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CAPITOLO 2 L’atomo
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Leggi ponderali della chimica
Le leggi ponderali (dal latino pondus, peso) della chimica, che nel loro insieme forniscono il supporto sperimentale alla teoria atomica, sono tre leggi quantitative che esprimono delle regolarità osservate durante le reazioni chimiche. La loro enunciazione fu resa possibile grazie a numerose osservazioni sperimentali e all’uso sistematico della bilancia per la determinazione della massa delle sostanze prima e dopo una reazione chimica.
1.1 Legge di conservazione della massa Il chimico francese, Lavoisier, prendendo in esame le reazioni chimiche dal punto di vista quantitativo, si pose il problema se in una trasformazione chimica vi fosse una variazione di massa tra reagenti e prodotti. Dopo numerose verifiche sperimentali in cui veniva determinata la massa prima e dopo la reazione chimica, enunciò la legge di conservazione della massa (1789): ✔ in ogni reazione chimica la somma delle masse dei reagenti è uguale alla somma delle masse dei prodotti. Antoine Lavoisier
In altri termini, in una reazione chimica la massa rimane la stessa, quindi non si ha né creazione né distruzione di materia. Volendo eseguire la reazione tra idrogeno e ossigeno e utilizzando 4 g di idrogeno e 32 g di ossigeno, la massa totale dei due reagenti (uguale a 36 g) corrisponde esattamente alla quantità di prodotto (36 g), l’acqua, che si forma alla fine della reazione: idrogeno + ossigeno $ acqua 36 g 4g 32 g
esercizio guidato Calcolare la massa di cloruro di sodio che si forma nella reazione tra 17 g di nitrato di sodio con 11 g di cloruro di calcio, sapendo che tra i prodotti della reazione sono presenti anche 16,4 g di nitrato di calcio. RISOLUZIONE Rappresentando la reazione in termini qualitativi: nitrato di sodio + cloruro di calcio $ cloruro di sodio + nitrato di calcio risulta che la somma delle masse dei reagenti corrisponde al valore di: massa reagenti = ( 17 + 11 ) g = 28 g Poiché la massa dei prodotti deve essere uguale alla massa dei reagenti, la massa del cloruro di sodio corrisponde alla differenza tra la massa dei reagenti e quella del nitrato di calcio: massa cloruro di sodio = ( 28 - 16,4 ) g = 11,6 g
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Leggi ponderali della chimica
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LABORATORIO
Legge di Lavoisier PREMESSA
La legge di conservazione della massa può essere verificata sperimentalmente esaminando qualitativamente e quantitativamente due reazioni chimiche, una con formazione di un precipitato e una con sviluppo di gas.
OBIETTIVI DIDATTICI
Verificare se in una reazione chimica esiste conservazione della massa tra le sostanze che entrano in combinazione e le sostanze che si ottengono in seguito alla trasformazione.
MATERIALE OCCORRENTE
Tre becher da 50 mL, bilancia analitica, cilindro graduato da 10 mL, spatolina, bottiglietta di plastica con tappo a tenuta, vetrino da orologio; nitrato di piombo (II) Pb (NO3)2, ioduro di potassio KI, acqua distillata, un pezzettino di marmo (carbonato di calcio CaCO3), soluzione diluita di acido cloridrico HCl.
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
PROCEDIMENTO PRIMA PARTE
1. Ponete in un becher una punta di spatolina di nitrato di piombo e nell’altro una punta di spatolina di ioduro di potassio (Fig. 1). A ciascun becher aggiungete 5 mL di acqua distillata (Fig. 2). Agitate fino a completa solubilizzazione. 2. Portate i due becher sul piatto della bilancia e prendete nota della massa complessiva (m1). 3. Ritirate il tutto dalla bilancia e versate con cura la soluzione di Pb (NO3)2 in quella di KI (Fig. 3). Osservate. 4. Prendete nota della massa del becher contenente le due soluzioni piú il becher vuoto (m2).
CONCLUSIONI
Giustificare la variazione di colore della soluzione e la formazione del precipitato. Verificare se è stata rispettata la legge di Lavoisier.
PROCEDIMENTO SECONDA PARTE
1. Versate nella bottiglietta la soluzione di acido cloridrico in modo da riempirla per un quarto. 2. Prendete nota della massa (m1) della bottiglietta, compreso il carbonato di calcio. 3. Introducete il carbonato di calcio nella soluzione di acido cloridrico e chiudete la bottiglietta. Osservate. 4. Ponete la bottiglietta sulla bilancia e prendete nota della massa (m2). 5. Stappate la bottiglietta. Dopo circa 2 minuti prendete nota della massa finale (m3).
CONCLUSIONI
Giustificare lo sviluppo di gas e la diminuzione della massa che si verifica dopo che si è stappata la bottiglietta.
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CAPITOLO 2 L’atomo
1.2 Legge delle proporzioni definite Il chimico francese Proust eseguí numerosi esperimenti variando le quantità delle sostanze reagenti e controllando se nella sostanza prodotta il rapporto tra le masse degli elementi costituenti risultasse costante. Verificandosi questa condizione, ne dedusse che il composto ottenuto è sempre lo stesso. Consideriamo la reazione tra ferro (simbolo Fe) e zolfo (simbolo S), che ha come prodotto il composto solfuro di ferro (formula FeS). Si osserva che, variando la massa dei reagenti, il rapporto di combinazione (1 : 0,57) presente nel prodotto rimane costante. Se si fanno quindi reagire quantità di ferro e zolfo che rispettano questo rapporto (1 g di Fe e 0,57 g di S o 10 g di Fe e 5,7 g di S o 50 g di Fe e 25,5 g di S), i reagenti si consumano completamente, trasformandosi nel prodotto. Se invece si combinano quantità di ferro e zolfo in proporzioni diverse, la quantità in eccesso rispetto al rapporto 1 : 0,57 non reagisce (Tab. 2.1). Tab. 2.1 Rapporto di combinazione tra diverse quantità di ferro e zolfo.
