Onstage magazine aprile 2013

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Onstage aprile 2013

Editoriale di Daniele Salomone

@DanieleSalomone

«Mi hanno chiesto di raccontarvi quello che so della musica. Bene, cosa so della musica? So che i musicisti vengono prima di tutto. (...) Devo ringraziare Edgar Winter per aver lasciato che la sua Frankestein venisse pubblicata nella compilation che comprai nel 1975. Avevo 6 anni e rimasi folgorato da quel brano. È un pezzo strumentale, senza parole, ma quello che mi colpì fu proprio la voce dei musicisti che suonavano. La sentivo dentro ogni assolo, nello stile, nella tecnica, sentivo il loro piacere di fare musica insieme ad altre persone. E così mi venne voglia di fare lo stesso. Comprai la mia prima chitarra, insieme a un libro di canzoni dei Beatles, e la mia vita prese una strada da cui non sono mai più tornato indietro. La musica divenne la mia religione, il negozio di dischi la mia chiesa, i musicisti i miei santi e le canzoni i miei inni. La Virginia non era proprio una fucina di rockstar ma non avevo paura di nulla: avevo trovato la mia voce, ed era sufficiente. Non c’era nessuno che mi dicesse se era giusta o sbagliata e quindi per me non c’era nessun “giusto” e nessun “sbagliato”. (...) Nel mio primo viaggio a Chicago conobbi una cugina più grande, Tracy. Era una fottuta punk rocker, che mi ha fatto ascoltare gruppi come Bad Brains, Black Flag, Ramones e decine di altri. Mi portò al concerto dei Naked Regan, il primo della mia vita. Ero in paradiso! Della scena punk mi colpì l’indipendenza dalle logiche delle multinazionali, il fatto che operasse in modo autonomo. A 13 anni capii che potevo avere la mia band, scrivere le mie canzoni, incidere i miei dischi, promuovere i miei show, vendere le mie t-shirt. Le mie cose, da solo. E non c’era giusto o sbagliato. (...) Volevo essere parte di una rivoluzione, ma probabilmente stavo solo cercando di salvarmi la vita. Ho passato anni a dormire sul palco, per terra nei locali, sotto il palco - quando dormivo. È stato in quel periodo che ho sentito le cinque parole che hanno cambiato la mia vita: «Have you heard of Nirvana?». Non avevano un batterista e così mi sono fiondato. Suonavamo e basta. Non c’era sole, non c’era luna, c’era solo la musica. Comunicavamo tra di noi senza parlare. Eravamo tre persone orgogliose dei propri difetti che suonavano come se tutta la loro vita dipendesse da quella musica. È questo che milioni di persone hanno sentito e sentono dentro Nevermind. Nessuno ci aveva detto mai come suonare o cosa fosse giusto o sbagliato. Era la nostra musica. Onesta, pura, vera.

(...) Come conciliare l’enorme successo dei Nirvana con il sentimento anarchico che avevo dentro? Come accettare quel successo, come definirlo? Beh… Un musicista non deve avere sensi di colpa! Il senso di colpa è un cancro. Ti distrugge. È un buco nero. Non c’è senso di colpa nella prima canzone che scrivi, non c’è “giusto” o “sbagliato”. Sei sempre quella persona: il musicista. E il musicista viene prima. Si fotta tutto il resto! Nessuno può dire quale sia una bella voce. Forse The Voice? Ve lo immaginate Bob Dylan che canta Blowin’ In The Wind di fronte al giudice Christina Aguilera? È la tua voce. Rispettala. Nutrila. Sfidala. Urla finchè non ne avrai più! Quando Kurt morì ero perso. La musica, a cui avevo dedicato tutta la mia vita, mi aveva tradito. Non avevo più voce. Ho spento la radio, ho messo via la batteria. Non potevo sentire nessuno cantare di dolore, o di gioia. Ne avevo abbastanza. Ma poi mi sono ricordato del sentimento che avevo provato il 4 luglio del 1983, il giorno dell’Indipendenza, ai piedi del Lincoln Memorial. Quel sentimento di amore per la vita che aveva scatenato una rivolta emotiva dentro di me. E allora ho iniziato la mia rivoluzione. Sono entrato in studio e mi sono rimesso al lavoro. 14 canzoni in 6 giorni, suonando tutti gli strumenti. Andavo dalla batteria, alla chitarra, alla macchina del caffè, al basso, al microfono, alla macchina del caffè, di nuovo alla batteria e di nuovo alla macchina del caffè. Senza nessuno che mi dicesse cosa era giusto e cosa sbagliato. La stessa one-man band di vent’anni prima, e di vent’anni dopo. Era la mia voce. Feci questa cassetta, un centinaio di copie, e la chiamai “Foo Fighters”, così la gente pensò che fosse un gruppo. La diedi agli amici, ai parenti, a chi incontravo. Per me era una demo, un esperimento, una fottuta terapia. Una casa discografica mi chiamò per fare un album. Così chiesi consiglio a un’amica e sapete cosa mi disse? I musicisti vengono prima. Come quando avevo 13 anni capii che non avevo bisogno di nessuno: potevo avere la mia band, la mia etichetta, scrivere le mie canzoni, incidere i miei dischi, promuovere i miei show, vendere le mie t-shirt. E non c’era giusto o sbagliato perchè era la mia voce. Io ero il musicista e il musicista viene prima. Sono il miglior batterista al mondo? Certamente no. Sono il miglior songwriter? Neanche in questa cazzo di stanza! Ma fin da quel giorno in cui ascoltai Frankstein di Edgar Winter, sono sempre stato capace di trovare la mia voce». Dave Grohl al South By Southwest Festival di Austin, 14 marzo 2013.

onstage marzo 09


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INDICE APRILE 2013 N°60

40

32

MODà

Oltre 100.000 biglietti venduti per il tour. Kekko e Diego ci raccontano una storia di successo.

40

ZUCCHERO

Il nuovo progetto artistico di Sugar comincia dove l’Africa incontra i Caraibi. Baila morena!

46

GIANNA NANNINI

46

Lunga chiacchierata con la rocker senese alla vigilia del tour. Avercene di artisti così autentici...

52

ASAF AVIDAN

Ma tu pensa: la più acclamata voce del 2013 ha iniziato per caso. La storia nelle sue parole.

56

RAPHAEL GUALAZZI

52

Dietro quello sguardo timido c’è un artista colto e deciso. Faccia a faccia con il pianista-pittore.

58

Style

La moda p/e 2013 parte dai ghetti americani, passa per i campi da football e arriva nei negozi.

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58 10 onstage aprile

TOUCH DOWN!



INDICE

Face To Face

27

«Tutti possono fare un disco, costa zero». Non è vero! Da poco a tantissimo, ecco quanti soldi servono per fare un album.

30 STEFANO BOLLANI

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Jukebox

Apriamo il magazine con uno sguardo attento e interessato su musica, libri, cinema, cultura, tendenze.

Tenetevi forte. Il 22 aprile nasce la prima digital radio che trasmette solo musica live, 24 ore su 24. Onstage Radio comincia le sue trasmissioni e sarà disponibile, oltre che sul sito di Onstage e su quelli dei nostri partner, come app gratuita da scaricare su tablet e smartphone. Tutte le info a pagina 72.

19 FUORISALONE 2013 20

SINEAD O’CONNOR

22 RECORD STORE DAY 23

QUANTO COSTA FARE UN DISCO?

What’s New 22 APRILE 2013 NASCE LA DIGITAL RADIO DI ONSTAGE!

LAURA CHIATTI

Numbers

CONOR MAYNARD

24 SANTINO MARELLA

Cosa c’è di nuovo e interessante, ogni mese, ve lo diciamo noi. Album, film e games in uscita, puntualmente recensiti.

65

musica

68

cinema

70

games

72

ONSTAGE RADIO

Coming Soon

Il calendario concerti del prossimo mese e un focus sull’artista più importante tra quelli di cui ci occuperemo a maggio.

74

GREEN DAY

www.facebook.com/onstageweb @ONSTAGEmagazine

↘ Onstageweb.com Il nuovo sito di Onstage! Con l’arrivo della primavera, ci siamo rifatti il look, e non solo. Il nuovo sito di Onstage debutta alla fine di aprile, con un nuovo stile e nuove funzionalità. Ancora più semplice e immediato da navigare, il website ha un calendario concerti struttturato

12 onstage aprile

per offrirvi tutte le informazioni di cui avete bisogno per seguire l’attività dal vivo dei vosti artisti preferiti oppure per sapere tutto dei live nelle vostre città. E poi ancora più contenuti: foto dei concerti, recensioni di live e album, blog. Stay connected!



OSPITI APRILE 2013

Dudi Hasson

Julian Hargreaves

Charlie Rapino

A 30 anni il fotografo di Tel Aviv è uno dei più importanti nel settore moda. Tra i personaggi con cui ha lavorato i connazionali Bar Refaeli e Asaf Avidan. Ospitiamo gli scatti che ritraggono il cantante israeliano.

Nato a Varese (deve il suo nome al padre inglese), appassionato di viaggi e arte contemporanea, il 38enne fotografo si occupa di moda e ritratti, come quelli dei Modà che trovate nelle pagine di questo numero.

Emigrando in Inghilterra ha trovato l’America (ma pure in Italia partecipando ad Amici come coach). Produttore dance e pop, da due anni butta benzina sul fuoco per noi dalla sua roccaforte: Londra.

Andrea Bariselli

Stefano Verderi

Virginia Varinelli

Ideatore di RicetteRock.com, musicista, produttore, manager, editore. Ci racconta le sue innumerevoli esperienze con artisti e band a cui dedica succulenti piatti pensati ad rock. Altro che MasterChef!

“The Wizard” è il chitarrista de Le Vibrazioni. Diplomato al Musicians Institute di Los Angeles, ha fondato la Basset Sound nel 2010 per produrre nuovi artisti. Ci parla di affascinanti suggestioni retrò.

Fashion blogger tra le più attive del world wide web, Didi ha cominciato a scrivere di moda nel 2011, quando ha fondato il blog The Ugly Truth Of V (.com). Da quest’anno, cura la nostra sezione Style.

Registrazione al Tribunale di Milano n° 362 del 01/06/2007 Direttore responsabile Emanuele Vescovo info@onstageweb.com Direttore editoriale Daniele Salomone d.salomone@onstageweb.com Ufficio grafico Eros Pasi e.pasi@onstageweb.com Giulia Vidali g.vidali@onstageweb.com Redazione Francesca Vuotto f.vuotto@onstageweb.com Tommaso Cazzorla t.cazzorla@onstageweb.com

14 onstage aprile

Hanno collaborato Guido Amari, Antonio Bracco, Blueglue, Jacopo Casati, Antonella Frezza, Stefano Gilardino, Alvise Losi, Marco Rigamonti, Raffaella Turati, Simona Voglino.

Ufficio commerciale Eileen Casieri e.casieri@onstageweb.com Marianna Maino m.maino@onstageweb.com Mattia Sbriziolo m.sbriziolo@onstageweb.com

Direttore marketing Luca Seminerio l.seminerio@onstageweb.com

Distribuzione e logistica Laura Cassetti l.cassetti@onstageweb.com

Direttore commerciale Francesco Ferrari f.ferrari@onstageweb.com

Concessionaria per la pubblicità Areaconcerti srl via Carlo De Angeli 3 20141 Milano Tel. 02.533558

Direttore amministrativo Mario Vescovo m.vescovo@onstageweb.com

Filiale di Roma Paola Marullo p.marullo@onstageweb.com

Pubblicità Triveneto Everest ADV Viale Delle Industrie 13, Limena (PD) tommaso.perandin@everlastadv.it Pubblicità Toscana e Umbria Sara Moretti s.moretti@onstageweb.com Stampa Rotolito Lombarda Via Sondrio, 3 20096 Pioltello (MI) Onstage Magazine è edito da Areaconcerti srl via Carlo De Angeli 3 20141 Milano Tel. 02.533558 info@areaconcerti.it


NON CONOSCERAI

TERRORE PIÙ GRANDE.



