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4.2. Gli impatti del COVID-19 sulle immatricolazioni
Domenico Ioppolo
Sono l’amministratore delegato di Campus, che realizza Il Salone dello Studente, di cui sono a capo da oramai dieci anni, e vorrei iniziare la relazione spiegando che cosa è il Salone dello Studente.
Si tratta di un evento che ogni anno coinvolge 250.000 ragazzi: un numero enorme, in 15 città diverse. Questi ragazzi, nel corso del Salone, incontrano atenei, accademie, scuole di alta formazione con lo scopo di orientarsi meglio per il loro futuro, e quindi per le motivazioni e i temi affrontati anche dal relatore precedente.
E in questo percorso sono aiutati dai professori, hanno la possibilità di incontrare dei mentori, degli psicologi dell’orientamento, dei manager ed esperti del mondo del lavoro che cercano di dare loro delle indicazioni.
Torno alle considerazioni del professor Guida, che sono assolutamente vere; anzi aggiungo che durante questi Saloni, cui partecipa da anni una media di 250.000 studenti, con l’Università “La Sapienza” di Roma abbiamo dato vita un ponderoso osservatorio (Teen’s voice, questo è il nome) una ricerca, su questi ragazzi, nel corso della quale affrontiamo tantissimi temi e argomenti.
Mi piacerebbe quindi poter continuare il dialogo con il professor Guida, perché i risultati di questa ricerca, un osservatorio che ha ormai cinque anni di vita e ha raccolto centinaia di domande, ci danno gli stessi esiti che il professor Guida, il relatore precedente, ha tracciato. Per inciso, per quanto mi riguarda metto a disposizione della comunità della scuola italiana i dati emersi da questo osservatorio.
Da questa ricerca emerge che i ragazzi non sono, come vengono dipinti, «bamboccioni», chiusi in sé stessi: sono ragazzi che hanno forti valori, sono coscienti della difficoltà del futuro ma non ne hanno paura.
Emerge anche un altro dato importante: hanno pochissimi punti di riferimento, solo due, la famiglia e la scuola.
Sappiate, dunque, cari docenti, che siete uno dei pochi punti di riferimento, e sappiate che quando perdiamo un ragazzo a scuola, e questo lo deduco in base ai dati raccolti, che sono pronto a condividere, non perdiamo uno studente ma un cittadino della Repubblica italiana, perché è evidente come i ragazzi che hanno difficoltà a scuola sono quelli che poi esprimono dei valori di vita negativi.
Cosa è successo dal punto di vista del mio osservatorio in questi mesi di pandemia? A febbraio 2020 stavamo organizzando il Salone dello Studente a Pesaro; era tutto pronto, c’erano stati incontri con le autorità, una conferenza stampa sull’evento con il Sindaco, l’USR, e altre autorità. Aspettavamo semplicemente il via. E in quel momento vengo informato che le scuole non avevano più il permesso di uscire e quindi il Salone dello Studente non si poteva più fare.
A quel punto abbiamo reagito spostando tutto sul digitale.
Ovviamente, questa esperienza del passaggio dall’evento in presenza al digitale sulla carta è facile ma in realtà è difficilissimo trasformare un evento fisico in digitale e concretizzarlo.
Oltretutto non sapevamo minimamente come avrebbero reagito gli studenti e come avrebbe reagito il mondo della scuola.
Abbiamo iniziato il Salone dello Studente digitale il 26 di ottobre 2020. In poco più di un mese abbiamo avuto la ‘presenza’ di più di 400.000 studenti che hanno consultato più di due milioni di contenuti di vario tipo relativi ai temi dell’orientamento. Faccio presente che nella precedente edizione in presenza fisica avevamo avuto 250.000 studenti. 51
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Circa 250.000 ragazzi, un numero impressionante, hanno partecipato ai webinar live nel corso dei quali hanno incontrato Università, ITS, scuole di alta formazione, esperti, psicologi con cui hanno potuto parlare del loro futuro.
Proviamo a trarre qualche considerazione da questa edizione Digitale del Salone.
I ragazzi hanno visto e vedono il digitale come un’opportunità: per loro non è un problema, questo ce lo diceva anche la ricerca di cui vi ho parlato prima.
Altrettanto positiva la reazione degli insegnanti che hanno dimostrato un’attitudine positiva, hanno avuto il coraggio di mettersi in discussione e di accettare la sfida digitale. Questo va detto perché se aprite i giornali leggete altre cose che non sono vere.
Certo, il livello di competenze digitali degli insegnanti oggettivamente è inferiore a quello dei ragazzi ma ripeto nella ricerca che noi abbiamo condotto questo era già emerso.