Reagenti
Prodotti
Massa non combinata
Rapporto di combinazione
Fe (g)
S (g)
FeS (g)
Fe (g)
S (g)
Fe : S
1
0,57
1,57
—
—
1 : 0,57
2
0,57
1,57
1
—
1 : 0,57
1
1
1,57
—
0,43
1 : 0,57
I risultati di questi esperimenti permisero a Proust di enunciare la legge delle proporzioni definite (1799): ✔ quando due elementi reagiscono per formare un composto, reagiscono secondo un rapporto di massa ben definito e costante.
In altri termini, la legge di Proust può essere formulata anche affermando che ogni composto ha una sua composizione definita e costante. esercizio guidato La reazione tra ferro e zolfo avviene nel rapporto di 1 : 0,57. Combinando 56 g di ferro con 14 g di zolfo, determinare: 1. quale dei due reagenti risulta non completamente combinato; 2. la massa del solfuro di ferro che si ottiene. RISOLUZIONE 1. Rappresentiamo la reazione in termini qualitativi: ferro + zolfo $ solfuro di ferro Conoscendo il rapporto di combinazione tra ferro e zolfo, per determinare la massa dello zolfo che dovrebbe reagire con 56 g di ferro impostiamo la seguente relazione: 1 : 0,57 = 56 : x x = 31,92 g Avendo a disposizione solo 14 g di zolfo, è evidente che è il ferro l’elemento in eccesso. 2. Per determinare la massa del solfuro di ferro si deve tener presente che la somma delle masse dei reagenti è uguale alla somma delle masse dei prodotti (legge di Lavoisier): massa ferro + massa zolfo = massa solfuro di ferro
Sostituendo con i valori numerici, si ha: massa solfuro di ferro = ( 24,56 + 14 ) g = 38,56 g
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1.3 Legge delle proporzioni multiple La legge di Proust è valida quando dalla combinazione di due elementi il composto ottenuto è sempre lo stesso. Il chimico inglese John Dalton, dopo numerose osservazioni sperimentali, verificò che due elementi, reagendo fra loro in quantità diverse, potevano dare piú di un composto (ovvero composti diversi). È noto infatti che il carbonio e l’ossigeno, combinandosi fra loro, possono dare due composti gassosi diversi: il monossido di carbonio (CO) e il diossido di carbonio (CO2). Analizzando i due composti dal punto di vista quantitativo si rileva che nel monossido di carbonio una data massa di carbonio (12 g) si combina con una data massa di ossigeno (16 g), mentre nel diossido di carbonio la stessa massa di carbonio (12 g) si combina con una massa doppia di ossigeno (32 g). Risulta quindi che le masse di ossigeno che possono combinarsi con una quantità fissa di carbonio (12 g) stanno tra loro nel rapporto di 1 : 2 (Tab. 2.2). Composto
Carbonio (g)
Ossigeno (g)
CO
12
16
CO2
12
32
Rapporto 16 : 32 = 1 : 2
Tab. 2.2 Rapporto di combinazione tra la stessa quantità di carbonio e diverse quantità di ossigeno.
In seguito ad analoghi risultati sperimentali, Dalton enunciò la legge delle proporzioni multiple: ✔ quando due elementi si combinano per formare due o piú composti, tenendo fissa la quantità di uno, le quantità dell’altro stanno tra loro in rapporti esprimibili con numeri piccoli e interi (1 : 1 - 1 : 2 - 1 : 3).
esercizio guidato Il piombo (Pb), reagendo con l’ossigeno (O), può formare due composti. Per ottenere i due composti, 8 g di piombo reagiscono rispettivamente con 0,62 g e con 1,24 g di ossigeno. Calcolare il rapporto con il quale l’ossigeno si combina con il piombo per formare i due composti. RISOLUZIONE Indicando con m1 e m2 le masse di ossigeno che reagiscono con il piombo per formare il primo e il secondo composto, impostiamo la relazione: m1 : m2 = 0,62 g : 1,24 g da cui risulta che il rapporto tra le masse di ossigeno è dato da: 0,62 = 0,5 1,24 Trasformando tale valore in numeri interi, si ha: 0,5 =
5 1 = 10 2
da cui si evidenzia che il rapporto con cui l’ossigeno reagisce con il piombo per formare i due composti è di: 1 : 2
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CAPITOLO 2 L’atomo
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Teoria atomica
La spiegazione delle regolarità che si verificavano negli esperimenti e nelle analisi quantitative di Lavoisier, Proust e Dalton fu data dallo stesso Dalton, che formulò la teoria atomica della materia (1808). Quest’ultima si articola nei seguenti punti:
+ idrogeno
ossigeno
acqua
Fig. 2.1 Nel prodotto (acqua) della reazione fra idrogeno e ossigeno gli atomi sono combinati in modo diverso rispetto ai reagenti ma il loro numero è lo stesso e quindi la massa si conserva.
+ ferro
zolfo
solfuro di ferro
Fig. 2.2 Il ferro e lo zolfo si combinano nel rapporto di 1 : 1.
Fig. 2.3 La reazione tra il carbonio e l’ossigeno può portare alla formazione di due composti: il monossido di carbonio e il diossido di carbonio.
1. l a materia è costituita da particelle piccolissime e indivisibili dette atomi (dal greco átomos, indivisibile); 2. gli atomi di uno stesso elemento hanno massa uguale, atomi di diversi elementi hanno massa diversa; 3. atomi diversi possono combinarsi tra loro in rapporti diversi e le loro combinazioni avvengono tra atomi interi. In seguito alla formulazione della teoria atomica, l’atomo può essere cosí definito: ✔ un atomo è l'unità della materia che durante le reazioni conserva le sue proprietà chimiche.
