Moto & Scooter design dispense IAAD

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Motorcycle & scooter

DESIGN dispense del corso

AA 2014-15 Prof. Luca Bar


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IAAD Torino Dip. Transportation Design A.A. 2014 -15 Docente: Luca Bar

MOTO E SCOOTER DESIGN - DISPENSE DEL CORSO INTRODUZIONE Il design è una materia relativamente recente che per definizione nasce e si sviluppa parallelamente all’industria. Come in tutti settori la specializzazione e l’avanzamento tecnologico necessitano lo sviluppo di figure professionali specifiche e formate in modo mirato sin dalle scuole. Il Design dei mezzi di trasporto è già di per se una specializzazione, all’interno del quale trova posto la nicchia del design di mezzi motorizzati a due ruote, tipicamente motociclette e scooter. Il design della motocicletta, in misura minore dello scooter, necessita una conoscenza tecnica superiore a quella necessaria nel mondo dell’auto, per il semplice motivo che sulla motocicletta è come se gli interni, la carrozzeria e l’interno del cofano motore fossero miscelati fra loro in un unico oggetto. A complicare ulteriormente le cose va aggiunto il fatto che il motociclista medio, se paragonato all’automobilista, ha una competenza tecnica maggiore e non si accontenta facilmente. Tralasciando i mezzi a due ruote destinati ad un utilizzo lavorativo, ad esempio gli scooter per i postini o le motociclette destinate alle forze dell’ordine, le moto vengono acquistate non tanto per necessità quanto per passione. Il senso di libertà che una motocicletta può dare in estate su una bella strada tortuosa è difficile da spiegare a chi non ha avuto occasione di vivere questa esperienza; il rovescio della medaglia invece è fatto di parecchi “disagi” tra cui le intemperie, il freddo, il rischio di cadere o di essere coinvolti in un incidente. Inutile negarlo, in caso di collisione tra una motocicletta ed un altro veicolo, la persona più esposta è sicuramente il motociclista, nonostante si stia facendo molto in termini di sicurezza sia attiva sia passiva il margine che può dare una corazzeria...pardon... una carrozzeria, rimarrà sempre. Capita spesso di vedere pubblicati online o sui portfolio dei ragazzi, dei bozzetti di motociclette che gli stessi studenti amano definire “concettuali”, dai quali però spesso traspare la necessità di nascondere le proprie lacune, in termini di competenze (tecniche, di ergonomia o addirittura di geometria), dietro a delle forme inusuali, che all’occhio inesperto possono sembrare innovative. Lo scopo di questo corso tuttavia è quello di insegnare agli studenti tutto i possibile sullo stato dell’arte della tecnologia attuale e renderli capaci di padroneggiare il disegno di una motocicletta “vera”, in modo tale che siano in grado, in un secondo momento di sperimentare forme e modelli innnovati in modo creativo anzichè fantasioso. Nella raccolta del materiale che compone queste dispense ho cercato di coprire la maggior parte degli argomenti necessari all’approccio di un progetto di design di un mezzo a due ruote, limitando il più possibile le definizioni troppo tecniche. Di seguito ho aggiunto una serie di articoli scritti da Kerr Glynn, (uno tra i più proficui designer di motociclette al mondo con un’esperienza enorme maturata in oltre 40 anni di lavoro) oltre ad una selezione di interviste a famosi designer del settore contemporanei. In appendice infine ho raccolto una serie di esempi di rappresentazione utili agli studenti per comprendere a quale livello di definizione è utile arrivare con i propri disegni oltre che, iniziando il corso, per copiare gli stili e le tecniche dei professionisti. Buon lavoro, Luca Bar

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MOTOCICLETTA Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. La motocicletta, spesso detta mòto per brevità, è un veicolo a 2 ruote, provvisto di motore, appartenente alla categoria dei motoveicoli. In origine questo tipo di veicolo veniva definito bicicletto a motore, a causa della sua discendenza dalla bicicletta. Il termine “motocicletta” deriva dal marchio commerciale “Motocyclette” con il quale venne presentato il primo modello prodotto dall’azienda parigina Werner che, per prima, aveva ideato l’applicazione del motore ausiliario a una comune bicicletta, depositando i relativi brevetto e denominazione il 7 gennaio 1897. Il termine “Motocyclette” si diffuse rapidamente e divenne talmente popolare in tutta Europa, già nel primo decennio del XX secolo, da costringere il tribunale di Parigi, per ragioni di pubblico interesse, a cancellare la precedente concessione di esclusività del marchio ai fratelli Werner e riconoscerlo nel pubblico dominio. La motocicletta ha 2 ruote in linea e la stabilità del mezzo in movimento viene garantita dal principio di conservazione del momento angolare. Le variazioni di direzione della motocicletta vengono comandate tramite un manubrio, con sfruttamento degli effetti giroscopici causati dalla conservazione del momento angolare. Werner Motocyclette 1899

Nella motocicletta propriamente detta, escludendo il caso particolare degli scooter, il centauro e l’eventuale passeggero siedono sul mezzo appoggiandosi su una sella, il guidatore utilizza il manubrio per l’appoggio delle mani e per comandare, sul lato sinistro, l’eventuale frizione; sul lato destro sono invece presenti i comandi relativi all’impianto frenante (relativo alla ruota anteriore e talvolta alla frenata integrale) e all’acceleratore che regola la velocità. I piedi si appoggiano invece su apposite pedane, dalle quali il piede destro comanda il freno posteriore (talora, in impianti particolari, la pressione sul comando interviene parzialmente anche sul freno della ruota anteriore) ed il sinistro (ad eccezione dei veicoli a cambio automatico) il cambio delle marce. In passato la posizione destra/sinistra dei due comandi a pedale era mutevole a seconda dei modelli. La propulsione del mezzo viene garantita dalla presenza di un motore a combustione interna alimentato con benzina. vengono utilizzati motori a quattro tempi o motori a due tempi; questi ultimi sono in graduale diminuzione di numero, soprattutto a causa delle normative anti-inquinamento. Questo tipo di veicolo, per poter circolare sulle strade, deve soddisfare i requisiti dettati dai codici della strada in vigore nelle varie nazioni e possedere una regolare omologazione. Anche i requisiti necessari per condurre il veicolo e per l’ammissione o meno del trasporto del passeggero sono codificate all’interno dei codici stessi e possono differire da nazione a nazione. Alla motocicletta può essere a volte agganciato un elemento esterno: un carrozzino laterale atto a trasportare persone definito sidecar o, più raramente, un rimorchio posteriore atto al trasporto di merci e bagagli.

Cenni storici L’invenzione della motocicletta viene fatta risalire all’ingegnere francese Louis-Guillaume Perreaux che depositò il relativo brevetto (n.83691) il 16 marzo 1869 e realizzò un veicolo a due ruote funzionante a vapore chiamata Vélocipede à Grande Vitesse. 4


La prima motocicletta con motore a combustione interna si deve a due inventori tedeschi, Gottlieb Daimler e Wilhelm Maybach, che costruirono il primo prototipo, nel 1885, in una piccola officina di Cannstatt (nelle vicinanze di Stoccarda). Nel 1894 i primi esemplari funzionanti vennero messi in vendita dalla Hildebrand & Wolfmüller e da quel momento si assistette ad una continua evoluzione della motocicletta, grazie ad aziende di tutto il mondo, sia in Europa che negli USA. Come nella parallela storia dell’automobile, il mondo delle motociclette di produzione è andato sempre di pari passo con quello delle competizioni e se, nel mondo dell’automobilismo, già nel 1894 si sviluppava una competizione degna di tale nome con la Parigi-Rouen, l’anno successivo si registravano le prime iscrizioni di bicicli a motore alla Paris-Bordeaux-Paris. Daimler Mybach - 1885

Se i primi modelli costruiti non erano altro che biciclette a cui venivano applicati gli apparati di propulsione, l’evoluzione tecnica ed estetica è stata continua, così come il distanziamento progettuale con le due ruote a propulsione umana. Già nei primi decenni del XX secolo la tipologia classica era quella delle moto sottocanna e si vedevano i primi esempi di sospensioni per migliorare il comfort di marcia. Fino agli anni sessanta la produzione era per la gran parte europea, con l’industria britannica, tedesca e italiana in particolare evidenza, negli ultimi decenni la parte del leone viene fatta dalle industrie giapponesi.

Scooter (veicolo) Il motoscooter, comunemente detto scooter, è un motoveicolo caratterizzato da una particolare conformazione della scocca, detta ‘stepthrough’, ovvero attraversabile nel tratto ribassato posto tra il sellino e lo scudo anteriore. Solitamente dotati di ruote di diametro ridotto, presentano tutti il motore in posizione arretrata, sotto la seduta e solitamente nascosto da cofani laterali o da una carenatura integrata nella scocca, spesso solidale con il braccio oscillante della sospensione posteriore. Vespa 98 - 1946 Nati per l’uso in città, in Italia ne è stato antenato di chiara fama la Vespa, seguita poco dopo dalla Lambretta. Tra i tipi maggiormente diffusi vi sono tradizionalmente quelli di cilindrata di 50 cm³ a due tempi che sono guidabili con un certificato di idoneità alla guida (“Patentino”), ottenibile a 14 anni. In tempi recenti si è vista la diffusione dei cosiddetti Maxiscooter, modelli solitamente a cambio automatico di maggiori dimensioni e adatti alle lunghe percorrenze, con motori da 125 cm³ a 839 cm³ e per i quali è necessaria una patente di guida di tipo A o B (quest’ultima abilita a guidare motoveicoli fino a 125 cm³ o 11 kW di potenza massima, come la patente A1). Esistono diverse categorie di scooter, tutte basate sulla cilindrata del propulsore: dai 50 agli 839cm3 (Gilera GP800). Il corpo dello scooter è rapportato alla cilindrata, per cui uno scooter 50 cm³ normalmente ha ruote da 10, 12, 13 o 14 pollici (gli scooter a ruote alte come l’Aprilia Scarabeo anche da 16 pollici) e una massa vicina ai 90 kg. Non ha un vero cambio ad ingranaggi, con eccezione dei vecchi modelli Vespa, ma un cambio a variazione continua, che permette al motore di girare sempre al regime ottimale. Un dispositivo denominato variatore modifica il rapporto di trasmissione in base alla velocità per rendere l’erogazione più fluida. 5


I propulsori da 50 cm³ sono raffreddati ad aria o a liquido, e spesso dotati di carburatore, ma esistono modelli ad iniezione, quali l’Honda Zoomer, il Piaggio NRG Power Pure Jet e l’Aprilia SR 50 Ditech (questi ultimi a due tempi). Dalla cilindrata di 125 cm³ in su si predilige il motore a quattro tempi, con raffreddamento ad aria (due valvole) o a liquido (quattro valvole), dotato di carburatore oppure di iniezione elettronica. Un tempo dotati esclusivamente di freni a tamburo, nella maggior parte Yamaha T-Max - 2001 dei casi oggi questi vengono limitati alla ruota posteriore. Sui modelli più potenti vengono montati due o tre freni a disco, di cui due sulla ruota anteriore, questo soprattutto nel caso dei maxiscooter.

Le tipologie di motociclette Con l’avanzare della tecnica e della specializzazione le tipologie di motocicletta si sono sempre più ampliate con il tempo e sul mercato del XXI secolo è possibile trovare una moltitudine di tipi diversi, da quelli per gli usi più estremi a quelli che fanno della versatilità il proprio cavallo di battaglia. Una suddivisione basica può essere effettuata tra le due ruote progettate e costruite per l’uso prettamente stradale, spaziante dalle versioni più spartane, a quelle specifiche per i grandi viaggi fino alle repliche di quelle utilizzate nella massime competizioni su pista; il secondo tipo è quello rappresentato dalle moto con cui è possibile, se non suggerito, l’utilizzo in fuoristrada. Anche per questa seconda tipologia la scelta è molto ampia e spazia dai modelli replica di quelli utilizzati nelle competizioni specifiche, per finire con quelli in cui l’utilizzo al di fuori dei percorsi più battuti si può rivelare anche ardua. Anche per quanto riguarda le cilindrate comuni, il passar del tempo ha visto una lievitazione della cubatura e la motocicletta media oggi può essere considerata quella che ha una cilindrata intorno ai 600 cm³ munita di appendice aerodinamica anteriore (un cupolino) con funzioni protettive e la possibilità d’installazione di contenitori posteriori (i bauletti), tutto al fine di poter essere utilizzata piacevolmente in ogni condizione di tempo. Solo negli anni sessanta del secolo scorso la stessa cilindrata era appannaggio di pochi modelli, quelli di maggior prestigio (definiti ai tempi anche come maximoto) che, all’inizio del ventunesimo secolo, ormai hanno cubature pressoché raddoppiate. Anche ragioni di marketing o di moda hanno creato nel tempo le denominazioni con cui si riconoscono oggi delle tipologie abbastanza specifiche di modelli. Nella maggior parte dei casi la terminologia deriva dalla lingua inglese. Ciclomotore: Il ciclomotore è un tipo di motociclo con bassa potenza e cilindrata che, per le sue caratteristiche, è utilizzabile con minimali requisiti autorizzativi. (Obbligatoria la presenza di pedali) Il ciclomotore è un veicolo usato in tutto il mondo e la cui invenzione viene fatta risalire all’azienda parigina Werner che ne depositò il brevetto il 7 gennaio 1897.

Piaggio Ciao 1967- 2006

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Il moderno ciclomotore è nato come evoluzione del bicimotore ed è generalmente destinato a un impiego utilitario o ludico, negli spostamenti brevi. Fu a partire dagli anni sessanta che il ciclomotore conobbe una grande diffusione in tutta Europa. Motociclette di uso stradale

Honda CB750 - 1969

Naked (Standard nel mondo anglosassone), con il significato di modello “nudo”, privo quasi completamente di protezioni aerodinamiche. Puntano anche molto sui risparmi economici e di peso, privilegiando l’agilità e la semplicità d’uso.

BMW R 100 RT - 1985

Touring e Grand Touring, modelli imponenti, generalmente con motori di grossa cilindrata e accessoriati con tutto ciò che può rendere più piacevole un viaggio in ogni condizione di tempo, anche con bagagli grazie alla presenza di valigie. Dotate di protezioni aerodinamiche estese con funzione di riparo dagli eventi atmosferici avversi e spesso di accessori specifici per l’uso anche invernale. 7


Suzuki GSX-R 750 - 1985

Race Replica (Hypersport), i modelli con le prestazioni più esasperate che riprendono le linee e le soluzioni tecniche dalle moto da competizione come la Superbike e il Motomondiale. Pressoché sempre dotate di ampie carenature, improntate in questo caso alla ricerca del raggiungimento di velocità elevate.

Harley Davidson Elecra Glyde Classic - 2008

Motociclette “Cruiser” Tipicamente di produzione americana sono moto di impostazione classica molto comode ed adatte alle lunghe Highway. In Italia sono erroneamente chiamete Custom, termine che in realtà indica quei prodotti modificati secondo le esigenze del cliente (customer).

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Motociclette ad uso fuoristrada Motocicletta Cross.

KTM Cross 125 - 2010

Cross, i modelli che prendono ispirazione da quelli delle gare di motocross, con soluzioni tecniche che permettono l’uso su percorsi sterrati, a velocità abbastanza sostenute e in presenza di salti o avvallamenti.

Husaberg Enduro 570 - 2010

Enduro ( in passato Regolarità), il cui progresso è andato di pari passo con lo sviluppo delle competizioni omonime, con soluzioni tecniche sempre adatte all’uso su percorsi non asfaltati, paragonabili a quelle da cross. La disciplina dll’enduro tuttavia prevede lo svolgimento di gare su percorsi aperti (non circuiti) e per questo motivo si privilegiano caratteristiche tecliche volte ad aumentare il comfort di guida e la trazione della ruota motrice in situazioni “limite”. Al contrario del cross la face aerea non è rilevante.

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Aprilia Pegaso 650- 2006

Tuttoterreno (o enduro stradali), sono motociclette che possono percorrere tutti i tipi di terreno, che riprendono lo stile delle motociclette da enduro, ma con soluzioni più economiche e più adatte per l’utilizzo quotidiano.

Tipologie storiche e di nicchia Trial e Motoalpinismo, modelli per i quali esistono anche competizioni apposite, che non necessitano di velocità elevate ma le cui caratteristiche di leggerezza e agilità consentono di superare quasi ogni tipo di ostacolo.

Beta Trial - 2012

Custom (termine in Itlia spesso confuso con Cruiser), moto soggette a un radicale processo di personalizzazione, atto a ridurre il numero di componenti ritenuti inutili o non strettamente necessari.

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Chopper, nate negli USA ma con molti estimatori anche in Europa, sono moto aventi l’asse dello sterzo molto inclinato, in cui il guidatore si trova a guidare in una posizione quasi sdraiata, spesso avvalendosi di un appoggiaschiena posteriore. Sono moto caratterizzate anche da molte cromature e spesso da verniciature appariscenti.

Custom Chopper- 2010

Café racer, moto artigianali che reincarnano la massima esponente del motociclismo sportivo inglese degli anni sessanta e traggono ispirazione dalle special realizzate nella Londra di quel periodo.

Moto Guzzi V7 Cafè Classic 2009

Scrambler, tra i primi tentativi per avere una motocicletta multiuso, utilizzabile su percorsi stradali e nel fuoristrada non impegnativo. Raid o Rally (Dakar e altri sinonimi richiamanti l’idea del deserto), nate dall’esperienza maturata nelle competizioni africane di Rally Dakar, con caratteristiche spesso in comune con i modelli da enduro. Motard, modelli le cui competizioni sono denominate di Supermotard e in cui le caratteristiche tecniche devono trovare il giusto compromesso per il contemporaneo utilizzo su percorsi stradali e da motocross.

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LA CICLISTICA: GLI ASPETTI CHE CARATTERIZZANO LA GEOMETRIA DEL MOTOCICLO (Ing. Antonello Maino) Spesso mi sono chiesto perché sia più facile incontrare un motociclista che conosca il significato di “rapporto stechiometrico” Piuttosto che non uno in grado di spiegare in maniera comprensibile il concetto di “avancorsa”. Un elemento di soluzione dell’enigma si può avere osservando gli scaffali di una libreria specializzata e contando i volumi riguardanti la progettazione di un motore rispetto a quelli riguardanti la progettazione di un telaio: tutti si accorgerebbero della netta prevalenza dei primi sui secondi. Questa disparità di studi e di trattati rispecchia anche l’evoluzione, nel corso degli anni, del motore nei confronti della ciclistica. In effetti, il lavoro del progettista consiste nell’utilizzare al meglio ciò che la tecnologia offre per raggiungere un obiettivo.

Si parte da qui nella progettazione di un motoveicolo: interasse e raggi di rotolamento delle ruote.

Una ruota con raggio di rotolamento ampio ha meno possibilità di restare “imprigionata” in una buca rispetto ad una ruota con raggio di rotolamento piccolo.

La ciclistica è l’arbitro del comportamento dell’intero veicolo. E’ dalle proporzioni del telaio e dalla taratura delle sospensioni che dipendono: tenuta di strada, comfort, sensibilità di guida, capacità di trasmettere a terra la potenza ecc. Il telaio per una motocicletta svolge le stesse funzioni dello scheletro per il corpo umano, in altre parole quella di sostenere e di caratterizzarne il comportamento. Un astrofisico nucleare potrà svolgere tranquillamente la sua professione pur non avendo un apparato osseo robusto e un fisico muscoloso. Con queste caratteristiche però non potrà mai diventare un campione di rugby. Oltre al talento naturale, Maradona nel calcio e Michael Jordan nel basket, nelle loro inimitabili gesta atletiche sono stati aiutati anche dalle “dimensioni geometriche” dei loro corpi. Nessuno di noi riuscirebbe a immaginare Maradona schiacciare la palla nel canestro o Michael Jordan pennellare la palla all’incrocio dei pali con una rapida rovesciata. Nel confronto uomo - mezzo meccanico esiste però una differenza: nel caso delle proporzioni del nostro apparato osseo ci dobbiamo accontentare di ciò che Madre Natura ci ha donato, ma nelle misure del telaio, siamo liberi di impostarle in base all’uso a cui è destinato. E’ evidente che i dati di partenza richiesti per l’impostazione di un veicolo da velocità saranno diversi rispetto ad uno da cross. Cerchiamo di capire queste differenze andando per ordine. Trovandomi di fronte al classico foglio bianco, le prime linee che andrò a tracciare rappresenteranno le due ruote poste ad una certa distanza ovvero il raggio di rotolamento della ruota anteriore, il raggio di rotolamento della ruota posteriore e l’interasse. Analizziamo ora il raggio di rotolamento: per quanto riguarda la scelta del raggio delle ruote da adottare, occorre tenere presente su quale tipo di percorso esse dovranno lavorare. Per un percorso accidentato con presenza di sassi e buche, sarà richiesto un raggio maggiore rispetto a una ruota che deve lavorare su un manto asfaltato privo di irregolarità. Infatti, un raggio di rotolamento ampio permette di entrare nelle buche senza sprofondare, o di superare dislivelli senza impuntarsi, senza cioè causare conseguenze fastidiose alla marcia del veicolo e affaticamento del pilota. Le dimensioni delle ruote hanno incidenza sulle masse non sospese, sull’inerzia dello sterzo e sulle forze giroscopiche. Quindi più 12


piccole e leggere saranno le ruote, minori risulteranno questi effetti. Vediamo degli esempi di applicazione: nelle moto da trial si adotta all’anteriore un cerchio da 21” di diametro e al posteriore uno da 18”. Nelle moto da cross all’anteriore la scelta ricade obbligatoriamente sul 21”, mentre al posteriore negli ultimi anni si è preferito il 19” in luogo del 18” usato in precedenza. Nelle moto da velocità non si è raggiunto un consenso definitivo. Durante gli anni ‘70, nella categoria 500 GP, si correva con il 18” all’anteriore e 18” al posteriore per poi passare negli anni ‘80, influenzati dalla scuola di guida americana, a usare un 16” all’anteriore e un 18” al posteriore. Questa scelta assecondava la tecnica di guida adottata in quel periodo. Erano, se ricordate gli anni delle vistose derapate e, ahimè, anche delle disarcionate. Si guidava prevalentemente controllando il retrotreno e usando la ruota anteriore solo come appoggio nelle staccate. Questo stile di guida, innaturale per le corse in pista, a dir la verità non è invenzione americana ma è stato adottato ciclicamente nel corso degli anni dal piloti dotati di maggior talento nel momento in cui si trovavano a governare un veicolo con telaio e pneumatici non in grado di sopportare lo scarico a terra della potenza. Perciò, invece di percorrere la traiettoria della curva su un raggio ampio a velocità sostenuta, preferivano percorrere il minor raggio a bassa velocità in modo da raddrizzare velocemente la moto in uscita di curva e poi spalancare il gas. Oggi, osservando le immagini dei gran premi, notiamo che le moto sono molto più neutre e più equilibrate nell’affrontare le curve rispetto agli anni scorsi e, leggendo le cronache delle gare, che i piloti più tecnici cercano un maggior feeling con l’avantreno. Anche per la scelta dei pneumatici occorre tenere presente: il tipo di moto da equipaggiare, i suoi limiti di velocità, lo stile di guida, il tipo di terreno sul quale deve viaggiare la moto e il tipo di cerchio. L’interasse, invece, identifica la distanza dei centri delle ruote. Questo parametro influenza principalmente: la stabilità direzionale del veicolo, la distribuzione dei pesi, il trasferimento di carico in accelerazione e in frenata. Per capire il significato della stabilità direzionale immaginiamo di percorrere una curva di ampio raggio a velocità sostenuta e di incappare su un dislivello dell’asfalto. La deviazione laterale che subisce la ruota posteriore rispetto alla traiettoria impostata, forma un angolo con il punto di contatto tra la ruota anteriore e il terreno. Ne consegue che più lungo è l’interasse, più piccolo risulterà l’angolo e maggiore sarà la stabilità del mezzo, viceversa più corto è l’interasse maggiore sarà l’angolo: la moto in questo caso si scomporrà in modo vistoso con ripercussioni spiacevoli sulla guida.

A parità di spostamento laterale della ruota posteriore notiamo come su un veicolo dall’interasse lungo, lo spostamento angolare sia minore rispetto ad un veicolo con interasse corto. Questo determina la maggior stabilità dei veicoli lunghi. Si potrebbe pertanto riassumere che un motoveicolo con interasse lungo (circa 1500 mm) assume un effetto stabilizzante, ma legnoso nelle manovre mentre un motoveicolo con interasse corto (circa 1200 mm) risulta molto più maneggevole, ma instabile alle alte velocità. Per citare degli esempi, nelle discipline in cui prevale l’agilità del mezzo (trial e cross) l’interasse adottato è attorno al 1300 mm. Nelle moto da velocità (500 GP e Superbike), invece, la distanza tra le ruote è circa 1400 mm in nome di una sorta di compromesso tra stabilità e agilità. Ancora, le maxi granturismo hanno interasse attorno ai 1500 mm; per via del loro peso e dell’utilizzo a cui sono destinate, non è infatti richiesta una forte dose di agilità ma piuttosto comfort di guida e stabilità. 13


QUESTIONE DI MILLIMETRI: DESCRIZIONE TECNICA DEI PARAMETRI CHE CARATTERIZZANO LA GEOMETRIA DELLA MOTO (Ing. Antonello Maino) La distribuzione dei pesi tra ruota anteriore e ruota posteriore in una moto è uno dei parametri fondamentali per determinarne la manovrabilità. Stabilire esattamente la ripartizione dei carichi in fase di. progettazione, anche se coadiuvati da programmi di simulazione al computer, resta tuttavia uno dei passaggi più critici. Per questo, l’abilità di un progettista consiste nell’impostare il proprio lavoro lasciando possibili margini di intervento ai colleghi del reparto prove, così da permettere gli opportuni miglioramenti in corso d’opera. Il modo più semplice per variare l’interasse della nostra moto è quello di sfruttare l’asola di registro relativo alla tensione della catena, che solitamente consente variazioni di 35 o 40 mm, avendo sempre cura di ripristinare, dopo ogni intervento, il corretto gioco della stessa. Portando la ruota posteriore tutta in avanti avvicinandola cioè al baricentro, si carica maggiormente il retrotreno; viceversa, spostandola indietro si carica l’avantreno. In quest’ultimo caso, diventa più difficile eseguire le manovre a bassa velocità, mentre aumenta la stabilità dell’avantreno in fase di accelerazione e alle alte velocità. Al contrario, è facile dedurre che un avantreno leggero renda difficoltoso il controllo del veicolo a velocità sostenute. Per sperimentare questi effetti, potete programmare una gita in bicicletta (possibilmente non in mezzo al traffico) e, a media velocità, provare a togliere le mani dal manubrio, spostando il vostro corpo sulla sella prima avanti, poi indietro. Noterete come in quest’ultima posizione la ruota anteriore diventi più instabile e sensibile a ogni minima irregolarità del terreno. Un’altra possibilità per variare la distribuzione dei carichi in un motociclo consiste nell’alzare il retrotreno, sempre che l’ammortizzatore lo permetta, di una decina di mm; questo è il sistema più diffuso ed economico per caricare maggiormente la ruota anteriore e apprezzarne i benefici nella guida sportiva.

