fiera d’arte moderna e contemporanea
Gabriele Monteforte, Claudio Biondani e Domenico Monteforte
Da sinistra: Claudio Biondani, Gabriele Monteforte, i pittori Antonio Possenti e Domenico Monteforte
E
ccoci dunque alla terza edizione di ARTEFORTE ed alla terza pubblicazione dell’omonimo magazine, anche quest’anno ricco di articoli, redazionali ed interviste ai maggiori esponenti dell’arte e della cultura, oltre che dello sport, del nostro paese. La Fiera, in questa terza edizione, presenta una serie di gallerie alcune delle quali hanno partecipato fin dall’inizio a questa avventura, altre si sono aggregate quest’anno portando artisti e correnti diverse che rendono l’esposizione ancora più ricca e variegata. Marc Kostabi, Ugo Nespolo, Athos Faccincani, Gualtiero Nativi, Marco Lodola..., ecco alcuni degli artisti che saranno presenti con le loro opere ad ARTEFORTE 2010. La galleria l’Incontro di Chiari, Vera Doc-
ci di Forte dei Marmi, La Spirale di Milano, la galleria Accademia di Torino e molte altre ancora, un giusto mix di artisti emergenti e di grandi maestri come Fontana, De Chirico, Modigliani, Guttuso, Adami, Sassu, Lazzaro, Dorazio, Chia, Migneco, solo per citarne qualcuno, che vanno ad arricchire ulteriormente un evento espositivo divenuto l’appuntamento annuale per i collezionisti che trascorrono le vacanze sulle nostre spiagge versiliesi. Ancora una volta un saluto particolare a chi ha creduto nel nostro progetto, l’Amministrazione comunale di Forte dei Marmi ed ai molti sponsor che con il loro appoggio ci permettono di realizzare questo faticoso ma gratificante evento.
Forte dei Marmi è da sempre un riferimento turistico per il Paese, le bellezze naturali, la storia letteraria ed artistica del ‘900 proprio qui ha toccato i vertici con gli incontri al Caffè Quarto Platano: Carrà, Longhi, Malaparte, Maccari e molti altri grandi nomi della letteratura e dell’arte qui hanno lasciato un segno, un testimone che sentiamo, moralmente di aver raccolto. E’ per noi motivo di grande soddisfazione riuscire ad allestire ogni anno, tra mille difficoltà burocratiche, ARTEFORTE, Fiera d’Arte Moderna e Contemporanea. A riprova del grande successo che sta avendo la nostra “creatura”, vogliamo segnalare la nascita, proprio in questi giorni e sulla scia di quanto abbiamo fatto in questi pochi anni, di una Fiera d’Arte che sulla falsariga della nostra (unico evento fieristico legato all’Arte che si svolge durante il periodo estivo), aprirà i battenti proprio in questi giorni a Milano Marittima, guarda caso altra località turistica estiva! C’è spazio per tutti, ci mancherebbe..., e come sempre buona fiera a tutti!!!
3 umberto buratti
Comune di Forte dei Marmi
arteforte 2010, il saluto del sindaco umberto buratti
è
con ritrovato piacere che rivolgo il mio personale saluto e quello dell’amministrazione comunale alla terza edizione della Fiera d’Arte Moderna e Contemporanea. Un gradito ritorno, che saprà rinnovare il successo dello scorso anno ed ampliarne i confini. Inoltre, una con-
ferma che l’arte, in tutte le sue espressioni è sempre un polo di grande interesse, in grado di attirare un pubblico numeroso ed attento. Forte dei Marmi è stata per molto tempo base operativa di molti dei più grandi artisti e intellettuali del Novecento, che qui hanno trovato il luogo ideale per esprimere la loro vena creativa e una degna dimora per le loro vacanze. Soprattutto Vittoria Apuana ha vissuto i fasti di una lunga stagione artistica e culturale. Quindi, non è un caso che nel nuovo millennio l’arte e la cultura tornino e riproporsi proprio in questa fascia di territorio cittadino. Così come non sarà difficile, fra le prestigiose gallerie d’arte presenti al Palazzetto dello Sport a fine luglio, ritrovare, magari, qualche nome caro alla nostra città. Come sindaco ho fortemente voluto realizzare un progetto che favorisse il riappropriarci della nostra identità storica, che na-
turalmente passa anche attraverso la lunga stagione artistica e culturale del secolo scorso, di cui stiamo faticosamente ritrovando memoria. Come cittadino accolgo con piacere tutte quelle iniziative volte ad accrescere la vocazione turistica di Forte dei Marmi, che ha fatto la fortuna di questo piccolo paese. Dopo tre anni di amministrazione stiamo iniziando a raccogliere i frutti della programmazione avviata, che oltrepassa queste specificità, per abbracciare l’intero contesto socio economico cittadino. Una riorganizzazione a tutto campo, nella quale abbiamo impegnato le nostre risorse. Auguro a tutti, organizzatori e pubblico, un felice e proficuo soggiorno a Forte dei Marmi. La terza edizione della Fiera d’Arte Moderna e Contemporanea offrirà ai cittadini e agli ospiti un momento culturale a cui, sono certo, sapranno dare il giusto apprezzamento. Il Sindaco Umberto Buratti
4 HOTEL CALIFORNIA
Hotel California, NEL CUORE DI ROMA IMPERIALE di Chiara Sacchetti
I
mmerso nel verde di Roma Imperiale. Anche il sole sembra posarsi con discrezione su quello che appare più una grande villa che un hotel a quattro stelle superiore. Divani bianchi, arredi sobri, grandi vasi con conchiglie, l’Hotel California mantiene il fascino voluto dal suo costruttore. “Mio padre lo ha edificato nel 1971 _ ricorda Daniela Viacava, figlia di Mario, celebre costruttore e albergatore prematuramente scomparso _ e fu lungimirante per l’epoca. Quando già si costruivano alberghi a più piani, dalla struttura imponente, lui lo volle basso, con gli archi, circondato dal verde, come una
grande villa. Insieme a mia madre hanno investito ogni anno, per quarant’anni in quest’albergo, conservando l’impronta familiare, quella di un grande casa, con tanti salotti, ma con i servizi che un quattro stelle superiore deve avere”.
L’Hotel California è aperto da aprile ad ottobre ed è gestito dalla famiglia, la signora Gabriella e le figlie Daniela, Cristina e Francesca. Dalla scomparsa del padre nel 2004, è proseguita comunque la tradizione di investire nell’albergo e in cinque anni sono state ristrutturate le camere, la zona piscina, la zona bar e così via sotto la supervisione di Francesca, interior designer. Eleganza sobria, colori che richiamano l’acqua, chiari e pastello, cuscinoni, spazi ampi. La clientela alta e qualificata è molto più varia di un tempo. L’internazionalità è ormai diventata una caratteristica non solo di Forte dei Marmi ma anche di ogni singolo albergo. Ecco che _ afferma Daniela Viacava _ “la gestione di un albergo a quattro stelle è molto più complessa rispetto al passato: i servizi si sono quadruplicati, l’attenzione verso il cliente presuppone una cura meticolosa delle camere, del ristorante, del giardino con piscina e così via. C’è da fare un lavoro certosino anche di mar-
5 HOTEL CALIFORNIA
keting, utilizzando internet con i vari portali. L’accuratezza del sito web dell’albergo ha inoltre una importanza centrale”. Forte dei Marmi è piuttosto conosciuto , ma potendo presentarsi ad un pubblico ormai mondiale, non si deve trascurare alcun dettaglio. La clientela che accetta tariffe elevate vuole altrettanti servizi e dunque il personale dell’albergo deve essere adeguato e preparato: “Oggi siano il doppio rispetto a una ventina di anni fa _ continua la direttrice dell’hotel California _ e il personale è stato incrementato in ogni settore. Ognuno di noi deve darsi da fare, frequentandosi appositi corsi, ma anche imparando a contatto con la clientela. Certamente anche la gestione economica risulta più complessa, ma in compenso è aumentata la soddisfazione che deriva dal confrontarsi con un pubblico internazionale”. Russi e americani, ma soprattutto europei: inglesi, svizzeri, olandesi, belgi e anche tedeschi, seppur in diminuzione rispetto ad un tempo. La lingua di comunicazione è l’inglese, c’è però chi tra il personale conosce più lingue per facilitare i clienti. Materie prime di qualità e un
buono staff anche per la cucina dell’hotel California, che propone un menu ampio stile ristorante, con piatti leggeri per soddisfare ogni tipo di esigenza: dal vegetariano al celiaco, al menu più adatto per i bambini. Molto pesce, naturalmente, e cucina sia toscana che internazionale, che riceve spesso i complimenti dagli ospiti. Daniela Viacava è soddisfatta della sua attività ma vede ancora altre strade da esplorare soprattutto per prolungare la stagione turistica, per rendere Forte dei Marmi attraente tutto l’anno o almeno nel periodo primaverile. “Ogni albergo fa la sua pubblicità che ormai non è più cartacea ma informatica _ afferma _ ma ci sono ancora molti paesi del mondo da raggiungere e soprattutto iniziative
California Park Hotel Via Colombo, 32 55042, Forte dei Marmi (LU) Tel. +39 (0584) 787121 Fax +39 (0584) 787268 www.californiaparkhotel.com info@californiaparkhotel.com
che potrebbero avere grandi ricadute sul turismo, da organizzare a livello pubblico. Penso ad esempio a mostre d’arte di richiamo internazionale che possano portare persone di un certo livello per più tempo, magari fuori stagione, oppure a convegni di ampio respiro. Il nostro settore comunque è attivo, investe, porta gente in Versilia e fa conoscere Forte dei Marmi, che fortunatamente mantiene ancora il suo fascino”.
sommario 8
8
Andrea Camilleri A quatti mani
14
Lucio Fontana Luce - Colore - Spazio
14
22
Rabarama Pre-destinazioni
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RickY albertosi Il “Paratutto” è uno di nostri
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22
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Marco lodola I giocattoli di Marco
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Arturo puliti L’Artista che trasfigura
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francesco demuro Per molti è il “giovane Pavarotti”
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Marc kostabi Light & Music
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Matteo raffaelli Chi l’ha detto che la cultura è noiosa
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Eugenio Cherubini “Chiattina”
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Renato Meneghetti Il pittore delle radiografie
fiera d’arte moderna e contemporanea
67 GALLERIE IN FIERA: Aghilartes ....................................pag. 68
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Aretusa Arte Contemporanea.......pag. 73 B & B Arte pag. 76 Studio Cortese Arte.......................pag. 82 Dir’Arte Arte..................................pag. 86
Forte dei Marmi, estate 2010
Galleria Accademia.......................pag. 90
Arteforte s.r.l. via Provinciale, 1 55042 Forte dei Marmi (Lu)
Galleria Brandi Arte ....................pag. 100 Galleria “Cristina Busi”................pag. 105 L’incontro......................................pag. 110 Galleria d’Arte Malinpensa - La Telaccia.............pag. 118 Galleria Ermione...........................pag. 124 Galleria Silvano Lodi & Due........pag. 129 Galleria Stefano Simmi................pag. 136 Galleria 18.....................................pag. 138 In Door Art Gallery.......................pag. 140 Lazzaro By Corso..........................pag. 146
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Numero Unico
Fantasio & Joe...............................pag. 88 Spirale Milano...............................pag. 94
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www.fierarteforte.com info@fierarteforte.com
Lo Sguardo dell’Altro...................pag. 152 Zodiaco Arte..................................pag. 156 Spazio Gianni Testoni La 2000+45....................................pag. 158 Proposte d’Arte Contemporanea..pag. 164
Pubblicità: Arteforte s.r.l. Tel. 347 7698311 Hanno collaborato a questo numero: Emanuela Mazzotti, Umberto Guidi, Chiara Sacchetti, Luca Basile, Domenico Monteforte Gianpaolo Giacomelli Lodovico Gierut Matteo Raffaelli Fotografie: Federico Neri Sandro Santioli Angelo Pitrone Progetto grafico e impaginazione: Gabriele Moriconi Editografica - Pietrasanta Tel. 0584 790039 Stampa: Industrie Grafiche Pacini, Pisa Arteforte Magazine esce una volta l’anno in occasione della Fiera d’Arte Moderna e Contemporanea. Per richiedere una copia contattare: 347 7698311
Mandelli Arte Contemporanea.....pag. 166 Ambre Italia..................................pag. 168 Veradocci.......................................pag. 172 Veronica Meschis - Galleria
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d’Arte contemporanea..................pag. 180
La presente pubblicazione, in distribuzione gratuita, è stata stampata in 7000 copie con il patrocinio del Comune di Forte dei Marmi in occasione della Fiera d’Arte moderna e contemporanea presentata dal 22 al 26 luglio 2010 presso il Palasport di Forte dei Marmi
8 Personaggio
Andrea
9 Andrea Camilleri
Testo di Matteo Raffaelli Fotografie di Angelo Pitrone
I
l mio primo incontro con Camilleri, risale al 2005. Mi accingevo a realizzare un documentario dal titolo “A quattro mani” prodotto da minimumfax media e la terza rete della Rai. La particolarità del film era quella di mettere a confronto due maestri del noir, Camilleri e Lucarelli, che avevano deciso di scrivere un romanzo a quattro mani. Una sorta di jam-session letteraria. Da allora a oggi ho incontrato e intervistato Camilleri molte volte, una parte delle quali naturalmente sono entrate nel mio documentario. Negli archivi della casa editrice sono rimasti, ancora inediti, molti pensieri e riflessioni che ho scambiato da allora a oggi con il maestro del mistery italiano. Da questo prezioso baule di idee ho estratto il meglio, che viene pubblicato in questa esclusiva rivista, che dedica uno spazio all’uscita del romanzo “Acqua in bocca”, della cui genesi ebbi l’onore di essere testimone. Tutto è cominciato a maggio 2005 e precisamente il primo maggio, quando ancora non conoscevo Camilleri di persona, e attendevo già da parecchio tempo di incontrarlo per concordare un programma delle riprese. Il lavoro di preparazione fu lunghissimo, mi presi una pausa per fare un po’ di mare, il primo della stagione, come si suol dire, convinto che di certo non sarei stato chiamato nel giorno di festa del primo maggio. Ero a Forte dei Marmi, coi pantaloncini corti e l’asciugamano sulla canna della bicicletta e me ne andavo al mare, o meglio, credevo di andare al mare, quando squillò il cellulare. Risposi e sentii all’auricolare un tizio con la voce uguale a quella baritonale di Fiorello nella nota imitazione, asserire di essere Andrea Camilleri. Sempre il tizio al telefono diceva che mi avrebbe ricevuto nel pomeriggio a casa sua. Sospettando uno
scherzo, giocato da qualche amico, ho esitato non poco, poi ho girato le ruote della bici verso casa e come un salmone, ho risalito la corrente degli automobilisti vacanzieri, verso la città. Morale, alle due e mezzo del pomeriggio ero a Roma seduto a casa di Andrea Camilleri a bermi un caffè con lui. Merita che io descriva innanzitutto com’è fatto il suo studio. La stanza è molto piccola, assomiglia allo scompartimento dei vecchi treni, c’è giusto lo spazio per un divanetto, una mini scrivania e una sedia, la sua. La cosa che notai subito fu un fornelletto elettrico tipo tostapane acceso e un minuscolo pentolino nel quale bolliva un liquido misteriosamente verde. Mi colpì visto che c’era un caldo asfissiante e nessun impianto di condizionamento dell’aria. Quando ho chiesto lumi, Andrea mi ha spiegato che quelli erano strumenti eccezionali, testati negli anni, per “mangiare” il fumo delle sue sigarette, fumate in quantità leggendaria. Ancora oggi, a dire il vero, non sono convinto della spiegazione, soprattutto quel pentolino, ricordava molto gli strani recipienti dei maghi. Quelli in cui cuociono code di rospo e unghie di drago. Chi lo sa? L’unica cosa certa per me, era che non sapevo da dove cominciare, tante erano le cose che avrei voluto chiedergli. Iniziai dalla quella che più di tutte mi assillava e forse quella che incuriosisce i lettori e gli appassionati dei suoi romanzi. Perché hai deciso di fare lo scrittore e perché scrivere di romanzi che hanno a che fare con il mistero? Prima ancora che come scrittore ho cominciato da bambino a leggere molto, ero figlio unico e mi annoiavo mortalmente. Avevo uno zio medico che aveva una biblioteca enorme. A guardia di questa biblioteca e a guardia dei nipoti, c’era un cranio,
Camilleri “A Quattro Mani”
10 ANDREA CAMILLERI
autentico, mio zio era un medico. Aveva posato questo cranio su un coso che lui chiamava Iorche, e diceva :“Non potete entrarci perché c’è il morto, c’è Iorche lui mi dice tutto…” Io scoprii che abbassandomi Iorche non poteva vedere perché aveva lo sguardo fisso. Così una volta passai sotto Iorche e sotto questa enorme libreria c’erano delle parti chiuse, le aprii e scoprii per esempio la rivista “Il dramma”, che pubblicava ogni numero una commedia o un atto unico, e all’epoca dedicava molto spazio alle commedie gialle, anche italiane. Romualdi, Glisenti, “Calibro Nove”, o “L’anonima Ruarot” di Gianni Munice. Erano dei meccanismi ingenui ma per la mia età andavano benissimo. Mio zio si accorse che le riviste non erano in ordine e un giorno mentre mangiavamo tutti assieme disse: “Iorche mi ha detto che qualcuno è entrato, chi è stato?”. Allora io tremando dissi “Io”, e lui rispose: “Va bene, puoi entrare.” E così potei avere anche “Le grandi firme” che era l’altra rivista che ogni tanto pubblicava dei raccontini gialli. Qual è stato il primo romanzo che ricordi di avere letto? Il primo romanzo che ho letto in assoluto è stato stato “La follia di Almayer” di Conrad, subito dopo lessi un romanzo di un tale Georges Sim che poi sco-
prii essere Georges Simenon. Cominciavano allora a pubblicarsi anche in Italia i libri di Simenon, erano gli anni Trenta, mio padre era un appassionato, e lo sono diventato anch’io, tanto dei gialli quanto dei cosiddetti romanzi-romanzi, come li chiamava lui, che in fondo però, c’avevano sempre un tessuto non proprio di mistero, ma di testamento andato a male, di amori furtivi e quasi drammatici. Da allora è stata una scelta. I tuoi primi romanzi pur non essendo dei gialli, penso a “Un filo di fumo”, la “Stagione della caccia”, il “Birraio di Preston”, hanno sempre in qualche modo a che fare con la morte. Ma forse perché è un evento così definitivo la morte di un uomo, così importante, così straordinario. La morte stessa costituisce un tale enigma, un tale elemento di curiosità per uno che scrive, credo che sia in un certo senso un punto di partenza. Qual è l’elemento scatenate da cui parti per scrivere un romanzo? Parto sempre da un fatto. Per esempio la causa scatenante per cui io scrissi “La stagione della caccia” fu che un giorno mi capitò di trovare una vera miniera d’argento, cioè a dire i due volumi pubblicati da Cappelli tantissimi anni fa, che riproducevano le deposizioni stenografate, mai tra-
11 ANDREA CAMILLERI
dotte diciamo, della famosa inchiesta sulle condizioni socio-economiche della Sicilia nel 1875. In questi volumi il Presidente della Commissione, il Senatore Cusa, chiede al sindaco di un piccolissimo paese della provincia di Caltanissetta: “Signor sindaco, recentemente nel suo paese ci sono stati fatti di sangue?” e il sindaco risponde: “No, per niente, Eccellenza, fatta eccezione di un farmacista che per amore ha ucciso sette persone.” Ecco questa frase mi ha spinto a scriverlo, uno che per amore ammazza sette persone! Poi c’era anche il sottodiscorso, perché quello non era considerato delitto, uno che ammazza per amore, non era da considerare fatto di sangue. I fatti di sangue sono quelli della mafia. Come nasce Montalbano, cioè come nasce l’esigenza di scrivere un romanzo molto più vicino al genere giallo. Quando scrivo i miei romanzi non polizieschi, parto da un evento storico. Per esempio nel “Birraio di Preston” la cavalleria che entra dentro a un
teatro. Attorno a quel fatto costruisco il romanzo. E’ un modo anarchico di scrivere, cominciando da un punto qualsiasi della storia e attorno a quel punto costruire tutto il racconto. Mi sono chiesto: “Ma sai scrivere in un modo meno anarchico, cioè cominciando dal giorno e finendo alla sera, cominciando capitolo uno e finendo capitolo ultimo? L’unica maniera per scrivere così è il romanzo giallo, è una gabbia che ti impone una disciplina, come diceva Leonardo Sciascia. Allora ho scritto Montalbano, lo considerai un esercizio per me. Il secondo romanzo dell’ispettore di Vigata, “Il cane di Terracotta”, lo scrissi perché non mi sembrava di non essere riuscito a risolvere completamente il personaggio. Con questo però, per me era finita lì. Fu Elvira Sellerio, dopo sei mesi, a chiedermi quando gli avrei consegnato un nuovo Montalbano. Io risposi che non ce ne sarebbero stati altri. Mi disse se ero pazzo perché, non solo Montalbano si vendeva tantissimo, ma si portava dietro tutti i miei romanzi precedenti a cui tenevo
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molto. Salvo Montalbano in un certo senso mi ha ricattato. Dove l’hai preso il nome Montalbano? Quando scrissi Montalbano avevo finito una stesura noiosissima de “Il birraio di Preston”. Perché noiosa? Perché era un romanzo insopportabile, la storia era raccontata dalla A alla Z ed era un mattone autentico. Sentivo che il materiale era buono, però non lo sapevo strutturare bene. Lessi un romanzo di Vázquez Montalbán, “Il pianista”, che non è un romanzo giallo, e vidi che lì il tempo narrativo era strutturato in un modo diverso e questo mi diede la chiave per rimettere mano a “Il birraio di Preston”. Allora, per gratitudine verso Vázquez Montalbán diedi al personaggio il nome di Montalbano. Così è nato il nome, che d’altra parte è un cognome diffusissimo in Sicilia. I tuoi comunque non sono dei gialli classici, perché spesso la soluzione dell’enigma è quasi un elemento secondario. C’è una cosa che ho sempre detestato, che la soluzione arrivi nelle ultime pagine del libro, che arrivi in un modo tale che nessuno possa averla intuita prima. Quando ho cominciato a scrivere gialli con l’idea di non scrivere dei gialli, ero reduce da un trauma. Il trauma che m’aveva colpito è questo: ero in tournèe con Salvo Randone, che è stato un grandissimo attore, all’epoca facevo ancora il regista, gli avevo fatto uno scherzo piuttosto pesante a Salvo; avevo messo nella sua stanza della posateria dell’albergo. In maniera che la cameriera, siccome c’erano incise le iniziali dell’albergo, immediatamente si accorgesse che il signor Randone rubava l’argenteria. Lui non disse niente da buon siculo com’era, però riuscì a sapere chi era stato l’ideatore dello scherzo. A quell’epoca compravo a chili “I Gialli” Mondadori. Durante le varie stagioni teatrali, bat-
tevamo città del sud, Foggia, Bari… soffrendo d’insonnia, leggevo moltissimo. Una notte ne inizio uno e arrivato alla fine, mi accorgo che mancano le ultime cinque pagine: con la lametta, il Randone, mi aveva tagliato il finale. Passai la notte completamente sveglio, perché non c’era dove andarlo a comprare, quindi mi sono ripromesso da scrittore che non avrei mai fatto una cosa di questo tipo. Nel romanzo “Acqua in bocca” per la prima volta Montalbano incontra la famosa ispettrice di “Almost blue” Grazia Negro. Perché hai deciso di scrivere un romanzo con Carlo Lucarelli? La proposta mi ha subito interessato, perché una cosa è avere a che fare con uno scrittore che stimi e che stimi anche umanamente, e già sono due elementi. E poi ci sono quarant’anni di differenza tra me e lui. Io scrivo dei gialli, lui scrive dei gialli che ogni tanto tinge di nero, volge al noir, io no mai. E’ divertente un confronto con uno scrittore col quale ci sono così tanti anni di differenza. Salvo Montalbano e Grazia Negro sono quindi due modi di investigazione che si confrontano e si sfidano a vicenda. Che futuro hai in serbo per l’ispettore Montalbano? Noi scrittori sulla carta possiamo ammazzare chiunque. Ma non un personaggio che è diventato parte integrante di te stesso. E’ come amputarsi una parte del corpo, ti viene a mancare il coraggio, a meno che non sia l’estrema ratio di una situazione eccezionale. Ma poi ci sono tanti modi di fare scomparire un personaggio. E’ l’idea della morte che mi ripugna. Perché se ne può andare in pensione e vivere felice e contento. Dice: “E che fa?”, quello che fanno le altre persone, si dedica ai giardinetti o se ne va a pescare a Boccadasse, fine del discorso.
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Lucio
15 Lucio fontana
di Emanuela Mazzotti
F
ontana nasce come scultore prima ancora di essere pittore. La sua storia si snoda tra Rosario di Santa Fe in Argentina, suo luogo natale, e Milano, attorno alla famosa Galleria Il Milione, luogo di attrazione per giovani artisti tra i quali spiccano, accanto allo stesso Fontana, Aligi Sassu e Renato Birolli. Siamo negli anni’30 del secolo scorso e si respira aria di rivolta nei confronti della tradizione italiana considerata ormai decisamente superata. Il riferimento è soprattutto al gruppo di Novecento, al quale si oppone l’espressionismo di natura Fauves, considerato la strada maestra per un’arte che finalmente possa dirsi d’avanguardia. Fontana in questo tempo è interessato alla scultura realizzata con materiali duttili quali la terracotta, la maiolica e il gesso che trasforma con rivestimenti bituminosi incisi e graffiati, per assecondare un’ ispirazione primitiva, opposta al plasticismo delle contemporanee esperienze di Arturo Martini o Marino Marini, più vicini ad un ritorno alla figurazione. Il monumento mai realizzato allo scultore Giuseppe Grandi del 1931, nasce dalla sua collaborazione con l’avanguardia milanese di architettura e si configura come un avveniristico progetto in alluminio e cristalli, del quale lo stesso Fontana dirà, che è un opera in grado di rendere “concreto un concetto alato(…)”ovvero sintetizzare il segno e la linea tale che la forma si risolve più nella bidimensionalità piuttosto che nella plastica. Siamo così giunti alle soglie dell’astrazione che trova nelle forme dinamiche della scultura nuovo linguaggio e che costituisce precedente non trascurabile ai lavori pittorico – spaziali del ’50.
Lucio Fontana, idropittura su tela rossa cm. 35x27 (Concetto spaziale attese 1965-66) - Quadro di copertina per gentile concessione della Galleria Vera Docci, Forte dei Marmi.
Alle origini di quest’arte si riconosce lo studio sul valore dello spazio come dinamismo lineare, la riflessione sul prevalere del vuoto sul pieno, studio che si tradurrà in un colore denso e pastoso che”mimetizza” più che esaltare le forme. In Argentina nel 1946 redige il famoso Manifesto Blanco nel quale si afferma la necessità di un ap-
Fontana
Luce - Colore - Spazio
16 Lucio Fontana
proccio formale istintivo, dettato dal subconscio, vicino in questo sia al Surrealismo sia alle istanze futuriste, dalle quali recupera il valore di supremazia della luce e del movimento nello spazio, concepiti come simultaneità. Tornato in Italia nel ’47, l’artista si dedica al disegno in cui la forma ricorrente è proprio quella del vortice come prima espressione del “concetto spaziale”. Sensibile alle innovazioni tecniche del tempo, ha compreso che l’arte si avvia ad essere, come la televisione, una sintesi di suoni, colori, luci. Nel Secondo manifesto dello Spazialismo del 1948 concepisce scultura e pittura come nuove espressioni che hanno radici nella scienza e nella tecnica moderne. Sono prossimi a questo tempo (1949 -50) i Buchi, risultato di quelle ricerche che avevano interpretato le teorie sulla scoperta del cosmo e che si configurano come puro spazio infinito. Bucando la tela Fontana rivoluziona il concetto tradizionale di arte e nello specifico della tela stessa che cessa di essere “supporto” della forma e diventa spazio infinito, vuoto totale. Il punteruolo segue diverse traiettorie sulla superficie sia che si tratti di carta o di tela, spesso lavorando dal rovescio dell’opera, e deter-
minando effetti arricchiti dalla presenza di lustrini o sabbia. Il risultato è esaltato dalla luce artificiale che attraversa questi schermi sottoforma di flusso. Sono datati al 1958 le prime lacerazioni della tela come esito della ricerca sul monocromo a cui Fontana è pervenuto dopo aver sondato tutti i possibili effetti che la materia possa produrre; così per assecondare un bisogno di ulteriore “riduzione” della forma concepisce la superficie colorata come “un’attesa”, luogo meditativo dove il taglio si configura come esito di un lento ritmo e della gestualità. Le Attese costituiscono un momento di riflessione e un punto fermo nell’opera di Fontana, una pausa felice dopo anni di incomprensioni di una certa parte del pubblico e della critica; allo stesso modo si possono configurare come idea di una possibile“rinascita”, tempo di una nuova progettualità. Fontana sembra voler ripartire da zero dopo aver annullato la materia, per ritrovare un luogo primigenio, un territorio senza tempo. Le Attese sono un’idea immaginata del futuro, i loro colori, dai più squillanti ai più garbati traducono “l’irrequietezza dell’uomo contemporaneo”, il suo bisogno di perdersi per ritrovare l’energia primaria che muove le cose.
18 Bruno murzi
IL CUORE DI UN BAMBINO
Bruno Murzi, la cardiochirurgia pediatrica come missione
U
n fortemarmino doc ai vertici della cardiochirurgia infantile. Bruno Murzi, 58 anni, è primario all’Ospedale pediatrico apuano, ma non disdegna – quando serve – di trasferirsi in paesi meno fortunati per mettere in piedi equipe chirurgiche in grado di salvare la vita a bambini minacciati da gravi cardiopatie. “Ho avuto la fortuna di esercitare una professione che mi piace – confessa – tanto è vero che non sento neppure la fatica. Posso rimanere in sala operatoria per sei ore di seguito quasi senza accorgermene”. Nato nel dicembre del 1952, figlio unico, la mamma era insegnante, il padre impiegato statale. “Mio nonno era il fabbro del paese, la nonna aveva una merceria in piazza Garibaldi. Ero sempre insieme ai miei cugini, che hanno fatto le veci dei fratelli. Un’infanzia normale, e un desiderio subito chiaro in mente: diventare
medico”. Così, dopo la maturità scientifica, la laurea in medicina a Pisa, nel 1979, e la specializzazione in cardiochirurgia e chirurgia generale d’urgenza, cui si sono aggiunti vari master, tra questi uno in bioingegneria medica. Oggi Bruno Murzi, sposato dal 1977, due figli, Michele di 29 anni e Silvia, di 25, è primario di cardiochirurgia pediatrica all’Opa, dirigente del dipartimento pediatrico della Fondazione Monasterio, responsabile della proiezione della cardiochirurgia pediatrica dell’ospedale Meyer di Firenze. E’ stato anche presidente, nel biennio 2007-2008, della Società italiana di cardiochirurgia. Opera solo bambini, al cuore e alla trachea. “Da studente è stato decisivo l’incontro – spiega – con Sergio Eufrate, allora primario di cardiochirurgia pediatrica all’ospedale ‘Pasquinucci’ di Massa. Andai a vedere il suo reparto e rimasi conquistato dal sistema di lavoro molto anglosassone: continue riunioni per la discussione dei casi, processi decisionali condivisi, turni di guardia di 36 ore consecutive, all’americana. E’ in questo ospedale, a due passi da casa, che mi sono innamorato della mia professione. Dopo la specializzazione ho lavorato per tre anni a Londra, e quindi per cinque anni a San Donato Milanese. Nel 2000 sono ritornato all’Opa di Massa”. Viene in mente la polemica sulla fuga dei cervelli. Murzi la pensa così: “Qualcosa è migliorato e anche nel nostro paese le cose stanno
cambiando, sia pure lentamente. Un buon contributo a mio parere l’ha dato Rosy Bindi quando era ministro della sanità, abolendo la figura del ‘primario a vita’. Ora il responsabile di un’unità operativa deve dare dei risultati, altrimenti può essere rimosso. Da questo punto di vista, oggi è meglio l’ospedale dell’Università”. E sulla solidarietà internazionale il dottor Murzi ha idee chiare: “Ogni volta che è possibile è più efficace realizzare gli interventi chirurgici direttamente nei paesi che devono crescere. Si semina qualcosa e si risparmia anche dal punto di vista economico. Per esempio alcuni anni fa siamo stati nello Yemen, dove avevano un ospedale dotato di macchinari per la circolazione extracorporea, ma senza le competenze per usarli. Siamo andati là e li abbiamo fatti funzionare, realizzando 6 interventi in 12 giorni. Poi medici yemeniti sono venuti qui a fare un’esperienza formativa. Oggi operano da soli, e fanno 700 interventi l’anno”. Murzi ha anche la passione dell’amministratore locale. èstato consigliere comunale e assessore nel 1991. Nel 2007 è stato rieletto e ha fatto il presidente del consiglio comunale e quindi l’assessore alla cultura e al turismo. Fino alle recenti dimissioni per ‘motivi di lavoro’. Ma la politica, rivela, non è un capitolo chiuso. Potrebbe tornare a impegnarsi: “Se si verificassero le condizioni di poter operare delle scelte significative per Forte dei Marmi”.
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“La mia Versilia? Marcia unita verso il successo” Massimo Lucchesi, Direttore dell’Apt, parla di promozione, cultura e ricette anticrisi
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a Versilia è un fazzoletto di terra fortunato, privilegiato dal punto di vista naturalistico e paesaggistico. Stretto fra le Apuane e il mare, vanta bellezze apprezzate da italiani e stranieri fin dagli albori del turismo. Eppure è anche una terra estremamente frammentata, divisa da antichi municipalismi, spesso gelosi delle proprie prerogative e restii a mettere in comune risorse e possibilità. Per tentare di conciliare le diversità delle ‘piccole patrie’ versiliesi e competere meglio su un mercato sempre più esigente, è attiva da sempre l’Azienda di promozione turistica. Un lavoro di unificazione e coordinamento non certo facile, guidato dal direttore Massimo Lucchesi, nato a Viareggio nel 1963, laureato in Ingegneria Civile all’Università di Pisa. La Versilia è un’entità territoriale ridotta ma estremamente ricca di iniziative e attrazioni per il turismo. C’è
davvero la difficoltà di mettere mano a un calendario organico delle iniziative culturali e spettacolari che eviti sovrapposizioni e inutili concorrenze? “Intanto per come la vedo io avere tante manifestazioni da offrire ai nostri ospiti non è un problema, ma una risorsa. E spesso non tutti quegli appuntamenti spettacolari o culturali che sembrano ‘doppioni’ di altri già esistenti non lo sono davvero, perché vengono indirizzati a target diversi. Ciò premesso, è innegabile che esista l’esigenza di integrare e coordinare il calendario degli eventi rivolti al turista. E infatti con la Provincia di Lucca è stato avviata da tempo un’iniziativa di coordinamento che passa attraverso la immissione in rete di un calendario generale delle manifestazioni. Il punto di partenza, sul quale stiamo lavorando intensamente, è il sito Internet “Terre di Lucca e di Versilia” (www.luccaterre.it), che si configura come una banca dati destinata ad accogliere le segnalazioni direttamente dagli organizzatori degli eventi. I quali, ricevuta una password, accedono direttamente al sito per inserirvi le informazioni: si crea così un calendario unico, in tempo reale, che segnala automaticamente le eventuali sovrapposizioni. Il sito, al quale collabora la Scuola Normale di Pisa, è operativo. Il coordinamento, dunque, è già avviato e sarà presto a regime”.