La teoria atomica di Dalton consente di interpretare in modo plausibile le leggi dei rapporti ponderali di combinazione fin qui enunciate.
•
a legge di Lavoisier trova la sua giustificazione nel punto 1 della teoria ( gli atomi L sono indivisibili ) e si spiega ammettendo che i prodotti di una reazione chimica presentano una diversa combinazione degli atomi rispetto ai reagenti e, poiché gli atomi sono indivisibili e il loro numero non varia, la massa dei reagenti si conserva, ovvero la quantità totale di materia prima e dopo la reazione è sempre la stessa (Fig. 2.1). • La legge di Proust trova la sua giustificazione nel punto 2 della teoria, dove si afferma che un atomo di un elemento ha una sua massa che è diversa da quella di un atomo di un altro elemento. Nella combinazione tra 1 g di ferro e 0,57 g di zolfo si forma un composto, solfuro di ferro (FeS), formato da un atomo di ferro e un atomo di zolfo (rapporto di combinazione 1 : 1). Dato che il rapporto di combinazione è 1 : 1, in 1 g di ferro si trova un numero (n) di atomi di ferro e in 0,57 g di zolfo si trova lo stesso numero (n) di atomi di zolfo (Fig. 2.2). Poiché l’atomo di ferro ha una sua massa (55,8) che è diversa da quella dell’atomo di zolfo (32), ne consegue che il rapporto tra le quantità di ferro e zolfo che reagiscono dovrà essere uguale al rapporto, costante, tra le masse dei singoli atomi. Questo rapporto è di 1 : 0,57. • La legge di Dalton trova la sua giustificazione nel punto 3 della teoria e si spiega ammettendo che le combinazioni chimiche avvengono tra atomi interi. Nella reazione tra 12 g di carbonio (n atomi) e 16 g di ossigeno (n atomi) si forma il composto detto monossido di carbonio (CO), in cui il rapporto tra gli atomi di carbonio e gli atomi di ossigeno è 1 : 1.
+ carbonio
ossigeno
monossido di carbonio
ossigeno
diossido di carbonio
+ carbonio
uttavia, 12 g di carbonio si possono combinare anche con una T quantità doppia di ossigeno (32 g) formando un composto che contiene un numero doppio di atomi di ossigeno (2n) rispetto al monossido di carbonio, che si rappresenta con la formula CO2 (diossido di carbonio), dove il rapporto tra gli atomi di carbonio e ossigeno è 1 : 2 (Fig. 2.3). Il rapporto tra le due quantità (16 g e 32 g) corrisponde a un rapporto fra diversi numeri di atomi (n e 2n) ed è espresso da numeri piccoli e interi (1 : 2), perché gli atomi si legano interi l’uno all’altro.
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Le particelle subatomiche
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Natura elettrica della materia
La teoria atomica di Dalton forniva un modello plausibile di come fosse costituita la materia ma non dava alcuna spiegazione delle forze (legami) che si stabilivano tra gli atomi degli elementi in un composto. Solo alla fine del 1800 si ipotizzò che le forze responsabili delle interazioni fra atomi potessero essere di natura elettrica e che queste si giustificavano ammettendo l’esistenza della carica elettrica, le cui proprietà fondamentali si possono cosí esplicitare: 1. e sistono due tipi di carica elettrica, denominati convenzionalmente positiva e negativa; 2. cariche di segno uguale si respingono, cariche di segno opposto si attraggono (Fig. 2.4);
+
+
-
-
+
-
3. l e cariche elettriche si attraggono o si respingono secondo una forza la cui intensità è direttamente proporzionale al loro prodotto e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza; 4. un corpo è elettricamente neutro quando possiede un ugual numero di cariche positive e negative.
4
Fig. 2.4 Cariche elettriche di segno uguale si respingono, cariche elettriche di segno opposto si attraggono.
Le particelle subatomiche
Le conoscenze acquisite sulla natura elettrica della materia permisero di ipotizzare che negli atomi di tutti gli elementi fossero presenti particelle cariche di elettricità negativa che il fisico inglese Joseph Thomson (1897) chiamò elettroni (simbolo e-). L'elettrone è una particella con una massa uguale a 9,11 $ 10-31 kg e con un valore di carica elettrica, espressa in coulomb (simbolo C), corrispondente a 1,6 $ 10-19 C. Essendo il valore della carica dell'elettrone molto piccolo, si preferisce utilizzare il valore convenzionale -1. La conoscenza delle particelle costituenti l’atomo portò in seguito (1898) alla scoperta del protone (simbolo p+), particella provvista di una carica positiva con una massa uguale a 1,673 $ 10-27 kg ovvero 1836 volte più grande della massa dell'elettrone e con un valore di carica elettrica (1,6 $ 10-19 C) uguale a quello dell'elettrone ma di segno opposto e quindi con carica convenzionale +1. Solo molti anni dopo (1932) si giunse alla scoperta della terza particella subatomica, il neutrone (simbolo n), particella priva di carica elettrica e con una massa (1,675 $ 10-27 kg) appena più grande di quella del protone. Riportiamo di seguito le caratteristiche delle tre particelle principali subatomiche (Tab. 2.3). Nome
Simbolo
Carica elettrica assoluta (C)
Carica elettrica convenzionale
Massa (kg)
Protone
p+
1,6 $ 10-19
+1
1,673 $ 10-27
Neutrone
n
0
0
1,675 $ 10-27
Elettrone
e-
1,6 $ 10-19
-1
9,11 $ 10-31
Tab. 2.3 Caratteristiche delle particelle subatomiche.
