SOMMARIO
Introduzione
pag. iii
Il connettivo e la fascia
pag.1
Collagene e elastina
pag. 3
Il collagene semiconduttore
pag. 5
Matrice e patologie
pag. 5
Le fasce
pag. 8
I recettori
pag. 12
La comunicazione sinaptica
pag.14
Il ribaltone
pag. 16
I dubbi
pag. 19
Possibili risposte
pag. 21
Emotion in motion
pag. 23
Il tocco
pag. 24
La psicologia
pag. 24
Il Chua K’a e il periostmassage
pag. 25
La postura
pag. 25
Torniamo al tocco
pag. 27
Il linfatico
pag. 27
Ulteriori approfondimenti
pag. 31
Bibliografia
pag. 36
Allegati (Helene Langevin)
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INTRODUZIONE
Questo lavoro introduttivo intende essere una piattaforma comune ad allievi provenienti da formazioni diverse, una base generale del percorso che dal Deep Tissue Massage porta al Bodywork Strutturale. Se fosse molto complesso non preoccuparsi: è tutto spiegato e reso accessibile nei corsi che trovate su www.bodyworks.it o per gli aggiornamenti http://bodyworking.wordpress.com. Si ricorda che: - Il Bodywork nasce principalmente in un’area americana (Esalen/Big Sur) dove s’incontrano e si confrontano persone di altissimo livello: il Nobel Linus Pauling, lo psicologo Abram Maslow, l’antropologo Gregory Bateson, il teorico dei sistemi Fritjof Capra e terapisti come Ida Rolf, Moshe Feldenkreis, Fritz Pearls, ecc. Lì prende piede, probabilmente per opera del fondatore di Esalen, Michael Murphy, il Deep Tissue Massage. Da lì poi si diffonderà tanto nel bodywork che nella fisioterapia americana al punto da espiantare lo svedese. Se dunque parliamo di bodywork in area corporeo-terapeutica, è corretto riferirsi a quell’ambiente e non chiamare “bodywork” qualsiasi lavoro sul corpo. - Per sua natura il DTM è miofasciale, decontratturante, decoaptante. E’ dunque inevitabile che includa la Trigger Point Therapy e il Joint Release. Più avanti vedremo che è anche altro. - Sempre per questa sua natura il DTM è diventato la piattaforma su cui costruire molto altro di terapeutico come la posturologia, il lavoro sui traumi, il somatoemozionale.
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IL CONNETTIVO E LA FASCIA Fino a ieri il terapista si trovava di fronte ad una descrizione del corpo come una struttura ossea tenuta assieme da muscoli. Poi, negli anni 70, ha imparato che i muscoli sono organizzati in catene e che la tensione viaggia sulle catene cercando compensi. Allora non si sapeva nulla di fascia o matrici, non esistevano neppure negli atlanti anatomici visto che non servivano al chirurgo del '900. Dobbiamo andare molto indietro per trovare la loro descrizione. In America però era già nata l'osteopatia. Negli anni 50 vari osteopati facevano i "medici ambulanti" e diffondevano conoscenze. Piano piano la fascia occupa un posto di evidenza e spessore nello studio dell’anatomia. Questo ridefinirà gran parte della terapia manuale. L'Europa resiste. Dopotutto il massaggio svedese, il riflessogeno della Dicke/Leube, il Mèzierés, il Souchard.... erano prodotti locali, avevano creato stuoli di terapisti, il mercato conosceva il prodotto e la fascia fu lasciata ai pochi osteopati inglesi. Solo in anni recentissimi, l'osteopatia si diffonde. Lo fa anche in misura eccessiva. Lo fa al punto che grandissimi osteopati di vecchia scuola oggi la disconoscono. Tuttavia gran parte dei terapisti resta ancorata alle vecchie terapie o al massimo integra pezzetti di tecniche osteopatiche nel proprio lavoro. Complice in questo la classe medica per la quale l'anatomia è ancora chirurgica e complice il più generale degrado formativo. Conosciamo tutti i tessuti connettivi. Lo dice la parola: connettono. Sono di vari tipi: denso, lasso, adiposo, cartilagineo, osseo. Anche linfa e sangue sono tessuti connettivi. Il tessuto connettivo è in sostanza il 70% dei tessuti umani. Qualsiasi nome abbia, ha sempre la stessa struttura anatomica embrionale. Tra un osso e un’aponeurosi, ad esempio, non vi è una fondamentale differenza. La sola differenza è la distribuzione degli elementi che li costituiscono e le sostanze fissate. Quello che fino a poco fa era considerato un tessuto di connessione e riempimento, è in realtà un sistema o organo con innumerevoli fondamentali funzioni. La cosa è stata vista e sviluppata da Ida Rolf
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ancora negli anni 50. La Rolf ha correttamente chiamato questo sistema "l'organo della forma" poiché presiede alla forma fisico/estetica che ha un corpo. Funzioni del tessuto connettivo: mantenimento della postura, connessione e protezione organi, equilibrio acido-basico, metabolismo idrosalino, equilibrio elettrico ed osmotico, circolazione sanguinea, conduzione nervosa, propriocezione, coordinazione motoria, barriera ai batteri, sistema immunitario (leucociti, mastociti, macrofagi, plasmacellule), processi infiammatori, riparazione e riempimento zone danneggiate, riserva energetica di lipidi, acqua ed elettroliti, riserva di 1/3 delle proteine plasmatiche, comunicazione intercellulare ed extraintracellulare.
Ma cos’è la fascia? E’ una rete ininterrotta che lega tutto, avvolge fibre muscolari e organi e si presenta molto diversa: qui sottilissima, là densa fino a diventare tendinee. Parliamo di una rete infinita, continua, priva d’interruzioni che lega le strutture, avvolge le singole fibre muscolari, permette a un muscolo di estendersi e contrarsi come un pistone in una camera, si fa durissima, dove deve legarsi a un osso e morbida ed elastica dove deve sostenere visceri. Ogni piccola fibra muscolare è avvolta dalla fascia, similmente a un pistone in una camera di compressione. O se si preferisce alla pompa di
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una bicicletta. Per scorrere la pompa deve essere lubrificata. A questo provvede la Sostanza Fondamentale in cui è immersa, detta anche Matrix o Matrice extracellulare o Liquido Lacunare. Matrix: lo dice il nome stesso, è generatrice. E' una sostanza, fluida o gelatinosa che troviamo a partire fin dall’esterno della cellula. Ed è uno dei principali luoghi di trasformazione, di processi metabolici, di nutrimento e depurazione. Questa sostanza permette il funzionamento della fascia. Questo insieme di fascia e matrice che Ida Rolf chiamava "l'organo della forma”, è un vero e proprio interessantissimo laboratorio biochimico. Questo insieme ha portato la nozione di "globalità" sulla quale si basano tutte le tecniche moderne di terapia manuale. Dalla globalità deriva che la minima tensione, che sia attiva o passiva, si ripercuote su tutto l’insieme. (il concetto della maglietta di Ida Rolf). Tutti gli elementi anatomici possono in tal modo essere considerati solidali gli uni agli altri. Ma non anticipiamo. Cominciamo da quello che sapevamo, su cui lavoravamo e ancora lavoriamo. COLLAGENE ED ELASTINA Come tutti i tessuti, il connettivo è formato da cellule connettive: i blasti. Vi sono osteoblasti nell’osso, condroblasti nella cartilagine, fibroblasti nel tessuto fibroso. Queste cellule comunicano tutte attraverso i loro prolungamenti protoplasmatici. La loro fisiologia consiste nella secrezione di due proteine: - il collagene - l’elastina. E la fascia è fatta principalmente di collagene ed elastina. Parliamo subito dell’elastina che è la meno interessante. I tessuti hanno bisogno di tre qualità per la propria funzione: essere robusti, resilienti ed elastici. Non basta robusti ed elastici, devono anche essere resilienti, ossia capaci di adattarsi alla situazione. Il perché è ovvio: se noi contraiamo un braccio per sollevare un peso o lo allunghiamo per afferrare qualcosa, il braccio deve poter tornare a riposo
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o non farà nessun altro gesto. E deve poter fare quest’azione con pesi diversi, temperature diverse, stress e situazioni in generale diverse. Essere dunque resiliente. Ovviamente nei limiti comprensibili. Le fibre elastiche permettono questo e sono composte nella maggior parte di elastina. L'elastina è una proteina idrofobica, ricca di glicina e prolina, si trova abbondante nei vasi sanguigni determinandone l'importantissima elasticità. E' poi presente nei legamenti, nel polmone, nella cartilagine, nella vescica e nella cute. Nel derma la sua densità e volume tendono ad aumentare e l'elastina quando è vecchia appare in genere ingrossata, quasi tumefatta, spesso spezzettata. L'elastina però è una proteina di lunga durata e stabile. Vale a dire che ci è data alla nascita e non possiamo modificarla, dunque poco ci interessa. Il nostro focus è invece il collagene. Il tessuto connettivo (cartilagini, ossa, tendini, legamenti, fascia) è costituito in misura molto importante dal collagene. Anzi, i collageni. Il collagene è la più abbondante proteina del corpo umano. Negli USA il collagene lo chiamano familiarmente "glue" (colla). E come tutte le colle che conosciamo può essere densa fino a dura, fluida fino a semiliquida, poco adesiva o permanente. Struttura i nostri corpi, protegge e sostiene i tessuti più morbidi e li collega allo scheletro. Ne esistono molti e diversi, circa 42 tipi, ognuno con una sua particolare localizzazione. Si ritiene che le loro diverse proprietà strutturali e meccaniche dipendano dalla loro miscela nelle fibre. I collageni che appartengono alle ossa e i tendini possono creare legami incrociati di notevole resistenza strutturale, altri sono a struttura interrotta il che ne determina la flessibilità. Sono fondamentali nel determinare la resilienza e la capacità delle nostre strutture a sostenere la tensione, la resistenza, la compressione. Chi crea collagene? I fibroblasti, le cellule muscolari lisce, ma anche l'epitelio genera collagene quando è sottoposto a un lavoro con lo sforzo, l'esercizio, il carico. Sappiamo che le fibre di collagene sono in grado di caricarsi d'acqua e scambiare ioni. Il che ci porta direttamente alla conduzione elettrica (ci si ricordi della pila imparata a scuola!). Ovviamente è una corrente piezoelettrica e le fibre si comportando da semiconduttori.
