Living in Balance- posturale per massoterapisti

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LORENZA DALMASO

LIVING IN BALANCE Dispensa di Massaggio Miofasciale Posturale

ATLANTIS


LIVING IN BALANCE


Lorenza Dalmaso

LIVING IN BALANCE Dispensa di Massaggio Miofasciale Posturale

Abstract

ATLANTIS

LIVING IN BALANCE


© Copyright – Atlantis - 2013 Tutti i diritti riservati Ogni diritto sui contenuti del sito è riservato ai sensi della normativa vigente. La riproduzione, la pubblicazione e la distribuzione, totale o parziale, di tutto il materiale originale contenuto in questo testo (tra cui, a titolo esemplificativo e non esaustivo, i testi, le immagini, le elaborazioni grafiche) sono espressamente vietate in assenza di autorizzazione scritta. LIVING IN BALANCE


INDICI Quaderno 1 Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5

Introduzione La manualitá Arto inferiore Lavoro in decubito laterale Lavoro in stazione eretta

Pag. 1 Pag. 8 Pag. 22 Pag, 38 Pag. 45

Quaderno 2 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11

Il bacino La schiena: dorsali e lombari Lavoro in decubito laterale L’addome Il respiro Le manovre di chiusura

Pag 1 Pag.9 Pag.16 Pag. 20 Pag.32 Pag.41

Quaderno 3 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15

La regione cervicale Testa e viso Arto superiore Bibliografia

Pag 1 Pag.13 Pag.18 Pag.35

LIVING IN BALANCE


Indici supplementari.

LIVING IN BALANCE


CAPITOLO 1.

INTRODUZIONE

Questo testo nasce per gli studenti delle scuole di Massaggiatore e Capo Bagnino (MCB) e per gli ultimi studenti delle scuole di Massofisioterapia (MFT). Costituisce un livello di apprendimento avanzato rispetto alle nozioni scolastiche e soprattutto intende correggerle. NON vuole essere un vero e proprio testo di posturologia, materia per la quale non bastano anni di studi, ma intende indicare alcuni principi: 1. Il massaggio sul tessuto profondo, quando corretto e inquadrato in una sequenza ben orientata d’interventi, corregge la postura. 2. Queste correzioni non saranno permanenti. Per farlo serve un ulteriore passo avanti: apprendimenti avanzati e l'integrazione con la psicologia. Non è da tutti, vari principi li insegniamo nei corsi ma per dominare la materia servono altri studi, altre scuole. Il Rolfing ad esempio, ed esempio principe. 3. Ovviamente la “permanenza” dura finché non interviene qualcosa (es. incidente, gesto ripetitivo, mancata ergonomia, ecc.) che interrompe la virtuosità. Va da sé che la permanenza confligge con gli interessi: se il paziente guarisce, io sono onesto ma se il paziente resta malato appena un po' io ci guadagno. Verso questa posizione non saremo mai abbastanza nemici. In questo quaderno di lavoro noteremo casi in cui le strutture sono state incluse in una sezione quando potrebbero essere incluse, altrettanto logicamente, in un altra. Chiaramente non è semplice definire quali strutture dei tessuti molli appartengono a quale regione del corpo. Molti muscoli attraversano le maggiori grandi articolazioni e potenzialmente possono appartenere a due distretti. Lo psoas, per fare un esempio, è un muscolo del tronco, ma anche un muscolo pelvico e un muscolo della gamba. Dove dobbiamo inserirlo? Lo abbiamo messo nel lavoro pelvico perché lì secondo noi esercita la sua maggiore influenza, ma per un approccio avanzato, per la sua influenza sul diaframma e tutto il torace, lo troviamo nel torace. Le creste iliache invece presentano nell’estremità inferiore tutte le strutture della coscia laterale pur appartenendo al bacino e non all’arto inferiore. E così via. Abbiamo cercato di spiegare, dove possibile, il nostro pensiero su queste collocazioni.