In questo disegno sono evidenziati i punti attraverso i quali il pilota scarica il proprio peso sulla moto. I tecnici prestano molta attenzione alla definizione di questo triangolo detto “triangolo ergonomico”. Se consideriamo il peso di un motociclista medio attorno ai 75 Kg ed il peso (compresi tutti i liquidi) di una moto sportiva di grossa cilindrata attorno ai 220 Kg, è facile calcolare che il rapporto tra i due è di circa 1 a 3, così come è facile comprendere quanto sia fondamentale il modo in cui si posiziona il pilota sul veicolo per la distribuzione dei carichi. Tutti sappiamo quanta attenzione dedichino molti piloti di velocità nel ricercare la posizione di guida ideale lavorando su altezza e avanzamento di pedane, manubri e sella. Sulle moto da Cross, invece, il pilota deve essere libero di effettuare ampi spostamenti sulla sella, in modo da equilibrare con il proprio i, peso, assumendo talvolta posizioni funamboliche, il sistema moto pilota durante salti, impennate e derapate. Se provate a sistemare la vostra moto su due bilance, in modo che gli assi delle ruote risultino ben centrati ai piani dello strumento, potete facilmente verificarne la ripartizione dei pesi e, con l’aiuto di un amico, salire sulla stessa e notare quanto siano sensibili le bilance ad ogni vostro minimo spostamento (ad es. se state sulla moto in posizione eretta oppure in posizione aerodinamica). Un altro elemento fondamentale nella distribuzione dei carichi, esaminato sotto un duplice aspetto, è il motore. Considerando sempre una moto sportiva di grossa cilindrata, il peso del motore è circa 1/3 , del peso totale della moto: il suo posizionamento nell’insieme veicolo i risulta perciò essere fortemente determinante. D’altra parte, la forma dello stesso è in grado di facilitare o meno il suo alloggiamento nel telaio Per citare un esempio pratico, prendiamo come riferimento la classica architettura a “L” dei motori Ducati, dove la testa del cilindro orizzontale, già vicinissima alla ruota anteriore, impedisce di fatto l’avanzamen14


to del motore. Ecco perché, per mantenere un interasse accettabile, i tecnici della casa bolognese sono costretti a usare un forcellone che risulta essere il più corto della categoria. I motori sportivi dell’ultima generazione sono invece più compatti nella zona del cambio in modo da mantenere invariato l’interasse, avanzare il motore e allungare quindi il forcellone, con conseguente sul bilanciamento della moto e sul modo di lavorare della sospensione posteriore. Un’ulteriore modalità di intervento in fase progettuale sulla ripartizione dei pesi è quella adottata dai tecnici della Benelli sulla Tornado 900, che spostando il radiatore sotto la sella, hanno liberato la zona precedentemente occupata tra motore e ruota anteriore. Questo consente, pur mantenendo una configurazione “classica” del motore, di avanzare la sua posizione e di allungare il forcellone. IL BARICENTRO Il CG (centro di gravità) è quel punto, presente in ogni corpo, attraverso il quale possiamo considerare concentrata tutta la massa. Per una figura geometrica semplice, la determinazione del CG è abbastanza intuitiva: ad esempio in una sfera è il centro della stessa. Nel caso di una motocicletta, a calcolo di questo punto misterioso risulta più complicato. D’altra parte, la conoscenza della posizione del CG, sia in lunghezza che in altezza, si rivela fondamentale per la progettazione di un veicolo, in quanto da esso dipende la manovrabilità del mezzo e l’entità del trasferimento di carico. Vediamo come individuare tale punto: per semplificare le cose, senza tirare in ballo strane formule, faremo riferimento ad un metodo empirico. Questo metodo consiste nel sollevare la moto tramite apposite cinghie. Si procede con l’agganciare la moto per il manubrio e, dopo averla sollevata da terra, si provvede a tracciare sulla carenatura, con l’ausilio di un filo a piombo e di un nastro adesivo, il prolungamento della cinghia in modo che esso risulti perpendicolare al terreno. Vale la pena ricordare, a questo punto, che la condizione di massima accelerazione si ottiene quando il pneumatico riesce a trasferire a terra tutta la potenza disponibile. Posizionando quindi il CG in alto, si aumenta il trasferimento di carico in fase di accelerazione ed il peso sulla ruota posteriore, migliorando così la trazione del veicolo. Non è tuttavia opportuno superare l’altezza limite del CG, altrimenti il trasferimento diventa eccessivo e si verifica la condizione di ribaltamento. Gli stessi concetti valgono per il trasferimento di carico in frenata: in questo caso la forza coinvolta sarà quella frenante sulla ruota anteriore. Per la guida della nostra moto l’altezza del CG è peraltro determinante nei cambi di direzione; essa, infatti, è in grado di influenzare la rapidità di “piegare la moto”. Cerchiamo ora di capirne il motivo: poiché la forza peso si può considerare concentrata nel baricentro, è facile dedurre che più essa è distante dal punto di contatto della ruota con il terreno, maggiore sarà il braccio della forza applicata, così come minore sarà lo sforzo ed il tempo necessario per far “cadere” la moto. Questo concetto può creare un po’ di confusione nei lettori: tutti hanno infatti presente gli sforzi dei tecnici automobilistici per abbassare il più possibile il baricentro delle loro vetture, ma, fortuna loro, le auto non devono “piegare” per curvare. In conclusione, volendo riassumere i concetti sopra elencati, potremmo dire che una moto con interasse corto e baricentro alto risulterebbe agilissima in uno slalom, ma sempre scomposta in frenata ed accelerazione; per contro una moto con interasse lungo e baricentro basso sarebbe stabilissima nelle staccate violente e nelle brusche accelerazioni, ma risulterebbe lenta e pesante nelle curve ad esse. Come per qualsiasi altra scelta tecnica, il progettista è sempre costretto a scendere a compromessi, considerando, volta per volta, la tipologia del veicolo, l’uso a cui è destinato e i possibili utenti a cui è rivolto. 15


Principali “misure” di una motocicletta Leggendo accuratamente la scheda tecnica di una motocicletta è possibile farsi un’idea di come questa si comporterà nella guida e di quale sarà il suo principale utilizzo. Partendo dalla misura degli pneumatici è possibile distinguere se si tratta di una motocicletta stradale o da fuori strada ed in buona misura si possono intuire le prestazioni motoristiche. In linea di massima le dimensioni dello pneumatico posteriore sono proporzionate alla coppia massima del motore. In base ai valori di peso ed interasse è facile immaginare la maneggevolezza o meno del mezzo. Tuttavia sono molti i casi in cui una particolare attenzione all’equilibrio tra le parti porta ad ottenere delle prestazioni migliori di quelle ipotizzabili dalla lettura di una scheda tecnica. Esempio di “Scheda specifiche” di una motocicletta (Triumph Sprint ST 955i 1999) Ciclistica: Corsa forcella anteriore: Corsa ammortizzatore posteriore: Dimensioni pneumatico anteriore: Dimensioni pneumatico posteriore: Freno anteriore: Freno posteriore:

127 mm (5.0 inches) 120 mm (4.7 inches) 120/70-ZR17 180/55-ZR17 Doppio disco Ø 320 mm (12.6 inches) Singolo disco Ø 255 mm (10.0 inches)

Misure fisiche e capacità: Peso complessivo inclusi oli e carburante: 239.0 kg (526.9 pounds) Bilanciamento del peso sulla ruota anteriore: 48% Altezza della sella: 800 mm (31.5 inches) Passo: 1,470 mm (57.9 inches) Capacità del serbatoio: 21.00 litres (5.55 gallons) Motore e trasmissione: Cilindrata: Architettura motore: Potenza massima: Coppia massima: Rapporto di compressione: Alesaggio x corsa: Valvole per cilindro: Sistema di raffreddamento: Numero rapporti del cambio: Avviamento: Trasmissione finale:

955.00 cm3 (58.27 cubic inches) 3 cilinri in linea frontemarcia 4 Tempi 105.00 HP (76.6 kW)) @ 9300 giri/minuto 95.00 Nm (9.7 kgf-m or 70.1 ft.lbs) @ 5700 giri/minuto 11.2:1 79.0 x 65.0 mm (3.1 x 2.6 inches) 4 Liquido 6 Elettrico Catena

Prestazioni Velocità massima: Accelerazione 0-100 km/h (0-62 mph): Ripresa 60-140 km/h (37-87 mph), marcia più alta: Consumo carburante: Emissione gas serra:

230.0 km/h (142.9 mph) 3.30’’ 8.20’’ 6.8 litres/100 km (14.7 km/l) 15.8 CO2 g/km

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Gli pneumatici: L’ordine in cui tali caratteristiche vengono indicate è il seguente: T l / hl St d cM vM Sca

Con tali denominazioni, si vuole indicare in particolare: T: Tipologia dello pneumatico (P=passenger, ovverosia per automobile) non obbligatorio in Europa l: Larghezza massima dello pneumatico, in condizioni di pressione e carico definite dalle norme (espressa in millimetri) hl: Rapporto, espresso in forma percentuale, fra altezza e larghezza della sezione (da cui, tramite il primo, si può ricavare l’altezza). Più tale numero è basso, più la tenuta è migliore ma il comfort minore. Lo pneumatico si definisce ribassato quando tale rapporto è inferiore a 80, super-ribassato quando è inferiore a 45, se omesso è da considerarsi 80. St: Struttura riguardante la disposizione delle tele e indicata con una lettera, può essere radiale “R” (“ZR” nel caso lo pneumatico superi i 240 km/h) o diagonale (anche detto bias belted o convenzionale o a tele incrociate) “B” o “-” d: Diametro del cerchione (in pollici) Un esempio di una reale iscrizione potrebbe essere: 180/55R17 85 ZR interpretabile come: P indica che trattasi di uno pneumatico per autovettura (“P” di passenger). 195 - la larghezza è di 195 mm. 55 - il rapporto dell’altezza con la larghezza è del 55% - di conseguenza l’altezza è 107,25 mm. R - trattasi di pneumatico radiale. 16 - per cerchioni da 16 pollici. 74 - il peso massimo ammesso, in questo caso di 400 kg. ZR - per velocità massima superiore a 240 km/h

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Masse non sospese La massa non sospesa di un mezzo da corsa o da trasporto è quell’insieme di elementi che non subiscono o non dovrebbero subire una variazione della loro distanza dal suolo, dato che costituiscono un insieme di elementi strettamente legati tra loro, che non subiscono variazioni di forma o distanza tra loro, ma strettamente legati alle masse sospese, con le quali si ha una continua variazione della distanza. La massa non sospesa viene considerata deleteria, dato che conferisce un inerzia nella risposta dall’apparato di sospensione e ammortizzazione del veicolo, il che può conferire una minore tenuta di strada dato che tale inerzia può generare un distacco della ruota dal suolo. Per queste sue caratteristiche si cerca di RIDURLA il più possibile. Composizione La massa non sospesa nei mezzi più comuni viene definita da: - Ruota, insieme di elementi che generalmente determina la maggior parte del peso di queste masse - Cerchione, elemento che sorregge lo pneumatico e l’impianto frenante - Pneumatico - Sospensione e ammortizzatore, questi elementi sono composti generalmente da due parti, di cui una facente parte della massa non sospesa e una della massa sospesa o riconducibile a questa suddivisione. - Impianto frenante, la maggior parte di questo impianto è situato alla ruota e per questo motivo è soggetto a studi per la riduzione delle sue masse, in particolar modo degli elementi non sospesi Per cercare di ridurre tale massa, si cerca di: - Usare materiali leggeri, si usano materiali sempre più leggeri, che però nella maggior parte dei casi sono più costosi - Migliorare le strutture, si cercano nuove soluzioni che impieghino meno materiale e che permettono un risparmio di peso. - Evitare sovradimensionamenti eccessivi, si utilizzano strutture che devono essere adeguate al loro scopo il che permette sia l’impiego di materiali che soluzioni diverse.

Gruppo Ruota posteriore MV F4

Gruppo ruota anteriore BMW K1200S

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Geometria della forcella La geometria della forcella è l’insieme delle principali misure (lunghezze e angoli) che definiscono una particolare configurazione, dove questi parametri hanno una grande influenza sulla guidabilità di una bicicletta o motocicletta.

Inclinazione sterzo (rake angle): Determina l’inclinazione rispetto all’asse verticale (alcuni costruttori lo riferiscono in base all’asse orizzontale) ed è importante per determinare l’avancorsa. Questa misura può essere variata con: - Lunghezza delle forcelle, più si aumenta tale lunghezza e più aumenta tale angolo. - Modificazione inclinazione dell’alloggiamento del perno forcella alcune aziende forniscono motociclette con telai capaci di variare tale inclinazione. - Spostando il punto d’aggancio della ruota da avanti a dietro o viceversa su alcune forcelle con l’asse ruota spostato rispetto alle forcelle, quindi avanzato o arretrato, si può ruotare il supporto della ruota e invertirne la posizione, ma richiede nel maggior dei casi utilizzare un nuovo supporto della pinza o modificare quello esistente. Offset : Questa misura (Offset positivo) quantifica lo spostamento anteriore (distanza) del centro della ruota rispetto all’asse formato dalla timoneria (asse di rotazione delle forcelle). Questa misura è importante per determinare/variare l’avancorsa.

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Questa misura può essere variata con: Cambio delle piastre dello sterzo Rimodellando le forcelle nel caso queste siano fisse Lunghezza e corsa La lunghezza di una forcella è misurata dalla fine del punto di fissaggio alle piastre (o perno centrale nel caso questo sia tutt’uno con la forcella) al centro di fissaggio della ruota. La corsa è data dall’escursione della sospensione, dove maggiore sarà l’escursione e maggiore sarà la capacità filtrante della sospensione, dato che potrà assorbire dislivelli/imperfezioni maggiori, ma ci sarà una maggiore variazione dell’avancorsa. La lunghezza nelle forcelle ammortizzate può essere variata con: Aumento del precarico variazione della lunghezza a riposo e in modo costante durante l’uso Sostituzione della molla irrigidendo la molla, si può aumentare leggermente la lunghezza a riposo, riducendo la variazione della lunghezza in compressione (a parità di sollecitazione ci sarà una minore compressione) Avancorsa (trail) Distanza espressa in millimetri tra la proiezione a terra della perpendicolare passante per il centro della ruota e l’asse di rotazione della forcella. Questo valore è positivo quando l’asse di rotazione cade anteriormente alla perpendicolare della ruota, altrimenti il suo valore è negativo. L’avancorsa si distingue dall’incidenza non solo perché misurata in millimetri e non in gradi, ma anche perché l’asse di rotazione della ruota non è vincolato a passare per il centro della ruota stessa, mentre nel caso dell’incidenza deve forzatamente passare per il centro. Un indice di avancorsa elevato porta a una maggiore stabilità direzionale (facendo inclinare il mezzo da un lato lasciando la forcella libera, la moto/bicicletta tenderà a far ritornare la moto dritta) e minore sensibilità alle imperfezioni della strada/suolo, mentre un indice di avancorsa ridotto porta a effetti opposti, ma a una migliore maneggevolezza, precisione e scioltezza nell’inserimento in curva (maggiore velocità nel cambio di direzione). Questo valore può essere variato non solo con la variazione di “Offset” e “l’inclinazione dello sterzo”, ma anche con: Sostituzione delle ruote più diventano grandi e maggiore diventerà l’avancorsa Sostituzione pneumatici utilizzando pneumatici che aumentano/diminuiscono il diametro della ruota Pressione pneumatico Sfilamento forcelle, più le forcelle sono lunghe e più si aumenta l’inclinazione dello sterzo

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Tipologie di forcella La forcella di una moto è la parte anteriore della stessa, che collega al telaio la ruota anteriore, permette di sterzare e ha la funzione di sospensione (controllano il movimento del telaio rispetto allo pneumatico) e ammortizzatore (smorzano e rallentano l’oscillazione). Le caratteristiche di una forcella sono solitamente un compromesso tra le esigenze di tenuta di strada e quelle di comfort, l’obiettivo principale del loro impiego è comunque quello di ottenere, nel complesso e durante i vari percorsi, un’ottimale stabilità del veicolo ed un elevato comfort per il pilota e l’eventuale passeggero/i. Le forcelle si distinguono in diversi tipi, per via delle varie varianti tra i vari sistemi che assicurano il movimento relativo fra telaio e ruote. Forcella a braccetto oscillante Monobraccio (tipo Vespa) Questo sistema viene ancora utilizzato dalla Vespa, che permette di cambiare più velocemente la ruota, quest’esigenza era nata dal fatto che quando è nata la vespa, le forature agli pneumatici erano molto frequenti, per questo la Piaggio ha ideato questo sistema a monobraccio, che permette sostituzioni rapide della ruota. Il sistema è composto da una forcella a singolo braccio rigido, su cui si snoda un braccio (mazzetta rivolto verso la coda del mezzo) che termina sul perno della ruota, inoltre su questo braccio si aggancia la sospensione, che in questo caso è molto simile alle unità montate al retrotreno e che si aggancia anche alla forcella rigida. Con la forcella rigida e il braccio oscillante si ha la corretta posizione della ruota e si evita la rotazione lateralmente rispetto alla forcella, mentre con l’elemento sospensione si assorbono le asperità agendo sul braccio oscillante, l’insieme assume la forma di un parallelogramma. Esattamente come tutte le forcelle che funzionano tramite braccetto oscillante, la limitazione principale rimane la ridotta corsa della forcella, anche se risulta sufficiente per l’utilizzo stradale, soprattutto se accoppiata a pneumatici con una spalla dello pneumatico alta. Forcella telescopica e teleidraulica

La forcella teleidraulica o forcella oleodinamica (munita di regolazioni per l’ammortizzatore) è il tipo di sospensione anteriore più utilizzato, per la sua semplicità di costruzione e montaggio, oltre che per leggerezza e funzionalità, la prima applicazione di questo sistema è della BMW R 12 nel 1935. La forcella telescopica si differisce per la mancanza del supporto dell’ammortizzatore.

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Struttura Il sistema è costituito da due coppie di due tubi coassiali, che scorrono uno dentro l’altro, dove il tubo di minor diametro viene definito “stelo” o in questo caso anche “tubo di forza”, mentre quello di diametro maggiore viene definito “fodero”, ogni coppia prende il nome di “gambale” e sono collegati al canotto di sterzo con due trapezi (o piastre). All’interno di questi tubi viene alloggiata la molla (o su un solo gambale o su entrambi i gambali) e nel caso di forcelle teleidrauliche anche il supporto d’ammortizzazione, generalmente di tipo idraulico, contenente olio sintetico di una determinata viscosità. Forcella Up Side Down(USD), detta anche “a steli rovesciati” La forcella USD (acronimo di è stata introdotta per la prima volta nel 1985. È una forcella teleidraulica montata rovesciata, adottata per via della maggiore comodità nell’effettuare le regolazioni idrauliche. Con il modello classico, infatti, le regolazioni si trovano sotto al fodero della forcella, una zona molto scomoda sia per la regolazione che per la progettazione, dal momento che limita le combinazioni di collegamento della ruota. Questi problemi sono stati risolti rovesciando la forcella, mentre le altre regolazioni, come la regolazione del precarico, non hanno avuto miglioramenti. La ruota viene vincolata agli steli tramite un ulteriore elemento chiamato “piedino”, che nei sistemi più economici è integrato nello stelo stesso. Struttura La struttura di questa forcella non è molto diversa da quella teleidraulica classica, da cui si differenzia per la sola presenza del piedino che viene fissato all’estremità dello stelo. Differenze con la forcella teleidraulica Questa disposizione delle forcelle presenta anche qualche svantaggio: Rapido consumo dell’olio contenuto nella forcella, sia in condizioni normali, sia con paraoli consumati o rotti. Maggiore esposizione degli steli ad agenti esterni (sassi), ciò richiede una protezione per evitare che si rovinino. L’attacco per la pinza frenante è meno rigido o più pesante dato che non si può usufruire del fodero. Cambio olio delle forcelle più articolato: poiché con le forcelle rovesciate non si può avere lo spurgo alla base del gambale, per la rimozione dell’olio richiede che vengano sfilati il gambale dalle piastre e lo stelo dal fodero. Aumento delle masse non sospese, anche se si crede l’opposto per via degli ammortizzatori automobilistici e degli ammortizzatori per i forcelloni, dove lo stelo è estremamente sottile rispetto al fodero, nel caso della forcella non è così, questo perché lo stelo oltre ad avere un diametro molto vicino a quello del fodero, ha anche una lunghezza e un peso specifico maggiori rispetto al fodero di una forcella tradizionale equivalente, mentre gli spessori risultano simili. Questa disposizione delle forcelle porta come vantaggi: Dimensioni più contenute a parità d’escursione, il che la rende preferibile su mezzi compatti che richiedono escursioni elevate. Regolazioni idrauliche diversamente posizionate, sono vicino al manubrio per i modelli senza serbatoio separato, mentre nei modelli a serbatoio separato, queste sono sempre posizionate vicino al piedino della forcella. Rigidezza torsionale, dato dal fatto che il vincolo alle piastre non è tramite lo stelo, ma tramite il fodero, il quale, pur essendo generalmente in alluminio e non in acciaio, ha un diametro maggiore, il che favorisce la rigidezza dello stesso che tenderà meno a flettersi. Inoltre queste forcel22


le, avendo il fodero più lungo dello stelo, hanno una maggiore rigidezza alla torsione. Forcella teleidraulica monobraccio La forcella teleidraulica monobraccio, viene collegata alla ruota tramite un piedino della forcella, che è a forma di braccio curvo, mettendo in comunicazione la ruota con il singolo stelo della forcella; per evitare la rotazione della ruota rispetto al manubrio, si è adoperato un sistema a leve molto semplice, questo sistema è costituito da due leve snodate tra di loro, le quali sono snodate anche su i supporti dove vengono fissate, che sono il piedino della forcella a forma di braccio curvo (che sorregge la ruota anteriore) e la piastra di sterzo inferiore, che tiene bloccato il fodero dello stelo, per quanto riguarda la piastra superiore, questa ha un unico foro per poter fissare il fodero della forcella. Questo tipo di forcella è stata utilizzata dalla Gilera CX, una motocicletta con motore da 125 cm³ due tempi. Forcella Saxon-Motodd (telelever) Questo tipo di forcella è stata sviluppata da BMW a partire da un progetto di inizio ‘900 chiamato “Sistema scott”. Questo sistema è formato dalle forcelle che hanno il compito di ammortizzare (smorzare le oscillazioni) e di sterzare le ruote, la funzione di sospensione viene svolta da un braccio (simile al forcellone) che è agganciato sia al telaio che agli steli inferiori della forcella, questo braccio agisce su una sospensione uguale a quella montata sul forcellone. Cinematicamente questo tipo di sospensione è simile a quella automobilistica tipo macpherson. I vantaggi di questa forcella sono: Scorrimento più agevole dei tubi, dato che la maggior parte delle forze viene assorbita dal braccio inferiore. Aumento dell’avancorsa in compressione durante la frenata la forcella si comprime e aumenta la sua inclinazione, questo è dovuto al fatto che il braccio che è agganciato al fodero ruotando su sé stesso, porta lo snodo con cui è vincolato al fodero più in avanti rispetto allo snodo superiore degli steli, questo porta a una riduzione del trasferimento di carico e dell’affondamento. Gli svantaggi sono: Ingombro maggiore Complessità il sistema risulta più articolato rispetto alle forcelle telescopiche Minore sensibilità di guida

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Forcella Hossack/Fior (Duolever) Tale forcella separa completamente la sospensione dalle forze di governo (sterzo), è stato sviluppato da Norman Hossack e usato da Claude Fior e John Britten su delle moto da corsa, Hossack stesso ha descritto il sistema come un sistema ‘guidato dritto’. La BMW ha adottato il Duolever a partire dal 2006 su tutti i modelli della serie K con motorizzazione frontemarcia, K1200 S, K1300 S, K1300 R, K1300 GT oltre che, recentemente, sulle nuove K1600. Tale sistema è formato da una forcella a steli rigidi (come nelle biciclette) la quale è collegata al telaio da due braccetti, formando un quadrilatero articolato, dove la sospensione/ ammortizzatore è collegata alla forcella e al telaio della moto, inoltre i due braccetti e la sospensione sono snodati rispetto alla forcella, permettendole di ruotare a destra e sinistra. Per lo sterzo si hanno due braccetti collegati in serie tra loro, che vanno dalla forcella al manubrio o piastra di sterzo, i quali permettono l’avvicinamento o allontanamento della forcella (richiudendosi) e danno la possibilità di ruotare la forcella a destra e a sinistra. Forcella a forcellone (Bimota Tesi o Vyrus con forcella bibraccio)

La forcella in questo caso è un forcellone oscillante esattamente come per il retrotreno e abbiamo anche in questo caso la sospensione/ammortizzatore identica a quella montata al retrotreno, che può essere fatta lavorare in compressione o in estensione, questo sistema viene denominato sterzo con ruota centrata, dall’inglese “Hub-center steering” (HCS). Bibraccio Questo forcellone è molto simile a quello che generalmente viene montato al retrotreno, infatti la forma del forcellone è identica, la differenza la si trova sulla ruota, la quale ruota a destra e sinistra sul perno del forcellone, per poter far questo si utilizza uno snodo sferico che funge da secondo perno (posto all’esterni del perno che fissa la ruota completa e internamente al cuscinetto che la fa rotolare) e una guida (che permette solo la rotazione a destra e sinistra della ruota), dove la parte interna della bronzina dello snodo sferico è fissato al perno che fissa la ruota al forcellone, mentre la parte esterna (di maggiore diametro) che 24


permette la direzionabilità della ruota è fissato internamente al cuscinetto della ruota. Il perno della ruota e il sistema di sterzo viene tenuto e azionato al forcellone tramite tre bracci ausiliari, di cui due fissate direttamente sul telaio e che agiscono su due leve poste esternamente al forcellone, formando un parallelepipedo snodato con il forcellone, che servono per far ruotare il perno ruota rispetto al forcellone ogni qual volta questo si muova, in modo da evitare che la bussola ruoti (in avanti o indietro) in fase di frenata e permetta che i valori dell’assetto siano costanti, mentre il terzo braccio, che può essere disposto su un qualsiasi lato, serve per far ruotare la bussola in modo da sterzare la ruota, questo terzo braccio è collegato al manubrio tramite un sistema a leve e aste. Monobraccio Questo tipo di forcella è stato utilizzato anche su alcune versioni di una moto da competizione, la Honda Rosset-Elf 500 dell’omonimo team, che ha partecipato alle competizioni dal ‘78 all’88, arrivando alla sua quinta versione (Elf 5), ma questa moto utilizzava un sistema diverso per il controllo della ruota, molto più simile al sistema usato per le automobili, infatti utilizzava due forcelloni monobraccio (entrambi con il braccio disposto sul medesimo lato) i quali reggevano il portamozzo che era libero di ruotare a destra e sinistra, alla quale era fissato il mozzo con la ruota e la pinza del freno, per poter ruotare questo portamozzo e permettere la sterzata si utilizza anche qui un sistema a leve e bracci. Caratteristiche Le caratteristiche di questo tipo di forcella sono: Robustezza: questo sistema risulta più rigido e resistente rispetto a una forcella, che è soggetta a flettersi e a creare una grande coppia alla sede d’ancoraggio, richiedono un suo irrobustimento, mentre con questo sistema non sono richiesti irrobustimenti. Maggiore costanza dell’interasse: con la compressione della forcella si ha una riduzione dell’iterasse, mentre su questi sistemi, si ha inizialmente un allungamento, poi un accorciamento, questo è dato dall’inclinazione del forcellone. Quote costante dell’angolo di sterzo Quote costante dell’avancorsa: questo è dato dal quadrilatero snodato, che può a seconda delle varie misure delle diverse parti che lo compongono, dare un’avancorsa costante, un’avancorsa crescente o decrescente (caso classico della forcella) all’aumentare della compressione. Minore affondamento: questo è dato dal fatto che in frenata la coppia che si genera a livello della pinza e quindi del forcellone, contrasta con la maggiore forza data dallo spostamento di carico che normalmente andrebbe a conferire un maggiore affondamento, mentre nelle tradizionali forcelle telescopiche la coppia che si genera dalla frenata porta ad aumentare il trasferimento del carico, dato che questa non contrasta con la normale funzione della sospensione, quindi agendo direttamente sulla moto la fa ruotare in avanti e per questo si ha una maggiore tendenza a far sollevare il retrotreno.

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Yamaha GTS 1000 - 1995

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Il forcellone (Swing arm) Il forcellone di una moto è la parte posteriore della stessa, che collega al telaio la ruota posteriore, e che tramite l’utilizzo di una o più sospensioni controlla il movimento del telaio rispetto allo pneumatico e tramite un ammortizzatore smorza e rallenta l’oscillazione. Le caratteristiche di un forcellone sono solitamente un compromesso tra le esigenze di tenuta di strada e quelle di comfort, l’obiettivo principale del loro impiego è comunque quello di ottenere, nel complesso e durante i vari percorsi, un’ottimale stabilità del veicolo e un elevato comfort per il guidatore e l’eventuale passeggero. I forcelloni possono avere varie forme e si distinguono in diversi tipi sulla base delle varianti tra i differenti sistemi che assicurano il movimento relativo fra telaio e ruote. Rispetto al movimento, i forcelloni sono di due tipi: Fisso: questo tipo di forcellone veniva montato sui primi mezzi e non permetteva alcun tipo di assorbimento degli urti tra ruota e moto, ma generalmente questi mezzi avevano il sellino pilota sostenuto da molle. Oscillante: questo tipo di forcellone è stato adoperato in risposta alle esigenze dei motociclisti, di stabilità e resistenza del mezzo (riducendo la possibilità di rovinare il cerchione affrontando una buca). Esistono due tipi di forcellone oscillante: Monobraccio: dotato di un solo braccio, che parte dal telaio e termina su un lato della ruota (generalmente il sinistro), generalmente questo sistema ha il pregio di permettere una manutenzione più rapida. Bibraccio: dotato di due bracci che partono dal telaio e terminano uno su un lato della ruota, questa tipologia ha il pregio di essere più resistente e leggera del sistema a monobraccio. Struttura del forcellone Il forcellone può essere prodotto in vari modi: - Scatolato: costruito con tubi di sezione rettangolare, con i piedini per la ruota saldati - Fuso o stampato: ottenuto per fusione in uno stampo di un materiale generalmente in lega, la fusione può essere di due tipi: - Fusione piena: caratterizzata dalla formazione di bracci a U (non chiusi) con molte nervature interne per la rigidezza torsionale (il lato aperto è generalmente posto in modo da non essere visto) - Fusione cava: caratterizzata da elementi tubolari cavi, del tutto simili agli scatolati - A tubi: ottenuto per saldatura di più tubi, generalmente in acciaio, ma è possibile la realizzazione anche in materiali in lega leggera - Misto: costituito da tubi e piastre, in cui i tubi costituiscono l’elemento centrale del forcellone, mentre le piastre, oltre ad avvitare tutti i tubi, costituiscono le estremità del forcellone, su cui va alloggiata la ruota e su cui ruota il forcellone. Questo tipo di forcellone è relativamente recente, essendo stato introdotto dalla Bimota nel 2005. I bracci del forcellone possono avere varie forme a seconda del mezzo, della forma del forcellone stesso e della tipologia di mezzo: Simmetrici: sono generalmente rettilinei, il che li rende meno costosi e più facili da progettare. Asimmetrici: hanno generalmente un braccio dritto e uno a banana (ricurvo), questo per permettere ad altri componenti di avere un percorso più lineare, infatti vengono adoperati per i motocicli con motore a due tempi, con espansione laterale e bassa, ma anche in alcuni mezzi con motore a quattro tempi. Accorgimenti Forcellone con capriata di rinforzo 27


Per poter irrigidire ulteriormente il forcellone si possono utilizzare vari accorgimenti: Capriata di rinforzo, questa capriata può essere superiore o inferiore, ha il compito di aumentare la rigidità senza aumentarne eccessivamente il peso. Nervature, questi elementi vengono utilizzati sui forcelloni stampati, i quali presentano delle nervature nella parte interna. Collegamento alla sospensione/ammortizzatore Sistema Cantilever Il collegamento con la sospensione può essere realizzato in modi diversi: Diretto: la sospensione va ad agganciarsi direttamente al forcellone, come nei sistemi dublecross Leveraggi: la sospensione è collegata tramite un sistema di leve e bracci, i quali permettono di avere una risposta della sospensione non lineare, generalmente si sfrutta il sistema a leveraggi per avere una bassa compressione della molla nel tratto iniziale di escursione della ruota, in modo da avere un maggiore comfort nella guida su terreni ondulati, per poi aumentare via via la compressione della molla con il crescere dell’escursione della ruota. Cantilever: consiste in un forcellone con una struttura triangolare supplementare che agisce su un ammortizzatore disposto orizzontalmente, il quale può lavorare in compressione o in estensione.

Forcellone Bibraccio simmetrico scatolato

Forcellone Bibraccio simmetrico fuso

Sono stati realizzati vari tipi di questi sistemi e ogni azienda attribuisce un nome proprio. Quante sospensioni? Forcellone Dublecross Forcellone Monocross La sospensione del forcellone può impiegare due sistemi diversi: Monocross: consiste nell’utilizzo di un solo elemento che funge da sospensione e ammortizzatore, il quale può essere disposto vicino al fulcro o verso la fine del braccio (soluzione adoperata dagli scooter ed in alcune moto con la trasmissione a cardano).

Forcellone Bibraccio asimmetrico fuso

Dublecross: consiste nell’utilizzo di due elementi che fungono da sospensione e ammortizzatore, disposti ai due lati del forcellone, che è del solo tipo bibraccio.

Forcellone monobraccio fuso

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Il triangolo ergonimico (Case History Honda CBR500) Il triangolo ergonomico non è altro che la figura geometrica che si ottiene unendo con una linea virtuale i punti passanti per il manubrio la sella e le pedane di una motocicletta in vista laterale. La distanza di questi punti e la loro relazione con il piano orizzontale (la strada) influiscono notevolmente sul comfort e sulla sensibilita di guida di una motocicletta. Esclusi rarissimi casi, sulle motociclette di serie, le pedane hanno una posizione fissa, su alcuni modelli la sella può essere regolata su due posizioni (generalmente in altezza) ed il manubrio spesso è anc’esso fisso o al massimo regolabile in altezza/distanza con una rotazione sui “riser”. Per questo motivo è importante che questo triangolo sia studiati e definito sin da subito, in quanto influenza enormemente il design di una motocicletta. E’ facile immaginare che una distanza troppo ridotta tra sella e pedane porti ad un rapido indolenzimento delle gambe su una motocicletta ad uso turistico, su di una sportiva invece la stessa posizione potrebbe rivelarsi più adatta per via dello stile di guisa più aggressivo e della maggiore “luce a terra” ovvero la possibilità di inclinare la moto lateralmente senza “grattare” nessun componente sull’asfalto. Ne risulta quindi che non esiste un “triangolo perfetto” adatto a tutte le motociclette ed a tutti i piloti, si tratta infatti di un compromesso che permetta di accontentare il maggior numero possibile di clienti specifici. Recentemente (2012) Honda ha presentato una famiglia di motociclette sviluppate intorno allo stesso gruppo motore telaio, la serei CB500, declinata nelle versioni R F e X (Sportiva, Naked, Enduro). Quest’operazione ci permette di valutare come sulla stessa moto cambiando posizione del manubrio e nel caso della X anche l’inclinazione della forcella, si ottengano delle motociclette dalle caratteristiche di guida piuttosto diverse. Altro punto interessante è la larghezza del manubrio, trattandosi di fatto di “leve” più queste sono lunghe (quindi largo il manubrio) meno forza servirà per muoverle, tuttavia ad una maggiore distanza tra le braccia corrisponde sempre una maggiore resistenza all’aria e di conseguenza una minor precisione di guida, dinuovo si tratta di trovare il miglior compormesso. Ultimo paramentro, non meno importante dei precedenti è l’altezza della sella, non potendo stare in equilibrio da sola una motocicletta ha bisogno che il pilota la sostenga nelle manovre da fermo e durante le fermate, per questo motivo una misura troppo alta potrebbe portare ad un mancato acquisto della moto stessa. Per la cronaca la serie CB500 fa dai 785mm per le verisoni R ed F, e sale a 810mm per la versione X, va però considerato che le motociclette di tipo cruiser hanno spesso selle intorno ai 700mm da terra. Lo stesso discorso vale ovviamente per quanto riguarda il triangolo ergonomico dedicato al passeggero, che oltretutto, non avendo appiglio al manubrio spesso è obbligato a reggersi al poliota, al serbatoio e se disponibile alle maniglie posteriori (soprattutto in fase di frenata).