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CAPITOLO 2 L’atomo
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Modello atomico di Rutherford
Nel 1911 il fisico neozelandese Ernest Rutherford volendo verificare la disposizione degli elettroni e dei protoni nell'atomo bombardò una sottilissima lamina d’oro con radiazioni alfa (simbolo a) emesse da un elemento radioattivo contenuto in un cubetto di piombo provvisto di foro. Le radiazioni a sono particelle con una doppia carica positiva (a2+) ed una massa quattro volte maggiore di quella di un protone, quindi si identificano con nuclei di elio (42 He). Rutherford sistemò dietro la lamina uno schermo fluorescente di solfuro di zinco il quale emetteva un lampo di luce nel punto in cui veniva colpito da una particella alfa dopo l’attraversamento della lamina (Fig. 2.5). Si potè così constatare che mentre la maggior parte delle particelle alfa attraversava la lamina senza subire deviazioni, una piccolissima parte subiva deviazioni considerevoli ed alcune venivano addirittura respinte.
Ernest Rutherford
Fig. 2.5 L’esperimento di Rutherford evidenzia che le radiazioni a emesse da un elemento radioattivo e dirette verso una lamina d’oro hanno comportamento diverso: la maggior parte attraversano la lamina, alcune sono deviate, altre sono respinte.
raggio di particella alfa deviata
cubo di piombo
elemento radioattivo
raggio di particella alfa respinta
lamina d’oro in sezione
fascio di particelle alfa
Fig. 2.6 Nell’esperimento di Rutherford alcune particelle a vengono respinte o deviate perché incontrano o passano vicino a una massa di carica positiva (nucleo) dal volume molto piccolo in confronto a quello dell’atomo. forza centrifuga
Fig. 2.7 L’elettrone è attratto dal nucleo da una forza di attrazione elettrostatica. A questa si oppone la forza centrifuga che agisce sull’elettrone in conseguenza del suo moto circolare.
elettrone +
nucleo orbita circolare
forza di attrazione elettrostatica
raggi di particelle alfa non deviate
schermo fluorescente di solfuro di zinco
In base a questi risultati sperimentali, Rutherford ipotizzò che la carica positiva e la massa dell’atomo fossero concentrate in una zona piccolissima, nucleo, e che la maggior parte dell’atomo fosse vuoto, occupato da elettroni per neutralizzare la carica positiva del nucleo. Un modello di questo tipo interpreta in modo molto semplice i risultati sperimentali: le particelle alfa che passano lontano dal nucleo non sono deviate e anche se incontrano gli elettroni questi hanno una massa troppo piccola per poter modificare il loro percorso; solo incontrando il nucleo, o passando vicino ad esso, le particelle alfa possono venire respinte o subire deviazioni a causa della forte repulsione elettrostatica (Fig. 2.6). Tale modello atomico è ovviamente dinamico in quanto gli elettroni negativi devono ruotare su orbite circolari intorno al nucleo positivo, come i pianeti intorno al Sole (modello planetario) per sviluppare una forza centrifuga da opporre alla forza di attrazione elettrostatica nucleo-elettrone che farebbe precipitare questi ultimi sul nucleo (Fig. 2.7).
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Modello quanto-meccanico
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In seguito alla scoperta del neutrone l’atomo risulta quindi costituito da: 1. un nucleo formato da protoni (particelle di carica positiva) e neutroni (particelle prive di carica) con il valore della massa del protone e del neutrone circa uguale. Poiché protoni e neutroni costituiscono il nucleo dell’atomo, entrambi sono anche chiamati nucleoni; 2. elettroni, particelle di carica negativa con una massa irrilevante rispetto a quella dei protoni.
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Numero atomico
Nel 1913 il fisico inglese Moseley risalí alla carica del nucleo e risultò evidente che atomi di diversi elementi si differenziavano per il diverso numero dei protoni contenuti nel nucleo, e che naturalmente negli atomi di uno stesso elemento è presente lo stesso valore di carica positiva, ovvero lo stesso numero di protoni: ✔ si chiama numero atomico il numero di protoni presenti nel nucleo di un atomo.
In un atomo elettricamente neutro il numero atomico indica anche il numero degli elettroni. Il numero atomico (simbolo Z) si indica in basso e a sinistra del simbolo dell’elemento chimico (Fig. 2.8).
7
numero atomico
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Fe
Fig. 2.8 Simbolo e numero atomico dell’atomo di ferro.
Modello quanto-meccanico
Negli anni successivi il fisico tedesco Heinsenberg (1927) dimostrò che era impossibile misurare con precisione e in uno stesso istante posizione e velocità dell’elettrone, e di conseguenza non si potevano attribuire ad un elettrone orbite ben definite. Se è impossibile determinare le orbite, la posizione dell’elettrone diventa indeterminata (incerta), e quindi risulta possibile definire solo la probabilità di trovare l’elettrone entro una determinata distanza dal nucleo in una certa regione di spazio. Rappresentando con dei puntini le posizioni piú probabili in cui l’elettrone può trovarsi in un dato istante, la probabilità diventa elevatissima ad una ben definita distanza dal nucleo, mentre diminuisce quando si allontana dal nucleo o avvicinandosi ad esso. L’insieme dei puntini nei quali è molto probabile che si trovi l’elettrone nel suo movimento intorno al nucleo costituisce una regione di spazio con contorno indefinito chiamata nuvola o nube elettronica, mentre la regione di spazio intorno al nucleo in cui si ha il 95% dei puntini, con contorno definito, costituisce un orbitale: ✔ l’orbitale è la regione dello spazio intorno al nucleo in cui la probabilità di trovare l’elettrone è del 95%.
Secondo il modello quanto-meccanico l’elettrone quindi non si muove su un’orbita ben precisa, ma occupa uno spazio tridimensionale intorno al nucleo, detto orbitale (Fig. 2.9). a)
b)
c)
Fig. 2.9 a) La regione di spazio intorno al nucleo dal contorno indefinito costituisce una nube elettronica. b) La regione di spazio intorno al nucleo dal contorno definito costituisce un orbitale. c) Rappresentazione di un orbitale sferico.