74 anni

fa nasceva Marvin Gaye. Era il 2 aprile del 1937. Sempre ad aprile, 45 anni dopo, un proiettile sparato dal padre lo uccideva. Lanciato dalla Motown, Marvin ha scritto alcune delle migliori pagine della musica soul e r’n’b americana. La sua produzione è uno dei grandi patrimoni artistici del ‘900.


C H E I L C O M B AT T I M E N T O A B B I A I N I Z I O


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JUKEBOX

AUTOGESTIONE

ALLA MILANESE

Dal 9 al 14 aprile, Milano è la capitale del design con il Salone del Mobile. Ma l’attenzione del pubblico è sempre più rivolta al Fuorisalone, circuito di eventi nato e gestito spontaneamente da privati. di Francesca Vuotto

A

Milano primavera fa rima con Salone del Mobile. Anche se la percezione dell’evento, in città, sta cambiando. Perché le attività e serate che proliferano durante i giorni della fiera, al di fuori dei suoi spazi, si sono a tal punto radicate (e moltiplicate) da spostare l’attenzione del pubblico sul Fuorisalone, vero centro di gravità della settimana del design. Un po’ come durante le sfilate, Milano si trasforma ed è tutto un brulicare di eventi, live show, presentazioni, aperitivi, dj set e chi più ne ha più ne metta. Uno degli aspetti più interessanti del Fuorisalone sta nella sua natura: non esiste un ente o un’organizzazione che l’abbia pensato o pianificato a tavolino: è nato spontaneamente. Una sorta di autogestione. I singoli eventi sono come stelle, che guardate nell’insieme formano una costellazione ben riconoscibile e definita, ma che nascono ed esistono in autonomia. A Dino Lupelli, che da quattro anni cura ed organizza l’Elita Festival, uno degli eventi più affermati del Fuorisalone, tutto questo piace molto. «Più di una volta ho sentito gente chiedere se l’attività a cui stava assistendo era parte del “programma ufficiale”. È indicativo della percezione che ne hanno le persone. E invece è la città che da sola si preoccupa di accogliere bene chi arriva da mezzo mondo, è bellissimo». Certo, si potrebbe fare molto di più. È un cruccio per chi opera in questo settore. «Manca un adeguato supporto. Penso per esempio all’ambito della ricettività, si potrebbero ideare

Woodkid è uno degli ospiti del Design Week Festival di Elita: dj set il 10 aprile al Teatro Parenti

dei pacchetti convenienti per chi deve trovare promuovere solo la qualità. Allentare un po’ alloggio in città in quei giorni, in cui i prezzi le maglie per sveltire le dinamiche può aprire salgono alle stelle costringendo chissà quanti a spazi anche a progetti meno meritevoli, ma fa rinunciare. Trovare una modalità sarebbe van- parte del gioco. È un po’ come a Hollywood: taggioso per tutti» spiega Dino. Scavando in tra i tanti film, ce ne sono anche di meno belprofondità, si arriva presto all’eterno problema li, ma intanto la scelta è molto ampia e quelli italiano: la burocrazia. Autorizzazioni e per- interessanti sono numerosissimi. Serve una messi, leggi e decreti che si frappongono tra visione ampia e lungimirante, che porterebbe un’idea e la sua realizzazione. «È fondamentale sviluppo e posti di lavoro in più». Tra tante difficoltà, l’entusiasmo e la voglia sburocratizzare il sistema per alleggerire il lavoro di tutti, da una parte e dall’altra. È un di- di fare hanno la meglio sulla frustrazione e la scorso che vale per noi e il Fuorisalone, ma in sensazione di immobilismo: «Continuiamo ad generale per gli eventi, qui e nel resto d’Italia. andare dritti per la nostra strada, lavorando Per limitarci all’esperienza milanese, basta ve- con le varie entità del territorio - penso per dere com’è andata l’anno scorso con i concerti all’Arena Civica: «Il Fuorisalone è la città che da sola si a tutt’oggi manca un referente preoccupa di accogliere bene chi arriva unico, quindi siamo punto a da mezzo mondo. È bellissimo, ma se capo anche per l’estate 2013». ci fosse più supporto e minore burocrazia Per Milano, il discorso rienne gioverebbero tutti» Dino Lupelli (Elita) tra in una questione più ampia. «L’attenzione delle istituzioni restano quasi esclusivamente rivolte alla co- esempio alla nostra collaborazione con il Teasiddetta “Cultura con la C maiuscola”. C’è tro Franco Parenti. Ci siamo convinti che chi ancora una mentalità un po’ vecchia, che pe- fa da sé fa per tre, ma non perdiamo la sperannalizza soprattutto il mondo giovanile» spiega za che qualcuno prima o poi si svegli e valorizLupelli. «È un atteggiamento legato alla vo- zi questa città, per andare ancora più incontro lontà di controllare tutto, per salvaguardare e a chi vi opera e ai suoi cittadini».

onstage aprile 19


JUKEBOX

NON È PIù COME PRIMA

Dopo qualche problema di salute, SinEad O’Connor è di nuovo in pista. In attesa di raggiungere anche l’Italia (il 2 Aprile a Venezia e il 7 a Roma), ci ha raccontato la sua nuova vita artistica. di Antonella Frezza

è

famosa Sinead O’Connor per essere cose del genere, visto che ci piacciono tanuna che non le manda a dire, diretta to!». Insomma messo da parte il “personaganche nel titolo del suo ultimo al- gio”, Sinead è determinata a concentrarsi bum How About I Be Me (And You Be You?): solo sulla sua arte. «È tanto tempo che lavoro «È un modo carino per dire alle persone di nell’industria musicale, ma quello che usavo andare a quel paese e lasciarmi in pace. C’è veramente per fare musica era molto limitastato un periodo in cui tutti mi dicevano to. Ora però ho ribaltato la situazione ed è cosa fare, cosa dire, cosa pensare. Ora vo- molto meglio», racconta prima di confessare glio solo poter essere me stessa». Nemme- che la parte che ama di più del suo lavoro no i problemi di salute che lo scorso anno è suonare dal vivo: «Non mi interessa dove, l’avevano spinta a cancellare la promozione come e con chi. Stare su un palco insieme ad del disco sembrano aver intaccato il carattere forte e risoluto della musicista irlandese, che oggi più che «Negli ultimi tempi ho iniziato a scrivere per il semplice gusto di suonare. Posso mai ha imparato a godersi in modo anche fare canzoni senza un’implicazione genuino quello che fa: «Quando ero emotiva. Pure e semplici canzoni pop» più giovane fare musica mi aiutava ad affrontare e gestire determinate emozioni - spiega - ma negli ultimi anni il punto di vista da cui scrivo è cambiato ed ho iniziato a farlo per il semplice gusto di suonare. Questo significa che adesso posso tranquillamente fare canzoni senza che debbano avere per forza un’implicazione emotiva, pure e semplici canzoni pop». Proprio come l’ultimo singolo 4th And Vine che «non è altro che un brano allegro per ragazze. La gente dovrebbe scriverne di più di pezzi così, che parlano di trucchi e

20 onstage aprile

altri musicisti è la sensazione più bella del mondo». E pensare che da bambina voleva fare tutt’altro. «Volevo diventare una ballerina - ammette - ma mi hanno fatto notare che il mio corpo non era adatto, perché ho la schiena un po’ curva. Allora ho iniziato a pensare che invece avrei potuto cantare e oggi col senno di poi sono contenta di come siano andate le cose». Voi che dite?

*

LONDON CALLING Di Charlie Rapino

1973 vs 2013:

TROVA LA DIFFERENZA 1973 Esce il disco seminale dei Pink Floyd The Dark Side Of The Moon. 2013 40 anni di The Dark Side Of The Moon, Tom Stoppard ne scrive una piece teatrale. 1973 I Rolling Stones vanno in tour ed è il tour dell’anno. 2013 I Rolling Stones vanno in tour ed è il tour dell’anno. 1973 Se vai male a scuola i tuoi ti fanno un culo così e ti spediscono a lavorare. 2013 Se vai male a scuola i tuoi fanno un culo così ai professori. 1973 Esce Ciao mare dell’Orchestra Casadei. 2013 Babel dei Mumford&Sons vince un Grammy. 1973 Led Zeppelin e Stones vanno in giro con le meglio sbarbe, che si schiantano su jet privati e macchinoni. 2013 Gli artisti vanno in giro con mamme e fidanzate, mangiano organico e arrivano in Toyota Prius. 1973 Vuoi portarti a letto Stevie Nicks 2013 Non pensare di portarti a letto Taylor Swift, scriverà una canzone dicendo che sei una pippa. 1973 I comici vanno in tv. 2013 I comici vanno in Parlamento, i politici in TV (Renzi ai talent). 1973 I politici cercano di apparire di fianco ai musicisti per pigliare quattro voti in più. 2013 I musicisti cercano di apparire di fianco ai politici per vendere quattro copie in più. 1973 Porto il programmatore di una radio a cena. 3 ore per convincerlo a suonarmi il pezzo. 2013 Mando il pezzo via email al programmatore radio. Lo ascolta? Boh, io l’email l’ho inviata... 1973 Lucio Battisti e i Led Zeppelin non si fanno vedere in televisione. 2013 Gli artisti si scannano per andare a X Factor e Amici. 1973 Se lo mando a Sanremo ho chiuso con la sua credibilità di artista. 2013 Mandiamolo a Sanremo! La credibilità? Ma di che cazzo parli? 1973 Ho lo stereo. 2013 Avete lo smartphone. 1973 L’Alessandrino Maledetto e Rapino rubano i soldi in casa per comprare The Dark Side Of The Moon e farsi le seghe mentali. 2013 L’Alessandrino e Rapino comprano The Dark Side Of The Moon del 40simo (in vinile) per farsi le seghe mentali alla faccia del 2013, che è roba da democrazia, roba da repubblica!



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QUALITà vs QUANTITà Il 20 aprile si celebra il Record Store Day 2013, appuntamento annuale dedicato ai negozi indipendenti di musica: una rivincita della qualità sul dominio della quantità. di Stefano Gilardino

A

nche quest’anno, per tutti gli appassionati, il Record Store Day si preannuncia una fantastica festa mondiale, non solo e giustamente a salvaguardia dei negozi di dischi, ormai “professione protetta” e quindi da supportare in maniera incondizionata, ma anche per la qualità sempre eccelsa delle uscite che saranno disponibili dal 20 aprile. E non è certamente un caso che il nuovo ambasciatore, dopo sua maestà Iggy Pop, sia un appassionato di vinili e collezionismo come Jack White che, con la sua label personale Third Man, ha dato alle stampe alcuni tra i pezzi più pregiati, rari e bizzarri degli ultimi anni. Proprio l’ex leader dei White Stripes, nel video promo che introduce l’edizione del 2013, spiega con dovizia di particolari la sua passione per i vinili

e offre un maggiore incentivo, se ancora ce ne fosse bisogno, all’iniziativa. Già, perché il Record Store Day non vuole solamente essere un’esortazione ad andare a visitare il negozio a voi più vicino - o quello che preferite, insomma -, ma anche un bel modo per accaparrarsi pezzi pregiati e unici, edizioni in vinile che saranno disponibili in quantità limitata e per un breve periodo di tempo (salvo poi finire su eBay o sui siti per collezionisti al triplo del prezzo di partenza). La lenta ma costante riconquista di fette di mercato consistenti da parte dei vecchi 33 e 45 giri è un bel segnale, soprattutto se si pensa a una fruizione della musica dominata ormai da lettori mp3, streaming, Spotify, YouTube e, parzialmente, dai CD, ormai quasi obsoleti

INTENSAMENTE PATTI L’Auditorium Parco della Musica di Roma compie 10 anni e si fa un regalo: un rassegna artistica, My Festival, curata da Patti Smith.