Cosa a questo punto si può imparare da questi mesi passati a fare orientamento sul digitale.
Dico questo perché il Covid finirà, ma il digitale non finirà anche perché non possiamo pensare che finito il liceo e finita università finisca la scuola. Questo è un concetto vecchissimo che prima rimuoviamo meglio è poiché lo studio sarà un elemento costante della nostra vita: si studierà fino alla pensione e oltre.
Quando, da docente universitario dò le lauree dico sempre che, finalmente, lo studente comincerà a studiare.
Si comincia a studiare quando si entra nel mercato del lavoro e ci si rende conto che il gap tra quello che si sa e quello che è richiesto è abnorme e ogni giorno cresce sempre di più.
Qui il digitale aiuterà perché non si potrà smettere di lavorare per tornare a formarsi; si dovrà sapere tenere abbinate le due cose.
Cosa possiamo imparare da questi mesi?
La prima cosa: i ragazzi hanno dimostrato che hanno voglia di studiare e di proseguire gli studi. Gli studi rimangono ancora una scelta preponderante; non è vero che c’è un abbandono della scuola: l’esperienza di questi mesi non me lo dice.
La seconda cosa: l’esperienza digitale è stata forzosa: nessuno di noi l’avrebbe voluta. Tuttavia, visto che questa esperienza c’è stata adesso dobbiamo svilupparla e trovare il modo di integrare la didattica in presenza con la didattica digitale; questi due aspetti della didattica debbono essere in qualche maniera integrati.
Nella didattica digitale più ancora che nella didattica in presenza vi segnalo alcuni problemi tecnici che è giusto che conosciate.
È importante il ruolo del leader: ci vuole uno studente, un gruppo di studenti, un professore che diventino i leader e portino la classe, e la scuola, sul collettore digitale, altrimenti il digitale è molto più dispersivo. Le mura della classe sono un contenitore; il digitale non ha queste mura quindi non crea questo contenitore. Questo contenitore deve essere creato psicologicamente ed è un compito che attiene ai professori o agli studenti, ci vuole un leader, un catalizzatore altrimenti il digitale non funziona.
L’importanza della user experience: tutto ciò che avveniva nel fisico non è che si trasferisca nel digitale immediatamente.
Purtroppo l’esperienza fisica in presenza è diversa. Per cui esorto a lavorare molto sui modelli didattici nuovi. Ho visto, in questo periodo, cose impensabili, come studenti bendati che rispondevano agli esami. Questo non va bene. Per evitare che copino bisogna forse cambiare il modello di interrogazione, il modello di test.
Del resto facciamo anche un’altra considerazione. Tutti noi sappiamo cosa è successo il 5 maggio e cioè la morte di Napoleone Bonaparte. Pochi di noi sanno cosa è successo il 15 agosto e cioè la sua nascita.
Google, su questo, sul 15 agosto ci batterà sempre tutti e, quindi, è inutile continuare a
insistere chiedendo che lo studente impari anche che cosa è successo il 15 agosto. Google è più forte di noi.
Dobbiamo piuttosto cambiare il modello pedagogico formativo, non si può bendare lo studente per evitare che copi, bisogna cambiare le cose che andiamo a chiedere agli studenti.
Infine, una cosa su cui vi chiedo di riflettere gli ultimi due minuti. La mobilità degli studenti oggettivamente, è stata molto ridotta dal Covid-19. Questo sicuramente darà un vantaggio alle Università del territorio. Tuttavia questo, nel lungo periodo potrebbe essere un problema in quanto potrebbe far perdere quel valor di integrazione che la scuola ha.
Termino accennando all’articolazione della formazione terziaria che sta andando avanti. Nel panorama formativo non c’è più solo l’Università. Vi dò però un dato drammatico: gli ITS in Italia sono frequentati da 12.000-13.000 studenti; in Germania sono 800.000, quindi gli ITS sono una delle risposte di questo link tra mondo della scuola e mondo del lavoro.
Il mondo del lavoro non è contento dei ragazzi che arrivano perché la qualità formativa non è adeguata; non dico che sia modesta, magari è anche alta, ma non è adeguata rispetto alle skills di cui il mondo del lavoro oggi ha bisogno.
Il problema è che il mondo del lavoro sempre di più non sarà obbligato a rivolgersi a ragazzi italiani, potrà accedere a ragazzi che provengono dal resto del mondo.
Dobbiamo dunque dotare i nostri ragazzi degli strumenti necessari a competere nello scenario mondiale. E su questo abbiamo una grande responsabilità.
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