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Non intendiamo qui dare nozioni di marketing. Qualche cenno sarà fra le righe, altri deducibili con ovvietà ma una cosa va inquadrata subito: si dice che il massaggio profondo, il Deep Massage, il Miofasciale Americano (e altre denominazioni che indicano tutte la stessa cosa) è doloroso e le persone non vogliono farlo. Se non lo si sa fare è doloroso. Altrimenti il dolore è sempre tollerabile o va assolutamente reso tale. D'altronde il contrario, l'agire in modo pesante, quasi coercitivo, che vediamo in alcuni terapisti, è quanto di più controproducente esista; non solo crea contrazioni da difesa e peggiora la situazione ma fa perdere il paziente. Impareremo che ciò che contraddistingue e rende “magiche” le nostre mani è una somma di fattori coagenti. Parlo di tre momenti che devono essere appresi, applicati e ben gestiti. 1. Colloqui col paziente prima di iniziare, durante e dopo. Mai e poi mai far trovare un paziente impreparato di fronte a ciò che succederà. Lo vediamo in medicina, dove il dialogo è in pratica uno sconosciuto e siamo diventati tendenzialmente pochissimo amici dei medici. Spiegare dunque al paziente cosa ha, cosa si andrà a fare, perché e come. Facciamoci un decalogo, soprattutto all'inizio di carriera, una scaletta di cose da seguire. 2. Lavorare lentamente, molto lentamente, mai causare dolore ma al massimo restare su quella sottile linea che separa il dolore dal piacere. Sappiamo poi benissimo dalla nostra esperienza che esistono “dolori che fanno bene” come il lavoro sui romboidi e dove possiamo un po’ affondare e dolori che non si sopportano come quelli dello sternocleido. Anticipare la descrizione del dolore o descriverla allo stesso paziente, lo farà sentire compreso. E' solo un esempio, un coriandolo di marketing della seduta. 3. Lavorare sulla percezione, sul movimento e sull'integrazione del vantaggio acquisito nello schema motorio e corporeo. Non fare mai manovre che non siano accompagnate dal movimento, dalle visualizzazioni, della percezione del vantaggio o il vantaggio non si stabilizzerà. E ovviamente, acquisiti i 3 punti fondanti, aggiungiamo due errori stravisti, strade che fanno perdere non solo un cliente ma anche tutte le persone con cui parlerà: − sostenere di fare miofasciale quando si ha troppa paura di fare male o si ha l'imperizia di non saper essere profondi (abbiamo visto corsi di miofasciale

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non profondi: come parlare di acqua asciutta); − mettersi nella miserabile astuzia di allungare il numero di sedute al puro fine di un introito economico. Di fronte alla lentezza ci si obietta che il paziente ha fretta, che le sedute diventano troppo lunghe. Bene. Se il paziente vuole risultati subito, con poche sedute e quasi per nulla dolorose, che vada da altri. Ma non chieda allora risultati permanenti. Il perché le cose stanno così richiederebbe un capitolo a parte ma in due parole elementari si può dire che se si è creata una lesione questa non si riparerà con un trust o una manovra che la obbliga alla correzione. Se quell'ambiente anatomico ha impiegato anni a ridursi così, ci vorrà molta pazienza per convincerlo a desistere e ci vorrà molto lavoro sulla percezione, sul movimento, sullo schema motorio e corporeo. Il corpo NON E’ una macchina da aggiustare e rendere le nostre mani “magiche” è fatto anche di questo. Il corpo è una “endless web community“ ossia una comunità di signori che hanno una loro struttura, carattere, tipicità, malleabilità e che sono relazionati tutti assieme, che si parlano, fanno amicizia, fanno la guerra, ridono, piangono, amano. Questo dobbiamo vedere non cinghie e pulegge. Provate a sistemare uno psoas senza che il quadrato sia d’accordo (o viceversa) e poi ne riparliamo. Data la complessità di questo lavoro, specie all'inizio e per un'apprendista capisco che ci possano essere delle difficoltà. Soprattutto lo studente è spiazzato rispetto alla memorizzazione delle sequenze e delle cose da fare e teme di trovarsi di fronte a un cliente che lo giudica male. Ma qui possiamo rispondere che con l’esperienza le sequenze diventeranno opzionali giacché la interverrà la nostra sensibilità a intuire come/cosa/dove lavorare. Solo non avere la presunzione (MAI) di poterlo fare da subito. E sul “subito” possiamo consigliare di tenere in studio dei poster autoprodotti con le immagini delle sedute e le sequenza operative, con l'anatomia e magari anche un poster con i promemoria. Verrà giudicato un appassionato ed eviterà figuracce. ANATOMIA CONTRO GEOGRAFIA Pensiamo che non dovremmo preoccuparci troppo della teoria, che è molto più utile vedere (e sentire!) il corpo come una mappa geografica: si va da qui a qui, passando di qui. C’è una logica in questo che è la funzione. Non salirò le scale se il quadricipite non si contrae, ma non si contrae se lo psoas è renitente. Questa è la geografia anatomica.

