialogo di un lettore d’umanità e di Sallustio. Lettore. Figliuoli, questo luogo del testo non mi contenta; e ve ne ammonisco acciocché l’autorità di Sallustio non v’induca in errore. Sallustio. Che si va mormorando dei fatti miei? Se avessi saputo che l’invidia non muore in mille novecent’anni, io toglieva d’essere invidioso piuttosto che eccellente.

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1. De coniuratione Catilinae. Bellum Catilinae Lettore. Chi sei tu? Sallustio. L’autore che tu hai nelle mani. Lettore. Tu vuoi dire l’autor del libro che ho nelle mani, ma per amore di brevità non hai rispetto a darmiti in pugno personalmente. Or come sei tu qui? Ma comunque ci sii, non rileva. Io vorrei che tu mi sciogliessi una difficoltà che mi nasce in un passo qui dell’aringa che tu fai sotto nome di Catilina quando sta per dare la battaglia alle genti del proconsole. Il passo è questo: Quapropter vos moneo uti forti atque parato animo sitis, et quum proelium inibitis memineritis vos divitia, decus, gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris vestris portare. Dimmi: alla scuola di Nigidiano1 o di Fausta2, o pure in Numidia3 al tempo che attendevi a far bene ai popoli sgravandoli del loro avere, o dove e quando si sia, studiasti tu di rettorica? Sallustio. Così studiassi tu d’etica. Che dimande sono coteste? Lettore. Non andare in collera: così possa tu guarire dei segni delle staffilate che rilevasti da Milone4 per amore della bellezza. Dimmi in cortesia: che figura intendevi tu di adoperare in questo passo? quella che i miei pari chiamano della gradazione, o qualche altra? Sallustio. Maestro sì, quella. Lettore. La gradazione sale o scende com’è l’occorrenza; ma qui conviene che salga, cioè a dire che delle cose che tu nomini, la seconda sia maggiore della prima, la terza della seconda, e così l’altre, in modo che l’ultima vorrebbe essere la maggiore di tutte. Non dico io vero? Sallustio. Oh verissimo. Lettore. Ma tu, caro Crispo, sei proprio andato come il gambero, o come vanno le persone prudenti quando veggono l’inimico. La prima cosa che tu nomini è la ricchezza, la quale dice Teognide5 che si dee cercare al caldo e al freddo, per terra e per acqua, balzando a un bisogno giù dalle rocce, scagliandosi in mare, e non perdonando a pericolo né a fatica che torni a proposito. La seconda è l’onore, del quale una gran parte degli uomini fa capitale, ma non tanto, che non lo venda a buon mercato. La terza è la gloria, che piacerebbe a molti, se la potessero acquistare senza fatica e senza scomodo; ma non potendo, ciascuno si contenta di lasciarla stare. La quarta è la libertà, della quale non si ha da far conto. L’ultima è la patria, e questa non si troverebbe più al mondo, se non fosse nel vocabolario. Insomma la cosa che tu metti per ultima, non

1 di Nigidiano: cioè di Publio Nigidio Figulo, erudito e grammatico romano contemporaneo di Sallustio. 2 Fausta: figlia di Silla e moglie di Milone (cfr. il Profilo e la nota 4): nel 50 a.C. Sallustio fu accusato di adulterio con Fausta e cacciato per condotta immorale dal senato. L’accusa, che probabilmente mascherava uno spregiudicato attacco politico, segnò il

confinamento di Sallustio ai margini della politica romana. L’ironica allusione di Leopardi è ovviamente all’adulterio. 3 Numidia: come sappiamo, nel 46 a.C. Cesare affidò a Sallustio il governo della nuova provincia d’Africa, la Numidia. Durante il suo incarico Sallustio fu accusato di malversazioni ed estorsioni ai danni dei provinciali, e scampò all’accusa

grazie all’intervento dello stesso Cesare (che lo aiutò dietro compenso). Un’altra dura frecciata di Leopardi all’ambigua moralità sallustiana. 4 Milone: Tito Annio Milone, tribuno della plebe nel 57 a.C. e pretore nel 55 a.C. Durante gli scontri che insaguinarono la città alla vigilia dello scontro tra Cesare e Pompeo, uccise il tribuno Publio Clodio Pulcro (il fratello della Lesbia cantata