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CAPITOLO 2 L’atomo
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Numeri quantici
Nel modello quanto-meccanico l’elettrone si trova all’interno di orbitali che differiscono per dimensioni ed energia, forma ed orientamento. Questi parametri sono specificati da tre numeri interi detti quantici, perché le grandezze che definiscono sono quantizzate.
• Il numero quantico principale (simbolo n) definisce le dimensioni e l’energia dell’orbitale ed assume tutti i valori interi positivi compresi tra 1 e 7: n = 1, 2, ..., 7
All’aumentare del valore di n aumenta la distanza dal nucleo e, ovviamente, aumentano le dimensioni e l’energia dell’orbitale. Tutti gli orbitali con lo stesso valore del numero quantico principale costituiscono un livello energetico. ✔ Il numero di orbitali per un dato valore di n è dato da n2.
Al primo livello energetico (n = 1) appartiene un orbitale, al secondo livello energetico (n = 2) appartengono quattro orbitali e cosí di seguito.
• Il numero quantico secondario o azimutale o angolare (simbolo l) indica la forma
dell’orbitale ed assume tutti i valori interi compresi tra 0 e n - 1. Insieme al numero quantico principale n, contribuisce a determinare l’energia di un orbitale atomico: l = 0, ..., (n - 1)
utti gli orbitali con lo stesso valore di n ma con diverso valore di l costiT tuiscono un sottolivello. Il numero dei sottolivelli presenti nei primi quattro livelli energetici è dato dal valore del numero quantico principale n: nel primo livello (n = 1) è presente un sottolivello, nel secondo livello (n = 2) sono presenti due sottolivelli e nel terzo livello (n = 3) sono presenti tre sottolivelli: n = 1 l = 0; n = 2 l = 0, 1; n = 3 l = 0, 1, 2
• Il numero quantico magnetico (simbolo m) precisa l’orientazione dell’orbitale
nello spazio rispetto ai tre assi ortogonali x, y, z ed assume tutti i valori interi compresi tra -l e +l: m =- l, ..., 0, ..., +l
Fig. 2.10 Valori che i numeri quantici l e m possono assumere in corrispondenza con i primi tre valori di n. l=2 n=3
l=1
el sottolivello l = 0 è presente un solo orbitale, nel sottolivello l = 1 sono preN senti tre orbitali, nel sottolivello l = 2 sono presenti cinque orbitali: l = 0 m = 0; l = 1 m =- 1, 0, 1; l = 2 m =- 2, -1, 0, 1, 2
✔ Orbitali con lo stesso valore del numero quantico principale (n) e del numero quantico secondario (l ), ma con diversa orientazione, si chiamano degeneri. m = –2
m = –1
m=0
m=1
m = –1
m=0
m=1
l=0
Energia
n=2
l=1 l=0
m=0
m = –1
m=0 m=0
n=1
l=0
m=0
livello
sottolivello
orbitale
m=1
m=2
Sono orbitali degeneri quelli specificati dai seguenti numeri quantici: n = 2 l = 1 m =- 1 n = 2 l = 1 m = 0 n = 2 l = 1 m = 1 In definitiva si ha che i valori di m dipendono da quelli di l che a loro volta dipendono da quelli di n (Fig. 2.10).
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Numeri quantici
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8.1 Forma e simboli degli orbitali atomici La forma degli orbitali atomici è determinata dal numero quantico secondario l. Orbitali con lo stesso valore di l hanno la stessa forma e, anche se hanno dimensioni diverse, a seconda del valore del numero quantico principale n vengono denominati con la stessa lettera (s, p, d, f ). • Per ogni valore di n esiste sempre un orbitale con l = 0. Questi orbitali sono detti orbitali s e per distinguerli si premette al simbolo s il corrispondente valore di n. L’orbitale s con n = 1 si chiama quindi 1s. L’orbitale s con n = 2 si chiama 2s. Tutti gli orbitali s hanno la stessa forma sferica, ma ovviamente sono diversi per dimensioni ed energia. All’aumentare di n aumenta il raggio dell’orbitale e ovviamente anche l’energia dell’elettrone (Fig. 2.11).
Fig. 2.11 Rappresentazione degli orbitali 1s, 2s e 3s. Aumentando il valore del numero quantico principale aumentano le dimensioni e l’energia dell’orbitale.
n=3 l=0 orbitale 3s
n=2 l=0 orbitale 2s
n=1 l=0 orbitale 1s
L’orbitale di tipo s si rappresenta graficamente con un quadratino:
• Per ogni valore di n 2 1 (n = 2, 3, 4, 5, 6) esistono tre orbitali con l = 1 detti
orbitali p. Per distinguere gli orbitali p con diverso valore di n si premette al simbolo p il corrispondente valore di n. I tre orbitali p con n = 2 si chiamano quindi 2p. I tre orbitali p con lo stesso valore di n hanno uguali dimensioni ed energia, la stessa forma a due lobi ma diversa orientazione nello spazio (orbitali degeneri) disponendosi lungo tre assi cartesiani (x, y, z) e sono pertanto indicati con i simboli px, py, pz (Fig. 2.12). Orbitali p con diverso valore di n hanno ovviamente la stessa forma, ma diverse dimensioni ed energia: gli orbitali 2px, 2py, 2pz hanno dimensioni ed energia minore degli orbitali 3px, 3py, 3pz. z
z
y
z
y
x
y
x
x py
px
Fig. 2.12 Rappresentazione dei tre orbitali p. I tre orbitali p hanno la stessa forma a due lobi ma diversa orientazione.
pz
z
y x
I tre orbitali di tipo p si rappresentano graficamente con tre quadratini:
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CAPITOLO 2 L’atomo
• Per ogni valore di n 2 2 (n = 3, 4, 5, 6) esistono cinque orbitali con l = 2 detti orbitali
z
d. Per distinguere gli orbitali d con diverso valore di n si premette al simbolo d il corrispondente valore di n. I cinque orbitali d con n = 3 si chiamano quindi 3d. I cinque orbitali d con lo stesso valore di n e quindi uguale energia ma diversa orientazione nello spazio sono degeneri (Fig. 2.13). z
z
y
y x
x
Fig. 2.13 Rappresentazione dei cinque orbitali d. Quattro dei cinque orbitali d hanno la stessa forma a quattro lobi ma diversa orientazione; il quinto orbitale d ha una forma diversa in quanto presenta due lobi lungo l’asse z con un anello intorno al nucleo.