Un interessante simulatore ergonimico grafico al sito: http://cycle-ergo.com/ 29


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Motore endotermico con ciclo a due tempi (Two strokes)

Il motore a due tempi è un tipo di motore a combustione interna, il quale viene alimentato da un impianto d’alimentazione e scarica i prodotti esauriti (gas di scarico) tramite un impianto di scarico. Fu inventato da Dugald Clerk nel 1879, mentre la prima sperimentazione la si ha nel 1880 da parte di Karl Benz. Questo motore si differenzia dal più diffuso motore a quattro tempi principalmente per la differente alternanza delle fasi attive in relazione ai giri dell’albero motore: infatti se nel quattro tempi si ha una fase attiva per ogni due giri dell’albero, nel due tempi si ha una fase attiva (ovvero la fase in cui avviene la trasformazione effettiva dell’energia chimica in termica e dunque cinetica, detta anche espansione) per ogni giro completo dell’albero. Strutturalmente, il motore a due tempi, di norma, non presenta le classiche valvole d’aspirazione e scarico, sostituite dalle “luci”, ovvero fenditure non circolari ricavate direttamente sul cilindro, aperte e chiuse dal moto alternato del pistone. Una caratteristica che distingue il motore a due tempi (a parte i modelli con ammissione a disco rotante e non considerando le esigenze dell’impianto elettrico di accensione) dal quattro tempi è quella di poter funzionare perfettamente in entrambi i sensi di rotazione. Questo è permesso dal fatto che le luci di scarico/ travaso vengono aperte e chiuse dal pistone in maniera speculare rispetto al punto morto inferiore, dove la luce di scarico è la prima ad aprire e l’ultima a chiudere. Al contrario, nel 4 tempi la simmetricità non c’è perché deve essere aperta una soltanto delle due valvole (salvo il breve periodo dell’incrocio, in cui sono aperte entrambe), e tassativamente in modo asimmetrico rispetto al punto morto inferiore. Un’altra caratteristica che distingue il motore a due tempi dal motore a quattro tempi è la “pompa di lavaggio” che permette l’immissione tramite una compressione dei gas, generalmente questa pompa è costituita dal carter pompa, dalla superficie interna del pistone e da un sistema di ammissione dei gas freschi. Confronto con il motore 4T, dalla sua origine fino a anni ‘90 Come si può notare, mentre in un motore a quattro tempi le fasi sono ben definite, nel due tempi si arriva ad un vero e proprio accavallamento: infatti il travaso avviene in contemporanea allo scarico, così come la compressione corrisponde nel ciclo all’aspirazione. Nei motori ad accensione comandata con ciclo loop, flussi incrociati o a scalinata, c’è l’incontro, nella fase di travaso/scarico, della miscela fresca e di quella combusta fa sì che una parte della prima miscela com32


bustibile possa uscire dal condotto di scarico, oppure che una parte dei gas di scarico resti nella camera di combustione, intaccando in questo modo la potenza specifica del motore, che nel ciclo teorico sarebbe doppia rispetto ad un propulsore a quattro tempi, in quanto il due tempi possiede un fase utile per ogni giro di rotazione dell’albero motore, mentre il quattro tempi ne ha una ogni due rotazioni. Inizialmente il limite del motore a due tempi è proprio quello di fornire un rendimento globale Suzuki RVG Gamma 250 - 1992 (volumetrico, termico e meccanico), a parità di cilindrata, più basso rispetto a quello di un quattro tempi, a causa sia delle perdite inevitabili nella fase di lavaggio, sia anche se in piccola parte, della ridotta pressione media effettiva (conseguenza della minore cilindrata utile, sia in fase di espansione che in quella di aspirazione della carica). Con l’ausilio di accorgimenti specifici come lo scarico risonante (espansione), tuttavia anche per tale motore si è di molto migliorato il rendimento volumetrico (che comunque rimane inferiore al motore a quattro tempi), mentre il rendimento termico e meccanico è sempre stato superiore rispetto al motore a quattro tempi, arrivando ad avere un rendimento globale (volumetrico, termico e meccanico) agli stessi livelli o superiore al motore a quattro tempi. Attualmente rispetto ai 4T Attualmente il maggiore limite dei motori ad accensione comandata due tempi a ciclo loop rispetto alle motorizzazioni 4T è l’accoppiamento con un’iniezione diretta (anche se utilizzata dal 2000 circa per i motori fuoribordo per piccole imbarcazioni, come i gommoni). Tale sodalizio risulta estremamente difficile per i motori motociclistici che hanno regimi di funzionamento molto più elevati, dove l’unico modello prodotto con tale sistema d’alimentazione è stato il Vdue della Bimota, il quale però è dovuto ritornare all’alimentazione a carburatore.

Bimota 500 Vdue - 1997-2003

Questo primo insuccesso dell’iniezione diretta è dovuto al fatto che il cilindro non si riempie sempre allo stesso modo e la disuniformità della carica, creando molti problemi, mentre attualmente si sta cercando, da parte di aziende motociclistiche come l’Aprilia, di riproporre l’iniezione diretta con buoni risultati, anche se tale sistema rimane confinato agli scooter, che vengono classificati come ciclomotore a iniezione elettronica. Attualmente anche aziende come KTM e Gas Gas si stanno impegnando per creare validi sistemi di iniezione per i motori a due tempi. Il lancio di queste nuove unità non è però ancora arrivato, nonostante ormai la tecnologia sia una realtà, perché le case hanno la volontà di creare un prodotto che non faccia rimpiangere quello precedente e anzi segni una svolta positiva. È comunque evidente che negli anni futuri queste soluzioni non tarderanno ad arrivare, per poter rientrare nelle norme antinquinamento sempre più severe. In KTM addirittura ci si auspica che questa nuova invenzione faccia tornare in auge questo tipo di motori (ancora molto vincente nelle competizioni), accantonato non tanto perché superato, ma per le norme antinquinamento. Un altro sistema per aumentare le prestazioni delle motorizzazioni ad accensione comandata a due tempi è l’utilizzo della cosiddetta iniezione indiretta, come la OSSA TR, la quale permette d’avere un condotto 33


d’aspirazione di maggiore diametro e di lunghezza ridotta rispetto al carburatore, permettendo un migliore riempimento del carter pompa. La stessa OSSA a breve lancerà delle motociclette specialistiche per enduro, equipaggiate con motori a due tempi caratterizzati da un’innovativa iniezione elettronica, in parte iniezione indiretta sfociante nel carter ed in parte iniezione diretta sfociante direttamente nel cilindro. Queste accuratezze dovrebbero garantire doti di potenza e coppia unici nel loro genere, in totale rispetto dell’ambiente. Una strada analoga l’ha intrapresa anche Athena Racing, ditta produttrice di vari tipi di gruppo termico. In questo caso il sistema di iniezione indiretta/iniezione diretta è accoppiato ad un motore di 50cc. I miglioramenti nell’erogazione e l’aumento di potenza, rispetto ad un motore convenzionale, sono notevoli, avendo un occhio di riguardo per l’ambiente. Nell’ambito dei motori fuoribordo l’Evinrude Outboard Motors già da tempo ha lanciato una serie di propulsori a due tempi, alimentati da una sofisticata iniezione elettronica. La casa dichiara che un motore di pari grado della concorrenza a 4T, produca più inquinamento atmosferico dovuto da monossido di carbonio, in ogni regime di utilizzo. Inoltre a pari potenza i motori Evinrude risultano più scattanti e “coppiosi”. Honda nel 1985 ideò un sistema molto semplice, caratterizzato da una semplice valvola di contropressione azionata dai gas di scarico, che ha permesso di ridurre le emissioni dei motori a due tempi a ciclo loop allineandole a quelle del motore a quattro tempi, la moto in questione è la Honda EXP-2. Mentre la Malaguti nel 2008 con la sua MR250, moto per il solo mercato giapponese, utilizza un sistema di scarico dove l’espansione è stata stravolta nella forma, permettendo di generare una potenza di 50 CV (un motore analogo, ma senza alcuna limitazione genera la medesima potenza) rispettando l’omologazione Euro 3. Bimota 500 Vdue - 1997-2003

Gli ultimi studi su tale tipologia di motore, per via della sua versatilità, hanno portato alla luce progetti che potrebbero essere vincenti per il futuro, come ad esempio il motore omnivore della Lotus, alcuni di questi che riprendono soluzioni già usate in passato hanno avuto sostegni economici da persone non specializzate al settore, come nel caso del motore della Ecomotors, il quale viene sostenuto da Bill Gates e che secondo il costruttore potrebbe essere adoperato sulle autovetture e che il 20 aprile 2011 ha annunciato il contratto per la commercializzazione con la Zhongding Holding (Group) Company o più semplicemente Zhongding, sia per i generatori che per autotrazione. Pregi e difetti Questo motore a seconda del tipo di ciclo utilizzato ha diversi pregi/difetti Il motore a due tempi tra i suoi pro o i suoi contro a seconda dell’utilizzo, ha il fatto di avere poco freno motore a causa delle minori parti meccaniche di cui è composto e che oppongono resistenza al movimento rispetto ad un motore a quattro tempi, per questo motivo il rendimento meccanico è migliore. Nelle applicazioni urbane questa caratteristica è più un punto a sfavore, dato che avendo meno freno motore si è costretti ad utilizzare in maniera più intensiva i freni meccanici (a disco o a tamburo) portando ovviamente ad una più rapida “usura” degli stessi. Pregi principali - Motore più leggero e maneggevole, dato le minori dimensioni e maggiore semplicità delle parti meccaniche necessarie al suo funzionamento. - Motore inclinabile, come nel caso di motoseghe, ecc. (Esclusi alcuni motori unidirezionali). - Affidabilità maggiore, avendo meno parti mobili per il suo funzionamento è soggetto a un numero inferiore di fenomeni, il che ne migliora l’affidabilità 34


- Minor rischio di grippature in confronto ai motori a quattro tempi con lubrificazione a carter umido. - Risposta più “scattante” e rapida, dovuto al fatto che si ha un’accensione a ogni giro invece che ogni due, dimezzando di fatto il tempo di risposta (questo è valido a parità di regime e di unità termiche). Difetti principali - Emissioni di gas supertossici (esclusi la maggior parte dei motore a cicli unidirezionali), dovuto alla combustione di benzina e olio, problema analogo al motore diesel. - Minor rendimento termodinamico (esclusi i cicli unidirezionali), dovuto a una durata della fase di scarico-travaso, dove si ha la fuoriuscita di una parte della miscela fresca (dispersione di parte della carica fresca). - Consumo specifico più elevato (esclusi i cicli unidirezionali), soprattutto in confronto ai motori ad iniezione diretta e dovuto alla perdita di carica fresca dallo scarico. - Costi dell’olio lubrificante (esclusi la maggior parte dei motore a cicli unidirezionali)

Motore endotermico con ciclo a quattro tempi (Four strokes) I motori a quattro tempi sono motori termici comunemente usati nelle automobili; esistono vari tipi di motori a quattro tempi, in grado di bruciare molti tipi di combustibili fossili o naturali, come benzina, gasolio, metano, GPL, etanolo, E85 ed E95. Questo tipo di motore oltre che nelle automobili, è di larga diffusione sulle motociclette e più recentemente su molti modelli di scooter.

Il termine “a 4 tempi” deriva dal fatto che la combustione avviene per quattro passaggi successivi, con alcune differenze tra motore ad accensione comandata e motore ad accensione spontanea: Aspirazione: si ha l’introduzione di aria o di una miscela aria-combustibile nel cilindro. Compressione: la miscela aria o aria-combustibile addotta viene compressa volumetricamente, generalmente durante questa fase si ha l’inizio della combustione. 35


Espansione: si ha l’espansione volumetrica dei gas combusti, generalmente durante le prime fasi d’espansione si ha la fine della combustione. Scarico: si ha l’espulsione dei gas combusti dal motore. Motori ad accensione comandata Nei motori ad accensione comandata la combustione avviene grazie all’innesco generato dalla scintilla che scocca tra gli elettrodi di una o più candele.La scintilla scocca nell’istante desiderato (grazie al segnale dei sensori di fase) dopo la compressione e poco prima che sia raggiunto il PMS. È importante sottolineare come in questa fase all’interno della camera di combustione non avvenga una deflagrazione, bensì una combustione. La combustione prosegue rapidissima e deve completarsi senza dare luogo ad un’esplosione (che causerebbe il così detto battito in testa) perché in tal caso le sollecitazioni, superando abbondantemente i parametri progettuali, porterebbero rapidamente alla rottura meccanica. Questa fase è la sola “attiva” di tutto il ciclo poiché è l’unica fase dove si produce lavoro utile (il pistone viene spinto verso il PMI dall’energia prodotta dalla combustione). Le altre tre fasi sono dette “passive”. L’energia necessaria in queste fasi viene fornita dal volano motore che immagazzina sotto forma di energia cinetica una parte dell’energia prodotta nella fase attiva per poi restituirla nelle altre tre fasi. Motori ad accensione per compressione (Diesel) Nei motori ad accensione per compressione, la combustione del combustibile iniettato alla fine della fase di compressione avviene a causa del raggiungimento della temperatura di autoaccensione del combustibile, tale aumento di temperatura è conseguenza del forte aumento di pressione generato dalla compressione. La combustione genera un elevato aumento di entalpia, il fluido motore utilizza il “suo contenuto entalpico” per compiere il lavoro di espansione spingendo il pistone fino al PMI.

Track T 800 Diesel - 2009

Cenni storici Intuendo la possibilità di ottenere lavoro da una miscela chimica, Eugenio Barsanti, insegnante di fisica, costruì e presentò ai suoi studenti un rudimentale congegno per cui, se intromessa una miscela e scoccata una scintilla, trasformasse l’esplosione in forza lavoro. Perfezionandolo, costruì insieme all’Ing. Felice Matteucci un motore monocilindrico con pistone verticale. Successivamente nel 1861 il tedesco Otto sperimentò il suo primo motore a gas a 4 tempi che dovette abbandonare a causa di difficoltà tecnologiche. Nel 1877 i tedeschi Otto e Langen idearono un motore 4 tempi a gas, con accensione della miscela compressa, presentato l’anno dopo a Parigi. La grande intuizione di Otto stava nel far scoccare la scintilla a miscela compressa anziché solamente aspirata, aumentando in questo modo il rendimento del motore.

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Architetture di Motori endotermici

Motore monociclindrico Il motore monocilindrico è un motore a combustione interna generalmente a ciclo Otto dotato di un solo cilindro. Tale tipologia di motore per via della elevata elementarità è impiegato in numerose applicazioni, tra cui ciclomotori, motocicli, tosaerba. Può essere a due tempi o quattro tempi, con raffreddamento ad aria o a liquido. In campo motociclistico, un motore monocilindrico ha più coppia ai bassi regimi di rotazione rispetto a motori a due o più cilindri, ma produce più vibrazioni agli alti regimi di rotazione. Il vantaggio principale rispetto a motori con più cilindri è un peso minore e una maggiore reattività. I monocilidrici, spesso a due tempi (ma ultimamente a quattro tempi per le norme anti-inquinamento sempre più restrittive), sono impiegati largamente su motociclette da enduro o da motocross così come su motociclette stradali di media cilindrata, grazie alla loro risposta pronta. Sono il tipo di motore più diffuso sugli scooter compresi tra 50cc e 500cc di cilindrata, questi ultimi con potenza di circa 40 cavalli. Uno dei più grossi motori monocilindrici ad uso motociclistico fu quello impiegato sulla Suzuki DR750 poi aumentato nella DR800. 37


Motore bicilindrico Il motore bicilindrico rappresenta il primo passo di frazionatura della cilindrata. All’aumentare della frazionatura si diminuiscono le masse in movimento e di conseguenza riuslta più facile ottenere regimi di rotazione più elevati.

Bicilindrico Parallelo BMW

Il motore bicilindrico più semplice è il bicilindrico parallelo dove in pratica si accoppiano lateralmente due cilindri che lavorano alternati su un albero motore opporunamente più lungo. Il motore a V invece può essere montato in posizione longitudinale o trasversale, nomenclatura che indica l’orientamento dei cilindri rispetto all’asse longitudinale della moto.

Bicilindrico 90° L Ducati

Nel motore trasversale è più semplice montare la trasmissione, soprattutto ad albero con giunto cardanico, ma si ha un motore più ingombrante e la coppia di rotazione del motore stesso indotta dalle parti in movimento interne, diventa più accentuata e tende a inclinare lateralmente il mezzo, oltre a causare un momento di reazione sulla coppia conica che tende a sollevare il posteriore in accelerazione. Viceversa il montaggio longitudinale consente di ottenere un motore meno ingombrante, ma soggetto a coppia di beccheggio indotta dalla rotazione dell’albero motore, e in cui è più semplice utilizzare una trasmissione a cinghia o a catena.

Bicilindrico 90° V Trasversale Moto Guzzi

Un’ulteriore caratterizzazione si può effettuare indicando l’angolo formato tra i cilindri che formano la “V”: i più usati sono 45°(Harley Davidson), 60° (Aprilia), 90° (Ducati e Suzuki) e 180° (BMW). Il propulsore V2 è molto diffuso in campo motociclistico tanto che in alcuni casi è divenuto un marchio di riconoscimento di una marca. Tra i più famosi propulsori trasversali si hanno il V2 di 90° di Moto Guzzi ad aste e bilancieri. Motori a V trasversali sono stati utilizzati anche dalla Honda per i suoi modelli della serie CX. Al fine di ridurre le vibrazioni i due cilindri dovrebbero formare tra di loro un angolo di 90° che garantisce il migliore bilanciamento del motore. Non sempre questo è possibile per cui esistono motori con angoli diversi dall’angolo ottimale. Per esempio, oltre alla già ricordata Harley-Davidson, l’Aprilia ha motori a V di 60° mentre la Suzuki utilizza l’angolo di 90°. 38

Bicilindrico 180° Boxer BMW


Motori plurifrazionati “in linea”

3 in linea MV Agusta

Con la definizione motori plurifrazionati, vengono normalmente intesi i propulsori, soprattutto motociclistici, la cui cilindrata totale viene frazionata in tre o più cilindrate unitarie, ovvero i motori con numero di cilindri superiori a due. I motori in linea sono quei motori a combustione interna nei quali i cilindri sono disposti a formare una sola linea. Questa tipologia di motori attualmente rappresenta la grande maggioranza dei motori automobilistici. I cilindri in un motore in linea possono essere disposti sia nel verso di marcia, disposizione longitudinale, oppure frontemarcia, disposizione trasversale rispetto al senso di marcia e quest’ultima disposizione è molto utilizzata nei motori pluricilindrici motociclistici. - Tricilindrico (di scuola prettamente Inglese se 4T o Giapponese se 2T) realizzato nel tipo “frontemarcia” 4T dalla Triumph e dalla Moto Laverda e nel tipo “frontemarcia” 2T dalla Kawasaki e dalla Suzuki. - Quadricilindrico (di scuola prettamente Italiana) realizzato nel tipo “frontemarcia” dalla Rondine, dalla Gilera e dalla MV Agusta e, successivamente da moltissime case motociclistiche del globo. Attualmente appannaggio delle industrie giapponesi. - Pentacilindrico (di scuola prettamente Giapponese) realizzato dalla Honda Racing Corporation nel tipo a V longitudinale 4T, per le competizioni motociclistiche con la Honda RC211V. - Esacilindrico (di scuola prettamente Italiana) realizzato nel tipo “frontemarcia” dalla Benelli, dalla Honda e dalla Kawasaki e nel tipo a “V trasversale” dalla Laverda. - Octocilindrico (di scuola Italiana) realizzato nel tipo “frontemarcia” dalla Moto Guzzi con la Moto Guzzi 8 cilindri e nel tipo a “V trasversale” dalla “Morbidelli”. 4 in linea BMW

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4 in linea MV Agusta

6 in linea BMW


Moto e Scooter elettrici

Mission R - Electric Superbike Concept 2011

Uno scooter elettrico o moto elettrica, è un veicolo a 2 o 3 ruote che utilizza un motore ad energia elettrica per muoversi. In genere la fonte di energia di un motore elettrico sono batterie, ma sono stati creati numerosi prototipi che utilizzano pile a combustibile. Esistono molti tipi di batterie, tra le più performanti ci sono quelle agli Ioni di Litio. Questi mezzi hanno un motore elettrico, che varia a seconda del tipo di mezzo a cui viene applicato, infatti per i mezzi più economici si utilizzano dei motori a corrente alternata monofase, comandati da un inverter, mentre sui mezzi più recenti e più costosi si utilizza un motore brushless, il quale permette un controllo e una flessibilità d’utilizzo migliori, i motori elettrici in corrente continua a spazzole sono stati usati in pochissimi casi, generalmente agli albori di questo nuovo tipo di mezzi, in quanto il controllo del motore poteva essere effettuato tramite un semplice reostato, il quale però ha come svantaggio il dispendio d’energia, proprio per questo si è poi passati al controllo tramite potenziometro e poi al motore brushless. Il motore senza spazzole, non contenendo alcuna trasmissione elettrica, non perde potenza durante la trasmissione, evitando gli sprechi di energia e non generando alcuna emissione sonora. Gli scooter elettrici possono godere di un sistema di frenata rigenerante ovvero a recupero di energia. Questo significa che in fase di frenata si recupera dell’energia che ricarica le batterie aumentando complessivamente l’efficienza del motore. L’inconveniente che si ha in molte motociclette con tale motore è data dalla mancanza del cambio, il che tende a ridurre la velocità massima del mezzo e l’utilizzo di corone molto grandi e pignoni molto piccoli. I vantaggi e svantaggi rispetto al corrispettivo mezzo a motore termico sono svariati. Fattori economici Gli scooter/moto elettrici di recente stanno aumentando la loro popolarità a causa: Aumento del prezzo della benzina Incentivi dati dagli stati per il loro acquisto, ad esempio in Italia molti comuni contribuiscono anche per un terzo del prezzo all’acquisto di uno scooter o di un veicolo elettrico. Per i primi 5 anni di vita i veicoli 40


elettrici sono esenti dalla tassa di circolazione e possono eventualmente godere di uno sconto fino al 50% sull’assicurazione. Colonnine di ricarica gratuite distribuite per la città e vendita dell’energia a forfait. Accesso ad aree precluse al traffico, come le ZTL o come nel caso del comune di Firenze addirittura alle aree pedonali. In confronto ai corrispettivi a benzina Vantaggi: Un “pieno” costa mediamente 1 euro se la batteria viene collegata alla rete domestica, o del tutto gratuita nei comuni che mettono a disposizione colonnine di ricarica nelle strade. Zero emissioni nel luogo dell’utilizzo Estremamente silenziosi Utilizzabili anche in ambienti chiusi Non è necessario raggiungere una stazione di servizio, è sufficiente collegare lo scooter alla rete domestica L’estrema semplicità e affidabilità di un motore elettrico riduce drammaticamente la sua manutenzione (non ha cilindri, valvole, carburatore, non richiede il cambio dell’olio, etc) e aumenta di molto la sua vita utile. Svantaggi Il costo d’acquisto può essere maggiore in Europa di uno scooter a benzina di prestazioni pari o superiori, ma sono ormai già disponibili numerosi modelli a costi anche inferiori a quelli dei modelli a benzina. Autonomia generalmente limitata a 50-80km, ma ci sono modelli che consento autonomia fino a 200 km. La ricarica richiede numerose ore, rispetto ai pochi minuti richiesti dal riempire un serbatoio, anche se sono ormai già sul mercato modelli con tempo di ricarica di solo una ora. In alcuni modelli il problema è stato risolto drasticamente con la batteria estraibile e sostituibile in pochi secondi. Quindi questo è ormai uno svantaggio colmato dalle tecnologie attuali. La velocità massima e la ripresa sono inferiori ad uno scooter a benzina di pari prezzo. I punti di ricarica stradali sono limitati all’interno di pochi centri urbani, rispetto alla capillarità dei distributori di benzina, ma son ormai in fase di attuazione capillari sistemi di ricarica in tutte le più grandi città.

Peugeot E Vivacity

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Così come per tutti i veicoli elettrici si pone per i governi occidentali il problema dell’eventuale crollo delle entrate normalmente incassate con le accise sui carburanti, soprattutto se venisse creato il tanto ambito programma generale di sviluppo capillare delle energie solari od eoliche. Tuttavia tali svantaggi vanno continuamente riveduti visto il continuo miglioramento tecnologico dei moto veicoli elettrici operato dalle ormai numerose aziende sparse nel mondo. Ad esempio di recente sono usciti nuovi modelli pressoché simili per prestazioni ai comuni 50 a motore, omologati addirittura per due persone con un pacco batterie capace di ricaricarsi al 80% in una sola ora senza soffrire di effetti memoria. In relazione al prezzo poi per esempio i veicoli elettrici costruiti in Cina, così come tanti altri prodotti, sono molto competitivi e inferiori di almeno 2/3 rispetto a quelli prodotti in Italia. Inoltre considerate le agevolazioni dei comuni e dello stato il costo è vicino a quello di un tradizionale scooter 50 a motore termico.

Tacita E-FLAT

Anche nel settore delle gare in circuito si stanno affermando le moto elettriche. Un esempio è il TTXGP che organizza gare internazionali con moto veicoli elettrici del tutto simili nella forma alle moto da competizione a benzina. Infatti le moto elettriche sono ormai tecnicamente molto avanzate ed in certi casi superiori per prestazioni quali l’accelerazione e la velocità.

Zero DS

Componenti principali di una motocicletta elettrica: Motore elettrico + batterie Controller e relativa “manetta”: serve a modulare la potenza del motore e su alcuni modelli a recuperare energia cinetica ricaricando le batterie con il freno motore. Caricabatterie :può essere esterno al veicolo se si considera di ricaricarlo sempre nello stesso luogo Trasformatore DC / DC: Serve per adattare il voltaggio della trazione all’impianto elettrico di servizio). Solenoide: Si tratta di un dispositivo che si collega all’accensione esistente chiave 12Volts e si chiuderà il ciclo in modo da ottenere il pieno potere al controller. Fusibili, cavi e connettori Strumenti: Oltre al tachimetro sarà necessario un “tester” elettronico che permetta di valutare la carica residua della batteria.

Brammo Empulse

BMW E Scooter

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Filosofia del Design di motociclette By Kerr Glynn Il design motociclistico, non è una questione di linee. È possibile modificare le linee della carrozzeria sulla maggior parte delle moto senza alterarne l’impressione visiva di base che danno. Le linee appartengono alle automobili. Lo stile nelle moto è principalmente una questione di proporzioni, e che da solo determina se un particolare progetto è percepito come un modello sportivo, una trail o una custom. Se scegli una linea o la forma sbagliata ottieni una moto brutta, se scegli le proporzioni sbagliate nessuno sarà nemmeno in grado di capire che cosa la moto stia cercando di essere. E’ così semplice. Le moto sono costituite di centinaia di componenti separati, spesso prodotti da fornitori diversi, con poche possibilità di armonizzare i loro stili con il costruttore di motociclette o di altri fornitori. A differenza delle automobili, dove tutta questa confusione può essere ben nascosta sotto la carrozzeria, la maggior parte di questi componenti rimangono visibili su una moto. Il compito del progettista è quello di far apparire tutti i pezzi come se appartenessero allo stesso insieme, e di comporre tutto il puzzle in una massa coerente con la propria identità. La carrozzeria, e in una certa misura il telaio, sono le parti variabili l’equazione che il progettista può sfruttare e modellare intorno a componenti esistenti per dare una qualche integrità al mezzo. Materiali e processi moderni hanno dato ai designer una grande libertà, ma se le proporzioni di base sono sbagliate, nessuna creatività stilistica sarà mai in grado di riparare il danno.

La terza dimensione By Kerr Glynn Le auto sono come i mattoni di una casa - hanno lunghezza, altezza e larghezza, in soldoni, solido dall’aspetto proporzioni. Si può fare quasi tutto con il design di un auto, perché tutte e tre le dimensioni sono presenti in abbondanza. Al contrario, le moto sono praticamente due dimensioni. Hanno un sacco di lunghezza, l’altezza, ma di larghezza molto poco, quindi in proporzione sono più simili a una piastrella da muro. A differenza di un mattone, mattonelle sono fragili, quindi prima di bicicletta progettisti possono impostare di fare le cose un aspetto gradevole, in qualche modo devono creare l’impressione di larghezza. Questo può sembrare un compito arduo, se non è una contraddizione in termini, ma può essere ottenuto dividendo la moto in mattoni simili a segmenti, che l’occhio registra come parti di un puzzle tridimensionale. Si nota il serbatoio, la sella, i cilindri, come elementi separati vagamente collegati (o, nel caso di moto custom, non collegati a tutti) che l’occhio trova più facile comprendere che la complessità di tutta la massa. Singolarmente, ciascuna di queste aree ha un aspetto solido, quindi finchè l’occhio si concentrare sulle parti piuttosto che il tutto, voilà! - Hai larghezza. La carrozzeria è solo una delle molte parti che insieme formano il total look di una moto, e maggiore è la distesa di plastica, il più difficile è mantenere questo grosso, effetto tridimensionale. Lunghe linee di carrozzeria ininterrotte tendono a sembrare deboli, infatti sottolineano la lunghezza senza offrire alcuna larghezza per compensare. Questo è l’errore principale che gli stilisti di auto tendono a fare quando si progetta una moto, perché prendono larghezza per scontato. Le auto utilizzano lunghe linee rette che partono dal muso alla coda con lo scopo di esagerare la lunghezza e dare l’impressione di velocità. Fatelo su una moto, e sembrerà come se si spezzerà al centro. Le moto di un tempo erano simili a ritagli di cartone, con motori per lo più singoli o twin avanti e indietro, un serbatoio lungo e piatto sui lati, fragili ruote di grande diametro. Si sono “riempite” gradualmente nel corso degli anni, con la velocità maggiore, e quindi maggiori forze dinamiche, a sua volta, chiedendo una maggiore rigidità e resistenza alla torsione. Con i loro cilindri sporgenti lateralmente, Guzzi e BMW hanno sempre avuto un vantaggio iniziale rispetto alla concorrenza, fino all’introduzione successiva dei quattro in linea trasversali ed addirittura i sei cilindri segnarono la fine della prerogativa laterale. Dopo aver assistito alla morte delle auto sportive durante gli anni Settanta ed i primi Ottanta, gli stilisti trovato un sostituto ideale nelle moto a lungo trascurate. La maggior parte dei progettisti non aveva né 44


molta esperienza con le due ruote, né particolare comprensione delle parti meccaniche, quindi si concentrava sulla carrozzeria, applicando regole funzionanti su automobili e altri prodotti. Questa è stata l’era di Concorde e Bang & Olufsen, così le forme erano piatta e lineare, privo di ogni senso di muscolo. E’ stato permesso a tonnellate di plastica informe di dominare quello che prima era un pezzo di precisione di ingegneria, in cui gli ingegneri da tempo avevano scoperto le leggi della segmentazione senza mai rendersene conto - le moto andavano bene così. Per un pò, gli stilisti hanno incasinato ciò che i tecnici avevano sistemato da sempre correttamente. Non ha aiutato il fatto che la maggior parte dei disegni sono sempre stati fatte in vista laterale, il che significa che le moto spesso sono troppo definite nel profilo prima di essere realmente pensate in 3D. Ultimamente, molto lavoro concettuale si svolge su 3D, programmi per computer, che permette il modulo per essere visto da tutti gli angoli in sequenze animate. Il problema è che raramente buoni designer sono anche buone modellatori al computer, e viceversa, in molti studi il modo migliore rimane quello di scolpire le forme direttamente in schiuma e clay. Probabilmente la più grande differenza nella comparsa di moto negli ultimi 30 anni è stata un aumento in larghezza, con conseguente aspetto molto più solido. Confronta una Kawasaki Zephyr con la Z1 del 1974, su cui si basa lo stile retrò. La moto più vecchia ora appare debole e fragile, grazie a pneumatici stretti, steli sottili ed un sacco di aria fresca tra tutti i componenti. Allora, la Zephyr sarebbe probabilmente sembrata incredibilmente pesante, anche se in realtà è molto più leggera rispetto al suo predecessore ingannevolmente pesante, come Kawasaki sembrava ansioso di nascondere. Tornando al 1974, il peso non è stato menzionato da nessuna parte nel sontuoso catalogo di vendita.