da Catullo). Sallustio, legato a Cesare e ai populares, si schierò decisamente contro Milone che, difeso da Cicerone, fu poi condannato all’esilio. Le sferzate di cui parla Leopardi sono quelle che, secondo Gellio, Sallustio dovette subire dallo stesso Milone in seguito alla denuncia di adulterio. 5 Teognide: poeta greco vissuto tra il vi e il v secolo a.C., autore di celebri versi elegiaci.

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PERCORSI ANTOLOGICI solo non è maggiore di tutte l’altre, ma già da un gran pezzo non è più cosa; l’altre importano ciascheduna più della susseguente; e la prima è tale che gli uomini per ottenerla sono pronti a dare in occasione la patria, la libertà, la gloria, l’onore, che sono quegli altri tuoi beni; e darli tutti, in un fascio; e farci la giunta se occorre. Oh vedi se questo era nome da rimpiattarlo in un cantuccio della clausola, come ti fossi vergognato di scriverlo. Veramente se Catilina adoperò questa figura al rovescio come tu la reciti, io non mi maraviglio che ei non movesse gli uditori, e ben gli stette che si portarono male e perdettero la giornata. Sallustio. Forse io potrei rispondere che dal mio tempo a cotesto ci corre qualche divario d’opinioni e di costumi circa quel che tu dici. Ma in ogni modo il tuo discorso mi capacita, e però scancella questo passo e tornalo a scrivere così come io ti detto. Lettore. Dì pure. Sallustio. Et quum proelium inibitis memineritis vos gloriam, decus, divitias, praeterea spectacula, epulas, scorta, amimam denique vestram in dextris vetris portare. Lettore. Ecco fatto. Così mi piace e sta bene. Salvo che i cinque ultimi capi hanno tanto di persuasivo, che io comincio a temere del successo della battaglia, se Antonio o Petreio non fanno alle loro genti un’altra orazione su questa corda.

Prima edizione delle Operette morali di Leopardi pubblicata a Napoli da Saverio Starita, 1835.

Non sappiamo cosa spinse Leopardi a espungere questo Dialogo (che ora si può leggere appunto nell’Appendice alle Operette morali) dalla definitiva edizione napoletana del 1835. I critici propendono ora per una ragione tematica – un dialogo incentrato su una figura retorica doveva parere troppo scolastico al Leopardi maturo, – ora stilistica (o di genere): una satira nuda, meramente negativa cozzava con la complessità e ricchezza sentimentale e con la densità filosofica delle altre operette. Quel che è certo è che in esso si trova quel contrasto tra illusione e ragione, tra eroismo e mediocrità che è il punto di partenza dell’indagine filosofica leopardiana e il punto di arrivo della sua riflessione sul mondo antico; una riflessione basata su una conoscenza di prima mano tra le più approfondite e consapevoli di tutto il Romanticismo. In questo senso, la scelta di Sallustio per Leopardi non dev’essere stata affatto pretestuosa: il rapporto con la politica e le aspettative di rinnovamento del proprio tempo; la consapevolezza delle contraddizioni profonde fra anima e corpo (D TESTO 1.1); il risentimento nei confronti di una vicenda biografica sentita come ingiusta (quello scrivere sferzando «quasi per vendicarmi del mondo e anche della virtù») sono qualità che non faremmo difficoltà ad ascrivere allo stesso Sallustio. Così, se sul versante stilistico Leopardi afferma varie volte di aver seguito l’esempio dell’atticismo greco più che della manierata eleganza latina – da cui il nitore, la chiarezza, l’armonia e l’unitarietà complessive della prosa delle Operette – dall’altra è pur vero che all’esempio atticista si devono ascrivere anche caratteristiche antitetiche rispetto alla concinnitas ciceroniana, caratteristiche che lo avvicinano idealmente a Sallustio: il gusto per un prosa agile, a geometria variabile (vedi quello sallustiano per la variatio); una prosa innervata dalla riflessione filosofica ed etica ma al tempo stesso capace di improvvise accensioni di pathos; infine un uso dell’arcaismo «peregrino», come nota Leopardi, e mai erudito: «Parole e modi – scrive nello Zibaldone –dove l’antichità si può conoscere, ma per nessun conto sentire» (28 maggio 1821, p. 1099).