Tab. 2.4 Relazioni tra i valori di n, l, m per gli orbitali dei primi tre livelli energetici.
z
z
y
y
x
x
y x
I cinque orbitali di tipo d si rappresentano graficamente con cinque quadratini:
• Per i valori di n = 4 e 5 esistono sette orbitali che hanno l = 3 detti orbitali f. Per
distinguere gli orbitali f con diverso valore di n si premette al simbolo f il corrispondente valore di n. I sette orbitali f con n = 4 si chiamano quindi 4f. I sette orbitali f con lo stesso valore di n ma diverso valore di m sono degeneri. I sette orbitali di tipo f si rappresentano graficamente con sette quadratini:
Riportiamo ora le relazioni fra i tre numeri quantici precisando il tipo e il nome degli orbitali, il numero per sottolivello e per livello partendo dal livello n = 1, fino al livello n = 3 (Tab. 2.4).
Numeri quantici
Orbitali
n
l
m
tipo
nome
numero per sottolivello
numero per livello
1
0
0
s
1s
1
1
0
0
s
2s
1
1
-1, 0, +1
p
2p
3
0
0
s
3s
1
1
-1, 0, +1
p
3p
3
2
-2, -1, 0, +1, +2
d
3d
5
2
3
4
9
8.2 Numero quantico di spin L’elettrone, oltre a muoversi intorno al nucleo, si comporta come fosse una piccola sfera che ruota anche intorno al suo asse. Il moto di rotazione dell’elettrone, detto spin (dall’inglese spin, rotazione), è descritto dal numero quantico di spin (simbolo ms ) e può assumere solo due valori: ms =
1 2
m s =-
1 2
a seconda che la rotazione dell’elettrone avvenga in senso orario o antiorario (Fig. 2.14). © G. D'Anna Casa editrice. Vietate la riproduzione e la diffusione OH UD 02 (024-046)_corretto.indd 36
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Quando si vuol tenere conto dello spin si rappresenta l’elettrone con una freccia verticale. Un orbitale con un elettrone si rappresenta pertanto con un–quadratino ms = – 1 2 contenente una freccia: - elettrone con m s =
1 2
. elettrone con m s =-
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ms = 1 – 2
1 2
Quando due elettroni si trovano nello stesso orbitale con diverso numero quantico di spin, si dice che hanno spin opposto e si rappresentano con due frecce orientate nel senso opposto: -. due elettroni con m s =
Numeri quantici
1 1 e con m s =2 2
Se due o piú elettroni si trovano in due o piú orbitali diversi con lo stesso numero quantico di spin si dice che hanno spin parallelo e si rappresentano con due o piú frecce orientate nello stesso modo: 1 - - - tre elettroni con m s = 2
ms = – 1 – 2
ms = 1 – 2
Fig. 2.14 Rappresentazione di due elettroni con spin opposto.
8.3 Principio di esclusione di Pauli Il numero quantico di spin è importante in relazione al numero di elettroni che possono coesistere in un orbitale, numero che è stato definito dal fisico austriaco Pauli (1925) in base ad un principio, detto principio di esclusione di Pauli, il quale afferma: ✔ un orbitale non può essere occupato da piú di due elettroni e quando due elettroni occupano lo stesso orbitale devono avere spin opposto.
Quando due elettroni occupano l’orbitale 1s di un atomo, ciascuno dei due elettroni sarà precisato dai seguenti numeri quantici: n = 1 l = 0 m = 0 e poiché questi tre numeri quantici sono uguali per entrambi, il principio di esclusione di Pauli prevede che i loro numeri quantici di spin siano diversi; se un elettrone quindi è specificato dai numeri quantici: n = 1 l = 0 m = 0 ms =
1 2
l’altro elettrone avrà tre numeri quantici uguali, ma il numero quantico di spin diverso: 1 n = 1 l = 0 m = 0 m s =2 In base al principio di Pauli possiamo quindi stabilire il numero massimo di elettroni per sottolivello (Tab. 2.5): Orbitali tipo
numero
Numero massimo di elettroni per sottolivello
0
s
1
2
1
p
3
6
2
d
5
10
3
f
7
14
Sottolivello (l )
Tab. 2.5 Numero di orbitali e di elettroni per sottolivello.
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CAPITOLO 2 L’atomo
ed il numero massimo di elettroni per livello (Tab. 2.6): Tab. 2.6 Numero di orbitali e di elettroni per livello.
Orbitali tipo
numero (n 2)
Numero massimo di elettroni per livello (2n 2)
1
s
1
2
2
s, p
4 (1 + 3)
8 (2 + 6)
3
s, p, d
9 (1 + 3 + 5)
18 (2 + 6 + 10)
4
s, p, d, f
16 (1 + 3 + 5 + 7)
32 (2 + 6 + 10 + 14)
Livello (n)
esercizio guidato Determinare il numero massimo di elettroni per: a. il livello n = 3; b. il sottolivello 3d; c. un orbitale 3d. RISOLUZIONE a. Il numero massimo degli orbitali in un livello energetico è dato da n 2 e, poiché per il principio di esclusione di Pauli in un orbitale possono stare al massimo due elettroni, ne consegue che il numero massimo degli elettroni è dato dalla relazione: 2n 2 = 18 b. Per il sottolivello d (l = 2) si hanno cinque valori di m (m =-2, -1, 0, 1, 2), ovvero cinque orbitali e di conseguenza 10 elettroni. c. In qualunque orbitale (s, p, d, f ) si hanno al massimo due elettroni con spin opposto.