E il nuovo palazzo del congressi? “Se costruirlo e dove è una scelta politica. Se ne può fare anche a meno nel modello del congressuale diffuso, con piccole strutture tarate sul numero dei 500600 partecipanti. I mega palazzi dei congressi rischiano di andare in crisi. Naturalmente non tocca a me decidere nel merito. Come Apt mi limito a ripetere che l’approccio alla questione della congressistica deve essere comprensoriale”. A che punto è la crisi? “La crisi è generale e investe sia il congressuale che il cosiddetto turismo ‘leisure’. La ripresa prima o poi dovrà pur venire, ma nel frattempo non stiamo con le mani in mano. Siamo attivi sul fronte della promozione, con 260mila euro da investire nel biennio. La nostra struttura turistica è, come si dice, matura. Il punto è riuscire a stare sul mercato. E’ una missione possibile giocando la carta della qualità, coinvolgendo gli operatori turistici, intervenendo dove serve. Per esempio c’è da lavorare nel settore delle case private in affitto, che attualmente presenta molti punti di debolezza. L’ideale è sempre riuscire a fare, come si dice, sistema. Si può salvaguardare e promuovere la tradizione tipica dell’accoglienza versiliese, per esempio lo stabilimento balneare a conduzione familiare, ancora apprezzato dai nostri ospiti”.
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Speciale interviste:
Scultura internazionale Rabarama: Pre-destinazioni di Emanuela Mazzotti
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l suo nome e la sua arte coincidono? Non c’è una spiegazione e non voglio fornirla perché nasce da un motivo privato.. mi piace pensare che sia un ritmo, un suono, tante sillabe come un puzzle. Ho scoperto che la parola Raba in sanscrito vuol dire segno, mentre Rama è la divinità.. quindi si potrebbe interpretare come “segno divino”. Potrebbe essere una spiegazione soprattutto se pensiamo alla pelle incisa della mia scultura che, forse il caso, o il destino, hanno deciso. Lei ha iniziato con la scultura monumentale? In realtà no, ho iniziato con le piccole cose ma il mio grande desiderio è sempre stato quello di realizzare sculture di grandi dimensione perché si rapportano con l’ambiente esterno e concentrano una particolare intensità con la quale si impongono rispetto al fruitore, a differenza delle più piccole. La prima opera realizzata apparteneva alla serie dei “puzzle”, ed è stata subito venduta, così ci siamo chiesti se non potesse funzionare anche ad una scala più grande… In collaborazione con Vecchiato Art Galleries ho dato seguito ad un progetto specifico ,pensato in chiave monumentale. Ingrandendo una scultura, corrispondente ad ognuno dei periodi in cui si sviluppava il mio lavoro, ho ottenuto un risultato interessante tanto da decidere di organizzare le prime esposizioni in modo diverso rispetto i percorsi espositivi tradizionali. In questo lavoro si è reso necessario coinvolgere le Pubbliche Amministrazioni per privilegiare un percorso espositivo all’aperto dove si ottiene quella giusta visibilità che coinvolge il pubblico; un pubblico non selezionato come quello delle gallerie, ma più vario e in grado di ga-
Rabarama Pre-destinazioni
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rantire un ritorno di popolarità più vasta rispetto ad altre forme espositive, visto anche che il mio lavoro coinvolge facilmente persone che vivono realtà culturali diverse, abbiamo trovato che fosse una forma migliore di qualsiasi altra pubblicità: dal Nord Europa all’America, dove esistono passioni per la scultura decisamente radicate, senza trascurare l’Italia, abbiamo ottenuto molti consensi sia con una clientela privata che pubblica. Proprio di recente il Comune di Reggio Calabria ha acquistato alcune mie opere e le ha collocate sul lungomare realizzando situazioni particolari e interessanti, collocazioni che preferisco, piuttosto che Shangai o il museo greco. Molto meglio quindi la collocazione negli spazi esterni, piuttosto che all’interno del museo? Sì, io lo prediligo decisamente. Lo spazio pubblico all’aperto si configura meglio del museo, dove comunque c’è un pubblico selezionato. Diversamente del museo è meno “classista” e dà la possibilità di incuriosire, visto che l’arte è comunicazione, l’arte è per tutti non per un pubblico di addetti ai lavori. Questo è il senso del mio lavoro. Come realizza un suo lavoro? Le tarsie, il gioco del mosaico, come si ottiene questo risultato nella scultura che è già piuttosto complessa? Si parte dalla figura realizzata nella sua totalità, in forma piena, poi a seconda: se si tratta del mar-
mo bisogna pensare alle parti sporgenti del corpo, ciò che fuoriesce dalla figura, altrimenti devi togliere… Io lavoro con un modello in terracotta per quanto riguarda i bronzi, il bronzo viene calcato e poi si procede con la fusione, mentre nel marmo hai un modello che successivamente viene ingrandito, riportato per punti prevedendo le parti in aggetto rispetto le rientranze, altrimenti si procede per eliminazione di ciò che è superfluo. Quando lavoro la terracotta lavoro in cavo, senza armatura metallica, perché mi piacciono le cose complesse, amo sperimentare. Questa tecnica l’ho imparata grazie a mia madre che era ceramista. Per quanto riguarda la tarsia: inizialmente l’idea di queste figure era che rappresentassero una sorta di computer biologici, nel senso che l’ origine è legata ad un patrimonio genetico che con l’ambiente esterno determina un destino, una sorta di predestinazione tale che le nostre azioni sono risposte ad input esterni. Malgrado ciò gli uomini sono forniti di un’ autonomia, un’individualità che li rende ognuno diverso rispetto agli altri, un’anima, un’essenza, si può chiamare in molti modi. Poi circa sette anni fa c’è stata da parte mia una sorta di interruzione. Questi computer biologici fatti di cellule e genoma sintetizzati dalle tarsie, dai tatuaggi e dalle lettere prese dal linguaggio della filosofia, sono stati accantonati, per ricercare nuove sperimentazioni e superare questo eccesso di realismo – pessimismo,
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per pensare a qualche cosa di positivo da trasmettere. Nel frattempo è arrivato il contatto con la Cina, con una cultura molto poetica e quindi ho iniziato a sperimentare le resine e il poliestere. Le sculture sono state incluse dentro questi materiali che hanno inteso suggerire quasi la nascita di un “uomo nuovo”. Il passaggio successivo è stato quello dei feti in gomma siliconica, dove il colore non era più fuori ma all’interno. Questo passaggio individuava l’origine energetica, come se diventassimo una parte del tutto, dell’Universo e questa energia pulsante dall’interno attraversasse il corpo diventato trasparente. Poi, al di fuori dell’involucro, ho studiato la nostra parte interiore, quell’impulso legato all’istinto che si è concretizzato prima nelle figure degli animali, per poi passare al tema dell’oracolo I Ching. All’oracolo noi chiediamo risposte che possiamo diversamente interpretare, anche se è la libera scelta di ognuno che determina l’esito finale. Proprio in quest’ultima fase sono stata influenzata dalla filosofia dell’ I Ching, antica saggezza e filosofia orientale, che mi ha portato ad una sintesi del corpo fatta di tarsie ed esagrammi tradotti in superficie con i numeri, una forma d’ispirazione legata alla numerologia ed al simbolo. Questi caratteri alludono ai nostri alter ego celesti che sono gli angeli, passando attraverso l’alfabeto ebraico e la cabala, espressioni di un sapere alchemico ed
esoterico che si traduce ancora nel corpo come computer biologico, tornando all’origine del mio lavoro. Il tentativo è pertanto quello di risalire ai “perché” che governano la nostra vita ed il nostro destino.
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Quali sono stati i maestri a cui ha guardato all’inizio della sua carriera? Io ho due grandi passioni: mi sono emozionata alla vista delle opere di Lucien Freud e Louis Bourgeois che ha determinato in me una sorta di “riconoscibilità”. Mi sono identificata, guardando il suo lavoro, ho intravisto la stessa mia “malattia”, ovvero quella sensibilità che è parte fondamentale dell’arte. L’arte non si vive come una gioia, il momento di felicità nasce quando senti che hai trovato il risultato in conseguenza di quello che fai, ma è talmente breve… L’artista deve porsi sempre nuovi orizzonti, nuove sperimentazioni, in questo c’è una continua tensione che esclude la possibilità di un approccio pacato e sereno. Io sono alla ricerca del senso delle cose dell’esistenza, questo implica sempre un lavoro complesso, irto di difficoltà da superare, che io stessa pongo come momento iniziale e necessario del mio lavoro.
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Il “paratutto” è uno dei nostri
Ricky Albertosi abita a Forte dei Marmi da 14 anni: “Mi piace perché è un posto tranquillo”. di Umberto Guidi
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nrico Albertosi, detto Ricky. Nato a Pontremoli (Massa Carrara). E’ stato uno dei più grandi portieri del calcio italiano. Lo avevano definito “il paratutto”. Campione europeo nel 1968, vicecampione del mondo nel 1970 con la nazionale azzurra in Messico. Quella – per intendersi – entrata nella leggenda, per la mitica partita fra Italia e Germania, finita 4-3. Un guizzo dell’orgoglio italiano. Cresciuto fra i dilettanti dello Spezia, esordì in serie A nella Fiorentina, nel campionato 1958-1959. Nel 1968 lasciò i viola, dopo aver vinto due Coppe Italia e la Coppa delle coppe. Era il Cagliari dei miracoli quello in cui Albertosi fece il suo ingresso: la squadra vinse lo scudetto nel 1970, e Ricky “paratutto” in quella occasione stabilì il record del minor numero di reti subite in un campionato a 16 squadre (undici reti). Dopo altri quattro anni al Cagliari fu ceduto al Milan, con il quale vinse la terza Coppa Italia e il suo secondo scudetto. Disputò la sua ultima partita in serie A il 10 febbraio del 1980 a San Siro. In Nazionale visse alterne vicende: fu tra i pali in occasione della umiliante sconfitta con la Corea del Nord ai mondiali del 1966, ma si rifece ampiamente quattro anni dopo in Messico, nella celebre semifinale contro la Germania. Come nasce il rapporto con Forte dei Marmi? “Ci abito ormai da 13-14 anni. Ho girato molto l’Italia per la mia professione, e siccome a mia moglie piace molto il mare, abbiamo comperato casa al Forte. Oltretutto la posizione è felice dal punto di vista logistico. Quando mia moglie lavorava – era manager di una società di consulenza finanziaria per Toscana, Umbria, Lazio e Sardegna – aveva bisogno di spostarsi e dalla Versilia si raggiungono facilmente Pisa, Livorno e Firenze. Qui al Forte ho una figlia, che abita con me, e da poco ho fatto venire anche mio figlio, Alberto, che viveva con la mia prima moglie a Lido delle Nazioni. Alberto ha 45 anni e ora gestisce un’edicola-emporio qui a Forte dei Marmi. Alice, la figlia più piccola, ha 26 anni,
laureata in legge, sta facendo il praticantato. Diventerà avvocato”. Cosa apprezza della Versilia? E trova che negli ultimi tempi sia cambiato qualcosa? “Io al Forte sto benissimo. Ho trovato un clima e una tranquillità che non vedo da altre parti. Nelle grandi città sei sempre alle prese con file pazzesche; qui in cinque minuti ti sbrighi sia in municipio che al supermercato. Ha una dimensione assolutamente piacevole. Naturalmente d’estate è un po’ diverso, perché arriva tanta di quella gente e quasi non vedi l’ora che se ne vadano per riacquistare la tua tranquillità. Poi ci sono locali famosi come la Capannina, il Twiga e la Bussola. Non vedo cambiamenti in negativo. Credo che Forte dei Marmi abbia un’immagine abbastanza costante; certo la crisi c’è e si fa sentire, forse c’è stato un po’ di ridimensionamento nella capacità di spesa di molti, però è una cittadina dove i Vip si sprecano. Vedo in giro tanti giocatori del Milan dopo che Galliani ha preso casa da queste parti”. Nel 2010 ricorre il 40° anniversario di ItaliaGermania, disputata il 17 giugno del 1970 allo
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stadio Azteca di Città del Messico. Un evento che in un certo senso ha cementato l’unità degli italiani. Nel 1990 ci hanno fatto anche un film, diretto da Andrea Barzini. Lo ha visto? Che ricordi ha? “So che esiste il film, ma non l’ho visto. Quella partita è stata importantissima perché ha portato l’immagine del nostro paese all’estero. In quella occasione la Nazionale dimostrò che non era vero che l’Italia non metteva l’anima nei tempi supplementari. La squadra dimostrò di essere unita, rivelò di possedere la stoffa di una grande formazione. Naturalmente ricordo tutto nei minimi dettagli. Ho fatto 4 campionati del mondo e in tre siamo usciti al primo turno. Quella semifinale resta memorabile per tutti, tanti italiani che hanno l’età giusta ricordano di più il 1970 che non il 1982, quando vincemmo il Mondiale”. In più di un’occasione lei ha detto che il calcio di oggi non le piace più. Vogliamo ricordare perché?
“Una volta giocavamo al calcio per divertirci, adesso è subentrato il business. Fra diritti Sky, sponsor e procuratori è diventato tutto più complicato. I giocatori di oggi devono sopportare molto più stress, guadagnano moltissimo ma forse è l’unica soddisfazione che hanno. E’ venuto meno anche l’attaccamento ai colori della squadra: si fanno contratti di 4-5 anni e un anno dopo – se solo fanno un bel campionato – vogliono cambiare squadra. Una volta era diverso, la società era proprietaria del tuo cartellino e militavi per tanti anni nella stessa squadra. Per esempio durante la mia carriera ho giocato solo in tre squadre di serie A: Fiorentina, Cagliari e Milan”. Qual è il portiere italiano di oggi che lei stima di più, come serietà, gioco, preparazione? “Per me il portiere italiano numero uno resta Buffon, anche se quest’anno ha avuto dei problemi. Negli ultimi tempi poi Federico Marchetti è quello che si è distinto più di tutti, e infatti ha raggiunto la Nazionale dal Cagliari”.
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Marco
INTERVISTA A MARCO LODOLA di Emanuela Mazzotti
S
ul finire degli anni ’80, nasce il Neofuturismo; di che cosa si è trattato e perché è ancora attuale? Il Neofuturismo è stata un’esperienza interessante per me che allora non mi rendevo conto di quello che stavo sperimentando, era come un gioco, ci piaceva il Futurismo di Balla: ironico, giocoso. Il nostro lavoro era caratterizzato dall’uso di materiali allora assurdi per l’arte: plastica, feltro, lamiere, pannolenci… Ero animato soprattutto da un grande amore per Depero, il suo interesse per la pubblicità, la diffusione delle immagini dei mass media, il mito dell’America. Tutte cose che ho condiviso attraverso l’interesse per il teatro, la musica, e l’idea della conquista della città attraverso i mezzi che sono propri dell’arte. Con Marinetti posso dire che non sopporto l’arte delle gallerie e dei musei, tutte cose morte, tra un museo e un supermercato preferisco esporre nel supermercato! L’arte ha il suo pubblico e il rapporto deve essere il più diretto possibile. Considero quest’esperienza ancora attuale, prova ne sia che il critico d’arte Renato Barilli, allora teorico del movimento, ha da poco allestito una mostra
co Lodola
I giocattoli di Marco
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a Busto Arsizio dal titolo: “Nuovo Futurismo” alla Fondazione Bandera. Come definisci il tuo lavoro? (riguardo soprattutto le questioni tecniche, l’utilizzo di mezzi espressivi non tradizionali, etc.) Mi piacciono molto le contaminazioni, ho lavorato con gruppi musicali come Timoria, Bluvertigo …, per allargare i linguaggi espressivi, far uscire l’arte dai circuiti tradizionali. L’ultimo progetto sono state le scenografie per la prossima tournée degli Oasis. L’arte non è un lavoro ma una terapia psichiatrica per me! E’ una vera propria medicina, non si può considerare lavoro ciò che è puro divertimento, una continua ricerca. Mi viene in mente la battuta di Swarzneggher in un suo film: “Il mio corpo non sa che oggi è festa”.. Ecco, anch’io mi dimentico di tutto quando lavoro. Pensi che la pittura intesa in modo tradizionale sia, nel nostro tempo, considerata superata? No, non è superata, io mi considero pittore, ma un pittore di luce semmai. Come Matisse dipinge solo con colori puri, così io prediligo la luce ma
progetto attraverso il disegno, l’idea originaria è sempre seguita da un approccio tradizionale, un progetto grafico. Non temi che prima o poi il genere d’arte che pratichi stancherà il pubblico? Se succederà vorrà dire che finalmente andrò a lavorare, farò qualcosa di serio. Fellini sosteneva: “Mi pagano per fare qualcosa che farei gratis” questo significa che finché i miei “giocattolini” funzionano continuerò a
divertirmi. Ti riferisci alle sculture luminose? Sì, sono bei giocattoli, il tema dei Beatles per esempio, io sono cresciuto con i Beatles, logico che ci costruisca attorno un’opera che emana un alone luminoso, sono stati un mito per tanti di noi. Le sculture luminose sono molto apprezzate non solo nell’ambito del collezionismo, che cosa le distingue dalle comuni insegne pubblicitarie? Costano di più e non pubblicizzano niente!! Quali sono le fonti di ispirazione che sottendono l’idea dell’opera?
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Tutto, il Beato Angelico di quando studiavo all’Accademia di Firenze, Matisse per i colori, Warhol e la pubblicità, i Rolling Stones, Platini e Buffon, Depero e tutto quello che è arte per me. L’arte è in ogni gesto, l’arte e la poesia. Che cosa rappresenta per te Lodolandia? E’ un posto fantastico, immaginario, un luogo mentale, il paese delle meraviglie dove si può costruire una realtà a colori, se vuoi un posto dove trovo rifugio da quello che non mi piace del mondo reale. Qui è possibile una contaminazione tra arte, musica, parole, una “factory delle risaie”. E’ vero che ti sei definito un artigiano, un semplice “elettricista”?... Sì, oggi tutti sono artisti, per essere definiti tali bisognerebbe affrontare prima una prova sulle tecniche: affresco, encausto, pittura tradizionale, allora si scoprirebbero i veri artisti, sennò meglio dichiararsi solo bravi artigiani. Io posso sperimentare liberamente quello che sento, mi considero come Marinetti che definì il suo movimento “Elettricismo” prima di chiamarlo Futurismo, non a caso la pubblicità era nominata come “avvisi luminosi”, credo di potermi identificare quindi come un sano elettricista. Si può riconoscere all’arte italiana un’ identità oppure in tempi di globalizzazione non ha senso pensare in termini così ristretti?
Io mi sento figlio di Leonardo e di Michelangelo, non mi importa della globalizzazione, siamo annoiati dall’abuso di questa parola e non me ne importa niente dell’arte cinese o coreana o americana, l’italia ha una grande tradizione, grandi nomi della storia dell’arte, dobbiamo creare una nuova storia dell’arte dove quello che facciamo sia valorizzato, l’italianità è un vanto!
GIOVANNI MARINELLI
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Mario Paiotti
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ario Paiotti: Marmo? Che dire... è la mia vita, anzi, lo è stata, visto che oggi la sta continuando gagliar damente mia figlia Amanda. Ripercorro gli anni trascorsi sfogliando ogni tanto i cinque numeri della rivista “Marmo” dell’Henraux, ammirando le sculture e i disegni che conservo come reliquie ‑ segno di un tempo mitico ‑ e i manifesti della grande mostra di Henry Moore al Forte Belvedere di Firenze nel 1972, le foto assieme all’infaticabile Erminio Cidonio, ad Antoine Poncet, a Emile Gilioli di cui ho uno stupendo “Angelo”, a Branko Ružic, a Isamu Noguchi... Mi tornano in mente le chiacchierate con Marchiori e con Carandente e con tanti amici
e conoscenti che hanno fatto la storia della lavorazione artistica del marmo. Rammento, agli inizi del Settanta, il v e n t i c i n q u e s i m o anniversario dell’apertura di quel meraviglioso e unico locale che era “la Bussola di Sergio Bernardini”: per quell’occasione Noguchi fu davvero contento di realizzare una piccola bellissima scultura per ricordare Louis Armstrong... “ha fatto pernacchie al mondo più di tutti gli altri”,
sentenziò sorridendo. Quello fu davvero un evento! Arnaldo Pomodoro fece una scultura per Ella Fitzgerald; Branko Ružic per Vittorio Gassman; Pietro Cascella per Adriano Celentano; Antoine Poncet per Mina... Erano davvero abbinamenti, momenti d’arte unici, irripetibili...”. (Tratto da “Lavorare il marmo” 2008. Si ringrazia Lodovico Gierut per la preziosa collaborazione)
Branko Ružic “Il Capitalista” Marmo Nero del Belgio
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Arturo Puliti, l’artista che trasfigura di Chiara Sacchetti
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sopra, Arturo Puliti con Mario Luzi a destra, “Cava di marmo” (Notturno) 1956 - Olio su tela, cm. 100x70
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l Manifesto della rassegna di Satira politica del 1973, un’ape arancione ‘pungente’ su due verdi nitidi, porta la sua firma. Arturo Puliti, classe 1925, è un artista di fama che ha mantenuto un legame stretto con la sua terra di origine, da quelle prime cave di marmo che rese vive di colori negli anni Cinquanta, fino ai lavori di oggi. Per lui l’arte è sempre trasfigurazione personale di qualcosa però che si conosce, che si ha negli occhi e nel cuore. Il suo, fin da piccolo, batteva per il disegno. Figlio di un semplice falegname che lavorava in proprio, riuscì a frequentare l’Accademia delle Belle arti fiorentina grazie a due borse di studio, ma il lavoro costante, la disciplina, sono rimaste una sua caratteristica. Ricorda con piacere gli anni dell’insegnamento alla stessa Accademia che aveva frequentato da studente, negli anni Settanta, dove ebbe la cattedra di “Nudo, disegnato e dipinto”: “Io sono partito dal disegno classico con Leone Tommasi, che era un bravissimo disegnatore di figure – ricorda il pittore versiliese – e anche dai miei studenti pretendevo che prima dimostrassero di saper disegnare perfettamente: una donna nuda, un uomo nudo, dovevano essere identici al modello. Io avevo capito subito che l’Accademia è una cosa e poi l’arte è un’altra, sarà una strada personale da percorrere dopo aver imparato. Quelli tra i miei studenti che sono diventati pittori, sono quelli che, naturalmente, hanno dimostrato personalità e non solo buone capacità di copiare”. Puliti fin da giovane entra in contatto con gli intellettuali fiorentini come il poeta Mario Luzi “era
un amico che ospitavo spesso a Forte dei Marmi”, oppure gli artisti che si radunavano al Quarto Platano al Forte, da Carrà a Longhi, all’amico fraterno Ugo Guidi, con cui condivideva uno studio nel capoluogo toscano: “Ricordo che per rimetterlo in piedi dopo l’alluvione del ’66, ci arrivò persino una sovvenzione da Chicago”. La Galleria L’Indiano di Firenze di Piero Santi e Paolo Marini è il punto di partenza di Puliti come pittore, ma la sua esperienza si arricchisce dell’attività grafica e anche della cartellonistica pubblicitaria, spostandosi a Roma, a Torino e poi a Milano e fino in Svizzera, a Zurigo. Viaggiare, conoscere, per imparare. Puliti afferma di aver appreso a raffigurare la realtà “trasfigurandola, ma non strapazzandola”; a Parigi o a Zurigo ha compreso come la realtà può diventare moderna, con la libertà dell’interpretazione. “Il quadro deve dare prima di tutto un’emozione – insiste Puliti – non si tratta di bellezza pura né di stravolgimento di forme ma di trovare un punto di contatto tra la realtà vera e quella che vuole esprimere lo stato d’animo del pittore in quel preciso momento”. Puliti non vuole giudicare i contemporanei, ma confessa invece di frequentare volentieri lo studio dei giovani pittori per assorbire da loro ancora suggestioni con il suo sguardo abituato a oltrepassare la tela. Ammette che oggi più che mai è difficile vivere di questo mestiere. Lui ce l’ha fatta, grazie all’aiuto della famiglia, alla possibilità di insegnare, ai contatti che ha avuto la fortuna di avere.
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A sinistra, “Dove mi porti, mia arte”, 2000 dipinto su cartone, cm. 70x100 Sopra, “Eros”, 1970, dipinto su cartone, cm. 70x100 A destra, “Composizione”, 1975, dipinto su cartone, cm. 70x100
Pur avendo superato gli otto decenni, ha sempre due o tre mostre nel cassetto. Una sua personale spera che sia presto ospitata nel “suo” Fortino. Tele di 70X50 o di 80X60, rigorosamente ad olio perché è la tecnica che intimamente sente di più; ne ha provate altre nella sua lunga carriera, ma l’amore più duraturo è stato per il colore che impasta il pennello. Anche l’attività grafica è rimasta al servizio della pittura. “Ancora oggi faccio uno schizzo sul posto – ci racconta – e se per esempio voglio fare un pescatore, vado sul pontile, sulla spiaggia e osservo. Faccio uno schizzo e poi lo metto in tasca. E’ un residuo di accademismo da cui è difficile liberarsi. Il disegno rimane inutilizzato qualche giorno. Ecco che quando lo riprendo si è già trasformato nella mia memoria e da lì inizia il lavoro”. Puliti in gioventù è stato anche un maestro di pittura privato, in quelle case inaccessibili degli Agnelli e dei Furstemberg, che trascorrevano le vacanze a Forte dei Marmi: “Stai attento nelle case dei signori!”, lo ammoniva la sua vecchia
insegnante elementare, comunque fiera che il suo allievo fosse così stimato e richiesto. Chissà che direbbe oggi, sapendo che quadri di Arturo Puliti si trovano alla Galleria degli Uffizi, a Santiago del Cile, al Museo di Salvador Allende, solo per citare alcune collocazioni prestigiosissime. Una sistemazione del pittore fortemarmino in una corrente precisa? Alcuni suoi quadri parvero futuristi, altri partirono dalla necessità del reale per superarlo in geometrie che sembravano astratte. Lui stesso dice che ebbe contatto sempre con l’arte, si abbeverò a Parigi come a Firenze, ma poi decise di andare oltre. Oltre le correnti, oltre la critica, oltre la pittura compiaciuta. “Dove mi porti, mia arte?” è il titolo di una tela di Puliti datata 2000, che fa parte del ciclo “Viaggio terrestre e celeste”, e noi guardando le linee nette dell’azzurro, del rosa e del contrasto scuro ci facciamo trasportare con l’immaginazione in un mondo sognante ed erotico, in un paradiso terrestre o celeste, nel luogo appunto dove l’artista ha indirizzato il suo viaggio.
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“E pensare che volevo cantare a Sanremo” Intervista a Francesco Demuro, tenore in ascesa: per molti è il ‘giovane Pavarotti’. Testo di Umberto Guidi - Foto di Sandro Santioli
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cominciato con il canto popolare sardo il tragitto artistico di Francesco Demuro, dapprima uno dei più apprezzati “cantadores” della Sardegna, e oggi giovane tenore affermato sulle scene internazionali. Dal “canto a chitarra” alle romanze sui palcoscenici di mezzo mondo il percorso è lungo: Francesco Demuro, nato nel 1978 a Porto Torres, l’ha compiuto con scioltezza. Per alcuni è il “nuovo Pavarotti”, ma l’interessato si schermisce, continua a studiare e a salire con passo sicuro la scala del successo. I grandi teatri lo vogliono, tanto che le scritture lo terranno occupato fino al 2014. Francesco Demuro è il nome d’arte. “All’anagrafe – spiega – è Demuru, ma si tratta di un errore degli uffici. I miei nonni erano Demuro con la ‘o’ finale, e quindi di fatto mi sono ripreso il mio vero cognome”. Quando non è impegnato a saltare da un teatro all’altro, vive con la sua bella famiglia (la moglie Vittoria e tre figli di 13, 10 e 4 anni) in una comoda e tranquilla abitazione alle porte di Lucca. Quando può, raggiunge Forte dei Marmi per un poco di relax. Le spiagge nobili della Perla della Versilia, dice, offrono i migliori servizi balneari d’Italia. Nelle tue biografie si legge che hai cominciato a cantare da bambino. Ci spieghi come sei arrivato a Verdi e Puccini? “Ho iniziato a dieci anni con la musica popolare
della mia isola. A 12 anni sono entrato a far parte del gruppo dei ‘Minicantadores’, formazione composta da giovanissimi. A 14 anni sono diventato un professionista del canto a chitarra, con centinaia di esibizioni. Devo dire che mia madre mi ha agevolato molto. Ha subito capito che la mia voce era un dono, meritava di essere coltivata. Verso i 25 anni mi sono iscritto al Conservatorio, avendo capito che avrei potuto fare anche la lirica”. Perché la decisione di cambiare totalmente genere? “Io volevo cantare di tutto, anche perché desideravo sopra ogni cosa avere un grande pubblico. Così ho cercato persino di esibirmi a Sanremo, partecipando alle selezioni del Festival. Mi proponevo con brani melodici, tipo Un amore così grande. Il pubblico presente applaudiva convinto, ma la giuria non mi ammetteva. Finché mi presero da parte e mi dissero: ‘Ma perché vuoi cantare a Sanremo? Hai grandi doti vocali, studia e punta al canto lirico’. E così ho fatto. Dopo il Conservatorio sono diventato allievo di Elisabetta Scanu, per affinare la mia tecnica”. E’ stato difficile – dal punto di vista tecnico – il passaggio dal canto sardo al melodramma? L’esperienza da cantadore mi ha aiutato moltissimo. Non ho avuto problemi, in realtà il canto tradizionale sardo mi ha garantito un vero allenamento dal punto di vista fisico e vocale: in Sardegna can-
Francesco
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o Demuro
Per molti è il ‘giovane Pavarotti’
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tavo per ore, anche per 27 serate di fila durante la bella stagione. Si è trattato ovviamente di modificare la tecnica, adattando il volume e l’ampiezza della voce al registro lirico. In questo sono stato aiutato, come dicevo, dall’insegnamento di Elisabetta Scanu. Come si sa, l’affinamento tecnico in questo campo deve essere continuo. Non si smette mai di studiare, anche perché la voce cambia in continuazione”. E così sei arrivato al debutto in un grande teatro lirico, nemmeno tre anni fa… “Il 7 ottobre del 2007 ho debuttato a Parma nella Luisa Miller di Verdi. E’ un’opera difficile, che in quell’occasione affrontai con un pizzico di spavalderia. Andò bene. Quel momento ha segnato una svolta davvero radicale per la mia vita. I grandi teatri lirici si sono accorti di me, e da allora ho iniziato un’intensa attività artistica, anche all’estero, cominciando da Hong Kong, dove con il Teatro Regio ho cantato nel Rigoletto”. Quali sono i tuoi impegni in questo scorcio del 2010?
“Quest’estate ho in programma un concerto in piazza San Marco, con l’orchestra del Teatro di Venezia. Poi andrò negli Stati Uniti, a Napa Valley, per un concerto di brani lirici e canzoni napoletane. A fine agosto sarò all’Arena di Verona, per il cosiddetto Oscar della lirica. In ottobre è in programma la Scala di Milano, con l’Elisir d’amore, dove vestirò i panni di Nemorino”. Ti sei mai esibito al teatro di Torre del Lago? “Fino ad oggi non ho avuto modo di cantare un’opera sul lago di Puccini, e in ogni modo la mia agenda è completa fino al 2014. Ma il pubblico versiliese ha potuto ascoltarmi alla Rassegna di musica classica di Corsanico, dove ho partecipato su invito del mio amico Nicola Luisotti. Nicola è anche il mio mentore, è un grandissimo musicista che mi ha dato consigli incredibili, suggerimenti tecnici per i quali gli sono molto riconoscente”. La critica sostiene che la particolare estensione della tua voce, forte e limpida, ti permette di spaziare agevolmente fra tutti i moduli esecutivi conosciuti. C’è chi ti chiama il ‘giovane
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Pavarotti’. Che ne dici? “La prima volta che ho letto questo giudizio mi è venuto da ridere, ero un po’ imbarazzato. Ammetto però, con tutta la modestia del caso, che il mio timbro vocale ha qualche affinità con quello del sommo Luciano. Spero di poter fare almeno un quarto della sua carriera, Pavarotti è un autentico mostro sacro. Per me comunque è stato sempre un punto di riferimento, l’ho ascoltato tantissimo per cercare di carpire i suoi segreti. Lo studio delle sue registrazioni è stato prezioso”. Quali sono i ruoli che prediligi? “Più che ruoli, parlerei dei compositori. Puccini, Verdi, Donizetti e Mozart sono per me quattro punti di riferimento. Da questi autori non si finisce mai di imparare”. Televisione e lirica. Apparentemente due mondi lontani. Che ne pensi? “Ci sono delle trasmissioni dedicate alla lirica, come Loggione su Canale 5, un programma al quale ho partecipato. Sono convinto che la tv debba cercare
assolutamente di aiutare la musica lirica. L’opera va fatta conoscere alle nuove generazioni, perché quello che si vede sul palcoscenico è autentico, è tutto vero e dunque ha un fascino indiscutibile. Quindi ben vengano le trasmissioni che cercano di divulgare questo genere antico, ma nato per essere popolare, non soltanto elitario”. Perchè abiti a Lucca? “Mi ci sono trasferito su consiglio del mio agente, che vive qui. Devo dire che è stato un buon consiglio. Lucca è una città tranquilla, sicura, ideale per una famiglia. Le dimensioni sono giuste, la collocazione logistica ideale. Aeroporto e autostrade sono vicinissimi, e per i miei continui spostamenti questo è molto comodo. La lirica mi ha strappato dalla mia isola, ha cambiato la mia vita in profondità”. E Forte dei Marmi? “Ci vado nei momenti liberi, sia d’estate che d’inverno il mare ha sempre il suo fascino. Al Forte poi ho trovato servizi da spiaggia senza rivali. Il cliente è proprio coccolato. L’ideale per il riposo”.