«I

l mio lavoro è diffondere bellezza e intelligenza» ha recentemente dichiarato Patti Smith in un’intervista. Come non innamorarsi di un tale manifesto? è tutta riassunta in questa frase la sua vita, in cui si è votata alle più svariate forme d’arte. E non si poteva non pensare ad una figura di tale caratura e poliedricità per festeggiare le prime dieci candeline dell’Auditorium Parco della Musica, polo culturale e multifunzionale della Capitale. Dal 9 al 25 aprile la Sacerdotessa del Rock farà il suo ingresso, appropriandosene, nel Tempio romano della Musica con My Festival, manifestazione da lei curata per festeggiare il compleanno della location attraverso le mille sfaccettature dell’Arte. Tra mostre, incontri,

22 onstage aprile

letture e la proiezione di documentari - tra cui Dream Of Life dedicato proprio alla Smith - e film (come la Medea di Pasolini, alla presenza di Bernardo Bertolucci) la fa da padrona, inevitabilmente, la musica. Cinque i concerti a calendario (Nicola Piovani, John Grant, Meshell Ndegeocello, Cristiano De Andrè e Vinicio Capossela), a cui si aggiungono tre eventi speciali che Patti ha riservato a sé. Il 10/04 rivisita il suo repertorio insieme ai figli Jesse (al piano) e Jackson (alla chitarra), la sera del 13/04 omaggia il poeta ed amico Allen Ginsberg - con un reading in cui gli fa da spalla il fido chitarrista Lenny Kaye -, mentre il 14/04 ripropone, in esclusiva, i brani del disco Horses con cui si è fatta notare nel 1975. F.V.

e tristemente superati. Possiamo leggerlo come una piccola vittoria della qualità sulla quantità, un segno che, seppure di nicchia, il vecchio vinile affascina un pubblico non solo composto da appassionati cinquantenni. Se non ci credete, andate a vedere coi vostri occhi il prossimo 20 aprile, se non altro per toccare con mano splendide edizioni di Cure, PIL, Garbage e decine di altri. Cominciate a contare i vostri sudati risparmi, ne vale la pena.

HOT LIST I 10 brani più ascoltati in redazione durante la lavorazione di questo numero Depeche Mode Soothe My Soul (Delta Machine, 2013) David Bowie The Stars (Are Out Tonight) (The Next Day, 2013) Fedez feat. Francesca Michielin Cigno Nero (Sig. Brainwash, 2013) Donny Hathaway Someday We’ll Be Free (Extention Of A Man, 1975) The Knife A Tooth For An Eye (Shaking The Abitual, 2013) Sound City Players Mantra (Sound City: Real To Reel, 2013) Blood Sweet and Tears Lucretia Mac Evil (Blood Sweet And Tears 3, 1970) Kendrik Lamar Swimming Pools (DRUNK) (Good Kid M.A.D. City, 2012) The Strokes Tap Out (Comedown Machine, 2013) Frank Ocean Lost (Orange Channel, 2012)


di Stefano Verderi

ALTRO CHE JUSTIN BIEBER! Un altro teen idol esploso grazie a YouTube, inseguito da un’orda di fan con tanto di titolo (Mayniacs). Eppure Conor Maynard, inglese classe ’92, dice di non avere nulla a che fare con Bieber. In effetti…

L

iquidato spesso troppo frettolosa- sione 2.0 di un disco di Bieber” - si è ritromente dai più come la versione bri- vato a lavorare con uno dei big di cui fino a tannica di Justin Bieber, il dicianno- poco fa interpretava i brani postandoli poi venne Conor Maynard si vede sempre più sulla piattaforma video, Frank Ocean, che costretto a dimostrare quanto in realtà sia ha dato il suo contributo al brano Pictures. fortemente diverso dal suo presunto alter «Voglio che le persone rispettino la mia voce ego. I punti in comune tra i due si esauri- e la mia musica. Non so se questo signifiscono nell’aver agguantato la visibilità gra- chi anche avere paparazzi che mi seguono, zie a YouTube e nelle orde di ragazze urlanti ma finchè là fuori ci saranno persone che che si portano dietro, pronte a scannarsi su ascoltano le mie canzoni, io sarò felice” ha quanto sia bello e bravo l’uno o l’altro - è spiegato a Rolling Stone USA a gennaio. Con questo candore, il (quasi) riconol’infinita lotta Beliebers vs Mayniacs. Messi da parte questi elementi, che il nostro Co- sciuto talento e la sua bella faccia pulita nor maneggia con grande filosofia, Maynard arriva in Italia dal 18 al 20 aprile per tre ce la sta mettendo tutta per portare avanti il suo progetto musicale, cercando di affermarsi sempre più «Voglio che le persone rispettino la mia voce e la mia musica. Non so se questo con la sua arte piuttosto che con gli significhi anche avere paparazzi che atteggiamenti da star che invece cami seguono, ma finchè là fuori ci saranno ratterizzano il suo coetaneo a stelle persone che ascoltano le mie canzoni, e strisce. io sarò felice» Ben consapevole delle sue spiccate doti - che non a caso sono state notate agli albori della sua carriera da Ne-Yo - Conor sta lavorando affinchè concerti a Milano, Roma e Modena in cui quel che rimanga nelle persone sia la sua promette di farcene ascoltare delle belle. E musica, proprio come quella R’n’B ha fatto cantargliele, così, a quel Bieber che a fine breccia in lui fin da piccolo. Per il suo disco marzo in quel di Bologna ha tirato fuori la di esordio Contrast - che ha intitolato così stoffa da entertainer, ma un po’ poco quella proprio per sancire quanto non sia la “ver- da performer. F.V.

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RETROMANIA

LET IT BE

(Smettere di fare dischi in studio)

N

el 2011 ho prodotto il disco di un gruppo italiano: gli Apple Pies. L’estate scorsa il loro bassista/cantante è stato scelto per il cast del musical sui Beatles intitolato Let It Be, che esordirà il prossimo ottobre a Londra. Ho avuto il piacere di andarlo a vedere. Il musical è abbastanza anomalo, perchè non ha alcuna storia recitata o narrata ma è semplicemente una performance rigorosamente live e molto accurata nei dettagli e nelle scenografie, che ripercorre tutta la carriera dei Fab Four. Ora, come è noto, i Beatles hanno ad un certo punto della loro avventura smesso di suonare dal vivo: in questo musical viene immaginato come sarebbero potute essere le esibizioni di alcuni brani che nemmeno gli “originali” hanno mai suonato in concerto. La scelta dei Beatles, non salire più sul palco e proseguire la carriera pubblicando solo LP registrati in studio, fu allora rivoluzionaria, ma s’inseriva in un momento storico (1966/67) in cui i dischi subivano una fortissima impennata di produzione e di vendite. Pensate che oggi si parla di cali del 70% da un anno all’altro, e per un artista o gruppo attualmente sarebbe impensabile prendere una decisione del genere. Certo, i Beatles furono particolarmente sfortunati nei live, perchè non avevano attrezzature adeguate e perchè proprio la beatlemania gli si rivoltò contro come un boomerang. La scelta radicale di chiudersi in studio li portò d’altro canto a spingersi verso nuovi orizzonti sonori e a fare sperimentazioni sulle tecniche di registrazione, delle quali ancora oggi se ne godono i risultati. Per un musicista esprimere la propria creatività in studio è cosa ben diversa dal condividere la propria musicalità dal vivo. Che strana inversione di rotta è accaduta: oggi, sarebbe più plausibile e rivoluzionario per un musicista non fare più dischi in studio, ma suonare la propria musica solo dal vivo, ed eventualmente mettere in vendita solo le registrazioni live. Beh, io dico “let it be”, lasciate che sia così!

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JUKEBOX

NON È FACILE! Santino Marella (al secolo Anthony Carelli) interpreta l’italiano orgoglioso della sua patria, nonostante sia canadese. Ci ha spiegato cosa significhi essere una superstar del wrestling. di Jacopo Casati

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port entertainment per antonoma- mane tutti noi passiamo ore a guardare le foto sia oltreoceano, il wrestling funzio- delle nostre famiglie. E’ dura. Per fortuna oggi na bene anche in Italia. Nonostante comunicare è più semplice. Hai mai pensato di mollare tutto? l’ostracismo degli intellettuali da bar (quelli appassionati di reality), la WWE fa periodi- Più di una volta, ma poi passa. Quando capicamente tappa nel nostro paese, registrando sci che stai perdendo così tanti momenti imun sold out dopo l’altro. In attesa che il roster portanti nella vita della tua famiglia è terribile. di Smackdown arrivi a Bologna (25 aprile) e Ma questo mestiere ti consente di aiutare i Trieste (26), il portabandiera Santino Marella figli ad avere una vita migliore, puoi mandarli ci ha parlato di tutto quello che in televisione all’università e fare in modo che non abbiano preoccupazioni. non si vede. Come ti senti ad avere successo grazie a Cosa vuol dire essere una superstar della un personaggio così particolare, piuttosto WWE? Io dico sempre che combatto gratis e che sono che per le doti da lottatore? pagato per portare le mie valigie intorno al Per avere successo devi essere un lottatore camondo. Viviamo sugli aerei e negli hotel, la- ratteristico, saper fare l’attore e interpretare voriamo circa 330 giorni l’anno e dobbiamo il personaggio. A questo devi poi unire uno essere sempre in forma. Le performance sono solo una piccola parte in tutto «Viviamo sugli aerei e negli hotel, questo. lavoriamo 330 giorni l’anno e dobbiamo Quanto è impegnativo un lavoro essere sempre in forma sempre» del genere? Quando partiamo per una tournée non abbiamo giorni di riposo, se la prima sera ti fai stile di combattimento che ti renda credibimale devi convivere con il dolore. Ma questa è le a 360 gradi. Mi trovo benissimo in queste la parte meno difficile. Dopo un paio di setti- vesti, quando ero più giovane mi chiamavano The Center Stage, ho sempre avuto un grande ego e sono perfettamente a mio agio in queste vesti. Hai esordito proprio a Milano. Cosa ricordi di quella sera? Quella volta sono diventato Campione Intercontinentale, la folla è impazzita non appena ho gridato “Forza Italia”. I colleghi mi hanno detto che raramente hanno sentito una reazione del genere per un debuttante. Io sono nato in Canada ma mio nonno era calabrese, ho passaporto italiano e mi piacerebbe vivere qui.