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Ci accorgiamo che gli allievi fanno fatica ad entrare in una logica geografica, che cercano di memorizzare la manovra ma così facendo si aumentano e di molto (!) le difficoltà. Per viaggiare si deve sapere dove si è, dove si va e cosa si sta facendo. LA GEOGRAFIA NON É SEMPRE VISIBILE E’ una fregatura: il corpo a volte si nasconde, cerca di imbrogliarci. Come diceva bene Still, va alla ricerca del minimo sforzo e massimo piacere. Se sente dolore, non va per nulla a ripararlo ma va nel senso della lesione, con buona pace de “il corpo si cura”. No. Il corpo non si cura, il corpo si difende e solo in presenza d’input positivi, quando percepisce che una strada può percorrerla senza soffrire, solo allora la percorre. Per questo è fondante la psicologia, l'inserire dentro lo schema motorio e corporeo i vantaggi acquisiti on-site, nella seduta stessa giacché tendono ad essere aleatori. Solo allora il corpo accetta e percorre, conditio sine qua non. E, sempre parlando di geografia invisibile, che succede se diciamo ‘linea interna profonda’ o ‘linea superficiale’? Di che linee parliamo? Non sono tatuaggi. Dovremmo conoscere Anatomy Trains di Tom Myers per capire. E per capire il dolore a una spalla quando la lesione è al piede, dovremmo conoscere The Endless web. Entrambi questi libri sono tentativi di creare un’anatomia olistica assai distante dall’olistico new age. Ognuno di essi sviluppa schemi interessanti per comprendere le relazioni nel corpo. La nostra dispensa introduttiva sulla fascia, liberamente scaricabile dalla rete, è un primissimo, elementare passo. Senza tutti questi riferimenti diventa difficile proseguire. O almeno spremere dal testo il massimo possibile. BASTA LA GEOGRAFIA? La risposta è NO. Qui il discorso si fa difficile per le persone meccaniciste. Ogni muscolo, fibra, distretto, ha ed esprime una storia, ha iscritte le proprie vicende e ha formato un carattere. Come prima accennato, dovremo cercare di capire che carattere ha questo psoas renitente e se per caso non abbia litigato col suo dirimpettaio e coinquilino, il quadrato. Se parlassimo a un giardiniere, saprebbe benissimo che i pomodori non vanno d’accordo con la salvia e che la lattuga litiga col rosmarino. Ecco, anche il corpo nel tempo ha assunto queste connotazioni ma in maniera estremamente potenziata giacché ha tutta una storia da raccontare. Non è facile, significa che noi dobbiamo relazionarcisi, interrogarlo, parlargli, ascoltarlo,