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UN “MAGAZZINO” PIENO DI IDEE di Umberto Guidi
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orte dei Marmi ha sempre avuto due velocità: quella estiva, quasi frenetica, e l’invernale: tranquilla, forse anche troppo sonnacchiosa, per alcuni. Da tre anni e mezzo è sorta un’associazione culturale – ‘Il Magazzino’ – che si propone di offrire iniziative utili a promuovere la conoscenza, il dibattito, l’approfondimento di temi legati al territorio. Naturalmente l’associazione funziona anche d’estate, ma è nei mesi della lunga stagione ‘morta’ che si apprezza maggiormente il suo contributo. Ogni lunedì pomeriggio, a villa Bertelli, propone a soci, simpatizzanti o semplici curiosi, la presentazione di un libro, la lettura di poesie, una conferenza o una conversazione su un tema storico, artistico o ambientale. Sembra l’uovo di Colombo, o forse lo è, ma l’iniziativa ha incontrato un sicuro successo. I soci sono 110, spiega il presidente Alessandro Di Ciolo, figura conosciutissima al Forte, che si premura di puntualizzare
subito un aspetto importante: “La nostra associazione ha carattere esclusivamente no profit e fini culturali; lo statuto esclude finalità politiche, o peggio partitiche. All’interno dell’associazione – aggiunge – troviamo persone di sinistra, di destra e di centro, accomunate dallo stesso intento: svolgere attività culturale valorizzando le nostre radici e le tradizioni legate al territorio”. Come nasce l’idea? “Da un gruppetto di persone, in primis Giorgio Giannelli, storico locale e decano dei giornalisti versiliesi. In occasione della cena per il suo compleanno fu lui a proporre, nel 2007, di dar vita a un circolo culturale, rinverdendo antiche iniziative ispirate dallo stesso Giannelli. Fra i promotori vorrei ricordare anche Annalisa Gai e Marcello Polacci”. Perché il nome “Magazzino”? “Ci è piaciuto subito ed è stato deciso all’unanimità perché intanto è un omaggio storico alla denominazione del primo nucleo abitativo da cui si sarebbe sviluppato il nostro paese. Volendo recuperare la nostra identità, le radici, non potevamo scegliere nome migliore. E poi ci è piaciuta anche l’idea di magazzino come luogo di lavoro, di stoccaggio e assemblaggio di merci, che nel nostro caso sono le idee da far circolare”. Come ha reagito il pubblico? “Molto bene. Evidentemente si sentiva la necessità di un qualcosa che sottolineasse l’appartenenza al territorio e alle tradizioni. Le iniziative si sono susseguite una dopo l’altra e i
soci sono andati aumentando regolarmente. Cerchiamo di valorizzare le figure legate a Forte dei Marmi, facendo conoscere le competenze locali, gli autori, gli artisti di casa nostra. Per esempio a Natale scorso abbiamo organizzato al Fortino la mostra di due fotografi di Forte, Bibi Benedetti, ormai scomparso, e Daniela Tartaglia, che invece è in piena attività. Nel marzo del 2009 avevamo inaugurato, sempre al Fortino, la collettiva “I fortemarmini”, mettendo in mostra le opere di 30 artisti locali, con spazio anche per alcuni giovani. Al nostro circolo si sono avvicinati docenti universitari che frequentano Forte dei Marmi e hanno portato contributi interessanti. Collaboriamo con altre realtà culturali vicine a noi: il circolo Mandala (con il quale organizziamo dei cineforum, il martedì sera d’inverno nella sede della Società di Mutuo Soccorso), l’Istituto Storico della Versilia, il circolo Sirio Giannini di Seravezza, il Museo Ugo Guidi. Organizziamo anche cene sociali ed escursioni per i soci. Insomma, l’attività del circolo dà anche l’occasione di approfondire l’incontro con persone del paese, che magari si conoscevano, ma soltanto in superficie”. Idee per il futuro? “C’è poi il progetto di una collaborazione con il Comune per sfruttare il Fortino come polo espositivo invernale. Sempre per evitare di passare dall’eccesso di offerta tipica dell’estate al ‘deserto’ dei mesi freddi. Ci stiamo lavorando”.
A RT E , C O N O S C E N Z A , TA L E N T O .
I N O S T R I VA L O R I C U LT U R A L I . La cultura è uno stimolo sempre vivo, un interesse crescente in eventi, mostre, concerti. Il passato e il presente del nostro territorio, da sostenere con passione verso il futuro. Un’emozione da osservare, ascoltare e assaporare. La cultura è da sempre uno dei nostri valori.
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FORTE PEOPLE, UN MARCHIO DI STILE
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assimo Luchetti è fiero della sua azienda di famiglia. Una delle poche che il mercato non ha ‘scacciato’ dal centro di Forte dei Marmi. Ha mantenuto lì il suo grande negozio di ottica, quello che da generazioni accontenta la clientele più variegata, ma la tradizione può conciliarsi con l’innovazione. Con questo intento nasce “Forte People”, un marchio pensato per una nuova collezione di occhiali da sole. Alcuni modelli tra cui scegliere, per un prezzo accessibile che possa competere con quelli più conosciuti. Ma quello che il titolare dell’azienda vorrebbe far passare è un messaggio di stile: “Forte People” significa uno stile sobrio, elegante senza sfarzo, che sia strettamente legato al territorio che l’ha ideato. Alla fine di luglio di quest’anno verrà presentata l’iniziativa di Massimo Luchetti per la Polizia
municipale di Forte dei Marmi: dotare gli agenti di un bel paio di occhiali da sole “Forte People”, una trentina di pezzi che avranno anche un fine benefico perché una parte del ricavato sarà devoluto all’associazione
ABC che si occupa di bambini cerebrolesi. Il marchio è stato poi applicato anche ad una maglietta, polo e t-shirt, e a ciabattine per il mare. “Posso offrire a questi prodotti uno spazio limitato nel mio negozio _ ammette Luchetti _ ma è un modo per differenziare e allo stesso tempo identificare sempre di più la nostra azienda con Forte dei Marmi”. Ecco un’altra idea che ha messo insieme Luchetti con un'altra storica attività fortemarmina, i Cicli Maggi. Due esemplari di bicicletta molto particolari sono il frutto della comune esperienza. Su un telaio da corsa sono stati montati una sella e un manubrio da passeggio; il pedale ha un sapore retrò con il suo laccetto di pelle. Due biciclette esposte dunque nei due negozi per rinsaldare il legame tra “Forte People” e il mare versi-
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liese, il gusto di questa terra. Le biciclette, una viola e l’altra verde acido, riportano l’immagine degli occhiali sul telaio, sono dunque un oggetto personalizzato, sicuramente adatto agli appassionati di stile, un segno di appartenenza. Anche se con il passare dei decenni il lavoro è cambiato con i residenti, perché sono proprio diminuiti gli abitanti stabili di Forte dei Marmi che sono andati a vivere nell’interno, e allo stesso tempo sono subentrate le firme negli occhiali, Piero Luchetti, il padre di Massimo, è felice di aver conservato una clientela affezionata e non si lamenta, avendo privilegiato la qualità. Il cliente ha fiducia nel suo ottico e questo rapporto è una garanzia reciproca. Per adattarsi al cambiamento dei tempi, alle esigenze del mercato, più di dieci anni fa nasceva appunto “Sunpoint”, un altro punto vendita di fronte al negozio tradizionale, dedicato agli occhiali da sole e gestito tipo self-service. La passione per l’ottica è stata naturale per Massimo e suo fratello che gestiscono la “Sunpoint”. Sempre vissuti in un negozio di occhiali, giocato nella strada di fronte, quello dell’ottico è diventato un lavoro, un impegno serio dal 1990. I cambiamenti in questi anni sono stati notevoli anche nel settore degli occhiali da sole. Si è partiti da tre marche dominanti, Rayban, Lozza e Persol, poi tutte le maison di moda si sono buttate nel settore gli oc-
chiali ed è stato un buon incentivo alle vendite. Ma in tempi di crisi, il commercio è messo a dura prova. Ci si è orientati però di nuovo verso il minimale, diminuendo l’ostentazione delle firme. La collezione “Forte People” va esattamente
in questa direzione: un prodotto che dallo scorso anno rappresenta l’ azienda, la semplicità dal lavoro, l’artigianalità, un occhiale capace di stilizzare la storia dell’ artigianato versiliese e quella del paese tanto amato. Un marchio di stile.
Marc
Intervista a Marc Kostabi di Emanuela Mazzotti
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aestro, può illustrarci la sua pittura? Noi italiani la conosciamo benissimo perché la sua arte è internazionale ma io, in particolare, sono curiosa e vorrei mi spiegasse come riesce ad ottenere questi particolari effetti di luce… Le luci vengono da Caravaggio e Perugino. Il primo affascina per il chiaroscuro, il secondo per lo sfumato, uso pennelli normali anche se qualcuno pensa che usi l’aerografo, tutto è invece fatto a mano come gli antichi maestri. Può illustrarci il significato o il senso generale dei suoi soggetti? In alcuni dipinti si vedono i miei genitori metaforici ispirati da De Chirico che è il mio maestro. Accanto a lui talvolta compare la personificazione dell’arte, che si interroga sul senso dell’opera stessa; mi interrogo su cosa sta succedendo dentro ad ognuno di noi, sul significato del sogno, sulla sua circolarità. Lei lavora partendo dal disegno o dipinge direttamente sulla superficie? Io comincio dal disegno sempre con un disegno molto studiato, matita su carta, poi proietto questo disegno su tela, matita su tela e poi applico i colori. In alcuni soggetti compare la “sfera di perfezione”, un oggetto che mi piace molto ed è omaggio a mia madre che era una ginnasta. Lei da giovane era molto famosa in Estonia, da dove vengono i miei genitori e così ogni volta che dipingo una sfera è un
c Kostabi Light & Music
52 marc kostabi
omaggio a mia madre. Nella sua pittura ci sono molti segni della storia dell’arte e della tradizione italiana, posso dire che Lei è innamorato della cultura del nostro paese… Sì, questo è vero, ho cominciato a venire in Italia dal 1985, a 25 anni per una collettiva a Roma dell’EST Village Art, negli anni ’90 ho soggiornato in Italia regolarmente, e uno dei luoghi che frequentavo era proprio Forte dei Marmi, alcuni dei miei amici erano Salvo, Ugo Nespolo ed Enrico Baj, e poi Mimmo Rotella, così mi sento quasi adottato dagli italiani. Sono innamorato dell’Italia ed in particolare della Toscana, ora vivo tra Roma e New York. Lei ha sempre pensato di fare il pittore? Sì, un amico mi ha chiesto di recente quante ore al giorno dedicavo al disegno quando ero piccolo, questa domanda non mi è mai stata rivolta, mi ha fatto riflettere: ho risposto che ogni tanto lavoravo anche per 12 ore di fila, mai meno di due, stavo sempre disegnando. Vorrei sapere se anche altri pittori lo fanno! Lei è figlio d’arte? Sì, i miei genitori erano coinvolti con l’arte, soprattutto la musica, mia madre era insegnante di
pianoforte e mio padre suonava il pianoforte, il contrabbasso e la fisarmonica. Lui creava strumenti musicali! Così per lei la musica, il ritmo e la melodia sono elementi che rientrano anche nella pittura? C’è una cadenza, un suono che si manifestano con il colore, mi pare… Io faccio il musicista compositore e pianista, suono quasi ogni giorno, sono impegnato con collaborazioni con altri autori. Ho seguito prima la musica classica e contemporanea, ma ultimamente sono più coinvolto con il jazz. Sono amico del sassofonista Colemann. Noi suoniamo assieme. Vieni a vedermi su You Tube. Ho fatto anche tanti quadri con soggetti musicali. Se non fosse stato pittore che cosa avrebbe voluto fare nella vita? Il musicista, e se non potevo essere neanche musicista avrei fatto il collezionista d’arte. Una vita senza arte è triste! Se lei fosse stato un grande artista del passato chi le sarebbe piaciuto essere? Caravaggio, De Chirico, Pablo Picasso, Andy Warhol, mi piace più di tutti Caravaggio, ma non avrei voluto passare tutto il mio tempo in prigione!
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Chi l’ha detto che la cultura è noiosa?
Matteo Raffaelli, regista e autore di cinema: da Camilleri ad Albertazzi. E in serbo ha un film per il grande schermo di Umberto Guidi
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ravamo quattro amici al bar…”. Loro veramente sono in tre, ma è certo che – anche se magari non cambieranno il mondo – sono destinati “a qualche cosa in più che a una donna ed un impiego in banca”. Giovani, fortemarmini e motivati: lo scrittore e autore di cinema Fabio Genovesi, lo sceneggiatore Michele Pellegrini e il regista Matteo Raffaelli rappresentano per qualcuno i tre moschettieri del nuovo cinema italiano, anche se Genovesi ha interessi più spiccatamente letterari, pur non disdegnando di scrivere per il grande schermo. Questa volta Arteforte Magazine ha voluto conoscere più da vicino Matteo Raffaelli, oggi regista e autore di cinema stimato dagli addetti ai lavori e domani – crediamo – anche dal grande pubblico, nonostante il suo rigore lo tenga lontano dai compromessi del più vieto cinema commerciale. Due, principalmente, i lavori che hanno fatto guadagnare a Matteo l’apprezzamento della critica: il documentario A quattro mani, nel quale due scrittori come Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli affrontano (e vincono) la scommessa di dimostrare che la cultura non è ‘pallosa’, e Memorie di Adriano – La voce dell’imperatore, trasposizione in immagini della applauditissima pièce teatrale di Maurizio Scaparro, tratta dal celebre romanzo di Marguerite Yourcenar, con Giorgio Albertazzi splendido mattatore. Matteo Raffaelli è nato nel 1974 da una discendenza integralmente fortemarmina: il nonno paterno Galliano era capitano di lungo corso, quello materno, Roberto Tacchella, era il proprietario dello storico ristorante La Barca. Studia a Forte dei Marmi, quindi alle magistrali a Pisa, per poi iscriversi alla facoltà di Filosofia. Ma non si laurea, rapito dal sogno di diventare un fotografo. Nel 1999, insieme
all’amico Michele Pellegrini tenta l’avventura romana. Decisivo l’incontro con Domenico Procacci della Fandango, che organizza un laboratorio di formazione e lavoro dedicato alla regia e alla produzione cinematografica. E’ l’ingresso nell’attività professionale, che vede oggi Matteo impegnato a preparare la sceneggiatura del suo primo lungometraggio per il grande schermo. Mario Monicelli ci raccontava che molti sognano di lavorare nel cinema, ma pochi hanno il coraggio di prendere la valigia e andare via. E ai nostri tempi, aggiungo io, è molto più difficile. Raccontaci com’è andata. “Non credevo che a Forte dei Marmi avrei potuto tentare seriamente di realizzare le mie aspirazioni. Così una decina di anni fa, con Michele Pellegrini, ci siamo trasferiti a Roma. Mia madre vive nella capitale e questo un po’ mi ha facilitato. Volevo fare
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il fotografo, e adesso mi rendo conto che forse non avevo capito bene le mie reali inclinazioni. Comunque per un periodo abbiamo affittato una stanza, io e Michele, in un appartamento dietro la stazione Termini. Il padrone di casa era musulmano e imponeva regole severe: vietati l’alcol, i poster appesi ai muri, la televisione. E naturalmente niente compagnie femminili. Eravamo tanto impegnati che questo stile di vita monastico non ci pesava. Io studiavo, mi davo da fare con la fotografia e mi facevo le ossa partecipando a set di riprese video, insomma un po’ di gavetta. Michele Pellegrini frequentava il seminario propedeutico del Centro sperimentale di cinematografia. Poi lui è stato ammesso al Centro e io al laboratorio della Fandango. E abbiamo anche cambiato casa”. E’ stata un’esperienza decisiva? Senz’altro utile e formativa. Nel 2003 Domenico Procacci, un produttore evidentemente illuminato, ha bandito una sorta di concorso per 10 persone, cinque per la regia e cinque per la produzione. Si sono presentati in 900 e io sono stato fra i dieci ammessi. L’iniziativa è stata valida perché mentre ci si formava, lavorando al fianco di grossi professionisti, si lavorava, ricevendo una regolare retribuzione. All’atto pratico poi ognuno di noi ha fatto tutto, regia e produzione. Ho lavorato al fianco di personaggi come Gabriele Muccino, Emanuele Crialese, Matteo Garrone, Paolo Sorrentino, Alessandro Baricco, Sandro Veronesi. Ho visto come si fa un film, dal punto in cui si comincia a pensarlo fino alla postproduzione. E’ stato un periodo molto bello, di tutte queste persone sono rimasto amico. Per la Fandango nel 2005 ho diretto il cortometraggio L’ultimo Re Cecconi, prodotto per Sky Ci-
nema Autore. E veniamo a un altro incontro importante dal punto di vista professionale, quello con la casa editrice “minimum fax”, che ha propiziato le tue prove successive… Alla Fandango c’era Rosita Bonanno, una produttrice che, insieme agli editori di minimum fax, ha dato vita alla sezione ‘Media’, con l’obiettivo di trasformare i contenuti letterari in video e film. Nel 2006 ho così diretto A quattro mani, 52 minuti di documentario che vede protagonisti Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, intenti a parlare del meccanismo della letteratura ‘gialla’ o ‘noir’ che dir si voglia e delle fonti della loro ispirazione. Il video è stato presentato al festival “Le parole dello schermo” a Bologna, alla Fiera del libro di Torino da Giancarlo De Cataldo. Si è poi visto all’Istituto di cultura italiana di New York e nel 2007 è stato proposto da Rai Tre. Paolo Ruffini, direttore della Rete, ha voluto coprodurlo. Nel 2007 è toccato a Memorie di Adriano, un progetto nato per documentare 18 anni di successi dello spettacolo teatrale di Maurizio Scaparro. Prima di vedere la luce questa produzione ha dovuto superare il diniego del Teatro di Roma. ‘Minimum fax’ ha deciso di produrlo ugualmente, e quando Ruffini lo ha saputo, ha voluto vederlo e l’ha acquistato per Rai Tre”. Come si lavora con un tipo come Camilleri? “L’incontro con lo scrittore siciliano è forse stato l’incontro artistico più importante della mia vita professionale. Durante la preparazione e la lavorazione del documentario mi ha dato tantissimo, perché Camilleri è un tipo che si racconta, non si risparmia. La prima volta che lo vidi mi chiese come sarebbe stato il video, una volta finito. Forse era un
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po’ scettico, temeva che risultasse una rottura di ‘cabasisi’. Una volta finito ha telefonato alla produzione dicendo semplicemente: ‘Sono Camilleri, voglio vederlo’. Abbiamo organizzato una visione nella sede della casa editrice, si stava un po’ stretti. Alla fine mi ha detto: ‘E’ bello non solo nell’immagine, ma anche nel contenuto’. E poi una serie di complimenti che ho voluto dimenticare, per non rischiare di montarmi la testa”. Anche Albertazzi è un cliente difficile, non è vero? “A questa domanda sugli attori difficili da dirigere di solito rispondo citando Alberto Sironi, il regista di Montalbano: ‘Gli attori si scelgono bravi, non si dirigono’. Albertazzi è un grande. E’ vero però che siamo partiti con una mezza scenata. Da parte sua, naturalmente. Eravamo a villa Adriana, a Tivoli, e come prima cosa dovevamo girare una scena complicata, di notte. Dovevamo risolvere tutto in quella notte, perché non c’era la possibilità di illuminare nuovamente il Teatro marittimo. L’impresa appariva molto impegnativa e il grande attore inveiva un po’, tanto per scaricare la tensione. Volò anche qualche parolaccia ma il suo era solo uno ‘sfogo tecnico’. Abbiamo girato fino a notte fonda e lui è stato ovviamente grandissimo. Lavorare con Albertazzi è un arricchimento. Se Giorgio dice una cosa, la devi prendere in seria considerazione”. E il cinema cinema? “Insieme a Fabio Genovesi ho scritto il soggetto di una commedia, Cuba te espera, da poco entrata in produzione per Rodeo Drive, il protagonista è Enrico Brignano. Avevo l’opzione per la regia, ma trattandosi di un film per Medusa, molto commerciale, ho preferito lasciare il campo. Lo dirigerà Dario Baldi, nel cast c’è anche Francesco Pannofino. Sto invece scrivendo un’altra commedia – che dirigerò – insieme a Marica Stocchi e Fabio Genovesi. Protagonista è una donna, produttrice teatrale, che sebbene sia una single decide di avere un figlio. Questo inevitabilmente comincia a incidere sulla
sua vita professionale”. Il cast? “Parlarne adesso è prematuro. Posso dire che per la protagonista sto pensando ad Anna Ferzetti, una brava attrice di teatro poco conosciuta dal grande pubblico. E’ la compagna di Pier Francesco Favino, suo padre è Gabriele Ferzetti, il grande attore italiano”. Quali sono i modelli cinematografici di Matteo Raffaelli? “Il primo nome che mi viene in mente è Mario Monicelli. Restando in Toscana posso dirti che qualche anno fa sono uscito da una sala decisamente incavolato: avevo appena visto un film che avrei tanto voluto fare io: era Ovosodo di Paolo Virzì. Molto prima, avevo appena undici anni, dopo aver visto un trailer in tv costrinsi mio padre a portarmi a vedere L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci. Papà riteneva che fosse un bel film, ma non adatto a un ragazzino, io ne riportai comunque un’impressione molto forte. Il senso della libertà di andare a vedere un film che mi interessava lo conquistai invece l’anno dopo, quando, dodicenne, presi l’autobus e andai a vedere a Viareggio L’Impero del sole, quello che continuo a considerare uno dei migliori – benché sottovalutato – film di Steven Spielberg”.
Forte dei Marmi e la sua storia visto da Matteo Raffaelli. E’ il contenuto del video “Il Forte mi parlò” (2008), un documentario che ripercorre il mito turistico di Forte dei Marmi, e in generale della Versilia, abbracciando un arco temporale che va dalla fine dell’800 fino all’immediato dopoguerra. “Il Forte mi parlò” intreccia interviste a personaggi noti della cultura e della società italiana, con interviste a personaggi del luogo; il tutto unito attraverso immagini di repertorio, testimonianze documentali del passato provenienti da diversi archivi. Alcune rare immagini sono tratte dal fotoromanzo della serie “Bolero Film” (Mondadori), ambientato nella Forte dei Marmi del dopoguerra, con regia di Damiano Damiani e probabilmente la sceneggiatura di Cesare Zavattini.
Ristorante del Gusto
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EUGENIO CHERUBINI, “CHIATTINA” di Domenico Monteforte
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l Mister si muove a scatti e agita quelle mani ossute che ha, piegando il gomito e gesticolando proprio davanti a te ti spiega quali movimenti devi fare quando il compagno ti va in sovrapposizione a sinistra, o quando ti chiede la triangolazione. Ha gli occhi che brillano, scuri, neri, così vivi che a volte non reggi lo sguardo, come ci si muove durante la partita te lo dice e te lo ripete ogni volta colorando spesso il concetto con qualche parolaccia in vernacolo da buon vecchio versiliese qual è! Se non capisci poi o se quei movimenti te li dimentichi in partita.., beh, bello mio allora poi sono affari tuoi... “Qui doventa un grande casino...”, e chi conosce Chiattina capisce bene cosa intendo dire. Durante la partita lui non si alza mai, fuma una sigaretta dopo l'altra e nell'intervallo alla fine del primo tempo non dice una parola sia che tu perda 3 a zero sia tu vinca con lo stesso risultato. Lui guarda la partita, o meglio "legge" la partita, a volte tira un urlo a qualcuno, chiamandolo per nome e sempre senza alzarsi, poi s'accende l'ennesima sigaretta. Finito l'incontro nello spogliatoio biascica qualcosa sul martedì successivo, sulla ripresa degli allenamenti, e senza aggiungere altro se ne va con la solita espressione di quando è arrivato, né allegra né triste di chi, forse ne ha viste tante e non solo in un campo di calcio. Chiattina è un uomo piccolo, magro, minuto che sembra intagliato nel legno, ti guarda sempre negli occhi mentre ti parla e se sorride sembra più una smorfia che un sorriso. Stranamente quell'espressione rende quel viso su quel piccolo corpo leggermente piegato in avanti, ancora più duro e spigoloso di quanto non sia poi realmente. Alla ripresa degli allenamenti, prima di scendere in campo per fare fiato e ripassare gli schemi, lui ti si piazza in mezzo allo spogliatoio e analizza la partita di due giorni prima raccontandotela come se tu
la stessi giocando proprio in quel momento mentre lui parla. Ha una capacità di analisi, di sintesi e una precisione temporale dei fatti che non riesci neanche per un minuto a distrarti dalle sue parole. Poi ti fissa, piega leggermente la testa e sorride. La smorfia si forma sotto i tuoi occhi proprio sul suo viso. Gli occhi neri come la pece scintillano e lui con voce pacata inizia a spezzettarti come fossi un biscottino di frolla. Hai sbagliato quel movimento, hai aspettato troppo a dare la palla, non ti sei incrociato col tuo compagno (e sai che dopo toccherà a lui lo spezzettamento...), non hai capito niente del lavoro sul campo d'allenamento della settimana prima! Questo, lo sai già, significa qualche giro di campo supplementare a fine allenamento, mentre gli altri saranno già sotto la doccia. Ti guarda negli occhi e sorride. La smorfia però è tagliente come una lama ben affilata e lui questo lo sa bene. A volte durante la settimana lo trovi al Bar Sport intento a spiegare gli schemi, scarabocchiando su qualche foglietto a qualche amico che , lo si vede chiaramente, non capisce niente di calcio e di meno gliene può fregare di tattiche di gioco. Ma Chiattina beve qualche volta.., anche se non dovrebbe con tutti i problemi di circolazione che ha. E spesso si sente solo e gli amici del bar questo lo sanno, allora pazienti e rassegnati si sorbiscono lezioni e scarabocchi, movimenti e tattiche che si formano sulla carta e si plasmano nella mente del Mister che vive per il calcio e vorrebbe spiegarlo al mondo intero. Quando lo incrocio al bar mi defilo, l'osservo da lontano. Un pò temo quell'uomo sottile e resistente come un giunco che spesso mi strapazza senza neanche sfiorarmi e che ammiro pur avvertendo in lui un dolore sordo e profondo che credo si porti dentro, nell'anima e combatta a modo suo, cercando a volte d'affogarlo nel vino. A quindici anni corri sul campo, veloce, instancabile e resistente come mai più sarai nella tua vita: ti
59 EUGENIO CHERUBINI
senti libero e leggero come il vento che soffia alle tue spalle mentre ricorri quella palla e cerchi di saltare “l’uomo” della tua età che ti si para davanti. L'odore dell'erba di quei campi lontani, la sento anche adesso a quasi trent'anni di distanza, in fondo basta socchiudere gli occhi e lasciare correre il pensiero, ci vuol poco a tornare lì, il Carlo Necchi in fondo è ancora al suo posto come tanti anni fa. Ecco il dolore pungente della brinata mattutina pizzicare sulle gambe nude sotto i pantaloncini da gioco, anche quella la ricordo perfettamente come avessi giocato stamani. Chiattina ti insegnava a stare in campo, a non rispondere male all'arbitro (sennò poi te la vedevi con lui il martedi...), il rispetto degli avversari e dei compagni ai quali dovevi passare la palla, quasi fosse una questione di educazione, nel momento in cui questo poteva poi darla ad un altro compagno seguendo gli stessi principi. Il Mister ti rendeva parte di un'orchestra in cui ogni elemento aveva un ruolo e delle regole da seguire, come nella vita del resto, perchè l'orchestra-squadra rendesse al meglio in ogni situazione. Ne sa qualcosa quel centrocampista che durante una partita del campionato allievi, fu spedito a fare due giri di campo sotto gli occhi increduli di arbitro ed avversari, avendo ignorato per due volte di seguito le indicazioni dell'allenatore. O quella punta che durante una partita dopo vari avvertimenti e richiami per non aver passato la palla e per aver preso a male parole un compagno, si sentì dire: “vai dall'arbitro e digli che esci..., no, non entra nessuno al tuo posto, giochiamo in dieci!”. Il risultato finale non lo ricordo affatto ma l'effetto che fece su noi tutti quello si, perfettamente. A volte ci rincontriamo oggi, vecchi compagni di ieri. Capelli imbiancati per chi ha la fortuna d'averli ancora i capelli, qualche ruga, i figli..., eppure ci riconosciamo come avessimo fatto il militare o un college esclusivo insieme e adesso avessimo un pò tutti ancora qualcosa, un educazione, un imprinting che ci rende familiari gli uni agli altri. A quindici anni giocavamo a zona quando in Italia solo la Roma di Liedholm lo faceva.., la diagonale, le sovrapposizioni, il fuorigioco, i due mediani laterali: tutti ci muovevamo sul quel rettangolo erboso, sincronizzati e precisi come una vera squadra di categoria superiore. Ma di quell'ometto piccolo e ossuto, leggermente curvo in avanti che gesticolava
in quel modo così evidente tanto da sembrare ancora un portiere com'era stato in gioventù calcando i campi fino alla serie B, di Chiattina “il bimbo dell'Ersilia”, come si definiva lui a volte..., il ricordo più bello che mi porto dentro, la vera lezione, non sta tanto nell'insegnamento tattico-calcistico, ma nel rispetto dei ruoli, nel modo di stare in campo anche nella vita che in fondo è una grande e lunga partita di calcio. Nell'aver imparato da lui ad accettare le critiche a volte anche dure e taglienti, cercando sempre di migliorarsi nel rispetto del compagno e soprattutto nel "passare la palla" nel momento giusto a chi è messo meglio di te in quel momento. Ecco cosa ricordo del Mister, ancora dopo tanti anni. Adesso Chiattina non c'è più, quel problema circolatorio l’ha prima costretto su una sedia a rotelle poi se l'è portato via pochi anni fa. Ma l'altra sera a casa mentre guardavo la partita in televisione lo sentivo proprio lì, accanto a me sul divano. E quando quel giocatore ad un certo punto della partita ha sbagliato la sovrapposizione scivolando in fuorigioco, lui s'è voltato e strizzandomi l'occhio m'ha sorriso... “Lo so Mister, martedì tre giri di campo finito l'allenamento, e senza fiatare”...