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RICETTE ROCK di Andrea Bariselli

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FETTUCCINE EL DIABLO

ella mia esistenza musicale ho incontrato Piero Pelù e i Litfiba in diverse occasioni e ogni volta per puro caso. Agli albori della mia storia da musicante, in quel di Firenze, abitavo ad un portone di distanza dallo studio dell’allora I.R.A. Records (casa produttrice dei primi lavori di Litfiba e Diaframma) e facevo colazione un giorno sì e uno no con qualcuno di loro. Qualche anno dopo, sempre a Firenze, al centro sociale l’Indiano c’erano i White Zombie di Rob Zombie e li avevo di fianco. Quando Piero e Ghigo decisero di separarsi e il nome dei Litfiba rimase al chitarrista, mi ritrovai la band come headliner ad uno pseudo-festival di Roma, in un locale che se non ricordo male di chiamava Albatros o probabilmente Alpheus, non ricordo. Senza Piero, una tragedia. Invece lui, Pelù, aveva intrapreso la carriera solista e l’iter da seguire era quello più mainstream, quello dettato dall’industria discografica che nel 2008 stava per esalare l’ultimo respiro. Come il Festivalbar d’altra parte, dove lo incontrai nella tappa di Napoli. Eravamo in un hotel molto bello e famoso che affacciava sul mare e sulla passeggiata di via Partenope. Alle 2 del mattino lo incontro al bar dell’hotel, una lunga chiaccherata tra rockers, tra vecchi amici che in realtà manco si conoscevano. Oggi lo rivedo in Tv in uno dei nuovi contenitori musicali alla ricerca di nuovi talenti da triturare e risputare privati dei loro sogni. Continua a fare quello che sa fare meglio, il diabolico Pelù, El Diablo. Non ha mai cambiato una virgola del suo personaggio da quando prendeva il cappuccino al bar di Via Luca Landucci alla fine degli anni 80. Neanche durante le sue performance soliste del nuovo millennio e neanche ora che è approdato al grande schermo a giudicare i nuovi talenti al buio. Semplicemente diabolico, e a me piace molto. In cucina il Diavolo è il peperoncino, che in Italia è buono e abbondante. Pelù +Lifiba + pereroncino? Le Fettuccine El Diablo! Ingredienti per 2 persone: 200g fettuccine all’uovo, 70g salame piccante, 150ml panna da cucina, 1 spicchio d’aglio, 1 cucchiaio di curcuma, 2 uova, 3 cucchiai caciocavallo grattugiato, peperoncino a volontà.

Per la preparazione www.ricetterock.com



FACE TO FACE

STEFANO BOLLANI Un grande del jazz italiano, recentemente diventato popolare grazie alla tv. Ma l’ultima prova di Stefano Bollani è un libro, Parliamo di musica, che affronta il suo mondo a 360 gradi. di Francesca Vuotto

P

© Erminando Aliaj

arliamo di musica sembra un invito per il pubblico, ma leggendolo si capisce che è indirizzato anche ai tuoi colleghi. Mi sono accorto che il mondo è pieno di gente che parla, ma da sola, senza capire che magari anche gli altri gli stanno dicendo qualcosa e anche tanti musicisti sono sordi, si suonano addosso senza ascoltarsi. E così trasformano la musica in una forma di egoismo. Insisti in più passaggi sulla necessità del dialogo tra musicisti durante i live.

Quando manca, il pubblico percepisce la noia e la pappa pronta, che per certi generi è quello che vuole. Mi spiego: è molto probabile che chi va a vedere Paul McCartney speri di ascoltare Yesterday, possibilmente nell’arrangiamento originale, e con i Beatles al completo. La pappa pronta può anche essere di altissimo livello, ma crea concerti sempre uguali. Nel caso del jazz invece il pubblico esige un’esperienza la cui unicità sia garantita da quello che succede in quel momento sul palco. E il tuo dialogo con il pubblico meno avvezzo al jazz come si realizza? L’improvvisazione è quello che mi fa suonare ogni sera, altrimenti mi annoierei e sarebbe un mestiere come un altro. Ma non credo sia il modo con cui lo conquisto, penso piuttosto di arrivargli perché gli parlo di musica e spiego ciò che faccio, interagendo dal palco. Anche se poi la gente vuole il risultato, che la canzone sia bella, e non è detto che gli interessi il modo in cui è stata concepita o eseguita. Quindi non sono gli ascoltatori ad essere pigri ma i musicisti a porsi male. Le colpe e le responsabilità sono sempre di tutti e io penso innanzitutto a me stesso. Bisognerebbe ragionare in ogni ambito così, ma non si fa mai nella vita, figurati nella musica. I musicisti hanno la responsabilità di mettere sincerità, professionalità e voglia di comunicare

in quello che fanno. Le prime due bastano per ottenere un buon prodotto, ma non per comunicare. E se non si vuole comunicare non si sta parlando di fare musica. D’altra parte, non c’è mai stato in Italia un programma ben pensato per educare alla musica nelle scuole, con evidenti ricadute sull’atteggiamento nei confronti di ciò che non è popular. A volte il dialogo tra musicisti giù dai palchi si traduce in aggressività, soprattutto dove intervengono logiche commerciali. La competizione e l’aggressività riguardano quasi sempre questioni spicciole, mai la musica. Dell’altro danno fastidio il successo, le vendite o la presenza massiccia sui media, ma non si arriva a odiarne la musica. I grandi musicisti si amano, di questo sono convinto. è difficile che uno che scriva bella musica non abbia il coraggio di togliersi il cappello davanti a un collega che faccia altrettanto. Per tornare al pubblico, cosa ci dici di quello italiano? Al momento è il migliore per il jazz, tra i più numerosi in Europa. Anche se non è più quello «Non c’è mai stato in Italia un programma ben pensato per educare alla musica nelle scuole, con evidenti ricadute sull’atteggiamento nei confronti di ciò che non è popular» purista di un tempo, è trasversale e ascolta anche il pop o la musica etnica. Per una volta non siamo il fanalino di coda e possiamo vantarcene anche nei confronti della Francia, da sempre appassionata di questo genere. Eppure non c’è spazio in tv per i generi musicali colti. Resti un’eccezione. Purtroppo è cosi, di gente che fa jazz o classica in tv non se ne vede. è un peccato anche perché programmi dedicati ad altri generi costerebbero poco: basterebbe una buona idea, una buona regia e dei buoni musicisti, che si accontenterebbero di una tale conquista e di certo non chiederebbero un compenso stellare. Ma non si può ridurre tutto a una questione di soldi: anche i rimedi naturali costano meno, eppure la gente continua ad andare in farmacia. E così torniamo al discorso sull’educazione. La tv può fare qualcosa, ma serve un cambiamento più radicale.


IRON MAN 3

PARTECIPA AL CONCORSO Marvel e Onstage Magazine ti regalano fantastici gadget personalizzati Iron Man 3! Per partecipare rispondi alle due domande: 1 Qual è il nome del brillante industriale dietro al quale si cela Iron Man? 2 In quale anno debuttò il primo fumetto interamente dedicato ad Iron Man?

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Ricordati che potrai giocare una volta sola per ogni persona e l’indirizzo e-mail deve essere esistente ed attivo. Nel caso contrario la giocata sarà annullata.


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FACE TO FACE

LAURA CHIATTI Nel film Il volto di un’altra, dall’11 aprile nei cinema, l’attrice si mette in gioco per interpretare con grande ironia una bella (di nome e di fatto) star della TV. di Antonio Bracco

I

n questa commedia di Corsicato interpreti una conduttrice televisiva molto amata dal pubblico e sposata con un chirurgo estetico, interpretato da Alessandro Preziosi, che fa operazioni in diretta TV. E ad un certo punto Bella, il mio personaggio, viene licenziato. Si infuria e quando esce dal lavoro ha un incidente in auto che le sfigura il volto. Insieme al marito decide di sfruttare questa nuova condizione per rilanciare la propria immagine. Grondano metafore o sbaglio?

Il messaggio che passa è questo: il mondo è una finzione e viviamo in una società in cui noi tutti quando scendiamo dal letto andiamo in scena. Siamo ossessionati da una perfezione fisica e morale che è irraggiungibile. È una riflessione sui tempi attuali dove essere e apparire sono diventate la stessa cosa. Molte persone cercano di spettacolarizzare quasi tutto di sé, anche un incidente d’auto come in questo caso. Pappi Corsicato ha trovato una chiave molto ironica per raccontare questa deriva. A parte le riflessioni si direbbe un bel ruolo per un’attrice. Mi sono divertita molto. Per la prima volta ho avuto un ruolo importante con un alto contenuto, non una spalla ma un personaggio centrale con un vero sviluppo. Detto questo, Bella è caratterialmente molto lontana da me, molto poco naturale, recita anche nella vita privata. Quando hai fatti i conti con la tua innegabile bellezza? Mai fatti. Ognuno trova sempre grandi difetti su di sé. Sono meglio adesso di quando ero una teenager, sono più donna, ho più cose da raccontare con il viso. Quelle rughette che mi vedo ora mi rendono più vissuta, più matura, non mi dispiacciono. Si accompagnano alle esperienze emotive della mia vita. Poi sì, ci

sono giorni in cui mi trovo carina, altri in cui sono pessima. E il tuo canone ideale di bellezza maschile qual è? Il mio fidanzato (il giocatore di basket Davide Lamma, ndr), ovviamente! Più invecchia più diventa affascinante. Non perché sia il mio fidanzato, perché è oggettivamente molto bello. Se vuoi un altro esempio ti dico Vincent Gallo. Al di là del fatto che mi piaccia come attore ha una bellezza particolare, molto imperfetta. Se la Disney non ti avesse ingaggiato per doppiare voce e canzoni di Rapunzel non avremmo saputo nulla della tua voce meravigliosa... Quella è stata l’esperienza più bella della mia vita. Cercavano un’attrice che potesse recitare e cantare. È stata una grande soddisfazione rifare le canzoni dal vivo ai miei due nipotini che non aspettano altro. ...e non avremmo saputo nemmeno che avevi inciso due dischi in inglese a 15 anni. Oddio, sui dischi possiamo anche sorvolare. Quelli sono stati un esperimento di un pro«Per la prima volta ho avuto un ruolo importante con un alto contenuto, non una spalla ma un personaggio centrale con un vero sviluppo» duttore amico di famiglia che mi aveva messo in mezzo ad un progetto per gioco. Non vorrei mai riascoltare quei CD, perché l’inglese lo sto studiando adesso. Non so come abbia potuto cantare in lingua all’epoca. Forse cercavi una scusa per assecondare una tua vocazione. È vero che è stata sempre la mia passione il canto. Mi portavano ai karaoke da piccola, mi divertivo molto, ma non di fronte al pubblico perché diventavo subito afona. Ho capito che non avrei mai potuto farlo come mestiere. Poi a 30 anni mi sono accorta che ero pronta. Ascolto molta musica italiana: Luigi Tenco, Rino Gaetano, Al Bano, Tiziano Ferro, Negramaro, Modà, Malika Ayane. Mi piace capire il senso delle canzoni. Adoro anche Bob Dylan ma soffro per non capire il testo. Ecco perché studio inglese. Non per andare a fare l’attrice in America.

onstage aprile 29


NUMBERS

QUANTO COSTA FARE UN DISCO? «Ormai tutti possono fare un disco, non costa nulla». Sentiamo questa frase abitualmente. Sarà vero? Non proprio. Si può spendere poco, ma anche tantissimo. Ecco tre possibili scenari. di Jacopo Casati

1

AUTOPRODUZIONE SOLO ARTIST

AUTOPRODUZIONE BAND

SEQUENCER PLUG IN TASTIERA MIDI

PC/MAC

STUDIO PER REGISTRARE LA BATTERIA

SOFTWARE

800 € 100 €

800 €

TOT. 2.500 €

100 € 100 €

300 €

2.500 €

2.000 € CASSE MONITOR

SCHEDA AUDIO INTERFACCE DI REGISTRAZIONE USB

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0€

CUFFIE

DISTRIBUZIONE DIGITALE GRAFICHE E PROMOZIONE DIY (Do It Yourself)

I

l digitale, la banda larga e il software open source hanno rivoluzionato moltissimi ambiti produttivi. Creare, registrare e incidere musica è un’attività completamente diversa rispetto solo a dieci anni fa. Ma è sbagliato credere che a tutto questo corrisponda un azzeramento totale dei costi per incidere un disco, come si sente dire in giro con il tipico pressapochismo di chi è ignorante in materia. Così abbiamo “costruito” tre possibili profili di spesa per chi desidera confezionare un album decente nel 2013 - ovviamente tralasciando le super produzioni internazionali da centinaia di migliaia di euro e le priorità del momento sotto contratto major. Partiamo dal presupposto che, specialmente a livello di autoproduzione casalinga, si può parlare di investimenti più che di spese di registrazione. Qualora acquistiate un pc/mac adeguatamente potente con tanto di scheda audio, casse, cuffie, microfono, sequencer, interfacce di registrazione usb e software di livello per catturare l’audio e per la

30 onstage aprile

TOT. 5.000 €

200 €

100 €

MICROFONO

da 500 €

TUTTI I COSTI DI PRODUZIONE DELL’OPZIONE AUTOPRODUZIONE ARTIST

*

0€

STRUMENTAZIONE DI LIVELLO (chitarre, amplificatori, pedaliere...)