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capirlo. Non sempre risponderà, a volte ci manderà a quel paese, altre sarà più docile ma questa è la sorpresa quotidiana e la bellezza del lavoro, molto più che rimettere in squadra una persona. Questo libro è solo l’applicabilità ma se non parliamo un linguaggio comune, potenzialmente condiviso e comprensibile, arriviamo a un’impasse linguistica senza via d’uscita. In calce troverai la bibliografia. INTEGRATO O RELAZIONATO? Il termine “integrato” abbiamo finito per trovarlo ovunque si parli di posturale. Moshe Feldenkrais ha chiamato il suo lavoro ‘Integrazione Funzionale’ e Ida Rolf ha chiamato il suo ‘Integrazione Strutturale’ (Solo più tardi i suoi primi studenti lo chiamarono Rolfing ®). Di che stiamo parlando? Di due cose: una riguarda il corpo e una riguarda noi. Se parliamo del corpo l’integrazione, in senso letterale, non ha senso. Quanto meno per il tipo di sinonimi e associazioni che il vocabolo italiano porta con se’. Integro: completo, intero, pieno, ben conservato, illeso, indenne, intatto, senza danni, casto, corretto, incorruttibile, leale, onesto, probo, puro, retto, serio, virtuoso. No, non è puro e virtuoso che intendiamo. Quello che intendiamo lo espresse bene una paziente quando dopo la quarta, quinta seduta quando disse: “Finalmente il mio bacino parla con le mie gambe, non mi sento tagliata in due.” Quindi sostituiamo il termine con RELAZIONATO. Le parti del corpo si relazionano, lo abbiamo visto sopra. Se poi litigano, è argomento nostro solo finché nulla di patologico lo supporta, altrimenti diventa clinica, dispensa di patologia. MA. Ma per arrivare lì, per dire quella frase, abbiamo dovuto usare l’INTEGRAZIONE. Ossia il noi-persona costituito da un insieme di parti con numerose influenze: biologiche, sociali, filosofiche, biomeccaniche ecc. non di meno che di diversi saperi, in sintesi tutto ciò costruisce e modella le persone che siamo. Non è possibile per qualsiasi terapeuta somatico padroneggiare ogni possibile significato o interazione terapeutica con un’altra persona. Eppure, se noi riconosciamo che stiamo lavorando su più sistemi, nostri e altrui,

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se non stiamo facendo solo miofasciale, ma stiamo RELAZIONANDOCI noi stessi con un altro corpo, allora siamo in grado di sviluppare una sensibilità e cogliere e tradurre e lavorare su una serie di risposte che sono coerenti con quello che stiamo facendo. Ovvero INTEGRIAMO. A un livello semplice questo potrebbe significare per es. dover riconoscere che il lavoro sul tessuto profondo non è la migliore terapia per quel paziente. Si potrebbe attivare il sistema nervoso simpatico (SNS), infiammare il tessuto e creare una sensazione di dolore anche non oggettiva ma coerente con la sua esperienza di dolore. Ossia può sentire dolore per il ricordo di altri dolori e non accettare il collegamento. E’ perfettamente legittimo. Ma anche potrebbe essere dolorosa l'invasività del terapeuta, il metodo stesso. Questo comunque è solo un quaderno di esercizi, la descrizione di una serie di tecniche, rese, per quanto possibile, in termini che possono essere utilizzati da terapisti manuali all’interno delle loro formazioni diverse e molto varie. Alcuni allievi troveranno che il metodo ha un’utile applicabilità nella riabilitazione e altri nelle terapie correttive posturali. Alcuni agiranno non nel quadro di un metodo ma solo attraverso la semplice manipolazione e mobilizzazione articolare o la terapia trigger point o di altre procedure su problemi locali e sul dolore. Anche questo è utile, tuttavia nel nostro quadro di lavoro lo riteniamo abbastanza limitante. Il segmentario ha pochi casi di utile applicabilità. Tutti i discorsi sulla fascia, il sistema nervoso autonomo, i meccanocettori, l’ambiente intrafasciale che vengono qua di seguito potrebbero mettere in secondo piano il fatto che lavoriamo su persone, non su tessuto. Speriamo che non ci sia mai perdita di visione sui processi complessi che avvengono nelle persone che tocchiamo ma non meno in noi nella nostra relazione col paziente. Chi ha chiari i concetti di transfert e contro-transfert sa di cosa stiamo parlando. Ultima informazione propedeutica. Si fa un gran parlare di Trigger Point. Si fanno corsi, si analizzano nel micro dettaglio, si riempiono gli studenti di parole. Noi semplicemente crediamo che non possa esistere una Trigger Point Therapy fine a se stessa. La TPT va necessariamente inclusa in un sistema di lavoro sul corpo e questo lavoro, se è corretto, prende in considerazione i TP a mano a mano che li trova, come parte specifica di quel tessuto in quel momento. Un miofasciale profondo che si rispetti risolve i TP e non fa mai segmentario su