Kawasaki Z1 - 1974

Kawasaki Zephyr - 1992

Ovviamente, gran parte di questa solidità è stata causata degli sviluppi funzionali - miglioramenti enormi nella resistenza alla torsione (più spessi tubi o telai delle fusioni) e una maggiore area di contatto su strada (pneumatici più larghi e cerchi) per tenere il passo con maggiori prestazioni. Recentemente stiamo utilizzando anche ruote di diametro più piccolo, che aiutano le proporzioni ancora di più. Questo è ciò che importa veramente - rendere l’aspetto della moto forte e robusto dal naso alla coda, a meno che le proporzioni vengono volutamente non corrispondenti, come su moto custom. Qui, il frontale è volutamente stretta sottolineare il posteriore, anche se sulla strada, la parte più larga di una Harley è solitamente il pilota. Nelle moto sportive le carene, che un tempo erano sottili fogli di fibra di vetro, ora avvolgono il mezzo in modo da aderire al serbatoio del carburante. Questo sottolinea la profondità ed allo stesso tempo allevia la vista del pilota della confusione dentro - mi ricordo ancora la vista di fili e stuoie in fibra non verniciata in quei bei giorni “andati” su una SS 900 Desmo. Con troppa integrazione dei componenti però, l’occhio inizia a leggere la moto come entità intera nuovo piuttosto che un mucchio di “mattoni”, facendola nuovamente sembrare debole, anche se il colore può essere utilizzata per distinguere le parti. La larghezza è la ragione principale per cui le moto di grossa cilindrata sono sempre sembrate meglio di quelle di piccole dimensioni, anche se di profilo possono essere quasi identiche. L’importanza della terza dimensione è stata capita, e le motociclette nei prossimi anni continueranno ad diventare più scultoree e dall’aspetto solido. Più larghe di una Gold Wing? Potrebbe essere il momento di iscriversi per la patente dei mezzi pesanti. 45


Definire lo Stile By Kerr Glynn Forse sono stato un po ‘duro con Thierry Henriette. Una rivista francese mi aveva chiesto una valutazione di alcuni modelli presentati al Salone di Milano, e la Mondial RZ Nuda, disegnata dalla società di Thierry, la Boxer Design, ha ricevuto una tostatura accurata: 0 su 5 per l’esattezza; con il commento aggiunto di non avere “tutto lo stile e brio di una raffineria di petrolio”. Ok, avevo avuto una brutta giornata.

Mondial RZ Nuda- 2002

Senza dubbio si offese di questo insulto ad un prodotto indigeno, il problema a posteriori si è risolto con i risultati del Moto Design Award 2003, in cui la stessa Mondial ha ottenuto il secondo posto nella sua categoria. L’editor fu lieto di osservare che la stessa persona responsabile della prima messa-in fondo era anche Presidente dell’Associazione Motorcycle Design e istigatore dei premi che ha acclamato. In realtà, questi premi sono decisi da un processo democratico su cui gli organizzatori non hanno alcuna influenza, in modo che il paradosso potrebbe essere facilmente risolto. Ma le mie spiegazioni non sono state invitate, e l’editor ha preferito semplicemente assaporare un’umiliazione degli inglesi come vendetta tardiva per Waterloo. Lo stile è davvero difficile da misurare, e io vivo nel terrore di dover presentare un premio di design per qualcosa di assolutamente orribile, grazie ai voti collettivi dei miei coetanei. Le loro decisioni a volte può essere allarmante. Quest’anno, un membro dell’MDA ha anche votato per il Grizzly Bakker, una sorta di disordinato due ruote pick-up. La bellezza era chiaramente negli occhi di chi guarda , anche se un bastone appuntito potrebbe essere stato più appropriato. Questo sta a dimostrare che anche i professionisti non sono d’accordo su ciò che costituisce la bellezza, che è probabilmente una buona cosa, altrimenti le moto sarebbero tutte uguali. Ma anche loro devono lavorare entro i parametri di accettabilità - la nostra percezione collettiva di ciò che funziona e ciò che non funziona. Per evitare che le cose diventino troppo prevedibile, c’è sempre l’elemento aggiunto dalla moda, che lavora costantemente per sfidare i nostri preconcetti. Un buon progettista non solo deve essere a conoscenza delle ultime tendenze, ma anche essere in grado di selezionare quali sono applicabili ed in che misura. Un plauso a chi cercherà di superare i limiti, ma così facendo si rischia di oltrepassare il segno. La società di consulenza di design di Salisbugo, Kiska ha gettato al vento tutti i preconcetti con il design 46


radicale della KTM RC8, che punta sicuramente tutto sul massimo impatto. Che il design sia effettivamente attraente o meno è oggetto di accesi dibattiti sulle colonne e nelle lettere dei lettori di tutto il mondo, ma Kiska sta giocando a spingere l’ Edge Design al limite, essendo stato tra i primi ad applicare lo stile ai motocicli. Solo pochi anni fa, un tale progetto sarebbe stato scartato a priori, per cui l’elemento di tempo sembra essere critica. Al contrario c’è chi dice che i migliori disegni sono senza tempo. Alcuni addirittura sembrano migliorare con l’età, anche se questo significa semplicemente che abbiamo ormai imparato ad accettare lo stile senza più dubbi. Ogni progetto deve essere stato nuovo a un certo punto, anche se non necessariamente controverso. In secondo luogo la filosofia del “classico senza tempo” è una strategia piuttosto privo di rischio, e si è dimostrato estremamente redditizio per Harley-Davidson, sebbene anche il Motor Company ha bisogno di reinventare i propri prodotti di volta in volta per dare ai clienti un motivo per continuare a comprare. Lo stile è altrettanto importante con il look classico dove i particolari prendono il ruolo di principale novità. Non tutti gli aspiranti imitatori hanno capito quanto siano cruciali i dettagli vista l’accettazione generale del progetto, e manca il pedigree dell’archetipo, non sono riusciti a convincere il pubblico di acquisto della loro credibilità. In caso Harley, quel distintivo sul serbatoio è parte integrante dell’aura. Appare quindi chiaro che lo stile è più profondo della pelle esterna, esso comprende l’immagine del prodotto, un fattore di non perdere per spin doctor società che proteggono la loro identità con veemenza. Inoltre è richiesto che l’hardware corrisponda all’immagine. Se mettete un due tempi in un Ducati 916 diventa subito pretenzioso, è per questo che non troverete una Cagiva Mito al Guggenheim, anche se sembra quasi uguale. Quindi, come si misura lo stile? Beh, certamente non può essere quantificato, motivo per cui molti amministratori delegati aziendali sono nervosi per tutta la questione. Sanno che è fondamentale per il loro margine di utile, ma non sono in grado di prevedere il suo successo. A complicare ulteriormente le cose, una certa esclusività è vitale per la trama - se tutti guidassero una MV, si ridurrebbe drasticamente l’impatto. Questo potrebbe spiegare il successo di accessori after-market, dando quel tocco in più di personalizzazione, ora che c’è praticamente una Harley parcheggiata in ogni angolo di strada. Anche il successo sembra possa essere controproducente per lo stile. L’analisi della parola deve essere concesso ad una miscela di estetica eccellenza, desiderabilità, l’esclusività e la tempistica, ma anche con tutti gli elementi essenziali al loro posto, nulla è garantito. Lo stile è un’arte, non una scienza, e come tale non può essere né misurato né facilmente definita. Come Sinatra una volta raccontato, si ha o non lo fai.

Dettagli By Kerr Glynn Le motociclette sono una massa di dettagli. Mostrate a qualcuno una macchina, e farà un passo indietro per apprezzare il veicolo nella sua interezza. Ma se mostrate a qualunque appassionato una moto decente, e sarà immediatamente accovacciato per esaminare qualche area localizzata di particolare interesse. Questa differenza è fondamentale, e nonostante l’assalto di pannelli di carrozzeria in plastica, grafiche luridi e una generazione di stilisti professionisti, non è cambiato in più di un secolo. Parte della spiegazione sta nella parola “appassionato”. Considerando che molti automobilisti si accontentano di un semplice dispositivo di trasporto, e prendere in considerazione un adesivo come “accessorio espressivo”, il motociclista medio è più coinvolto e preparato, e coltiva la passione per la meccanica. Dobbiamo sopportare il freddo, la pioggia, gli insetti, i kamikaze alla guida di furgoni e cadere di tanto in tanto. Argomento delicato quest’ultimo. E ‘solo negli ultimi decenni che i motocicli ed i loro materiali di consumo vari sono diventati abbastanza affidabili per sollevare i piloti da una conoscenza di base della meccanica. Sono finiti i giorni in cui alla guida di una baldoria di pomeriggio è stata preceduta da una mattinata, regolando il gioco valvole, ma un interesse per la meccanica continua, e piloti vogliono vedersi riflettere nei loro mezzi. Alla fine, una motocicletta è giudicata dalla qualità della sua ingegneria non, la forma della sua plastica. Ci fu una levata di scudi da puristi quando le carene integrali sono diventate la norma durante la metà degli anni ottanta, con la carrozzeria paragonata a pentole Joghurt dalla disincantata vecchia scuola. 47


Quali che siano i vantaggi in termini di aerodinamica e la protezione dalle intemperie, la plastica nasconde tutti i bit intelligenti, ed è quello che ci sediamo in garage a fissare nelle fredde serate invernali. Così, quando ci deve essere una carrozzeria, questa fa si che le parti meccaniche rimangano visibili, diventano infinitamente più importanti. Io sfido qualsiasi appassionato moto di concentrarsi a lungo sulla carrozzeria di una Bimota, sebbene sia accattivante - sono i pezzi in alluminio fresato che magnetizzano l’occhio. In Bimota possono nascondere il motore (e, a sua volta, la loro mancanza di pedigree), ma sono molto attenti ai dettagli della ciclistica, che dopo tutto è ciò che sanno fare meglio. I componenti ben ingegnerizzati tendono anche ad essere belli da guardare, i dettagli delle moto di qualità sono stati piacevoli per gli occhi molto prima che gli stilisti sono arrivati sulla scena. Oggi più che mai, l’attenzione è data non solo per la finitura delle parti funzionali, ma anche alle staffe e cordoni di saldatura che tengono tutto insieme. Guardate i più recenti dischi dei freni e le pinze, e vedrete la progettazione al suo meglio, anche se siamo ancora molto indietro rispetto ai componenti per biciclette che hanno capito anni prima. Le moto da corsa hanno un forte appeal estetico nonostante il loro disprezzo per i dettagli cosmetici, in parte perché ciò che si lascia fuori una moto può essere più importante di quello che si aggiunge, e in parte per l’attenzione al dettaglio che ricevono in nome della riduzione del peso. Pezzi forati sono una scelta costosa solitamente riservato alla pista, quindi ancora una volta la percezione è che i dettagli = esclusività = qualità. Questo spiega perché molti degli ultimi modelli completamente carenate stanno cercando di abbattere la carrozzeria in una miriade di piccole aree e superfici interrotte, tutti apparentemente non collegati. C’è spesso molta più scultura di quanto sia necessario, o anche gradevole per l’occhio, ma l’armonia della forma non è quello che i progettisti stanno cercando di raggiungere. Al contrario - la distesa di plastica si riduce di dettaglio. La manovra non sempre funziona, però, come la BMW ha dimostrato con la nuova F650 CS (Scarver). Qui, qualcuno sembra essersi annoiato con coperchi di plastica dall’aspetto amichevole, ed aver decorato il tutto con a forma di sigaro senza alcuno scopo apparente. Non basta che i “sigari” siano tutti diversi, alcuni arrotondate, un pò a punta, e pendenza in direzioni diverse. Il problema principale è che si siedono in file ordinate all’interno di regioni ben definite, e non riescono a ridurre l’immagine di plastica. Il resto è puro design di prodotto, con tutta la meccanica offesa nascosta sotto le coperte di plastica come una sorta di semovente robot da cucina. Questo è un peccato, perchè BMW sta iniziando a farlo bene, la R-1150R mostra un sentimento meraviglioso per le forme in zone come il braccio del Telelever.

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Brand e Design by Kerr Glynn Dal 1922, moto economiche di piccole dimensioni sono state sfornate dalle linee di produzione di una fabbrica tessile in disuso già a Zschopau, Germania. Sotto il marchio DKW, la produzione aumenta a 60.000 unità all’anno entro il 1929, diventando così il più grande prima della guerra costruttore di motociclette al mondo. Non era niente di speciale, su questi modelli a due tempi, e quando Zschopau si trovò parte della Germania Est comunista dal 1949 in poi, la loro austerità fu assicurata. Tuttavia, queste due ruote economiche e allegre offrirono il trasporto indispensabile per le masse del blocco sovietico, e anche le esportazioni ebbero successo. Motorradwerk Zschopau, o MZ come si è conosciuto, aveva una distinta se l’immagine umile, e il ES125/150 è diventata la moto tedesca che ha venduto di più in assoluto. MZ ES 125 - 1969

Nel 1970, la produzione ha superato la soglia del milione, un secondo milione è seguito nel 1983. Nel corso degli anni, MZ è diventato il sinonimo di motociclismo senza fronzoli, e l’azienda si è ritrovato un mercato a corto di liquidi, se non particolarmente pendolari “fashion conscious”. Negli anni 1990, l’azienda ha deciso di salire dalle sue origini umili e puntare su un mercato più alto, una mossa in parte dettata da costi di produzione in seguito alla riunificazione della Germania Est e Ovest. I primi progetti, come il saxon, con un 500cc quattro tempi Rotax, erano progressioni logiche dei modelli precedenti, con semplicità e con la funzione di essere ancora le caratteristiche primarie. Lo sviluppo finale del singolo è stata la Skorpion, che ha utilizzato un motore di 660cc Yamaha in un modo accurato, telaio tubolare progettato da Tigcraft. Il pacchetto è stato completato con pulito, stile moderno da consulenti UK Seymour-Powell.

MZ Skorpion 660 - 1992

Progredendo da un singolo a un motore bicilindrico era comprensibile in quanto in avanti la prossima mossa, anche se la decisione di farne una da un litro modello supersportivo era forse oltrepassare il segno. Con un motore progettato e costruito in-house, ed angolare New-Edge stile di Peter Naumann, la 1000 S era rivolto direttamente al territorio di Ducati o BMW. Qui, c’è già forte concorrenza tra brand del calibro di Aprilia, Triumph e Buell, nessuno dei quali ha avuto decenni di low-tech ed immagine utilitaristica da superare. Era come se Skoda cercasse di costruire una Ferrari-killer. Lungi dall’aver creato un cattivo prodotto, l’azienda stava cercando di essere qualcosa che non era, e si aspettava il passaggio a un giorno all’altro. Purtroppo, i risultati si sono dimostrati fatali. MZ ha chiuso i battenti a partire dalla fine del 2008, quando i suoi clienti attuali Malesia, Hong Leong Industries, si ritireranno il loro sostegno economico. Ci sono molti altri esempi in cui incongruenza tra la realtà e l’immagine ha compromesso il prodotto, se non l’intera azienda. Piuttosto ciò che Kawasaki stava pensando quando si è scoperto le affidabili VN serie 49


MZ 1000S - 2001

“intruder” nella Drifter, una sorta di Indian Chief, non è chiaro. La Drifter è apparso accanto a due altri falsi - la Estrella 250, una moderna interpretazione della NSU Supermax 1957, e la W650, una celebrazione del trionfo di un anni sessanta. Il fatto che il W650 era in realtà più vicino nello spirito di quei twin classici verticali della Bonneville Triumph, apparsa un paio di anni più tardi è irrilevante. Come parte della gamma Kawasaki, tutti hanno ottenuto è stato quello di confondere la line-up, e diluire la propria identità aziendale. Mentre stiamo parlando Triumph, la filosofia dietro il nuovo Thunderbird è anche difficile da capire. Quando John Bloor ha acquistato la società nel 1980, ha anche acquisito una lunga tradizione, e che è venuto con le aspettative di continuare la tradizione. Le Triumph erano popolari tra i piloti degli Stati Uniti negli anni sessanta perché erano leggere, veloci, e sportive, e perché non sono stati in stile come un incrociatore americano. Così i ragazzi a Hinckley sembrano aver colto il punto. Mentre le proporzioni e dettagli della nuova Thunderbird sono stati splendidamente eseguiti, la moto concede tutta la tradizione per soddisfare senza vergogna al gusto americano. Invece di prendere spunto da Harley-Davidson direttamente, il nuovo design è più vicino ad alcuni dei modelli giapponesi personalizzati, e, come tale, diventa un clone di un clone. Che assomiglia per lo più è una Kawasaki, che è un interessante rovesciamento dell’enigma W650. I casi più gravi di progettazione disonesta di solito nascono dalla disperazione, in cui le moto piccole cercano di imitare i grandi, e appena uscito in cerca falso. Yamaha è riuscito a farla franca con condotti fittizi sull’originale V-Max, anche se erano il punto focale di tutta la progettazione, ma molti dei modelli che hanno influenzato sono stati molto meno convincente. Sulla Cagiva Roadster erano abbastanza ridicoli, in particolare con il suo “motorino” 125cc 2 tempi, infine le finte trombette di aspirazione non ha fatto nulla per migliorare la Guzzi Nevada 750. I telai sono un altro settore in cui i produttori cercano di gettare fumo negli occhi. Molti tubolari in acciaio si nascondono dietro una falsa copertura di plastica, destinati a dare l’impressione di una sezione di scatolati di alluminio, con livelli variabili di successo. Allo stesso modo la finta “piastra” pressofusa, in stile MV Agusta, della Suzuki Gladius, presentato in qualche anno fa all’Intermot Colonia, non sembra troppo convincente come struttura portante, e non è altro che una copertura stilizzata. 50


Gli scarichi sono un’altra area di inganno. Silenziatori separati che spuntano da un tubo di scarico singolo sembrano sempre pretenziosi e inutili. Fortunatamente, la pratica si estinse negli anni Settanta, ma non prima che la Guzzi rovinasse il Nuovo Falcone con l’aggiunta di una doppi marmitta sulla destra. Lo scarico a coda di pesce singolo sul mio Falcone Sport ‘59 ha funzionato molto meglio. L’onestà nel design è semplicemente una questione di mostrare le cose per quello che sono. C’è una linea sottile tra migliorare l’aspetto di alcune parti, e mascherare a qualcosa d’altro. Forse è per questo che tutti noi apprezziamo delle moto da corsa - non c’è niente su di loro che non abbia uno scopo chiaro. A livello aziendale, l’onestà è anche una questione di analizzare il DNA di un marchio, e la produzione di modelli che aiutano a far rispettare la coerenza della sua immagine. Tale immagine può evolvere nel corso del tempo, ma solo entro certi limiti ad ogni passo. Cercando di trasformare MZ in un concorrente Ducati durante la notte fu una politica destinata al fallimento. Che si tratti di una filosofia di branding o solo stile, l’onestà sembra davvero essere la politica migliore.

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Autore: Andrea Perfetti (moto.it) Data: 22/05/2008

Massimo Tamburini non ha bisogno di presentazioni. Da anni il suo nome ha varcato i confini nazionali. Aletta Oro, Paso, 916, Mito, F4, Brutale sono solo alcune delle creature disegnate da Massimo Tamburini.

MV Brutale - 2002

Il Centro Ricerche Cagiva (CRC), di cui è amministratore delegato, si trova in quel di San Marino; alla sua notorietà contribuiscono non tanto le interviste e le apparizioni in pubblico, decisamente rare, quanto i progetti e la genialità che troviamo nei lavori che prendono vita tra queste mura. In Giappone lo chiamano “il maestro”, in Italia è noto come “il genio della motocicletta”, su Wikipedia è semplicemente “l’ingegner meccanico”. Conosciamo meglio il progettista di 916 ed F4. Incontriamo Massimo Tamburini nella sede di CRC, nella piccola repubblica sanmarinese. La struttura esterna, poco appariscente e immersa nel verde di una piccola valle, cela alla vista il reparto progettazione da cui prendono vita autentici gioielli di ingegneria meccanica. Qui progettisti e designer lavorano fianco a fianco. Non si tratta di un dettaglio di poco conto, ma di uno dei dogmi di Tamburini: una moto per essere bella deve essere innanzitutto funzionale e dare soddisfazione a chi la guida. Questa semplice ricetta fu una delle chiavi del successo di Bimota, a cavallo degli anni ‘80. Ripercorriamo insieme a Tamburini le tappe più significative - e, credeteci, sono davvero tante - di una lunga carriera caratterizzata dall’amore autentico, viscerale verso le due ruote. Partiamo dall’avventura più recente, il Centro Ricerche Cagiva. Com’è nato e di cosa si occupa oggi? Dopo la parentesi in Bimota (di cui è stato socio fondatore, ndr), nei primi anni ‘80 passai a lavorare nel Team Gallina, in qualità di direttore tecnico. Nel 1985 la Cagiva dei fratelli Castiglioni rilevò la squadra e fu così che iniziò la mia collaborazione col presidente (Massimo Tamburini chiama così Claudio Castiglioni, ndr). Subito realizzammo la Paso 750, una moto avveniristica che rompeva col passato e che sottolineava il passaggio di Ducati alla nuova gestione Cagiva. Lavoro con loro da 24 anni.

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Attualmente l’attività di ricerca e sviluppo di CRC è incentrata su MV Agusta. È stato sempre così anche in passato? Abbiamo seguito diversi progetti anche in Cagiva e Husqvarna. Della prima, ricordo la Grand Canyon, della seconda la così detta moto azzurra, una 650 di cilindrata con telaio scomponibile. Però MV resta il nostro obiettivo prioritario, di cui curiamo la progettazione a partire dal foglio bianco sino alla preproduzione, compresa la formazione di chi, a Varese, si occuperà della linea di montaggio delle moto. Non perdiamo mai di vista il prodotto, che ha un’evoluzione continua, che seguiamo noi qui a San Marino. Cagiva è a Varese, come si spiega la scelta di San Marino per il Centro Ricerche? Io sono di Rimini, che si trova vicino a dove siamo adesso, ma San Marino è una scelta casuale. Mia moglie è di qui. Siamo legati a questa terra, è un bel posto dove vivere e lavorare. Ci racconti la storia della sede in cui ci troviamo. Un giorno venne il presidente e mi chiese una moto in prestito per fare un giro. Quando rientrò, mi disse che aveva trovato il posto giusto per noi. Fu sua la scelta di trasformare questa sede, che una volta faceva gelati, nell’attuale CRC. Sono passati già 15 anni, ora abbiamo 41 dipendenti suddivisi nei vari reparti. Andiamo dal reparto stile e progettazione alla modelleria, passando per la verniciatura e il collaudo. Non credo che in Europa ci siano strutture di questo tipo. Perché, qual è la peculiarità di CRC? Noi qui seguiamo tutte le fasi della progettazione di una moto. I giovani ingegneri hanno un contatto diretto con i responsabili dei vari reparti. Non devono chiedere a fornitori distanti centinaia di chilometri se un tal pezzo va bene o meno. Hanno un contatto diretto con l’officina, sono formati sul campo. Come si conciliano stile e progettazione? Il rapporto non è sempre semplice. Spesso chi disegna non conosce i problemi che incontra chi poi deve realizzare e usare un particolare. Per questo è importante la formazione, in CRC il designer diventa anche progettista della moto. Negli anni immagino che abbia ricevuto molte offerte dalla concorrenza, il suo è un curriculum pesante. Nei periodi bui non ha mai pensato di cambiare partito? Sicuramente ho ricevuto delle offerte interessanti. Ma come faccio a lasciare un’azienda come questa, in cui c’è un rapporto di amicizia col presidente, che ha sempre dato la fiducia e la libertà di espressione massime a me e ai miei collaboratori? Bastano pochi vincoli per condizionare un progettista. E non mi parrebbe corretto lasciare la barca adesso, in un momento di difficoltà (il gruppo Cagiva sta trattando con società indiane, alla ricerca di nuovi finanziatori che permettano il rilancio completo dell’azienda. Ndr). A proposito di vincoli progettuali. In Ducati 916 ha dato libero sfogo al suo estro. Com’è arrivato a disegnare una delle moto più belle della storia del motociclismo? Il fiuto del nostro presidente fu determinante nel portare al successo la 916. Si voleva fare una moto sportiva che fosse immediatamente riconoscibile come Ducati, diversa dalle solite giapponesi. Esplorammo anche la strada dei telai tipo deltabox in alluminio, ma alla fine fu decisiva la scelta di Claudio Castiglioni e ci orientammo verso il classico traliccio. Difficile fu anche dare personalità all’anteriore, volevo che la moto avesse un fanale piccolo, ma i fornitori erano contrari. Alla fine la nostra scelta è stata premiata e ha tracciato la strada ai giapponesi. D’altra parte sono le viste anteriore e posteriore a rendere riconoscibile una moto. Anche il lato “B” di 916 ha fatto scuola, è stata la prima moto con gli scarichi sotto il codone. C’era già la Honda NR 750 con gli scarichi sotto sella, ma lì erano chiusi alla vista. Con Ducati abbiamo scelto di percorrere una strada diversa, con la meccanica bene in vista secondo la classica scuola italiana, più spartana. È stato un successo incredibile, vedevi una 916 in strada e la riconoscevi subito.

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Ducati 916- 1994

Un successo incredibile di design frutto della mano di un progettista. La mia grande passione è la meccanica, non è tanto la parte in plastica. Quando ero in Bimota, non potendo contare su nessuno, ho cominciato a occuparmi anche di design e ho visto che mi riusciva abbastanza bene. Io mi sarei fermato al metallo. Fortuna che non lo ha fatto. Qual è la prima moto su cui ha messo le mani? La prima moto che trasformai fu proprio una MV 600, sono sempre stato appassionato di 4 cilindri. Nel 1971 trovai un annuncio su Motociclismo e comperai questa MV da un ragazzo di Cuneo. La rifeci tutta, dal telaio allo scarico che ricordava la Benelli 4 cilindri con cui correva Pasolini. Portai il motore a 750, lavorai sull’aspirazione, sui carburatori Dell’Orto con la vaschetta a valigia come usava allora la MV di Agostini. Soprattutto eliminai il cardano e montai la catena. Un lavoro mica da ridere, fui costretto a rifare i carter. Un vero prototipo. Che fine ha fatto la prima special di Tamburini? A Rimini eravamo in 4 gatti ad avere moto potenti e cominciava a girare la voce che in paese c’era un pazzo con questa moto elaboratissima. Finché la voce non arrivò ai Carabinieri. Mi curavano a vista e decisi di venderla per acquistare una Honda CB 750. Quanto tempo rimase originale la sua Honda? In principio non la toccai. Poi feci un brutto incidente a Misano e, durante la convalescenza, coi soci Morri e Bianchi (cofondatori della Bimota) si pensò di mettere mano a queste prestanti moto giapponesi. I motori andavano infatti un gran bene, mentre i telai lasciavano un po’ a desiderare. C’era la potenzialità di fare parti speciali come cerchi in lega, comandi arretrati e molto altro. E iniziò a realizzare telai per le moto da corsa, Harley in testa. Feci dei corsi di saldatura in Tig, una cosa rarissima per quei tempi, e costruii i primi telai. Ricordo il primo telaio da corsa, per la Paton. A Peppino Pattoni seguì Walter Villa, ma l’Harley Davidson lo obbligò a impiegare il telaio standard. Il mio passò quindi a Gianfranco Bursi che, con l’Harley 250, vinse il campionato italiano. 54


Arrivarono in seguito le prime moto stradali. La spinta arrivò dalla Suzuki Italia, dal direttore commerciale di allora, Zanetti. Realizzammo la prima moto stradale con una ciclistica di derivazione corsaiola, la SB2 750. Una moto innovativa, con il fulcro del forcellone coassiale col pignone per avere un tiro catena costante. Un’altra innovazione riguardava la sospensione posteriore, per la prima volta dotata di geometria progressiva. Poi sono arrivati gli altri. Oggi si vede però un ritorno alle origini. Molte moto moderne rinunciano alla progressione dei leveraggi. Come lo spiega? Oggi possiamo dire che la progressione non serve, è quasi dannosa. Le sospensioni migliori sono quelle lineari. La nuova F4 avrà una sospensione simile all’attuale, ma con minore progressione. Mi sta dicendo che la nuova F4 è quasi pronta? Noi siamo già pronti, siamo in una fase avanzata di sviluppo. Dipende dall’assetto societario futuro del gruppo Cagiva. Facciamo un passo indietro. Da dove arriva la sua passione per le motociclette? Tutta colpa di mio padre, che era un grande appassionato di motori. E del barbiere. Del barbiere? Da bambino tutte le domeniche volevo andare a tagliarmi i capelli, nella bottega del barbiere c’erano le foto alle pareti dei grandi campioni, in particolare quelli della Gilera. Non mi pareva possibile che esistessero delle moto così belle. La sera mi attaccavo alla radio ad ascoltare i risultati dei piloti Gilera. Non sopportavo che vincessero le MV. Ma guarda te il destino... Un po’ di anni dopo ha contribuito al rilancio proprio di MV. Com’è andata? Una sera d’estate, durante una cena con Claudio, si parlava di moto, come sempre. L’idea era di battere l’Aprilia non più sul terreno delle 125 (erano i primi anni ‘90, le ottavo di litro erano gettonatissime. Ndr), ma con una maxi moto. Insieme a Ferrari Engineering progettammo la 4 cilindri con telaio in alluminio. In seguito, con la cessione di Ducati agli americani, il presidente optò per il rilancio del marchio MV Agusta. La moto, che era quasi pronta con il marchio Cagiva, fu rivista pesantemente. Si passò al telaio a traliccio e fu presentata in veste definitiva nel 1997, con la serie Oro da 750 cc. Come si è passati dalla 750 alla 1.078? Sicuramente la prima versione era la più equilibrata e facile. Poi siamo passati al 120/70 (al posto dell’originario 120/65) anteriore che ha leggermente indurito la guida. La nuova moto tornerà alla leggerezza della prima F4 750. Il motore è cresciuto considerevolmente nella cilindrata e nelle prestazioni per rispondere alla richiesta del mercato. Mercato che ha accantonato le sette e mezzo. 916 ha contribuito al rilancio di Ducati. Cosa è mancato a F4 per fare altrettanto con MV? A mio avviso la colpa è delle banche, che hanno dato fiducia a Castiglioni con il contagocce, senza mai permettere un rilancio vero, forte di una gamma di prodotto completa. Hanno sempre dato il minimo indispensabile per la sopravvivenza dell’azienda, che ha cominciato a soffrire nel rapporto coi fornitori. Come vede il futuro del gruppo Cagiva? Si parla insistentemente dell’ingresso in società degli indiani. Spero davvero che questa sia la volta buona per il rilancio di MV. Chiunque arriverà, dovrà crederci e avere le competenze necessarie. Nel recente passato l’ingresso della malese Proton non portò nulla di buono. Sembrava che questi signori avessero delle grandi competenze, invece furono una bella delusione. Ci vuole gente che dia una svolta decisiva, che inserisca in azienda persone capaci. Sul modello di quanto fatto dagli americani con Ducati.