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1. De coniuratione Catilinae

Laboratorio Verifica del percorso Quesiti a risposta aperta (max 5 righe). 1 Quali sono i modelli dello stile sallustiano e in che rapporto sono con i valori etici dello storico? 2 Che cosa indicano i termini brevitas e variatio? 3 Quali sono i tratti salienti del personaggio di Catilina e come emergono a livello drammatico? 4 Che cosa distingue, nelle rispettive argomentazioni, i due personaggi di Cesare e di Catone? Trattazione sintetica di argomenti (max 15 righe). 5 La congiura di Catilina: illustra i motivi che hanno spinto Sallustio a trattare questo tema. 6 Ripercorri le fasi del rapporto biografico e politico tra Sallustio e Cesare.

Lavorare sul testo

I boni mores di Roma arcaica

(De coniuratione Catilinae 9)

1. Igitur domi militiaeque boni mores colebantur; concordia maxuma, minima avaritia erat. Ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat. 2. Iurgia, discordias, simultates cum hostibus exercebant, cives cum civibus de virtute certabant. In suppliciis deorum magnifici, domi parci, in amicos fideles erant. 3. Duabus his artibus, audacia in bello, ubi pax evenerat aequitate, seque remque publicam curabant. 4. Quarum rerum ego maxuma documenta haec habeo, quod in bello saepius vindicatum est in eos qui contra imperium in hostem pugnaverant quique tardius revocati proelio excesserant, quam qui signa relinquere aut pulsi loco cedere ausi erant; 5. in pace vero quod beneficiis magis quam metu imperium agitabant, et accepta iniuria ignoscere quam persequi malebant.

1. In pace e in guerra, dunque, era onorata la buona condotta; regnava la concordia, non si conosceva brama di arricchire; il diritto, la morale erano osservati non in forza di leggi ma per impulso naturale; 2. contese, discordie, inimicizie se ne avevano solo con i nemici di fuori: tra concittadini, si gareggiava soltanto per il valore. Erano splendidi nel culto reso agli dèi, parchi per sé e fedeli agli amici. 3. Sia nella vita privata sia in quella pubblica, si attenevano a due norme, spietati in guerra, erano equi quando era tornata la pace. 4. Sono cose di cui potrei produrre documenti irrefutabili, poiché in guerra è accaduto di dover punire soldati per essersi lanciati sul nemico contro gli ordini o attardati a combattere dopo il segnale della ritirata, più spesso che per aver disertato o ceduto terreno sotto la pressione nemica. 5. In tempo di pace, d’altro canto, il potere veniva esercitato più con la benevolenza che con il terrore e si preferiva perdonare alle offese anziché punire il colpevole. (trad. L. Storoni Mazzolani)

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PERCORSI ANTOLOGICI

Comprensione 1 Traduci letteralmente il testo con l’aiuto della traduzione d’autore. Analisi del testo 2 Indica quale figura retorica è realizzata dall’espressione concordia maxuma, minima avaritia. 3 Spiega il significato di avaritia: condividi la traduzione «brama di arricchire»? 4 Individua tutti gli arcaismi presenti nel passo. 5 Analizza sotto l’aspetto retorico la sequenza audacia in bello, ubi pax evenerat aequitate. Contestualizzazione 6 Nel brano Sallustio descrive i comportamenti moralmente sani che caratterizzavano lo Stato romano dell’età arcaica: spiega che cosa intende Sallustio per virtus e quali sono secondo lo storico le cause che hanno condotto la società romana alla degenerazione e alla corruzione morale. 7 Illustra quali erano i boni mores di cui i Romani dei tempi più antichi davano prova in tempo di pace, e quali quelli dimostrati in guerra.