60 I FORTINI
I FORTINI, COSE BUONE D’ALTRI TEMPI
C
ose buone d’altri tempi. Avete presente quella fragranza mista di burro, farina, limone, vaniglia che si sentiva nelle cucine di una volta? “La nonna ha fatto la torta, quella con la sua ricetta speciale, oppure i biscotti, quelli che hanno un sapore unico”. Oggi è sempre più difficile trovare lo spazio, nelle case bellissime, ma sempre perfette in cui abitiamo, e il tempo, per dedicarsi alle attività manuali più piacevoli, come quelle delle pasticceria, che richiedono costanza e pazienza. Ma ci hanno pensato loro, Giuseppe Massimini e Barbara Pregnolato, a ricreare i “Fortini”, biscotti appunto semplici ma deliziosi, come quelli di una
volta, cominciando da un piccolo forno di casa e poi mettendo su un vero e proprio biscottificio. L’idea ha funzionato e ora la coppia è partita per un’altra avventura a Singapore, lasciando la ditta a Katia Santarelli e Giovanni Francalancia, di professione commercialisti, che conoscendo la solidità dell’azienda da luglio 2008 si sono buttati con entusiasmo nell’impresa. “Il segreto del successo dei ‘Fortini’ sta nella materia prima – spiega Katia Santarelli – perché si tratta di prodotti selezionatissimi, con nessun additivo chimico né conservante. Ci sono il burro, lo zucchero, la farina, le uova e poi uvette, mandorle, pinoli, nocciole, frutti di bosco, secondo il tipo. Ne produciamo nove e li vendiamo, oltre che in Italia, in Giappone, in Austria, in Svizzera, in Francia, in Inghilterra, ma non nella grande distribuzione”. Si capisce subito il perché: è un biscotto di ‘nicchia’, che ha una durata massima di otto mesi, incartato singolarmente per non perdere la fragranza, prezzo di riferimento 10 euro al chilo. Si trova sul mercato tutto l’anno, insieme ad altri prodotti dell’azienda come la torta “Pietrasanta”, anche questa con
il marchio depositato di una ricetta antichissima, senza farina, con cioccolata, mandorle tritate, burro, zucchero, uova. Insomma con “i Fortini” o con la torta “Pietrasanta”, si può portare a casa anche un ricordo gastronomico della vacanza in Versilia, sicuri che sia doc. “I Fortini” sono anche divenuti una ditta di ricevimenti, che fornisce tutto, dalla posateria alle pietanze di cucina tradizionale a base di carne o di pesce, e , su richiesta, anche di cucina orientale. “Abbiamo ricevuto i complimenti per l’ultimo servizio di catering al Politecnico di Torino per 180 persone – ci racconta la titolare – perché abbiamo proposto dei piatti semplici ma efficaci. Usiamo le nostre cucine per la preparazione e naturalmente del personale in più, secondo l’impegno, per il servizio. Abbiamo scritto sulla confezione “Biscotti che pensavate non esistessero più” e questo è il messaggio che vogliano indirizzare al pubblico”. L’assaggio è d’obbligo: il palato conferma.
i Fortini Via della Sipe, 10 - Pietrasanta (LU) - Tel. 0584 792711 - Cell. 348 2290290 - ordini@ifortini.it
62 enrico cosci
ENRICO COSCI
“L’architettura deve migliorare la vita dell’uomo” di Luca Basile
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’è la versione ‘romantica’, “Il bello di essere architetto è che puoi camminare nei tuoi sogni” e quella più ‘cruda’, “Se un architetto costruisce per qualcuno una casa e non lo fa solidamente, e perciò la costruzione crolla e colpisce a morte il proprietario, quell'architetto dovrà essere ucciso”. Che sia d’ispirazione contemporanea, come la prima citazione, o sfiorita nel tempo, quella che si rifà alle leggi dei babilonesi, il concetto di fondo non cambia: l’architettura è risorsa per il pensiero umano e per il contesto in cui vive. Ernrico Cosci, 54 anni, sangue versiliese sgorgante nelle vene, si accosta alla sua professione di architetto, ancora oggi, con la passione del debuttante. “Vedo l’architettura come uno strumento chiamato a risolvere problematiche riguardanti le persone e la qualità delle loro vite. Il resto è poesia”. Quando lavora ad un progetto, quali sono i riferimenti di
base che poi mette in pratica? “Non prescindo da biosostenibilità e recupero energetico: nei miei lavori cerco, da tempo, di inserire l’elemento naturale all’interno del progetto di architettura. Sono alla costante ricerca di una forte presenza ‘ verde’: penso a giardini che si sviluppano sui vari piani di una costruzione. Ricerca che, ad esempio, proporremo con i miei collaboratori – lo Studio Lapis di Forte dei Marmi, ndr -, nella progettazione del nuovo Versilia Holidays dove, ogni piano vedrà la presenza di terrazzati con alberi, fiori, piante, nicchie ‘ collinari’, prati colorati”. Il ricorso all’elemento naturale è solamente soluzione gradevole per l’impatto visivo? “No, lo spaccato ambientale, pur in un importante valorizzazione del contesto di estetica, ha significativi effetti pratici, come quello di rendere costante la temperatura interna dell’edificio. Non proprio un dettaglio, direi”. Anche la continua occupazione di spazi ‘vergini’ sul territorio con nuove cementificazioni rientrano nel concetto di architettura? “ Per assurdo e ragionando all’estremo, lo stesso spazio lasciato vuoto è architettura. Accantonando, però, ancora una volta la poesia, è vero che gli interventi vanno rapportati all’ambiente a disposizione circostante: il rischio di andare oltre e di fare il danno esiste. Ecco perché diventa fondamentale, sempre più il recupero di fabbriche dismesse ed aree
artigianali abbandonate: lasciare in stato di degrado queste sedi è una contraddizione pagata a caro prezzo dall’ambiente e dagli uomini”. Da cosa rifugge quando è chiamato a disegnare un progetto? “ Credo dalla banalità: nei limiti della mia capacità e delle mie competenze, cerco di inserire, ogni volta, elementi che arricchiscano quello stesso progetto che lo voglio in simbiosi con l’ambiente che lo circonda. Che siano piccole case, centri commerciali, alberghi o quant’altro, il principio di base è sempre lo stesso”. Sembra che i professionisti di settore vivano con una certa insofferenze le leggi urbanistiche di riferimento: impressione sbagliata? “Dipende dalle situazioni e dalle singole persone. A mio avviso queste leggi hanno una visione più in chiave edilizia e meno in quella architettonica, nel senso che tendono a considerare il singolo oggetto in progetto e non il contesto in cui questo sarà insediato. La norma urbanistica serve spesso per contenere i danni ed è fondamentale che ci sia, ma spesso penalizza o condiziona fortemente lo sviluppo complessivo del progetto”. Ha parlato di recupero energetico nelle costruzioni: a cosa si riferisce? “Penso al vento, al sole, alle energie del sottosuolo: non si può oramai più prescindere da questi elementi nell’elaborazione di un qualsiasi progetto. Armonizzarsi con l’ambiente significa anche esaltarne le sue caratteristiche naturali”.
di Mariarosa Nardini
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64 RISTORANTE ALEX
A CENA DA “ALEX”, COME UN EVENTO
Alessandro Tognetti e gli ingredienti del gusto d’eccellenza. di Chiara Sacchetti
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e sedie di banano, i tavoli in teak indonesiano con il gambo intarsiato a mano, le tende color crema e persino le piante tropicali nel giardino che circonda la grande terrazza. Il ristorante Alex, sull’angolo di via Versilia a
Marina di Pietrasanta, ormai da anni sulla rotta del gusto esclusivo, è stato fortemente voluto dal Patron Alessandro Tognetti, per quello che lui chiama “un ritorno alle origini”. Nato e cresciuto a Forte dei
Marmi, Tognetti, fin da piccolo chiamato dagli amici Alex, ha respirato il clima balneare nello stabilimento di famiglia, dove si cucinava per i clienti abituali. Ma Alessandro si definisce un “cittadino del mondo”, con i suoi tre anni di Australia poi l’Indonesia e infine gli Stati Uniti, in Florida, dove trascorre alcuni mesi durante l’anno. Con l’architetto ha cercato di ricreare nel suo locale versiliese un po’ dei colori, dei profumi e dei sapori vissuti nei diversi paesi. E così la palazzina del Novecento è stata vestita su misura per rispecchiare la personalità del titolare. Alex ama i colori caldi, avvolgenti, insieme al prestigio e all’eccellenza. Trentanove anni, laureato in scienze aziendali, utilizza la sua competenza di marketing per ideare strategie di successo. Durante l’estate propone con il ristorante “Alex” cibi esclusivi ad una clientela Italiana e internazionale e in inverno offre agli americani l’Olio Extra Vergine di Oliva toscano “Aska Eleivana” di propria produzione. Seicento etichette di vino accuratamente selezionate, adagiate nella sua cantina climatizzata per mantenerne invariate le caratteristiche organolettiche, che spaziano dalla Francia alla Spagna e naturalmente all’Italia. Champagne di piccole Maisons con produzioni limitate e di alta qualità affiancate a Maisons di
65 RISTORANTE ALEX
nomi eccellenti. Altre chicche rare sia tra i vini Francesi e Italiani, riservate a una clientela di appassionati. “Chi è ospite nel mio locale – ci racconta Alex – non pensa di andare semplicemente a mangiare fuori, ma vive la serata come un evento. L’arredamento, le luci, la musica jazz di sottofondo accompagnano i piaceri del palato”. Sfogliamo il menu e immaginiamoci la prelibatezza dei cibi. Si comincia con la selezione di crudo di mare (ostriche, scampi, sparnocchi e deliscato). I calamaretti in forno in salsa all’uovo o gli sparnocchi al miele di tiglio sono indispensabili per predisporre il palato ai primi piatti, quali gli gnocchi all’ortolana di mare, le linguine alla vellutata di fagioli e salvia con gamberi, calamaretti e frutti di mare, i tacconi di pasta integrale con branzino e vongole, i ravioli di batti batti con crema di zucchini e pepe di Szechuan. Seguono i secondi come il filetto di branzino in crosta di patate con macedonia di verdure o il tonno in crosta di sesamo. Ecco, siamo al momento clou per i patiti dei crostacei, che trovano l’apoteosi nella “Catalana” con astice, batti batti, scampi, sparnocchi accompa-
gnata da verdure crude. Ma Alex, oltre alla selezione meticolosa del pesce crudo e dei crostacei, ha un asso nella manica. Un prodotto esclusivo, l’Alaskan King Crab, un granchio che viene pescato nel gelato e tempestoso Mare di Bering tra la Russia e l’Alaska. Data la prelibatezza della sua carne, si cucina scottandolo alla griglia e accompagnandolo da un condimento di eccellenza che è appunto l’Olio Extra Vergine di Oliva “Aska Eleivana Excellence”, un blend di "Cultivar" Toscani straordinari "Moraiolo, Leccino, Frantoio" che Alex ha concepito per esaltarne al massimo il gusto. Dalla fusione di questi due elementi scaturisce una dolcezza superiore, una vera delizia per il palato. Alex si trova nelle più prestigiose guide nazionali e internazionali come Michelin (due forchette), Veronelli, Touring Club, Bibenda-Duemilavini, Dove Dormire & Magiare Meglio, Top Italian Restaurants l’eccellenza nella ristorazione Italiana, e persino la “Superyachts Service Guide to the Mediterranean”, che viene consegnata direttamente ai capitani delle più importanti imbarcazioni da diporto. La clientela Italiana e internazionale di alto livello è assicurata anche dalle agenzie marittime che indirizzano da Alex i turisti facoltosi in navigazione nel mediterraneo, persino dalla Costa Azzurra. Il privilegio del piacere che nasce dal cibo, dal vino, dall’atmosfera, dalla cortesia di chi ti serve, si può estendere anche a coloro
che hanno esigenze particolari, come chi non mangia il pesce: manzo italiano, bisonte americano e angus argentino si sposano perfettamente con le fraganze intense dei vini rossi più corposi. Non possiamo dimenticarci di concludere con i dessert di Alex, caldi, da preparare in una decina di minuti, dei quali i clienti non sembrano voler fare a meno: il flan al cioccolato, la sfogliatina alla crema di formaggio, la sfogliatina di pere caramellate o il tortino di mele al Calvados. ALEX Ristorante Enoteca Via Versilia, 157/159 Marina di Pietrasanta Tel. +39-0584-746070 www.ristorantealex.it
67 GALLERIE i
serviz
i serviz
GALLERIE IN FIERA pag. 68 Aghilartes Stand 38-39 pag. 73 Aretusa Arte Contemporanea Stand 06 pag. 76 B & B Arte Stand 30-34-41 pag. 82 Studio Cortese Arte Stand 04 pag. 86 Dir’Arte Stand 35 pag. 88 Fantasio & Joe Stand 29 pag. 90 Galleria Accademia Stand 09 - 09 bis - 10 pag. 94 Spirale Milano Stand 11 - 12 - 13 pag. 100 Galleria Brandi Arte Stand 05
pag. 105 Galleria Cristina Busi Stand 14 - 15 pag. 110 L’incontro Stand 36 - 37 - 43 - 44 pag. 118 Galleria d’Arte Malinpensa - La Telaccia Stand 23 - 24 - 25 pag. 124 Galleria Ermione Stand 45 - 46 pag. 129 Galleria Silvano Lodi & Due Stand 19 - 20 - 21 pag. 136 Galleria Stefano Simmi Stand 42 pag. 138 Galleria 18 Stand 07 pag. 140 In Door Art Gallery Stand 40 - 47 pag. 146 Lazzaro By Corso Stand 16 - 17 - 18
pag. 152 Lo Sguardo dell’Altro Stand 08 pag. 156 Zodiaco Arte Stand A (corridoio) pag. 158 Spazio Gianni Testoni La 2000+45 Stand 22 bis pag. 164 Proposte d’Arte Contemporanea Stand 03 pag. 166 Mandelli Arte Contemporanea Stand 21 pag. 168 Ambre Italia Stand 28 - 31 pag. 172 Veradocci Stand 26 - 27 - 32 - 33 pag. 180 Veronica Meschis - Galleria d'Arte contemporanea Stand 01 - 02
68 AGHILARTES by ATHOS FACCINCANI
Athos faccincani La magia della luce
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thos Faccincani nasce a Peschiera del Garda il 29 Gennaio 1951. Negli anni 63-64, ancora tredicenne, inizia a frequentare lo studio del Maestro Pio Semeghini; frequenta poi le scuole tecniche ed è sempre più presente, intorno agli anni 67-69, negli studi veneziani di Novati, Gamba, Seibezzi. Sempre in questo periodo, conosce a Brescia Ottorino Garosio e Angelo Fiessi. Nel 1970 terminati gli studi, si dedica all’equitazione con grande entusiasmo e contemporaneamente alla pratica della pittura fraternamente aiutato da Nantas Salvalaggio. Di lui Salvalaggio scriverà: “Hai cominciato a vedere il mondo con occhi tuoi, senza le –scole e gli –ismi; i colori semplici ti sono serviti a scavare il vero, come allo scrittore vero basta un pennino, al vero scultore uno scalpello.” In quegli anni si trova di fronte al primo, doloroso impatto con la realtà sociale e i suoi problemi. Egli entra nel mondo delle carceri, degli emarginati e della malavita, partecipa al clima d’impegno civile e diviene paladino degli handicappati, dei poveri, degli assistiti. Le sue tele, in un indirizzo artisticamente rivolto all’enigma del sentimento umano, ai suoi drammi e alle sue contraddizioni, riassumono colori melanconici e sofferti nella rappresentazione di figure impegnate. Lo studio culmina con lo sviluppo di dipinti sulla
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69 AGHILARTES by ATHOS FACCINCANI
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“Follia delle attese”, e sulla Resistenza: le sue Personali ricevono la visita del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Nel 1980, dopo un percorso ricco di avvenimenti artistici e letterari inizia un periodo di rigenerazione interiore, di rico-
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struzione, col passaggio in breve tempo dalla figura al paesaggio. L’attenzione è rivolta inesorabilmente alla natura che Faccincani ama nella sua sacra totalità, diventando suo unico modello. Vi è un mutamento radicale del suo atteggiamento esistenziale
Athos FACCINCANI 1) “Un cesto di fiori ed un pensiero”, 90x40 cm 2) “Portofino e sogni e luce”, 80x100 cm 3) “Il carnevale e luce”, 80x100 cm 4) “Libertà”, 90x100 cm 5) “Positano dove il colore è luce”, 30x70 cm
70 AGHILARTES by ATHOS FACCINCANI
e stilistico passando alla produzione di immagini di chiara derivazione impressionista, dai colori puri e accesi, tesi alle motivazioni culturali del 2000: la luce, il sole ed il racconto semplice. E’ una pittura testimone di gioia e di serenità, nel contesto del recupero del figurativo e dei valori interiori.
Aghilartes By Athos Faccincani Strada S. Pietro n° 100 46040 Monzambano (MN) Tel. 39 0376 800603 Fax 39 0376 807630 info@aghilartes.com www.aghilartes.com
Stand 38 - 39
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6) Athos FACCINCANI “Riomaggiore tra primavera e sogni” 90x80 cm
7) “Campo di girasoli verso la casa rosa” 60x120 cm
8) “Il circo e sogni”, 70x60 cm
Olio
L’arte dell’ U
n nome che va a ricercare le origini del suo territorio di produzione, quelle etrusche dal 600 al 550 avanti Cristo. “Aska Eleivana” è un’incisione in antico etrusco trovata durante uno scavo archeologico su un’ampolla, il cui significato è semplicemente quello di “contenitore dell’olio”. Alessandro Tognetti, ristoratore ed esperto di marketing, conosce bene anche il valore esercitato dalla nostra grande storia ed è per questo che ha scelto di connotare il suo Olio Extra Vergine di Oliva di produzione toscana con un nome di antica suggestione. Un olio che per qualità può convivere su un tavolo accanto ai Super Tuscans. Una bottiglia di Sassicaia con la sua etichetta dorata in rilievo si abbina perfettamente a quella con caratteristiche simili di Aska Eleivana, che ancor più si fregia di una immagine addirittura artistica, quella dei quadri di paesaggio agreste di Domenico Monteforte. Sia il “Prestige” che l’ ”Excellence” accompagnano così, al loro sapore di un blend di "Cultivar" Toscani straordinari, un’etichetta prestigiosa nella quale il cibo apre le porte all’arte e viceversa. Alessandro Tognetti trascorre alcuni mesi invernali a Miami e da là segue la distribuzione negli States e nelle grandi navi da crociera dirette nei
Caraibi, del suo Olio Extra Vergine di Oliva proveniente dalla selezione accurata delle sole migliori produzioni locali toscane dei “Cultivar” utilizzati "Moraiolo, Leccino, Frantoio". Durante il South Beach Wine & Food Festival, il festival dedicato al cibo e al vino svoltosi a Miami Beach, Aska Eleivana è stato definito come il condimento ideale e salutare per un loro cibo di eccellenza, l’Alaskan King Crab ed è stato apprezzato anche il fatto che per la prima volta un produttore italiano si sia prestato a concepire un olio speciale per un cibo americano esclusivo. La scelta dell’eccellenza si fonde così con i gusti del mercato internazionale e domestico, che il produttore cerca di assecondare attentamente. I clienti degli States come nel nord Europa, amano conoscere nel dettaglio le caratteristiche di ciò che consumano, e quindi l’etichetta è accompagnata da un’appendice dove si trovano tutte le informazioni necessarie. Un prodotto che coniuga qualità gastronomica e arte, apprezzato da coloro che sempre più si stanno avvicinando ai segreti del mangiar bene e sano, e gradisce l’accostamento di un prodotto italiano di prestigio ai suoi piatti migliori.
Aska Eleivana - Olio Extra Vergine di Oliva 100% Italiano is a trademark of World Wine and Food Head Office: Via Versilia, 157/159 55045 Marina di Pietrasanta (LU) Tuscany Italy Tel IT. +39 335 8167196 Fax IT. +39 0584 747015 Tel USA in Miami +1 305 898 8346 www.askaeleivana.it e-mail: info@askaeleivana.it Aska Eleivana in Versilia è presente da ALEX Ristorante Enoteca Via Versilia, 157/159 Marina di Pietrasanta Tel. +39-0584-746070 www.ristorantealex.it
73 ARETUSA ARTE CONTEMPORANEA
Aretusa arte contemporanea A
retusa Arte Contemporanea è una piccola galleria attiva a Pietrasanta dal giugno 2008, in via Oberdan n.10. Si apre su un bel giardino curato, all’interno della corte Palla, sede di un vecchio studio per la lavorazione del marmo risalente al 1700. È diretta dal titolare, Mar-
Aretusa Arte Contemporanea Viale Guglielmo Oberdan 8/10 (55045) Pietrasanta (Lucca) Tel. +39 3396744450 info@aretusaarte.com www.aretusaarte.com
Stand 06
1) Omar GALLIANI “Oltremare”, 2000 Pastello blu su tavola, 50x50 cm
co Luporini, un giovane studioso grande appassionato d’arte, che ha messo a frutto la sua più che decennale attività di collezionista. La galleria, specializzata nei grandi maestri italiani del Secondo Novecento, ha già organizzato diverse mostre di artisti quali: Mastroianni, Carroll, De-
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pero (disegni), Picasso (acqueforti). Attualmente presenta opere di artisti quali: Crippa, Corpora, Nespolo, Modino, Galliani, Ceroli, Rabarama, Lindstrom. Nel mese di Luglio 2010, la galleria organizza una mostra di tre artisti toscani: Madiai, Magazzini e Scatizzi.
74 ARETUSA ARTE CONTEMPORANEA
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2) Tano Festa “Michelangelo”, 1978 Acrilico su tela, 70x90 cm 3) Bengt LINDSTROM “Jacob e l’ange”, 1971 Guasch su carta, 50x42 cm
Agenzia Immobiliare Real estate agency via Lorenzo dè Medici, 18 b 55042 - Forte dei Marmi tel. 0584 752721 mob. +39 392 5912531 info@forteabitare.it www.forteabitare.it
76 B&B ARTE
Galleria B&B Arte Canneto sull’Oglio, Mantova
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a Galleria B&B Arte nel 2010 celebra 26 anni di attività. Era infatti il 1984 quando venne fondata per volontà di Evaristo Bonelli. Nel 2006 si apre il nuovo Spazio a Canneto sull’Oglio (MN) nella suggestiva struttura della Ex Fabbrica Furga che attualmente ospita la sede. Nel periodo estivo è inoltre aperta la succursale di Sirmione (Bs) sul Lago di Garda. Renato Birolli, Remo Brindisi, Roberto Crippa, Salvatore Fiume, Achille Funi, Virgilio Guidi,
Osvaldo Licini, Carlo Mattioli, Giuseppe Migneco e Aligi Sassu, sono stati i primi artisti ai quali la galleria ha dedicato particolare attenzione. Da oltre 15 anni la galleria è il punto di riferimento per gli artisti Trento Longaretti e Franco Rognoni. L’attività può vantare, oltre ad un’intensa programmazione espositiva, anche molteplici collaborazioni con gli Enti pubblici nell’organizzazione di mostre di alto profilo in tutta Italia. La
storia della galleria è testimoniata dalle numerose pubblicazioni (monografie e cataloghi di collettive) e dalla partecipazione alle fiere nazionali più rilevanti : MiArt, Art Verona, Arte Padova, Immagina Reggio Emilia, Arte Genova. Tra le numerose iniziative segnaliamo l’ultima importante mostra dedicata all’artista bergamasco, Trento Longaretti, dove erano esposte più di settanta opere del decennio 1999-2009.
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1) Trento LONGARETTI “Rom in cammino”, 2009 Olio su tela, 110x130 cm 2) “Famiglia del musicante e bambino con la mela”, 2008 Olio su tela, 40x50 cm. 3) “La canzoncina della ninna nanna”, 2008 Olio su tela, 80x120 cm
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4) Franco ROGNONI “La malcontenta”, 1965 Olio su tela, 55x46 cm 5) Franco ROGNONI “Hotel”, 1965 Olio su tela, 54x73 cm 6) Franco ROGNONI “Città e passante”, 1997/8 Olio su tela, 129.5x189.5 cm
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7) Salvatore FIUME “Il Messicano” anni ‘802, Olio su tavola, 36x54 cm 8) Aligi SASSU “Ciclisti”, 1956 Olio su tela, 50x60 cm
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B&B ARTE Via Cavour, 29 46013 Canneto sull’Oglio (MN) Tel/Fax 0376 72 3161 www.bebarte.com info@bebarte.com
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Dolores previtali
La parola e l’ombra: dialogo della scultura di Emanuela Mazzotti
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a comprensione dell’opera d’arte implica la domanda sul come e perché un’opera venga prodotta e prima ancora, pensata nella mente dell’artista. A tal proposito Schopenhauer suggerisce la necessità, per avere pensieri originali e straordinari, di “estraniarsi dal mondo e dalle cose in modo così totale che gli oggetti e i processi più ordinari appaiono assolutamente nuovi ed ignoti, così si dischiude la loro vera essenza”. Dolores Previtali, ha fatto inconsapevolmente propria l’affermazione e segue solo il suo istinto, evita distrazioni, si immerge nella sua terra; ama la materia al tal punto che quando lavora la terracotta si sente parte fondamentale del materiale stesso(…). Le parole che l’artista usa parlando della sua scultura sono in questo senso illuminanti e consentono una riflessione sulla domanda iniziale, ovvero il “come”: se il modellare costituisce l’approccio fisico
all’opera, oltre che intellettuale, se plasmare è atto di possesso nei confronti della terra e gesto che dà corpo all’idea primigenia, allora l’operazione artistica diventa il campo di forze entro il quale si agita l’identità arte – vita. La sensazione che si riceve dialogando con Dolores è di estrema pacatezza, come se le cose dell’esistenza fossero passate sul suo capo lasciandola senza parole, ma consentendole, al contrario, di sostituire l’espressione verbale con la parola della scultura, resa con un vigore plastico che evita la rappresentazione lirica del sentimento come l’esasperazione del dolore. (…) L’arte è diventata pertanto una sorta di scrittura, un parlare per immagini; la materia, terracotta o bronzo, sono lo strumento con il quale diffonde il suo messaggio. (…)La fisicità di ”Uomini” si concentra nello sforzo di intravedere ciò che appare come trascendente. Eppure questi lavori esprimono un sentimento laico del dolore e dell’amore stesso, quasi questi esseri umani, resi ciechi, privati della vista, rivolgessero istintivamente lo sguardo verso un “altrove” avvertito più come possibilità di riscatto, nuova ipotesi di esistenza piuttosto che sguardo verso un cielo sconosciuto. I loro corpi esistono nello spazio che li circonda e con lo spazio dialogano, prova ne sia che questi gruppi scul-
torei sono fatti per essere visti non solo frontalmente, ma da diversi punti di vista. Le teste presentano inclinazioni diverse, l’ombra appare più marcata in ragione dell’incidenza della luce che colpisce i soggetti animati dalla spinta dei corpi. Non sono esseri isolati in uno spazio non identificato, ma gruppo compatto di singoli individui guidati dall’istinto e accomunati da un desiderio; uomini diversi eppure uniti in una terribile fisicità, dal momento che il fondamento dell’esistenza è costituito dal corpo con il suo ingombrante attaccamento alla terra, quella terra da cui sono stati generati. Questo legame fisico e al tempo stesso simbolico si declina con accento contrario alla pura trascendenza, poiché l’esistere conosce la pienezza del dolore , inteso come inquietudine e dubbio nell’attribuzione di senso ultimo dell’esistenza.(…) Qui si risolve il senso del secondo quesito, ovvero il perché l’artista scelga queste particolari forme espressive. (…)I “Gruppi” rappresentano soggetti la cui cecità allude alla perdita di senso nel vagare della vita. Individui la cui identità si manifesta nel rapporto con la capacità o incapacità di vedere. Eppure il cieco coincide anche con il Veggente, colui che ha rinunciato alla luce esteriore per scoprire la ricchezza interiore. Quest’ultimo aspetto mi sembra un punto nodale nella poetica di
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Dolores Previtali, che si muove all’interno di due tensioni distinte tese a cogliere in un racconto allegorico, come filo di un unico discorso, il legame fra individuo e umanità, dove l’isolamento è la vera punizione. Anche l’ansia di salvezza e la coscienza della sua impossibili-
tà contribuiscono a questo cieco vagare, a quest’attesa carica di aspettativa che volti e corpi, costruiti come espressione di linee di forza opposte, ben esprimono raggiungendo la massima tensione, pur nella privazione dei singoli caratteri fisionomici. (…)
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Dolores Previtali 1) “Torso”, 2005 Bronzo patinato, h 55 cm 2) “Gruppi”, 2005 Terracotta, h 35 cm
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concentrate nello sforzo dell’azione che deforma i loro visi, accentuati nell’espressione di fatica. Alla compattezza del gruppo si contrappone lo spazio circostante che lascia intuire un vuoto indefinito, come se tutto il carico dell’azione lasciasse inconcluso lo sforzo dei personaggi, nel suggerire l’inutilità dei loro gesti. (…)Così anche nei rilievi in bronzo o scagliola patinata (Spartani, Al castello), l’artista imprime la sensibilità del blocco trasferita nel piano sul quale si muovono le figure, stemperando i valori luministici nei diversi accenti cromatici ma senza mai perdere di vista il rapporto pieno – vuoto. (…)La trasmutazione della materia consente di camuffare i materiali regalando alla scagliola le qualità della terracotta e al bronzo l’apparenza della creta. Perduto l’antico significato, trasformato nella materia, il mondo classico rivive come ricordo, emozione e nostalgia fino a trasformarsi in “reperto archeologico”.(…)Verità e grandezza dell’uomo appaiono costante oggetto d’indagine
Gianantonio Cristalli Alchimia di un mito di Emanuela Mazzotti (...) Lo scopo è la rappresentazione delle passioni, anche nelle opere meno caratterizzate dall’azione dove l’artista trasferisce una gestualità che nella mobilità dei muscoli esprime sentimenti interiori. E’ proprio in questi lavori che Cristalli raggiunge il massimo controllo della materia e al tempo stesso la “deformazione” dei modelli ispirativi diventa manifesta. (…) Si veda ad esempio: Argonauti , gruppo scultoreo in bronzo patinato. La costruzione delle masse si definisce nel movimento teso fino allo spasimo, le figure sembrano
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nelle sculture dell’artista, ispirate dalle figure di Ulisse o Icaro, (entrambe in marmo di Carrara) che sembrano esistere per “volontà di potenza” e in cui si traspongono le tensioni confuse e appassionate della realtà interiore. Queste figure sembrano emergere da un luogo remoto e misterioso senza che nulla rivelino se non il loro “essere nello spazio” (…) La sequenza di Cavalieri e Sentinelle (Pietra di Vicenza, Travertino giallo) registra un vigore plastico tradotto in piani spigolosi che invitano ad una lettura frontale perché generano con l’ombra una netta cesura. Le figure si caratterizzano per un forte arcaismo,interpretato dal rigido mantello che si fa greve basamento, in una sorta di “non finito”che la materia assume quale nota distintiva di semplificato rigore.
3) Gianantonio Cristalli “Argonauti”, 2005 Bronzo patinato, 85x26x43 cm 4) “Spartani”, 2009 Bronzo patinato, 62x35x10 cm
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ELVINO MOTTI L’energia della forma di Emanuela Mazzotti (…)L’opera di Elvino Motti si riconduce ad un principio essenzialmente tecnico. La sua arte nasce da un’idea che si concretizza in una complessa rielaborazione della forma come elemento di composizione di pieni e vuoti.(…) Ciò che lo caratterizza non è tanto il desiderio di rottura con la tradizione quanto il bisogno di ripensare la forma stessa, consapevole che la visione classica è semplice nostalgia, mentre l’uomo e la natura sembrano essere minacciati nella loro integrità, quindi è compito dell’arte riprodurre quella condizione di originaria felicità, di serenità e autenticità perduta che l’essere umano non è più in grado di realizzare. (…)Ma che cosa dicono le grandi immagini che l’artista ha elaborato in questi ultimi anni? Il tema sotteso nella sua opera è quello della natura e del rapporto con il paesaggio. Non è bizzarro considerare il paesaggio nella scultura quando l’obiettivo dell’autore è quello di rendere evidente un rapporto di armonia tra l’uomo e mondo: ecco dove egli trova la sua ispirazione. (…)Il paesaggio sembra essere una sorgente inesauribile d’energia, basti pensare che all’interno di sculture come Omaggio al sole, scorre energia pura sotto forma di luce che viene immagazzinata durante il giorno all’interno di due semisfere di bronzo dorato per essere restituita di notte, luce perenne. La sfera cattura la luce, la pietra permette al sole di passare con i suoi raggi attraverso un forellino per raggiungere, durante l’equino-
zio di primavera, una particolare incidenza luminosa, la scultura è energia pura. La materia sembra in questo contesto perdere la sua prerogativa di pesantezza, la lucentezza della sfera metallica rimanda agli elementi cosmici che definiscono la sostanza dell’Universo: Acqua, Fuoco, Terra, Aria, gli elementi primordiali che in sintesi concorrono alla nostra stessa esistenza. I materiali che configurano i raggi del sole sembrano in parte appena sbozzati; sono il calcare, la beola, il granito. Anch’essi sono parte del paesaggio e da questo provengono come se Motti volesse perpetrarne l’esistenza sospesa dentro l’opera d’arte. Gli interessa ciò che di tale modello, roccia, pianta, individuo, si presenta come organismo vivo e mutevole da comprendere nelle sue segrete ragioni formative. (…) L’obiettivo ultimo è vincere la legge della gravità, far percepire leggero ciò che leggero non è per definizione. La ricerca della perfezione e la continua sperimentazione
hanno condotto Motti a scoprire la piena bellezza del metacrilato. Dal blocco di metacrilato in forma di parallelepipedo si ricava così Sfera, forma perfetta per eccellenza. Sembra questo un ritorno a quelle forme classiche che hanno ispirato l’autore sin dai suoi primi esperimenti e che configurano quella visione mitologica del mondo, quel Cosmos che si contrappone a Kaos. La Sfera è il richiamo verso l’Assoluto è solo spazio vuoto, il massimo della trasparenza, la luce l’attraversa con migliaia di possibili esiti. E’ sufficiente infatti una certa inclinazione del raggio luminoso per captare una gamma infinita di trasparenze colorate.(…)
Studio Cortese Arte Via Camusso, 20 13833 Portula (Biella) Tel. 015 7655277 Cell. 338 6441049 info@corteseg.it
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Dir’arte F
rancesco Di Rosolini, titolare della Dir’Arte - Arte Contemporanea, dal 1981 opera con passione e competenza nel mercato dell’arte. Da tempo è responsabile della “Spirale Milano”, per la quale cura i contatti con le Gallerie d’Arte in tutta Italia. Ha realizzato importanti edizioni d’arte per Treccani, Borghese, Sarnari, Giorgi, Fiume, Nespolo, Polizzi, Guccione, ecc. Instaura rapporti personali con alcuni maestri del Novecento, quali Arman e Tamburi, collaborando nella realizzazione di mostre Personali e Fiere d’arte. Nel 2005 apre il nuovo spazio espositivo in uno fra i più suggestivi luoghi di Modica, dove inaugura mostre personali di Guccione, La Cognata, Sarnari, Bracchitta, Polizzi, Alvarez con
notevole successo di pubblico. Partecipa alle Fiere d’arte Nazionali ed Internazionali. Particolare interesse è inoltre rivolto alle nuove correnti creative dei giovani artisti, come Giuseppe Colombo, Davide Bramante. La Dir’Arte fa parte dell’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea.
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DIR’ARTE di Francesco Di Rosolini Via T. Campailla n. 99 97015 Modica (RG) Tel. 0932 947456 www.dirarte.it - info@dirarte.it
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1) Giuseppe COLOMBO “Piccola finestra su San Giorgio”, 2004, Olio su tela, 38,5x50 cm 2) Franco Polizzi “Case alla controra”, 2010, Olio su tela, 35x45 cm
Dal cuore delle Alpi Apuane i nostri sapori. Il nostro vino. Il nostro olio.
Giardini Ripadiversilia
Giardini Ripadiversilia di Renza Maria Gilda Iacopi Via priv. Angelini, 489 - 55040 Ripa di Seravezza (Lu) Tel. 0584 756867 - Fax 0584 758882
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GALLERIA D’ARTE FANTASIO & JOE
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ntrando in questa storica galleria- atelier sembra di attraversare lo specchio di Alice: ci si lascia alle spalle una Lucca di stradine e mura medievali e ci si addentra in un mondo di contemporaneità vivace e colorata. Giovanni Possenti ci guida in un percorso che desta nel visitatore stupore e ammirazione, fra i suoi bozzetti, i tavoli di lavoro pieni di vernici, pennelli e matite acquerellabili. La luce della porta-finestra fil-
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tra tra le opere degli artisti presenti in galleria.
con le parole e al grande Baccio Pontelli.
Raffaello Di Vecchio prende in considerazione l’attività ludico-ricreativa tipica del periodo estivo: il cruciverba. La sua personale interpretazione sfida le caselle bianche e nere con l’ inserzione di coloratissime vocali e consonanti di legno, ritagliate in modo ironico e minuzioso. Un gioioso omaggio a tutti gli artisti che giocano
Marco Saviozzi. Una diversa tecnica caratterizza le sue nuove proposte, dove i frammenti di improbabili tessuti – una vecchia tovaglia di plastica, asciugamani lisi, carta da parati – avvolgono queste tele-cuscino con ruvida amorevolezza.
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Giovanni Possenti. Un oceano di sensazioni, colori, sapori in
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delicate linee e toni color pastello compongono una complessa cosmogonia popolata da tartarughe marine, elefanti assorti, farfalle impalpabili e topi in trappola. Mirta Vignatti. Un giardino immaginario dove la pennellata variopinta lascia spazio a bambole con vaporosi vestiti floreali e tanti oggetti materializzati dal mondo dell’ infanzia: un logoro orsacchiotto, vecchie carriole, guantini colorati e tante piccole automobiline.