DISTRIBUZIONE DIGITALE GRAFICHE E PROMOZIONE DIY (Do It Yourself)

batteria, state prendendo qualcosa che riutilizzerete sicuramente, e che sicuramente vi tornerà utile per produrvi autonomamente i vostri pezzi da Mc piuttosto che da deejay. Stesso discorso, aggiungendo anche la non certo trascurabile componente “strumenti”, se siete una band alle prime armi: acquistare chitarre, amplificatori e pedaliere adeguati vi permetterà di sfruttarli oltre che sul palco anche per le future incisioni, quando magari potrete permettervi uno studio di registrazione più attrezzato della vostra cameretta. Stiamo parlando in questo caso di una spesa minima che parte dai 2.500 e non arriva oltre i 5.000 euro, considerando nella lista della spesa anche quella del computer che al giorno d’oggi chiunque possiede. Potete sostituire quel millino con una sessione in studio per registrare una batteria vera, piuttosto che per farvi fare un master semi-professionale dei vostri brani. Distribuzione? Solo digitale per non avere praticamente costi, le grafiche ve le potete disegnare da soli.


2

BAND EMERGENTE

4.000 €

STUDIO DI REGISTRAZIONE PER 15 GIORNI

MIXAGGIO

4.500 €

SOFTWARE

TOT. 12.000 € 1.500 €

VARIE ED EVENTUALI (acquisto copie da label, settaggio strumenti, acquisto nuovi effetti…)

2.000 €

MASTERING

2.000 €

3

MAJOR BAND

BAND CON ESPERIENZA PLURIENNALE

20.000 €

STUDIO DI REGISTRAZIONE PER 30 GIORNI UFFICIO STAMPA / PROMOZIONE PER 3 MESI

3.000 €

TOT. 50.000 €

MASTERING

15.000 €

MIXAGGIO

4.000 €

Il livello successivo è quello in cui si possono riconoscere la stragrande maggioranza delle band emergenti con esperienza live, spesso con una release autonoma già alle spalle e strumentazione di livello, nelle quali almeno uno dei componenti sia ferratissimo in materia informatica o addirittura abbia già un mini-studio con il necessario per trattare le registrazioni del proprio gruppo. In questo caso sono presenti i costi dello studio di registrazione per almeno 15 giorni, la presenza di un fonico, la sessione di mixaggio e di mastering. La fase di pre-produzione dev’essere già stata fatta autonomamente, già si ha poco tempo per incidere e per permettersi errori d’esecuzione, figuratevi se potete cincischiare in studio su un arrangiamento che non vi convince! Probabile infine abbiate almeno un accordo di distribuzione con un’etichetta indipendente, da cui dovrete acquistare alcune copie per contratto. Se non altro avrete un po’ di promozione e i costi relativi alla stampa e alle licenze inclusi. Infine la forchetta che differenzia band sotto contratto con le major

FONICO PER 30 GIORNI

8.000 €

(ma non priorità principale delle stesse) o con etichette di grandi dimensioni è relativamente ampia e si può racchiudere sommariamente in un unico raggruppamento. Un totale indicativo che va dai 50mila euro in su (che però in questi casi potrebbero essere spesi totalmente o almeno in buona parte dalla label che vi offrirà il contratto) raccoglie un’infinità di artisti che hanno un seguito abbastanza consolidato e solidissime realtà underground con anni di esperienza sulle spalle. In questo caso lo studio di registrazione, oltre a essere maggiormente affermato e quindi con tariffe meno ‘popolari’, verrà utilizzato anche per la fase di preproduzione e rimarrà impegnato mediamente per un mese, un mese e mezzo, nei quali oltre alla probabile presenza di un arrangiatore potrebbe essere necessario chiedere aiuto a dei turnisti. Il fonico difficilmente vi chiederà meno di 500 euro al giorno di cachet, mixaggio e mastering saranno più onerosi e a tutto questo si aggiungerà inevitabilmente il costo di un ufficio stampa e di promozione il più possibile efficiente. onstage aprile 31


ModĂ

se si potesse parlare di

musica


Destino inevitabile per tutti i big, i ModĂ sono costantemente sotto i riflettori. Specialmente in questi mesi, che li hanno visti protagonisti con un nuovo disco, il secondo posto a Sanremo e una tournĂŠe record da oltre 100.000 biglietti venduti. Normale. Ăˆ strano invece che quasi nessuno parli con loro della storia musicale di cui sono protagonisti. Ci abbiamo pensato noi, alla vigilia del Gioia Tour 2013. Abbiamo fatto a Kekko le domande che nessuno gli rivolge mai. di Stefano Gilardino foto di Julian Hargreaves


è una carriera piuttosto emblematica quella dei Modà, partita dall’hinterland milanese, Cassina De’ Pecchi per l’esattezza, fatta di una lunghissima gavetta e di una fan base costruita con pazienza e costanza. Dai concerti nei locali di provincia - ma con un successo di pubblico incredibile - alla conquista di tutta Italia, Sanremo compreso. È piuttosto difficile, in questi giorni concitati che precedono il tour, riuscire a intercettarli, tra prove serrate che servono a oliare una macchina che dovrà dimostrarsi perfetta fin da subito, e Kekko Silvestre, cantante e compositore della band, in vacanza per qualche giorno per riposare mente e voce. A disturbarlo ci pensiamo noi, per farci spiegare una storia che parte da molto lontano e che abbiamo cercato di riassumere con uno dei protagonisti principali. Tieni spesso a rimarcare come i Modà abbiano avuto successo dopo ben quattro album e grazie a una lunghissima gavetta. Al di là dei meriti, credi che se fosse arrivato prima sarebbe stato un problema? Non ci potrà mai essere una vera e propria riprova, ma sono certo che se a vent’anni ci fossimo trovati nella situazione attuale sarebbe stato piuttosto difficile gestire la band. Non voglio dire che ci saremmo sciolti, ma di sicuro non saremmo stati in grado di fare determinate scelte che si sono dimostrate vincenti. Ad ogni modo, mi piace ribadire come la nostra lunga scalata verso il successo sia servita soprattutto a noi, anche a livello personale. Ora apprezziamo con maggior gusto

«Si parla di tutto tranne che dell’argomento di cui si dovrebbe discutere, ovvero della musica. Vado in televisione solo se posso cantare e basta, mi sento a disagio quando l’attenzione si sposta su altri argomenti»

34 onstage aprile

quello che ci succede attorno - ogni conquista ha un sapore particolare - e lavoriamo con molta cura su ogni aspetto della band. Quindi, prima di fare una cazzata ci pensiamo su due volte (ride, ndr). Ti sei mai chiesto perché il pubblico ci abbia messo così tanto a scoprirvi? Potrà essere una spiegazione fin troppo semplicistica, ma il vero balzo l’abbiamo fatto dopo aver firmato per Ultrasuoni, la nostra attuale etichetta, che ha dato la visibilità che mancava al progetto Modà. Non credo che le canzoni di oggi siano più belle di quelle dei primi anni, sono solo più fortunate ad aver avuto un’esposizione mediatica maggiore. Mi sono letto alcune interviste online prima di chiamarti e mi ha fatto effetto constatare come, nella maggior parte dei casi, vi facciano pochissime domande di musica. Piuttosto bizzarro per una band che ha puntato tutto su quello, no? Non dirlo a me (ride, ndr)! Tieni anche conto che l’aspetto peggiore per me è quello della popolarità esagerata. Non amo troppo stare al centro dell’attenzione quando non sono sul palco e quindi soffro questo paradosso. Purtroppo, come notavi anche tu, nell’ambiente musicale si parla molto spesso di tutto tranne che dell’argomento di cui si dovrebbe discutere, ovvero della musica in sé. Cerco di andare in televisione solamente se posso cantare e basta, mi sento a disagio quando l’attenzione si sposta su altri argomenti, non so mai cosa dire. Sei un personaggio pubblico con un grande ascendente sui tuoi fan ed è prassi comune, purtroppo, che chiunque sia famoso debba avere un’opinione su qualunque argomento. Ma io esprimo un sacco di opinioni e concetti nei testi che compongo, non ti pare? Spero che possano bastare quelli ai miei fan, perché le cose veramente importanti che ho da dire sono tutte nelle mie canzoni e non potrebbe essere altrimenti. Perché la gente dovrebbe sapere chi voto oppure interessarsi a mia moglie o alla mia famiglia? Mi piace separare il pubblico dal privato, è una condizione essenziale per vivere al meglio la popolarità. C’è qualcosa che non ti chiedono mai nelle interviste e che invece ti piacerebbe uscisse fuori? Mi piace quando posso parlare del percorso dei Modà, credo sia un buon esempio per chiunque voglia provare a realizzare i propri sogni. Spero che venga fuori la nostra perseveranza, la fatica che sta dietro a una band, un certo messaggio positivo che deriva da tutto ciò. Non sto parlando solo di musica, voglio pensare che questo discorso sia applicabile a qualunque professione, dal parrucchiere all’astronauta. Senza passione e sudore non si può ottenere nulla e non sempre questo concetto viene fuori, specialmente al giorno d’oggi. Purtroppo è più semplice parlare d’altro, il concetto di gavetta non è un argomento che fa vendere i giornali. Ho letto però che ti piacciono i talent show e avete anche collaborato con artisti che hanno partecipato a qualcuno di questi come Emma Marrone. Non trovi che il concetto di talent, invece, vada contro a quello di sudore e gavetta di cui parlavi poco fa? Non ricordo di aver detto che mi piacciono, ma li ritengo utili per la discografia moderna. Una volta c’erano i talent scout delle etichette che andavano in giro per i locali a cercare artisti e gruppi interessanti,


«Le cose importanti che ho da dire sono tutte nelle mie canzoni. Perché la gente dovrebbe sapere chi voto oppure interessarsi alla mia famiglia?»