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un TP. Anche lo risolvesse, gli si presenterebbe da un’altra parte in base alla legge dei compensi. [Stupisce la similitudine con la psicoterapia: essere terapeutici solo su un sintomo lo fa semplicemente spostare, il paziente non avrà più attacchi di panico ma diventerà, ad es. un ossessivo, non avrà l’insonnia ma un grave eritema ecc.] E rientrerebbe dalla finestra quel disonesto “tenere il paziente sempre cliente” che abbiamo appena fatto uscire dalla porta.

----Bibliografia. Tom Myers, Anatomy Trains. Churchill Livingstone, Edinburgh, UK Schultz L, Feitis R, The endless web. North Atlantic, Berkeley, CA I testi sotto li consigliamo vivissimamente agli psicologi o a chi ha una buona base culturale o confidenza con i processi psicocorporei o ha una l’analisi o la sola psicoterapia: Downing George, Il corpo, la parola, Astrolabio Umberto Galimberti, Il corpo, Feltrinelli Downing George – Finding the Balance. 2004 Downing George – Early affect exchange and the body. 2006

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CAPITOLO 2.

LA MANUALITÁ

I sondaggi condotti nei corsi rivelano che ben il 45% dei partecipanti riporta neuropatie periferiche che coinvolgono le dita, il polso e/o l’avambraccio. I massaggiatori ledono i propri legamenti carpali e i retinacoli dei flessori del polso soprattutto durante le procedure d’impastamento. Oltre a questo c’è un accorciamento generale con compressione toracica a causa della prolungata flessione del torace e del viscerale durante il lavoro. La maggior parte di loro ne è consapevole e associa le neuropatie periferiche al proprio lavoro. Tutti gli operatori hanno bisogno di strumenti e tecniche che possano servire per decenni di terapia manuale senza dover smettere per tendiniti o neuropatie. Comunemente questi strumenti sono le dita, i gomiti, le nocche, le braccia e il pollice. Come illustrano le foto seguenti, è la lentezza del lavoro e il dosare peso e profondità che permettono al terapista di fare particolare attenzione all’uso del corpo, alla coordinazione e al movimento economico, pur prestando attenzione al paziente. Il risultato è un migliore contatto e comunicazione. Lo sviluppo di questi vari aspetti di coordinamento, stabilità e forza richiede circa 2 anni per ottenere un apprendimento, assimilazione e automatizzazione, anche se il raffinarli può continuare in tutta una vita. --- omissis ----

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IL GOMITO

Osservare la puntinatura sull’immagine La maggior parte dei terapisti è felice di lavorare con i gomiti: hanno scoperto che sono strumenti eccellenti in una vasta gamma di situazioni. I nostri legamenti collettivi carpali, flessori dell’avambraccio, nervi mediani e lo stretto toracico sono senza dubbio contenti rispetto all’uso delle mani. Ma una certa pubblicità di basso livello ha prodotto una fama del “lavoro col gomito” col risultato di aver diffuso una massa di lavoro errato. Anche se si usa il termine "gomito", questo non è “il gomito” in quanto tale ma è piuttosto la parte distale del processo olecranico, 3-4 cm dall’ulna, dove appunto, sono segnati i puntini. === omissis ===