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IL COLLAGENE SEMICONDUTTORE. Dicevamo che il collagene è prodotto e ri-metabolizzato in funzione del carico meccanico che subisce, di conseguenza le sue proprietà viscoelastiche comportano, un grosso impatto sulla postura dell'uomo. Per farla semplice: i proteoglicani del collagene si legano a grandi quantità di acqua formando gel idrati. Questa idratazione crea uno stato di turgore nella matrice che la rende capace, di essere resistente alle forze di compressione. In sostanza si può immaginare un materasso d’acqua. Essendo porosi e idratati consentono poi la rapida diffusione di molecole idrosolubili e la migrazione di cellule. Sappiamo che qualunque forza meccanica capace di generare una deformazione strutturale sollecita i legami inter-molecolari e produce un leggero flusso elettrico (corrente piezoelettrica). Le fibre di collagene distribuiscono le cariche positive sulla propria superficie convessa e le negative su quella concava, trasformandosi così in semiconduttori (consentono il flusso di elettroni sulla loro superficie a senso unico). Il segnale che propagano ha una velocità pari a circa 64 m/s (corrispondente alla conduzione delle fibre nervose veloci) Pertanto la rete di collagene possiede anche la caratteristica di condurre segnali bioelettrici. Questi segnali possono comportare importanti modifiche biochimiche. MATRICE E PATOLOGIE La matrice è un tipo di materia composita e viva che, pur variando spesso il proprio status da sol a gel, resta sempre un ambiente ricco, molto complesso e sensibile ai fenomeni di base quali tossicosi intestinali, alterate fasi di depurazioni epatico-renale, acidificazioni e alterazioni vascolari. L'equilibrio strutturale e metabolico extracellulare è fondamentale nella regolazione degli scambi vitali di base. L’alterazione di questi meccanismi è visibile in quasi tutte le malattie croniche e degenerative. Molte malattie genetiche sono il risultato finale di mutazioni primitive di molecole della Matrice. Numerose patologie croniche e degenerative presentano una tendenza all’acidosi e all’aumento dei radicali liberi, da
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cui l'importanza di mantenere il pH corporeo a ca. 7,4 cioè leggermente alcalino tramite una corretta alimentazione. Teniamo presente che non sempre è un problema sistemico, ma talvolta locale, tissutale. Mentre nei grandi vasi le alterazioni ossidative e del pH sono facilmente tamponate, nei tessuti e nei capillari l’acido è spinto immediatamente fuori dalla cellula, attraverso le specifiche pompe, alterando i delicati scambi di gas e sostanze nutritizie. Nel neurone, la mielina esercita una protezione quasi completa dell’assone ad eccezione dei nodi di Ranvier, brevi spazi, dove l'assone si trova a diretto contatto con la Matrice. Diventa così ovvia l’importanza del pH extracellulare per la salute del neurone. In caso di alterazione metabolica, fibroblasti e relative fibrille si decontraggono e il sistema linfatico è rallentato. Si crea linfedema e la cui nox patogena sta proprio nelle alterazioni della Matrice. La dieta concorre a questo con l'eccesso di zuccheri che provoca eccesso di lipidi. L'assunzione di estrogeni inclusi negli alimenti (per via animale o per correzione del suolo agrario) si somma a quelli assunti farmacologicamente e sono trasportati nel tessuto adiposo provocando lipogenesi e ritenzione idrica. Le alterazioni disbiotico-fermentative intestinali, in particolare a livello del colon per cattiva alimentazione, produrrebbero tossine che, attraverso il sistema vascolare, si fisserebbero nella Matrice. Le tossine assorbite provocherebbero alterazioni metaboliche a causa della loro azione acidificante e di ossidazione cellulare con conseguente rallentamento degli scambi metabolici e ritenzione idrica interstiziale. Vengono poi a crearsi scompensi cardio-circolatori che hanno origine nella matrice ma che portano sofferenza al cuore (anomalie strutturali dell'interstizio cardiaco). La Matrice, e in particolare il collagene, giocano un ruolo vitale a carico dei reni con lesioni croniche tubulointerstiziali legate al calo dell’attività secretoria renale, che, a sua volta provoca altri danni. Pareti inspessite e tessuto connettivo iperprodotto, li troviamo nei casi d’infertilità, osteoartrite, discopatie, glaucoma, distacchi di retina,
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steatosi, infezioni, necrosi. Anche l'apparato respiratorio è sensibile alla matrice. Ogni molecola ed elettrone dell’organismo presenta una rotazione e una vibrazione fisiologica propria e tipica, che è alterata in stati patologici, in modo particolare, in quelli cronici e degenerativi. La Matrice soggiace pertanto anche a leggi fisiche di tipo elettromagnetico per conservare il suo stato naturale di sol.
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LE FASCE.
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Fra i vari tipi di tessuto connettivo, la fascia è il Medium che ci conduce alla postura. La fascia ha 4 tipologie: • • • •
superficiale profonda viscerale meningea
1) Lo strato più esterno sotto il derma, rappresenta la fascia superficiale. A livello del capo questa fascia continua nella galea capitis (o galea aponeurotica), mentre si fonde con la fascia profonda a livello della pianta del piede (formando i retinacoli del talo) e del palmo della mano (retinacoli del carpo). La fascia superficiale è composta da tessuto connettivo lasso e adiposo pertanto il suo spessore, oltre che dalla localizzazione, dipende dalla nostra alimentazione. Rappresenta un'importante sede di stoccaggio di acqua e grasso, protegge da deformazioni e insulti meccanici e termici, è una via di passaggio per nervi e vasi sanguigni e permette lo scorrimento della pelle sopra la fascia profonda. Tramite fibre, forma un continuum con derma ed epidermide verso l’esterno e, al contempo, si fissa ai tessuti e organi sottostanti. 2) La fascia profonda è sotto la fascia superficiale, è uno strato piuttosto coeso intorno al corpo (tronco e arti) costituito da tessuto connettivo denso, irregolare, formato da fibre collagene ondulate e da fibre elastiche (disposte secondo andamento trasversale, longitudinale e obliquo) e forma una membrana che riveste la parte esterna muscolare. Questa guaina ricopre il corpo, si estende dal cranio verso gli arti superiori (fino a fondersi con la fascia superficiale a livello dei retinacoli del palmo della mano) e anteriormente passa sotto i muscoli pettorali, ricopre i muscoli intercostali, le coste, l’aponeurosi addominale e si connette alla pelvi.
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La fascia profonda gira posteriormente connettendosi ai processi trasversi e poi alle apofisi spinose formando quindi due comparti (destro e sinistro) contenenti i muscoli paravertebrali. A livello dell'osso sacro forma un nodo fuso con l'osso dove convergono i vari comparti fasciali del corpo e da cui si diparte la porzione di fascia profonda che percorre gli arti inferiori fino a fondersi con la fascia superficiale, a livello della pianta del piede nei retinacoli del talo.
Caratteristica distintiva della fascia profonda è quella di formare dei comparti strutturali e funzionali, ossia contenenti determinati gruppi muscolari con innervazione specifica. Il compartimento conferisce anche delle caratteristiche specifiche al muscolo: un muscolo che si contrae all’interno di una guaina sviluppa una pressione che sostiene la contrazione stessa. I muscoli del trasverso, per es. costituiscono la parte attiva della fascia toraco-lombare. A livello del singolo muscolo, la fascia profonda entra in contatto, 10
tramite i setti, le aponeurosi e i tendini con l'epimisio, quel tessuto connettivo fibro-elastico che riveste l'intero muscolo. Questa fascia è direttamente collegata ai fusi neuromuscolari e agli organi tendinei del Golgi. Teniamolo presente che diventerà importante più avanti. Come la fascia superficiale, la fascia profonda è connessa con la fascia viscerale e la meningea e fornisce vie di passaggio per nervi e vasi. Riveste un’enorme importanza posturale. 3) La fascia viscerale è una colonna fasciale che forma il mediastino. La porzione maggiore di questa fascia si trova sull'asse mediano intorno agli organi toracici. Il mediastino toracico continua quindi con quello addominale fungendo anche da grosso condotto per i fluidi. A livello addominale la fascia endoaddominale si diparte dalla colonna per rivestire completamente gli organi sospesi. In alcuni punti la fascia viscerale tende a specializzarsi, ad es. s’ispessisce intorno ai reni per proteggerli.