PRIMA TRANCHE. La tournée dei Modà inizia a Roma il 9 aprile e tocca le principali città italiane. 21 date in totale, di cui 4 nella capitale, 5 a Milano (già 4 sold out), 2 a Padova, Firenze e Torino. La seconda data in Piemonte è a ottobre: che sia l’indizio di una tranche autunnale del tour?

purtroppo ora non funziona più così, piaccia o no. Noi siamo stati scoperti in quel modo, dopo aver invitato il nostro attuale discografico, Lorenzo Suraci, presidente di RTL, a vederci dal vivo davanti ai nostri fan. Siamo stati fortunati perché lui ancora crede a questo tipo di percorso, ma siamo consapevoli che le cose non stanno così. Il discorso sarebbe troppo lungo, toccherebbe dire che anche gli spazi per suonare sono ormai ridottissimi, a meno che tu non sia già famoso, e che i locali preferiscono puntare sulle cover band, cosa che noi non siamo mai stati, per esempio. Tornando alla domanda, penso che quei programmi siano un buon banco di prova per cantanti che vogliono dimostrare il proprio talento. È brutto che siano quasi l’unica possibilità in Italia, ma almeno qualcosa di buono esce anche da lì. Non è scontato, ma una come Alessandra Amoroso si è costruita una carriera di tutto rispetto, oppure pensa a Emma Marrone o a Marco Mengoni. Ce ne sono altri che scompaiono subito dopo, succede, è la vita. Diciamo anche due parole sul vostro nuovo disco, che parte con Gioia, tua figlia e anche titolo dell’album, e finisce con A Laura, che è tua moglie. Cosa c’è in mezzo, quindi?

In mezzo c’è tutto il resto della mia vita, direi: la musica, i miei sentimenti, il mio percorso personale e quello con il gruppo. Però, mi piaceva l’idea di aprire e chiudere con le cose più importanti. Tu sei il cantante e l’immagine pubblica della band. Se dovessi fare un disco solista in cosa sarebbe diverso da uno dei Modà? Non lo so davvero, sinceramente non c’ho mai pensato perché la carriera da solista non mi attira per nulla, sono per il lavoro di squadra. Provo a immaginarmelo e credo che, dal punto di vista musicale cambierebbe molto poco, essendo io il compositore dei Modà, ma umanamente sarebbe totalmente diverso e non mi sentirei a mio agio. L’idea di salire sul palco senza gli amici che mi hanno accompagnato per tutto questo tempo e che hanno diviso tutto con me sarebbe impraticabile. Le canzoni sono fondamentali all’interno dell’economia del gruppo, ma senza la presenza umana e il supporto complice che c’è fra di noi sarebbe un disastro. Ho un grande bisogno di qualcuno che sappia gestire le mie difficoltà o i momenti di crisi e non mi vedo proprio da solo ad affrontare tutte queste cose. Spero che i ragazzi non mollino mai, se no mi toccherà pensarci seriamente (ride, ndr). (continua)

onstage aprile 35


Com’è lavorare con te? Sei un “rompipalle”, nel senso buono del termine? Certo che sì, sono pignolo e voglio che ogni cosa sia perfetta, ma potrei dire lo stesso per ogni componente dei Modà. E senza questa spasmodica ricerca della perfezione, per quanto sia possibile, non ci sarebbe la band perché verrebbe a mancare il senso fondamentale del tutto. Se non punti al meglio che cosa suoni a fare? È giusto pensare a chi spende i soldi per comprare i tuoi dischi e partecipare ai concerti. Voglio che ognuno abbia il massimo possibile, che torni a casa soddisfatto, sempre e comunque.

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RISPONDE DIEGO Tre domande al chitarrista e arrangiatore dei Modà

Ho chiesto a Kekko come mai quando si parla di Modà, la musica venga quasi sempre relegata ad aspetto secondario. Qual è il tuo parere? Credo che in linea di massima sia un argomento che interessa poco alle riviste, se non a quelle strettamente di settore. Purtroppo la maggior parte delle persone preferisce altre cose, anche chi magari segue qualche band con assiduità si fa trascinare da argomenti extramusicali e dà meno importanza

36 onstage aprile

Tra poco suonerete per ben cinque volte di fila al Forum di Assago, senza contare tutti gli altri palasport esauriti in tutta Italia. Qual è il prossimo traguardo? Lo stadio di San Siro? Figuriamoci se ci penso, ancora mi pare un sogno riuscire a fare tutto esaurito al Forum. Andiamo avanti un passo alla volta, sperando di conquistare altro pubblico e di poter continuare a proporre la nostra musica. Se pure dovessimo tornare a suonare nei club, non sarebbe certo una tragedia, ci mancherebbe altro. Sognare va bene, ma senza esagerare per evitare di diventare matti. Certo che San Siro, però... l

ai testi o agli arrangiamenti. Sei sensibile all’argomento visto che sei l’arrangiatore. Direi di sì, Kekko è quello che scrive testi e musica ma poi tocca a me e devo dire che sono molto orgoglioso del lavoro che faccio, mi dà una grande soddisfazione. Soprattutto, mi piace lavorare con lui, fin da quando ci siamo conosciuti da ragazzini. Ho sempre pensato che avesse un talento incredibile e quando mi faceva sentire i pezzi a casa sua ero

certo che fossero di qualità superiore. Quello che è mancato ai Modà, per molti anni, è stata la giusta esposizione mediatica, poi quando abbiamo trovato i canali giusti le canzoni si sono rivelate perfette per il grande pubblico. Ne ero certo, come ti ho detto, bastava solo la spinta giusta ed è arrivata grazie a Ultrasuoni. Stai approfittando di questa pausa prima del tour per preparare alla perfezione tutti i suoni e gli arrangiamenti live.

Come sta andando? Molto bene direi, siamo a buon punto, tutto fila liscio e non vediamo l’ora di cominciare con la data zero, prima dei palazzetti in tutta Italia. Le canzoni di Gioia sono molto complesse dal punto di vista dei suoni e mi ci sono volute due settimane di lavoro per approntare tutto quanto. Nel momento in cui saliremo sul palco, i Modà dovranno funzionare alla perfezione, quindi devo sistemare per bene ogni canzone.





Zucchero

40 onstage aprile


La voglia matta (di stupire)

Chi si aspettava una pausa dopo il Chocabeck World Tour dell’anno scorso non conosce Zucchero. Per l’artista emiliano ogni sfida è solo il presupposto per lanciarne una nuova. E così una vecchia promessa a se stesso si è trasformata in un nuovo progetto artistico, che da fine aprile Sugar porta dal vivo in giro per l’Italia e l’Europa. Di questa storia, ancora tutta da scrivere, ci ha parlato lui stesso. di Alvise Losi

C’

è un artista in Italia che ama stupire e stupirsi. Certo, Zucchero se lo può permettere dopo trent’anni di carriera e successi in ogni parte del mondo. Ma in quanti, concluso un tour mondiale, invece di fermarsi e riposare, si sarebbero rimessi subito all’opera? E così è stato per lui, che ha voluto farsi un regalo da troppo tempo rimandato. Un concerto a L’Avana, con oltre 70mila persone a ballare le sue canzoni riarrangiate per l’occasione. Sognato per più di vent’anni e alla fine realizzato con grande successo. Quello che doveva essere un regalo per sé, oltre che per i cubani, è diventato un nuovo progetto artistico. La mattonella sulla quale costruire un’intera nuova casa. Così è nato La Sesión Cubana, l’ultimo album dell’artista emiliano. E da qui a un nuovo tour mondiale il passo è breve. Per quanto instancabilmente folle. Ma quando si parla di Zucchero nulla appartiene alla categoria del “troppo”. Chi, ad esempio, avrebbe pensato di fare una data a Tahiti, nella Polinesia francese? È da lì, dall’altra parte del mondo, che il cantante reggiano ha deciso di ripartire nel 2013. Una prosecuzione ideale del Chocabeck Tour che farà tappa anche in Nuova Caledonia, per poi fermarsi quattro volte in Australia. Sei concerti in due settimane per chiudere, dopo il vecchio continente e le Americhe, la circumnavigazione del globo iniziata nel 2012. Guai però a parlare

di riscaldamento in vista del nuovo tour, perché chi ha avuto il piacere di partecipare a un suo evento sa che Sugar non si risparmia mai. QUALCOSA DI SPECIALE C’è poi un altro aspetto. La Sesión Cubana era nato come progetto incluso in se stesso. Torniamo indietro: è l’8 dicembre 1990 quando Zucchero è il primo cantante occidentale ad esibirsi al Cremlino, nell’ex Unione Sovietica, dopo la caduta del muro di Berlino. «Pensai subito che ne avrei dovuto fare uno anche a Cuba», ci spiega. «Allora mi guidava un’ideologia politica, adesso ho altre motivazioni. Ho sempre rimandato per altri impegni, ma finito l’ultimo tour mi sono detto “se non lo faccio quest’anno non lo faccio più”. Perché a breve le cose a Cuba cambieranno, mi auguro per loro in meglio. Allora ho fissato un concerto a L’Avana per l’8 dicembre 2012, lo stesso giorno di quello a Mosca». Solo dopo è nato l’album. «Mi è venuta voglia di preparare qualcosa di speciale, ed ecco l’idea del disco», conferma. «È un lavoro che volutamente ha un approccio diverso dai miei dischi di studio: questi sono i miei brani interpretati da musicisti cubani. Gli ho detto “ecco la mia musica, lavorateci e fatemi sentire come la fareste”. Poi abbiamo

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provato mille volte e alla prima session di registrazione abbiamo inciso tutto, dal vivo». Roba d’altri tempi insomma. E anche in questi piccoli dettagli sta la follia di un artista che dopo tanti anni riesce a non essere mai uguale a se stesso. SOLO UN PAZZO Il terzo passaggio è stato il (nuovo) tour internazionale. «Sembra che il disco sia piaciuto a tutti, per questo portiamo La Sesión Cubana in tour». E, come per l’album, sembra che Zucchero si debba stupire anche per l’amore che gli è tributato in patria. Le tre date previste inizialmente all’Arena di Verona (30 aprile, 1 e 2 maggio) non sono state sufficienti a coprire le richieste. L’immediato sold out ha obbligato Sugar a tornare in Italia alla fine del tour europeo con cinque date a Genova, Milano, Torino, Padova e Bolzano (rispettivamente 10, 24, 25, 28 giugno e 2 luglio).

« L’intensità del ritmo, la sensualità, la ripetitività. Tutta la musica nera ha una matrice comune. A New Orleans è cajun, a Memphis soul, a Cuba mambo, in Giamaica reggae »

Un progetto che era partito come «una roba che solo un pazzo come me e quelli che io mi trascino dietro potevano pensare» ha assunto ben altra prospettiva: in totale 32 concerti in due mesi. Per ora. Perché con Zucchero non si sa mai. «Per uno come me è difficile stare a casa senza far niente», ammette. «Non sono quel genere di persona che prende un libro e passa le giornate a contemplare il mare, a riposarsi. Le tournée magari possono stancarmi da un punto di vista fisico, ma psicologicamente mi ricaricano. Per cui alla fine del Chocabeck World Tour ho deciso di ripartire subito». E magari sarà così anche dopo questo, se è vero che la La Sesión Cubana «mi ha stimolato molto, al punto da permettermi di incamerare sensazioni e idee per il mio prossimo album». LA VIA CHE AMO Una fucina di idee in continua evoluzione che coinvolge anche il tour in partenza. Non si sa quasi nulla della scaletta e poco di chi lo accompagnerà sul palco. Non perché sia top secret, ma per la volontà del cantante di continuare a sperimentare e provare. Qualche certezza però c’è. Intanto le cover caraibiche: «Nena e Pana sono brani che nessuno conosceva, ma non è detto che se una canzone non è famosa non è bella». Non mancherà Guantanamera (Guajira), il singolo di lancio che all’inizio non doveva neppure entrare nell’album. «È venuta fuori in studio, per caso: tutti la conoscevano e abbiamo cominciato per gioco.