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Inutile dire che la posizione della figura sopra è totalmente errata! Purtroppo è la modalità più nota e pubblicizzata. E' troppo invasiva, dolorosa, causa nel paziente contrazioni da difesa e, nel caso dell'immagine, è anche troppo facile andare sulle trasverse. Ma soprattutto non permette percezione al terapista. Egli lo crede solamente. Durante i primi mesi di lavoro con il gomito, la pelle del terapista può diventare sensibile e persino fare male. Ancora una volta, la risposta migliore è passare ad altri strumenti e dare riposo ai tessuti eccessivamente sollecitati. Il lavoro col gomito non deve essere sinonimo di profondo e doloroso. Al contrario, la sua ampia superficie si usa per stare con precisione sul tessuto fibroso. Bisogna cercare di evitare: di lavorare con la rotazione interna della spalla perché nel tempo, questo causerà danni; di collassare in avanti durante il contatto per non ridurre lo stretto toracico; di serrare il pugno per non contrarre tutta la catena dell’arto superiore.

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USO EFFICACE DI TUTTO IL CORPO Molti pazienti ci dicono, osservando il nostro lavoro, che facciamo una grande fatica, che lo vedono molto impegnativo, che a fine di giornata saremo certamente sfiniti. Ugualmente molti allievi ritengono che imparare queste cose non valga la pena perché espone a un lavoro faticoso che non si ha voglia di fare. Anche per questo motivo oggi mancano persino estetiste in grado di fare un lavoro corretto. Non che non sia faticoso ma certamente molto meno di quello che si ritiene vedendolo. Ora, la maggior parte dei terapisti conosce le basi della meccanica del corpo, ma è la qualità di queste informazioni a non essere talvolta accurata. Non si conosce bene la necessità di utilizzare il peso corporeo invece dello sforzo muscolare. Per esempio non si affronta che per trasmettere la forza attraverso un braccio è richiesta uguale forza/sforzo nello stabilizzare la spalla e il torace. Se non facciamo questo, dobbiamo appoggiarci nel lavoro sulle mani, le nostre spalle vanno in torsione e rendono il contatto inefficace. Bisogna usare la gravità.

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UN ESPERIMENTO Un inciso per chi si pone domande sulla kinesiologia. Inciso che rientra nell’ambito della percezione. Ci è piaciuto questo semplice esperimento. Porsi (fig.17) accanto a una persona la cui spalla dovrebbe essere flessa a 90° con il gomito esteso. Afferrare il suo braccio e cercare di spingerlo verso il suolo mentre le si chiede di fare resistenza.

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ma questa volta la persona deve pensare di “raggiungere” col braccio la parete dietro di noi o di “attraversare” il muro davanti. In altre parole deve, non solo fare resistenza, ma dare al braccio una direzione. Si scoprirà che è molto più difficile spingere il braccio verso il basso mentre la persona si sentirà molto più forte e stabile. Che è successo? A parte le riflessioni su quante volte ci hanno fatto credere di essere positivi/negativi verso qualcosa, ossia che questo possa essere uno strumento di diagnosi, si può dire che un movimento, semplicemente dandogli un senso di direzione, anche solo pensato ovvero in assenza di una tensione fisicamente attiva/visibile, recluta i muscoli agonisti, ma non gli antagonisti. [Questo fa parte del pensiero di Hubert Godard: su analisi condotte da lui, Schleip e altri, si scopre, ad esempio, che il soleo si attiva al solo pensiero di fare un movimento, ossia prima dello sforzo attivo.] Il movimento in fig.17 genera un elevato grado di contrazione sia negli agonisti che gli antagonisti. I muscoli lavorano uno contro l’altro e s’indeboliscono. Questo tipo di contrazioni coinvolge ciò che si definisce “muscolatura parassitaria” ossia muscoli di cui non siamo normalmente consapevoli poiché oggetto di automatismi. Per i terapisti questo ha conseguenze di vasta portata. Se possiamo aggiungere un’altra dimensione al nostro gesto, ciò diminuirà in modo rilevante lo sforzo che facciamo. Si tratta di avere una direzione piuttosto che fare uno sforzo. Questo può essere difficile da imparare ma si cambia prestandoci attenzione. Interessante supporre come il fare per il fare e l’obbedire per l’obbedire, che