9
Energia degli orbitali
La distribuzione degli elettroni in un atomo è in relazione con l’energia degli orbitali presenti nei diversi livelli e sottolivelli. È noto che l’energia degli orbitali dipende dal numero quantico principale (n) e dal numero quantico secondario (l ) ed aumenta all’aumentare di n e di l.
• Per orbitali con diverso livello energetico (n) ma con la stessa forma (l ), l’energia degli orbitali aumenta con il valore di n. Per gli orbitali s si ha: 1s 2s 3s 4s 5s 6s 7s
• Per orbitali con lo stesso livello energetico (n) ma con diversa forma (l ), l’energia degli orbitali aumenta con il valore di l. Per gli orbitali che hanno n = 4 si ha: 4s
4p
4d
4f
• Orbitali che appartengono allo stesso livello energetico (n) e che hanno la stessa
forma (l ) hanno la stessa energia (orbitali isoenergetici). Sono orbitali isoenergetici i tre orbitali p ( px, py, pz), i cinque orbitali d e i sette orbitali f.
Tenendo conto di questi criteri possiamo costruire l’ordine di energia crescente degli orbitali, che risulta il seguente (Fig. 2.15): © G. D'Anna Casa editrice. Vietate la riproduzione e la diffusione OH UD 02 (024-046)_corretto.indd 38
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Fig. 2.15 L’energia degli orbitali aumenta con l’aumentare dei valori di n e di l.
7s
ENERGIA
Energia degli orbitali
6s
6p
6d
5s
5p
5d
5f
4s
4p
4d
4f
3s
3p
3d
2s
2p
1s
Con il valore di n uguale o maggiore a 3 si hanno delle variazioni di energia tra gli orbitali s e d ma anche tra gli orbitali s e f di diversi livelli energetici e quindi l’ordine di energia crescente degli orbitali diventa il seguente (Fig. 2.16): 1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p 7s 5f 6d
7s
6s
5s
Fig. 2.16 Ordine di energia crescente degli orbitali, tenendo conto delle variazioni di energia degli orbitali nd e nf.
6d 5f 6p
5d 4f
5p 4d 4p
4s
ENERGIA
2s
3p
2p
1s
L’ordine di energia crescente degli orbitali può essere determinato facilmente con il diagramma delle diagonali, che consiste nel riportare, lungo successive righe orizzontali, gli orbitali atomici con lo stesso valore del numero quantico principale, iniziando dal livello energetico minore (n = 1) e nel seguire la successione delle frecce dal basso verso l’alto (Fig. 2.17).
ENERGIA
3s
3d
7s 6s 5s 4s 3s 2s 1s
6p 5p 4p 3p 2p
6d 5d 5f 4d 4f 3d
Fig. 2.17 Nel diagramma delle diagonali l’ordine di energia crescente degli orbitali è indicato dalla successione delle frecce.
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CAPITOLO 2 L’atomo
9.1 Ordine di riempimento degli orbitali In ogni atomo gli elettroni sono opportunamente distribuiti nei vari orbitali. L’ordine, con il quale gli elettroni degli atomi polielettronici nello stato fondamentale (o di minima energia) riempiono gli orbitali che hanno a disposizione, deve tenere conto delle seguenti regole:
• gli elettroni nell’atomo tendono ad occupare gli orbitali di minore energia secon-
do l’ordine dei livelli energetici crescenti ( principio della minima energia); • due elettroni in un atomo non possono avere i quattro numeri quantici uguali ( principio di esclusione di Pauli); g • li elettroni di un atomo che hanno a disposizione orbitali degeneri (i tre orbitali p, i cinque orbitali d, i sette orbitali f ) si dispongono con spin parallelo occupando il maggior numero di orbitali (regola di Hund o della massima molteplicità). Fig. 2.18 In orbitali degeneri gli elettroni si dispongono con spin parallelo.
La regola di Hund parte dal presupposto che due elettroni, avendo la stessa carica elettrica, si respingono con maggior energia quando si trovano nello stesso orbitale, rispetto a due elettroni posti in due orbitali distinti; in altri termini un atomo è piú stabile quanti piú elettroni con spin parallelo possiede (Fig. 2.18).
9.2 Configurazione elettronica In base a tali principi è possibile determinare la configurazione elettronica degli atomi, ovvero la disposizione degli elettroni nei vari orbitali di un atomo nel suo stato fondamentale. La configurazione elettronica si può rappresentare con:
numero quantico principale numero di elettroni
1. i l diagramma energia-orbitale, che consiste nel rappresentare gli orbitali con dei quadratini e gli elettroni con delle frecce verticali, disponendoli secondo la loro energia crescente; 2. la notazione s p d f, che consiste nel denominare i vari orbitali che contengono gli elettroni con i simboli s, p, d, f, e nel precisare con un esponente il numero di elettroni contenuti. Con la notazione:
1s
2 tipo di orbitale
Fig. 2.19 Rappresentazione della configurazione elettronica di un atomo con due elettroni.
1s 2 (leggi: uno esse due)
si rappresenta la configurazione elettronica di un atomo che ha due elettroni nell’orbitale 1s: 1 = numero quantico principale, indica il livello energetico; s = lettera corrispondente al numero quantico secondario, indica il sottolivello energetico ovvero il tipo di orbitale; 2 = numero di elettroni presenti nel sottolivello energetico (Fig. 2.19). Esaminiamo ora la disposizione degli elettroni negli atomi con numero atomico da 1 (idrogeno) a 6 (carbonio).