3 1) Raffaello Di Vecchio “Sul sacrato della cattedrale” Tarsia dipinta, 30x30 cm 2) Marco Saviozzi “Donne e motori” Olio su tavola, 140x150 cm 3) Mirta Vignatti “La Casa di Francesca” Acrili su tela, 100x100 cm 4) Giovanni Possenti “Piccola mappa dei vizi” Olio su carta, 30x20 cm
Fantasio & Joe Via S. Andrea, 11 - 55100 Lucca Tel. e Fax 0583 495679 e-mail: giovannipossenti@virgilio.it
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galleria Accademia Arte: passione pura di Barbara Aimar
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a sempre la Galleria Accademia (fu fondata nel 1969 da Pietro Barsi) si trova nel centro di Torino, di fronte all’Accademia delle Belle Arti, nei pressi di alcuni tra i più bei musei della città ed in una via che è oggi come allora, punto di passaggio di chi l’arte la studiava, l’insegnava, la creava e
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la ammirava. E’un vero punto di riferimento per quelli che prediligono l’arte moderna e scelgono, a prescindere dagli artisti in voga, nomi prestigiosi ed opere che oltre a contribuire a creare incantevoli collezioni private, rappresentano anche delle forme di investimento. “L’arte – sottolinea Luca Bar-
si – coniuga due realtà diverse che sono la passione e l’investimento. Cerco di consigliare o procurare ai miei clienti opere che abbiano significato sul piano artistico, possano arricchire o creare una collezione e contemplino una prospettiva di ritorno economico. L’arte, con la dovuta competenza, può essere
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un’ottima occasione di investimento, ma questa occasione può essere colta solo da chi ne vive e respira l’aria in ogni momento della giornata, per questo non credo che sia possibile il fai-da-te. Conviene piuttosto affidarsi ad un operatore onesto che può consigliare ed al tempo stesso rispettare il gusto
del collezionista. Evito sistematicamente di proporre artisti commerciali che esistono oggi e domani non più, l’arte è unica, un prodotto industriale non può esser considerato tale.” Luca Barsi iniziò sin da bambino a respirare l’aria di questo mondo che tanto ama; con il padre si recava da clienti ed
artisti ed imparava a comprenderne le caratteristiche e con la sorella sistemava ed archiviava opere prestigiose. Oggi, alla preparazione culturale unisce la capacità di cercare sempre opere nuove ed interessanti per stimolare la curiosità dei suoi interlocutori. I clienti di vecchia data che prediligevano la
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1) Christo “Surrounded Islands”, 1983 Tecnica mista, 28x36 cm 2) 3)
Magnelli “Precisions”, 1957 Olio su tela, 54x46 cm Vasarely “Vulcan”, 1983 145x125 cm
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competenza e la disponibilità di Pietro Barsi possono contare sulle competenze di Luca e Francesca che continuano il lavoro della galleria. Oltre ad una predilezione per la pittura piemontese, seguono con interesse
tutta la pittura italiana e straniera del Novecento, così che in galleria possiamo trovare, tra le altre, opere di De Chirico, Guttuso, Campigli e De Pisis, ma anche Hartung, Dorazio, Accardi, Perilli, Corpora, Guidi,
Crippa e nomi della tradizione piemontese come Tabusso, Paulucci, Menzio o Nespolo. Cosa ha ereditato da suo padre che ritiene essere importante per la sua attività? “La preparazione culturale è
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senza dubbio la base per muoversi in questo settore ma ciò che ho più a cuore, ed ho ereditato da mio padre, è la volontà di creare rapporti con le persone che mi interpellano. Al di là della mia indole, che mi porta a prediligere i rapporti interpersonali, sono convinto del fatto che l’arte non sia una cosa riservata a pochi; per comprenderla ed ammirarla però deve esistere la possibilità di muoversi tra le mostre e trovarvi persone disposte ad illustrarla non solo a chi già la conosce. Amo l’arte e cerco di essere sempre aggiornato.” Come concretizza queste cose? “Ascoltando con il cuore le persone per recepirne i gusti e le predilezioni e creare poco per
volta delle collezioni in grado di esaltare emozioni. Cerco di indirizzare il gusto del cliente per arrivare ad acquisti più prestigiosi. Inoltre organizzo presso la Galleria e per alcuni Enti Pubblici importanti mostre.” Ciò che più conta è il desiderio di creare rapporti di fiducia con i propri clienti e situazioni che consentano a chiunque di ammirare l’arte. 4) Ugo Nespolo “due note”, intarsio, 24x24 cm Galleria Accademia Via Accademia Albertina 3/e Torino Tel. e fax. 011-88.54.08
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5) Mario Schifano “Paesaggio anemico”, 1969 Acrilico su tela emulsionata, 115x145 cm
info@galleria-accademia.com
6) Hartung Acrilico su tavola, 1977, 100x73 cm
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7) Sebastian Matta “Le chemin de l’Engluoti”, 1980, olio su tela, 70x65 cm
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galleria spirale milano N
el 1967 per esplicito desiderio di alcuni pittori e facoltosi industriali milanesi, nasce “ La Spirale”. Nella parte più suggestiva della Milano degli artisti, in quello che viene definito “ Cortile dei Pitto-
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ri”, inizia la favola di Franco Ferrarotti, sapiente direttore dello spazio e stampatore di quella che in breve diventerà una delle più importanti stamperie italiane. La collaborazione con i più importanti artisti nazionali negli anni
Settanta, dà inizio alla realizzazione di opere grafiche destinate, da principio, al mercato milanese, poi estese a livello nazionale. Maestri come: Morlotti, Cascella, Ajmone, Cassinari, Brindisi, crescono con la stamperia e gradual-
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mente conquistano la simpatia di pubblico e collezionisti. Negli anni Ottanta inizia l'organizzazione della rete di vendita su tutto il territorio nazionale con tirature in esclusiva per le più importanti aziende italiane,
quali: Olivetti, Mondadori, Walt Disney. Contestualmente cresce la collezione di opere uniche destinate all'organizzazione delle mostre presso le più accreditate gallerie italiane clienti della Spirale.
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Xhixha “Senza titolo” Metallo dipinto Xhixha “Senza titolo” Metallo dipinto
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La galleria si è dedicata con grande attenzione ai percorsi delle nuove forme d'espressione e alla figura del fondatore, Franco Ferrarotti, si sono avvicendati i figli Massimo e Marina, che costi-
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tuiscono un punto di riferimento per un mercato dell'arte sempre in espansione. La Spirale, con la nuova denominazione di Spirale Duemila, si propone con collaborazioni attive
per sostenere quella distribuzione capillare di grafica e pezzi unici che da sempre costituisce il profilo qualitativo del lavoro della galleria. Massimo e Marina Ferrarotti
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COS’E’ RETE PROTETTA Rete Protetta nasce da un’idea di Luca Barsi e Massimo Ferrarotti, direttori di due storiche Gallerie di Torino e Milano, la Galleria Accademia e Spirale Arte. Rete Protetta è un modello innovativo di promozione e diffusione dell’arte. Una rete di 15 gallerie partner, diffuse su tutto il territorio nazionale, proporrà ai propri clienti opere d’arte realizzate in una misura esclusiva per il progetto, selezionate e provenienti da un rapporto diretto e perso-
nale con l’artista, senza mediazioni di sorta. Le opere, realizzate in un numero finito e differenziate anche visivamente da ciò che è sul mercato, sono curate in ogni particolare: intarsiato al retro in un disco di alluminio è posto il marchio registrato Rete Protetta e un codice identificativo oltre al titolo, dimensioni ed anno vergati di pugno dall’artista. I collezionisti che acquisteranno queste opere entreranno a far parte di un ristretto Club e verrà consegnata loro una card che testimonierà la loro appartenen-
za alla Rete Protetta, attraverso la quale fruire dei vantaggi della Rete stessa. LA CARD Insieme al dipinto verrà consegnata una card, che conterrà il codice - associato al dipinto - con la quale il collezionistaproprietario potrà entrare nel Web in una sezione riservata nel sito di Maestro, dove accedere ad un forum e confrontarsi con gli altri collezionisti-proprietari e con l’artista. Potrà inoltre chiedere al Maestro di realizzare un’opera esclusiva scegliendone il soggetto in un book elettronico presente nell’area riservata (o in versione cartacea nelle gallerie partner). Qualora il dipinto ordinato sia maggiore o uguale alla misura di 50x70 cm, questo avrà garanzia di inserimento in una delle prestigiose mostre pubbliche che il Maestro organizza ogni anno. Con lo stesso meccanismo si potranno poi richiedere al Maestro, progetti speciali per grandi clienti/aziende, quali tirature di grafica a tema o bozzetti grafici. Qualora il collezionista proprietario della card trovi in una delle
Ugo Nespolo 3) “Jazz”, intarsio 4
4) “Marilyn zoom”, intarsio
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Gallerie partner della Rete Protetta un dipinto che preferisca a quello già acquistato, potrà sostituirlo gratuitamente semplicemente presentando la card. Anche il Package sarà raffinato,
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e l’autentica sarà consegnata in una raffinata confezione unita ad un piccolo pieghevole che riassumerà succintamente la filosofia ed il progetto di Rete Protetta. Tutti i dipinti di Rete
Protetta saranno poi pubblicati su un volume (primavera 2011) che i collezionisti riceveranno nello studio del Maestro, invitati tutti insieme per conoscerlo personalmente e riassumere i ri-
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sultati del progetto. IL COLLEZIONISTA Il collezionista in questo modo ha la certezza di acquistare un dipinto di grande qualità, autentico e pubblicato su un prestigioso volume. Ha inoltre la certezza di un mercato vigilato e protetto, dove le opere non circolano in un mercato parallelo, sottoquotazione e quindi la certezza di conservazione del capitale investito.
suoi percorsi nelle Arti Applicate e del Teatro. La proposta dei dipinti sarà divisa in 4 grandi temi, in “uscita” ogni quattro mesi.
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Ugo Nespolo 5) “Marilyn È”, intarsio 6) “Marilyn Stars”, intarsio
COMUNICAZIONE Nelle fiere principali Nazionali (Milano – Genova – Padova – Verona – Bergamo - Reggio Emilia…) saremo presenti con uno stand molto visibile di Rete Protetta, oltre ad un volume sul’artista allegato alla rivista Arte Mondadori. L’ARTISTA L’artista scelto è Ugo Nespolo, un Maestro che sicuramente non ha bisogno di presentazioni. Ai fini della rivalutazione economica delle sue quotazioni, Il fulcro della comunicazione sarà la valorizzazione della storia dell’artista, del suo percorso formativo dei primi anni ’60 , delle sue collaborazioni con la Galleria di Arturo Schwarz a Milano e la Galleria Il Punto di Torino. Grande risalto in questo ambito avranno poi le applicazioni di Nespolo al Cinema come regista, dove gli attori dei suoi film erano tra gli altri i suoi compagni di avventura quali Fontana, Manzoni, Boetti e dei
Galleria Spirale Milano Via Marradi, 2 Milano Tel. 02 8056685 www.spiralemilano.com info@spiralemilano.com
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100 GALLERIa brandi arte
galleria brandi arte
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o spazio espositivo della Galleria Brandi Arte, sito nella centralissima Via Chiodo al numero 32 a La Spezia, nasce tre anni fa dalla trentennale esperienza da collezionista ed esperto d’arte del titolare, dall’assidua frequentazione delle gallerie nazionali ed internazionali, delle migliori case d’asta e delle fieremercato più rinomate. La scelta di campo di questo spazio innovativo è quella di dedicare un’attenzione particolare ai grandi maestri del ‘900 proponendosi come una galleria in grado di offrire ai propri clienti opere di valore, sapientemente selezionate, destinate ad essere la punta di diamante per collezionisti che vogliono investire nel mercato dell’arte. Ritenendo indispensabile un alacre lavoro di ricerca, si da
spazio a nuove proposte, ove si valuta meritevole l’opera di giovani artisti, garantendo una promozione. La rete di comunicazione, la collaborazione con le migliori gallerie nazionali, la consulenza del titolare, sono strumento indispensabile per garantire un servizio di alto profilo al pubblico dotato di esperienza del settore e, nello stesso tempo, per aiutare nel miglior modo il pubblico che vi si avvicina.
ARTISTI PRESENTI NELLO STAND DI FORTE DEI MARMI Alessandra Turolli Catani Il percorso tra le opere di Alessandra Turolli attiva sguardi le cui finalità sono differenziate
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come le interferenze che li percorrono. La qualità estetica è strettamente connessa agli impasti mate rici, agli effetti cromatici ed alle vibrazioni luminose che emergono dalla loro stesura. Il colore usato in senso panico, si manifesta come un’accensione, diventa forma e territorio di se stesso. La sua liquidità vela e cristallizza, racchiude ed incastona isole; la sua consistenza magmatica simula crateri effusivi, gorghi, percorsi accidentati. La stesura dell’opera è come un rituale. Sul supporto, tela o tavola, il colore lascia orme, tracce, de-
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linea un percorso complesso, fa affiorare una planimetria misteriosa. Susie Barrow Nasce a Gnent, South Wales, UK, vive e lavora a Vernazza nelle Cinque Terre a La Spezia. Artista completa, dopo la laurea in General Art and Design nel 1982, inizia un percorso espositivo in Inghilterra, Francia e Italia. Nei suoi lavori la città prende vita dopo il crepuscolo, si ricopre di luci scintillanti, i colori vibrano e si intensificano trasformando la luce grigia del giorno. La città si anima alimentata dal movimento e dall’energia delle persone. Una gamma variegata di personalità e modi. L’energia che scaturisce dal lavoro di Susie Barrow è sempre alimentata dalla visione di colori accesi che si ritrovano nel trambusto della vita quotidiana.
autore una coerenza espressiva, di progetto e di qualità esecutiva come quella che si può riscontrare nel lavoro di Danilo Sergianpietri che rivela un’insolita statura di artista, già matura e per nulla ingenua dal punto di vista del dominio del linguaggio, evidente frutto di un’esperienza elaborativa personale cresciuta intorno a un nucleo di creatività fortemente orientata anche dalla professione di architetto. Danilo Sergianpietri attinge a diverse fonti concettuali: l’agiografia, la rappresentazione numerica e alfanumerica, la logica comparativa, lo studio dei materiali, l’iterazione poetica, la poesia visiva, la linguistica soprattutto.
1) Danilo Sergianpietri “Reliquie” Resine, chiodi, Filo Spinato, lamiera, 68x35 cm 2) Susie Barrow “Illuminated shadows Olio su tela, 100x100 cm 3) Danilo Sergianpietri “Reliquie” - Resine, chiodi, filo spinato, lamiera, 35x68 cm
Galleria Brandi Arte Piazza Domenico Chiodo, 32 19121 La Spezia (SP) Tel. 0187 751405 Cell. 335 8212144 brandiarte@gmail.com
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Danilo Sergianpietri E’ difficile trovare in un giovane
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Federico Neri Fotografia emozionale
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ederico Neri è un fotografo professionista Versiliese. Dopo dieci anni di servizi fotografici svolti a ritmo serrato per privati, aziende ed agenzie Federico si è fermato ed ha ricominciato (almeno in parte) da dove aveva iniziato, da dove trasformava le sue emozioni in immagini, in fotografie, da quella prima piccola mostra personale alla cappellina di Palazzo Mediceo in Seravezza.
In questi anni ha incontrato e studiato con grandi professionisti come Alex Majoli della prestigiosa Mangum Photos (l’agenzia fondata da Cartier Bresson), Ernesto Bazan (vincitore del World Press Photo e del W. Eugene Smith Award), il fotografo portoghese Josè M. Rodrigues, Sandro Iovine, Sandro Santioli di National Geographic, Giusy Pelleriti, Giuseppe Andretta, Marianna Santoni
Adobe Guru, da cui ha appreso come applicare le tecniche ma soprattutto le emozioni ed il cuore nelle sue immagini. Anche se sporadicamente ha cercato di mantenere viva la sua parte creativa realizzando alcune mostre personali o partecipando ad importanti collettive tra cui nel 2004 la mostra “Opere Uniche” presso la Convention Internazionale Orvieto Fotografia e nel 2006 "ACQUA, RENA
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E... suggestioni dalla spiaggia di Forte dei Marmi tra passato, presente e futuro": importante mostra fotografica organizzata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Forte dei Marmi e dall’Archivio Storico F.lli Alinari di Firenze. Adesso, raggiunta la maturità professionale ed umana, è riuscito a ritrovare dentro se stesso l’energia, la creatività e l’entusiasmo del ragazzo principiante che era ai tempi in cui suo nonno gli regalò la prima Canon manuale ed ha cominciato il 2010
ottenendo un prestigioso riconoscimento: il Q.I.P. (Qualified Italian Photographer) per la fotografia di reportage, un’importante qualifica riconosciuta a livello europeo che in Italia viene assegnata dal Fondo Internazionale Orvieto Fotografia dopo una scrupolosa valutazione effettuata da un Giuria composta da un Presidente e da 5 fotografi professionisti europei. Ad oggi, in ottima simbiosi con la fotografia digitale, realizza delle mostre multimediali in cui convivono immagini, suoni
o musiche da lui realizzate, i temi sono vari: “10, people and places” una raccolta delle migliori foto scattate negli ultimi dieci anni da instancabile viaggiatore; “Baccanalsamba” il singolare reportage ritrattistico realizzato alle feste rionali del carnevale di Viareggio; “Check in people” una serie di immagini catatoniche eseguite durante un attesa in aeroporto, “Corpus domini” la magica notte dei tappeti di segatura, “Dall’inizio alla fine” una concettuale visione della vita.
Villa Bertelli - Forte dei Marmi
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Galleria Cristina Busi L
a Galleria nasce nella primavera del 1984 a Chiavari con la mostra Risonanze curata da Viana Conti e presenta diciannove artisti contemporanei di rilievo nel panorama ligure. Le tendenze e le generazioni degli artisti proposte sono diverse per sottolineare
che il programma che s'intende realizzare non contempla limitazioni stilistiche o tendenze artistiche privilegiate. Pertanto lo spazio espositivo è aperto ad ogni possibile linguaggio artistico contemporaneo purché riservi nelle scelte un'interessante qualità propositiva.
Ventisei anni di attività (oltre duecentocinquanta mostre) non hanno significato solo quadri appesi a una parete ma anche e soprattutto anni di rapporti con autori, galleristi, mercanti e appassionati d’arte. Relazioni costruite con passione e tenacia spesso sfociate in amicizia.
gamo. Successivamente inizia la sua attività professionale distinguendosi nel panorama artistico come esponente della giovane figurazione italiana.
di ortaggi che Corona aggiunge veramente qualcosa di nuovo al genere impropriamente detto della “natura morta”, superando la pittura antica e moderna. Frutta e ortaggi vi appaiono infatti vivi, sensuali, quasi erotici
Galleria Cristina Busi Chiavari (Ge) Tel. 0185 311937 info@galleriacristinabusi.it
Stand 14 - 15 1
GIANLUCA CORONA (1) Nasce a Milano nel 1969, dove vive e lavora. Nel 1991 si diploma all'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Dal '94 al '96 frequenta lo studio di Mario Donizetti a Ber-
[…] “è nei “ritratti” di frutta e
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persino. L’agghiacciante autodisciplina cui si sottopone l’artista nei ritratti disegnati e dipinti, cede forse inconsciamente, per un attimo, a una visione della natura in cui entra prepotentemente, e paradossalmente, anche una componente carna-
le, una sensualità sconosciuta ai personaggi umani. Più vivi e parlanti della galleria di ritratti dei nostri contemporanei, i “ritratti di frutta” ci parlano anche della personalità nascosta dell’artista e ci aiutano a decifrare il suo “io”.” […]
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Sergio Zanni (3)-(4) Nasce nel 1942 a Ferrara, dove vive e lavora. Dopo il diploma all’Istituto d’arte ferrarese “Dosso Dossi”, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Scultore che ama e predilige l’uso della terracotta, passa poi a sperimentare materiali più leggeri dove i suoi personaggi, un po’ surreali, possono raggiungere dimensioni ciclopiche. Ripensando al suo percorso artistico scrive: - Il mio “mestiere” mi permette viaggi continui alla scoperta di “terre sconosciute”.
Queste “terre” si sono materializzate in una miriade di personaggi: eremiti, signori della pioggia, assassini, monumenti ai caduti, diavoli, custodi delle pianure, zingare, osservatori, camminatori. Palombari, attendisti, figure senza davanti, piloti, cacciatori di nuvole, oblomov, fumatori, pittori di guerra, angeli misteriosi,canti delle sirene eccetera, fino agli ultimi lavori, equilibristi, Ulisse e altri viandanti. Verso la fine del XX secolo mi sono posto il problema di realizzare lavori di grandi dimensioni: l’amata terracotta è
purtroppo pesante e fragile. In un certo senso sono stato obbligato a sperimentare materiali più pratici e molto meno nobili della terra. Ha quindi avuto inizio in quest’ultima fase l’esperienza con il polistirolo ricoperto con “criptonite” e “ironball” (materiali molto recenti provenienti dalla scenografia), vetroresina, tondino di ferro e assemblaggi sempre con oggetti di ferro. Da questi materiali sono nati i miei lavori più grandi: i kamikaze, il carro dei vincitori, la foto di gruppo con i sei piloti bianchi, il grande viandante -.
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Gianluca Corona “Ancora tu”, 2008 - Olio su tavola, 30x30 cm
2) Claudio Cargiolli “Agli Dei” Tempera all’uovo su carta, 29x20 cm 3) Sergio Zanni “La civetta”, bronzo, 43x22x13 cm 30 esemplari numerati e firmati 4) Sergio Zanni “Fuga” - Terracotta patinata, 38x48x31 cm
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Mirko Baricchi 1970 - La Spezia. Si diploma nel 1992 all’Istituto per l’Arte ed il restauro di Firenze. Nel 1993 intraprende un viaggio che lo porta a contatto con le arti visive centro americane. Si stabilisce per un anno a Città del Messico
occupandosi di grafica pubblicitaria. Nel 1994 ritorna in Italia e da allora la sua attività pittorica ha un crescendo di consensi. Una pittura eseguita con sapienza, una gamma di colori bassi e pacati, quasi monocromi tra gli ocra, i bianchi ed il bitume, che
creano una superficie misteriosa ed intima. La tela diventa taccuino sul quale l’artista annota frasi e piccoli segni in un’atmosfera sospesa da cui emergono piccoli simboli essenziali ed emotivi, di intensa capacità evocativa.
5) Mirko Baricchi “Pinocchio”, Scultura in ferro h. 154 cm 6) Mirko Baricchi “Segnino” , 2010 Tecnica mista su tela 150 x 120 cm 7) Mario Rocca “s. t.”, Olio su tela
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Mario Rocca è nato nel 1951 a Chiavari, dove vive e lavora. Formatosi all'Istituto Statale d'Arte di Chiavari sotto la guida
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di Vittorio Ugolini, disegnatore ed incisore dalle notevoli capacità, permette al suo segno deciso di svincolarsi dalla descrizione mimetica della realtà e di unirsi a colori forti e timbrici, creando un insieme di grande vigore. “Dalle prime grandi tempere di origine figurativa, coinvolte in un dinamismo plastico in cui Gian Franco Bruno rileva un’ossessiva matrice bocconiana, è passato a una dimensione naturalistica gestuale indirizzata ad una sorta di realtà allegorica. […]” ( da “Dizionario degli artisti liguri” a cura di Germano Beringheli)
”Rocca è stato per la quasi totalità della sua carriera coerente nei riguardi di una pittura di rottura, informale, carica di forza giovanile ma anche frutto di pensiero e di amore…”. Con queste parole nel 1993 Ugo Carreca definiva l’operato di Mario Rocca. “La mutazione delle cose, il tempo, la forza della vita che non è delimitabile né in spazio né in tempo; io devo riuscire a rendere ciò”, con queste parole Mario Rocca ci comunica il suo intento ogni qual volta si pone di fronte ad un foglio, ad una tela bianca con i mezzi più tradizionali del pittore.
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Adriano Leverone Nasce a Quiliano (SV) nel 1953. Vive e lavora a Ferrada di Moconesi (GE). Nel lavoro di Leverone nulla è casuale o improvvisato, tutto è controllato e ridotto a una regola, ottenuta con accurato, perseverante studio. Ne sono prova i molti campioni conservati nel laboratorio, diligentemente catalogati, testimoni dell’attività di continua sperimentazione dell’artista. Nel grès egli supera la lezione della ceramica informale, manifestatasi pienamente a Albisola negli anni cinquanta; ricollegandosi alle matrici dell’astrattismo raffredda le modalità auto rappresentative della materia, per perseguire il dominio della forma secondo una calcolata progettualità; ciò già a
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Vittorio Valente Nasce ad Asti nel 1954. Vive e lavora a Genova. La ricerca di Valente non vuole rinunciare ai valori formali e cromatici tradizionali ma esige di rielaborarli attraverso una nuova sostanza. Uno dei primi artisti ad utilizzare materiali plastici,
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principiare dalla serie delle Linee continue, in cui la geometria era la misura della regola, rappresentata nel suo dettaglio dimostrativo. Opere ricche di una intenzione costruttiva quelle di
Leverone, dagli inizi fino ai suoi più maturi raggiungimenti, nei quali trova compimento la sua naturale capacità di colloquiare con lo spazio. Cecilia Chilosi
Valente, mantiene un approccio tradizionale che lo ha portato a maneggiare con grande destrezza il silicone, ad inventare, o meglio riutilizzare la siringa come strumento adatto ad accrescere le possibilità espressive. Nel 1987 usa il silicone dapprima come pittura materica, con la spatola, in seguito elabora quel modulo a goccia che caratterizza tutto il suo percorso artistico. Nel 1993 è uno dei fondatori del movimento Cracking Art, movimento che cerca di superare le apparenti antinomie tra artificiale/ naturale, bello/brutto. Il silicone è un materiale che permette un linguaggio nuovo ma con dei limiti espressivi superati da Valente con una continua e instancabile ricerca che lo ha condotto fino agli ultimi lavori su tela, in cui il movimento delle forme e dei piani, tono su tono,
ricordano opere optical. Unendo al materiale artificiale pigmenti ad olio ottiene nuove tonalità cromatiche che gli consentono, nelle opere più recenti, soluzioni monocromatiche: rosso, giallo e gli assoluti bianco e nero. Le suggestioni nate dal confronto con le nuove frontiere della scienza e della biologia lasciano spazio al confronto con le nuove frontiere dell’informatica e delle immagini digitali. ( tratto da “ Dialogo nella materia” di Maura Iob)
8) Adriano Leverone “Anemone”, bronzo 9) Adriano Leverone “Tartaruga”, bronzo 10) Vittorio Valente “Senza titolo”, (particolare) Silicone colorato su tela, 40x40 cm
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Galleria d’arte L’incontro
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Fashion’ people & beautiful girls FRANCESCO BRUSCIA di Emanuela Mazzotti (...) A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, le arti rifiutano di essere rappresentazione del mondo per diventare esse stesse”mondo”. Da forma di rappresentazione diventano modi della volontà; da mimetiche ed espressive diventano fattuali e performative1. Non descrivono, mettono in scena qualche cosa: fatti, eventi, persone. Il visivo stabilisce un primato sul narrativo: questo è Pop. Ecco allora che la parabola di Francesco Bruscia, giovane artista marchigiano, diventa in pochi tratti
familiare. La prima riflessione che nasce spontanea di fronte ai suoi lavori riguarda le dinamiche sottese al suo linguaggio: ovvero la necessità di doversi misurare con la comunicazione di massa per rivolgersi ad una vasta gamma di pubblico. (...) La volontà di vivere e celebrare il presente determinano la scelta di immortalare personaggi noti della televisione o del cinema, in una cornice sontuosa e visionaria. La tecnica è quella dello silk screen, come dell’acrilico su tela che riproduce un’immagine fotografica trattata in veste pittorica, manipolata, trasformata secondo una tecnica definita come “bricolage”: ovvero la riutilizzazione, all’interno di un nuovo progetto, di immagini e
1) Getulio ALVIANI, “Studio”, 1978 Alluminio e laminato 42x36 cm 2) Agostino BONALUMI, “Rosso” , 1989 Tela estroflessa, vinavil colorato, matite colorate, 81x 100 cm 3)
Francesco BRUSCIA, “Marilyn”, 2009 Smalto, acrilici, foglia oro e argento, glitters e foto su PVC, 150x90 cm
4) “Brigitte Bardot”, 2010 Acrilici, foglia oro e argento, smalto, glitters e foto su PVC, 100x70 cm
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oggetti aventi all’origine un altro uso o significato, in una logica di riuso, di nuovo consumo. (...) L’artista ci mette di fronte soggetti noti che, proprio nella celebrazione della loro fama, denunciano lo smarrimento, la fragilità piuttosto che la sicurezza, esaltati da paillettes, lustrini, dagli abiti fantasmagorici e dai gioielli. Bastano pochi particolari per farci intuire un personaggio: un sorriso, la
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forma di un’acconciatura, la bocca rossa di Marilyn Monroe. L’immagine è così spersonalizzata, assunta come stereotipo seriale anche se questa sezione del viso dell’attrice americana assume rapidamente il ruolo di simbolo; di lei basta un particolare per poterla riconoscere, identificare, il soggetto esiste come sola apparenza. In questo modo, l’autore, preleva una parte, un fram-
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mento qualunque e gli conferisce nuova autonomia. Promuovendo una pittura che si fa interprete enigmatica del quotidiano, la superficie è potenziata da glitter, riflessi metallici, smalti, che ne amplificano la bidimensionalità sulla quale risplendono i soggetti, vero proprio plusvalore decorativo, sublime maquillage di divi esotici e nostrani messi in mostra. (...)
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Volevo esprimere un pensiero. KAZUMASA di Ivan Quaroni “Credere nelle cose che puoi vedere e toccare non significa credere, ma credere nell’invisibile è un trionfo e una benedizione” (Abramo Lincoln) Chi conosce la cultura orientale sa che i giapponesi riconoscono nelle ombre della luna la figura di un coniglio. Non solo. È un coniglio intento a pestare il riso in un mortaio per farne del mochi, un tradizionale dolce di capodanno. Lo chiamano tsuki no usagi, il coniglio lunare. L’uomo ha sempre guardato alla luna con occhi sognanti, intravedendo nelle sue macchie le forme più bizzarre. Ogni bambino, almeno una volta, ha fatto questo gioco con le nuvole e ha indovinato nelle loro forme ogni sorta di creatura. Si tratti di nuvole o di macchie lu-
nari, il procedimento è sempre lo stesso: qualcuno scruta il cielo per carpirne i segreti o semplicemente per esercitare la fantasia. Kazumasa prova a capovolgere la direzione del gioco e immagina, così, di guardare la Terra da un punto di vista orbitale. Giacché immaginare, non equivale a osservare, l’installazione di Kazumasa, intitolata appunto La Terra vista dalla luna, non riproduce, come ci si aspetterebbe, l’aspetto della morfologia terrestre, così come ce lo restituiscono le ormai popolarissime immagini satellitari di Google Earth. Quella dell’artista nipponico è, invece, una Terra ricostruita attraverso uno sguardo interiore, un punto di vista che è prima di tutto ermeneutico e, dunque, assertivo. Nella visione di Kazumasa, la Terra è un globo contenente le forme di un uomo e di una donna, al cui centro campeggia, come una sorta di umbilicus mundi, la testa di un neonato. I contorni sono sfumati, come pixel sgranati, forse per effetto dell’atmosfera, ma è chiaro che le figure si tengono per mano, in un ideale girotondo cosmico, che potrebbe essere una variante interstellare della danza matissiana. Di là dalle similitudini con l’emblema orientale del Tao, che compendia il principio di complementarietà degli opposti, l’installazione
di Kazumasa è evidentemente un simbolo della creazione, intesa non solo come concepimento biologico, ma anche come generazione immaginativa. Secondo il filosofo Bob Proctor, la creatività procede in maniera discendente dal pensiero alle idee e da queste ultime al piano della realtà materiale e non viceversa. Un percorso che ricalca assai fedelmente il modus operandi dell’artista, che fa sempre precedere l’immagine mentale (e quindi il disegno) alla realizzazione delle opere. Si vede particolarmente nel modo in cui s’ispira alla natura, cercando di coglierne la verità più profonda, piuttosto che ricalcarne mimeticamente la morfologia. I temi e i soggetti trattati da Kazumasa non nascono, infatti, da un’impressione ottica, retinica dell’universo, ma da uno sforzo interpretativo. I fiori, le corolle, i pistilli, i petali e gli stami, che con tanta acribia modella nella terracotta e poi colora in vivaci tinte acriliche su una base di gesso bianco, non trovano alcun riscontro nelle classificazioni botaniche. Un esempio tipico sono le opere del Calendario, un work in progress che consiste nella creazione di un piccolo giardino fiorito per ogni giorno dell’anno. Si tratta di prati del pensiero, di brani di pura astrazione che completano le caselle di un immaginifico scadenzario, di un almanacco dominato da una geometria algoritmica, solo apparentemente
5) Kazumasa MIZOKAMI “Con tutto il cuore”, 2010 Terracotta dipinta, Ø cm 40x6
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caotica. Ogni giardino è il frutto di un’idea oppure di un’impressione, di uno stato d’animo che non rispetta necessariamente la stagionalità floreale. Nell’arte di Kazumasa a febbraio può germogliare un giardino primaverile perché le stagioni sono relative, vincolate come sono alla geografia, mentre nella mente possono sbocciare fiori meravigliosi in qualunque momento. Il pensiero, come luogo topico della creazione e della comprensione, è ossessivamente presente nell’arte di Kazumasa. L’artista vi ritorna in ogni occasione, cercando di penetrare i segreti della natura a partire da un’immagine cerebrale. Nel caso di Volevo esprimere un pensiero. (Pensiero di Nietzsche), la rappresentazione è addirittura tautologica. L’opera è un globo composto di centinaia di fiori blu, una sorta di nucleo di pensiero, un conglomerato fisico d’idee che appartiene a un ciclo di lavori dedicati ai pensatori che con le loro visioni hanno contribuito all’evoluzione dell’umanità. Sono visualizzazioni di pensieri anche opere come Volevo esprimere una passione in cuore (La gelosia) e Volevo esprimere un paesaggio mentale. (La notte che cade dal cielo), dove lo sforzo dell’artista consiste nel tentare di rappresentare l’invisibile, ossia concetti astratti e immagini che difficilmente possono assumere una forma. La ricerca di Kazumasa si configura, quindi, come uno sforzo, una tensione.