En Vivo. La Sèsion Cubana World Tour 2013 inizia con le tre date a Verona (30 aprile, 1 e 2 maggio). Poi un mese in Europa e quindi Zucchero farà nuovamente ritorno in Italia, con 5 date (il 10 giugno a Genova, il 24 a Milano, il 25 a Torino, il 28 a Padova, il 2 luglio a Bolzano). 42 onstage aprile



Alla fine ci siamo ritrovati una versione molto diversa dalle altre, fresca, e a me piaceva cantarla in italiano, perché adattando il testo mi sono reso conto che è una canzone molto profonda che parla di amicizia». Ci sono poi i classici riadattati alle nuove sonorità. E Zucchero, che ha sempre cercato di sperimentare, ci si è buttato con la gioia di un bambino che scopre un nuovo mondo. «L’intensità del ritmo, la sensualità, la ripetitività dei concetti», questo ha trovato a L’Avana. «È l’Africa che si è mescolata ai Caraibi. Se prendi un compasso, punti sul Mar dei Caraibi e tracci un cerchio, dentro ci trovi New Orleans, il Messico, Cuba, Giamaica, parte del Brasile. Lì è da dove è partita la musica nera. A New Orleans è diventato cajun, a Memphis soul, a Cuba è mambo, in Giamaica reggae. Ma la matrice è la stessa. È una via che amo percorrere». Discorso a parte merita un brano che fa brillare gli occhi a Sugar. Si tratta di Never Is a Moment, che «avrei voluto scrivere io, ma l’ha composta Jimmy Lafave, un cantante texano qui da noi sconosciuto al grande pubblico. È un pezzo stupendo che sicuramente canterò anche in futuro nei concerti dal vivo, così come ho fatto con Indaco dagli occhi del cielo. Anche quella è una cover che ho fatto di una canzone bellissima». E che è diventato uno dei brani più amati dai fan. Come Così celeste, che ne La sesión cubana ha assunto una prospettiva diversa, pur mantenendo l’intimità che le è propria, nonostante le dimensioni della band. Ed è questa l’incognita più grande: Sugar ci sta ancora lavorando, ma dovrebbe essere confermata nella sua interezza. Nel concerto a L’Avana Zucchero era accompagnato da una vera e propria orchestra di 22 elementi, composta da cinque percussionisti, due batterie, quattro fiati, un basso, due chitarre elettriche, una chitarra acustica e un tres

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« Non sono uno che passa il tempo a contemplare il mare. I tour, psicologicamente, mi ricaricano. Per cui alla fine del Chocabeck World Tour sono ripartito subito »

(strumento a corde cubano molto simile alla chitarra classica). In alcune canzoni poi erano presenti anche le tastiere e una sezione d’archi. E, a completare l’ensemble, le coriste. A Cuba ha funzionato tutto alla perfezione, nonostante i timori iniziali. «Questa del concerto a L’Avana è una sfida», aveva dichiarato il cantante a fine novembre, prima di partire, «perché lì non hanno nemmeno le corde per le chitarre, quindi ci si immagini quando si va a parlare di generatori, di palchi enormi e tribune. Spero che Dio ce la mandi buona perché lì non c’è logistica, non c’è un promoter: bisogna fare i poster e volantinaggio. È una sfida che mi affascina e però mi prendo anche il mio rischio: può essere che arrivino 5mila persone come 100mila, perché tanto l’ingresso è gratuito. Lì non hanno neanche i soldi per piangere. Spero che venga fuori una grande festa». E festa è stata. Il suo trucco in fondo, forse, è proprio questo. Mettere amore e gioia in ogni suo progetto e rendere ogni concerto una grande festa. E, alla base, mantenere sempre vivo uno stupore che hanno solo i matti e i bambini. Perché per sorprendere gli altri, bisogna cercare di stupire prima se stessi. E c’è da scommettere che anche questa volta Zucchero lascerà a bocca aperta il suo pubblico. l



La coscienza del rock

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Un paese come l’Italia ha dannatamente bisogno di artisti che non abbiano paura di essere politicamente scorretti. Artisti mai artificiali, che si parli di musica o di altro. Artisti come Gianna Nannini. Nell’intervista concessa a Onstage in vista del tour in partenza ad aprile, la toscana non ha mai tradito l’autenticità del suo spirito battagliero, confermandosi interprete di quell’attitudine rock che molti vantano ma pochissimi possiedono. di Simona Voglino Levy

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aggiungo Gianna in una mattinata di marzo ancora invernale: voce viva e graffiante. La sua. «Posso darle del tu?», domando. «Certo, sennò mi offendo», si affretta a rispondere. È presa, manca poco all’inizio del tour che la vedrà in giro per il vecchio continente a promuovere il nuovo album, Inno, uscito il 15 gennaio per Sony Music. La chiacchierata è densa. Solo gli argomenti più “sensibili” e privati restano in un angolo. Per quelli, ha scelto di scrivere una canzone ad hoc, da regalare a chi compra un biglietto per i suoi concerti: Baciami qui è l’eloquente argomentazione rock in difesa di un relativismo stanco di essere indagato. E giudicato. Per il resto, nessuna reticenza: le sue risposte non smentiscono il suo animo libero, borchiato con sfumature punk. In versione melodica. Grinta da pantera per la nuova avventura che sta per iniziare. Questa volta con la piccola Penelope al seguito. Come affronterai questo tour? Con molta carica. Si parte con un motorhome, che non è un camper, ma una specie di casetta con le ruote con cui viaggeremo per tutta la tournée italiana. Saremo io, l’autista, la baby-sitter e la mia assistente. Se c’è la baby-sitter, Penelope viene con te. Sì, certo. Sono una madre rock. Mi vorrei vivere il grosso camper, farci da mangiare. Come dire: una vita nomade-rock. Sei molto sportiva: ti stai allenando? Assolutamente. Faccio pilates e ho un personal-trainer. Voglio dare il massimo. Mi preparo come si fa con le macchine di Formula Uno. Hai già detto che questo tour sarà “irresistibile” e molto rock. In che modo? La mia preparazione è cambiata: certi cliché del rock non mi interessano. Sto lavorando con una coreografa che fa su di me un lavoro di danza-teatro: sviluppa nei miei gesti normali, quelli fatti spontaneamente, delle tecniche di improvvisazione da applicare poi sul palco. La grande novità sarà appunto questa: coreografare il mio corpo.

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A proposito di danza-teatro. La dantesca “Dolente Pia” de’ Tolomei su cui costruisti un musical e un album, nel 2007, che fine ha fatto? Sarà in scaletta?
 La persona che detiene i diritti al momento è malata, per questo siamo fermi da un po’. Spero di poterci tornare presto: è la cosa più bella che ho fatto. Dopo Penelope, ovviamente. Anche quest’anno suonerai all’estero: cosa cambia rispetto ai concerti italiani? Siamo abituati a sentire cantare in inglese e andare ai concerti di gruppi che cantano in inglese. Quando faccio date all’estero, la musica italiana diventa internazionale: il rock è un comune denominatore, va oltre la lingua di appartenenza. Cambia la reazione fisica: quando si conoscono le parole è meno scatenata, visto che canti a memoria. Quando uno non conosce il brano, si muove, segue la musica e lascia andare di più il corpo. Confermi che parteciperai al serale di Amici? Sì, ci andrò prossimamente. Dunque sei una dei pochi che non condanna i talent-show? Andare come ospite non significa partecipare. Se fossi giovane oggi non so se lo farei, anzi probabilmente direi di no. Però i talent sono fra le poche trasmissioni tv in cui si può ancora far sentire la musica. Per raccontare il mio disco ho Amici e Fazio. Basta. Una volta c’erano trasmissioni come Fantastico o Canzonissima. Oggi non più. Non trovi che abbiano appiattito un po’ la musica? A me la formula del talent non piace perché costringe i concorrenti a imitare voci già esistenti e si basa sulle cover. Immagino sia per questo che aiuti giovani talenti, come Marco Mengoni. Bisogna dare spazio agli emergenti con talento, aiutandoli a trovare


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Gianna Nannini


quello stile musicale che deve avere il marchio doc italiano. Lo ripeto da mesi e vorrei diventasse una legge, perché sennò troviamo solo robaccia in giro. Questi talent distruggono la creatività. Quello che voglio fare con i giovani talenti è tirare fuori quello che hanno, riuscire a comporre insieme a loro. Voglio che imparino come si scrive una canzone. Non come si imita chi lo fa. A proposito di televisione, sei stata a Che tempo che fa per promuovere Inno. Ma la conduzione sanremese di Fazio è stata all’altezza delle tue aspettative? A me di Sanremo non è mai fregato niente, all’infuori di quando ero piccola che lo guardavo. Non credo che Sanremo rappresenti la musica italiana, ma solo un modo per vendere dischi. Aiuta gli sconosciuti a farsi conoscere. Per me andare a Sanremo è una cazzata. Che Fabio faccia più o meno la differenza, rimane sempre e solo un carnevale. In che senso? Nel senso che dura una settimana e poi dopo non si capisce mai che succede. Cos’é successo dopo Sanremo, quest’anno? Niente. Va bene, ha vinto Mengoni che senza il Festival magari non avrebbe avuto questo lancio. Diciamo che può essere una grossa opportunità se uno deve farsi conoscere. Ma la musica italiana, quella vera, la vedi e senti ai concerti. Non certo lì. Quanto conta la fortuna nel successo? Tu hai avuto quella di incontrare Mara Maionchi... Che non era un giudice, ma era peggio. Si emozionava se le piaceva una persona e poi ti aiutava a dare il massimo. È il mio talent-scout. Dopo di lei sono andata all’estero, dove ho conosciuto Connie Plank che mi ha instradata veramente sul rock che in Italia, ai tempi di Mara Maionchi, non c’era. C’era piuttosto molto cantautorato. Dunque è essenziale che qualcuno creda in te? È il tramite con il pubblico. Ed è essenziale. Ma finché non lo trovi, ci devi credere da solo. Per anni mi sono ripetuta che ce la dovevo fare perché io mi piacevo, credevo che la mia voce avesse qualcosa e volevo farlo sentire. Se non ci credi tu, non puoi pretendere che qualcuno lo faccia per te. L’Italia ha un tasso di natalità basso. Tu, nel tuo piccolo, hai contribuito ad alzarlo, andando un po’ contro-tendenza... Assolutamente ho contribuito. Ma il tasso non si alza grazie a me. In Italia c’è questo problema: bimbi non ne nascono molti. Forse perché la gente è un po’ stanca. Poi credo ci sia anche un fatto climatico. Anche cibo e ambiente una volta erano molto più naturali e questo certamente influisce sulla riproduzione. Ma siamo sicuri che sia una buona idea mettere al mondo un figlio in questo Paese? Se credi nella vita e fai un figlio come Penelope, assolutamente sì: ti dà la forza di credere nel futuro. (continua)

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«Per anni mi sono ripetuta che ce la dovevo fare perché io mi piacevo, credevo che la mia voce avesse qualcosa e volevo farlo sentire»

DODICI E LODE. Nel momento in cui andiamo in stampa sono 12 le date italiane del tour di Gianna. Si comincia con una doppietta a Roma il 12 e 13 aprile, poi Caserta (16), Firenze (18 e 19), Perugia (22), Rimini (24), Milano (26 e 27), Torino (30) e infine Verona (3 e 4 maggio)

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Parliamo del Palio di Siena. Sei nata nella Contrada dell’Oca: come hai vissuto l’estensione del diritto di voto alle donne nelle assemblee di contrada? Le contrade sono ancora regolate da leggi un po’ medioevali. Comunque è il popolo che fa la contrada. Noi per tradizione popolare escludevamo le donne dal voto, ma era una cosa che ormai faceva ridere.