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MV F4 - MY 2002

Resterà legato a MV in ogni caso? Se arriveranno delle banche interessate solo a fare business, a lasciare tutto così com’è, a quel punto valuterò bene la situazione. Sono disponibile a 360° a restare in azienda, ma ci dev’essere un piano di rilancio concreto. Non ho nessuna intenzione di abbandonare questo mestiere, è la mia vita e continuerò finché Cristo non toglierà la luce. Ha citato Ducati. Cosa ne pensa del nuovo corso? Hanno lavorato molto bene, anche con la nuova sportiva 1098. Molti accusano proprio 1098 di non aver inventato nulla. I richiami a 916 ed F4 sono evidenti. Hanno fatto benissimo. Se esiste già qualcosa di bello, perché non riprenderlo e migliorarlo rispettando l’immagine e la connotazione della marca? Che per Ducati è l’italianità. È l’errore commesso da Aprilia, che negli ultimi tempi ha scimmiottato i giapponesi, Honda in testa. Come giudica le realizzazioni delle altre aziende italiane? Moto Guzzi sta lavorando bene sotto la gestione Piaggio, guarda molto alla qualità, le finiture del prodotto sono migliorate tantissimo. Noto però che si è un po’ persa l’impronta sportiva del marchio. Forse guardano troppo alla concorrenza, a dove va il mercato. CRC invece ha scelto di seguire una strada difficile, in salita, affrontando i giapponesi nel segmento delle moto pluricilindriche sportive, in cui sono leader. Rischioso, non trova? Qui la devo smentire. I progettisti italiani non hanno nulla da invidiare ai giapponesi. Le assicuro che il nostro nuovo 3 cilindri in linea è incredibile. L’abbiamo messo a confronto con il propulsore di riferimento dei concorrenti, il 600 4 cilindri della Yamaha R6. E siamo rimasti impressionati dalla bontà del nostro motore. Si tornerà a cilindrate più contenute quindi? Le mille di oggi non sono più gestibili, nemmeno in pista. Il futuro della moto sportiva è nelle cilindrate più basse, anche sotto il 750. 56


Vedremo una F3 al salone di Milano? Il nome non sarà quello, ma la moto farà sicuramente parlare. Come e più di quanto fece F4. Non posso dirle quando. Qual è la moto più bella progettata da Massimo Tamburini? Deve ancora arrivare. E vi stupirà. Sarà leggera come una 600, ma con tutta la potenza e la coppia che servono per divertirsi alla guida.

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Massimo Tamburini 2 Moto.it 8/10/2013 di Nico Cereghini Tutti lo conoscono, è uno dei tecnici italiani più amati e rispettati. Ma, per comprendere bene la faccenda e non trascurare i lettori più giovani, può servire qualche nota biografica per inquadrare il personaggio. Vedrete che c’è da stupirsi. Massimo Tamburini, riminese classe 1943, è stato il direttore tecnico e fondatore della Bimota dal ’73. E’ allora che l’ho conosciuto. Uscito dalla Bimota nel 1983, dopo una breve parentesi come direttore tecnico del team Gallina (anno 1984), viene assunto in Cagiva nell’85. Lì dirige prima il COR, Centro Operativo Rimini, e poi dal ’90 anche il Centro Stile del gruppo Cagiva. Nel 1993 nasce il CRC, Centro Ricerche Cagiva, del quale Massimo prima è direttore e poi dal ‘97 anche amministratore delegato. Tamburini lascia Castiglioni nel 2008, quando entrano gli americani dell’Harley-Davidson. Per tre anni si impegna allora in un patto di non-concorrenza. Massimo Tamburini ha sempre avuto una gran passione per le corse e per le moto sportive. Per cominciare, ecco le moto da corsa progettate e realizzate da lui: dalla Paton 500 del ’73, alle Bimota YB1 250 e 350, HD1 250, HD 350 e 500, fino alla Bimota SB1 500; qualcuno ricorderà la Morbidelli 250 per Giacomo Agostini, poi le YB2 e YB3 250 e 350, la Suzuki 500 GTA del team Gallina con lo sterzo indiretto e progressivo, infine la Cagiva 500 GP dell’89, quella di Mamola, per la sola parte stilistica. Per lui hanno corso Giuseppe Elementi (primo pilota Bimota), poi tra gli altri Cecotto, Villa, Matteoni, Paci, Eckerold, Ferrari, Lucchinelli, Uncini, Fogarty, Bayliss, Scassa.

Più famose delle moto da corsa sono, in tutto il mondo, le sue moto stradali. La prima è la Bimota HB1 750 realizzata nel 1973 dopo una caduta a Misano, curva della Quercia, con la sua CB Four personale; non avesse demolito la sua Honda, forse non l’avrebbe ricostruita a suo modo e non sarebbe mai diventato il Tamburini che conosciamo. Da lì la serie delle Bimota: SB2 750 (‘77), KB1 900 (‘78) e poi 1000, SB3, KB2 500, HB2 900, KB3, SB4, HB3 1100. Del 1985 è la pepata Cagiva Aletta oro 125, e l’anno dopo arriva per il gruppo Cagiva la Ducati Paso 750, la prima stradale con carrozzeria integrale. Seguono la Freccia C9 125, la C10 nell’88 e nel 1990 la favolosa Mito. L’innovativa Ducati 916, per molti il più grande capolavoro di Tamburini, è del 1993; la 748 del ’95, la Cagiva Canyon 900 del ’96. Poi le moto marchiate MV: nel 1997 la 58


meravigliosa F4 750 Oro e l’anno dopo la S, nel 2000 la Brutale Oro seguita ancora dalla S, nel 2002 la F4 1000 Ago (poi S, Tamburini e Senna), nel 2007 la F4 1078 Claudio Castiglioni; e infine la Husqvarna STR 650 Super Motard. Tante le ideazioni tecniche innovative firmate da Massimo. Tra loro, la prima moto con sospensione posteriore a geometria progressiva (1975), il primo forcellone a Boomerang (1976), la prima moto in produzione con telaio perimetrale (1978). Parole d’ordine la compattezza, l’evoluzione costante, la leggerezza, la bellezza. E tanti brevetti per manubri e pedane a regolazione di assetto, sterzo monolitico regolabile nell’angolo di sterzo, ammortizzatori di sterzo trasversali, sistemi rapidi di fissaggio ecc. Tutto questo elencare ci voleva, come vedete, ma adesso è il momento di attaccare l’intervista. Massimo, sei il più amato progettista italiano, le tue moto sono state costantemente “moto dell’anno”, i premi non si contano. Ma ho una curiosità: delle tue creazioni, quale ti è oggi più cara? “Direi sicuramente la 916. Quella è al primo posto, poi viene subito la F4, e la KB2 quando ero in Bimota; quella moto aveva le caratteristiche che piacciono a me: era una moto leggera e facile da guidare, però capace di emozionare e divertire davvero”. Molti ti hanno definito uno stilista, ma non è vero: tu sei nato appassionato della meccanica. E poi cos’è successo? “Ho sempre avuto la passione per la meccanica, intendo la meccanica motociclistica; dopo un primo esercizio sulla base di una MV 600 quattro cilindri usata, mi sono lanciato nella mia prima realizzazione vera, la Bimota HB1 con il motore Honda Four 750. Lì ho dovuto allargare le mie conoscenze. Oltre al telaio ci voleva anche un serbatoio, un codino con la sella, e secondo noi serviva anche la carenatura; in azienda non avevamo la possibilità di inserire personale specializzato, forse a quei tempi era anche difficile trovarlo, e così, diciamo per necessità, sono diventato uno stilista. E mi sono accorto che plasmare materiali diversi dai miei, come per esempio lo stucco metallico per la modellazione, era anche divertente. Non meno divertente che lavorare un pezzo metallico alla fresa o al tornio. Perché ogni particolare della moto deve essere bello, piacevole da toccare e da montare, deve darti delle emozioni”. La Bimota faceva impianti di riscaldamento e clima, ma hai trovato il modo di divertirti di più. “Anno dopo anno accumuli esperienza, vedi cosa fa la concorrenza, cresci. Per esempio, inizialmente i modelli venivano fatti da me e poi realizzati alla Bimota in due fasi; si partiva dalla parte sinistra oppure dalla parte destra, quindi veniva deliberata metà moto, e poi l’altra metà non veniva copiata da una macchina a controllo, macché, si facevano delle cèntine, un lavoro pazzesco, centimetro per centimetro tutto veniva copiato, c’era da meritare il paradiso. Oggi è più semplice, per la modellazione e il riempimento abbiamo materiali più pratici, si lavora presto e bene. Puoi cambiare forma in ogni momento, c’è un’evoluzione continua. Realizzi sempre metà moto, per esempio, ma dopo fai una scansione fotografica e puoi riprodurre la moto nel giro di pochissimi giorni, completa e ottimizzata”. Si capisce però che fare lo stilista di una moto resta tuttora un lavoro artigianale… “Molto artigianale. Personalmente ho anche provato a evitare la modellazione manuale, ma al computer fai molta fatica; per esempio la posizione di guida, se la vedi su uno schermo video fai fatica; ci vuole la dimensione reale, perché bisogna poterci anche salire sopra, sulla moto. Solo così cogli subito eventuali errori, anche minimi, e provvedi a correggerli”. E nel tempo cos’è cambiato? “La parte meccanica ha subìto una evoluzione incredibile. Ai tempi della Bimota, negli anni Settanta e Ottanta, la realizzazione di ogni particolare ricavato di macchina era fatto con disegno 2D, più che altro, perché il CAM non esisteva. Oggi tutti i particolari della moto - e sono tanti - vengono disegnati in 3D e hai già le basi per programmare una macchina. Nel giro di poche ore passi dalla progettazione del pezzo alla sua realizzazione”.

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C’è qualche moto dell’ultima generazione che ti piace in modo particolare? “Che mi entusiasmi davvero non ce n’è, da troppi anni le moto sono ferme, manca l’innovazione. A parte l’elettronica: lì, per me, si è andati anche oltre il lecito. Sul piano stilistico poi vedo un altro aspetto che mi piace poco: si intravvede la prevalenza di molti ragazzi stilisti sull’ingegnere”.

E dove esattamente lo vedi? “Per dare al telaio un aspetto piacevole, ad esempio, ci sono moto sulle quali hanno messo materiale dove non serviva. La F4, per dire, ha la sospensione che lavora nella zona alta del telaio, e allora le piastre della parte bassa del telaio possono essere leggere; mentre al contrario sulle MotoGP di oggi, Honda o Yamaha, è la zona bassa del telaio che deve essere granitica. Bene, ho visto moto assurde, per inseguire l’estetica hanno sbagliato tutto. Lo stilista inventa e poi l’ingegnere deve correre ai ripari, magari fino a cambiare spessori, leghe e pesi per non arrivare a rotture. Non ci siamo: lo stilista deve essere di supporto all’ingegnere”. E finalmente siamo arrivati al cuore del dialogo con Tamburini: su cosa sta lavorando oggi il geniale progettista di moto sportive che tutti rispettiamo? Massimo è sempre stato avanti, come si dice, e conoscere i suoi progetti potrebbe aiutarci addirittura a definire la moto sportiva del futuro. Lui esita, capisco che gli piacerebbe dire più di quanto possa. Poi trova la misura. “Quando sono uscito dalla MV, alla fine del 2008, mi sono preso un anno di riposo, per godermi finalmente la famiglia e il mare; ma rischiavo l’imbecillità, il pensionato rischia di diventare imbecille, e allora mi sono detto: e se facessi ancora qualcosa? Qualcosa di sperimentale, perché ho delle idee in testa che per motivi diversi non ho potuto realizzare quando lavoravo per un’azienda ed ero legato alla produzione. Qualcosa di sperimentale, ripeto, una moto laboratorio che prima costruisci e poi porti in pista. E il progetto è nato nel 2010. Non aveva finalità commerciali, è di natura prettamente sperimentale, e potrei anche descrivere il perché di certe scelte e come sono state realizzate alcune soluzioni che personalmente ritengo molto innovative”.

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E allora fallo. Descrivi per piacere. “Sono partito dall’analisi delle moto sportive in produzione, poi delle SBK e delle MotoGP. Analizzando tutte le problematiche che ancora penalizzano il pilota quando va alla ricerca della miglior messa a punto nel minor tempo possibile, mi sono detto: se Valentino, o Lorenzo, vogliono cambiare sensibilmente l’assetto sulla loro moto da corsa, non lo possono fare nelle prove ufficiali perché i tempi sono stretti. Perché se vuoi cambiare l’assetto sull’anteriore devi smontare la carenatura, allentare e sfilare le canne in alto o in basso; e anche al retrotreno: è vero che ci sono moto abbastanza rapide da regolare dietro, però non sono tante; e allora ci vuole un sistema più rapido per cambiare anche l’assetto posteriore. E l’angolo di sterzo, poter cambiare quello, e addirittura variare anche la rigidezza del telaio: non sarebbe bello poterlo fare nel tempo che i meccanici impiegano per cambiarti le ruote? Perché il cambio ruote è una manovra che si deve fare per forza in un turno di prove. Ebbene, mi sono dedicato allo studio delle soluzioni e alla fine il progetto ha preso il via”. Puoi entrare nei dettagli? “All’anteriore c’è un sistema di regolazione speciale: si sposta tutto il gruppo e non c’è alcun bisogno di allentare le canne. Nella sua semplicità è un po’ l’uovo di colombo. Puoi fare una regolazione nei due sensi di 4 millimetri, che corrisponde a una tacca della forcella (o anche 5 o 6 mm, ma 4 è una misura più che sufficiente per una moto da pista che è quasi perfetta) nel tempo del cambio gomme. La soluzione mi è piaciuta, l’ho realizzata, sono convinto che meriterebbe un approfondimento anche a livello produttivo, naturalmente per una moto di prestigio. Sul posteriore poi c’è un altro sistema, con un traverso che porta l’ammortizzatore rotante anziché fisso: allentando due viti fai la tua regolazione. E’ la parte meno importante del progetto, ma molto rapida”. Ma, se ho capito bene, hai accennato addirittura alla possibilità di variare la rigidezza del telaio... “Questa è una cosa nata dall’osservazione dei problemi lamentati dalla MotoGP della Ducati. Chi sosteneva che è troppo rigido il telaio, e allora via il carbonio, ci vuole una lega d’alluminio alla giapponese. Io non ho mai creduto a queste teorie. La cosa importante è la rigidezza torsionale: quella non deve mai mancare; ma il punto è che trasversalmente, a differenza di qualche anno fa, con gli angoli di piega raggiunti abbiamo bisogno di avere una sospensione laterale perché forcella ed ammortizzatore vengono annullati, non lavorano con quegli angoli così spinti. E la sospensione laterale puoi ottenerla soltanto attraverso l’elasticità del telaio”. “Insomma, se ipotizzo nel progetto una elasticità trasversale “x” e poi non mi va bene, mi tocca riprogettare tutto e impiego dei mesi interi. Se, invece, si riuscisse a ideare un sistema per poter cambiare in pista, in pochi minuti, la rigidezza laterale del telaio, allora si risolverebbe davvero il problema. Lì nacque l’idea, che a livello teorico funziona divinamente: dai calcoli che abbiamo fatto, tu puoi partire dalla massima rigidezza e vai a calare. Naturalmente servono ancora le prove che faremo in pista, se un giorno finiremo questo progetto sperimentale. E sono convinto che questa soluzione darebbe una svolta alle moto sportive, che sono ferme da anni. Tute le regolazioni oggi sono complesse: ma se io ti do la possibilità di cambiare l’angolo di sterzo nei pochi minuti di un cambio gomme, tu puoi farti la tua regolazione nelle prove ufficiali. Senza contare il fatto che il primo pilota che potesse utilizzare questa tecnica avrebbe anche un vantaggio psicologico che farebbe la differenza”. Possiamo dire che un sistema del genere potrebbe piacere anche ai motociclisti dilettanti, e penso ai pistaioli? “Certamente sì. Ognuno di noi cerca nel comportamento dinamico della sua moto un riscontro di un certo tipo. Io per esempio ho sempre cercato la massima rapidità nell’inserimento in curva: fin dai primi decimi di grado la moto deve aver capito che la voglio mettere in curva, non come lo scooter che vuole spostamenti di diversi gradi prima di capire. Ma ogni motociclista ha i suoi gusti. Oggi con i pneumatici si fanno cose pazzesche, ma puoi fare tantissimo ancora con il telaio. Cambiando i parametri a piacere e in pochi minuti”.

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Autore:Stefano Cordara (motorbox.com) Data: 19/11/2001

Miguel Galluzzi Oltre dieci anni fa con la Ducati Monster ha rivoluzionato il settore delle moto sportive, imponendo al mondo le naked dell’era moderna. Con la Raptor ha ulteriormente spostato in avanti il concetto di moto nuda, ponendo le basi per una nuova generazione di due ruote. Lo abbiamo incontrato nel suo studio di Varese dove dirige il centro stile Cagiva. Schietto proprio come le sua creatura più famosa, Galluzzi è un vulcano di idee e di opinioni che non manda certo a dire... Nato nel 1959 a Buenos Aires, Galluzzi ha sempre avuto nel sangue la passione per i motori e anche se odia gli scooter, ha un’attrazione viscerale per le moto. Il padre correva, lo zio correva, persino il nonno correva in moto. E proprio la moto lo conquista subito. Si iscrive alla facoltà di ingegneria di Miami, ma dopo due anni scopre la scuola di design a Pasadena e decide di seguire la sua ispirazione. Il primo impiego è nel mondo dell’auto, alla Opel, in Germania, dove realizza gli interni della Corsa model year 91 e il restyling della Omega, ma da dove scappa appena può per dedicarsi al primo amore. Nel 1988 passa infatti alla Honda e si trasferisce in uno studio di design alle spalle del Duomo di Milano. Nel 1989 il passaggio alla Cagiva, di cui ancora oggi è responsabile del design. Ha creato la Monster quando la Ducati era ancora dei fratelli Castiglioni, poi ha dato alla luce modelli con il marchio Cagiva nonché innumerevoli restyling. Ora ci riprova con la Raptor, la V-Raptor” e l’ultimissima Xtra-Raptor, che segna un altro trampolino di lancio per l’ennesima rivoluzione nel settore delle moto. Ecco il Galluzzi pensiero estrapolato da una conversazione a trecentosessanta gradi in cui si parla di moto, di futuro, di Monster, design, ma non solo... Semplice, vengo da una famiglia di motociclisti: mio padre è stato campione sudamericano di moto negli Anni 50 e 60, mio zio anche, nelle grosse cilindrate. Mio padre era nel team ufficiale Argentino, correva con una Norton Manx e ha finito la sua carriera con la NSU Sportmax; a casa mia tutti erano piloti di moto, ma visto che l’evoluzione naturale di un pilota di moto è passare alle auto, mio padre ha cominciato a correre in macchina. Il giorno in cui sono nato, ha vinto un Gran Premio. Anche mio nonno correva in moto. Ho ancora le foto di quando correva con le Harley Davidson, nel 1920. Logico quindi che io e mio fratello appena abbiamo avuto l’età, abbiamo cominciato a correre in moto. Perché ha lasciato il mondo dell’auto? Una delle ragioni è dovuta ai tempi di progettazione lunghissimi. Alla Opel lavoravo su modelli che sarebbero stati prodotti cinque anni dopo. Oggi i tempi si sono un po’ accorciati, ma la politica, la burocrazia... passa sempre troppo tempo prima di arrivare al prodotto finito. Con le moto, invece, è completamente diverso. Nel caso della Husqvarna, per esempio, ogni sei mesi proponiamo una moto nuova, o un particolare nuovo da rifare, da ripensare... Prendiamo la Raptor: il primo schizzo l’ho fatto nell’estate del ‘98. L’abbiamo messa in produzione 18 mesi dopo, con la preserie già fatta. Diciamo che, normalmente, i tempi sono di 22-26 mesi, a seconda della complessità del mezzo. Solo per questo? No, alla Opel sono rimasto due anni. In quel momento io e mia moglie abbiamo avuto un figlio e il trasferimento dalla California alla Germania è stato uno shock culturale, il lavoro era troppo lento. Quando ho saputo che la Honda voleva aprire uno studio di design a Milano, mi sono proposto e mi sono trasferito da loro. Era sempre stato il sogno di Soichiro Honda avere uno studio di design a Milano, per ciò che Milano rappresentava nel design, nella moda... In realtà era un ufficio satellite, serviva solo a capire ciò che succedeva in Italia, a studiare le tendenze stilistiche e il design delle moto italiane... E’ durato solo un anno: non riuscivano a concludere niente, ci venivano delle idee, le proponevamo, mandavamo i progetti in Giappone e lì si perdevano. 62


Nel 1989 è arrivato a Varese e poi è nata la Monster... La Monster è addirittura nata quando ero ancora in Honda. Si parlava di progettare la CBR 600 F2, come evoluzione della CBR F1, che era completamente carenata. Gli schizzi che facevamo erano tutti di moto carenate, con plastica dappertutto. Poi, un giorno, su un giornale ho trovato questa foto (ci mostra la foto di una Ducati 750 F1 completamente spogliata della carenatura n.d.r.), era la versione tricolore 1988 e mi sono detto: “a me piacerebbe avere una moto così. Questa sarebbe la mia moto, senza tutta questa plastica di m...intorno”. Ho subito fatto uno schizzo e quando sono arrivato in Cagiva (nel 1989) ho fatto vedere i miei disegni e ho detto: “dobbiamo assolutamente costruire questa moto”. Loro dicevano “sì, sì...”, ma poi, come succede sempre... Sono passati due anni in cui ho disegnato scooter di tutti i tipi e colori, fino a quando, nell’estate del 1991 ho preso un telaio della 851, un motore 900, ho messo i pezzi insieme e ho costruito il prototipo. Ricordo alcuni personaggi della Ducati che dicevano che quella moto non sarebbe servita a niente. E’ comunque una storia a lieto fine... L’abbiamo terminata per febbraio e l’abbiamo fatta vedere a tutti. In quel momento sarebbe stato bello avere una telecamera per filmare le facce... “ma... è così? Non manca qualche pezzo?” In un momento dove le moto erano tutte carenate, vederne una cosa così nuda e cruda, era uno shock troppo forte da digerire. Li ho convinti, ma ho dovuto stressarli da mattina a sera. Nell’aprile del 1992, l’abbiamo esposta ad una convention di tutti gli importatori del mondo, quando hanno visto la moto sono rimasti colpiti, dicevano “questa costerà sicuramente poco”. Abbiamo quindi fatto un investimento contenuto per la produzione di 1000/1200 moto, dovevamo fare un serbatoio, qualche pezzo qua e là. Il progetto era partito... e non si è ancora fermato.

Ducati M900 - 1997

Come è nato il nome Monster? L’ho chiamata Monster perché i miei figli (che all’epoca erano piccoli) giocavano con dei pupazzetti di gomma da collezionare che si chiamavano Monster. La Ducati aveva consultato un’agenzia specializzata, si inventavano le scritte più strane, ma non c’era niente che andasse bene. Non c’è stato modo di cambiarlo. C’è stato anche chi si è inventato la storia che la moto è stata chiamata Monster perché era brutta che, ma non è assolutamente vero. 63


Sembrerebbe un’ottima intuizione di marketing, un oggetto del desiderio nato a tavolino... Secondo me la Monster è una cosa che va oltre il marketing. E’ soltanto un riflesso di quello che stava succedendo nella nostra società in quel momento. All’epoca la gente aveva bisogno di semplicità... Venivamo dagli Anni 80 in cui nei paesi industrializzati c’erano gli eccessi di tutti i tipi, soldi facili. Negli Anni 90 c’era invece il bisogno di ritornare a qualcosa di molto semplice, non però di una semplicità banale, ma qualcosa di ricco nei contenuti e molto semplice da capire. Era una mia ipotesi, ma alla fine ho scoperto che rifletteva il pensiero di tanti. Per la Ducati o per la Cagiva (in quel momento eravamo insieme) la Monster è stata la fortuna, ma se anche avesse avuto un altro nome avrebbe avuto lo stesso successo, perché la semplicità è lì dentro, si percepisce. Il tema della semplicità sviluppato con la Monster è valido ancora oggi? Sì, con la differenza che la semplicità di allora è diventata più sostanziosa. Oggi la semplicità è completamente differente. La nostra semplicità oggi si sta rivoluzionando, si sta evolvendo, deve essere più tecnologica, più ricca di contenuti, e lo stesso accade per lo stile. La Monster è più semplice della Raptor, che è più ricca di sottigliezze, ha linee e dettagli che sono stati anche molto criticati, ma criticati o ammirati non conta; l’importante è che qualcuno li abbia notati. Questa, secondo me, è la differenza tra gli Anni 80, gli anni ‘90, oggi e quello che verrà. Non pensa che la Raptor, sia invece un po’ troppo ricercata? Per me rappresenta la semplicità del futuro, per questo abbiamo fatto due modelli. Vedendo la Raptor la gente diceva che era brutta, “mi piace di più la Monster, oppure “ma questa è una copia della Monster” o ancora “ma questa è più bella della Monster”. Questo accade perché la gente ha un parametro di comparazione. Nel caso della V-Raptor, invece, non c’era niente di simile, niente con cui compararla, ha suscitato le stesse reazioni della Monster. Per me la V-Raptor è semplice, ma è una semplicità che è ancora da capire. Ha un contenuto tecnologico molto alto, ma è tranquilla, uno può relazionarsi più tranquillamente senza essere spaventato. La Monster all’inizio si vendeva bene ma non quanto si è venduta tre anni fa, è andata in crescendo man mano che la gente si è abituata a lei. Questo è il nostro pensiero: dalla Monster abbiamo fatto la Raptor, ma la Raptor già ci porta avanti su altre strade con la V-Raptor, la Xtra-Raptor etc. E come si evolverà in futuro? La mia idea è quella di creare delle alternative, di poter realizzare diverse t ipologie di moto da una stessa base. L’esempio della Raptor è chiaro: con due pezzi verniciati posso cambiare la moto, basta un serbatoio e un parafango anteriore e diventa la mia moto, un modello che non ha nessun altro. Se conosco un carrozziere, in un fine settimana posso farla diventare “la mia moto”, solo mia, senza farla diventare qualcos’altro. Secondo me oggi c’è voglia di individualità c’è voglia di poter dire “io ho la mia moto” a prescindere dalla marca. Con Cagiva stiamo seguendo proprio questa strada. Tu diventi unico perché hai una moto che non ha nessun altro e non perché hai una Ducati o una Cagiva. Questa è la cosa più significativa: diventi unico perché hai una moto che non ha nessuno. E’ “tua”, e a questo punto può anche essere di qualsiasi marca. Sei comunque differente da tutto il resto. E’ una tendenza che nasce dal basso o siete voi a proporla? Scondo me è la gente che vuole la personalizzazione. Lo vediamo nei ragazzi di oggi non si individuano più, sono tutti mescolati. Lo vediamo anche nella musica: l’altro giorno parlavo con mio figlio che ha 13 anni e stavo vedendo un video di un gruppo che gli piace, sono otto matti con le maschere che fanno un gran casino... A quale genere musicale appartengono? Mio figlio mi ha risposto che è speed-metal-rap-alternativo. Ma cosa c’entra lo speed metal con il rap alternativo? Questa è la risposta. E’ tutto mescolato e quindi “unico” nel suo genere. Non esistono più le classificazioni tipo “tu sei un rockettaro” e “tu sei un metallaro”: sei un rockettaro metallaro alternativo. Quindi, la moto che più si presta a essere personalizzata è forse quella che ha più probabilità di successo? Sì, perché è quella che ti fa sognare, la senti tua. 64


Ma allora, le nude? Le nude sono quelle, nude e crude. E’ come avere un pezzo di carta bianca. Se io compro una moto sportiva, posso comprare una carenatura in carbonio che è la stessa, al massimo compro qualche pezzo speciale, se ho una Harley Davidson basta sfogliare il catalogo. Se invece io mi compro una naked, posso fare quello che voglio, è solo una questione di immaginazione, di creatività. La puoi fare diventare sportivissima, oppure custom, oppure... quello che vuoi. Poi però dobbiamo vedere se abbiamo la possibilità di offrire i pezzi per modificarla, ma questo non so fino a che punto possa servire, perché poi torniamo a limitare la fantasia della gente. Lasciare la gente libera di fare, forse questa è la strada.

Cagiva V-Raptor- 2000

Insomma, il contrario di ciò che ha portato al successo della Harley Davidson? Se io oggi compro una Raptor posso farla diventare una V-Raptor, devo solamente comprare 4/5 pezzi in più. Allo stesso modo, se compro una V-Raptor, mi stanco e voglio diventare tradizionalista posso togliere i pezzi, comprarne altri e metterli su. Questa è una cosa diversa rispetto alla customizzazione: io non sto personalizzando, sto cambiando la mia moto. Stiamo pensando ad una cosa del genere: offrire parti per cambiare la moto. In pratica si può comprare una Raptor e comprando altri tre pezzi, cambiare la moto, mantenendo un carattere semplice come quello della Raptor. Nel caso della V-Raptor le strade sono ancora più aperte. Quello che farei con la V-Raptor adesso sarebbe troppo, non lo capirebbe nessuno. Ho in mente qualcosa ma poi c’è la realtà del mercato. Che cosa in particolare? Io vedrei un motore con molti cavalli, su qualcosa di molto leggero, roba da farsi molto male. Pensi che il primo prototipo della Raptor aveva un interasse di 1390 mm, avevamo una geometria estrema, cannotto inclinato di 23 gradi, l’avancorsa era quasi 86, in pratica le quote di una 500 da GP. Non a caso il capo progetto era l’ing. Albesiano, quello che seguiva la 500 al Gran Premio. Quell’estate abbiamo realizzato il prototipo, aveva il motore della Suzuki TL-S a potenza piena (120-122 cavalli, mentre ora ne ha 105) e la moto pesava 182 chilogrammi: troppo bello ma troppo pericoloso... Il prototipo era davvero una cosa impressionante.

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E come sarà la moto di domani? Questa, per esempio, potrebbe essere una moto del futuro (dal un blocco estrae il disegno di una moto tutta carenata, con il pilota completamente racchiuso in una specie di abitacolo n.d.r.). Pensa che sia davvero una proposta realizzabile? Perché no? Saremo protetti dall’acqua, dalla pioggia, da tutti questi problemi che lo scooter tenta di risolvere, ma che non riesce e non riuscirà mai a offrire. Avremo ancora il piacere di guida della moto ma guideremo protetti. La carenatura potrebbe però essere diversa da quelle finora prodotte, potrebbe utilizzare altri materiali. Non è detto comunque che le idee che mettiamo su carta siano poi le risposte a quello che stiamo cercando. E gli scooter? Ci pare di capire che non le piacciano troppo... No, per niente, anche se sono utili. La guidabilità di una moto e di uno scooter non sono nemmeno da paragonare. Lo scooter si guiderà come una moto solo quando si cominceranno a costruire dei telai che peseranno 600 kg, ma a quel punto costeranno 20 milioni e allora sarà più conveniente comprarsi un’auto. Il concetto dello scooter era bello perché era un veicolo semplice e non aveva nessuna pretesa. Oggi stiamo pretendendo troppo da un concetto che era chiaro. Alla fine dov’è il vantaggio se nel traffico devo fare la coda tra le macchine? Se oggi apriamo il garage di Miguel Galluzzi, quali auto e quali moto troviamo? Tranne una Renault Scenic, al momento ci sono solo moto. Ho una Honda Helsinor del 1973, la prima due tempi mai prodotta dalla Honda. Era la moto dei miei sogni quando correvo nei cross in Argentina, perché lì non c’era. Per cui quando sono andato in America ne ho subito rintracciata una. Ho anche una Ducati 888, tutta smontata perché volevo farne una Super Monster; poi ho una Monster speciale che avevo realizzato con Azzalin (team manager Husqvarna n.d.r.), peccato che in quel momento tra Ducati e Cagiva sia successo quel che è successo. Ha il telaio con tubi ellittici, l’idea era di produrne una versione speciale in serie limitata a 100 pezzi, ma non se ne è fatto più niente: è un pezzo unico. In questo momento vado in giro con una Honda X4 1300 versione customizzata, enorme, comoda per me (Galluzzi è alto 1.94 metri e peserà oltre cento chili n.d.r.). In Italia non è importata. Quali sono invece, per lei, le 10 moto più belle tra quelle in commercio? Sicuramente la F4: ho guidato parecchie moto sportive ma dopo la F4 il mondo cambia. E’ tutta un’altra cosa, qualsiasi moto sportiva dopo aver provato la F4 è deludente. Io con la F4 mi sono trovato ad andare 30/40 Km in più rispetto a tutte le altre moto che ho guidato. E questo vuol dire che la moto è superiore a tutto il resto. In questo caso rappresenta il massimo della tecnologia ed è imbattibile. Secondo me è il punto di riferimento. Altre moto... Mi ricordo quando è uscita la Buell: è lo stesso concetto della Monster ma molto più grezzo, mi piacerebbe averne una, perché è così grezza, selvaggia, molto americana ma in senso positivo. Sono riusciti a fare qualcosa di nuovo senza dover reinventare le moto degli Anni 40. Ho provato anche la Speedtriple, il motore è bellissimo, peccato il cambio, esteticamente però è bruttissima. Ma come moto, come insieme, dopo averla provata, questa bruttezza diventa quasi accettabile. E la Monster, quella nuova con il motore quattro valvole? Mi sarebbe piaciuto avere una Super Monster ma purtroppo non siamo mai riusciti a realizzarla, comunque non sarebbe stata come quella di oggi. Il concetto Monster avrebbe permesso alla Ducati di aprire strade che non si sarebbero mai immaginate, questo loro non lo hanno capito ed è stata la loro perdita. Quando è stato il momento di fare una nuova moto hanno fatto la serie ST (ST2, ST4, ST4S) invece di usufruire del concetto Monster e svilupparlo in molte direzioni.