Questa fascia presenta quindi il grande vantaggio di poter creare dei comparti ma, essendo anche un deposito di grasso, può creare 11
problematiche di massa deformando la cavità corporea. 4) Nella fascia profonda, dietro la viscerale, abbiamo la fascia meningea che racchiude l’intero sistema nervoso centrale. La fascia meningea possiede funzione protettiva e nutritiva del sistema nervoso centrale. I RECETTORI. Con il collagene sono la parte più intrigante del nostro lavoro. Per semplicità di spiegazione e memorizzazione, distinguiamo i recettori in due grandi classi: recettori sensoriali e i recettori della comunicazione cellulare Secondo la natura dello stimolo, i recettori sensoriali sono: • Meccanocettori: rispondono alle modificazioni meccaniche; • Propriocettori: rispondono alla propriocezione; • Enterocettori: sensibili a stimoli provenienti dall'ambiente interno, localizzati in profondità (recettori viscerali): • Esterocettori, localizzati sulla superficie del corpo o in prossimità di essa; • Chemiocettori: rispondono a stimoli chimici; Abbiamo poi: • Nocicettori: rispondono al dolore; •Elettrocettori: rispondono alle variazioni del campo elettrico di organismi viventi. • Barocettori: rispondono alla variazione di pressione; • Igrorecettori: rispondono alla variazione di umidità; • Fotorecettori: rispondono a stimoli luminosi; • Termocettori: rispondono alle variazioni di temperatura; • Osmocettori: rispondono all'osmolarità, quindi alla sete; Sono in verità molti di più e soprattutto sono poco conosciuti (solo due anni fa furono trovati recettori olfattivi nella pelle- Rhur University, Bochum.)
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Parliamo di quelli che interessano il nostro lavoro. Li vediamo sommariamente per approfondire poi. I più importanti sono: - i fusi neuromuscolari, meccanorecettori che rispondono allo stiramento. - Gli organi tendinei del Golgi: informano sulla forza di contrazione e reagiscono allo stiramento producendo un rilascio del muscolo. - I recettori di Pacini e i corpuscoli di Ruffini: informano sull’ampiezza, velocità e senso del movimento. - i recettori interstiziali, per lo più terminazioni libere che danno informazioni sensitive. - i chemiorecettori sono stimolati da sostanze chimiche e sono importantissimi nella regolarizzazione del metabolismo. - i nocicettori. Generano segnali che sono interpretati dal SNC come dolore. Ci interessano perché possono sollecitare contrazioni difensive. Per queste vere e proprie vie di comunicazione con passaggi, svincoli, cancelli e segnali, il SNC riceve informazioni che sono importanti sia per la propriocezione in se' sia per il costituirsi e il permanere dello schema corporeo e di tutte le sue correlazioni. Prima di passare a esaminare i più discussi vediamo come comunicano col SNC.
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LA COMUNICAZIONE SINAPTICA. E la via di comunicazione standard fra la periferia e il SNC, come imparato a scuola. Abbiamo sinapsi elettriche a conduzione velocissima (scarse nei mammiferi, per lo piÚ riguardano la retina) e sinapsi chimiche che funzionano con un mediatore. Nell’immagine vediamo una sinapsi. L'impulso, sotto forma elettrica arriva con un certo potenziale sulla
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membrana presinaptica ove sono le vescicole sinaptiche contenenti molecole di sostanza trasmettitrice. (neurotrasmettitori) Gli ioni del Calcio (Ca++) modificano il potenziale di membrana e determinano l'apertura delle vescicole sinaptiche che stanno addossate alla terminazione. Aprendosi liberano nello spazio intrasinaptico il neurotrasmettitore che contengono e che trova, nella membrana postsinaptica, i suoi propri recettori. Si aprono così canali che permettono un passaggio di ioni nella post sinapsi. Secondo il tipo d’impulso, del neurotrasmettitore e del recettore postsinaptico, viene originata una conseguenza che può essere una modificazione cellulare o un altro effetto biologico. Il primo mediatore trovato e studiato fu l'acetilcolina. L’acetilcolina è immagazzinata in vescicole nella terminazione presinaptica. Quando arriva l’impulso elettrico, le vescicole si agganciano alla membrana presinaptica e l’acetilcolina è liberata in uno spazio detto sinaptico. A questo punto l’acetilcolina può andare a occupare i recettori situati sulla membrana postsinaptica, depolarizzandola e dando il via alla formazione di un potenziale d’azione nella fibra nervosa o nella fibra muscolare che ha stimolato. Il punto essenziale da focalizzare è che i neuroni utilizzano i potenziali d’azione lungo gli assoni fino alle sinapsi, dove trovano i neurotrasmettitori. Come risposta al potenziale d’azione i neurotrasmettitori si legano ai loro recettori sulla membrana postsinaptica, scatenando infine un ulteriore potenziale d’azione per poi essere degradati da enzimi specifici (ad esempio acetilcolinesterasi). Notare che la comunicazione sinaptica è nell’ordine di un millisecondo.
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Il RIBALTONE Da alcuni anni sono stati studiati altri modi in cui avviene la comunicazione nel nostro corpo. Fino a ieri il nostro lavoro nel Deep Tissue Massage e derivati, era giocato su peso e tempo ritendendo che fossero determinanti per portare il collagene da gel a sol e indurre una risposta. Si riteneva questa la via terapeutica per eccellenza, quella che dà una risposta permanente nel tempo. Tipicamente si sa, evidence based, che i metodi legati a Ida Rolf lo fanno. Invece pare che ci siamo tutti sbagliati. Seguiamo il ragionamento di Robert Schleip (e altri) che ci porterà molto lontano e forse alla quadratura del cerchio. Cominciamo dai recettori e riempiamoci la testa di dubbi. La vecchia dispensa già li coinvolgeva, già sapevamo che dovevano essere informatori al SNC che rispondeva con nuovi assetti. Ma c’è di più. Scrive Schleip “Più di venti anni fa, sono stao coinvolto in una disputa tra istruttori di Feldenkreis e insegnanti di Rolfing. I sostenitori del secondo gruppo avevano affermato che molte restrizioni posturali erano dovute a pure aderenze e restrizioni meccaniche all’ interno della rete fasciale, mentre gli autorevoli del primo gruppo suggerivano che “è tutto nel cervello”, cioè la maggior parte delle restrizioni sono dovute a disfunzioni della regolazione sensomotoria.” Al che Schleip esegue dei test su paziente anestetizzato (v. poi) e aggiunge “Devo dire che sono rimasto molto scioccato dal risultato dei miei test. Come Rolfer mi sarei aspettato che le restrizioni fasciali avrebbero impedito alle braccia anestetizzate di cadere completamente….” E da qui parte la lunga ricerca. Schleip definisce i Golgi, i Ruffini, i Pacini e gli Interstiziali “GRANDI
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FAMIGLIE ITALIANE”. Queste persone, dice, hanno attitudini diverse. I Golgi I Golgi sono muscolarmente attivi, pronti al sollevamento pesi. Quando affrontati in un certo modo però sono dei bravi ragazzi. Sono situati nei legamenti, nelle capsule articolari e nelle giunzioni miotendinee. Rispondono allo stiramento lento: nelle posture dello yoga, nella lenta attività di stretching, nello stroke lento e profondi danno una diminuzione del tono e ammorbidimento dei tessuti. Però si attivano solo quando le fibre muscolari sono contratte. Il motivo è che sono disposti in linea con le fibre muscolari e negli allungamenti il vantaggio è nella fibra muscolare non nel tendine. Significa che il lavoro sui tessuti profondi col paziente passivo non riguarda i Golgi? Ni. La risposta sembra solo più alta se le fibre muscolari non sono in stato di completo rilassamento. (E questo ci porta ai lavori di Peter Levine. Vedi poi) I Pacini. I Pacini sono come gli adolescenti, han bisogno di stimoli costanti e premiano la nostra attenzione. Si trovano in tutti i tipi di tessuto connettivo denso: fasce muscolari, tendini, legamenti, aponeurosi e capsule articolari. Sono maggiormente concentrati nella porzione tendinea, negli strati più profondi delle capsule articolari, nei legamenti più profondi vertebrali, nei tessuti plantari e palmari, nelle fasce antebrachiali, crurali, addominali, nella fascia del massetere e della fascia lata. Con loro ci sono i parenti più piccoli, i Paciniformi. Rispondono alla vibrazione, all’oscillazione e a rapidi cambiamenti della pressione come nei trust. La loro stimolazione non produce aumento o calo di tono muscolare, ma provoca un aumento della propriocezione. Questa stimolazione potrebbe interessarci molto nel dare un’aumentata coordinazione neuromuscolare. I Ruffini I Ruffini apprezzano la calma e la lentezza. I si trovano anche loro in tutti i tipi di tessuto connettivo denso: fasce muscolari, tendini, legamenti, aponeurosi e capsule articolari. I Ruffini stanno pigramente
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nei tessuti che usiamo ogni giorno per muoverci, nell’allungamento quotidiano, nel gesto per prendere cose, camminare, alzarci, sederci. Sono lenti e rispondono meglio a una pressione costante, si attivano con tecniche lente e profonde di “immersione” nei tessuti. Due loro aspetti sembrano importanti: - sono particolarmente reattivi a un lavoro tangenziale e allo stretching laterale; - tendono a indurre un abbassamento dell’attività del Sistema Simpatico. Gli Interstiziali Gli Interstiziali possono avere proprietà simili a streghe, così come proprietà angeliche. Sono quasi l’80% delle fibre sensoriali di un tipico nervo motorio. [Nota. Sebbene molte delle fibre in un tipico nervo motorio abbiano una funzione vasomotoria, la maggioranza è sensoriale. Se si studia un tipico nervo muscolare, come il nervo tibiale, si osserva che contiene almeno tre volte più fibre sensitive che motorie. Questo indica un affascinante principio: il perfezionamento sensoriale per il corpo sembra essere di gran lunga più importante dell’organizzazione motoria.] In passato si credeva che queste terminazioni nervose fossero soprattutto recettori del dolore. Molti di loro hanno, in effetti, più funzioni ma è dimostrato che la maggioranza è meccanocettore. Mentre Golgi, Pacini e Ruffini, appartengono più a fibre sensoriali interstiziali di tipo III e IV, una parte degli interstiziali appartiene alle note fibre di tipo I e II, quelle dei fusi neuromuscolari. Questi neuroni nascosti sono molto piccoli di diametro e sono recettori interstiziali del tessuto miofasciale, visto che sono abbondanti nella fascia. Interessante: fino a ieri non avevamo individuato recettori nella fascia e la ritenevamo sede di sole afferenze biochimiche. Questo ci cambia molto ma non anticipiamo. Partiamo dalle cose che la ricerca contesta.