6) Kazumasa Mizokami “Uomo blu”, 2006 Bronzo dipinto, 72x32x27 cm
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7) Mark kostabi “Hold the phone” , 2010 Olio su tela, 110x 140 cm 8) “Mono a mono”, 2010 Olio su tela, 25x30 cm 7
Un’allegria mentale KOSTABI di Elena Pontiggia C’è un denominatore comune, anche se impercettibile, che avvicina gli artisti americani di ascendenza europea. E’ come se nelle loro opere, sotto l’involucro inequivocabilmente statunitense, si insinuassero suggestioni e urgenze sottilmente diverse. Pensiamo a Rothko, newyorkese di Lettonia, che nell’ambito della dinamica e pragmatica Action Painting porta un accento contemplativo, come un’eco di quell’Europa nordica cui appartiene. Pensiamo a Andy Wahrol, americano di Ungheria, che sulla scena della Pop Art porta una nota di immedicabile nichilismo gotico. Anche Kostabi è un americano europeo: nasce a Los Angeles da una famiglia di immigrati estoni. E anche lui, sotto la maschera di una pittura squisi-
tamente United States, nasconde qualcosa di non immediatamente riconducibile al mondo statunitense. Ora, il problema è, da un lato, non forzare troppo la presenza di quel “qualcosa”, come siamo portati a fare noi europei; dall’altro non dimenticarlo. In Kostabi, per esempio, c’è un’insistita vena speculativa che, pur mimetizzata nella fisionomia da cartoon delle sue figure, appare più vicina al Vecchio Mondo che al Nuovo. Nel suo lavoro, infatti, c’è una volontà ironica, scanzonata, beffarda, di giocare con la citazione. E, tra le citazioni, la più ricorrente e prediletta è quella del pittore più filosofico del Novecento, cioè di de Chirico. Sembrerebbe che il mondo di Kostabi, così spensierato e volutamente vignettistico, sia agli antipodi della pittura metafisica, che è serena all’aspetto ma venata di un’inquietudine mentale. Così come è agli antipodi il
metodo usato dal pittore americano, che si vale della collaborazione artigianale e progettuale di “aiutanti di bottega”, mentre de Chirico, col suo culto del mestiere e dell’opera (“Bisogna insistere nell’opera con sempre maggiore chiaroveggenza e amore”, diceva) non avrebbe mai delegato l’esecuzione di un suo dipinto ferrarese. Allo stesso modo del de Chirico metafisico, però, anche Kostabi ritiene che un quadro sia prima di tutto un’intuizione concettuale. Nel suo caso, in particolare, l’opera suggerisce un’attenuazione, anzi un’eliminazione del pensiero drammatico, nietzscheano, che aleggiava nei dipinti del Pictor Classicus. Così, in un sottile gioco di specchi, l’immagine viene tradotta in forme più lievi, più ilari, più irridenti. Prendiamo per esempio The quiet Muse, qui esposta. Il lavoro prende le mosse dal quadro di de Chirico Il vaticinatore del
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1915. L’oracolo che dà il nome al dipinto metafisico è, come le figure del filosofo o del poeta (Il filosofo e il poeta si intitola appunto un’altra opera del Pictor Classicus, sempre del 1915), colui che ha intuito la mancanza di senso delle cose. Non a caso sia il pensatore che il vaticinatore, nell’originale dechirichiano, guardano una lavagna su cui sono tracciati teoremi e costellazioni incomprensibili. Nulla di tutto questo accade in Kostabi, dove la lavagna è sostituita da uno spartito musicale che, giudiziosamente suonato da uno dei suoi personaggi tondeggianti e levigati, allude a una possibile armonia. Che cosa vuole esprimere l’artista? Forse, verrebbe da dire, ci suggerisce che i nostri non sono
tempi di disperazioni nichiliste: sono, piuttosto, congiunture soft e light, epoche di facili accordi musicali, di apparente serenità. E questa facilità, questo benessere (la nostra non è appunto una “società del benessere”?) sono il nostro punto di forza e il nostro limite. In Oriente la frase “Che tu possa vivere in tempi interessanti!” è considerata una maledizione, un augurio che si indirizza solo ai nemici. Sono “interessanti” i momenti tragici, infatti. Quelli in cui invece viviamo noi sono, nonostante la crisi economica, tempi poco o per nulla tragici (il che non significa che siano tempi seri). Kostabi, dunque, gioca amabilmente con i riferimenti dechirichiani e li stravolge, tra-
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ducendoli in uno specchio della nostra epoca e aggiornandone il significato per riferirli ai nostri giorni, magari introducendo nella scena classica anche un contemporaneissimo cellulare. La sua musa è l’allegria: un’allegria non istintiva, ma speculativa e mentale. In altre sue opere qui esposte, poi, introduce nel mondo celibatario dei manichini una figura femminile discretamente sensuale. Nel mondo metafisico, si sa, l’erotismo non era previsto. Non per niente, quando de Chirico nel 1917 dipinge Ettore e Andromaca (rievocando l’episodio dell’Iliade e facendo incontrare due manichini tra le quinte di un palcoscenico), elimina la figura del bambino, Astianatte, che nella pagina omerica portava una nota di commovente tenerezza. I manichini non conoscono amplessi e non creano nuova vita. Dunque, non hanno figli. In Kostabi invece l’erotismo riaffiora nel mondo dei giocattoli metafisici, così come tornano a comparire i bambini, che si disputano un gelato sotto il tavolo da disegno (The architecture of childhood). I colori vivaci e smaltati, inoltre, accentuano la levità dell’immagine, strappandoci qualche malcelato sorriso. A questa musa sorridente che ispira l’artista americano guardiamo allora un po’ stupefatti e un po’ grati. Abbiamo sofferto anche troppe malinconie. Chissà che la sua vena ironica non ci sia di buon augurio.
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Galleria d’Arte l’Incontro
9) Arnaldo Pomodoro “Giroscopio”, 1986 Bronzo e ferro Ø 50 cm
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Mimmo Rotella Via XXVI Aprile, 38 - 25032 “Senza titolo”, 1970 Chiari (Brescia) Artypo su plastica Tel. 030712537 - 3334755164 60x90 cm
10) “Sfera”, 2009 Bronzo Ø 20 cm
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Salvo “Ottobre”, 2009 Olio su tela 70x50 cm
Fax 0307001905 info@galleria-incontro.it www.galleria-incontro.it www.galleriaincontro.eu
Stand 36 - 37 - 43 - 44 11 12
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Al Caffè Principe, la classe del Forte R
innovarsi nella tradizione è una prerogativa di Forte dei Marmi fin dai primi anni del secolo scorso, ed in particolare in questi ultimi decretando il successo delle sue attività commerciali. È questo il caso del CAFFE’ PRINCIPE, struttura suggestiva e prestigiosa, risalente all’immediato dopoguerra, testimone di un passato che ha fatto la storia del Forte. È gratificante anche solo sedersi ad un tavolo della veranda in completo relax, magari osservando la gente che passeggia mentre si gusta un drink o un caffè. Il servizio è inappuntabile ai tavoli come al banco, in un’atmosfera di classe ed eleganza di cui
è riprova ulteriore il piano bar realizzato sulla terrazza verso il mare, che dallo scorso anno allieta la clientela con le sue suggestioni. La guida abile ed attenta della titolare Signora Laura Piacentini propone una caffetteria curatissima, un’amplissima scelta di aperitivi con riguardo particolare a quelli alla frutta, una gustosissima gelateria ed una pasticceria della casa che spazia dai pinolini, alle brioches, alle torte a soggetto fino ai dolciumi più ricercati. Un vero salotto con vista, in cui classe e ricercatezza sposano una qualità di prim’ordine. Caffè Principe Via Carducci, 2 Forte dei Marmi Tel. 0584 89238
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LA TELACCIA BY MALINPENSA GALLERIA D’ARTE “L’arte, la nostra passione”
alle manifestazioni italiane e straniere più prestigiose e ai contatti con numerose Gallerie europee, così come la collaborazione con i critici, la galleria conduce da anni la rassegna ad alto livello: “Sanremo Sotto l’Arte”, esposizione al Palafiori aperta a tutti gli artisti.
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a Galleria d’Arte la Telaccia si trova in un antico palazzo del 1860 ed è situata nel cuore di Torino nella zona di Piazza Statuto. E’ stata fondata nel 1972 dal direttore artistico Giuliana Papadia che da sempre è spinta dalla grande passione per l’arte e conduce la Galleria con sentimento e accurata analisi. Un connubio estremamente importante che caratterizza il suo percorso artistico. La galleria partecipa a numerose ed importanti expo sia a livello nazionale che internazionale tra le quali: Miart Milano - Baf Bergamo - Insbruck-Padova Genova Forli - Reggio Emilia - Parma - Brescia- Reggio Emilia - Arteforte - Nimes - Grenoble. La Telaccia propone artisti italiani e stranieri di varie tendenzegarantendo serietà, esperienza e professionalità del personale operativo. Grazie alla costante partecipazione della Galleria
UGO NESPOLO Nespolo, che espone oltre ad alcune preziose carte, una nutrita serie di puzzle realizzati con tessere di legno laccato, è uno dei protagonisti del nostro tempo sia nel campo dell’arte, del design,
del cinema, della pubblicità. Ugo Nespolo nasce a Mosso in provincia di Biella nel 1941: diplomato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, laureato in Lettere Moderne, vive e lavora a Torino. I suoi esordi nel panorama artistico italiano risalgono agli anni Sessanta, alla Pop Art, ai futuri concettuali e poveristi, seguendo poi una propria strada artistica personalissima, caratterizzata subito da un’accentuata impronta ironica, trasgressiva, da un personale senso del divertimento che rappresenterà sempre una sorta di marchio di fabbrica. Dapprima prevale la tecnica del puzzle: nel 1963/1964 superfici in tela o carta scomposte in 1
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termini geometrici (girandole e grandi origami). Nel 1966 le prime scacchiere mobili con tessere magnetiche su metallo o in legno laccato, nel 1967 macchine e oggetti condizionali, nel 1969 superfici in alluminio fresato sensibilizzate a pittura a macchia. La tecnica artigianale dell’intarsio è usata inoltre per costruire veri e propri giocattoli, scomponibili o animati. Gli anni Settanta rappresentano per Nespolo un passaggio fondamentale: vince il premio Bolaffi, realizza il Museo, quadro di dieci metri di lunghez-
za che segna l’inizio di una vena mai esaurita di riletturascomposizione-reinvenzione dell’arte altrui. Negli anni Settanta inizia anche la sperimentazione con tecniche (ricamo, intarsio) e materiali inconsueti (alabastro, ebano, madreperla, avorio, porcellana, argento). Nespolo si esprime anche attraverso il cinema: in particolare quello sperimentale, d’artista. Ai suoi film hanno dedicato ampie rassegne istituzioni culturali come il Centre Georges Pompidou di Parigi o il Philadelphia Museum of Modern Art.
1) Ugo NESPOLO, “Silver totem”, 2010 Acrilici e argentatura, 40x60 cm 2) “Summertime”, 2010 Acrilici, 50x70 cm
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Gli anni Ottanta rappresentano il cuore del “periodo americano”: Ugo Nespolo trascorre parte dell’anno negli States e le strade, le vetrine, i venditori di hamburger di New York diventano i protagonisti dei suoi quadri. In questi anni si accumulano anche le esperienze nel settore dell’arte applicata. Sono degli Anni ‘90 e del decennio successivo prestigiose collaborazioni artistiche come la campagna pubblicitaria per Campari, le scenografie e i costumi per il Teatro dell’Opera di Roma, la nomina a direttore artistico della Richard-Ginori, la collaborazione con la storica vetreria d’arte Barovier & Toso di Murano, la nomina a consulente delle comunicazioni artistiche nelle stazioni della Metropolitana di Torino, la collaborazione con il marchio Brooksfield.
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3) Ugo Nespolo, Ovale “L’artiste Cultive’”, 2010, acrilici anilina e foglia d’oro, 100x70 cm
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PICCHIO di Dalmazio Ambrosioni “Light‑Art” ‑ Arte della Luce. Quadri astratti di giorno che, nella notte, diventano opere di luce. Hanno titoli in forma di metafora come “Workforce”. “Tod der Sterne”, “Human Communication”, “Life Insurance” (...) costituiscono lo sviluppo più recente dell’opera di Picchio e sono strutturate sulla drammaturgia dei contrari: giornonotte, realtà‑apparenza, chiaro‑scuro, luceombra, dipinto‑oggetto, superficie‑scultura. Con Light Art si accentua la progressione nell’evoluzione artistica di Picchio, che subisce un’ulteriore accelerazione ad un tempo rivoluzionaria e coerente. Rivoluzionaria perché procede con la stessa organiz zata creatività con cui Picchio (Dieter Specht) ha fondato e diretto per quarant’anni un’impresa, nonché recuperato e rilanciato la sua passione per l’arte: innovazione, libertà da schemi e modelli precostituiti, obiettivi ulteriori, tensione alla ricerca sia nello stile che nei materiali. In particolare al principio della segmentazione delle immagini, cioè della composizione pittorica ed ora anche scultorea concepita come un agglomerato di segmenti che, strutturandosi tra loro, formano composizioni ad un tempo astratte e figurative. Con la Light Art si potenzia la ricerca di conquista dello spazio attraverso sia l’iconografia
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prima scomposta nei singoli segmenti e poi riunita in nuove sintesi poetiche, sia l’applicazione di forme plastiche grazie alle quali il dipinto diventa oggetto, installazione e finalmente scultura. L’opera acquisisce nuove dimensioni e si proietta nello spazio. Con la serie Light Art il principio dinamico della proiezione dell’opera nello spazio e, a livello filosofico, della metamorfosi della realtà, viene irrobustito tanto sul piano oggettuale quanto dei rapporti spaziali. I plastici oggetti‑immagine
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di Picchio nascono da dipinti astratti ma diventano instal lazione e scultura. Decisiva è la funzione della luce artificiale LED, che continua e trasforma l’opera di quella naturale.
Picchio 1) “Life-insurance night”
La Telaccia by Malinpensa Galleria d’Arte Via P. Santarosa, 1 - Piazza Statuto 10122 Torino Tel. e Fax 011 5628220 cell. 3472500814 www.latelaccia.it - info@latelaccia.it
2) “Lan” 3) “Workforce A1”
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Galleria ermione Andrea Pisano La poesia della luce Di fronte alla pittura di Andrea Pisano mi preme fare una premessa di carattere generale: l’arte quando è vera risponde all’assunto, irrinunciabile, di forma e contenuto e diviene bella, come già scrisse lapidariamente Bonaventura, sulla base di due considerazioni: la
prima se l’immagine è ben fatta, cioè organizzata bene in se, e questo è l’aspetto estetico; la seconda se rappresenta bene ciò che intende. Ora mi sembra che la pittura di Pisano risponda appieno a questo antefatto: quindi si può parlare di arte bella. L’impatto con le sue tele è immediato e quasi violento, a significare una pittura che con la
sua forza espressiva aggredisce il fruitore per porlo, quindi, su di un piano appassionante di lettura dei vari soggetti, forgiati con uno stile essenziale, che denota spessore segnico e colorico. Ma, nell’attuarsi delle complesse strutture architettoniche, ben equilibrate, e nell’articolarsi dei colori sommessi, l’aspetto precipuo è la luce. Infatti le accensioni improvvise vivificano la tela e i cromatismi si fanno morbidi, corposi, per una tensione percettiva, che sottende la presenza di una materia che si impone perentoriamente con tutta la forza del proprio mistero, per la capacità dell’artista che ha voluto e saputo trasporla sulla tela. Questi squarci luminosi, che ci ricordano il “Luminismo” del seicento per la forza vitale, permeano il paesaggio, che vive soprattutto in funzione della luce. Una luce solare, mediterranea, amalgamante, nei paesaggi liguri; fredda, ma vivificante, in quelli del Galles. Una luce che esalta le complesse strutture geometrizzanti, che tendono alla purezza e alla forma assoluta dell’astratto, pur rientrando in una visione classica, e per questo ancora valida, dell’arte. Oltre alla singolarità indiscussa dei paesaggi, anche le nature morte, che vivono degli aspetti formali già enucleati, adombrano un punto fermo e significativo della maturità artistica di Andrea Pisano. Poeta e critico Oreste Burroni
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La pittura di andrea pisano È piacevole talvolta scrostare i muri vecchi o disegnarvi sopra, lasciarvi delle orme quasi ricollegandosi a quelle teorie del grande filosofo Bergson che vide la materia come memoria, come mera “cosa mentale” . Andrea Pisano concepisce la materia come punto chiave della sua ricerca pittorica: la raggiunge nella propria integrità dopo alcune alchimie tecniche (“poeticamente abita l’uomo in questa terra” – Friederich Holderlin) designandone la caratterialità riducendola al “grado zero “ per riprendere un’espressione del Barthes portando la propria identità da negativa a positiva ai fini di un realismo al limite dell’astrazione. Un “astratto figurativo”, come
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lo definì Lionello Venturi, che caratterizza l’opera dei migliori artisti di questo secolo in Italia: Paulucci, Pizzinato, Corpora, Afro o il primo Guttuso. Luca Basile La Spezia Febbraio 1993
Andrea Pisano 1) “Bruma”, 2010 Tecnica mista su tavola, 50x50 cm 2) “Composizione”, 2009 Acrilici su tela, 70x70 cm 3) “Composizione in giallo”, 2009 Tecnica mista su masonite, 70x70 cm 4) “Il mio mondo”, 2009 Tecnica mista su tela, 60x80 cm
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Patrizia buldrini Consapevole della sensibilità di Genova verso i movimenti artistici e culturali che la rende capace non solo di recepire ma anche di essere fonte di ispirazione e creatrice, per mezzo dei suoi artisti, di ogni forma d’Arte, Ermione si presenta con uno spazio di rilievo destinato all’accoglienza ed alla promozione di artisti liguri.
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Patrizia Buldrini rappresenta al meglio questa nuova generazione di artisti di successo. Nata e cresciuta a Genova la sua pittura rientra, secondo convenzione, nella pittura “figurativa”, ma per questa via tradizionale attinge arcane astrazioni dalla realtà; e in ciò consiste la preziosa peculiarità delle sue opere. Detto altrimenti la figurazione della sua pittura è soltanto, sem-
pre, un dato formale che esprime “altro” : emozioni, sentimenti, ricordi, nostalgie ed altre vibrazioni che diventano, attraverso l’opera, altrettante vie di comunicazione fra l’artista e noi che guardiamo. Non fanno difetto le definizioni via via elaborate per questo tipo di pittura; esse vanno dal genere metafisico al realismo magico, dal surrealismo alla nuova figurazione.
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Patrizia Buldrini 5) “Banco di nebbia”, 2010 Olio su tela, 85x70 cm 6) “Panorama”, 2009 Olio su tela, 60x70 cm 7) “Colazione”, 2009 Olio su tela”, 60x70 cm 8) “Casa nascosta”, 2009 Olio su tela, 35x50 cm
GALLERIA ERMIONE Via Domenico Fiasella, 45r 16121- Genova Tel. 010 8597715 ermione@freeinternet.it
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Galleria silvano lodi & due Contemporary
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a Galleria Silvano Lodi & Due è stata fondata a Milano nel 1991 da Silvano Lodi jr. La collezione, particolarmente ricca di nature morte italiane, ha avuto unanimi riconoscimenti sia nelle mostre itineranti che negli spazi pubblici. La Galleria da sempre coniuga l’arte antica con quella moderna e contemporanea, infatti si occupa della pittura dal ‘500 al ‘700 e del periodo ’50-’60, sino al settore contemporaneo. Questo è l’indirizzo artistico con cui la Galleria ha partecipato ad alcune tra le fiere più importanti, quali Collezioni d’Arte a Palazzo Turati e MINT, entrambe a Milano, la Biennale d’Antiquariato di Firenze, nonché la prestigiosa TEFAF di Maastricht.
La Galleria ha preso parte, inoltre, per quindici anni ad Arte Fiera in Bologna. Le mostre tematiche e monografiche organizzate nella prestigiosa sede milanese e le numerose esposizioni in fiere internazionali, sono documentate da cataloghi redatti con il contibuto della critica. L’unione dell’antico con il moderno/contemporaneo simboleggia il non voler creare artificiosi confini, all’insegna del principio che l’arte non ha barriera alcuna, inoltre vuole sottendere la trasversalità del targhet dei collezionisti a cui ci rivolgiamo, poiché il nostro è da sempre avvicinare l’appassionato di antico al moderno e viceversa.
La Galleria Silvano Lodi & Due è collocata in posizione centralissima a Milano tra via Montenapoleone e via della Spiga. La responsabile dell’ambito contemporaneo è Manuela Lodi.
Manuela Milan Lodi
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Luca Pignatelli Nato nel 1962 a Milano, dove attualmente vive e lavora. Completa gli studi di architettura. (…) “Luca Pignatelli ha dato luogo a una produzione
in continua espansione, in cui l’approdo non è mai il risultato, la bella forma congelata nel quadro, ma il processo continuo di scavalcamento dell’opera precedente.
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Luca Pignatelli “Schemi - 3”, 2007 Colori acrilici, polvere di alluminio e corda su telone ferroviario, 171x146 cm
2) Giovanni Bruno “L’origine del Mondo e le sue ripetizioni”, Bronzo (patina verde antico), 15 x 40,5 x 50,5 cm
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Ed ancora “Il quadro è il territorio dove avviene l’esplosione, dove si riversano simultaneamente frammenti di tempo e di spazio ma nella loro dimensione filosofica”. Tratto da Luca Pignatelli, di Achille Bonito Oliva. Giovanni Frangi Nasce a Milano nel 1959. Si è diplomato all'Accademia di Brera. Giovanni Agosti, rivela taluni punti nodali della modalità di ricerca artistica. “Un arco naturale incantato – sotto un’acqua verde(...)è il soggetto replicato più volte, alla ricerca della soluzione giusta, in cui l’apposizione della vernice, che vela e cancella, che sovraimprime e sfregia, non intervenga a frenare la profondità dell’immagine”. Tratto da “Giovanni Frangi alle prese con la natura”. Giovanni Bruno Nato a Busalla (GE) nel 1961, si forma all’Accademia Di Brera a Milano, dove è tuttora docente. “La materia ha un ruolo importante nella comunicazione del mistero, deve essere il lessico e la sintassi dell’emozione, la magia non deve bruciare solo la pelle della superficie deve rivelarsi e rivelare poco a poco la sua luce, deve perpetuarsi all’infinito. Questo momento di osmosi è vissuto da Giovanni Bruno come uno stato di grazia tra lo spirito e la materia”. Tratto da catalogo “Il ricordo mistico dell’esistenza” di Pierre Restany. Leonida De Filippi Nato a Milano, nel 1969, dove vive e lavora. Attualmente è do-
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cente all’Accademia di Brera: “non attribuisco alcuna importanza al mezzo e al metodo. Vorrei soltanto che la realtà, oggi sempre mediata e filtrata dai media, riacquistasse uno spessore emozionale. Per quanto riguarda la mia ricerca, il processo parte sempre dall’immagine, e vuole cancellare interpretazioni e forzature. L’immagine pura e semplice, ripresa con un mezzo digitale, è il mezzo della comunicazione primaria, è il modo e il fine. Poi mi piace decodificare i soggetti attraverso la tecnologia e, riportandoli su tela, trasformarli in gesti, in un segno, una macchia, un colore.” Paolo Manazza Nato a Milano nel 1959, è esperto e critico d’arte, nonché giornalista. Scrive sul “Corriere della Sera” e dirige il sito di economia e critica d’arte ArsLife.com. “La fioritura del colore. Potrei dire così della pittura nata nelle mie mani e nella mia testa dopo trent’anni passati a studiare e scrivere sui quadri eseguiti da altri. La pittura è un’alchimia, una scienza magica. Credo che il silenzio dello sguardo e la ricerca musicale delle luci e delle ombre sia una delle strade più incantevoli e suggestive per camminare mano nella mano con il mistero dell’infinito. Senza dimenticare i miei primi amori: il Seicento, sia italiano che fiammingo. Più che il disegno mi incanta la tavolozza. Gli stupefacenti accostamenti cromatici.”
Matteo Negri Nasce a San Donato Milanese nel 1982, vive e lavora a Milano. E’ diplomato in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Entro la sua ricerca artistica egli compie una scelta dei materiali netta, dalla ceramica, alle resine, sino ad arrivare ai metalli.
3) Saverio Polloni “cod. 0286”, 2006 Olio ed acrilico su tela, 130x70 cm 4)
Emilio Vedova “Del nostro tempo” , 1960 Olio e tecnica mista su carta intelata 42,7x 30,6 cm
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Sottile e cerebrale il significato di questi lavori, che alludono al loro scopo precipuo come arma di distruzione, svincolandosi da esso per approdare agli esiti ludici e meravigliosi dell’aspetto estetico, di puro godimento visivo. Ma ancora una volta l’effetto ottenuto dall’artista è spiazzante, poiché la funzione originaria di gioco viene a mancare, per essere sostituita dal puro piacere della contemplazione visiva, di forme e colore. Matteo Peretti Nato a Roma nel 1975 dove vive e lavora (…) Se nell’uso quotidiano ciascuno di noi vive nell’accumulo esagerato e nella sovrapposizione di cose(…)nella sfera artistica del giovane artista romano ciò che prende il sopravvento è la linea di denuncia al simbolo, il ritmato azzeramento della percezione che la nostra società dei consumi ci induce con palpito subdolo ed incessante. La ricerca del giocattolo, dell’oggetto plastificato, del modellino è importante in quanto diventa ossessione e assemblaggio e la somma si fa forma dell’opera.” Riflette il modo d’essere dell’uomo nella società e la sua insaziabi-
Galleria Silvano Lodi & Due Via San Primo 6, 2012 Milano Tel +39 02 799151 Fax +39 02 799225 e-mail: silvano@gallerialodi.com www.lodiedue.com
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le sete di possesso con la quale si conquista il diritto all’esistenza”. Luciana Gallo Nata a Milano nel 1963, si diploma all’Istituto Marangoni e all’Accademia di Brera. Il critico d’arte Paolo Levi dice nel saggio sull’artista intitolato “Il fervore poetico della materia pittorica” (…) Una delle caratteristiche fondamentali delle costruzioni concettuali di Luciana Gallo è la libertà gestuale, la presenza dei segni e delle tacche raggrumate di colore che parlano di una lunga esplorazione, per approdare a una sintesi pittorica dove disegno e cromia costituiscono un’unità espressiva potente. Tratto da “Matteo Peretti Stories” di Martina Cavallarin. Saverio Polloni: La città natale dell’artista è Milano, dove nasce nel 1957. Oggi vive e lavora a Madrid.
Frequenta e si diploma all’Accademia di Brera nel 1980. Polloni decide dal 1996 di dedicarsi alla pittura, ottenendo un riscontro internazionale. L’artista fa suo l’interesse totalizzante per il mondo animale, che egli interpreta attraverso una perizia tecnica assoluta, in una mimesi che travalica il puro dato di natura. Gli animali di Polloni, infatti, presuppongono uno sguardo che vada al di là delle apparenze: ritratti, in un rapporto di grandezza naturale, attraverso pose teatrali debitrici della prospettiva barocca. Entro questa nuova dimensione l’animale si atteggia regalmente, in un’ottica affine a quella delle raffigurazioni rinascimentali, guardandoci negli occhi, catturando “qualcosa del nostro sguardo umano per conservarlo intatto..” (Vladek Cwalinski).
GIOVANNI MARINELLI Via Urbania, 1 61121 - Pesaro
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19/23 AGOSTO 2010 FORTE DEI MARMI
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Galleria Stefano Simmi Aligi Sassu: nel 1928 firma con Munari il Manifesto “dinamismo e riforma muscolare” e nello stesso anno partecipa alla XVI biennale di Venezia esponendo due opere nella sala dei futuristi. Nel 1929 finita la fase futurista, dipinge I Costruttori, avviando con quest’opera la serie
degli “Uomini rossi”. Assieme a Birolli porta nell’ ambito milanese degli anni trenta un senso di ribellione nuovo. Nel dopoguerra segue il realismo sociale. Dopo gli anni cinquanta, oltre a dipinti naturalistici, realizza opere seguendo un percorso mitologico e fantastico.
Aligi Sassu “L’uomo e due cavalli” Tecnica acquerello su carta, 60,7x79,5 cm
Galleria Stefano Simmi Via dei Soldati, 24 00186 - Roma Tel. 06 68803783
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Fabio Bisonni: E.Mercuri “.. .ha saputo essere immagine della sofferenza e la solitudine della città, ma con modi personali, espressione di una visione originale e autentica.” “ù….non si rassegna alla realtà dei “non luoghi” che sono
diventati lo spazio dell’esistenza; insegue in uno strappo di colore, in una vibrazione di movimento, in una luce che si accende, le tracce di una presenza di vita che la pittura scopre per ritrovare i luoghi dell’anima…”
Fabio Bisonni “termini”, 2009 Olio su tela, 100x100 cm
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FORMA MENTIS di Maria Rita Montagnani
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n occasione della fiera di ArteForte, gli artisti presentati alla rassegna d’arte Contemporanea Formae Mentis – Marta Della Croce, Stefania Quartieri, Ilaria Marchione, Elena Roncoli, Laura Bianchi, Matteo Arfanotti, Elena 2
Nutini- tornano all’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori, con nuove opere risultato di una ricerca personale, assidua e costante nell’universo del linguaggio artistico contemporaneo. Le differenze stilistiche e formali esistenti tra ciascuno di questi artisti, li accomuna e li unisce tutti sul piano della forza espressiva e della valenza semantica, nonché su quello della qualità artistica. MARTA DELLA CROCE si presenta con un figurativo inquietante, ricercato e raffinato, intriso di una malinconica interiorità, STEFANIA QUARTIERI col suo particolare informale dà vita ad opere suggestive, ruvidamente vissute, e larvatamente sofferte, ILARIA MARCHIONE col suo linguaggio minimalista-fotografico intenso e carico di pathos, ELENA RONCOLI con le sue sculture sempre a metà tra divino e animale, tra istinto e sogno, LAURA BIANCHI col suo iperrealismo caratterizzato dall’inconfondibile rappresen4
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tazione dei “contro-ritratti” del mondo adolescenziale, MATTEO ARFANOTTI col suo tratto deciso, che ridisegna favole eterne e nuove figure sorte da ancestrali memorie, simulacri di visioni magiche ed oniriche, ELENA NUTINI con un astratto che racchiude catalogazioni di simboli inconsci e che rappresenta le peregrinazioni dell’immaginazione intorno al proprio nucleo ermetico.”Ciò che determina i fasti della pensiero, che provoca le turbolenze dell’emozione, che altera e dilata a dismisura la sensazione, che agita e inverte le correnti dell’istinto, è
la FORMA MENTIS. Essa è l’archetipo su cui si fonda e si foggia la visione suprema, quella che permette alle deformità dell’anima di tradursi in “opus contra natura”-. Saranno presenti in mostra anche alcune opere di grandi maestri tra cui Mario Schifano.
4) Ilaria Marchione “Musicarti”, 2010 - Tecnica mista su tela, 60x60 cm 5) Matteo Arfanotti “Elementale della terra”, 2009 Tecnica mista su tela, 100x100x5 cm 6) Laura bianchi “senza titolo”, 2009 Tempera e acrilico su juta, 140x180 cm 7) Elena Nutini “Pioggia di sogni n.4” Tecnica mista su legno, 64x64 cm
1) Mario Schifano “Senza titolo” Tempera e acrilico su tela, 50x50 cm Autentica della fondazione 2)
3) Marta Della Croce “Ri-Mosso”, 2010 - Olio su tela, 50x150 cm
GALLERIA D'ARTE 18 Via San Felice 18 - 40122 Bologna Tel. 0514070368 - Fax 0514070369 info@galleriadarte18.it - www.galleriadarte18.it
Stefania Quartieri “Sostanza terrestre”, 2010 Tecnica mista su tavola 78,50x80,00 cm
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Qua ndo nas ..I ce nco l’a nsa mor pev e p olm er ent l’a e f rte in ? dal la nas cit a
Gianni Menconi
Cosa è per te l'arte? ... l'espressione di una qualità superiore della creazione dell'uomo. Non tutto quello che è artistico è arte ma solo quella di qualità superiore.....
De Silvestri
Se già impegnato in altri campi. Ora anche l’ Arte. Considerato il tuo voler tenere sotto controllo tutto e per di più da solo, l’essere Ironman ti ha aiutato in questo nuovo impegno? ....certamente l’esperienza Ironman mi ha dato la forza di credere che, se esiste forte volontà e credo in quello che si sta facendo, niente è irraggiungibile. La mia vita è già abbastanza piena di impegni e responsabilità; adesso si aggiunge l’impegno con l’arte che intendo portare a compimento con la stessa determinazione con cui ho affrontato altri cammini.