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Comunque sempre moto nude... Le moto carenate per me sono moto da corsa e basta. Io parto dal presupposto che se vado in moto è perché mi diverte, è uno svago, faccio dei viaggi, vado in posti dove con le auto non potrei andare. La moto carenata invece è nata per correre, è una moto da corsa e non ti permette di fare molte cose, è scomoda, complicata, non sterza. Ma non è più difficile disegnare una bella moto quando c’è solo un serbatoio e un faro? Per me è il contrario: è più divertente, è una sfida, perché disegnare moto carenate è un po’ come disegnare delle auto, cambiano le linee ma c’è poco di nuovo, è come fare gli scooter. Invece, quando vai a lavorare sui pezzi singoli da mettere insieme è molto più divertente; mettere insieme dei pezzi e far sì che sia tutto armonioso e che si muova in un certo modo è la sfida più bella. C’è qualche particolare che la stimola quando pensa a una nuova moto? Con la Raptor sapevamo che dovevamo arrivare all’evoluzione della Monster; il concetto era chiaro: avevamo individuato il miglior motore a disposizione, c’era un serbatoio e una sella. In quel momento i miei figli avevano un videogame sui dinosauri, c’era un Velociraptor, continuavano a martellarmi su queste cose; ricordo che sul primo schizzo che ho fatto ho scritto Raptor. Subito mi sono reso conto che mi sarebbe piaciuto fare una moto dinamica, che si muove senza essere accesa. Quando guardo le foto della Raptor noto questa cosa. Questa moto si muove, c’è un certo atteggiamento, sulle altre questo non si vede, tutto è molto statico. Sono questi sono i principi dai quali sono partito. Ci sono degli animali che la ispirano particolarmente ? No, però di loro mi ispira la libertà: la moto ti permette di andare nei posti dove con la automobili non puoi andare, io mi diverto ad andare in moto perché quando le auto sono in colonna tu riesci a trovare i buchi da tutte le parti, anche in movimento. Quando va in macchina la gente non vede tutto, in moto invece si ha una visione completa di tutti gli spazi: è come per gli animali, li vedono. Lei ha in mente un motociclista tipo quando pensa a una moto? Pensa a se stesso o ragiona in termini aziendali, al successo commerciale ? Ci sono delle fasce di pensiero. Il punto di partenza per me è sempre il divertimento, il piacere, questa è una costante. Il piacere di guardarla o di usarla? Tutte e due. Se io arrivo e vedo una moto, una Harley ad esempio, oppure la Motò della Aprilia, vedo la moto, ne apprezzo il design, ma non mi viene la voglia di saltargli addosso e fare un giro. Se invece io vedo la Raptor, ho voglia di saltargli addosso, voglio vedere come curva, come frena, voglio fare cioè un’esperienza completa: parto dagli occhi, vedo, ma dopo mi deve coinvolgere tutti gli altri sensi. Quindi, non credo di partire da un motociclista specifico, parto da questo aspetto che io chiamo divertimento, poi c’è l’aspetto industriale: è un veicolo che dobbiamo vendere per guadagnare, per fare tante moto. Occorre trovare le soluzioni giuste al costo giusto.

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Pierre Terblanche (Bike 11-2005) Lei ha disegnato la 999 utilizzando lo stile dello “sbilanciamento delle forme” sapendo che le moto in genere dovrebbero essere armoniose, per quale motivo ha scelto proprio quello stile e soprattutto sapendo che la moto non ha trovato conferme commerciali lo riproporrebbe oppure penserebbe a qualcosa di differente? Per me la 999 non era disarmonica. Codino troppo corto? La Honda Rc211v, l’aprilia RSV4 e la nuova Extreme hanno il codino troppo corto. Era sicuramente troppo moderno. Sbagliato per l’epoca? Sì. Sicuramente, dopo aver visto che la gente voleva un ammodernamento della 916 (cioè la 1098), l’avrei progettata diversamente. Considerando che la serie 999, a quasi 10 anni dalla sua nascita, sta ora venendo rivalutata e contemplata come “moto che non invecchia” anche dai Ducatisti più estremisti (e comunque considerata quasi all’unanimità originale e unica nelle sue linee), cosa ha secondo Lei decretato il suo scarso successo iniziale? Il bigottismo del popolo ducatista o le grandi aspettative che la Serie Perfetta aveva creato? I motociclisti si sono rivelati più conservatori di quanto credessi al tempo in cui disegnai la 999. La 916 era (ed è) una cattiva moto da strada. Bel Design, italiana, bellissima ma una cattiva moto da strada. Fu chiaro dopo i test su strada di tutto il mondo. Abbiamo cercato di fare una moto ben guidabile che fosse adatta a tutte le altezze e misure delle persone e, almeno per gli standard Ducati, abbastanza comoda e guidabile per strada. È venuto fuori che a molti ducatisti non importa quanto la moto funzionasse. Stile più che funzionalità. Viviamo per imparare. La moto fu molto influente a livello di design e alcuni tratti vennero ripresi anche da altre case motociclistiche.

Ducati 999 Maquette - 2000

Prendendo diversi casi di stile in analogia tra corse e strada, e tenendo conto di un margine aerodinamico ed armonico “solo leggermente” differente tra i modelli che l’hanno preceduta (esteticamente la 998 Rs era simile per piu’ del 95% rispetto la 998 stradale ), potrebbe spiegare la diversita’ di linee guida “ base” tra i modelli novenove venduti negli Store e quelli RS/Factory da competizione ? Non vi poteva essere un travaso visivo piu’ netto verso il modello stradale gia’ al momento del lancio”. Al tempo la decisione di cambiare parti fondamentali della moto fu presa dal reparto corse, diversamente 68


dal caso della 916 che era molto simile alla versione stradale, principalmente perchè Massimo Tamburini non consentiva alla compagnia di cambiarla. Questo è stato abbastanza negativo anche per le vendite. Tralasciando la discutibilita’ degli slogan, ed essendo la 999 una moto particolare e “complessa” da riportare in foto, in che percentuale ha inciso, secondo lei, rispetto l’indice di gradimento finale, la “scarsa” attenzione prestata nelle varie inquadrature fotografiche data dai pubblicitari per rappresentare il modello? Non posso giudicarlo. Discutendo sul forum in maniera molto ampia della sua 999 sono emerse alcune osservazioni a riguardo della sua erede 1098, ovvero che nel suo design si ravvisano alcuni dettagli riconducibili alla sua creazione, lei crede che sia così o che sia un caso fortuito? Beh è una Ducati, e magari non era così male.... forcellone a parte. Quando le è stato affidato il progetto 999 ed ha presentato agli amministratori la prima bozza del nuovo modello, non le sono state mosse critiche riguardo l’abbandono del monobraccio? Come si era posta l’amministrazione Ducati,riguardo a questa sua scelta, dopo che il monobraccio della serie 916 era stato così apprezzato dal popolo Ducatista? Infine, la sua scelta di abbandonare il monobraccio, è stata puramente dettata questioni di design oppure anche per qualche motivo tecnico ingegneristico o, ncora, per riprendere il bibraccio delle vecchie glorie Ducati come l’851 e l’888?” La 999 era stata inizialmente disegnata con un monobraccio. Cambiarlo non è stata una mia decisione, l’abbandono del monobraccio venne decretato dall’ing. Domenicali e il reparto corse. Ai tempi si credeva che il forcellone bibraccio fosse migliore. In effetti la decisione di reintrodurre il monobraccio venne dal reparto marketing. A cosa si è ispirato per realizzare la serie 999? Come in tutti i progetti, l’ispirazione viene da molte cose. Moto da corsa, aerei eccetera. È veramente difficile da dire. Il Design non è una scienza. Mi corregga se sbaglio: il suo stile è contrassegnato da una integrazione tra serbatoio e codone, tanto da creare quasi un componente unico e fortemente scultoreo. Il concetto è ben rappresentato sull’MHe900 (che integra anche il cupolino), sulla 999 (dove il gruppo codone e serbatoio raggiunge la bellezza stilistica di un oggetto di design autonomo) e sulla recente evoluzione vista nei prototipi Moto Guzzi. Questo concetto stilistico ha una derivazione automobilistica, quasi ad intendere quella parte di carenatura motociclistica come la carrozzeria di un’automobile? In alternativa, da dove deriva? Cosa lo ha ispirato?” Il concetto era stato visto precedentemente in moto come la NCR900 endurance racer e la Triumph X75. La ragione principale era che sulla 999 la monoscocca serbatoio-sella era regolabile come i sedili di un’auto. Era possibile muoverla avanti e indietro e questo aveva una effettiva influenza sulla manovrabilità. L’idea iniziale era di renderla anche regolabile in altezza. Rispetto ai bellissimi bozzetti di presentazione del 999, firmati Sam Matthews, il 999 definitivo si presenta con una certa riduzione di concetti stilistici. Questa riduzione è un processo inevitabile che tende a mortificare spesso la creatività dei designer nel raffronto con le esigenze di produzione e commerciali. A parte questa motivazione, il suo ruolo, inteso come Direttore del Centro Stile Ducati, come si è espresso? Si è occupato di supervisionare il passaggio dal Concept al modello definitivo o ha lavorato anche su specifiche parti del 999? Secondo Lei, in questa transazione inevitabile, il 999 definitivo ha subito delle “svalutazioni stilistiche” (dovute alla necessità di adeguare certe linee, certi concetti) o ritiene che la veste definitiva del 999 sia quella migliore per il mercato? Sono stato responsabile del progetto fino alla fase prototipo. Chiunque abbia comprato il libro sulla 999 può vedere che molti dettagli sono stati cambiati dopo, in meglio o in peggio. 69


Dopo che abbiamo mandato il prototipo al reparto ignegneristico sono stati fatti molti cambiamenti, specialmente sui dettagli senza coinvolgere il reparto Design. Il silenziatore in particolare è stato rovinato secondo me. Molti dettagli sono stati persi. La moto originale aveva un solo faro, quello in basso, per ragioni non facili da spiegare un secondo faro è stato aggiunto in seguito, andando a scombinare il frontale della moto. La luce di posizione è stata spostata sul plexiglass, orribile. La cosa che dovete capire è che lavorando per mr. Mengoli il reparto design era completamente ignorato durante la fase di produzione, a volte con risultati sfortunati. Le cose sono migliorate molto lavorando per l’ing Domenicali. Guardando il Supermono, a mio avviso un capolavoro stilistico ancora oggi attuale rispetto alla concorrenza, emerge una maggiore essenzialità nelle linee stilistiche. A parte alcune raffinatezze (come le prese d’aria o la bellissima linea del cupolino e del serbatoio), sembra che la moto esprima linee più semplici. Il 999, sempre a mio avviso, esprime la stessa raffinatezza ed essenzialità, ma sembra caricato da diversi dettagli meno essenziali, meno legati alla tradizione Ducati nelle corse. Considerando che il Supermono è comunque una moto da corsa e non ha legami con la produzione commerciale, questi dettagli sono stati aggiunti per suo volere o è stata una scelta dei settori Commerciale e Marketing (con l’obiettivo di vendere il 999 anche ad un nuovo pubblico, meno legato alle Ducati troppo estreme come il 916)? Non è stata una decisione dovuta al marketing, è stata mia. Rispetto al Concept dell’MHe900, altro capolavoro stilstico e di connubio tra passato e futuro, la versione definitiva presenta una elevata fedeltà. Alcuni dettagli non potevano essere certo trasferiti (telecamera, frecce negli scarichi, parafango anteriore minimalista, monodisco in carbonio). La scelta riduttiva, a mio avviso, del faro antreiore del Monster da dove deriva, invece? Non si poteva lasciare il doppio faro sovrapposto come sul Concept, che risulta meno “old style” e quindi più innovativo e leggero? Il problema è da ricercare soprattutto nei costi e nelle problematiche di omologazione di un nuovo faro (basta vedere Bimota)? Principalmente per ragioni economiche e di management. Quando la MHE era in preparazione per la produzione, i manager non hanno creduto nella moto e hanno pensato che ne sarebbero state vendute solo 150 in tutto il mondo. Questo ha avuto un grosso impatto sulla tecnologia usata in molti componenti (serbatoio, fari, etc) e ha portato ad un abbassamento generale della qualità dei dettagli. In realtà la MHE al tempo era la Ducati con maggiori possibilità di profitto, al pari della 999R.

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Grazie al suo lavoro e a quello dei suoi predecessori Ducati da sempre è stata fucina di nuove idee stilistiche, coraggiose ma sempre all’avanguardia sotto il profilo estetico, dalla quale sono uscite pietre miliari del design motociclistico, insomma, esempi seguiti in passato da moltissimi. Attualmente, senza togliere valore alle pur belle livree di nuova produzione, mi pare di notare un’avvicinamento a linee e forme non innovative ma ispirate dalla grande produzione motociclistica estera. Cosa pensa di questa inversione di tendenza? Per loro sembra funzionare. È un po’ triste se sei un designer, ma così è la vita. Questo approccio sembra essere ciò che i clienti vogliono. Lei ha eseguito l’upgrade della 851 in 888, ha realizzato la Supermono e l’Hypermotard. Sono 3 moto di grande successo ma che per forza di cose le “Hanno messo dei paletti” dato che la 888 era un’evoluzione, la Supermono era dettata dalla funzionalità richieste dalle gare e l’Hyper...non è che abbia dato molto spazio alla creatività in quanto le motard non danno molte possibilità in quel senso. Ora la serie 999 e la serie SS dove lei ha avuto briglia sciolta non hanno avuto il successo sperato, mentre il Multistrada molti proprietari la lodano ma dicono anche “certo che quel cupolino...”, secondo lei perchè il suo design “imbrigliato” ha un successo enorme mentre quello “libero” al contrario viene aspramente criticato? Veramente io aggiungerei anche la MHE a questa lista. E credo che dovrebbe essere rivista un po’. Sono in completo disaccordo con la tua affermazione. La 888 era un ammodernamento, quindi non c’era troppa libertà. La SuperMono era completamente nuova (libertà completa). La cosa divertente è che le moto da pista sono molto meno impegnative da disegnare rispetto a quelle da strada. Non ci sono limiti da rispettare per le omologazioni e le altre cose.... Libertà completa. La SS era basata su un telaio vecchio di 15 anni, pensata per durare due o tre anni. Niente libertà qui, un ammodernamento con il serbatoio basato su quello pre esistente. La Mhe è stata completamente libera. La Hypermotard è stata una moto completamente libera e speciale, nel senso che nessuno in ducati voleva veramente quella moto. O almeno non nel reparto tecnico o in quello commericale. Sono in disaccordo sul fatto che un motard non consenta di utilizzare molta fantasia... cosa significa?? Nel rapporto che ho scritto per la hypermotard c’era scritto che volevamo creare una nuova nicchia come era stato fatto con la monster. Ai tempi non era così ovvio che le vere motard normali erano abbastanza cattive per strada. La hypermotard non è veramente un motard, è una buona moto da strada travestita da motard, una sorta di moderna Scrambler. Adesso che la 796 è sul mercato, credo che possa veramente vendere di più della monster in Italia. Multistrada. Sono veramente orgoglioso che la moto sia entrata in produzione. Per me era chiaro che c’era lo spazio (e la necessità) nel mercato per una moto come questa. Attualmente la multistrada sta vendendo più delle supersportive di un buon margine in mercati come quello italiano. C’era un progetto per una Multistrada 1200 a liquido già nel 1999. È stata una scelta del management di puntare sulla moto ad aria (e in realtà la moto ha raggiunto le vendite aspettate dalle ricerche di mercato). Le vendite annuali erano all’incirca di 3500 moto al tempo. La 1000 ha anche vinto alcuni premi come moto sport-touring dell’anno secondo Cycle World USA , e anche in Australia, non male. Lo stile e il comfort non erano magari all’altezza delle aspettative. Normalmente le case risolvono questi problemi durante gli aggiornamenti successivi. La multistrada è stata veramente importante per Ducati perchè ha spianato la strada per un nuovo segmento di ducati non sportive. Una nuova multistrada? Non sarei sorpreso se vedessimo una nuova Scrambler o uno Scooter presto. Solo otto o dieci anni dopo che erano stati proposti per la prima volta. Come si suol dire, è la sorte dei designer. 71


Gerald Kiska (Motociclismo 25 novembre 2008) Gerald Kiska, proprietario dello studio Kiska Design e a autore, insieme con il suo staff, dello stile delle più famose moto KTM. Kiska ci ha raccontato come è nato il suo studio, come lavora un designer, quali sono le maggiori difficoltà da affrontare e ci ha rivelato tutti i segreti che hanno fatto delle moto austriache un elemento di rottura con i canoni classici del design. La Kiska Design è nata in sordina nel 1990, inizialmente era invisa e persino irrisa per la sua scelta delle linee squadrate. È identificata con KTM, ma ha lavorato anche per gente come Piaggio, Aprilia e Guzzi, ed è arrivata nel 2008 alla bellezza di 110 dipendenti. Bella grande, no? “Altroché. Non pensavo nemmeno che fosse possibile, solo due anni fa”. E poi cos’è successo? “Beh, nuovi clienti, nuove commesse. Soprattutto, le ruote si sono moltiplicate: da due a quattro. Abbiamo già lavorato in passato per Hyundai e Honda auto, ora abbiamo nuovi clienti, in Germania: ma non posso ancora dire chi sono. Proprio in questi giorni ci stiamo spostando nella nuova sede, 5.000 metri quadrati. Davvero non pensavo fosse possibile”. Kiska viaggia come un siluro in moto, ha girato con noi su un itinerario verso il Lago di Come, è una persona sorridente ed modesto in tutto, salvo quando si parla di design. Allora diventa deciso e tagliente come le sue KTM. “Ma io non mi identifico con lo stile affilato. Quella è una scelta pensata apposta per KTM, per rendere in qualche modo visibili l’anima e il cuore del marchio. La trovo perfetta per una Casa così ‘hard’, e continueremo a sviluppare questo linguaggio. Del resto pare che questa idea abbia avuto successo: Honda, Yamaha e soprattutto Kawasaki e Aprilia sono diventate negli anni un po’ più spigolose. Basta guardare come è cambiata la RSV dalla prima alla seconda serie…” PIONIERI DEL DESIGN Lei come trova le Case giapponesi, che all’opposto di quelle europee non hanno designer né tecnici riconoscibili, e tengono tutto nascosto dietro una tenda nera? “Dietro quella tenda ci sono persone, però. Certo, lavorano in gruppo; ma anche da me si lavora molto in gruppo: sulle KTM hanno lavorato almeno 15 ragazzi diversi, tuttavia i risultati sono coerenti. Comunque è vero che la consapevolezza dell’importanza del design nella moto è un fatto piuttosto recente, e forse nemmeno del tutto acquisito. Castiglioni è stato il primo ad assumere designer professionisti – Galluzzi e Terblanche – e a portare il design all’interno della sua azienda. Prima ci si affidava solo a società di consulenza, come la mia”. Come si spiega le ragioni del vostro successo? “Le persone. Tutti sanno fare uno schizzo al PC, ma la qualità non è da tutti, e i miei ragazzi sono selezionati e lavorano duro. Il design è un ambiente difficile, è un po’ come essere in Formula Uno: tutti vogliono vincere, e per emergere oltre ad essere bravo devi anche capitare sulla vettura giusta al momento giusto”. Si direbbe che con KTM anche lei sia salito sulla vettura giusta al momento giusto… “Mentirei se dicessi di no. Ma non è stato comunque facile: loro sono stati i miei primi clienti del settore moto e un anno dopo, nel 1991, hanno fatto bancarotta. Quando sono ripartiti erano 160 in tutto, noi solo 72


in 4: ora siamo 2.000 e 110 rispettivamente. Per loro abbiamo sempre fatto tutto: lo stile delle moto, l’abbigliamento, le campagne pubblicitarie. La svolta è venuta con la SuperDuke, la prima moto in cui ci hanno riconosciuto per il design, per il diverso approccio: e si è cominciato a parlare di noi. Ma abbiamo lavorato per molti clienti diversi, perfino per Vespa”. Lavorate anche in modo diverso dagli altri? “Non direi, anche se ho fatto mio il motto del mio primo maestro: ‘Tutto quello che non puoi schizzare in 3 righe non è design’. Anche la RC8 sta tutta nelle 3 linee che definiscono il fianco… Poi guardiamo molto le altre moto, ne studiamo le superfici, l’ergonomia, le guidiamo. Sono un fan del modo tradizionale di fare, col clay: la moto io la voglio toccare, sedermici sopra dopo che l’ho scolpita”. Quali sono le sue moto preferite al di fuori di KTM? “La Ducati 916 resta un capolavoro irripetibile, fuori dal tempo. Poi mi piace la Benelli TnT”. Ducati? “Finita l’era Terblanche, anche Ducati sta recuperando coerenza. È interessante il fatto che i tre designer di casa crearono all’inizio tre moto diverse, ma coerenti fra loro: la Monster (Galluzzi), la 916 (Tamburini) e la Supermono (Terblanche). Poi Terblanche prese in mano tutto, e supportato dalla dirigenza (Bordi e poi Minoli, ndr) portò l’azienda da un’altra parte, dalla parte che aveva in mente lui. Ma la prima regola dell’industrial design è che è l’azienda che deve contare, non tu. Se c’è una forte continuità storica, la devi rispettare. Terblanche è stato troppo egocentrico”. Ora però dovrebbe arrivare una nuova nuda su base 1098. Immaginiamo che la Venom sia la vostra risposta. “Ci stiamo ancora riflettendo. Non siamo sicuri che una nuda da 160 CV sia la cosa giusta da fare. Credo comunque che il mercato si dividerà in due: uno per i mezzi di trasporto più o meno utilitario, e il terzo superiore per chi vorrà guidare davvero, e chiederà qualcosa di speciale a questo scopo. Lì bisognerà vedere quale sarà la soluzione migliore per i clienti: per esempio personalmente non amo le 4 cilindri 600: alla fine sono divertenti solo in pista, e per andare dal panettiere ti obbligano a fare 14.000 giri”.

La RC8 è il tentativo di fare una sportiva diversa, facile da guidare e originale anche stilisticamente. “Ci siamo ispirati al caccia Stealth, lo strumento tecnico più avanzato del mondo, che si muove ad altezze e velocità diverse da quelle degli altri aerei. Siamo partiti da linee molto pure nella parte centrale, la parte superiore era molto meno importante e la coda è verniciata in nero per farla ‘scomparire’. Questa moto, come la vedo io, potrebbe finire col serbatoio!”

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Qualcuno ha espresso il dubbio che, come tutte le provocazioni, possa stancare presto. “Posso solo rispondere che noi crediamo nel progresso. E in KTM ci va di lusso: facciamo un prodotto di nicchia, non è necessario piacere a tutti e si può osare, anche a costo di dividere le opinioni. E poi si fa sempre l’esempio della MV F4, che non è cambiata negli anni: è vero, ma è vero anche che le sue vendite sono calate costantemente”.

In effetti la RC8 ci sembra meno di rottura, per esempio, della 690 Supermoto. “Che voleva infatti esserlo: era il primo nuovo monocilindrico KTM da anni, ed era pensata per clienti nuovi, del tutto diversi da quelli tradizionali. A due anni di distanza, penso che sia successo proprio quello che avevamo previsto per questa moto”. Avete la stessa libertà con i cinesi? Voi siete coinvolti nel progetto Generic (R&D a Taiwan, stile in Austria e produzione in Cina) e disegnate scooter per QianJiang, i proprietari della Benelli. “QianJiang è una delle poche aziende cinesi a voler far bene il suo mestiere, lavorando con loro da 6 anni abbiamo imparato a conoscerci a vicenda e ad evitare errori, lentezza. C’è coerenza anche nelle nostre relazioni. Ma in Cina al momento non vedo alcuno stile né alcun marchio emergenti. È vero che anche i giapponesi sono partiti copiando e ci hanno messo un decennio per tirar fuori la CB 750, ma la cultura cinese è completamente diversa: non si pensa a migliorare la produzione europea, ma a vendere e far soldi.” In Cina ci sono meno preconcetti, diverse aspettative e diverse esigenze, che sembrano favorire la moto elettrica. Lei cosa pensa in proposito? “Che questo tipo di propulsione aprirà nuove possibilità. Ma credo che l’ergonomia della moto, la sua struttura, sia già molto evoluta, quindi cambierà poco.”

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Autore: Riders Febbraio 2013

Ola Stenegard Come lo immaginate Ola Stenegard, il designer della BMW SIOOORR e della serie HP2 Sport? Eccolo: è sicuramente quel tipo minuto e vestito di scuro che emana carisma dal centro del pala BMW all’EICMA, il Salone della moto di Milano. Sta discutendo con un ragazzone dal cranio desertificato e la camicia fuori dai jeans cimosati, gli scarponi da boscaiolo e il pizzo appuntito da chopperista vecchia scuola. Una specie di alieno, fra tutte quelle cravatte. Tendo la mano, ma il magrolino gira i tacchi. Invece il biker si gira, sorride, il viso gli sillumina: «Riders? Hello Pm 0121!». Il responsabile del design moto di Monaco di Baviera è uno svedesone di 42 anni con tre figli e un nome da deteisivo. Un topone da garage intriso di cultura custom, che imparò a saldare a sette anni per allungare la forcella della bici. Adora gli hot rod ed è membro dei Plebs, il chopper club che organizza ogni anno l’elitario show di Norrtàlje, in Svezia. Al Centro sfile BMW è stato portato da “Il tortuoso percorso di passione.

BMW HP2 Sport - 2009

«Nel 96 studiavo design industriale a Stoccolma, ma mi annoiavo. Quando arrivò l’invito del College di design a Pasade-na, Los Angeles, fu come entrare in paradiso. Disegnavo auto e moto ogni giomo nel cuore dell’universo hot rod. I miei professori erano gente come Harry Bradely, il papà della Chevro-let El Camino del 68, o Ron Hill che aveva crea-to la Cadillac Eldorado del 58». Intascata lalaurea con un progetto di powercruiser V1OOO sponsorizzato Aprilia, Stenegard passò prima alla Saab a disegnare auto, poi al centro stile della rinata Indian a Gilroy, in California. Si trattava di rilanciare un marchio fondato nel 1901, ancora più antico di Harley-Davidson. Sfortunatamente nel 2003 Indian cominciò a perdere colpi, cosi Stenegard si rivolse alla BMW dove per un’irripetibile congiunzione astrale, stavano cercando un designer esattamente come lui, con un piede sulla pedana davanti e l’altro su quella arretrata. O meglio: che conoscesse bene sia il mondo custom, sia quello sportivo. In BMW, Stenegard cominciò a lavorare subito con i pezzi grossi: David Robb e l’attuale direttore del Design BMW, Edgar Heinrich, che sostituì alle moto tre anni dopo. Niente male, per uno che ha passato gli anni più selvaggi cavalcando un chopper estremo con il serbatoio a forma di bara. Quanta gente lavora al Centro stile Motorrad BMW? Nel Centro stile moto operano Quattro reparti: il vehicle design che dirigo, le grafiche, l’abbigliamento dedicato e i capi progetto del’engineering. Nel mio team lavorano da dieci a 12 persone dai 23 ai 52 anni 76


provenienti da cinque Paesi diversi, che si occupano di ogni parte visibile della moto. C’è anche un italiano. Per ogni progetto è costituito un team con persone pro-venienti da ogni reparto, sempre in stretto contatto con gli ingegneri. (Afierra il taccuino, si mette a disegnare una specie di sistema solare). Vedi, al centro c’è 1a moto. Intorno girano i re-parti satellite che si occupano del motore, del telaio; qui c’è lo styling, qui la fabbrica di Berlino. La cosa che mi piace molto di BMW, e che forse pochi sanno, è che ci lavorano tutti motociclisti con la passione di cui sono capaci. Un buon designer senza un buon progettista di telai o di motori non conta nulla». Tutti d’amore e d’accordo’! No, a volte ci sono discussioni anche dure, ognuno sostiene le proprie idee. Anche con l’esperienza: le persone coinvolte girano spesso in pista per dimostrarle. E girano seriamente. Ma lo stesso potrei dirti del team che si occupa della R 1200 GS. Quanti pezzi ci sono nella Sl000 RR? Potrei dirti duemila, la verità è che non ne ho idea. Per ognuno però, per esempio un pistone o anche la cilindrata, ognuno di noi è chiamato a dire la sua ed è questo il bello. Quando per esempio un ingegnere ci mostra il progetto di un motore compatto, diamo subito l’approvazione perché è proprio questo che fa per noi. Significa che intomo possiamo disegnarci una moto ancora più stretta. E i millimetri contano. Quando costruivi chopper nel tuo garagino in Svezia, avresti mai pensato di firmare un capolavoro hi tech come la Slooo RR? Sono cresciuto a Gotland, un’isola della Svezia grande come la Sicilia, senza intemet e modelli da seguire. Disegnavo moto sull’esempio del mio fratello maggiore di 15 anni, che suonava in una rock’n’ro1l band ed era appassionato di choppei e hot rod. Mi disse semplicemente: ti piacciono le moto? Allora fatti un chopper. Punto. Li fai ancora? Si, li altemo alle cafe racer. Ma giro parecchio anche in circuito, adoro la guida sportiva. Il garage lo condivido con il responsa bile di tutto il design auto e moto BMW, il mio capo Bdgar I-Ieinrich, è un po’ la nostra chiesa. E una special BMW? I miei ragazzi continuano a chiedermelo. Invece preferirei prendermi una RR e bombardarla per la pista. Sei un hot rodder, potresti choppare una vecchia 503 degli anni Cinquanta... Non so nulla delle auto BMW! Per me ci sono solo le muscle car americane, le Dodge Charger e le Challenger. Le Mercury dal 49 al 51, oppure le Ford del 32: un mio amico ha una five window coupe che per me è l’auto più bella di sempre. Devo averne una anch’io, ne ho bisogno. Quali sono i customizzatori più influenti, oggi? Oh, ce ne sono tanti e di stili diversi. Cominciamo la lista? ChopperDave, Powerplant a Los Angeles, Jeff Wright di Giurch of Choppers, Roland Sands, Max Schaaf. In Svezia Unique Custom Cycles, LeBeef, Hawgholic... Ecco, Ronria e Benna Toren di UCC sono pura scuola svedese, veramente avanti. Appartengono al mio stesso club, i Plebs Choppers. Il bello della scena chopper è la creatività e il talento che sa esprimere, e migliora a ogni generazione, in tutto il mondo. Tra gli italiani mi piacciono molto i ragazzi di Abnormal Cycles, fanno roba superfiga. Appartengono a quella che chiamo generazione Dice, la rivista. Ragazzi in gamba che costruiscono chopper e cafe racer vecchia scuola. È questo che ti ispira nel disegnare una moto? Per i chopper sì. Per 1a Siooo RR, l’ultima che ho disegnato da zero, ho guardato alla tecnolo77


gia della MotoGP. Le idee sono arrivate dalla pista, girando e osservando i collaudatori BMW. Per la GS è stato diverso, hanno pesato la storia BMW, le prime GS e le immagini degli enduristi. Qual è la moto più bella mai prodotta, quella che avresti voluto disegnare tu? La Britten VIQOO, anche se è di piccola serie. Possiede tutto quello che può sconvolgerti in una moto. Anche oggi, dopo più di dieci anni, ogni volta che la vedo alla Motorcycle Collection in Svezia, ci giro intomo delle ore. E l’ha fatta un uomo solo, John Britten! Incredibile. Avrei senz’altro voluto firmare 1a Ducati Panigale, è un mix perfetto di buon design e buona ingegneria. E poi certo, cisono i grandi classici come la Vincent Black Shadow, la Norton Mamr. Il suo telaio, il Featherbed, fu disegnato nel i948 eppure lo ritrovi ancora oggi in un sacco di moto. Quindi è questo il segreto del buon design, la semplicità? È guardare sempre avanti, innovare cercando soluzioni che migliorino il mondo. Io amo le moto retrò, un sacco di gente le ama, ma bisogna spingersi ogni volta un po‘ più in là.