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I DUBBI Tutti questi personaggi sono molto differenti fra loro ma possono essere divisi in due gruppi: a bassa soglia di attivazione e ad alta soglia di attivazione. Che ci importa? Quali conseguenze o reazioni possiamo avere con un’eccitazione di questa nascosta e ricca rete sensoriale? I meccanocettori sono inseparabilmente intrecciati con il Sistema Autonomo ma sono anche essenziali nella comunicazione endocrina. Per es. molti dei neuroni sensitivi del cervello enterico sono meccanocettori che, se attivati, provocano importanti modificazioni neuroendocrine. Le nuove ricerche han dimostrato che non provocano solo mutamenti nel Sistema Nervoso ma anche un rilassamento muscolare globale. Per es. una sostenuta pressione sul bacino produce risposte riflesse corticali, vagali e calo di attività all’elettromiografia. Questo stimola cambi di ritmo cardiaco, pressione arteriosa, ritmo respiratorio e relativi organi interni, ma tende anche ad attivare il lobo anteriore dell’ipotalamo ossia induce calma, sincronia, abbassamento generale del tono muscolare, ammorbidimento dei muscoli. In altre parole, la pressione profonda in certe aree fa rilassare chi la subisce. Sono questi effetti che possono spiegare cosa succede nel nostro lavoro senza bisogno di ricorrere a supposizioni esoteriche. (NOTA. Le recenti scoperte a proposito della ricchezza del sistema nervoso enterico ci hanno fatto capire che il nostro “cervello nella pancia” contiene oltre 100 milioni di neuroni e funziona in modo molto indipendente dal cervello corticale. E’ interessante che le connessioni dal cervello enterico a quello centrale siano 9 volte più numerose di quelle che fanno il viaggio inverso. Non dicevamo che Il SNC è un bradipo?). In cosa abbiamo creduto fino a ieri? Che il lavoro sui tessuti fasciali (miofasciale, deep tissue, rolfing, structural integration e compagnia cantante) ha successo perché: 1. lavoriamo sul collagene con pressione e calore portandolo da gel a sol; 2. lavoriamo sul tempo; 3. lavoriamo sulla cellula. 4. lavoriamo sui recettori
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No, nulla di questo o quasi. 1. Pressione manuale. Si chiama tixotropia ed è l’ipotesi “da Gel a Sol”, che il collagene cambi forma. No, si scopre che l’applicazione della pressione temporanea, ha poche possibilità di causare modificazioni permanenti. Come mai non ce ne siamo accorti? Perché le scuole di lavoro fasciale e posturale (serie) sono state profondamente influenzate da Ida Rolf che usava una notevole pressione sulle strutture fasciali per cambiarne la densità e l’organizzazione. Ci siamo detti “il lavoro dà risultati eclatanti per quello, per cosa se no?” Questa trasformazione è vera come ipotesi ma per averla si deve applicare uno stress prolungato, toppo prolungato. Noi invece un passaggio su un tessuto la facciamo in alcuni secondi, massimo 1-2 minuti, la distensione la sentiamo ma non è spiegabile con la tixotropia. E fuori uno. 2. Il tempo. Neanche questo vale. Gli studi ora dicono che per ottenere deformazioni permanenti serve molto più tempo oppure molta più forza (si tona in 1). E ci dicono che nelle sostanze colloidali, l’effetto di ammorbidimento dura solo fino a quando la pressione o il calore sono applicati. Dopo tutto torna allo stato precedente. E fuori due. 3. La cellula. James Oschman e altri ci hanno detto che la piezoelettricità è una spiegazione della plasticità fasciale. Ossia la pressione esterna provoca una carica elettrica che stimola i fibroblasti ad alterare il loro metabolismo in quell’area. No. Sia il collagene che la matrice hanno una durata e una stabilità, molto lunga (giorni, anni) e non è certo il lavoro dell’operatore che li cambia. E fuori tre. Poi ci siamo detti che i risultati sono effetto degli allungamenti (stiramento, stretching passivo, yoga ecc.). No. Per ottenere un allungamento del tessuto connettivo denso si deve fare un allungamento talmente forte che darà strappi, infiammazione e altri effetti poco simpatici. Allora il terapista dice: “Va bene, meno forza e più tempo”. No:
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devo usare più di un’ora per avere l’1-1,5% di allungo se voglio un risultato senza strappi o infiammazione. [NOTA. A proposito. Joseph Threlkeld, docente di educazione fisica ha calcolato che le microlesioni del tessuto connettivo denso avvengono intorno ai 25/115 kg. Simili forze appartengono ai “trust” mentre le manipolazioni più lente non pare siano forti abbastanza. Questo è supportato dagli studi di Hans Chaudry professore d’ingegneria biomeccanica] A questo punto abbiamo mandato al macero una pila di concezioni nostre come quelle di tantissimi colleghi. E allora siamo nudi? Per nulla! Si apre piuttosto una prospettiva spettacolare. POSSIBILI RISPOSTE Torniamo alla disputa succitata dove vengono in aiuto gli anestesisti: il rilascio miofasciale non è lo stesso da anestetizzati rispetto allo stato vigile cioè a quando la propria regolazione neurale è integra. Dice Schleip in “La fascia come organo di comunicazione”, 2013: “Dopo questo evento la disputa interdisciplinare ha portato a un ripensamento dei concetti tradizionali delle terapie miofasciali, e diversi anni dopo è stata pubblicata una spiegazione degli effetti della manipolazione miofasciale (Cottingham 1985), successivamente ampliata da molti altri (Schleip 2003). Si presume che la rete fasciale del corpo svolga un ruolo essenziale nella nostra organizzazione della postura e del movimento [….]negli anni '90 furono fatti progressi nel riconoscere la natura propriocettiva dei legamenti, che successivamente influenzò le linee guida per il ginocchio e altri interventi chirurgici congiunti. Allo stesso modo, la fascia ha dimostrato di contribuire alla regolazione sensoriomotoria del controllo posturale in piedi. È ormai riconosciuto che la rete fasciale è uno dei nostri più ricchi organi sensoriali. [….] rispetto all'innervazione del muscolo con i fusi muscolari, l'elemento fasciale è innervato da circa 6 volte il numero di nervi sensoriali rispetto alla sua controparte muscolare rossa. Inoltre, anche i recettori del fuso nei muscoli si trovano principalmente solo in aree con trasferimento di forza dal muscolo ai tessuti connettivi. Questo include molti tipi diversi di recettori sensoriali, incluse le terminali propriocettive solitamente mielinizzate come le terminazioni Golgi, Pacini e Ruffini, ma anche una
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miriade di minuscole terminazioni nervose libere non mielinizzate, che si trovano quasi ovunque nei tessuti fasciali, ma in particolare in periostio, negli strati endomisiali e perimisiali e nei tessuti connettivi viscerali. Se includiamo nel nostro calcolo queste terminazioni nervose fasciali più piccole, allora la quantità di recettori fasciali potrebbe essere uguale o addirittura superiore a quella della retina, finora considerata l'organo umano sensoriale più ricco. Tuttavia, per la relazione sensoriale con il nostro corpo - che si tratti di propriocezione pura, nocicezione o interocezione più viscerale - la fascia fornisce sicuramente il nostro organo percettivo più importante. La domanda quindi è: cosa sappiamo veramente della capacità sensoriale della fascia? E quali specifiche risposte fisiologiche possiamo aspettarci di suscitare in risposta alla stimolazione di vari recettori fasciali? [...] Mentre in passato veniva posta molta enfasi sui recettori articolari (essendo situati in capsule articolari e legamenti associati), indagini più recenti indicano che i meccanocettori più superficialmente posizionati, in particolare nell'area di transizione tra la fascia profunda e la fascia superficiale, sembrano essere dotati di una densità eccezionalmente ricca di terminazioni nervose propriocettive. [...]Un campo recentemente riscoperto è l'interocezione fasciale, che si riferisce alla segnalazione, per lo più subconscia, dalle terminazioni nervose libere che sono nei visceri del corpo, come in altri tessuti e che informano il cervello sullo stato fisiologico del corpo e lo collegano al nostro bisogno di mantenere l'omeostasi (Schleip e Jäger, 2012). Mentre le sensazioni dai recettori propriocettivi vengono solitamente proiettate attraverso la loro corteccia somato-motoria, la segnalazione dalle terminazioni interocettive viene elaborata attraverso la regione dell'insula nel cervello, ed è solitamente associata a una componente emotiva o motivazionale. “ Ripassare: https://it.wikipedia.org/wiki/Lobo_dell%27insula Questo non è un concetto nuovissimo. Still, scrisse più di cento anni fa: “Quando hai a che fare con la fascia, tratti e vieni a patti con le succursali del cervello, sottoposte alle stesse leggi del quartier generale, quindi è come fare affari con il cervello stesso”. Ma questo sospetto e la frase di Still ci bastano? No. In questo settore siamo costretti a supporre che la fascia contenga un sistema di comunicazione ancora diverso e più veloce del Sistema Nervoso.