Virgilio
Virgilio
In Door Art Gallery Viale XX Settembre,286 54033 Marina di Carrara Tel 0585 859468 Fax 0585 851036 mail: info@in-door.it
De Silvestri
artwork polaroid e photo by marco dazzi
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IL FASCINO DISCRETO DEL BAGNO SILVIO
Dal 1919 è gestito dalla stessa famiglia. Il suo segreto? Essere semplice e insieme chic di Umberto Guidi
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ual è il segreto del successo di Forte dei Marmi? Difficile dirlo. Probabilmente il Forte piace per una serie di motivi diversi, ma non c’è dubbio che l’ospitalità sulla spiaggia rappresenti una delle frecce più acuminate all’arco della Perla della Versilia. Sulle “spiagge nobili” il cliente viene accolto con uno stile particolare, familiare e caldo, al contempo elegante e nonchalant, che fa sentire il vacanziere come a casa propria, in un attraente contesto naturale. Fra i simboli dell’attività balneare in stile fortemarmino c’è, da oltre 90 anni, il bagno Silvio,
stabilimento di antico lignaggio che ha mantenuto, nel tempo, le vecchie e genuine caratteristiche. Nato nel 1919 davanti alla villa del cavalier Alfredo Susini, ricco possidente fiorentino, lo stabilimento è condotto ininterrottamente dalla stessa famiglia, i Dazzi. Sempre fedele allo stesso stile, riservato e raccolto, estremamente confortevole per gli ospiti. Trentadue cabine e altrettante tende, non una di più. Una ristorazione di tipo casalingo, decori marinareschi alle pareti, a ricordare che il primo gestore e proprietario, Silvio Dazzi (nato nel 1891, è scomparso nel
1979), serviva nella Regia Marina, durante il primo conflitto mondiale. Ricorda Pietro Dazzi, il decano del bagno, classe 1920 e figlio del fondatore Silvio: “Mio nonno Pietro lavorava come giardiniere nella villa del cavalier Susini, proprio qui davanti, che aveva in concessione un pezzo di spiaggia davanti alla sua proprietà. Il cavaliere chiese a mio nonno di occuparsene, per garantire alcuni servizi sull’arenile. Ma Pietro rinviava. Continuava a ripetere: ‘Aspettiamo che mio figlio Silvio ritorni dal servizio militare. Ci penserà lui’. Allora era alla Maddalena. Alla fine tornò e cominciò a occuparsi della spiaggia, trenta metri di arenile. Era il 1919 e da poco era finita la Grande Guerra”. Nasceva così il bagno Silvio (anche se il nome non era ancora tale), con due sole cabine e qualche telo per fare ombra, un’attrezzatura minima a disposizione dei padroni della villa e dei loro ospiti. Silvio Dazzi, aiutato dalla moglie, si occupava di tutto. Anche della sorveglianza a mare. Alla fine degli anni Venti, Susini, convinto della qualità di Silvio Dazzi, decise di cedere a lui la concessione della spiaggia. Nel 1938 le cabine erano diventate 10 e Pietro, il figlio di Silvio, aveva 18 anni. Finì anche lui imbarcato, e si fece la seconda guerra mondiale a bordo
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di un cacciatorpediniere. Nel 1944 Pietro tornò al Forte, ma non si mise a lavorare al bagno. Preferì aprire un’attività di meccanico, un’officina autorizzata Fiat. Andò a lavorare sul mare solo molti anni dopo, quando il vecchio Silvio stava per uscire di scena. Si completò così il passaggio di testimone fra padre e figlio. Nel frattempo il bagno Silvio aveva attraversato con rotta regolare gli anni del dopoguerra, il boom economico, la stagione mitica degli anni Sessanta. I clienti erano e sono tutti, come si dice, ‘fidelizzati’. Tornano ogni estate, prendono la stessa cabina e la stessa tenda. Prima i padri
e le madri con i figli piccoli, poi i ragazzi crescono, si sposano, nascono i nipotini, ma continuano a venire al bagno Silvio, per godere di quell’inconfondibile miscela di semplicità ed eleganza, di accoglienza familiare, di tranquillità e riservatezza. Come cambiano le generazioni della clientela, così si avvicendano padri, figli e nipoti alla guida del bagno. Sempre Dazzi, una dinasty balneare solida e affidabile. Ora che Pietro Dazzi, novantenne, si gode il riposo, sulla plancia di comando del bagno Silvio troviamo il figlio Luca. Il 49enne nipote del fondatore si occupa della gestione generale e delle relazioni con i clienti; la sorella
Vanna è la regina dei fornelli, mentre il di lei figlio, Gianluca, dà una mano a livello organizzativo. Un altro nipote di Luca, Edoardo, si occupa dell’assistenza bagnanti e del salvataggio direttamente sulla spiaggia. Non mancano le attività di animazione per i bambini e i servizi più attenti per soddisfare i desideri degli ospiti. “I nostri clienti – spiega Luca Dazzi – si sentono perfettamente a proprio agio. Sanno che possono portare tranquillamente qui i loro bambini, apprezzano il gusto semplice ma pieno della nostra cucina”. Spaghetti alle arselle e frittura di pesce sono i capisaldi del servizio di ristorazione del bagno Silvio, che è frequentato da una clientela qualificata. Tra i fedelissimi c’è Gianni Mercatali, gran comunicatore e cerimoniere dell’estate versiliese, che viene qui praticamente da sempre. I bene informati hanno avvistato anche Andrea Bocelli, Giancarlo Giannini e altri big, ma inutile chiedere indiscrezioni ai Dazzi. Le loro bocche sono cucite, perché la tutela della privacy è un’altra delle caratteristiche del bagno Silvio. Ormai da oltre novant’anni.
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Galleria LAZZARO by Corsi
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a Galleria Lazzaro by Corsi ritorna ad Arte Forte per il terzo anno consecutivo proponendo la personale di Walter Lazzaro cielo mare terra, a continuazione delle celebrazioni per il ventennale della scomparsa dell’artista che hanno visto le
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sue opere protagoniste in diverse esposizioni. La mostra, principale evento del programma espositivo 2009, dopo l’inaugurazione nella sede milanese a dicembre, cielo mare terra è stata in seguito ospitata a Rapallo nelle sale dell’Antico Castello sul mare con il patrocinio del Comune (aprile 2010) ed ancora a Parma dalla Galleria d’arte LODI (maggio 2010) ottenendo un grande successo di critica e pubblico. Si possono ammirare diversi oli esemplificativi del suo percorso artistico : dalle vedute romane degli anni Trenta alle marine degli anni Cinquanta per concludere con le opere metafisiche degli anni Settanta ed Ottanta. Oltre ai dipinti più largamen-
te noti al pubblico estimatore, sono state scelte anche opere meno conosciute, dove lo sfondo del cielo, con le sue infinite possibilità cromatiche, fa da protagonista insieme al mare e alla terra, elementi che in apparenza divisi diventano lo specchio fedele in cui l’artista si riflette e si racconta. La natura è una presenza costante nelle tele del Maestro, una “compagna” composta e silenziosa che guida l’artista nelle sue peregrinazioni all’interno del mondo della forma e del colore e invita lo spettatore a una contemplazione commossa e austera del creato. La luce si insinua nei prati di Campagna romana, nelle rovine di una Roma moderna che conserva la sua anima antica,
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oppure si “gela” d’improvviso di fronte a un’inaspettata nevicata su Via dell’Impero. Come irrorato di luce il colore trionfa poi, nella produzione successiva alla seconda guerra mondiale, sulle spiagge desolate in cui la presenza umana si affida alle sagome di barche, ombrelloni e capanni. La Galleria Lazzaro by Corsi dedicherà uno spazio anche ai lavori di Aligi Sassu e Giuseppe Migneco. La mostra “Sassu Inedito - Settanta anni di pittura su carta” organizzata per celebrare i dieci anni dalla scomparsa dell’artista in collaborazione con Carlos Julio Sassu Suarez e curata dal critico Domenico Montalto, ha riunito in un unico corpus opere mai pubblicate né esposte prima,
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coprendo la sua intera attività pittorica ed artistica, a partire dalla fine degli anni Venti per concludere con le ultime di fine anni Novanta. Dopo il successo ottenuto a Milano, la mostra è stata presentata a maggio negli spazi di Villa Filippini a Besana Brianza e sarà allestita in agosto nelle sale della Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo. Il suo pregio e del relativo catalogo (Ed.Mondadori) è stato proprio quello di far conoscere al pubblico i percorsi artistici di un Sassu inedito, alle prese con tecniche diverse, dove mancano la meditazione e la perfezione ricercata nei dipinti e nelle sculture, a favore di maggiori libertà e leggerezza di tratti ed ispirazione. Come ricorda Natalia
Sassu Suarez, “il disegno è per Aligi Sassu un modo di fermare sulla carta dei pensieri e dei colori, per non lasciarli scappare prima di avere il tempo di tradurli e svilupparli in pittura. L’opera su carta è spesso un disegno preparatorio, e compare nella creatività di Sassu sin dagli albori della sua esperienza artistica”. Saranno esposte anche alcune opere di Giuseppe Migneco
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Walter Lazzaro “Sola”, 1957 Olio su tela, 40x70 cm “Pattino”, 1982 Olio su cartone telato, 30x40 cm
3) “Invito alla solitudine”, 1974 Olio su masonite, 30x40 cm
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(1908-1997), uno dei principali protagonisti del movimento realista, dedicate alla realtà della sua terra siciliana in cui il colore marcato, sentito come materia viva, richiama Van Gogh e dove i volti dei suoi personaggi sono l'espressione di una terra dura che dispen-
sa dolore e fatica. I luoghi della sua infanzia, vissuta in libertà fra la campagna ed il mare siciliano, resteranno nella memoria del pittore come il ricordo di un paradiso perduto che ritrarrà in molti suoi quadri: squarci di vita quotidiana, fotografie di un estremo sud oggi
dimenticate. La sua opera si inserisce nel solco del realismo sociale, ma il suo realismo è caratterizzato dall’influsso del muralismo messicano, interpretato con una più rigida e tagliente linearità che fa di lui un “intagliatore di legno che scolpisce col pennello” secondo la
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felice definizione di un suo ammiratore. Espressionista forte e sincero, Giuseppe Migneco non conosce le mezze tinte o i semitoni. L’umanità è illustrata nella sua lotta esistenziale, nel continuo e profondo confronto con se stessa e con gli eventi che la assediano, nella coscienza e
speranza di libertà e memoria, al di là dell’assurda solitudine dell’esistenza. Nei suoi quadri, dalla fine degli anni Cinquanta, la vita si declina in immagini grottesche; i corpi sono disegnati dal tracciato delle linee forza secondo cui si costruiscono le immagini : tracciato
Walter Lazzaro “Campagna romana”, 1937 Olio su tavola, 37x47 cm Giuseppe Migneco “Ragazza al bar”, 1958 Olio su tela, 50x60 cm
6) “Paesaggio”, 1957 Olio su tela, 40x50 cm
che nella sua evidenza rende i dipinti simili a pesanti vetrate. Le figure sono rinchiuse in una gabbia grafica, che blocca i loro movimenti di tragica marionetta. Entro questa gabbia la passione, la forza, la disperazione, l’amore, la solitudine, disegnano le storie dei vivi.
150 GALLERIa lazzaro by corsi
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Aligi Sassu 7) “Cavalli Selvaggi”, 1951 Olio su tela, 70x100 cm 8) “Il velo”, 1992 Acquerello, 36x27 cm
Galleria Lazzaro by Corsi Via Broletto 39 – 20121 Milano Tel. e Fax 02-8052021 Website : www.gallerialazzaro.it e-mail : lazzarocorsi@tin.it 8
Stand 16 - 17 - 18
152 GALLERIa lo sguardo dell’altro
Lo Sguardo dell’Altro L
’attività della galleria fondata nel 2004 e diretta da Marinella Bonaffini è finalizzata alla promozione dell’opera di artisti attraverso mostre e spettacoli e alla produzione di eventi nell’ambito dell’arte contemporanea. LA BELLEZZA E IL DISINCANTO sull’opera di Francesco Manenti, Massimo Romagnoli, Sergio Padovani, Jairo Valdati, Alberto Zecchini In una dimensione di saturazione ideologica caratterizzata dalla rapidità di ascesa e di declino di modelli culturali ed estetici l’opera di Francesco Manenti, Massimo Romagnoli, Sergio Padovani, Jairo Valdati si manifesta come
una reazione emotiva ed intellettuale che tende da una parte ad un disincantamento nei confronti dell’uso di linguaggi codificati e approda ad una estetica della contaminazione, dall’altra ad una sorta di ridimensionamento del linguaggio, all’ estetica dell’assenza. Poichè l’opera non è mai il prodotto di una autonomia assoluta ma di una esperienza conoscitiva dilatata e complessa, il corpo diviene il catalizzatore che consente l’aggregazione dei diversi elementi della conoscenza. Il segno ridimensiona l’uomo, ne esaspera l’incompiutezza, smaschera definitivamente il tentativo di occultare la propria finitezza, tentativo peraltro che porta all’unico risultato di avvicinarsi ad un’umanità in cui appare superflua qualsiasi
Alberto Zecchini “Paura”, 2010 (dittico) tecnica mista su tela, 140x70 cm
affannosa ricerca di una ragione d’essere. Se in Manenti l’allucinazione esistenziale si traduce in disincantamento in Romagnoli le nevrosi e le complessità delle relazioni diventano follie piccoline. Se in Padovani il corpo è involucro ingombrante, alienazione, inadeguatezza morale, in Zecchini il corpo è essenzialmente contemplazione, mentre in Valdati è solo la traccia, è la presa d’atto del passaggio dell’uomo nel mondo, soggetto alla corruzione del tempo alle prese con infiniti, piccoli, effimeri gesti. Perché indugiare sul corpo? Per ritrovarvi il movente, la misura del mondo, dove la bellezza è la forma e la figura è il pretesto. Marinella Bonaffini
153 GALLERIa lo sguardo dell’altro
Massimo Romagnoli Ritagliata dal mondo, senza fiato né linfa, la figura si scopre fragile. Il colore si spegne nella morbidezza dei toni per dare forma e contrasto all’anatomia diligente. Sagoma capricciosa talvolta, talvolta presenza frugale. Incantevole e crudele, cagionevole e imponente la donna di Massimo Romagnoli si muove tra minuziosi profili e animaletti domestici. Francesco Manenti Un’alienazione cinica si manifesta come metafora del disordine ideologico nell’opera di Francesco Manenti. Il corpo è la misura per la riorganizzazione dello spazio, è il limite strutturale portato alle estreme conseguenze. Il dramma di avere un corpo soggetto alla schiavitù della percezione è accentuato dall’esaltazione di deformità patogene. Il corpo è il limite corruttibile, è l’involucro ingombrante, la contingenza estetica. Il corpo è la poesia vitale, l’allucinazione esistenziale. Il corpo è quello che dà più fastidio. Avremmo dovuto essere di carta. Jairo Valdati La rappresentazione è ridotta agli elementi essenziali, ai valori strutturali della visione. Linea, piano, colore. La forma è codificata e scaturisce dall’accostamento di segni e colori elementari; così, se il paesaggio non è che combinazione di linee verticali e orizzontali, dell’uomo non
restano che tracce. L’albero visto dall’alto non sarà che un cerchio e una linea ondulata non potrà che essere acqua. Alberto Zecchini Il gesto ripercorre l’anatomia spezzata, avvolge le forme, si fa oggetto carico di forza espressiva, di profondità greve. Sulla superficie ampia dalla materia scarna invita alla percezione della forma. I corpi occupano lo spazio della pittura che non vuole essere descrizione ma essenzialmente contemplazione, il luogo del pensiero che sollecitato dall’immagine si rigenera in un apparente disagio e si manifesta come tensione ad un ordine alternativo. Sergio Padovani L’innocenza della bellezza e ... del mostruoso ... è disarmante. Il turbamento ha origine quando si manifesta l’esperienza del bello poiché ogni oggetto di seduzione contiene qualcosa di mostruoso. Tra un essere bellissimo e un essere terrificante non c’è una grande distanza. La bellezza quale accessorio inaccessibile, come il mostruoso, è il proibito che non si osa amare, è la crudeltà dell’innocenza, la mediocrità dei gesti quotidiani celata dal bisogno di combinare ogni eccesso con elementi riconosciuti come innocui. Eccesso che diviene nell’opera di Sergio Padovani palcoscenico impietoso; alienazione e decadenza si mantengono nella materia pittorica, nella messa in scena di un universo ove il corpo non rappresenta solo
se stesso, ma paure e segreti, esitazione e riserbo, la discrezione di un attonito imbarazzo. Marinella Bonaffini, Marco Rebeschi
Lo Sguardo dell’Altro via Malatesta, 62 Modena 059 4279322 - 339 3003240 losguardodellaltro@gmail.com www.losguardodellaltro.com www.youtube.com/LoSguardodellAltro
Stand 08
Jairo Valdati “Araucaria Angustifolia” tecnica mista su tela, 2010, 70x100 cm
154 alessandro paron
Alessandro paron La tecnologia al servizio dell’arte
Alessandro Paron con Francesca
U
na lunga esperienza, cominciata nel dicembre 1985 con stampanti e computer, e poi virata sul settore grafico, sempre attenta alle nuove tecnologie e alle richieste del mercato. Così nasce a Livorno la Paron & C. srl e l’”avventura” commerciale trova una sua collocazione specifica nella stampa di alta qualità, piccolo e grande formato, attrezzatura per il fotografico, il grafico, l’artistico, rivolta ad una clientela di professionisti del settore. Ma il salto di qualità avviene quando l’azienda accoglie l’in-
vito di Epson che, sulla scorta di un’iniziativa nata in Francia, introduce in Italia il progetto “Digigraphie by EPSON”, la produzione certificata di opere d’arte digitali in tiratura limitata,. La ditta livornese nel 2009 viene scelta tra le prime come Laboratorio Certificato Digigraphie, e quello che era solo uno spazio espositivo per le dimostrazioni ai clienti diventa una vera e propria bottega d’arte , dove Paron e soci acquistano il ruolo di “artigiani” della stampa digitale, curando in prima persona la qualità e il rapporto
privilegiato con i clienti raffinati ed esigenti della stampa d’arte. Al Photoshow 2010, la fiera dedicata alla fotografia che si è svolta a fine marzo a Roma, il laboratorio di Paron & C., ormai noto come “Tistampotutto”, è ospite dello stand Epson a testimonianza del livello raggiunto nella tecnica della Digigraphie by EPSON per la stampa artistica.. Sì perché sono proprio gli artisti che possono trovare nel laboratorio livornese l’eccellenza per le proprie “litografie” digitali. Fotografi, pittori, fotopittori sono i primi a controllare il prodotto, una volta uscito dalla moderna stamperia, a firmare e certificare la tiratura limitata. “Questo tipo di elaborazione dà all’artista la possibilità di avere opere certificate con tiratura limitata che siano rivolte ad un mercato più ampio _ spiega Alessandro Paron, titolare della società _ Dal quadro che è un unicum, ed ha costi elevati, la digigrafia permette di trarre multipli, tutti comunque garantiti dal controllo dell’artista stesso. L’artista può così rivolgersi ad una più ampia categoria di appassionati e cultori d’arte, che avranno un prodotto certificato e un investimento sicuro, ma ad un prezzo più contenuto”. Il concetto della riproduzione di un’opera originale in numero limitato, tipico della tradizionale litografia, entra quindi nel mondo del digitale. In tempi di crisi, inoltre, si presenta anche come una soluzione capace di offrire all’artista un modo per salvaguardare la prova opera
155 alessandro paron
senza essere costretto a svalutare il proprio lavoro per vendere qualcosa: con i prodotti digitali da lui stessi approvati, infatti, potrà raggiungere un pubblico più vasto e mantenere un valore adeguato per le proprie opere. Il primo del resto che comprese questa opportunità di avvicinare il grande pubblico alle sue opere in “multiplo” fu il grande Andy Warhol. Da allora i passi da gigante compiuti dalla tecnologia hanno permesso di ampliare il contatto con l’opera d’arte in maniera impensabile, sino a raggiungere una divulgazione planetaria. “Noi curiamo la qualità della produzione digitale con mezzi moderni grazie ad Epson, ma manteniamo uno spirito ancora artigianale _ specifica Paron _ Infatti, prima di arrivare ad una produzione, seppur piccola, dobbiamo conoscere l’artista, il suo modo di lavorare e le sue aspettative. Per firmare l’opera, dovrà, lui stesso, per primo, essere soddisfatto del risultato raggiunto. Non solo. La digigrafia gli permetterà anche una maggiore libertà rispetto ad altre tecniche. Ad esempio quando si stampano litografie in modo tradizionale, è necessario stabilire da subito un numero minimo per recuperare le spese di impianto, mentre le opere vengono vendute in tempi successiviCon Digigraphie By Epson si può definire una tiratura ma procedere alla stampa solo nel momento in cui l’opera viene richiesta perché la macchina assicura la ripetitività identica nel tempo”. Gli inchiostri UltracHrome K3, a
base di pigmenti rivestiti da resina, garantiscono la una durata della stampa per generazioni. I supporti certificati da Digigraphie by Epson sono moltissimi, tutti della categoria fine art, e tra questi una particolare lavorazione viene riservata alle tele che sono montate singolarmente a mano da artigiani esperti, su telai in legno antitorsione, e ulteriormente rinforzati, a seconda delle dimensioni, in modo da rimanere tesi nel tempo. Tutte le rifiniture sono accurate, le tele vengono fissate nel retro del telaio mediante spille metalliche. I bordi rimangono così puliti, tanto da essere considerati essi stessi o parte dell’immagine o rifiniture senza necessità di ulteriori incorniciature. Ogni mese dalla Francia le attrezzature del laboratorio livornese vengono sottoposte a un controllo di qualità. E poi c’è la certificazione dell’autore. Una volta che l’opera è pronta viene timbrata a secco, si appone la firma dell’autore e viene accompagnata da certificazione con indicazione del laboratorio che l’ha realizzata. Un sistema perfetto? Potrebbe anche succedere che ci siano lievissime differenze tra l’opera originale e la produzione digitale, ma sarà l’autore che in ogni caso avrà autorizzato la variante firmando l’opera. E il laboratorio garantirà la ripetitività di quell’immagine nel tempo, con
le eventuali ‘differenze’, rispetto al quadro, che l’artista vorrà mantenere. La ditta di Paron offre anche altri supporti al mondo dell’arte, come la stampa di inviti e cataloghi , e la produzione di cd e dvd, in più copie, per accompagnare cataloghi cartacei o sostituirsi ad essi nell’ambito di presentazioni multimediali, con l’obiettivo di favorire la diffusione e la conoscenza delle opere artistiche. Propone inoltre, per i privati, stampe su varie carte e tele ad altissima qualità, montate su telai in legno o su pannelli, e fotografie digitali stampate in grande formato. Per tutte le stampe viene utilizzata la tecnologia di stampa Epson (Epson Stylus PRO 11880, Epson Stylus PRO3880, DiscProducer PP-100) e inchiostri e supporti originali.. Paron & C offre garantisce eccellenza di riproduzione che oggi è possibile ottenere mediante le moderne tecniche di stampa digitale, e offre a tutti la possibilità di avere una stampa di altissima qualità, sia essa d’arte o fotografica, a prezzi davvero accessibili. Perché l’arte possa entrare davvero in ogni casa.
156 GALLERIa d’arte lo zodiaco arte
lo zodiaco arte
“
L
o Zodiaco Arte”, da trenta anni propone attraverso i canali televisivi opere di importanti maestri dell’arte Contemporanea e della scuola labronica del Novecento. Sono oltre 4000 le dirette televisive presentate in questi anni da Riccardo Barto-
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2
li, critico d’arte e titolare della galleria. Riccardo Bartoli nelle trasmissioni, oltre alla presentazione delle opere, descrive con attenzione e professionalità le varie correnti pittoriche, attraverso filmati, documentari ed inter-
viste agli artisti, critici e storici dell’arte. Iniziativa importante anche quella di dedicare spazio agli Artisti e Gallerie emergenti,sia negli spazi televisivi, sia all’interno dei saloni dello showroom sito in Cenaia (PISA) via G. Matteotti, 65. Molti sono i Maestri presentati attraverso le loro opere, dallo Zodiaco. In particolare si segnala la costante presenza di dipinti degli artisti: R. Natali, C. Domenici, G. Romiti, C. Filippelli, G. Bartolena, L. Viani, G. Talani, S. Scatizzi, E. Treccani, G. Chiari, A. Stella, A. Bellini, P. Staccioli, A. Faccincani, G. Nativi, V. Berti. Numerose sono state le partecipazioni, accanto ad importanti protagonisti del mondo dell’arte, in rubriche televisive e sulla carta stampata. Ricordiamo il grande riconoscimento alla professionalità dimostrata con il Pericle d’oro 1983 e la presenza alla storica trasmissione “Costanzo Show”.
157 GALLERIa d’arte lo zodiaco arte
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1) Gualtiero Nativi, 1969 Acrilico tavola, 115x80 cm 2) Gualtiero Nativi, 1979 Acrilico su tavola, 100x200 cm
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3 - 4) 2 opere di G. Chiari
Galleria Lo Zodiaco Arte Via Matteotti, 65 56035 Cenaia (Pisa) Mario Serboli, Tel. 3283633310 marioserboli@yahoo.it www.zodiacoarte.com
Stand A (corridoio)
158 spazio gianni testoni la2000+45
SPAZIO GIANNI TESTONI La2000+45
RENATO MENEGHETTI Il pittore delle radiografie di Emanuela Mazzotti
La galleria SPAZIO GIANNI TESTONI La2000+45 di via D’Azeglio a Bologna, diretta dalla sig. ra Paola Veronesi che si avvale del supporto del critico e curatore Alberto Mattia Martini, ci ha presentato Renato Meneghetti arcinoto per le sue radiografie e noi lo abbiamo intervistato. Leggiamo nella sua ricchissima bio-bibliografia che, oltre il gotha della critica contemporanea, non solo italiana,che ha studiato la sua opera ed ha prodotto saggi e volumi, emer-
ge un prezioso scritto di Lucio Fontana “…È evidente che il Meneghetti ha studiato a fondo le esperienze dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea e, soprattutto, che le ha assimilate, integrate, forse superate, nella sua instancabile ricerca di una strada che, pesando sulle sperimentazioni dei grandi che l’hanno preceduto, fosse tuttavia da esse indipendente e manifestasse appieno la sua completa indipendenza…” Si, ho avuto la fortuna di essere stato un allievo di Lucio Fontana e di aver praticato il suo studio milanese nella seconda metà degli anni ’60, e subito prima della sua dipartita mi ha presentato in una serie di mostre da Genova a Ventimiglia, centrale la mostra di Albissola. Effettivamente molti altri critici, storici e curatori, tra i più importanti in Europa, e non solo, hanno studiato la mia opera e scritto saggi, per citarne qualcuno : Federico Zeri, Sir Denis Mahon, Udo Kultermann, Gillo Dorfles, Bonito Oliva, Pierre Restany, ecc… Penso alla sua arte e alle sue famose radiografie, Alberto Mattia Martini, afferma che la sua opera si inserisce perfettamente nello Zeitgeist contemporaneo: può spiegarci qual è lo spirito del suo lavoro? Risponderò con le parole di Gillo Dorfles che ha scritto: ”Le radiografie di Meneghetti sono l’unico fatto nuovo degli ultimi vent’anni dell’arte italiana…”Manipolo la materialità per raggiungere la
spiritualità. A volte ci riesco. La radiografia è un mezzo tecnologico che emana radiazioni dannose. Cosa la affascina dell'interazione tra materia e radiazione? Le radiazioni sono invisibili, questo mi affascina, ciò nonostante mi permettono di “vedere oltre”, di vedere dentro la materia che non mi affascina proprio per niente: “Aldilà dell’occhio”. L’indagine normalmente coinvolge solo gli uomini, ma non per me, coinvolge uomini e cose: anche gli oggetti hanno un’anima. Che interventi opera sulla radiografia di uomini e cose? Sono un inguaribile e attento indagatore tra il visibile nascosto e l’invisibile apparente. La rappresentazione come espressione immediata dello spirituale nella quale la luce è il principio attivo della vita, e la forma l’essenza dell’anima. L’ombra è luce, la luce è ombra. Nelle mie opere radiografiche la forma è vuota e il vuoto è la forma. Le radiografie sono un ritratto, nel quale però non risultiamo belli ed eleganti. Risultiamo nudi. La mia pennellata è banale, anzi non esiste, io lavoro per sottrazione e ciò che conta è quanto la mia opera tenta di dimostrare. Il mezzo radiografico mi fornisce la possibilità, grazie ai suoi inesauribili aggiornamenti sul versante tecnico, di mutare continuamente il mio programma estetico. Di lei hanno scritto: «Attraverso la rappresentazione della morte è riuscito a comu-
159 spazio gianni testoni la2000+45
“Indifference” - (performance)
nicare la vita.». Non ho mai rappresentato la morte, ho solo giocato con lei, l’ho truccata, imbellettata, incipriata, ho danzato con lei, ho cercato di carpirne i segreti e in lei cercato le verità: l’ho posseduta ma mai desiderata. Probabilmente per esorcizzarla. Ho tanta paura di morire! Bisogna imparare a “vedere oltre” solo così ci si accorge che tutto il finito è dentro di noi: ogni cosa che ci circonda è dentro di noi, fiumi, laghi, cieli, soli, lune, alberi, montagne, pianure, nebbie… tutto è rintracciabile dentro di
noi e sufficiente saper guardare e cercare: siamo il contenitore di tutto, il macro cosmo nel micro. Per esempio il cervelletto è il più bello dei mari in tempesta, decisamente più bello delle tempeste o nuvole di Turner. Pittura, video, cinema, musica, scultura... lei pratica tutte le arti, nell'arte contemporanea non stupisce il passaggio o la commistione da una tecnica ad un'altra, ma l'attitudine. Quando ha scoperto la sua? La mia attitudine l’ho scoperta a 5 anni, nel 1952, quando ho
iniziato a dipingere. Poi, strada facendo, ho imparato e scoperto tante tante cose e ad ogni scoperta ho dovuto dare un’espressione per rappresentarla; ecco allora la pittura, la scultura, la fotografia, la musica, il cinema, il teatro, l’architettura, il design… tutti mezzi dei quali mi sono impossessato per poter meglio rappresentare. Sono nato pittore e resto pittore, ma a volte tradisco perché una sola bella donna non mi è mai bastata. Poi la folgorazione: nelle radiografie di un occhio o visto stelle, comete e galassie… l’infinito. Ho
160 spazio gianni testoni la2000+45
trovato la mia donna! Passando dalla pittura alle installazioni, dopo le esposizioni in quattro sedi a Roma curate da Achille Bonito Oliva al Museo Nazionale di Palazzo Venezia, al Santo Spirito in Sassia, Sala I e Archivio Centrale dello Stato, abbiamo
“Heureka”, 01Aneg, 100x70 cm
visto l’installazione-performance “Indifference” al Macro in occasione di The Road to Contemporary Art. Cosa vuole comunicare esattamente? Rivedrà l’installazione delle teste con performance del pubblico parte attiva dell’installazione alla
ArteForte, e si renderà conto che il messaggio è racchiuso nel titolo: L’assoluta indifferenza degli individui del terzo millennio per tutto ciò che li circonda, per chi soffre, per chi muore, per l’Altro e persino per l’opera d’arte. Ho notato il clamore mediatico (Corriere della Sera, Repubblica, Il Giornale, ecc…) che ha creato la recente installazione dell’opera a Roma. Mi illustra in sintesi il concetto dell’opera? “Tersite berciava senza misura/ (…)”. Tersite come l’artista si rivela la controfigura dell’eroe omerico. Quella di Tersite è una delle prime apparizioni di umili ed emarginati nella letteratura occidentale, è il primo personaggio che riesce ad uscire dal grigio anonimato. Nel sistema dell’arte molti, troppi buoni artisti diventano Tersite. Un’opera al limite per dare voce ai nuovi Tersite, ai senza volto della contemporaneità. Un percorso creativo composto con 1000 teste di ceramica tra le quali i visitatori sono costretti a farsi largo per accedere all’esposizione inevitabilmente rompendo le fragilissime sculture. Con ciò mostrare l’indifferenza e l’ atteggiamento assunto quotidianamente dagli eroi della perfezione fisica e morale. Sfugge allora il confine tra vittima e carnefice, tra mendicante e cittadino frettoloso, tra artista ed emarginato, tra distruzione e costruzione. L’artista è un emarginato, un soggetto terrificante che va ignorato, evitato, dimenticato. L’emblema di un’ umanità che non sa più vedere, non vuo-
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le più ascoltare, di un’ umanità che corre, dimentica, ignora. Di un’umanità indifferente. Dalla sua biografia emerge chiaramente che ha alle spalle oltre 50 anni di indefesso lavoro. Come mai non abbiamo mai incontrato sue opere sul mercato? Per 50 anni ho esposto solo in musei e mi sono sempre rifiutato di vendere le mie opere, perché era troppo doloroso staccarme-
“Durer, Autoritratto” [E], 110,5x90,5 cm [IPMR]
ne, poi, Achille Bonito Oliva mi ha detto: “Meneghetti, tu sei molto noto e stimato nel sistema dell’arte, ma non ti conosce nessuno perché le tue opere non circolano. Non solo, non trovi esageratamente egoistico il tenerle tutte per te?”. Questa ultima frase mi ha colpito molto e mi sono aperto al mercato. E’ stato un immediato successo, mi chiedono opere continuamente e io continuamente soffro.
NOTE BIOGRAFICHE Renato Meneghetti nasce nel 1947 a Rosà di Vicenza. Inizia a dipingere giovanissimo e la sua opera di artista si compie ora nella fortezza di Ezzelino da Romano dove è vissuto in giovinezza, ora nelle diverse ville palladiane che ha restaurato e abitato. Dopo i primi interventi, presentati negli anni Sessanta da amici e artisti come Fontana, Munari, Guiducci e una sequela di concorsi ed esposizioni giovanili, inizia una attività espositiva che lo vedrà presente nelle più importanti sedi nazionali ed internazionali. Dal 1997 una inedita ricerca nell’uso delle più avanzate tecnologie della comunicazione e della riproduzione virtuale di immagini, corpi e oggetti. Proiezioni e pitture visive, faranno percepire con più esattezza il messaggio che evoca la luce come potere e energia. Sue opere sono presenti in gallerie private e nelle aste internazionali più importanti (Christie’s, Sotheby’s, Ketterer, Dorotheum, Tajan, Bonhams, Neumeisters). Predilige la pittura, strumento visibile della capacità rivoluzionaria dell’arte e ne difende la destinazione sociale. Si è impegnato senza regolarità in altre espressioni, come la musica (La Biennale di Venezia, 1982), il cinema (40° Mostra Internazionale del Cinema, La Biennale di Venezia, 1983) e il multimediale (50° Esposizione Internazionale d’Arte, La Biennale di Venezia, 2003). Studiosi e storici dell’arte antica
162 spazio gianni testoni la2000+45
come Federico Zeri, Sir Denis Mahon, Udo Kulterman, hanno dichiarato l’interesse per la sua opera ospitata in molti musei nel mondo. Del 1997 è la mostra “Meneghetti: Radiografie 1982/1997 a cura di Marco Goldin, al Museo di Palazzo Sarcinelli di Conegliano Veneto. Del 1998 le personali di Parigi e Londra. Nel 1999 espone al National Museum of Fine Arts di Malta a cura di D. Cutajar e all’Ephesus Museum di Efeso. Nel 2000 il Palazzo della Ragione di Padova ospita la grande antologica “Sull’orlo del Terzo Millennio: “Pittura e altre arti 1954/2000”, a cura di Gillo Dorfles e Vittorio Sgarbi. Nello stesso anno alla Mole Vanvitelliana di Ancona: “Al di là dell’occhio. Radiografie 1979/2000” a cura di Gillo Dorfles e Walter Guadagnini. Seguono, nel 2002, “Trasparenze: corpi ed altro. Radiografie” al Museo Nazionale di Bratislava GMB Galéria Mesta (Pàlffyho Palàc) a cura di Ivan Jancàr, e “Installations XRays”, al Museum of Arts PGA Povazskà Galèria Umenia di Zilina a cura di Mira Putisova e Milan Mazur, testi in catalogo di Pierre Restany. Nel 2006, la città di Roma per la prima volta dedica ad un artista una grande mostra personale in quattro sedi: Museo Nazionale di Palazzo Venezia, Complesso Monumentale del Santo Spirito in Sassia, Sala 1 Scala Santa,
Archivio Centrale dello Stato. Note critiche: “…È evidente che il Meneghetti ha studiato a fondo le esperienze dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea e, soprattutto, che le ha assimi late, integrate, forse superate, nella sua instancabile ricerca di una strada che, pesando sulle sperimentazioni dei grandi che l’hanno preceduto, fosse tuttavia da esse indipendente e manifestasse appieno la sua completa indipendenza…” 1968, Lucio Fontana “...Tra tali straordinari artisti annovero Renato Meneghetti, che da oltre trent’anni prende parte ai temi più vitali della nostra epoca e persegue la strada verso una forma di “opera d’arte totale”. Meneghetti rappresenta senza dubbio una figura chiave per chi voglia capire in che modo gli ultimi quattro turbolenti decenni si siano riflessi nella sfera dell’arte...” 1998, Erich Steingräber “...Le radiografie di Meneghetti sono l’unico fatto nuovo intervenuto nell’arte italiana in questi ultimi vent’anni...” 1999, Gillo Dorfles “...Le opere di Meneghetti sono il frutto del nomadismo creativo che apre sempre nuove possibilità espressive che sono la pelle della pittura…” 2006, Achille Bonito Oliva
“eghenetai”
SPAZIO GIANNI TESTONI LA 2000+45 Via D’Azeglio 50 40123 BOLOGNA. Tel. 051 371272 - 051 580988 la2000+45@giannitestoni.it www.giannitestoni.it
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164 proposte d’arte contemporanea
Proposte d’arte contemporanea
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a Galleria Proposte d’Arte Contemporanea nasce nell’aprile 2003 nei locali dell’ex galleria Cardelli & Fontana. Propone da sempre collettive di grandi artisti con specifico indirizzo per la Pop Art. Grande attenzione viene data al gruppo Romano: Schifano, Angeli e Tano Festa, senza trascurare Giulio Turcato, Piero Dorazio, Ruggero Savinio, Carla Accardi e Antonio Corpora.