BMW S1000RR - 2009

Però c’è chi sostiene che il design moto, a furia di spingersi oltre, sia arrivato a un punto di stallo. Quale moto disegneresti per un venten-ne? Mettere i giovani in moto è un problema. D’altro canto c’è unbndata di popolarità del classico, vedi Blitz Motorcycles a Parigi, i Wrench-monkees, tutta gente che non ha certo 55 anni! Moltissimi giovani sono attratti dai concetti di retrò e di tradizione, proprio in contrasto alla modernità a tutti costi. Pensa alle scarpe Red Wing o ai jeans di taglio vintage. Quando tutto diventa molto tecnologico e cambia di continuo, i giovani tornano alla old school. Una forma di rivolta dello stile? Non so se è ribellione, ma quando il consumo è sempre più rapido, credo sentano la necessità di qualcosa di buono che duri tanto, senza stress. Un bisogno profondo di stabilità. Allora è una moto basica che hai in mente per loro. Sì, che non dia stress... Potrebbe essere una risposta. Poi anche iventenni di oggi invecchieranno, troveranno un lavoro che li assorbi-rà, metteranno su famiglia e non avranno più il tempo di smanettare sulle loro 78


vecchie Honda. La cosa veramente importante è che la loro mente resterà alle moto. È una passione che quando ti infetta, non ti molla più. E il cinquantino? Dà libertà, è innegabile. I giovani hanno bisogno di mezzi di trasporto e non credo che internet possa sostituirli nel loro bisogno di socialità. Mio figlio chatta con i suoi amici, ma alla fine deve incontrarli di persona. Piuttosto, la questione è: cosa può avvicinare i giovani agli scooter, cosa possiamo ofirire loro di nuovo? Forse qualcosa di elettrico. Quindi la tua anima custom può convivere con le moto elettriche. Certo! Two wheels, good to go. Basta che non abbiano i pedali. Anzi, penso che le potenzialità siano molto maggiori in quel campo ora. I dati di vendita dicono che i quarantenni,quelli con i soldi, non cercano più le prestazioni. La potenza ci sarà sempre. Anche se ho più di 40 anni, quando guido una moto sotto i cento cavalli ne vorrei di più. Uimportante è che siano gestibili. Guarda la Multistrada, ne ha 150 ed è un ottimo crossover di sport touring. E la R 1200 GS? Sono sorpreso dell’esplosione di vendite che ha avuto in Italia. Dici che va di moda? È un concetto che fatico a comprendere. Gli italiani disegnano le carrozzerie con le donne in testa. Tu a cosa pensi’! È curioso che tu me lo chieda, perché parliamo molto di attori per riferirci alle moto. Invece per la S1000 RR pensavo a una sprinter giamaicana, Sherone Simpson, argento nella staffetta 4x100 alle Olimpiadi di Londra. Bellissima, velocissima, esplosiva. Invece cosa ascolti mentre disegni? System of a Down, Fu Manchu, Slayer. Roba così, credo si senta guardando le moto. In garage è diverso, preferisco roba più psychobilly, tipo Reverend I-lorton Heat, musica meno pesante. A proposito di custom e cruiser, ti piacerebbe ridisegnare la BMW Rizoo C7 La C risale a quando cercavamo di espandercì negli Stati Uniti con le cruiser, ma con Harley-Davidson è estremamente diflìcile entrare in quel mercato. Willie G. Davidson ti offre di diventare capo del centro stile di Milwaukee. Come le disegni, le Harley del 2014? In I-I-D fanno un lavoro fantastico, non cambierei nulla. Loro hanno il perfetto bilanciamento di stile e performance e riescono anche a ritagliarsi la libertà giusta per customìzzare. H-D riesce a fare cose che, se lavori nelPindustria, sai quanto siano difficili e a volte quasi impossibili da realizzare. Tipo la forcella springer, o certe complesse verniciature flake di serie! Solo il fatto che riescano a omologare i loro grossi V-twin raffreddati ad aria esige rispetto. Ma se proprio me lo chiedessero, forse una serie limitata di WR period perfect, oppure un bobber Knuckle o Panhead cazzuto. A cosa stai lavorando adesso? Sul prototipo di cafe racer mostrato al Salone di Milano solo nel giorno dedicato ai media. Ma non posso dire molto altro. Quando torni a casa, riesci sempre a separare il garage builder dal designer industriale, il dottor Ola e mister Stenegard? Devo farlo, ma ho bisogno di entrambi. In garage, quando accendo la saldatrice e mi sporco le mani, entro in uno stato di meditazione. Toglimi questo per una settimana ed entro in depressione. 79


Autore:Francè racingcafe.blogspot.it

Sergio Robbiano Sergio inizia la sua attività di designer nei primi anni ‘90, presso la famosa “CRC” (Centro Ricerche Cagiva), alla “corte” di Massimo Tamburini, contribuendo alla realizzazione della meravigliosa Ducati 916 e di una delle 125 più famose e vendute di sempre: la Cagiva Mito. Nel 1995 fonda la Robbiano Design ed è con la famosa casa italiana Bimota che il talento di Sergio si esalta, creando diversi modelli quali la mitica 500Vdue (1996), la SB8R (1997), la DB5 (2004) e la DB6 Delirio (2005). Con la Bimota DB5, nel 2004, Sergio si aggiudica anche la Motorcycle Design Award nella categoria Supersports. Recentemente sul sito web della Robbiano Design, da poco rinnovato, sono apparsi i rendering dell’Aprilia RSV4 creata per la casa di Noale. Oggi è prassi per le grandi case motociclistiche commissionare a più centri stile (esterni all’azienda) il design delle moto che verranno. Dovete sapere inoltre che l’attività della Robbiano Design non è solo legata al mondo della moto ma anche a quello dell’abbigliamento motociclistico, delle grafiche, degli Atv e delle motoslitte: Agv, Mds, Spidi, Xpd, Blackbird, Mgm, Arctic Cat, Aeon, Cagiva e Husqvarna sono le aziende con cui il centro design di Sergio ha collaborato e collabora tuttora.

F: Sergio sei un motociclista? Se si, che moto ci sono nel tuo garage? S: Ovviamente si! nel mio garage ci sono le moto che ho fatto in diversi allestimenti; una Mito ev da corsa preparata grazie al supporto di Massimo Tamburini ed utilizzata sino al 2003 nelle piste di mezza Europa, utilizzo su strada una DB5 mille e soprattutto una Delirio. La 500 Vdue e la SB8R sono nuove mai accese. F: Cosa è per te la moto? S: La mia vita dopo la mia famiglia, ed una fonte inesauribile di divertimento ed ospedali! Diventare designer di moto è stata la conseguenza di una enorme passione sin da ragazzino. Se avessi avuto le doti sarei stato un pilota senza ombra di dubbio. F: Quali sono i principi guida, in termini di design, che le tue moto devono possedere? S: Per me il design viene dopo la meccanica: me lo ha insegnato Massimo Tamburini e condivido al 100%; se guardi una DB5 senza sovrastrutture è una capolavoro di armonia, compattezza ed aggressività. Il de80


sign deve esaltare la bellezza della meccanica e non coprire e nascondere. Forse è questa la ragione per cui ho creato moto soprattutto con Bimota. F: Di fronte ad un ipotetico foglio bianco, qual’è il primo elemento della moto che disegni? S: Ovviamente il foglio bianco ha sempre già disegnato il layout del motore...da li si inizia con telaio, forcellone, quote ciclistiche e disposizione degli organi ausiliari. Insomma il lavoro che ho avuto l’opportunità di fare con DB5 e Delirio. F: Esistono dei messaggi particolari che vuoi esprimere quando disegni una moto? S: La moto sportiva per me deve comunicare leggerezza ed agilità ancora prima che potenza ed aggressività. Le naked lasciano aperte piu strade interpretative...gli scooter ed il touring sono due mondi che non mi appartengono...ma non si sa mai. F: La Robbiano Design collabora attivamente anche con AGV e Spidi, aziende leader nel settore della protezione. Come si plasma il design con le particolari esigenze di aerodinamica, comfort e protezione?

S: Collaborare con AGV, MDS, Spidi ed XPD da 15 anni è stata una vera scommessa vinta con me stesso, ho ampliato enormemente la mia esperienza ed ho dovuto imparare cose differenti ma sempre limitrofe al mondo del design moto. Anche in questo caso essere un motociclista praticante mi aiuta tantissimo; nel 2001 mi fracassai un braccio sul circuito di Ledenon in Francia...ebbe una grossa importanza nello sviluppo delle future protezioni che feci insieme al Safety Lab di Spidi. F: Ci sono moto della concorrenza che avresti voluto disegnare? Quali sono e soprattutto per quale motivo? S: Avrei voluto disegnare la Honda RCV 211 del 2006. Una svolta per le moto sportive di oggi. E poi non ho mai lavorato per Honda! F: Sul sito ho visto i bozzetti dell’Aprilia RSV4 creata da te. Potresti parlarmi di questa bellissima moto mai nata? S: Anche in questo caso ebbi la fortuna che c’era solo il motore...e quindi proposi delle soluzioni che rendessero ciclisticamente l’Aprilia differente da qualsiasi altra SBK. Il telaio composito con piastre in magnesio ed il forcellone fatto con lo stesso schema avrebbero segnato per sempre una moto sportiva di svolta. Il design che ne consegue puo essere bello o brutto, e comunque cambia con i tempi, mentre ogni volta che introduci una tecnologia nuova mostri al mondo ciò di cui sei capace e scrivi un piccolo pezzetto di storia. La storia rimane, il design passa. La ragione era tecnicamente giustificata dal fatto che cambiando solo le parti in magnesio avevi la possibilità di stravolgere completamente le quote ciclistiche della moto. F: Quale tua creatura ti ha dato le maggiori soddisfazioni? Perchè? S: La Bimota 500 Vdue mi diede delle emozioni uniche perchè fu la prima moto fatta da solo dopo tre anni sotto la direzione di Tamburini. La Bimota DB5 è stata una sfida unica; eravamo in cinque ma con una volontà ed una passione oltre i nostri limiti. 81


F: Potresti raccontarci qualche aneddoto relativo alla nascita dell’incredibile Bimota 500-Vdue? S: Dopo la presentazione della moto a Colonia nel 1996 ed a Birmingham il mese successivo credo ci fossero in azienda ordini reali per oltre 1500 moto! Un successo enorme ma una follia per le dimensioni della Bimota e la capacità produttiva dell’epoca. Fu controproducente poichè accelerò lo sviluppo e sappiamo come è andata a finire....Nel 1999 la mia personale a carburatori andava come un proiettile e chiedeva solo della gran benzina...La rivendetti due anni dopo ad un collezionista americano ad una cifra molto più alta che nuova.

F: Ti piace il design delle ultime Guzzi? Che cura proporresti per risollevare le sorti del marchio di Mandello del Lario? S: Il design dei tre prototipi Guzzi presentati da Pierre Terblanche sono a mio parere bellissimi; giudicarli moto però non è corretto perchè sono privi di tutte le parti che sono necessarie per circolare su strada. Il design della moto va giudicato quando il veicolo ha passato l’omologazione (con tutto cio che ne consegue) se no è come un quadro: bellissimo ma rimane appeso alla parete. La cura per Guzzi è avere il coraggio delle proprie idee: il marchio Guzzi ha una forza ancora oggi inimmaginabile nel mondo. F: Mi piacerebbe conoscere il tuo pensiero riguardo il design di cinque marchi europei: Aprilia, Bmw, Ducati, Mv Agusta e Ktm. S: Aprilia: belle ma manca la “puzza di benzina e le mani sporche di grasso”. Per me la moto è anche quello. BMW: David Robb, il responsabile del centro stile BMW, è un grande professionista. Non ne comprerei mai una ma il mio gusto non conta nulla. Ducati: Bellissime moto, rimpiango però il primo Monster, anche qui con quelle attuali sento poco odore di benzina.... 82


MV: Tamburini è un mondo a parte. Lavorare sotto di lui tre anni mi ha fatto capire che non solo è il migliore ma che è anche irraggiungibile. KTM: Onore a Kiska che è stato un precursore dell’ edge design. F: Quali sono secondo te, in termini di design, le cinque moto più belle mai nate? Le cinque più brutte? S: 1 Ducati 916 - 1994 2 MV F4 - 1998 3 Honda RCV211 - 2006 4 Yamaha RD350LC YPVS - 1983 5 Honda RC30 - 1987 Le piu brutte le ho dimenticate.... F: Che moto moderne metteresti nel tuo garage al momento? S: La nuova Honda VFR 1200 per usarla e vedere se è come sembra. F: In passato sei stato co-autore, insieme a Massimo Tamburini, di una delle moto, a mio avviso, ancora inuperate in termini di design: la meravigliosa Ducati 916. Sarà possibile in futuro stupire il pubblico come la 916 fece nell’ormai lontano 1994? S: Si, ma è difficile. Quando nascono certe opere è sempre il frutto di un lavoro di un gruppo eccellente guidato da un leader illuminato che abbia l’ultima parola. Sembra una banalità ma non sempre avviene questo...o manca il gruppo eccellente o manca il leader illuminato o...tutti e due!

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Sergio Robbiano, genovese, è uno dei più giovani e affermati designer italiani di moto. Ha iniziato a lavorare nel 1992 presso il Centro Ricerche Cagiva fondato e diretto da Massimo Tamburini, ha partecipato alla creazione della Ducati 916 e disegnato l’ultimo modello della Mito. Sua la Bimota 500 V2, della quale ha curato sia lo stile, che le scelte tecniche connesse. Disegna in esclusiva da tre anni anche le grafiche dei caschi AGV. Jack Nicholson che racconta a Shirley Me Laine in “Voglia di Tenerezza” l’emozione profonda dell’astronauta che “buc il nero dello spazio ed osserva la terra laggiù in fondo, un puntino azzurro fra i tanti.. quello! quello è stato il mio momento.” Momenti che danno un senso assoluto ad una intera esistenza; sensazioni che tutti noi motociclisti, un po’ incoscienti e molto romantici, o viceversa, abbiamo provato almeno una volta. E come descrivere allora ciò che può accadere all’interno di un giovane disegnatore, che delle due ruote ha fatto una ragione di vita (e la permanenza costante nel reparto di ortopedia), nell’istante in cui Lui, il detentore di ogni segreto motociclistico ti convoca nel suo ufficio e ti dice: “Sì, lei è assunto.” Ma di Massimo Tamburini e della sua ultima creatura parleremo tra poco. Finalmente arriviamo ad oggi. Ho smesso “temporaneamente” da qualche anno di frequentare le bianche stanze dei S. Martino di Genova (l’ospedale) perché il dovere-piacere di dover disegnare cupolini, codoni e carene è diventato fonte di sostentamento ed esaltazione irrinunciabile; e quando a Colonia il direttore di SuperWHEELS, Claudio Braglia mi ha detto “Che ne diresti di una rubrica che affronti il tema dei design senza essere un polpettone di dati e formule” ho avuto un vuoto allo stomaco, tipo l’istante in cui stai per ribaltarti in terza con una 500 da cross... devi cercare di mantenere la calma e tornare assolutamente con i piedi per terra. Ed eccoci qui, a cercare di spiegare tutto, o almeno ciò che si può raccontare, quello che è accaduto al Centro Ricerche Cagiva nella definizione dei design della regina delle moto sportive italiane: la Ducati 916. Parlare della moto che ha vinto quattro titoli mondiali Superbike consecutivi ci invita, ed è un piacere, a raccontare qualcosa dell’incredibile figura di Massimo Tamburini, direttore generale della CRC e progettista della belva rossa. Il rammarico è non avere lo spazio sufficiente ad illustrare la dimensione dei suo operato nel settore; ci accontenteremo di ricordare le oltre trenta moto progettate durante gli ultimi venticinque anni, i circa trenta campionati italiani vinti, più o meno quindici titoli mondiali conquistati tra piloti e Marche e, fatto appena marginale, che è stato il primo a progettare nel ‘75 la sospensione posteriore a geometria progressiva, a costruire nel ‘78 la prima moto con telaio perimetrale (mi sembra di avere visto qualche giapponese nell’ultimo decennio con una soluzione analoga ... ) e ad avere recentemente dominato le classifiche di vendita dei settore 125 sport con la Mito. lo, sinceramente, queste cose non le sapevo, e di 84


sicuro l’uomo Tamburini non ve le dirà mai, ma dopo una settimana di lavoro in CRC ho cominciato a sospettare qualcosa. L’inevitabile entusiasmo dei primi momenti era destinato a riscontrarsi con la realtà; all’interno della CRC la persona meno dotata era infinitamente superiore al sottoscritto e la media viaggiava dall’ottimo all’eccellente; ero terrorizzato persino dalla donna delle pulizie, anche lei seguiva un metodo di lavoro preciso ed organizzato; ancora oggi mi chiedo se “Mister T” avesse istruito pure lei. A parte gli scherzi, la differenza tra noi comuni mortali e ciò che accade dentro a quelle mura è la spasmodica ricerca della perfezione in ogni minimo dettaglio che componga una moto. La cosa divertente è che il signore in questione non si considera uno stilista: “Sono stato costretto perché non c’era nessuno a farlo quando iniziammo”; eh sì, in effetti alla partenza il Centro, che oggi mette in ginocchio moltitudini di ingegneri dagli occhi a mandorla, era un gruppetto di persone dalle capacità decisamente uniche. La “qualità totale” è l’obiettivo fondamentale unico ed ultimo che anima oggi come allora ogni singolo componente dei Centro Ricerche e Massimo Tamburini, per raggiungerne l’essenza, ha elaborato un metodo di lavoro duro ed efficace. Ogni singolo componente è oggetto di attenzioni e di cure maniacali, dall’ottimizzazione dei funzionamento alla ricerca stilistica esasperata. “0uando avrà raggiunto il massimo dell’efficacia e superato tutti i test previsti svolgendo le funzioni per le quali è stato pensato nella maniera più semplice, novantanove volte su cento sarà anche bello”, sembra incredibile eppure era proprio così ho visto il telaio della 916 mutare innumerevoli volte e ad ogni step l’aspetto migliorava: più compatto, più leggero, più resistente ed incredibilmente diventava meraviglioso alla vista, quasi la natura avesse previsto che le rigide leggi della fisica e della matematica dovessero in qualche modo appagare anche l’occhio umano; quel groviglio di tubi assumeva ogni volta un aspetto più compatto, robusto ed efficiente; il motore sembrava essere nato per venire fagocitato in quell’unica soluzione, una simbiosi perfetta di tecnica ed estetica. Non si capiva più dove finiva il pezzo meccanico e dove iniziava l’opera d’arte. Successivamente capii che i disegnatori dell’ufficio tecnico diretti dall’onnipresente Massimo Parenti, avevano un senso estetico che spesso non si trova nemmeno in uno studio di industrial design. Quante ore sacrificate al disegnare e ridisegnare ogni possibile passaggio di ogni singolo tubo dei telaio! Il forcellone monobraccio posteriore credo sia stato per molti mesi l’incubo dei reparto modelleria: cinque, dieci soluzioni differenti, ma il “nonno” non era mai completamente soddisfatto; si poteva quindi si “doveva” fare meglio. E quando una soluzione campeggiava sul prototipo per qualche tempo tutti mormoravano: “taci, che questa volta ci siamo” allora potevi stare sicuro che la mattina dopo il forcellone non c’era più, durante la notte il capo aveva avuto una nuova idea, ed i modellisti avevano rimesso in funzione le attrezzature. Ma se è vero che Tamburini merita non sappiamo più neanche noi cosa, altrettanto si debbono considerare le persone che operano al suo fianco, al di là dei meriti professionali indiscutibili, difficilmente si potrà riscontrare un attaccamento al lavoro ed una dedizione di tale entità. Sarà probabilmente la possibilità che ognuno ha di esprimere un’opinione e di essere ascoltato con attenzione e rispetto; molte soluzioni viste sulla 916 sono figlie delle idee di tutti; durante lo sviluppo dei prototipo ogni tecnico ha avuto modo di presentare e realizzare differenti proposte spesso successivamente entrate in produzione. Il design della piastra superiore di sterzo, ad esempio, è stato ottimizzato all’interno dell’ufficio tecnico mentre il reparto stile proponeva disegni ed il reparto carpenteria realizzava modelli ricavati dal pieno; il risultato è un oggetto che nella sua semplicità, unicità e bellezza riassume lo spirito della CRC. Il posizionamento innovativo dell’ammortizzatore di sterzo, coperto da brevetto mondiale, è la dimostrazione dei genio creativo e della sensibilità estetica e funzionale di Massimo Tamburini; la necessità di compattare al massimo la zona dello sterzo, unita all’esigenza di avere uno spazio libero e lineare nel punto in cui passano i condotti di aspirazione, ha portato il tecnico riminese ad esplorare una via tutta nuova con ottimi risultati. Il ponte di comando della 916 non ha rivali nemmeno tra le macchine destinate ad un uso esclusivamente agonistico. Altra “perla” dei design è il posizionamento dei blocchetto d’accensione; nella filosofia costruttiva di una moto simile la sua vista non è certo fonte di esaltazione per l’assatanato di turno... a meno che non ci si trovi di fronte al serbatoio del Ducatone che lo integra perfettamente nel suo alloggio. La disposizione degli organi ausiliari, cioè tutto ciò che non sia telaio, motore e sospensioni, è, nella 916, un eccellente esempio di razionalità, funzionalità e soprattutto design. Le pedanine sono forse l’esercizio più lampante di quanto illustrato sino ad ora; rivelano immediatamen85


te un attento e certosino lavoro di finitura ed ottimizzazione la curvatura della superficie di appoggio è motivata dalla necessità di essere confortevole e dare una sensazione di aderenza al piede con qualsiasi angolazione esso tenga il contatto; le scanalature trasversali ovviano al problema della sporcizia senza apparire fuoristradistiche e la scanalatura inferiore contiene il peso nei minimi termini. Esaminando poi la parte posteriore, troviamo un’ulteriore conferma al fatto che un’ottima funzionalità sposi sempre un design affascinante. Terminali ellittici o circolari? A prototipo ultimato è stato argomento di dibattito per lungo tempo; non si era mai vista una figura geometrica analoga in un terminale di scarico ed all’interno dei gruppo si schierarono le due classiche fazioni, chi temeva un impatto prevalentemente automobilistico, e comunque fuori dai canoni per una moto da corsa, e chi rimaneva estasiato dalle due bocche larghe e basse che così tanto caratterizzavano la vista posteriore. A distanza di quattro anni la consapevolezza di avere seguito la strada giusta si è confermata, tanto per cambiare, anche la più corretta tecnicamente. Spieghiamo: il terminale ellittico ha facilitato un suo posizionamento più corretto in quanto, essendo schiacciato e conseguentemente meno ingombrante di un silenziatore circolare di eguale volume, fermo restando lo spazio necessario alla compressione della ruota posteriore, il codone è stato posizionato ad un’altezza dal suolo corretta ed equilibrata con lo stile della moto. E lo stile della moto è stato né più né meno che la forma più corretta di coprire la meccanica, insomma: sotto il vestito tutto. Ma che vestito ragazzi! Il segreto della bellezza della 916 si trova innanzitutto nella quote degli ingombri; la larghezza della carenatura, sin dai primi manichini, non doveva eccedere le dimensioni di una 250 da gran premio; sella e codone in alto allo scopo di tenere il più in vista possibile le parti meccaniche. Le linee particolarissime dei serbatoio, lungo la superficie di passaggio delle braccia, nacquero in modo unico: Gioacchino Rossini, uno dei tecnici storici della CRC, notò, sedendosi sul prototipo in stucco, che il serbatoio interferiva leggermente con i gomiti per un pilota di alta statura; il tempo di verificare la corretta sensazione e il flessibile dei capo partì inesorabile ed inarrestabile: era nata una nuova linea e dava all’insieme un’aggressività ed una personalità uniche, inoltre il braccio si spostava agevolmente. Il profilo della carenatura, nella zona anteriore, doveva lasciare completamente in vista il cerchio disegnato dalla gomma, e la figura che la parte inferiore della carena disegna con la linea di terra doveva seguire un’inclinazione che accentuasse in maniera netta l’aggressività dell’avantreno. Identico principio nel definire il profilo dei serbatoio; per poterlo avere molto caricato in avanti, quindi molto basso all’estremità anteriore, la piastra superiore di sterzo, dovendo allinear si alla stessa quota della superficie dei serbatoio in quel punto, fu fatta sottilissima; dei resto era l’unica soluzione possibile non potendo alzare a dismisura il serbatoio nella zona dei tappo: avrebbe ostacolato il pilota rannicchiato in carena. Una cosa appare ovvia: una grande dimestichezza con questa serie di valori strettamente concatenati è alla base di un buon lavoro di stile. Sicuramente il carattere e la personalità che hanno i prodotti di Massimo Tamburini si spiegano proprio negli episodi raccontati; una passione ed un’esperienza probabilmente uniche, unite ad una volontà e una determinazione di altri tempi, lo rendono irraggiungibile; il suo carattere schivo e concreto lo accompagna con quell’alone di mistero e imperscrutabilità che tutti i grandissimi si portano sempre appresso. La decisione di non avere occultato i due silenziatori all’interno dei codone è stata presa in funzione dei tipo di moto racing, e per evitare tutti i problemi di smaltimento dei calore che si sarebbero rivelati difficilmente superabili ad esempio in una successiva versione biposto. Parlando con Tamburini risulta difficile carpire i segreti dei suo lavoro di stilista; gli si illuminano gli occhi solamente quando descrive, eccitato, tutto il lavoro fatto durante l’impostazione geometrica del telaio o quando racconta le infinite possibilità di ottimizzare le caratteristiche di guida intervenendo sulle quote ciclistiche: “I giornalisti non hanno mai scritto quello che realmente facciamo e la gente non può nemmeno immaginare il lavoro che c’è dietro”. A confermare le sue parole rimane, oltre ai quattro mondiali consecutivi vinti con una moto all’esordio, una giornata epica vissuta sul circuito dei Mugello prima della presentazione ufficiale dei modello. Il prototipo che girò quel giorno era uno dei sette costruiti integralmente alla CRC; unica peculiarità un motore evoluzione fornito dal reparto corse Ducati. Telaio, sospensioni e ammennicoli vari standard; pilota Davide Tardozzi (notare che da un anno aveva smesso i panni di pilota “mondiale”), un gruppetto di tecnici della Ducati Corse, io, Orlandi (stilista decano della CRC) ed il “nonno”, a bordo pista con il cronometro in mano. Un giro, box, regolazioni, tre giri, box, regolazioni... 86


al quindicesimo passaggio la moto con le Showa e il mono standard girava a due secondi dal record della pista e sul rettilineo più lungo del circuito la telemetria indicava una velocità di punta superiore di 12 km/h rispetto alla 888 che aveva corso nell’ultima gara effettuata... Tardozzi, con sconcerto ed esaltazione, faticava a spiegare le sensazioni di guida e pensava a un rientro alle gare, il tecnico della telemetria non riusciva a leggere la velocità di punta perché l’indicazione grafica usciva dal diagramma in memoria nel computer, io e Orlandi facevamo festa con i meccanici e Tamburini era già proiettato a come migliorare la moto senza manifestare alcuna emozione apparente. Se avessimo raccontato al mondo intero che il prototipo non era stato ancora in galleria dei vento, probabilmente nessuno ci avrebbe creduto; curioso è invece il test che Tamburini fece qualche tempo prima: Era una mattina piovosa, ed indossati casco, tuta e guanti parti dalla CRC lasciando tutti un po’ perplessi; aveva il ghigno di chi sa cosa sta andando a fare ed è consapevole di non essere compreso dagli altri... una specie di “ti faccio vedere io ora”. Al ritorno, circa due ore dopo, completamente zuppo e sporco, controllava come le goccioline d’acqua miste a fango si fossero depositate sulla carenatura ed avessero lasciato il segno dei loro passaggio; agli occhi dei profano quella era solo una moto sporca, lui invece convocò tecnici e disegnatori per spiegare come si era comportata l’aria a contatto con il mezzo; qui va bene, qui bisogna fare uno spoilerino per accelerarla e qui si crea una depressione che va evitata! Semplicemente incredibile come successivamente ogni sua parola sia stata confermata dai test in galleria dei vento; davvero una bella lezione. di Sergio Robbiano.