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La Langevin (vedasi il documento allegato in calce) ci ha spiegato bene la “comunicazione cellulare” che bypassa il Sistema Nervoso: la trasmissione avviene tramite sostanze messaggere che viaggiano sì lungo vie neurali, ma anche attraverso il sangue, la linfa, il liquido cefalorachidiano o la sostanza fondamentale. E ci ha spiegato che la rapida regolazione corporea è inseparabilmente connessa ai sistemi endocrino e immunitario. Il SNC è un bradipo confrontato alla velocità di comunicazione di queste sostanze ed è questa complessità, plasticità e continua riorganizzazione che può spiegare i rapidi mutamenti della fascia durante la terapia manuale. Quindi quali nuove prospettive si aprono? EMOTION IN MOTION (l’interocezione fasciale) Sono in molti, troppi, a parlare della percezione nel massaggio, senza sapere veramente cosa sia e come funzioni. Non vuol dire spalmare di olio qualcuno, avvolgerlo con sfioramenti leggeri e/o profondi, trasmettere amore ed energie, ecc. NO. Se la fascia è un ORGANO SENSORIO, se interagisce col Sistema Nervoso, se la comunicazione cellulare bypassa il SNC, non è tanto il lavoro manuale che porta risultati ma quello percettivo. Ne segue che dobbiamo lavorare non solo sul fasciale col lavoro manuale “bruto” ma lavorare anche intenzionalmente con tutte le famiglie. Ecco dunque che attraverso questa via raffinata, complessa, difficilissima da usare ma anche stupefacente, riusciamo a connetterci con la psicologia. Anche quando sapeste o consideraste queste cose ovvie e sempre fatte, pochi considerano quali porte si aprono. Per ora, per quello che sappiamo, se ne aprono quattro: 1. il tocco 2. lo psicocorporeo 3. Il ponte che si crea altre pratiche profonde (vedasi Chua K’a) 4. Il ponte con la postura.
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IL TOCCO. Quanti mi chiedono come faccio a risolvere una contrazione, come succede, “Come fai a risolvere così un trigger o la contrazione? Cosa senti? Perché ti riesce?” Semplicemente ho istintivamente usato tutte questa modalità. Non ho forse insistito che bisogna parlare col muscolo non col cliente, con il segmento, non (non ancora) con l’unità e facendosi carico di un problema alla volta? Bisogna chiedersi cosa MI sta dicendo quella parte di corpo quando la lavoro. Le piace? Non le piace? Si irrita? Resta indifferente? Fa la sostenuta? Cede ma dopo un po’ mi ignora? E se provo più veloce? E più lento? E di traverso? Come interpreto quando una contrazione si divide in tanti fili tesi? Quando un ventre muscolare “salta” ma non dà dolore? Quando non risponde a nulla? Ha senso insistere? Ecc, ecc, ecc. E’ ovvio che questo non c’entri NULLA col massaggio olistico genericamente inteso, ma significa piuttosto attivare una strada fra il mio cervello pensante (che pensa con le mani perché anche in noi sono attivi i recettori) e i circuiti neurali del paziente. Per approfondire rimandiamo al programma del corso Touch&Feel. LA PSICOLOGIA E’ evidente a questo punto che un certo tipo di lavoro corporeo raffinato s’intreccia profondamente con la psicologia fino ai margini della psicoterapia corporea. “Emotion in motion” Peter Levine l’aveva scoperto anni e anni fa. E ha scritto un libro bellissimo “Waking the tiger: healing Trauma”. Lui, rolfer, ha usato per anni il rolfing come terapia sui traumi. Un suo rolfing, ovviamente, fino a che non l’ha trasformato in un suo metodo. Ma la partenza è lì. Sul sito un lungo abstract. www.bodyworks.it/wpcontent/uploads/2010/08/levine.pdf
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IL CHUA K’A e il PERIOSTMASSAGE Dalla psicologia al Chua K’a la strada è cortissima. Dice Schleip: “Lavorare con i recettori interstiziali del periosteo può ricordare il Chua Ka, il tradizionale massaggio delle ossa praticato dai guerrieri mongoli per liberare i propri corpi dalla paura prima di andare in battaglia.” Per chi non ricordasse: il CKA è un massaggio lento e profondo che ha delle mappe, un poco come i meridiani. Ogni mappa lavora su una paura o un problema psicologico. Era riservato ai guerrieri, quindi le paure erano di un certo tipo. Ma non ci interessa. Una volta trovata la spiegazione di cosa e come funziona, ossia la fisiologia, si mettono da parte guerrieri e orientalismi e si agisce un poco “alla Levine” via via aggiustando il tiro. Non sono tanto le mappe a significare quanto la conoscenza del corpo e il lavoro in locale. Non è che il lavoro sulle gambe attenui la paura, è che il lavoro fasciale stimola la percezione di sé, l’unità del singolo non frammentato in segmenti, gli restituisce consapevolezza e di conseguenza libera. Molto di questo lo sapevamo ma gli apporti scientifici spiegano il lavoro e lo precisano. Nella fattispecie a buona ragione Schleip ha rinominato il Chua K’a “Periostmassage” ossia un lavoro più a ridosso dell’osso, dell’articolazione. Infrangiamo la legge della “zona interdetta” per andare a investire con più precisione l’apparato sensorio. Per il corso di Chua K’a chiedere il testo introduttivo e il programma. LA POSTURA Parliamo ora un poco di motoneuroni, tono alfa e gamma ma la facciamo semplice che queste cose le sappiamo. L’allungamento di un muscolo che sia nel cammino, che sia nel prendere un oggetto, attiva i fusi neuromuscolari. Questi inviano impulsi in grado di eccitare i motoneuroni alfa a livello midollare. Il motoneurone alfa invia una risposta e il muscolo si contrae. Ma come può ritornare in scarico? Si attiva il motoneurone gamma che estende le fibre contratte mantenendo
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però un certo tono di contrazione del muscolo in modo che sia sempre in grado di rispondere a una richiesta di movimento. In altre parole se si rilassasse troppo non potrebbe tornare in azione. E’ quello che garantisce il tono muscolare. Ora vediamo che carattere hanno i Signori Alfa e Gamma. Il sign. Tono Alfa è particolarmente coinvolto nei movimenti volontari e precisi delle estremità degli arti. Investe i muscoli estensori antigravitari ed è un ruolo importante nell’organizzazione posturale globale. MA!! Interviene nelle risposte muscolo-emozionali. Cosa significa. E’ più facile spiegarlo cosi: se io sono in allarme e non so se di fronte a un pericolo devo attaccare o fuggire, mi trovo attivata sia una componente emotiva che una componente muscolare. Ho quindi da un lato una propriocezione e dall’altro una regolazione preparatoria, o una preprogrammazione del tono del muscolo attorno all’articolazione. Le misurazioni dei meccanocettori dei legamenti del ginocchio mostra che la loro stimolazione porta ad un effetto che è debole sul Signor Alfa ma è molto forte sul Signor Gamma il cui compito è aggiustare continuamente la sensibilità del fuso muscolare. Per gli operatori fasciali, questa scoperta è una notizia affascinante e suggerisce che la stimolazione dei meccanocettori possa portare modificazioni sensibili nella regolazione del tono posturale. Questo fatto potrebbe essere un potente mezzo per indurre modificazioni negli schemi subconsci di mantenimento muscolare. Non è una novità ma è la spiegazione, per es, del perché il lavoro fasciale funzioni nei traumi. E TORNIAMO AL TOCCO Quando si parla di modificazioni dell’organizzazione motoria, è importante capire che il sistema nervoso centrale non opera “nei muscoli”, un muscolo non è mai attivato per intero. Le unità funzionali del sistema motorio sono piuttosto le cosiddette unità motorie. Ci sono
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diversi milioni di queste unità motorie nel corpo umano. Esse, ci racconta Schleip; funzionano in modo simile a un branco di pesci che hanno imparato a nuotare insieme. A seconda della qualità del tocco, quindi del riscontro sensoriale, questi milioni di unità motorie possono essere regolate individualmente.
Basandoci su questo fatto, pensiamo a uno scenario in cui un operatore stia lavorando sul tessuto connettivo lateralmente alla caviglia. Quando l’operatore descrive una distensione dei tessuti, potrebbe essere che questa sia stata causata da un abbassamento della frequenza di scarico di solo alcuni pesci (unità motorie) e che questo movimento sia trasmesso o possa essere trasmesso anche al tessuto nelle vicinanze che sta sotto le mani dell’operatore. Se l’operatore sente il cambiamento e risponde in modo positivo a questi pesci in particolare, altri pesci potrebbero presto seguire la nuova direzione, il che porterebbe l’ operatore ad una ulteriore “percezione di distensione” .Non solo, lo porta a modificare la propria tecnica in modo da sollecitare questi risultati.