In campo internazionale si interessa particolarmente al Nuovo Espressionismo tedesco: mrkus Lupertz, Yorge Immendorf e Gerog Baselitz (Die Neue Wilden). La Galleria Proposte d’Arte Contemporanea effettua stime su opere di artisti italiani ed internazionali al fine di redigere valutazioni patrimoniali per compravendite e divisioni ereditarie.
165 proposte d’arte contemporanea
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3
1) Bruno Munari “Senza titolo”, 1984 Collage su carta, 25x25 cm 2) George Baselitz “Senza titolo”, 1982 Tempera su carta, 60x80 cm
Proposte d’Arte Contemporanea Ing. Marco Golzi Via Barsanti, 18 55045 Pietrasanta (Lu) Tel. 0584 70407 - Cell. 329 3032661 www.propostedarte.com info@propostedarte.com
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Mirko Basaldella “Totem”, 1984 Bronzo a cera persa, h 80 cm (Esemp. 2/3
4) 5)
Amedeo Modigliani “Viso di donna con collier”, 1915 Matita su carta, 25x35 cm Amedeo Modigliani “Cariatide”, 1910 Matita su carta, 35x50 cm (Archivio legale)
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166 sergio & thao mandelli
mandelli arte contemporanea M andelli Arte Contemporanea, fondata nel 2001 da Sergio Mandelli e Ly thi Thanh Thao ha nel suo DNA quello di relazionarsi al territorio della Brianza. Per questa ragione, più che una galleria che segue un certo filone artistico, ha preferito realizzare una ricognizione sull’arte contemporanea, privilegiando la qualità e la personalità di singoli artisti. Tuttavia si possono delineare alcune preferenze emerse nel corso degli anni, come quelle legate al
movimento del Nuovo Futurismo (Dario Brevi, Marco Lodola, Plumcake) o alla ricerca nell’ambito dell’arte digitale (Matteo Basilé, Davide Coltro, Luisa Raffaelli). Inoltre non sono mancate le proposte autonome della galleria, dall’inizio impegnata a valorizzare presenze artistiche non “allineate” ma di grande caratura professionale; sono da leggersi in questa ottica la proposta di Giorgio Albertini, importante pittore
1) Stefanoni Tino “Muro e bici”, 2009 - Tecnica mista su tela 30x40 cm
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dalla figurazione “fotografica”; di Paco Minuesa, raffinatissimo pittore spagnolo, attento alla realtà quotidiana secondo la teoria del “miracolo quotidiano”; Graziano Carotti, scultore di grande sensibilità e raffinatezza. Negli ultimi anni la galleria Mandelli è stata al centro dell’attenzione della pubblica opinione per aver organizzato due iniziative dedicate al mondo dello sport: Ne-
Mandelli Arte Contemporanea Via Garibaldi, 89 - 20038 Seregno (MI) Tel. 39 0362 330250 Fax 39 0362 1795763 galleria@mandelliarte.com www.mandelliarte.com
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razzurra: Cento artisti per cento anni di Inter, l’unica mostra d’arte contemporanea che ha ricevuto il patrocinio del presidente Massimo Moratti, e Centoingiro: cento artisti per il centenario del Giro d’Italia. In entrambe le manifestazioni sono stati coinvolti cento artisti diversi per stile, generazione e collocazione geografica, creando l’occasione per realizzare uno scorcio sull’arte contemporanea italiana. Infine negli ultimi tempi ha sviluppato un rapporto particolare di stima con l’artista toscano Luca Alinari, di cui condivide in larga parte intenti e idee sulle cose d’arte.
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2) Matteo Basilé “Disoriented 6”, 2009 Stampa Lamda su alluminio, 185x125 cm 3) Dario Brevi “Acque agitate”, 2004 Acrilico su MDF 4) Luca Alinari, “Paesaggio”, 2009 Acrilico su tela, 110x110 cm
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studio ambre italia scambi culturali con la corrispondente Ambre France. Tra le altre manifestazioni si distingue l’annuale esposizione al Museo dei Campionissimi di Novi Ligure, che vede la partecipazione di artisti sia italiani che stranieri. La galleria, inoltre si propone come partner privilegiato di Arteforte, con il quale organizza la manifestazione d’Arte “Proponendo” a Forte dei Marmi .
O
ltre ad essere una prestigiosa galleria virtuale a cui si accede solo per invito in ragione di una scelta di qualità artistica, Studio Ambre Italia, organizza numerosi eventi artistici in Italia e collabora attraverso
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Nell’ambito delle varie attività artistiche dello Studio AmbreItalia è stato costituito un gruppo di lavoro a cui hanno aderito artisti, di varie nazionalità, che si occupano della promozione dell’arte contemporanea nelle sue diverse tipologie. I componenti del gruppo di lavoro sono artisti con rilevante esperienza professionale e prestigiosi per-
corsi artistici, conosciuti e stimati per il loro lavoro basato su profonda ricerca individuale. Lo Studio AmbreItalia è inserito nella rete di Ambre International che interagisce con le varie Associazioni affiliate presenti in Cina, Francia, Inghilterra, Marocco. Essere membro di un’organizzazione artistica internazionale offre l’opportunità di creare una liaison tra le varie correnti artistiche superando le barriere razziali, religiose e politiche; infatti l’Arte ha un respiro internazionale che può e deve unire i popoli.
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E’ con questo spirito che è stato fondato lo Studio Ambre Italia che ha come Direttrice Caterina Maggia (in arte Cate Maggia) che opera in stretta collaborazione con Ambre International. Studio Ambre Italia partecipa ad alcuni Expò molto importanti sia a livello artistico che per affluenza di pubblico: Arte Padova, Arte Genova, Fiera d’Arte di Reggio Emilia. In queste occasioni,maestri di fama internazionale trovano posto accanto agli artisti che di norma partecipano al progetto espositivo. Direttrice Arch. Caterina Maggia Via Codini n 5 Nibbiola 28070 Novara (Italy) telefono cel 39.393 9743869 www.catemaggia.com
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Presidente Onorario Dott. Claudio Biondani cell 39.348 4112981 Web Press Art&Design www.dinapierallini.com Non esiste una quota di partecipazione ma l’artista è selezionato unicamente in base al proprio livello artistico, previa valutazione del suo curriculum e visione delle opere da parte della Direttrice, che si riserva la facoltà di scelta degli artisti. La partecipazione al gruppo di lavoro permette all’artista di essere presente a manifestazioni artistiche internazionali con la possibilità di importanti scambi culturali e di poter far visionare le proprie opere nel mondo ormai globalizzato.
Per richieste di partecipazione inviare curriculum e copie fotografiche delle opere a: Arch. Caterina Maggia Via Codini 5 28070 Nibbiola (NO) ITALIA Per contatti ed eventuali delucidazioni e proposte pregasi inviare mail a: info@catemaggia.com
Stand 28 - 31
Marco Lodola 1) “Ballerini”, (Luminosa) 137x68x12 cm 2) “Fetish”, (Luminosa) 55x144x12 cm 3) “Pin up” (Luminosa), 115x80x12 cm 4) “Pin up”, (Luminosa), 113x80x12 cm 5) “Pin up” (Luminosa), 115x80x12 cm
FORTE DIVINO 2010
“LE BOLLICINE CONQUISTANO LA VERSILIA!” di Gianpaolo Giacomelli L’iniziativa dedicata alle bollicine e allo champagne organizzata per il secondo anno consecutivo presso Villa Bertelli a Forte dei Marmi ha riscontrato un grosso successo sia in termini di pubblico (oltre 3.500 presenze nei due giorni di fiera) sia come qualità delle aziende presenti all’evento. Altro punto di forza di Forte divino 2010 è stato il “Premio” che l’organizzazione ha istituito a favore dei giornalisti enogastronomici che si sono distinti nel corso della propria carriera per promuovere il vino e la gastronomia. Ad inaugurare l’Albo d’oro un nome di assoluto prestigio nel settore: Roberto Rabachino, conosciutissimo esperto enogastronomico, nonché Presidente dell’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana la cui attività pubblicistica ed editoriale nel settore costituisce un preciso punto di riferimento per tutti. Le aziende presenti a Forte divino hanno presentato i propri prodotti in una cornice come quella versiliese molto attenta al vino bianco e alle bollicine per ragioni gastronomiche, vista l’economia turistica del territorio basata sull’offerta balneare che vede come attori principali i ristoranti della costa. Una particolare menzione va fatta ai vini stranieri provenienti dalle zone più classiche di Austria, Francia, Germania e Spagna. Tra tutti lo champagne ha brillato di luce propria anche perché la zona è grandissimo consumatore di questo prezioso vino e pertanto molte sono state le attenzioni rivolte al re dei vini spumanti. Il lavoro che ha impegnato lo staff di Forte divino ha dato i suoi frutti: il 25 aprile, all’apertura dei battenti della splendida Villa Bertelli, a Forte dei Marmi la pa-
rata di stelle enologiche presenti alla manifestazione era davvero importante. Per due giorni appassionati e professionisti del settore hanno potuto assaggiare tra circa 500 vini italiani e 200 vini stranieri, provenienti da circa 200 cantine selezionate per l’occasione. Grande attenzione è stata riservata anche al numeroso gruppo dei vini italiani che ha potuto esibire un livello qualitativo assoluto, fatto da piccolissime cantine fino a giganti produttivi di qualità provenienti dalla Valle d’Aosta fino alla Sicilia. A solleticare ancor di più il palato e la fantasia degli enoappassionati italiani sono state le rare ed imperdibili sessioni di degustazione: tenutesi nella Villa, dove è stato creato un ambiente tecnicamente ideale ed all’altezza del livello dei personaggi che hanno diretto le varie sessioni, si sono tenute al cospetto di un folto pubblico proveniente da molte parti d’Italia per l’occasione. A corollario dell’evento, nel parco della Villa è stato allestito uno spazio gourmet dedicato agli artigiani del gusto che hanno potuto fare assaggiare e vendere le loro perle ad un pubblico selezionato. Dunque un evento che diventa tappa fissa della primavera versiliese, irrinunciabile per chi ama il mondo della cose buone, da mangiare e da bere, irrinunciabile per chi ama visitare Forte dei Marmi lontano dai frastuoni estivi. L’organizzazione Vi da appuntamento per la nuova edizione di Forte divino, che vedrà l’apertura dell’iniziativa a Villa Bertelli, sabato 30 aprile dalle ore 18 con “La notte di Forte divino” che inaugurerà l’evento 2011.
Con il patrocinio di:
Comune di Forte dei Marmi
Assessorato alla Cultura e Turismo
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Emozioni in bianco e bollicine alla ribalta Spazio Gourmet
Villa Bertelli
Forte dei Marmi 2011 La notte di Forte divino Sabato 30 aprile dalle ore 18,00 alle ore 24,00 Domenica 1, Lunedì 2 maggio dalle ore 12 alle ore 20 Villa Bertelli - via Mazzini 200 - Forte dei Marmi
www.fortedivino.com
Ingresso al pubblico € 10,00 - Operatori ingresso gratuito
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Vera Docci Galleria d’arte L
a Galleria VERADOCCI è attiva dal 2000. La sede principale di Forte dei Marmi, in Piazza Marconi 3/c, ha presentato regolarmente mostre personali ed esposizioni collettive di Maestri del Novecento italiano ed internazionale. Nel corso di questi quattro anni sono state organizzate le personali di Lorenzo Malfatti, Mimmo Paladino, Andy Warhol, Piero Dorazio. Nel 2004, la Galleria si è trasferita nella nuova sede, sempre in Piazza Marconi, al civico 4/a -
4/b. La mostra: “La luce della luce” di Piero Dorazio ha costituito l’evento inaugurale. Nel 2008 la Galleria ha presentato la personale “New York Polaroid…..” di Maurizio Galimberti. L'attività della Galleria consiste nella esposizione di opere scelte di autori italiani ed internazionali intervallate da mostre antologiche. Partecipa regolarmente a Fiere ed esposizioni nazionali quali: Padova, Brescia, Bergamo, Verona, Forlì e Viterbo.
ARTISTI PRESENTI IN GALLERIA Carla Accardi, Basaldella Afro, Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Pier Paolo Calzolari, Giuseppe Caporossi, Enrico Castellani,Sandro Chia, Christo, Nicola De Maria, Piero Dorazio, Maurizio Galimberti, Hans Hartung, George Mathieu, Nunzio, Mimmo Paladino, Emilio Scanavino, Giulio Turcato, Giuseppe Uncini, Victor Vasarely, Emilio Vedova, Gilberto Zorio. Alighiero Boetti (Torino, 16 dicembre 1940 – Roma, 24 aprile 1994) E’ stato un artista italiano, uno dei maggiori del secondo dopoguerra. Insieme agli artisti Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, ha fatto parte del gruppo Arte Povera. Allo stesso tempo è stato anche uno dei più precoci a distaccarsene. Le sue opere più celebri sono arazzi di diverso formato in cui sono inserite, suddivise in griglie, frasi e motti inventati dall'artista (per es. Il progressivo svanire della consuetudine, Dall'oggi al domani, Creare e ricreare, Non
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1) Alighiero Boetti “Le infinite possibilità di esistere”, 1986 Ricamo su tela, 35x35 cm
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parto non resto, ecc). La sua attitudine all'arte ha influenzato artisti di differenti generazioni, da Francesco Clemente a Maurizio Cattelan. All'estero l'eredità del suo lavoro ha lasciato segni profondi nelle opere del messicano Gabriel Orozco e nelle riletture della recente storia dell'arte dell'inglese Jonathan Monk, il quale sembra provare per Boetti un'autentica ammirazione. Boetti propone a sé stesso dei sistemi nei quali agire, spesso coinvolgendo altre persone. Oppure sono la geografia, la matematica, la geometria, i servizi postali, a fornire la piattaforma delle proprie scelte. Il suo lavoro mette in discussione il ruolo tradizionale dell'artista, interrogando i concetti di serialità, ripetitività e paternità dell'opera d'arte. Dopo l'opera Gemelli il filo comune che lega molti suoi lavori è sottendere nel processo creativo un dualismo di intenti. Questo avviene specialmente dopo la sperimentazione con i materiali poveri quando Boetti si trasferisce nella capitale e decide di ripartire veramente da qualcosa di semplice, una matita e un foglio di carta quadrettato. I meccanismi che inventerà per i suoi lavori sono strutture di pensiero applicabili alle cose senza potersi esaurire. Una volta reso chiaro il principio che li genera si staccano da schemi soggettivi e permettono la libertà di autogenerarsi come le cose della natura. Alighiero Boetti ha visto la pit-
tura come un "tradimento" verso gli ideali (artistici e politici) esplosi nel Sessantotto: dipingere rappresenta una sorta di distacco dal mondo reale da guardare con disprezzo, per chi - come lui - si sente direttamente coinvolto dal presente e dalla cronaca.[1] Il mercato del collezionismo
d'Arte Contemporanea lo ha esaltato nell'ultimo decennio, ponendo la totalità delle sue opere anche al definitivo rango di investimento finanziario. In questo senso quotazioni in continua crescita hanno interessato in sedi d'aste internazionali l'intera gamma della sua produzione artistica. 2) Agostino Bonalumi “Bianco” 1964 Tela estroflessa, 100x80 cm
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Agostino Bonalumi (Vimercate, 1935) è un pittore italiano, considerato una delle figure di maggior rilievo dell'arte astratta del '900.[ Dopo studi di impostazione tecnico/meccanica Bonalumi si inserì giovanissimo nel clima artistico di Milano, frequentando lo studio di Enrico Baj dove conobbe Lucio Fontana, Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Riconoscendo la fine della spinta propulsiva dell'arte informale, collaborò alla rivista Azimuth che proponeva l'azzeramento totale dell'esperienza artistica precedente ed un nuovo inizio, basato su un nuovo patto con il progresso sociale.Tale azzeramento venne realizzato da Manzoni, Castellani e Bonalumi con l'utilizzo di tele monocrome (spesso totalmente bianche), estroflesse con varie tecniche in modo da creare effetti di luci ed ombre cangianti con l'inclinazione della sorgente luminosa. Si trattò di un'esperienza del tutto originale e considerata di fondamentale importanza nella storia dell'arte
astratta del novecento, non solo per quanto riguarda la scena italiana[senza fonte]. Piero Manzoni scelse come materiali prediletti il caolino e il cotone per i suoi "Achromes", mentre Enrico Castellani e Bonalumi avviarono un percorso rigorosissimo[senza fonte] di studio ed analisi delle possibilita' fornite dall'estroflessione della tela mediante l'utilizzo di chiodi e centine (Castellani) e di sagome di legno e metallo inserite dietro la tela (Bonalumi). L'opera di Agostino Bonalumi, pur nella costante fedeltà al mezzo artistico inizialmente scelto, è considerata da molti critici estremamente fantasiosa e sempre nuova nella creazione di giochi di luci ed ombre nuovi ed originali.[2]. Bonalumi espose in una sala personale alla Biennale di Venezia del 1970. Partecipò alla Biennale anche negli anni 1966 e 1986). Nel 1980 le sue opere furono esposte in una grande mostra personale presso il Palazzo Te di Mantova. Nel 2001 ottenne il premio del Presidente
della Repubblica. Nel 2002 ha presentato l'"opera ambiente" al Museo Gugghenheim di Venezia. Ha esposto anche, fra le numerose mostre a lui dedicate, alla Biennale di San Paolo del Brasile (1966), alla Biennale di Parigi (1968) e al Museum of Art di Fort Lauderdale (Fl) nel 1981. Le opere di Bonalumi sono attivamente ricercate dai collezionisti di tutto il mondo ed è costantemente scambiato nelle aste più prestigiose quali le famose "Italian Sales" di Londra..[3] Non di secondaria importanza è l'attività poetica di Agostino Bonalumi, che ha pubblicato, tra il 2000 e il 2010, sei libri di poesia: scherzo io (Colophon, 2000); Da te ascolto tornare le cose (con un pensiero di Concetto Pozzati, Book Editore, 2001); Difficile cogliersi (Edizioni Il Bulino, 2002); Giusto provarci (Colophon, 2006); è stato un nulla (Book Editore, 2008); Difficile esserci (con un'introduzione di Leonardo Conti, Vanillaedizioni, 2010 ).
Enrico Castellani (Castelmassa, 1930) è un pittore italiano, considerato una delle figure di maggior rilievo dell'arte europea del secondo '900. Studia arte, scultura e architettura in Belgio fino al 1956, anno in cui si laurea alla Ecole Nationale Superieure. L'anno successivo torna in Italia, stabilendosi a Milano, qui diviene esponente attivo della nuova
scena artistica. In particolare stringe rapporti di amicizia e collaborazione con Piero Manzoni, con il quale forma un sodalizio artistico che incuriosiva i commentatori dell'epoca per il contrasto tra le loro personalita': tanto era vulcanico, scapigliato e giocoso Manzoni quanto Castellani era serio, distinto e riflessivo.[2] Rapporti fruttuosi di scambio culturale vengono
intrattenuti anche da Castellani con Agostino Bonalumi e Lucio Fontana Dopo prime esperienze di carattere informale, probabilmente ispirate all'action painting americana e soprattutto da Mark Tobey, riconoscendo questo tipo di arte come maturo per un superamento, elabora con la collaborazione alla rivista Azimuth un nuovo inizio, che propone
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l'azzeramento totale dell'esperienza artistica precedente, basato su un nuovo patto con il progresso sociale. Tale azzeramento viene realizzato da Manzoni, Castellani e Bonalumi con l'utilizzo di tele monocrome (spesso totalmente bianche) estroflesse con varie tecniche in modo da creare effetti di luci ed ombre cangianti con l'inclinazione della sorgente luminosa. Si trattò di un'esperienza del tutto originale e considerata di fondamentale importanza nella storia dell'arte astratta del novecento, non solo per quanto riguarda la scena italiana. Se Piero Manzoni scelse come materiali prediletti il caolino e il cotone per i suoi celeberrimi "Achromes", Castellani e Agostino Bonalumi avviarono un percorso rigorosissimo di studio ed analisi delle possibilità fornite dall'estroflessione della tela mediante l'utilizzo di chiodi, centine e di sagome di legno e metallo inserite dietro la tela. L'opera di Castellani, in particolare, a partire dall'opera del 1959 "Superficie nera a rilievo" pur nella costante fedeltà al mezzo artistico inizialmente scelto, è considerata da molti critici di estrema purezza, dove la ripetizione accuratamente scelta dei pieni e dei vuoti data
3) Enrico Castellani “Superfice Bianca”, 2001 Tela estroflessa, 60x60 cm
dalle ritmiche estroflessioni della tela costituisce un percorso sempre nuovo, anche se coerente ed intenso.[3]. Anche nelle rare opere su carta Castellani è riuscito a realizzare il suo personalissimo stile di estroflessioni ritmiche. Castellani ha partecipato a numerosissime mostre di rilevanza internazionale, fra le quali si può ricordare la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1964, 1966 e 2003, a Documenta di Kassel nel 1968 a The responsive eye al MoMa di New York nel 1965 e alla mostra
"Identité Italienne" al centro G. Pompidou di Parigi. Ha esposto anche, fra le numerose mostre a lui dedicate, alla Biennale di San Paolo del Brasile (1965) e nella grande personale alla Fondazione Prada di Milano nel 2001. Le opere di Castellani, nel mercato dell'arte, sono fra le più ricercate e costose fra quelle del novecento italiano, con quotazioni che hanno raggiunto il milione di dollari e sono regolarmente scambiate nelle aste più prestigiose quali le famose "Italian Sales" di Londra..[4]
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Christo Javašev è nato a Gabrovo, in Bulgaria, il 13 giugno 1935. Dopo gli studi di Belle Arti a Sofia (1953-1956), si trasferisce a Parigi nel 1958 forma il gruppo dei nuovi realisti. Le sue prime opere sono dei dipinti astratti e degli impacchettamenti di oggetti (bottiglie, bidoni, cartoni, tavoli ecc.) o di modelli viventi nella tela o nella plastica.
Jeanne-Claude Denat de Guillebon, era francese. Nata a Casablanca in Marocco il 13 giugno 1935, lei e Christo sarebbero nati lo stesso giorno alla stessa ora. Si è laureata in filosofia nel 1952 a Tunisi. I due si incontrano nel 1958, anno che segna l'inizio della loro collaborazione artistica. Christo è principalmente l'artista, e Jeanne-Claude l'organizzatrice: « Le opere destinate al pubblico
sono firmate da Christo e JeanneClaude, i disegni da Christo ». Dopo essere immigrati negli Stati Uniti nel 1964, cominciano a realizzare dei tremendi progetti di ampio respiro, intervenendo in maniera diretta ed effimera su degli edifici, dei monumenti o dei paesaggi interi. I due artisti sono artefici della land art: intervengono sul paesaggio e lo modificano, nel loro caso in maniera atroce e provvisoria. Sono noti soprattutto per le opere realizzate con il tessuto, "imballando" monumenti o stendendo lunghi teli in luoghi naturali. Dopo la morte di Jeanne-Claude per le complicazioni di un aneurisma cerebrale, Christo ha annunciato il desiderio di completare le opere Over the River e Mastaba[1]. Giorgio de Chirico (Volos, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978) E’ stato un pittore italiano, principale esponente della corrente artistica della pittura metafisica. La migliore produzione pittorica di de Chirico è avvenuta tra il 1909 e il 1919, nel periodo della invenzione della pittura metafisica: i quadri di questo periodo sono memorabili per le pose e per gli atteggiamenti evocati dalle nitide immagini. All'inizio di que-
4) Christo Javašev “Running Fence”, 1974 Tecnica mista e collage su carta, 71x56 cm 5) Giorgio De Chirico Piazza d’Italia” (metà anni 50) Olio su tela, 40x50 cm 4
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sto periodo, i suoi soggetti erano ispirati dalla luce del giorno luminosa delle città mediterranee, ma ha rivolto gradualmente la sua attenzione agli studi su architetture classiche. Mentre era ricoverato all'ospedale militare di Ferrara nel 1917, de Chirico conobbe il pittore futurista Carlo Carrà, con cui iniziò il percorso che lo portò a perfezionare i canoni della pittura metafisica: a partire dal 1920 tali teorizzazioni furono divulgate dalle pagine della rivista "Pittura metafisica". Le opere realizzate dal 1915 al 1925 sono caratterizzate dalla ricorrenza di architetture essenziali, proposte in prospettive non realistiche, immerse in un clima magico e misterioso, e dall'assenza di figure umane. Questa pittura sarà ispiratrice di architetture reali realizzate nelle città di fondazione fascista, dove l’architettura razionalista lavorerà su forme, spazi e particolari architettonici metafisici. (Portolago, Sabaudia ect.). Nei vari Interni metafisici dipinti in quegli anni, oggetti totalmente incongrui rispetto al contesto (ad esempio una barca a remi in un salotto) vengono rappresentati con una minuzia ossessiva, una definizione tanto precisa da sortire un effetto contrario a quello del realismo. Compare in questo periodo anche il tema archeologico, un omaggio alla classicità reinventata però in modo inquietante: ne sono esempio Ettore e Andromaca (1917) e Ville romane. La figura del manichino, simbolo dell'uomo-automa contemporaneo (Il grande metafisico, 1917),
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gli fu invece ispirata dall'"uomo senza volto", personaggio di un dramma del fratello Alberto Savinio, pittore e scrittore. In seguito, de Chirico collaborò alla rivista Valori plastici, che teorizzava una rivisitazione completa dell'arte italiana, e partecipò all'esposizione di Berlino del 1921. Ebbe un periodo di contatto con il Surrealismo, con cui espose a Parigi nel 1925: le sue opere successive si segnalano per il virtuosismo tecnico e rappresentano un tributo e un ringraziamento al periodo barocco. Nel 1949-1950, de Chirico aderì al progetto della importante Collezione Verzocchi (attualmente
conservata presso la Pinacoteca civica di Forlì), inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera "Forgia di Vulcano".Secondo lo studioso Ubaldo Nicola, alcune opere di De Chirico - ed in particolare la pittura metafisica di cui egli fu iniziatore - sarebbero state ispirate dalle frequenti cefalee, di cui l'artista, proprio come Picasso, notoriamente soffriva, subendo il disturbo dell'aura visiva.De Chirico fu anche incisore e scenografo. La datazione e l'attribuzione di alcuni suoi dipinti è assai ardua, perché l'artista stesso produsse nel secondo dopoguerra repliche dei suoi capolavori del periodo metafisico.
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Georges Mathieu, nome completo Georges Victor Mathieu d'Escaudœuvres (Boulognesur-Mer, 27 gennaio 1921), è un pittore francese. Nato a Boulogne sur Mer, nel 1921, Georges Mathieu, dopo aver studiato diritto e filosofia, consegue la laurea in inglese, che gli consentirà, dopo la guerra, di lavorare a Parigi, come responsabile delle pubbliche relazioni per la compagnia marittima americana U.S. Lines. Comincia a dipingere quadri non figurativi nel 1944, praticando un'astrazione libera e gestuale. A partire dal 1947, si fa notare per la sua applicazione del colore direttamente dal tubetto. Nel vivo del dibattito teorico, organizza diverse mostre in favore dell'Abstraction Lyrique, di cui diventa l'ardente paladino.
Questa nuova astrazione, gestuale, lirica, informale o 'tachiste', si spoglia delle tradizioni e delle regole fino ad allora predominanti, per mettere in primo piano i fenomeni puramente pittorici. Il pensiero filosofico del tempo contribuiva a sostenere le convinzioni degli artisti impegnati a sviluppare una forma di pittura gestuale, a vivere l'esperienza pittorica in modo nuovo, con un coinvolgimento corporeo totale. Mathieu sarà il primo ad imporre la gestualità all'interno della Scuola di Parigi, prima del 1950, dando il proprio contributo analogamente a Fautrier, Hartung, Wols, Soulages, ma anche ai pittori della Scuola di New York, in un momento in cui gli scambi tra le due capitali erano inesistenti. Il suo lavoro per le U.S Lines, gli consente di tenersi informa-
to sui movimenti di avanguardia che si sviluppano sulla scena artistica newyorkese attraverso l'Action Painting. E' il primo ad essere consapevole delle affinità tra la pratica dell'astrazione lirica e l'espressionismo astratto e a mettersi in contatto con le gallerie americane. Espone per la prima volta nel 1946, al 6° Salon des moins de 30 ans,, alla Galerie des BeauxArts di Parigi, e nel 1950 tiene la sua prima mostra personale alla Galerie Rene' Drouin a Parigi. Nel 1951 Mathieu espone a Ve'he'mences confronte'es, la mostra da lui stesso organizzata insieme al critico d'arte Michel Tapie'. In questa rassegna si evidenziano le estreme tendenze della pittura non figurativa, i risultati delle esperienze della pittura americana da De Kooning a Pollock, Bryen, Capogrossi, Hartung, Mathieu, Riopelle e Wols. L'anno successivo Michel Tapie' pubblica il libro intitolato “Un art autre”.
6) Georges Mathieu “Bysanthe”, 1976 Olio su tela, 60x73 cm
VERADOCCI Galleria d’arte Piazza Marconi 4/a 55042 Forte dei Marmi (Lu) Tel. e Fax 0584/784390 www.veradocci.com veradocci@gmail.com veradocci@virgilio.it
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IL “KOSTABI WORLD” Uno stile nato dal genio (e dal computer) di Paolo Rizzi ...
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eglio passare subito, proprio per evitare equivoci, a definire lo stile di Mark Kostabi. è nato (meglio è apparso) più di vent’anni fa, quando l’artista era appena ventenne. Curioso: questo stile è nato già adulto, cioè compiutamente formato. Lo conoscono tutti: si basa sulle tipiche figure biancastre, ben contornate, dal rilievo plastico formato dalle ombre. Il volto, si sa, è un ovale senza precisazioni fisiognomiche. Su questa tipologia sono costruite moltissime varianti: che formano ognuna un dipinto completo. Semplice? Si, fino ad un certo punto. Intanto occorre dire che Kostabi, prima di avviare il lavoro del suo atelier multiplo, ha disegnato e dipinto per anni in perfetta solitudine. Sono almeno duecento, forse trecento, i dipinti da lui eseguiti di propria mano, prima che subentrasse il metodo dei collaboratori. Già in essi il suo stile era maturo. Esso nasceva, e nasce ancora, dall’osservazione attenta del mondo: sia del mondo fisico, sia del mondo dei modelli culturali. Si potrebbe parlare dei manichini di de Chirico: ma questa è una delle tante ascendenze, forse nemmeno la più importante. Credo che la prima idea, per le sue figure evanescenti, sia nata dall’uso del computer. La forma tonda si è dilatata sullo schermo: ha assunto modalità dapprima biomorfe, poi antropomorfe. Quindi è entrata in un racconto, raccogliendo sensazioni e memorie da ogni parte. Questo è il metodo di Kostabi.
Sulla base dell’archetipo da lui creato, sono uscite mille e mille “variazioni sul tema” (e lui, eccellente musicista, sa come si sviluppano le variazioni melodiche). Esse hanno riferimenti impensabili particolarmente di origine psichica. Noi crediamo di “vedere”: in realtà quel che vediamo non è che un’inter-
pretazione di modelli di con sumo e di comportamento che inconsapevolmente assumiamo. Così Kostabi “vede”, o meglio “stravede”. Non a caso le sue figure sono senza volto. Egli stesso dice: “il volto è vuoto proprio perchè deve essere riempito dagli altri”. In altre parole, egli ha capito benissimo
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che l’ars maieutica, cioè l’arte dell’interpretazione, è oggi basilare: anzi, tende a sostituirsi alla creazione cosiddetta origi nale. Noi interpretiamo sempre; quindi travisiamo. Ecco che i volti “vuoti” vengono riempiti da noi: dalla nostra immaginazione. Anche questo è stile: cioè “Kostabi World”. L’artista ci fornisce una chiave di lettura del mondo (lo si è detto: un archetipo) e ci invita a “giocare” con esso. è una propedeutica creativa: in fondo, un invito ad essere liberi. Ecco il perchè del successo di Kostabi: le sue figure si muovono su scenari diversi, interagiscono, si scambiano, propongono soluzioni sempre diverse, rievocano, raccontano, indicano soluzioni. Non solo: ma lo stesso Kostabi, accettando la creazione (o ricreazione) dei suoi collaboratori‑assistenti, finisce per arricchire le immagini che poi propone al pubblico. Al fondo c’e un mistero che noi siamo invitati a risolvere. Il caso della Gioconda di Leonardo può essere emblematico in questo senso. Tutti noi abbiamo provato, sia direttamente al Louvre, sia di fronte a una riproduzione del più celebre quadro del mondo, ad entrare in esso, a impossessarcene, a capirlo. Invano. C’e sempre qualcosa che ci sfugge. Ci sfugge materialmente come intellettualmente. Il mistero è “sotto”. Kostabi lavora, mutatis mutandis, in modo similare. Le sue figure paiono amorfe, rigide come manichini, prive di fisionomia riconoscibile: sono persone che incontri per strada o in
tram. Ti passano vicino, scappano via. Non sapresti riconoscerle. Eppure lasciano il segno. Ti volti e non ci sono più. Ma la tua mente ne è stata, inconsciamente, assorbita. La cosa strana è che quelle figure “sono Kostabi”. Sono sempre il suo ritratto che ti perseguita e con il quale sei costretto a coabitare. Forse che questo non si avvicina al concetto di “stile”?
Marc Kostabi 1) “Vortex of melanchony”, 60x45 cm 2) “Our little star”, 60x45 cm 3) “Prince Midas”, 60x50 cm
Veronica Meschis Galleria d’Arte Contemporanea Via Dante, 17 - 90141 Palermo
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