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Cosakkosky 747 Scritto dal Carlo Talamo (Marzo del 1993) Quand’ero bimbo e guardavo le foto dei motorini avevo già le mie belle idee. Mi chiedevo: “perché non gli mettono un altro paio di cilindri?”. Mi dicevo: “perché non lo fanno andare a 250 orari?”. Pensavo che nelle case motociclistiche fossero tutti scemi. Disegnavo sui miei quaderni a quadretti certe mostruosità di motorini apocalittici e mi raccontavo che quelle sì erano figate. Ero tenero, piccolo e cento per cento ignorante. In età più adulta cominciai a capire che certi disegni erano belli sulla carta ma le mie geometrie di sterzo seguivano alterazioni da LSD e certamente avrebbero ucciso qualsiasi giudatore. Cominciai a capire quante limitazioni ci fossero attorno ad ogni nuova proposta motociclistica. Da allora troppe cose si sono aggiunte al mio cestino culturale (quello intelligenti lo chiamano “bagaglio culturale”, ma a me pare un po’ esagerato). Ultimamente anche le norme omologative, quelle di sicurezza e quelle antinquinamento hanno messo la loro zampaccia nel rendere sempre più complesse, costose e talvolta brutte le motociclette. Non venitemi a raccontare che le frecce sono belle! E non spiegatemi che certe cassette d’aspirazione che paiono bauli sono più arrapanti dei cornetti d’alluminio che mi ricordo io e che sparavano rumore, benzina e qualche volta fiamme. Ah, bei tempi. Crescendo, i casi della vita mi hanno portato a vivere con e di motociclette. E’ molto bello ma ha aggiunto nuove conoscenze e nuove impensabili limitazioni alla mia fame artistica. Perché adesso quando prendo un foglio a quadretti ed una penna non so più da dove cominciare con la fantasia. Troppe sono infatti le norme e le limitazioni che affliggono il mio capoccione. Ecco perché quando ricevo le mille proposte per una Harley 3500 V8 oppure un trimotore con un interasse di cinque metri e manubrio di tre, sorrido teneramente. Tra le tante battaglie che giornalmente si combattono in una fabbrica di motociclette c’è quella che, fin dalle origini, si combatte tra amministrativi e commerciali. E cioè: uno ti inventa una motocilcetta che è una furbata, il pubblico diventa matto e corre dal concessionario, il concessionario ne ordina un sacco alla fabbrica e la fabbrica, allegramente, comincia a scodellare una cifra di ‘ste motociclette. Bella storia davvero. Ma la storia prosegue: la fabbrica scodella le motociclette e in cambio arraffa una palata di soldi. Dentro la fabbrica il tizio che ha inventato la moto furbissima vede tutti ‘sti soldi e gli viene mal di testa perché lui di soldi capisce poco. Allora assume un contabile. In poco tempo il tizio è fregato. Perché il contabile comincerà a contestargli ogni spesa a suo dire inutile. Gli dirà: “se invece di questi ammortizzatori qui usiamo quelli là risparmiamo un valangone di milioni”, “se sul serbatoio invece di quelle belle scritte a rilievo ci appiccichiamo ‘ste due belle adesive di carta, risparmiamo un fantastilione”, etc. Ecco che il tizio che in fatto di soldi è scemo ma mica troppo si fa corrompere dal miraggio di guadagnare di più (nelle aziende si chiama utile maggiore ed è un termine più nobile). Il tizio comincia a disegnare un serbatoio che costa meno. poi ti fa una marmitta quattro in uno così dice di risparmiare peso ma in effetti risparmia tre marmitte. Il manubrio te lo salda direttamente sul telaio così risparmia anche la forcella. E così via. Cosa succede? Succede che il pubblico, che è imbenzinato ma mica troppo, compra le motociclette costruite dal tizio della fabbrica accanto che è un vero appassionato e che al momento non c’ha una lira però ama le moto. Questo tizio venderà moto come patate, comprerà una giacca, la cravatta, inizierà a giocare a golf. E il suo contabile cercherà di chiudergli la fabbrica mentre lui, lontano mille miglia dai problemi estetico-funzionali dei suoi cretini clienti motociclisti, si occuperà di ridiscutere i tassi sui suoi numerosi conti correnti. Questo succede in tutte le fabbriche da che mondo è mondo. Quando poi le motociclette di questa fabbrica non le vuole più nessuno si corre a cercare qualcuno che sappia fare una motocicletta appassionante. Di colpo ritorna l’interesse per le motociclette, per i motoci88


clisti e le loro imbecillissime manie, per tutti quei mille piccoli particolari che differenziano le motociclette belle dalle motociclette tirate via un tanto al chilo. Ecco allora che i contabili della fabbrica che non vende più, decidono di “investire”, di “credere nel futuro del mercato”, eppoi spiegano le strategie, i target e tutta una serie di paroloni da gente che ha studiato. E forse un giorno ci sarà un tizio in una lontana pianura coperta di ghiaccio che inventerà una motorina semplice, intelligente, piena di passione ed attenzione, la chiamerà Cosakkosky 747 e ne venderà una strage. E allora guadagnerà un sacco di rubli. E prenderà un contabile... Ed ecco perché io credo che nei posti dove si fanno le motociclette debba esserci un equilibrio. Una dose sempre uguale di amore per la moto (60%) e rispetto per le risorse finanziarie (40%). Perché se comandano sempre i soldi le motociclette si allontanano dal cuore della gente.

Chi era Carlo Talamo: Carlo Talamo è stato, fra le altre cose, colui che ha creato il fenomeno Harley-Davidson in Italia ed ha riportato le Triumph nel nostro mercato. E’ stato un personaggio fuori dal comune. Non era amato da tutti, ma c’era chi lo venerava e lo avrebbe seguito ovunque. Carlo aveva un grande dono impagabile: sapeva comunicare. E soprattutto aveva qualcosa da dire. Il fatto stesso che se ne continui a parlare anche oggi ne è il segno più evidente. Carlo Talamo non è più tra noi oramai da qualche anno (2002), ma il suo spirito, il suo stile, la sua filosofia, il suo modo di approcciare il cliente si può ritrovare ancora intatto in alcuni storici concessionari Triumph o Harley-Davidson. Carlo vive ancora oggi in alcune delle sue storiche concessionarie come simbolo di un modo speciale di vivere e vendere le motociclette.

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motofan.it pubblicato il 22/07/2013

Tomoya Murakami: Designer della Suzuki V-Strom 1000 m.y.2014 Suzuki accompagna il lancio internazionale della sua nuova V-Strom 1000 con una serie di interviste a chi la pensata e sviluppata. Mr. Murakami è il capo designer di questa inedita enduro stradale che riporterà Suzuki a competere nel ricco settore delle big trail. Vediamo come è stata pensata la sua linea...

Potrebbe brevemente presentarsi e dirci il suo ruolo all’interno el progetto? “Ho iniziato a lavorare in Suzuki come designer nel 2003. Il mio compito era quello di disegnare i modelli Quad ATV come l’LT-Z e la gamma delle moto da cross. Dopo questo impiego ho preso parte al team di progettatori e sviluppatori della serie GSX-R e GSR. Per quanto riguarda la V-Strom, sono responsabile per il design di tutta la serie e, nello specifico, capo designer per la V-Strom1000. Ho disegnato tutti i bozzetti partendo dagli spunti emersi durante l’indagine preliminare per arrivare poi al design finale, sonostato anche coinvolto nella realizzazione del suo modellino in argilla. Personalmente ho sempre avuto moto da fuoristrada e supermotard”. Può raccontarci qualcosa sul concept di prodotto e sul processo di sviluppo dello stesso? “Non posso essere troppo dettagliato nel raccontarvi il processo di sviluppo, ma vi assicuro che abbiamo passato una considerevole quantità di tempo su questo progetto. Ho visitato personalmente l’Europa molte volte per le indagini, disegnando migliaia di bozzetti. I clienti di questa tipologia di moto sono piloti esperti che conoscono molto bene le moto che guidano. Abbiamo avuto diverse discussioni interne per come far tesoro delle opinioni dei clienti. Dopo di che abbiamo deciso che il concept di design doveva essere “Avventuroso e Intelligente”. Tramite questo concetto abbiamo espresso qualità essenziali come la robustezza, la funzionalità,l’agilità e lo spirito d’avventura”. Si tratta di un design distintivo, proprio quello che aveva in mente durante la progettazione? “Prima di tutto abbiamo voluto sollecitare una risposta emotiva da parte dei clienti con un look audace e distintivo adatto al modello di punta della famiglia V-Strom. In secondo luogo abbiamo posto meticolosa attenzione alla qualità delle finiture e al design delle forme per accontentare anche i clienti più esigenti. Inoltre, quando abbiamo discusso per decidere a quale modello di moto touring avessimo dovuto ispirarci, abbiamo deciso di riprendere lo spirito avventuroso della DR-Z del 1980. Nel 1988 l’ex Campione del 90


Mondo di motocross Gaston Rahier partecipò alla Parigi.-Dakar a bordo di una DR-Z. Suzuki introdusse quindi la DR-BIG come versione in produzione derivata dalla DR-Z. Con il suo distintivo e caratteristico “becco”, la DR-Z ebbe un forte impatto sull’evoluzione stilistica del design motociclistico. Ora è diventato abbastanza comune per altri marchi emulare questa caratteristica. Tuttavia questo design particolare è stato introdotto per la prima volta da Suzuki, ed esprime in pieno il suo spirito avventuroso. Ecco perché abbiamo inserito questo elemento di design sulla V-Strom 1000, per rimarcare la forte personalità della nuova Enduro Tourer. Inoltre, anche il design dei fari, in verticale, è un altro elemento distintivo di Suzuki. Fa parte del patrimonio stilistico di Suzuki e soprattutto delle serie sportive GSX-R e Hayabusa”. Ci sono anche delle distintive parti in plastica e pannelli in alluminio, potrebbe darci qualche informazione in più? “Per creare un look che esprimesse solidità e funzionalità allo stesso tempo, abbiamo utilizzato particolari

in plastica nera, proprio come i paraurti e i parafanghi delle automobili a trazione integrale e dei SUV. Le parti in alluminio che collegano il becco alserbatoio sono degli importanti accenti stilistici. L’alluminio è presente anche nelle borse laterali e nel bauletto. In tal modo, in casodi moto completamente equipaggiata, il design complessivo risulta essere più omogeneo e funzionale”. Ci dica qualcosa in più di un’altra parole chiave: agilità “Le moto Touring sono divertenti e facili da guidare una volta in movimento. Tuttavia questo tipo di moto, ad un primo sguardo, potrebbe sembrare troppo grande e poco maneggevole, intimorendo il cliente ancora prima di salire in sella. Questa nuova V-Strom, grazie al design snello del motore bilindrico a V, permette di toccare facilmente con i piedi a terra, è maneggevole e manovrabile. Quindi, la mia intenzione e il mio obiettivo era quello di esprimere attraverso il design, con un solo colpo d’occhio, questi concetti. Ad esempio abbiamo snellito la parte dove la sella e il serbatoio si incontrano; abbiamo inserito delle sezioni in plastica nera intorno al serbatoio con l’obiettivo di avere un look più compatto. Ora toccare con i piedi a terra è molto più semplice,così come alzare la moto dal cavalletto laterale. Inoltre le ruote a dieci raggi in alluminio sono un altro esempio di espressione diagilità” Alla fine come reputa il suo coinvolgimento in questo progetto? “Il mercato delle Enduro Tourer ha avuto un vero e proprio boom in Europa. Suzuki sta introducendo questo tipo di modello per venire incontro alla crescente domanda da parte dei clienti e dei concessionari 91


che hanno atteso l’arrivo della prossima Enduro Touring Suzuki. Abbiamo lavorato per esplorare questo segmento e soddisfare pienamente le richieste dei clienti anche più esigenti”. Che tipo di pilota apprezzerà particolarmente questa moto? “Siamo certi che accontenterà una vasta gamma di clienti che potranno godere del comfort di guida della nuova V-Strom anche nei lunghi tragitti. Vorrei davvero vedere tutti voi toccare e provare questa moto di persona, perché non basta guardarla attraverso delle semplici immagini. Presto sarà in vendita il modello definitivo. Penso proprio che sarà valsa la pena di attendere”.

Mr Teppei Eguchi responsabile del layout Suzuki V-Strom 1000 m.y. 2014 Dopo aver letto l’intervista al designer della più importante novità Suzuki per il prossimo anno, è arrivato il momento di capire quali sono state le linee guida di questo nuovo progetto, sentendo cosa ha da dirci il responsabile del layout generale della prossima Suzuki V-Strom 1000, Mr Teppei Eguchi. La nuova moto doveva essere al tempo stesso versatile e sportiva, per cui la ciclistica avrebbe dovuto garantire grande piacere di guida sul misto, ma anche la necessaria stabilità anche in condizioni di guida a pieno carico. Per questo Mr Teppei Eguchi ha messo in campo la sua esperienza di grande utilizzatore di moto (ne ha ben tre), ma soprattutto l’analisi delle esigenze del cliente tipo di una grossa enduro stradale, ricavate dall’analisi diretta fatta nei luoghi di elezione per questo tipo di moto e di utente. Di seguito, dunque, ecco una esaustiva intervista a Mr Eguchi, sul suo nuovo progetto in dirittura d’arrivo.

Ci può raccontare qualcosa di lei e del suo ruolo all’interno del progetto V-Strom1000? Ho iniziato a lavorare in Suzuki nel 2003. Dopo una prima esperienza come designer delle sospensioni, sono stato chiamato in causa per occuparmi del design e della progettazione del telaio. Nello specifico, per la V-Strom1000, il mio ruolo riguarda proprio il design del telaio e di altri componenti nella loro prima fase di sviluppo. Nell’ambito motociclistico privato, ho una Bandit 250, una TL1000S e anche una DRZ400SM che guido da più di 8 anni. Il “Layout Designer” è un lavoro poco conosciuto. Quali sono le sue principali mansioni? In poche parole il mio compito è quello di trasformare le bozze grafiche dei designer e i requisiti prestazionali del Product Planner in un prodotto concreto. Rispetto alla realizzazione del design automobilistico, quello motociclistico è sicuramente più complesso perché la stesura del layout e dei disegni stilistici devono fin da subito essere connessi alla funzionalità. Ad esempio il serbatoio è un elemento fondamentale per il design di una motocicletta. Da un lato deve essere in grado di contenere una certa capacità di carburante, dall’altro bisogna tener conto anche della scatola filtro aria posta sotto il serbatoio, la cui capacità è direttamente legata alle performance del motore. Più la capacità di questi due contenitori è maggiore meglio è, ma bisogna anche tenere in considerazione le dimensioni del serbatoio, sia per un discorso estetico sia per il comfort del pilota. Inoltre la dimensione di queste componenti cambierà il centro di gravità dell’intera moto modificandone la manovrabilità. Questo è solo un esempio per far capire come ogni parte sia composta da diversi elementi che si influenzano a vicenda. Penso che il lavoro legato al design del layout di una moto sia una parte davvero importante per la realizzazione di una moto. 92


Come comunicava con i designer e gli ingegneri? Credo che la comunicazione tra designer e ingegneri sia molto importante. Per realizzare un prodotto esteticamente piacevole e dalle elevate performance, gli ingegneri devono comprendere correttamente il concept style, mentre i designer devono capire bene i requisiti ingegneristici. E’ necessario rispettarsi a vicenda in modo equilibrato per procedere in maniera positiva nel progetto. Ho discusso a lungo e costantemente con lo Styling Designer per mettere in relazione i dati tecnici con i bozzetti grafici. In realtà ho legato molto con Mr. Murakami, che è un mio coetaneo e un amico anche al di fuori del lavoro. Entrambi siamo entusiasti di lavorare insieme a questo grande progetto; spesso ci siamo trovati a discutere di lavoro fino a tarda notte per migliorare sia l’aspetto estetico sia quello funzionale della moto. Agli altri ingegneri ho chiesto di proporre i requisiti tecnici di ogni singola parte per poi collegarli al layout generale della moto. In alcuni casi è stato necessario rivedere alcune proposte per avvicinarci, passo dopo passo, al miglior design possibile. Con questo continuo scambio comunicativo tra designer e ingegneri abbiamo lavorato sulla realizzazione del modello di argilla. Ci può raccontare qualcosa a riguardo dell’indagine svolta in Europa e della sua esperienza di guida sulle strade europee? Mi ritengo davvero fortunato ad aver avuto la possibilità di guidare sulle strade europee e di vivere l’esperienza di guida tra i piloti europei. Abbiamo guidato sulle autostrade, attraversando le Alpi su strade tortuose nei confini tra i diversi Paesi, dove abbiamo potuto vedere dal vivo il reale utilizzo delle moto da parte dei motociclisti. Da questa esperienza abbiamo meglio capito quanto il comfort di guida e la stabilità siano importanti in autostrada. Se si è già stanchi dalla guida in autostrada di certo non si può apprezzare la guida in strade più tortuose. Inoltre abbiamo visto l’alta percentuale di persone che fanno della moto un utilizzo touring, montando spesso tre bauletti. Queste sono state considerazioni importanti nel processo decisionale per il design e il “carattere” della V-Strom 1000. Potrebbe spiegarci meglio gli obiettivi e le idee che stanno dietro alla ciclistica ed al design della moto? Come ho già detto, la stabilità in autostrada, il comfort e la possibilità di accessoriare la moto con tre bauletti sono fattori di estrema importanza per progettare una moto adatta a percorrere lunghe distanze. Tuttavia non si può solo pensare alla stabilità e al comfort altrimenti la moto sarebbe molto grossa ed ingombrante. Abbiamo pensato che l’identità della nuova V-Strom1000 si sarebbe dovuta formare proprio su questi elementi caratterizzanti. Qual è la vera identità della V-Strom? Contemporaneamente divertente da guidare nelle strade più tortuose, ma anche maneggevole e confortevole nell’uso quotidiano. Crediamo che la versatilità e la sportività siano le identità della V-Strom. Proprio per garantire il comfort di marcia, le prestazioni, la versatilità e il divertimento di guida, abbiamo rivisto diversi aspetti come le dimensioni, compreso il layout del motore, l’interasse, la rigidità del telaio e la posizione di guida. Qual è il suo giudizio finale sul progetto V-Strom? La mia priorità è quella di realizzare una moto divertente. Come pilota, si può godere di una guida piacevole sulle strade più tortuose, mentre la guida risulta confortevole in autostrada. La mia seconda priorità è ridurre il peso. Il peso ridotto è sempre uno dei pilastri per la realizzazione di una moto. Soprattutto per una persona non molto alta come me, avere una moto dal peso ridotto significa avere una moto più maneggevole. Prima di questo progetto, la mia preferenza era guidare una moto sportiva in circuiti chiusi. Mi sono divertito a guidare nei lunghi viaggi, ma la mie priorità sono state comunque le performance e la sportività. Tuttavia dopo la mia esperienza sulle strade delle Alpi, la mia percezione della moto e il mio modo di pensare sono stati ampliati. Mi sono letteralmente innamorato delle moto touring. Ho lavorato sodo per realizzare la mia moto dei sogni. Che tipo di motociclista vorrebbe provasse questa moto? E’ la moto ideale per gli utenti esigenti come me che amano la guida sportiva senza rinunciare al comfort e alla funzionalità tipiche di una moto touring. Vorrei che questo tipo di pilota provasse la nuova V-Strom 1000 sia nell’utilizzo quotidiano sia nelle lunghe percorrenze. Sono sicuro che vi piacerà! 93


Una Guida per principianti al disegno di Motociclette By Kerr Glynn Le moto che vedete raffigurate sul mio sito sono il frutto di quasi venti anni di esperienza come designer di moto professionale e illustratore per la stampa specializzata. Ma anche da bambino, ero sempre impegnato a scarabocchiare moto e auto, con grande costernazione di mia madre, che mi ha assicurato che non ne sarebbe venuto nulla di buono. Il desiderio di disegnare moto è nato attraverso la frustrazione. Da adolescente, volevo disperatamente una moto, ma la disapprovazione dei genitori, l’età e i soldi l’hanno fatto sembrare un sogno irrealizzabile. Così ho disegnato, centinaia di cose, nel tentativo di soddisfare tali desideri. I primi erano, francamente, schifezze. Sono migliorati con il tempo però, e l’ignoranza di ciò che riempiva lo spazio sotto il serbatoio del carburante è stato a poco a poco compreso, attraverso la lettura di riviste di moto o studiando i mezzi dei ragazzi più grandi alle superiori. Naturalmente, la maggior parte delle persone non sente il bisogno di disegnare una moto nella propria vita, ma per chiunque abbia intenzione di modificare la sua moto, sarà più facile per provare le cose su carta prima, che risulta certamente più veloce e gli errori sono molto più economici da correggere. Alcuni lettori possono prendere in considerazione lo sviluppo di una carriera nel design di motociclette o semplicemente di disegno di fantasia, come un passatempo economico e creativo, ma qualunque sia la ragione, si impara molto di moto nel processo. Per tutti i potenziali scribacchini, qui ci sono alcuni suggerimenti per aiutarti a iniziare. In un primo momento, iniziare con una foto di una moto esistente. Il modo migliore è quello di fotocopiare un immagine da una rivista, allargandola al formato corretto, e utilizzarla come uno sfondo. L’ideale è usare una carta leggermente trasparente, con la giusta quantità di trasparenza per vedere attraverso pur consentendo al disegno di rimanere dominante. La carta da lucido è troppo chiara. E ‘meglio non andare su dimensioni troppo grandi. Più piccola è la pagina, meno dettagli avrete bisogno di disegnare, troppo piccola, però, e può essere poco pratica, quindi trovo l’A3 (420 x 297 mm) ideale. Utilizzare una matita media (la mia è un’umile HB), che è morbida abbastanza da permettere l’ombreggiatura, ma che può essere cancellata senza sbavature. Tenete la gomma pulita, eliminate la grafite in eccesso su un pezzo di carta ruvida, altrimenti macchierà di più di ciò che cancella. Quando guadagnerete fiducia, troverete che una matita colorata scura dà più profondità e sentimento, ed i pennarelli possono essere utilizzati per ombreggiare in tinta unita sugli schizzi. Nessuno di questi può essere cancellata, però, quindi la fida matita è ancora il miglior punto di partenza se non si ha una quantità illimitata di carta … e di pazienza. In termini di design, si inizia mantenendo le aree che ti piacciono, quindi provate a modificare quelle che non lo fanno. Ogni schizzo che ti soddisfa di più può essere utilizzato come base per ulteriori sviluppi. Ci sono un sacco di pezzi su una motocicletta, ed è facile impantanarsi con i dettagli, quindi concentrati sulle principali aree di carrozzeria, come il serbatoio, sella e le carene. Nel corso del tempo, si svilupperà un buon feeling per lo styling copiando gli aspetti dei migliori progetti, e modificandoli, ma in ultima analisi, le origini non dovrebbero essere riconoscibili. Se a partire da zero, senza una base, ottenere prima le proporzioni generali corrette partendo dalla dimensione delle ruote, l’interasse e le grandi aree visive, come i cilindri, carter motore e parti più importanti; poi cercate di farli apparire come se appartenessero ad un insieme. Le linee e le caratteristiche in un settore possono essere ritirati in un altro, o un componente può essere fatto per interblocco, come pezzi di un puzzle (come quelle trombe di aspirazione su una V-Max sono utilizzati per unire serbatoio e carburatori). Grandi tratti pianeggianti di carrozzeria possono essere suddivisi in più forme interessanti con l’aggiunta di linee del corpo, prese d’aria o di sfogo, materiali o tagli di colore. Ogni caratteristica deve lavorare con tutti gli altri, però, in modo da cercare di mantenere una sensazione simile alle forme e la direzione generale della linea. E mantenere lo stile semplice. Più farete qualcosa di vistoso e più lo odierete negli anni a venire. I motocicli sono praticamente bidimensionali, la maggior parte dei disegni può essere compreso solo se visto di profilo. Questa è una fortuna, siccome le motociclette sono notoriamente complicate da disegnare 94


in prospettiva. Visti di tre quarti, tutti quei cerchi diventano ellissi, e l’angolo di ogni ellisse cambia leggermente dalla parte anteriore a quella posteriore. Le leggi della prospettiva entrano in gioco, una materia che praecchia gente, tra cui anche alcuni professionisti, trova difficile da afferrare. E non pensate nemmeno di girare la ruota anteriore fino a quando avrete avuto un po’ di pratica - l’angolo del cannotto di sterzo cambia punto di vista della ruota drasticamente, e richiede una mente come Einstein per capire dove va. L’unica volta che tre quarti vista è veramente necessario è quando c’è un sacco di carrozzeria, come le moto completamente carenate, o se il “volto” è una caratteristica importante, con forme dei fari complesse. Se davvero si deve disegnare in prospettiva, ancora una volta scegliere una buona foto con una definizione sufficientemente elevata e lavorare direttamente da essa - in questo modo, le ellissi e la prospettiva sono già risolti e possono essere ritracciati. Se si vuole sperimentare con diversi dettagli, come la regione del faro, poi basta disegnare l’area in questione, che farà risparmiare un sacco di lavoro. Per il resto del tempo, il mio consiglio e attenersi alla vista laterale. Di profilo, più parti meccaniche possono essere disegnate con l’aiuto di righello e compasso. Le linee sinuose della carrozzeria sono meglio delineate inizialmente a mano, poi corrette con un modello come “curve francesi” che sono disponibili a molte cartolerie, o preferibilmente con un curvilinee meno barocco conosciuto come “sweep”. Per questi è necessario trovare un fornitore più professionale. Allo stesso modo, i modelli ellisse esistono in una varietà di dimensioni e gli angoli, ma questi non sono a buon mercato e richiedono una conoscenza di base dei principi della prospettiva. Se si rimane sulla vista laterale, non avrete bisogno di loro. Una volta che si è soddisfatti con il design, il passo successivo è quello di cercare uno schizzo più “fresco”. Guardare sulle le riviste di moto e design o disegni di progettazione, e notate le tecniche utilizzate dai diversi illustratori. Non vergognatevi di copiare all’inizio - dopo un pò di pratica inizierete a sviluppare il proprio stile. I pennarelli colorati vengono utilizzati per riempire aree di blocco per il colore principale e di ombre. Carta layout gestirà questo abbastanza bene, anche se alcuni lo fanno assorbile fino alla pagina sotto, quindi attenzione se il vostro sottofondo è prezioso. Per standard più elevati di rendering sarà necessaria una carta migliore, come ad esempio “carta Marker”, che ha un rivestimento a prova di spurgo. Questa è meno trasparente, anche se è ancora possibile tracopiare da una base sottoposta. Tenere sempre la superficie di lavoro pulita, e il riposo su un foglio di carta straccia per evitare che sporco o grasso sul disegno. Per dare l’effetto di lucentezza è necessario sfumare il colore in alcune zone, e ci sono diverse soluzioni per questo. I gessetti sono il metodo più tradizionale essendo disponibili come bastonicini, che possono essere grattati ed applicati alla carta attraverso un tessuto di lana o cotone. È però estremamente disordinato, e vi è un limite alla profondità di colore che può essere ottenuto, anche se esistono vari fissativi spay che consentono applicazioni multiple. Per limitare la diffusione di polvere di gesso, è meglio usare una maschera di film protettivo, un foglio trasparente autoadesivo applicato alla carta e tagliato con un bisturi per la forma esatta richiesta. Si tratta di un affare complicato e richiede molto tempo al di là del livello di questa introduzione, come l’aerografo, che è di gran lunga preferibile ai gessetti se ci si sta prendendo la briga di tagliare le maschere. La pellicola di mascheramento oltretutto distruggere la superficie della carta “layout”. Sulla carta “Marker” andrà rimosso con estrema cura. Esistono poi diverse carte specifiche disponibili a tale scopo, ma non a tutte piacciono i pennarelli. Come all’estremo opposto della sfumatura ad aerografo, c’è sempre la matita colorata, che è un modo economico e semplice per degradare toni, anche se l’effetto finale è chiaramente limitato. Lasciate che le ombre mostrino i contorni della moto, anche in vista laterale possono dare una sensazione di ampiezza, in risposta alla profondità dell’ombra disegnata. Se un’ombra cade su una superficie piana sarà retta, se cade su una superficie curva l’ombra si piega; allo stesso modo, i riflessi e le luci possono aiutare a sottolineare le forme, cercate però di mantenerle abbastanza semplici oppure possono sopraffare l’immagine. Attenzione agli sfondi troppo elaborati che possono richiedere una quantità sproporzionata di tempo e in realtà mettere in discussione la moto che si sta cercando di mostrare. Utilizzare la luce naturale di colori che riflettono, in genere blu dal cielo e beige da terra (o “paesaggio desertico”, come è noto) può anche aiutare mostra se le superfici sono rivolto verso l’alto o verso il basso, a seconda di quale colore si riflette. Ciò è particolarmente utile per illustrare il bianco, l’argento ed il cromo in cui vi è poca o nessuna tonalità inerente.

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Un metodo alternativo di schizzo è di iniziare con carta colorata. Questo è preso come il tono di base per la carrozzeria, e quindi oscurato o evidenziato come richiesto. Il fotorealismo non è l’obiettivo con questo metodo, ma l’effetto complessivo può essere molto piacevole. L’opacità della carta sarà 100%, no si potrà quindi tracopiare direttamente, ma i disegni possono essere trasposti dalla carta normale a quella per il rendering finale utilizzando carta carbone cancellabile. Questa tecnica era molto popolare con gli stilisti di auto negli anni Cinquanta e Sessanta. Ma qualunque sia il metodo utilizzato, è di vitale importanza che sia coerente con qualsiasi principio si applica, altrimenti si confonde lo spettatore. L’illustratore è un illusionista, crea l’impressione che si sta guardando, non un pezzo di carta con alcune linee e colori, ma un oggetto reale. Ogni metodo utilizzato deve contribuire a creare questa illusione. Per esempio, la luce deve provenire dalla stessa fonte, e le ombre devono sempre cadere nella stessa direzione. E ‘solo la logica di base. Per finire un rendering, e dare un po ‘di brillantezza alla foto, dei riflessi possono essere accentuati applicando del bianco con una matita morbida bianca e /o vernice. Anche in questo caso, non esagerare, o sarà simile a una scena di The Birds. Naturalmente, tutto quanto sopra può ora essere fatto al computer, utilizzando 2-D programmi di grafica come Photoshop, Micrographx o Corel Draw. Ci sono molti vantaggi a questo, non da ultimo la possibilità di premere il tasto “undo” se si fa un pasticcio. Le foto possono essere acquisiti e rielaborati con livelli sorprendentemente elevati di realismo, anche se disegnare su una tavoletta grafica per spostare un cursore sullo schermo è un po’ come guidare una macchina con il telecomando. Gli studenti universitari sembrano gestirlo bene, ma quando hai disegnato a mano per trent’anni, non è così facile adattarsi. Alcuni schermi “tattili” stanno iniziando ad arrivare sul mercato, ma per scopi ricreativi sono ancora proibitivi. I computer, tuttavia, fanno risparmiare una fortuna in materiali artistici. I principi di disegno sul computer sono praticamente identica a quello manuale, con la maggior parte dei materiali in corso di riproduzione elettronica e maschere utilizzate per creare parametri per aree specifiche. Immagini di componenti reali possono essere intervallati da parti disegnate al computer, anche se per essere fatto bene, non è così semplice come può sembrare. Tutte le foto utilizzate per creare una qualsiasi immagine devono avere una sorgente di luce simile, lo stesso contrasto e colore, o essere modificati in tal senso, al fine di continuare l’illusione. Questo lavoro richiede tempo, e una buona immagine prodotta in questo modo non è molto più veloce che utilizzando l’approccio manuale. Nel mio caso, le “impressioni d’artista”, che appaiono sulla stampa specializzata di volta in volta, sono ancora prodotti in gran parte a mano. Ogni immagine prende circa 3-4 giorni, e utilizza vari materiali tra cui matita, pennarello, biro, aerografo e tempere. Ultimamente trovo che i migliori risultati si ottengono rifinendo il disegno con la grafica al computer, che consente la sperimentazione di colori, una più facile e veloce applicazione di grafiche, come ad esempio il lettering, che a mano è estremamente difficile e richiede tempo. Alcuni effetti piacevoli sono possibili anche, come il “texturing” in grado di riprodurre la fibra di carbonio, la maglia di alluminio, e molte altre superfici. Le capacità nel disegno ed il senso del design richiedono tempo per essere acquisiti, ma non lasciatevi scoraggiare. Possono entrambi essere sviluppati senza una formazione formale, se invece state pensando di prendere questa strada a livello professionale, ci sono corsi specializzati nel disign dei mezzi di trasporto disponibili in alcuni selezionati college in tutto il mondo. Ma in entrambi i casi, non lasciatevi scoraggiare da inesperienza. Il talento non esiste realmente. Ci può essere un minimo di attitudine coinvolte, ma per la maggior parte, la capacità è 10% ispirazione e 90% “traspirazione”, come una persona saggia osservò una volta. Questo vale anche per campioni sportivi, musicisti o artisti. L’unica cosa importante è la passione - se si dispone di quella, il resto seguirà naturalmente. (Glynn Kerr, marzo 2001)

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Draw the upper tank line in marker, to the body colour you require. Try to taper the marker to match the varying thickness of the tank to show width - here it narrows towards the rear. In the same tone, draw in the horizon or main body contour

Fill in the encircled area in a lighter tone of the same hue if using a bold colour, or with a little of the ground colour added if not Now for the tricky bit. Blend in a gradated core of the body colour, leaving a “shine� of white paper on either side. Into this merge some sky colour for upward-facing surfaces, and ground colour for those facing downwards.

Finish off by picking out the highlights in white pencil and/or paint, and sketching in any reflections and shadows . In computer, this kind of effect can be done afterwards by masking areas and altering the properties within. By hand, the colour splits and shadows need to be planned out in advance. Either way, ensure that any reflections, highlights and shadows follow the same rules, irrespective of colour. 97


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