Versione e guida all’analisi

Prove di colpo di Stato

(De coniuratione Catilinae 18)

Sed antea item coniuravere pauci contra rem publicam, in quibus Catilina, de qua quam verissume potero dicam. L. Tullo et M. Lepido consulibus, P. Autronius et P. Sulla, designati consules, legibus ambitus interrogati, poenas dederant. Post paulo Catilina pecuniarum repetendarum reus prohibitus erat consulatum petere, quod intra legitimos dies profiteri nequiverat. Erat eodem tempore Cn. Piso, adulescens nobilis, summae audaciae, egens, factiosus, quem ad perturbandam rem publicam inopia atque mali mores stimulabant. Cum hoc Catilina et Autronius, circiter Nona Decembris consilio communicato, parabant in Capitolio Kalendis Ianuariiis L. Cottam et L. Torquatum consules interficere, ipsi fascibus correptis Pisonem cum exercitu ad optinendas duas Hispanias mittere. Ea re cognita, rursus in Nonas Februarias consilium caedis transtulerant. Iam tum non consulibus modo, sed plerisque senatoribus perniciem machinabantur. Quod ni Catilina maturasset pro curia signum sociis dare, eo die post conditam Urbem pessumum facinus patratum foret. Quia nondum frequentes armati convenerant, ea res consilium diremit. Comprensione Traduci il brano proposto. Guida all’analisi morfosintattica Rispondi alle seguenti domande: – quam verissume: che valore ha quam?

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1. De coniuratione Catilinae

– summae audaciae: di quale complemento si tratta? – ad perturbandam rem publicam: che proposizione è? Rilevi un altro caso di questa costruzione? – consilio communicato: di quale costrutto si tratta? Individua altri casi. – maturasset: di quale forma si tratta? Guida all’analisi lessicale e retorica – Definisci le seguenti figure retoriche: adulescens nobilis, summae audaciae; mali mores; consilium caedis. – Rileva gli arcaismi presenti nel passo. – facinus: quali sono i principali significati che può assumere la parola facinus? – factiosus: quali sono i mali mores che secondo Sallustio affliggono la società romana?

Versione e guida all’analisi

Catilina parla davanti al senato

(De coniuratione Catilinae 31)

Quibus rebus permota civitas atque inmutata urbis facies erat. Ex summa laetitia atque lascivia, quae diuturna quies pepererat, repente omnis tristitia invasit: festinare, trepidare, neque loco neque homini cuiquam satis credere, neque bellum gerere neque pacem habere, suo quisque metu pericula metiri. Ad hoc mulieres, quibus rei publicae magnitudine belli timor insolitus incesserat, adflictare sese, manus supplicis ad caelum tendere, miserari parvos liberos, rogitare, omnia pavere, superbia atque deliciis omissis sibi patriaeque diffidere. At Catilinae crudelis animus eadem illa movebat, tametsi praesidia parabantur et ipse lege Plautia interrogatus erat ab L. Paulo. Postremo, dissimulandi causa aut sui expurgandi, sicut iurgio lacessitus foret, in senatum venit. Tum M. Tullius consul, sive praesentiam eius timens sive ira commotus, orationem habuit luculentam atque utilem rei publicae, quam postea scriptam edidit. Sed ubi ille adsedit, Catilina, ut erat paratus ad dissimulanda omnia, demisso voltu, voce supplici postulare a patribus coepit ne quid de se temere crederent: ea familia ortum, ita se ab adulescentia vitam instituisse ut omnia bona in spe haberet; ne existumarent sibi, patricio homini, cuius ipsius atque maiorum pluruma beneficia in plebem Romanam essent, perdita re publica opus esse, cum eam servaret M. Tullius, inquilinus civis urbis Romae. Ad hoc maledicta alia cum adderet, obstrepere omnes, hostem atque parricidam vocare. Tum ille furibundus: «Quoniam quidem circumventus», inquit, «ab inimicis praeceps agor, incendium meum ruina restinguam». Comprensione Traduci il brano proposto.

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