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sono un elemento dell’etica occidentale protestante, potrebbe aver catturato vasti tratti del sistema nervoso. Il processo di decompressione e rilascio è un potenziale che sta nel corpo del paziente. Il miglior modo per attivarlo è quello di comunicare con lui attraverso la giusta quantità di energia, con poca o nulla fatica. Se ti piace questo “gioco”, allora può essere sviluppato. Per es. prima di entrare in contatto con il paziente, porta la consapevolezza sui tuoi piedi. Fai attenzione alle sensazioni di temperatura, pressione, consistenza, estendi la tua immaginazione come nelle tecniche di rilassamento. Immagina per es. di avere un supporto sotto di te, di raggiungere il centro della terra, di allungarti ed estenderti, ecc., ecc. Un approccio che lavori non contro la gravità ma sfruttando la gravità, le linee e i vettori, porta a una grande diminuzione della fatica.

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CAPITOLO 3.

ARTO INFERIORE

IL PIEDE Premessa introduttiva E' evidente che, se l’idea che ci sostiene è quella del rilascio, la prima seduta dovrebbe essere sul diaframma e suoi collegati: psoas, quadrato, respiratori accessori, ecc. Ciò per tre motivi coagenti: a) il respiro è fondamentale nei rilasci, come ben sa chi fa stretching; b) i muscoli della respirazione sono attivi 24 ore su 24; c) il respiro è altissimamente psico-sensibile. Tuttavia questo tipo di lavoro molto spesso, per non dire quasi sempre, non possiamo farlo in prima seduta, con un paziente mai visto prima, perché il lavoro sull’addome/cassa toracica, è percepito come troppo invasivo, col risultato di generare difese e contrazioni da difesa. Le domande che ci poniamo allora sono: • Quale muscolo o gruppo di muscoli lavora di più dopo il diaframma? • Quale parte del corpo è la prima implicata in una postura e nell’asse gravitario? • Dove inizia una catena che crea problemi ascendenti? [1] E la risposta è: •

Arto inferiore partendo dal piede.

--------[1] Va da sé che esistono situazioni particolari che escono da questa norma. Per es. se una persona ha avuto un incidente, un'operazione chirurgica, ha

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delle protesi o supporti, ecc. In questi casi, lo ripetiamo, fuori norma, può essere che la contrazione, l'assetto obbligato, la protesi, diventino la nox patogena. Ci si può anche obiettare che, nel nascere di una postura, sono fondanti la vista, l’udito, la lateralità e ciò è vero ma quello che ha generato una postura attorno ai 2-3 anni ha generato anche quel piede che la sostiene. Se operassimo solo a livello del cranio, ammesso e non concesso di poter modificare qualcosa con gli strumenti di un massaggio terapeutico, avremmo sempre un piede con cui fare i conti. Per inciso: non siamo molto convinti che, in situazioni non cliniche e in un adulto, la nox patogena di una postura possa essere l’occlusione. Certamente l’occlusione può modificare l’assetto cervicale ma non tanto da non essere subito compensato e arrivare a modificare tutta la struttura. Probabilmente sono assai più determinanti le solette, gli zainetti e le scarpe “tecniche”. Ma il discorso si farebbe troppo specifico e richiederebbe un quaderno suppletivo. Posizioniamo dunque il nostro paziente prono o supino. Il lavoro consiste nello stirare tutti i muscoli partendo dalle dita per arrivare alla caviglia. Nota: non sempre esiste una direzione specifica del lavoro. Si può stirare un muscolo o lavorare una fascia partendo da un’inserzione o dall’origine. Può anche aiutarci un lavoro trasverso “alla Cyriax” (per lo più sui trigger). Ma soprattutto il come operare ce lo suggerisce lo spazio anatomico, la nostra esperienza e la tolleranza del paziente al dolore (per es: una fascia lata è meno dolorosa lavorata dal distale al prossimale, pur se meno efficace).