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IL LINFATICO. Terapisti, medici, olistici, estetiste usano il drenaggio linfatico, prevalentemente con il metodo Vodder o Le Duc e sconfessano altre terapia per il linfodrenaggio. Per contro noi abbiamo sempre costatato e detto che il Deep Tissue Massage è drenante tuttavia sempre “evidence based”. Ragioniamoci. Ricordiamoci che il vasto gruppo di recettori interstiziali forma la maggior parte delle afferenze sensitive che provengono dal tessuto miofasciale. La loro attivazione induce il sistema nervoso autonomo a cambiare la pressione locale nelle arteriole fasciali e nei capillari. Secondo Lawrence Kruger, ricercatore e professore benemerito di neurobiologia all’Università della California, molte delle fibre interstiziali, se energicamente stimolate, sembrano influenzare anche lo stravaso plasmatico ossia l’estrusione di plasma dai vasi sanguigni al fluido interstiziale della matrice. Tale modificazione della dinamica locale dei fluidi significa anche una modifica della viscosità della matrice extracellulare. Questo si rifà al concetto gel/sol originariamente proposto da Ida Rolf, questa volta con l’inclusione del sistema nervoso del paziente. Il fatto che le fibre interstiziali possano influenzare lo stravaso plasmatico è di sostegno anche alla proposta di Mark F. Barnes che la manipolazione miofasciale possa coinvolgere una modifica del sistema di regolazione di fondo che include le vie vascolari. Con l’aumento della velocità di rinnovo della sostanza fondamentale, (matrice) sembra anche più probabile che il modello piezoelettrico, esplorato all’inizio di questo capitolo, possa giocare un ruolo. Dato che una manipolazione miofasciale poi coinvolge sia il flusso sanguigno locale sia la viscosità tissutale locale, è abbastanza probabile che queste modificazioni tissutali possano essere rapide e significative, abbastanza da poter essere percepite dalla mano sensibile di un abile operatore. Il “Ciclo Continuo di Circolazione Intrafasciale” è basato sul lavoro del Dott. Jere H. Mitchell e del Dott. Robert F. Schmitd. Si tratta di questo:
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MANIPOLAZIONE TISSUTALE à Stimolazione dei meccanorecettori à Coinvolgimento Interstiziali e Ruffini à Sistema Nervoso Autonomo il quale risponde con à Dinamica locale dei fluidi à Risposta palpabile. La fascia è densamente innervata da recettori tissutali interstiziali. Il sistema nervoso autonomo utilizza l’input di questi recettori, insieme all'input di alcune terminazioni Ruffini, per regolare la fluidodinamica locale nei termini di una pressione sanguigna alterata in arteriole e capillari locali, oltre al travaso di plasma e viscosità tissutale. ---- 29
Schema della possibile operatività. Recettore Fuso
Risposta stimolata Diminuzione tono
Terapia Compressione del ventre muscolare
Golgi
Diminuzione tono
Mass trasverso, stretching dolce
Pacini
Propriocezione Possibile incremento dell’autoregolazione locale
Tecniche armoniche Trager Manipolazione veloce
Ruffini
Inibizione del Simpatico
Fasciale tipo Rolfing/Deep Massage
terminazioni libere
Inibizione del dolore Benessere Quando doloroso: risposta di sensibilizzazione Terminando il dolore: risposta di desensibilizzazione, percettiva-orientativa
Lavoro lento a più passaggi Lavoro sul periostio Propriocezione
Ognuna di queste modalità è la continuazione di questo testo e una piccola dispensa che è fornita al corso.
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ULTERIORI APPROFONDIMENTI (ex dispensa 2003) I Miofibroblasti Scoperti nel 1970, i miofibroblasti sono cellule del tessuto connettivo interposte alle fibre collagene fasciali con capacità contrattili simili alla muscolatura liscia (contengono actina). Hanno un ruolo importante nella guarigione delle ferite, nella fibrosi dei tessuti e nelle contratture patologiche. Data la configurazione della distribuzione di tali cellule contrattili all’interno della fascia, il probabile ruolo di queste strutture contrattili è quello di tensione supplementare che sinergizza la contrazione muscolare fornendo un vantaggio in situazioni di pericolo per la sopravvivenza (lotta e/o fuga). E’ inoltre molto probabile che tramite tali fibre muscolari lisce il sistema nervoso autonomo possa pretensionare la fascia indipendente dal tono muscolare. La funzione di tensegrity Due parole sulla funzione di tensegrity. Dobbiamo il concetto all’architetto Richard Buckminster Fuller: in un sistema la stabilità dell'equilibrio è data dalle forze di tensione. Questo ribalta in concetto che invece siano le forze di compressione. Prendiamo la struttura corpo, essa è chiusa e legata da tiranti, è una tensostruttura. Per quanto la si deformi essa resiste alla rottura o a una deformazione anche molto pesante prima di cedere. Mediatori posturali. La postura è mediata dai recettori posturali. Una funzione così importante non è delegata a un solo organo o apparato ma richiede un intero sistema. Per sfruttare la gravità, l'organismo deve possedere una serie d’informazioni che gli provengono da:
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-
esterocettori che informano il Sistema Tonico della propria posizione, dello stato, vista, udito, ecc. e che usano l'orecchio interno, l'occhio e il piede; -da endorecettori che riguardano le afferenze Il Sistema Tonico Posturale è dunque l’esito di una serie di input che dai recettori arrivano al SNC provocando una risposta. E' qui che giace la ragione per la quale molte terapie posturali non hanno un successo stabile.
Una postura nasce dalla sesta settimana di vita circa quando il bambino inizia ad estendere il collo attivando la muscolatura posteriore del collo in contrasto con la forza di gravità. Successivamente “gattonando” presenta una notevole cifosi lombare associata ad una lordosi cervicale ma impara a controllare il peso della testa con la muscolatura posta superiormente al cingolo scapolare. Quando inizia a fare i primi tentativi per rimanere in posizione eretta, e quindi camminare, allora si forma la lordosi lombare A circa dodici mesi di vita si ha il passaggio alla postura eretta. A quel punto entra in funzione il sistema propriocettivo del piede che è responsabile di quelle informazioni che struttureranno le curve della colonna entro i 6 anni. In contemporanea si stabilizza la funzione visiva e l'allineamento dell'occhio e dell'orecchio. [Nota. Contemporaneamente giungono a maturazione deglutizione e masticazione. Ciò ha indotto posturopati e dentisti a darle una responsabilità primaria nella deformazione dell’assetto in ciò dimenticando che il sistema oculomotorio e podalico funzionano molto più ininterrottamente nella quotidianità di quello masticatorio. Almeno si spera. Per non parlare del respiratorio] Il completamento dello sviluppo della funzione posturale avviene invece abitualmente verso gli 11-12 anni. Tutti gli esterocettori (orecchio interno, occhio e piede) hanno dunque captato le informazioni provenienti dall'ambiente e inviate al Sistema Tonico Posturale il quale le ha stabilizzate.
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Prendere nota che enorme incidenza sulla postura l’ ha : 1. l'effetto di adeguamento o di imitazione; chiarissimo nella foto. 2. l'effetto "risonanza". Un concetto che non riesce a entrare nella terapia europea ma che è un punto capitolare nell’ambiente della danza. L'effetto risonanza può anche essere sfruttato terapeuticamente. Un terapista che insegna un movimento e lo esegua insieme col paziente, non come modello di fronte a lui, separato da lui, ma come "compagno" di movimento, sincronico, trasmette l'esistenza di oscillazioni, di natura elettromagnetica e i vari componenti, le varie parti, vanno tra di loro in accordo di fase. Il modo più semplice per testarlo è usare il respiro col paziente. Accordare il respiro al suo e poi via via portarlo vicino al nostro. Vedremo che molte volte i due ritmi si allineano. Consapevoli che comunque è un concetto difficile da mettere per iscritto ma esplosivo se provato. Lo si può approfondire nel lavoro di Hubert Godard o Kevin Frank. Ruolo dello stress Dobbiamo a Selye uno studio approfondito dello stress e di come le tensioni muscolari diventino contrazioni o rigidità. Sono basilari, a tal proposito, le intuizioni riportate nel testo "Lo stress della vita", pubblicato nel 1956, secondo cui lo stress è uno stato fisico aspecifico, che induce patologie nell'uomo con le relative conseguenze e sottolinea che la causa principale della sindrome da stress è da ricercarsi proprio in un'alterazione del tessuto connettivo e, in particolare, delle fasce, cosicché stress ingaggia stress in una catena infinita e degenerativa. Seyle scrive questo nel....1956. In Europa lo stiamo recependo oggi.
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Dopo situazioni di stress, la maggior parte degli individui manifesta, a livello inconscio, i propri disturbi assumendo posture goffe, irrigidendo o curvando la schiena e, intuitivamente, cerca di alleviare questi disturbi "riposando". L'interazione dell'uomo fisico con il campo gravitazionale, che lo circonda, evidenzia il ruolo della gravità nell'indurre situazioni di stress. Il sistema muscolo-scheletrico, specialmente la sua componente fasciale, fa da intermediario tra l'individuo e il suo ambiente esterno e il bilanciamento strutturale comincia proprio nei componenti fasciali del corpo, agendo sulla chimica e, quindi, sulla fisiologia dell'organismo. Tuttavia, nonostante l'interesse generale suscitato, non si mise a frutto quel bagaglio di conoscenze scientifiche che avrebbe potuto accrescere lo stato di benessere psico-fisico dell'individuo e nessuno ha tratto la logica conclusione che la forza gravitazionale costituisce una delle cause principali dello stress psico-fisico. Gravità e blocchi. Dobbiamo a Ida Rolf, le annotazioni di cui sotto e di come le tensioni disorganizzino il corpo rispetto alla forza di gravità. Se il sistema fasciale è considerato come un complesso funzionale, piuttosto che una pura somma di tessuti, diventa evidente che esso rappresenta un organo di supporto, ossia una fitta rete di fasce unitaria e resiliente che inizia, trasmette e determina il movimento, così come avvolge e supporta ogni singolo elemento corporeo. La tensione tra i segmenti corporei altera il modello di movimento. In un corpo irregolare, ogni movimento evoca risposta, non solo dai muscoli direttamente coinvolti (e i loro antagonisti), ma anche da un coro di altre unità. Alcuni di questi gruppi che accompagnano possono interferire, o limitare, il movimento invece di supportarlo. Lo sforzo del corpo di sostenere, cementare o alleviare la parte colpita, diventa un ostacolo al buon funzionamento muscolare. Incidenti, posture abituali o la drammatizzazione di un atteggiamento emozionale può distorcere l'allineamento verticale ma spetta alla fascia il compito di adeguarsi per trattenere i blocchi uniti. Il corpo, spesso reagisce alla tensione irrigidendo e ispessendo le fasce muscolari e, se questo processo diventa stabile, anche l'alterazione muscolare che ne consegue diventerà cronica. Ci sono molti modelli di disintegrazione o deterioramento
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corporeo. Una volta iniziati, i modelli di disintegrazione sono automaticamente progressivi. L'effetto disorganizzante della gravità, in un sistema sbilanciato, aumenta il coinvolgimento dei gruppi di muscoli che compensano. Ma, probabilmente, l'interruzione basilare più comune è l'interferenza meccanica anche se può cominciare da una situazione temporanea per es. una caviglia distorta. Ciò permette alla gravità di imporre la sua forza direzionale sugli elementi strutturali. Con il tempo, il fenomeno si allarga. Le modificazioni penetrano a diversi livelli di profondità e in diverse aree. Perciò, un trauma "temporaneo" può trasformarsi in una restrizione cronica e si rispecchierà in una funzione fisiologica inappropriata in molti livelli e a diverse profondità. Questo processo è reversibile, la struttura fasciale può essere riorganizzata, a condizione che sia riorganizzata nel suo complesso. Il riallineamento verticale appropriato dei segmenti pesanti restaura l'ordine della struttura e bilancia la funzione corporale. Ripristinare lo schema richiede ben più che un allungamento muscolare casuale, irregolare, di un'area localizzata. Il funzionamento efficace, continuo e spontaneo della macchina energetica che noi chiamiamo uomo, richiede che tutte le parti vitali della macchina siano libere di muoversi reciprocamente. La caratteristica di un corpo irregolare è una mancata cooperazione di questi muscoli. Se la tensione è presente da lungo tempo, liberarla localmente, anche se è il punto originale dell'impatto traumatico, non allevia realmente. Un alleggerimento fondamentale dello stress fisico dipende dall'allineamento verticale dei centri di gravità di tutti i maggiori blocchi ponderali (testa, torace, pelvi). Liberato da questa tendenze, il carico negativo della gravità sembra trasformarsi in un innalzamento che sostiene. La cipolla e l'organizzazione. Oggi il lavoro manipolativo con la fascia ricorda l'umile cipolla. Strati giacciono dentro altri strati. Gli strati più profondi possono essere raggiunti solo se i più superficiali perdono la loro rigidità. Con qualsiasi pressione manipolativa avviene uno stimolo di energia meccanica ma se la pressione manipolativa è costruita in modo da far slittare la fascia nella normale direzione richiesta, allora lo stimolo energetico diventa specifico. Il tessuto fasciale, quando mosso nella direzione specifica si fa organizzato.