• L’atomo di idrogeno (H) ha un solo elettrone che, in base al principio della minima energia, si dispone nell’orbitale a minore energia 1s; l • ’atomo di elio (He) ha due elettroni che si dispongono entrambi nell’orbitale a minore energia 1s, ma con spin opposto (principio di esclusione di Pauli); • l’atomo di litio (Li) ha tre elettroni, di cui due occupano l’orbitale a minore energia 1s con spin opposto e l’altro si dispone nell’orbitale 2s (Fig. 2.20). © G. D'Anna Casa editrice. Vietate la riproduzione e la diffusione OH UD 02 (024-046)_corretto.indd 40
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3p
3p
1H
1s
2p
-
2s
2He
1s
Rappresentazione con il diagramma energia-orbitale delle configurazioni elettroniche degli atomi di idrogeno (H), elio (He) e litio (Li).
3s 2p
-.
ENERGIA
2s
2s
-
3Li
1s
-.
41
Fig. 2.20
3p
3s ENERGIA
ENERGIA
3s
Energia degli orbitali
2p
• L’atomo di berillio (Be) ha quattro elettroni: i primi due elettroni si dispongono
nell’orbitale 1s con spin opposto, il terzo ed il quarto elettrone occupano l’orbitale 2s ovviamente con spin opposto; l • ’atomo di boro (B) possiede cinque elettroni, di cui due occupano l’orbitale 1s, due l’orbitale 2s, mentre il quinto elettrone si sistema nell’orbitale 2p; • l’atomo di carbonio (C) ha sei elettroni: i primi quattro elettroni occupano gli orbitali 1s e 2s, mentre il quinto ed il sesto elettrone si dispongono in due dei tre orbitali p (degeneri) con spin parallelo (regola di Hund ), realizzando in tal modo una configurazione a minore energia e quindi piú stabile (Fig. 2.21). 3p
3p
-.
4Be
1s
-.
2p
2s
-.
5B
1s
-.
2p
-
ENERGIA
2s
3s
ENERGIA
3s
ENERGIA
3s
Fig. 2.21
3p
2s
-.
6C
1s
-.
2p
- -
Rappresentazione con il diagramma energia-orbitale delle configurazioni elettroniche degli atomi di berillio (Be), boro (B) e carbonio (C).
Rappresentiamo ora le configurazioni elettroniche del calcio (Z = 20) e del ferro (Z = 26), tenendo presente che dopo il riempimento degli orbitali 3p, gli elettroni si disporranno nell’orbitale 4s e successivamente negli orbitali 3d: 2 20Ca = 1s
2s 2 2p6 3s 2 3p6 4s 2
2 26Fe = 1s
2s 2 2p6 3s 2 3p6 4s 2 3d 6
esercizio guidato Rappresentare la configurazione elettronica dei seguenti atomi con la notazione s, p, d, f : a. zolfo (16S);
b. potassio (19K);
c. cadmio (48Cd).
RISOLUZIONE a. Il numero di elettroni presenti nell’atomo di zolfo è 16 (numero atomico Z = 16). Tenendo presente il principio che prevede il riempimento degli orbitali a minore energia, si ha che la configurazione elettronica è la seguente: 2 2 6 2 4 16S = 1s 2s 2p 3s 3p b. Il numero atomico del potassio è 19. Ricordando che nell’ordine del riempimento degli orbitali, l’orbitale 4s ha minore energia dell’orbitale 3d, la configurazione elettronica è la seguente: 2 19K = 1s
2s 2 2p6 3s 2 3p6 4s1
c. Il numero atomico del cadmio è 48. Tenendo conto delle variazioni di energia tra gli orbitali ns e nd, si ha che la configurazione elettronica è la seguente: 2 48Cd = 1s
2s 2 2p6 3s 2 3p6 4s 2 3d 10 4p6 5s 2 4d 10
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CAPITOLO 2 L’atomo
LABORATORIO
Saggi di colorazione alla fiamma PREMESSA
Il saggio di colorazione alla fiamma si basa sulle proprietà di alcuni metalli, in particolare gli alcalini e gli alcalino-terrosi, e dei rispettivi sali se riscaldati, di impartire colorazioni caratteristiche alla fiamma ossidante del Bunsen. La colorazione di alcuni elementi (sodio) maschera spesso quella di altri: in tal caso conviene osservare la fiamma attraverso un vetro azzurro al cobalto che assorbe la radiazione del sodio.
OBIETTIVI DIDATTICI
Identificare gli elementi chimici in base alla differente colorazione assunta dalla fiamma ossidante del Bunsen.
MATERIALE OCCORRENTE
Bunsen, bacchetta di vetro con filo di nichel-cromo, vetrini da orologio, vetro azzurro al cobalto; cloruri di: potassio, sodio, litio, bario e rame; soluzione concentrata di acido cloridrico (HCl).
Riconoscimento di alcuni elementi alla fiamma del Bunsen: il litio dà un colore rosso, il potassio violetto, il bario verde. PROCEDIMENTO
1. Prelevate con una spatolina piccole quantità dei sali in analisi, disponendoli nei vetrini da orologio. 2. Accendete il Bunsen e portate il filo di nichel-cromo alla base della fiamma ossidante. Se questa subisce un cambiamento di colore, si deve purificare il filo immergendolo nella soluzione di HCl e poi portandolo di nuovo alla fiamma (ripetete l’operazione fino a quando la fiamma appare incolore). 3. Bagnate il filo di nichel-cromo con la soluzione di HCl e fate aderire alcuni cristalli del primo sale in analisi. 4. Portate il filo alla base della fiamma ossidante e osservate il colore, la persistenza (ovvero la permanenza della sensazione luminosa) della fiamma e la colorazione della fiamma dietro il vetro azzurro al cobalto. 5. Purificate il filo e ripetete l’operazione con tutti i sali disponibili completando la seguente tabella. Elemento
Colore fiamma
Persistenza fiamma
Colore fiamma dietro vetro azzurro al cobalto
Potassio Litio Bario Rame
CONCLUSIONI
Sodio
Giustificare la colorazione della fiamma e la diversità dei colori osservati.
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