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FASCIA PLANTARE Il lavoro sarà inevitabilmente di nocche e, là dove non possibile, di pollici e falangi. Molto utile in questi casi adoperare particolari attrezzi tipici dei massaggi indiani. Lavorare con il movimento in flessione ed estensione, in rotazione dx e sx.

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Paziente prono con i piedi fuori dal bordo per consentire la flessione dorsale. Utilizzare le nocche tenendo il pugno morbido per interessare il tessuto molle appena prima del calcagno.

Tenere una linea di trazione in direzione anteriore (verso le dita). Lavorare progressivamente lungo la pianta del piede superficiale e profondo in passaggi successivi. Chiedere la flessione e l’estensione. Questo lavoro è utile quando troviamo rigidità cronica e ipertono, inoltre aumenta la propriocezione del piede e della caviglia, migliora il passo e l’equilibrio. NOTA. Questo lavoro influenza la respirazione, vuoi per via riflessa, vuoi perché avremo cura di iniziare qui ad applicare il respiro nei rilasci. Operare con il respiro significa farsi aiutare dalla respirazione. Per es: chiedere un respiro normale e un’espirazione lenta ma importante. E creare visualizzazioni, ad es: “Quando inspiri si allarga il tessuto, quando espiri si rilassa”. Questa è solo una delle decine e decine di varianti. Esistono libri per chi è in debito di fantasia. Spesso l’intero tono della persona subisce dei cambiamenti solo se associamo tre fattori: bodywork, respiro e movimento. Attenzione: il movimento non è solo quello che chiediamo sul lettino ma dobbiamo anche il far alzare il paziente e fargli percepire la modificazione, il risultato raggiunto. Solo così, col confronto, può assimilare e impadronirsi del vantaggio.

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Alluce valgo: per quanto la patologia non sia nei compiti di questa dispensa, si possono osservare le linee di tensione del tessuto in questa comunissima deformazione e regolarsi di conseguenza tenendo conto dell’importanza del flessore lungo dell’alluce. L’accorciamento sistemico di questi muscoli esita nell’abduzione del primo metatarso e l’adduzione della falange distale dell’alluce. Il cedimento dell’arco anteriore plantare, determinando l’abduzione, rispetto al secondo dito, del primo e del quinto metatarso, accentua la deviazione angolare dell’alluce. RETINACOLI DELLA CAVIGLIA Paziente su un fianco, con anca superiore flessa a 70° e la parte superiore del ginocchio flesso a 45°, sostenuto da un cuscino. Posizionarsi ai piedi del tavolo. Iniziare direttamente sul malleolo peroniero. Utilizzare le nocche, dita o pollici di entrambe le mani ad affondare nel sottile strato di tessuto sopra l’osso. Prendere una linea di tensione in fasce. Effettuare questa linea fuori dai margini ossei e lontano dalla linea mediana. Diffondere e fondere, mentre il paziente s’impegna col movimento di flessione dorsale e plantare. ==== continua====

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Il testo integrale è reperibile in epub su Amazon, da Feltrinelli o in altre librerie online. A prezzo ridotto è ordinabile su www.bodyworks.it.

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