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L'insieme di tessuti che fanno questo sono organizzati e anche relazionati. BIBLIOGRAFIA 1. Varela, F.J., & Frenk, S. (1987). The organ of form: towards a theory of biological shape. J Social Biol Struct, 10, 73-83. 2. Barnes J.F. (1990). Myofascial Release: The Search for Excellence. Paoli, PA: Rehabilitation Services Inc. 3. Cantu, R.I., & Grodin, A.J. (1992). Myofascial Manipulation: Theory and Clinical Application. Gaithersburg, MD: Aspen Publishers. 4. Chaitow, L. (1980). Soft-Tissue Manipulation. Rochester, VT: Healing Arts Press. 5. Paoletti, S. (1998). Les fascias – Role des tissues dans la mecanique humaine. Vannes cedex, France: Le Prisme. 6. Rolf, I.P. (1977). Rolfing: The Integration of Human Structures. Santa Monica, CA: Dennis-Landman. 7. Ward, R.C. (1993). Myofascial Release Concepts. In J.V. Basmajian and R.E. Nyberg (Eds.), Rational Manual Therapies. Baltimore, MD: Williams & Wilkins. 8. Juhan, D. (1987). Job’s Body: A Handbook for Bodywork. Barrytown, NY: Station Hill Press. 9. Twomey, L., & Taylor, J. (1982). Flexion, creep, dysfunction and hysteresis in the lumbar vertebral column. Spine, 7(2), 116-122. 10. Currier, D.P., & Nelson, R.M. (1992). Dynamics of Human Biologic Tissues. Philadelphia, PA: F.A. Davis Company.
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Allegati HELENE LANGEVIN E LA COMUNICAZIONE CELLULARE.
È definita come l’insieme dei processi che permettono il dialogo tra due o più cellule di un organismo in risposta a segnali specifici. Le cellule comunicano tra loro a lunghe o brevi distanze (anche all’interno della stessa cellula) secernendo molecole extracellulari (ligandi). Queste molecole sono catturate da recettori che sono per lo più proteine transmembrana.
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Ne conosciamo migliaia e possono essere secrete dentro la matrice extracellulare o in fluidi specifici come il sangue. I recettori sono proteine che legano specifiche molecole. La specializzazione di una cellula determina quali tipi di recettori siano espressi e quali invece non siano espressi. Un recettore può contribuire a determinare la risposta cellulare ad una molecola di segnalazione in base al suo stato d’attivazione. Si distinguono recettori di superficie e recettori nucleari. a) I recettori di superficie. Legano molecole di segnalazione che non riuscirebbero ad attraversare la membrana plasmatica in nessun altro modo essendo idrofiliche (come alcuni neurotrasmettitori) e sono la tipologia di recettori più comune. Si distinguono tre grandi classi – collegati a canali ionici (v. sinapsi) – collegati a proteine G: attivandole legano la guanosina trifosfato (GTP) coinvolta nel trasferimento di energia entro la cellula, ossia per ogni ripetizione del ciclo di Krebs, è generata una molecola di GTP che è subito convertita in ATP. – collegati ad enzimi, proteine transmembrana a singolo passaggio che possono agire direttamente come enzimi o attivare altri enzimi. b) I recettori nucleari. Legano molecole lipofile che possono attraversare liberamente la membrana plasmatica e legarvisi successivamente; in quest’ultimo caso sono di norma anche proteine che regolano i geni. Una delle categorie più frequenti di molecole che scatenano una risposta cellulare sono gli ormoni. L’unirsi del ligando con il suo specifico recettore scatena un’attivazione che può essere molto variabile. La variabilità dipende anche da fattori quantitativi. Alcune cellule per esempio rispondono diversamente secondo la concentrazione più o meno alta di una determinata molecola di segnale. Una volta attivato un segnale, a cascata si attivano più vie di segnalazione intracellulari, i secondi messaggeri.
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I secondi messaggeri sono piccole molecole di segnalazione intracellulare generate in risposta all’attivazione dei recettori. In questo modo il segnale è amplificato, così che per una singola molecola di ligando legata al recettore siano generate centinaia o migliaia di molecole di secondo messaggero. Si costituisce così una cascata o una rete proteica di segnalazione. Come nella telefonia ci sono trasduttori, amplificatori, integratori, diffusori, livellatori, trasportati delle proteine verso una determinata destinazione nella cellula o altre proteine segnale. Le vie di segnalazione coinvolgono proteine semplici ma anche complesse, interconnesse tra loro e possono coinvolgere anche ioni inorganici, fosfolipidi, steroidi e loro derivati. Queste proteine portano il segnale a proteine effettrici quelle cioè che generano una risposta, reazioni chimiche di attivazione o disattivazione. Le effettrici agiscono su altri bersagli scatenando la risposta finale che può essere l’alterazione genica, l’alterazione del metabolismo, la creazione di complessi proteici, il movimento della cellula per azione sul citoscheletro, ecc. La loro particolarità è un’emivita breve con alto turnover affinché possano essere regolate dalla cellula e rimpiazzate al loro esaurirsi con una proteina pronta alla segnalazione. Regolazione del segnale I due principali modi con cui una cellula regola le proprie proteine di segnalazione sono il feedback negativo e il feedback positivo. Nel feedback negativo un segnale in uscita inibisce la sua stessa produzione o abbrevia o limita il livello della risposta. Nel feedback positivo un segnale in uscita favorisce la sua produzione, amplificandola. In certi casi la aumenta fortemente, tanto che oltre una certa soglia diviene improvvisamente molto più attivo e resta moderatamente attivo anche quando il segnale è cessato. Si parla in tal caso di sistema instabile. NB: I suddetti recettori non vanno confusi con quelli sensoriali anche quando usano le stesse vie sinaptiche di comunicazione.
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NOTE Ancora Helene Langevin https://en.wikipedia.org/wiki/Helene_Langevin
Il connettivo tiene assieme la coscia alla gamba; la mano al braccio; lo sterno alla clavicola. Permette ai muscoli di scivolare uno sull’altro. Funziona come una ragnatela tenendo in sospensione gli organi e, come un adesivo mantiene le cellule unite una all’altra, permettendo loro di comunicare reciprocamente. Il tessuto connettivo è sicuramente uno dei componenti più integrati nella macchina umana. Questo tessuto è così esteso e presente dappertutto che se dovessimo perdere tutti gli organi, muscoli, nervi e sistema vascolare nel nostro corpo, manterremmo ancora la stessa forma. 4
Nonostante le evidenze incontrovertibili del suo ruolo primario nei dolori cronici ed in altre malattie, non è ancora stato studiato a fondo. H.Langevin dice “Sono arrivata allo studio del Tessuto Connettivo in maniera quasi causale come endocrinologa clinica. In agopuntura l’ago è inserito nel corpo del paziente, in modo da provocare una sensazione di leggero fastidio/dolore locale che può propagarsi anche a punti distanti da dove l’ago è stato inserito: l’ago viene tirato dal tessuto sottostante, come il muscolo che si attorciglia attorno all’ago. Dubitai di questo in quanto lo sentivo anche dove non c’erano muscoli come per esempio il polso. L’ago doveva interagire con qualcos’altro, ovvero il tessuto connettivo. Al Dipartimento di Neurologia dell’Università del Vermount, ho avuto l’opportunità di studiare il fenomeno: era un fenomeno fisiologico che si poteva sperimentare, ma per il quale non c’erano spiegazioni biologiche. Siamo arrivati a misurare anche una forza meccanica di estrazione superiore ai 0,5kg. Abbiamo continuato gli esperimenti per capire cosa tratteneva l’ago così tenacemente. Grazie all’uso del microscopio si notava che, una volta inserito l’ago nella carne e ruotato, il tessuto connettivo si avvinghiava attorno l’ago. Anche un movimento piccolo sull’ago faceva si che il tessuto connettivo si stringesse sull’ago, come gli spaghetti attorno alla forchetta. Lo abbiamo confermato poi con gli ultrasuoni.” Il tessuto connettivo, nei modelli tradizionali di biomeccanica, è sempre stato relegato al ruolo passivo di membrana viscoelastica ma i ricercatori stanno ora dimostrando che molti sistemi del corpo subiscono il cambiamento meccanico di questo tessuto e alcune di queste scoperte trovano utilizzo nella pratica clinica quotidiana. Questo tessuto è un po’ l’orfano della medicina tradizionale; pur essendo parte integrante del sistema muscolo scheletrico, è di fatto assente dai libri di ortopedia i quali si interessano principalmente di ossa, cartilagini e muscoli. L’interesse ortopedico è quasi esclusivamente ristretto al “Tessuto Connettivo Specializzato”: tendini e legamenti. Il restante connettivo, conosciuto anche come Fascia che avvolge i muscoli, i nervi, le ossa, le vene e le arterie, riceve si e no un paragrafetto e su alcuni libri non è neanche menzionato. L’interesse in questo campo cresce di giorno in giorno. Un’area di particolare interesse a livello cellulare è lo studio della meccano-
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trasduzione come la famiglia delle integrine [1] che forma un legame fisico e un veicolo informativo tra matrice extracellulare e interno della cellula. [1. ndt] Si dice integrina, o recettore all’integrina, una glicoproteina che sta sulla membrana cellulare, lega le proteine della matrice extracellulare e porta un segnale dalla matrice extracellulare alla cellula. Vi sono molti tipi di integrina e molte cellule ne hanno svariati tipi sulla loro superficie. Attraverso questa connessione tra la cellula e la matrice, le cellule ricevono l’impulso meccanico e lo trasformano in risposte cellulari come: –l’attivazione o la disattivazione di molecole segnali; –la dislocazione di fattori di trascrizione verso l’interno del nucleo; – il cambiamento espressivo dei geni. Inoltre, ci sono evidenze che questi segnali meccanici possono essere trasmessi direttamente all’interno del nucleo cellulare. Alcuni dei lavori più importanti in questo campo hanno coinvolto lo studio dei fibroblasti – cellule responsabili della sintesi delle proteine che compongono la matrice extracellulare. Queste cellule vivono all’interno della matrice che esse stesse creano e, rispondendo a stimoli meccanici, regolano il quantitativo di collagene e delle altre proteine componenti la matrice. Inoltre producono enzimi “sciogli-matrice” in risposta ai cambiamenti cronici imposti dalle tensioni nel tessuto. Questi cambiamenti possono essere indotti da movimenti ripetitivi e si pensa che siano un fattore importante negli infortuni professionali a carico del sistema muscoloscheletrico quali le tendiniti della spalla. I fibroblasti hanno inoltre un ruolo di rilievo in risposta agli infortuni acuti, particolarmente quando essi si trasformano in miofibroblasti. Prima che esistesse la chirurgia e i punti di sutura, le ferite da taglio venivano suturate dai fibroblasti i quali secernano grandi quantità di collagene che poi lo fanno contrarre chiudendo così la ferita. Una volta che la ferita si è richiusa i miofibroblasti muoiono formando così la cicatrice. Comunque, durante le infiammazioni croniche, i miofibroblasti possono creare un eccesso di collagene e l’incremento della tensione sul tessuto crea le contratture che diminuiscono la possibilità di movimento dell’area interessata. Tutte le ricerche sin d’ora compiute stanno fornendo informazioni
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importanti soprattutto per lo studio dei dolori cronici come, per esempio, i dolori lombari. Uno dei motivi per i quali il mal di schiena lombare è così difficile da risolvere è dato dal fatto che la maggior parte dei pazienti non ha anomalie evidenti a carico della colonna vertebrale o dei tessuti ad essa relazionati, e quindi l’origine del loro dolore è sconosciuta. Alcuni gruppi di ricercatori hanno iniziato ad investigare sulla possibilità che tale dolore sia generato dal tessuto connettivo non specializzato dislocato da entrambi i lati della colonna vertebrale. Nel 2008 i ricercatori dell’Università di Heidelberg scoprirono che il tessuto connettivo contiene terminazioni nervose: in presenza di un’ infiammazione e di una tensione del tessuto queste terminazioni trasmettono un’ informazione di dolore. Fino ad allora, non era stato chiaro se il tessuto connettivo fosse in grado di creare tale sensazione. Successivamente gli ultrasuoni hanno dimostrato che il tessuto connettivo che circonda i muscoli della schiena è mediamente più spesso nelle persone con il mal di schiena cronico. In aggiunta a ciò, il tessuto connettivo di queste persone tende ad essere meno lubrificato e quindi a formare adesioni. Malgrado la tecnologia a disposizione, la quasi totalità delle ricerche sul tessuto connettivo, viene svolta su tessuti ricreati in laboratorio. Purtroppo però studi recenti ci dicono che i fibroblasti si comportano in maniera molto differente se sono in vitro (bidimensionali) oppure in ambienti tridimensionali più vicini alla realtà. I fibroblasti all’interno del tessuto connettivo, anche a diversi centimetri dall’ago, iniziano a riorganizzare il loro citoscheletro interno e cambiare forma, diventando larghi e piatti. Si scoprì inoltre che era possibile ottenere lo stesso risultato mettendo il tessuto connettivo in tensione grazie a delle pinze e mantenendolo in tale posizione per 30minuti. E’ interessante notare che, 30 minuti è il tempo che solitamente gli aghi vengono lasciati sul corpo durante un trattamento di agopuntura. Inoltre, se si lascia l’ago dopo averlo ruotato, esso non ritorna subito al punto di partenza. Perciò la tensione creata dall’ago rimane tale fintanto che l’ago non viene tolto. Gli studi sono rivolti a capire come mai i fibroblasti cambiano forma quando messi in tensione per un tempo
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prolungato. Al momento abbiamo scoperto che i cambiamenti sono legati al rilassamento del tessuto connettivo su vaste aree. Allora i fibroblasti iniziano una riorganizzazione del citoscheletro (dipendente dalla molecola Rho) necessaria al completo rilassamento del tessuto. La molecola Rho: determina polimerizzazione dei filamenti di actina e induce così la formazione di fibre da stress. Rho è una molecola intracellulare di segnalazione che gioca un ruolo importante nella motilità delle cellule e nel rimodellare la superficie proteica di quest’ultime che permette ai fibroblasti di collegarsi alla matrice. La capacità di queste molecole di cambiare la forma dei fibroblasti ci suggerisce che le cellule sono capaci di ridurre la tensione del tessuto regolando la presa sul tessuto connettivo circostante o muscolo e il cambiamento di forma è anche associato al rilascio continuato da parte dei fibroblasti di ATP. All’interno della cellula l’ATP funge da “carburante” per la cellula, ma al di fuori della membrana cellulare, l’ATP può funzionare come molecola di segnalazione. L’ATP al di fuori della cellula può essere convertita in altre molecole quale l’adenosina, che funziona da analgesico naturale; questo potrebbe spiegare l’effetto di riduzione di dolore riportato dal paziente dopo un trattamento di agopuntura. La possibilità che il tessuto connettivo possa regolare in maniera dinamica il proprio livello di tensione è senza dubbio intrigante; esso potrebbe quindi mitigare le fluttuazioni di tensione all’interno del tessuto stesso. Il connettivo circonda ed avvolge nervi, vasi sanguigni e il sistema linfatico, quindi una riduzione di tensione del connettivo ha ripercussioni positive anche sulla funzione di queste strutture. E’ importante sapere che la riorganizzazione cito-scheletrica dei fibroblasti è un processo lento (ci vogliono svariati minuti) e di conseguenza questo processo si manifesta in risposta ad un cambiamento della lunghezza del connettivo mantenuta per periodi lunghi come cambiamento posturale. Ben poco si conosce riguardo gli effetti dell’allungamento statico del tessuto connettivo, anche se lo stretching di per sé è stato studiato in maniera esaustiva per la sua rilevanza correlata al respiro, al camminare e alla funzione cardiovascolare. Dato che l’agopuntura risulta essere uno stretching connettivale sostenuto, essa è di interesse nello studio biomeccanico di tale funzione.
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Malgrado la poca attenzione data al connettivo da parte della medicina convenzionale e dall’ ambiente scientifico, nella fisioterapia convenzionale è largamente condivisa l’idea che lo stretching delle cicatrici chirurgiche e dei tessuti molli, induriti a causa di lunghi periodi di riposo forzato, porti ad un rimodellamento del tessuto connettivo. Terapie quali il Myofascial Release ed il Rolfing si focalizzano sullo stretching come modalità di trattamento per i dolori muscolo-scheletrici, anche in assenza di infortuni o cicatrici. Anche i meridiani dell’agopuntura probabilmente sono relazionati al tessuto connettivo, dato che i punti dove vengono inseriti gli aghi sembrano seguire le fasce del tessuto connettivo che scorrono tra i muscoli ed i muscoli e le ossa. L’80% dei punti di agopuntura sul braccio seguono il percorso tracciato dal connettivo. Questo ha un senso dato che il tessuto connettivo superficiale ospita al suo interno i vasi sanguigni e i nervi; l’effetto meccanico dell’ago sul connettivo viene trasmesso quindi direttamente ai nervi recettori.
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