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«ho ancora quella “furia di sentire”, anche se Non È la stessa furia di UNA VOLTA. bisogna rallentare qualche volta, sennò schianti»

Nel Palio contano molto le tradizioni e anche per me sono importanti, però se una non ha senso, non ne ha. C’è stato anche uno scontro perché alcune donne preferivano rimanere escluse. Per attuare il tuo programma di governo (disarmo, detassazione beneficenza, abolizione privilegi degli etero e promozione cultura nostrana), chi vedresti bene? Io non credo in nessun governo. Nessun partito ha parlato di disarmo totale. Quando qualcuno lo farà, io mi schiererò. In questo momento è anche vero che c’è un cambiamento in atto: vediamo cosa succede.

Purtroppo tra il dire e il fare, come si sa, c’è di mezzo il mare. Noi si vive ancora con le leggi del dopo Seconda Guerra Mondiale. Pensi che il nuovo Papa potrebbe aiutare una svolta progressista? Appartiene a quella casta lì. Mi può stare simpatico e mi sembra che sia anche informato sulle mie canzoni: oggi leggevo che dice di non aver paura della tenerezza. E anche sul discorso dell’umiltà mi ritrovo perfettamente. Non è il momento per sfoderare la propria ricchezza: la gente è davvero incazzata. Il Papa però deve seguire quello che per anni hanno fatto in Vaticano. Sarà anche simpatico, ma questo non può cancellare quello che hanno fatto per secoli i fondamentalisti cattolici. Non mi basta un Papa per dimenticare o risolvere i problemi. Tra poco verrà eletto il prossimo Presidente della Repubblica. Tu chi vorresti? Non lo so, ma mi sembra il momento di una donna. Un nome in particolare? Gianna Nannini! A parte gli scherzi, non saprei. In Notti senza cuore parlavi di “un’urgenza di vivere e furia di sentire”. Ce l’hai ancora? Anche nel mio ultimo disco, in ogni canzone c’è un po’ di quell’aspetto. Magari non è più la stessa furia di allora. Oggi penso che la vita dovrebbe un po’ rallentare. Più vai al sud e più sei rallentato. E a me piace il sud. Bisogna rallentare qualche volta, sennò schianti. l

ROCK TEAM. In tour Gianna sarà affiancata da Mylious Johnson (batteria), Alex Klier (basso), Davide Tagliapietra (chitarre), Milton McDonald (chitarre) e Davide Ferrario (chitarre e tastiere). 50 onstage aprile



ASAF AVIDAN


THE VOICE Nell’universo del pop brilla una nuova stella. Capace di illuminare anche l’Italia: dopo il circuito dei club italiani a dicembre (con tre sold out su tre), l’ospitata al Festival di Sanremo di febbraio, arriva ad aprile con un concerto a Milano che sarà bissato a Roma in luglio. La storia del successo di Asaf Avidan è davvero particolare, almeno quanto la sua voce. Ne abbiamo parlato con lui. di Antonella Frezza - foto di Dudi Hasson

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e vie della musica sono misteriose. Lo sa bene uno come Asaf Avidan, che per assaporare il successo internazionale ha dovuto aspettare che un dj tedesco (che si fa chiamare Wankelmut) si prendesse la briga di remixare una sua canzone e farne una hit da classifica. Non che prima il cantautore israeliano se la passasse male: insieme alla sua vecchia band, The Mojos, aveva pubblicato tre album in tre anni, diventando seguitissimo in patria. Niente a che vedere con l’impatto mediatico di One Day/Reckoning Song: un ritornello ormai nelle orecchie e sulle bocche di tutti, una di quelle hit destinate a durare nel tempo e che in pochi mesi ha portato Asaf a fare incetta di partecipazioni televisive, radiofoniche e comparire su pagine di giornali e siti. Non può essere tutto merito di un remix però, per quanto azzeccato. Dev’esserci qualcos’altro. E quel qualcos’altro è la sua voce, delicata ma potente, sofisticata ma grezza, in una parola e senza esagerare: unica. Different Pulses è il primo album che incidi senza la tua band. Meglio così? È una domanda complicata. Da un lato ho più libertà, posso prendere qualsiasi direzione artistica io desideri, non devo dar conto ad altri e posso davvero fare quello che sento. In questo senso è più facile vivere la condizione di musicista come solista. Però mi mancano i miei amici sia in tour che in studio e non ho quel senso di protezione che avvertivo dentro una band. Non posso contare su nessun’altro che non me stesso. È stato un grande passo, ma l’ho fatto perché ne sentivo davvero il bisogno.

È difficile catalogare il tuo primo album solista in un genere. Io e il mio produttore avevamo le idee ben chiare: non volevamo vederlo in nessuna sezione specifica nei negozi di dischi. Non si può definire con un unico genere musicale perchè c’è di tutto, dalle percussioni latine all’elettronica, dal folk al rock. È la combinazione di tante cose diverse e la varietà di stili che definisce la musica di questo album. Se un artista viene invitato a Sanremo, dove hai avuto un’accoglienza a dir poco calorosa, significa che ha fatto il grande salto. Per lo meno in Italia. Ero già molto sorpreso quando sono stato scelto per partecipare come ospite, visto che fino a pochi mesi prima non mi consideravo affatto un artista popolare o mainstream. Poi tutti quegli applausi... Partecipo a tante trasmissioni televisive in cui devo cantare solo una canzone, occasioni in cui non ho davvero il tempo per scrollarmi di dosso l’agitazione iniziale e prendere confidenza col palco. A Sanremo invece, dopo la standing ovation, mi è stata data la possibilità di esibirmi di nuovo ed è stato il momento in cui mi sono divertito di più. Quando ho ricominciato ero totalmente rilassato e la mia voce è venuta fuori senza inibizioni. È stata un’esperienza fantastica e un onore essere parte di una cosa così grande. Voglio dire, è come il Super Bowl in America! Cos’è il successo e come lo vivi? Mettiamola così: la vita è fatta di alti e bassi e io adesso so bene di trovarmi in un periodo estremamente favorevole. Ma sono consapevole

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che tra un paio d’anni potrebbe finire tutto. Nei prossimi 30 anni spero di avere ancora la possibilità di fare musica come adesso e che la gente continui ad amare la mia arte permettendomi così di perpetuarla. Ecco cosa significa avere successo per me. È innegabile che l’attenzione del grande pubblico sia arrivata grazie al remix di un tuo brano. Ti pesa? Sono sempre molto combattuto. Reckoning Song è uscita nel 2008 e il testo parla della fine della relazione con la mia ragazza di allora. Era tutt’altro che un brano ottimistico. Quando ho sentito il remix di Wankelmut ero davvero stranito, perché è lontanissimo dall’idea originale della mia canzone, che all’improvviso era diventata un pezzo ballabile. All’inizio non mi andava giù, perché non ero un ascoltatore qualsiasi che sente per la prima volta una nuova canzone. Qualcuno aveva stravolto una mia creatura! Però poi considero il fatto che molte delle persone che oggi mi seguono si sono avvicinate alla mia musica proprio grazie a quel remix e lo accetto. È una storia veramente pazzesca. Ho letto che la tua prima passione è l’animazione. Quando ti sei reso conto di avere una voce così particolare? Il periodo in cui facevo animazione è lo stesso di cui ti parlavo prima, quando la mia relazione stava giungendo al termine. È stato un periodo molto difficile e sentivo la necessità di tirare fuori quello che sentivo in qualche modo. Suppongo che fare musica e cantare fosse più economico che andare da uno psicologo, quindi ho preso la chitarra e ho

«Ho iniziato a scrivere canzoni in un periodo della mia vita infelice. Costava meno di uno psicologo. La voce poi è venuta da sé, era il mezzo per esprimere la mia sofferenza»

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iniziato a scrivere canzoni su quello che mi stava succedendo. La voce poi è venuta da sé, era il mezzo per esprimere la mia sofferenza. Non mi sono reso conto che ci fosse qualcosa di unico fino a quando non ho deciso di esibirmi davanti a un pubblico. Stavo per iniziare a suonare e la gente era distratta, poi appena ho aperto bocca tutti hanno alzato lo sguardo verso di me. Dall’espressione sui loro volti ho capito che forse poteva esserci qualcosa di speciale nella mia voce. Qualcuno ti ha paragonato a Janis Joplin. Che ne pensi? Non me lo merito. Penso che Janis Joplin sia una delle più grandi cantanti di sempre, l’anima e la precisione nella sua voce sono incredibili. Onestamente questa somiglianza non la sento, ma se proprio devo essere paragonato a qualcuno, allora ben venga lei! Ti abbiamo visto soprattutto in performance soliste, voce e chitarra acustica. Ma sul palco di Milano e Roma salirai insieme ad altri musicisti. Cosa dobbiamo aspettarci? A livello di emozioni non c’è differenza, perché le emozioni vengono dalla musica indipendentemente dal numero di musicisti. Stavolta però avevo voglia di suonare con una band perché come ti dicevo nell’album ci sono tanti strumenti, percussioni, tastiere, è molto stratificato. Quando suono solo con una chitarra acustica si tratta di interpretazioni particolari dei brani, più che dei brani veri e propri. La prossima volta invece ascolterete delle versioni più simili a quelle contenute nel disco. l



Il pianista pittore

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Lo sguardo timido non inganni: Gualazzi è un tipo deciso, attento, coltissimo, con una chiara visione del suo posto nel mondo. Capace di immaginare la musica come un quadro e le note come colori con la stessa precisione con cui parla delle radici del jazz. Lo abbiamo incontrato a metà strada tra Sanremo e il tour teatrale (si comincia il 6 aprile da Senigallia), gli estremi dentro i quali può usare tutti i colori della sua tavolozza. di Raffaella Turati

RAPHAEL GUALAZZI 56 onstage aprile


è

una delle poche giornate di caldo di questo martius horribilis (in altre parole, un marzo che è una ciofeca), raro intervallo tra una bufera di neve e pioggia da buche in tangenziale. In un ufficio della Sugar Music, un raggio di sole si stende orgoglioso e fiero nel bel mezzo della scrivania accendendo la stanza, e mi acceca mentre prendo appunti. Ma Raphael Gualazzi, si capisce subito, è uno che riesce a tirar fuori il lato positivo da ogni cosa, e trova il modo di farsi ispirare anche dall’insolente fascio luminoso: «Io vedo la musica come una cosa forte, come può esserlo questo raggio di luce - dice mezzo ciecato dal riflesso che irrompe dalla finestra, ma imperturbabile - e la luce è fatta di tanti colori nel suo prisma. La realtà rappresenta quel prisma che la musica può esprimere in tutte le sue lingue e i suoi colori. Mi piace toccare tutti i colori della musica, credo sia un linguaggio universale che dentro a tutte le sue forme racchiude un solo significato: il contatto tra la natura umana e il complesso di emozioni che la circondano».

DIVERTIMENTO & MELODIA L’attività dal vivo è sicuramente uno dei punti forti di Raphael Gualazzi: attualmente è in tour con Happy Mistake (date in Francia fino a marzo e poi dal 6 aprile in tutta Italia), dieci elementi sul palco

«Credo che la musica sia un linguaggio universale che dentro tante forme racchiude un unico significato: il contatto tra la natura umana e il complesso di emozioni che la circondano»

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SOGNATORE DETERMINATO Per come Raphael definisce il suo stile estremamente eclettico, si guadagna il titolo onorifico di “Raffaello della musica italiana”. E del resto, come il buon Sanzio, è di Urbino pure lui. Ma meno antico, con i suoi 31 anni. Gualazzi è uno che con le note dipinge: la varietà con cui rappresenta la realtà è perfettamente rispecchiata nell’ultimo album Happy Mistake, uscito nel giorno degli innamorati e in buona posizione nella classifica iTunes (viaggia intorno al 10° posto). Anzi, ottima, considerato il genere non proprio in linea col gusto italico e che, nonostante tutto, l’ha portato a guadagnarsi un più che onorevole quinto posto tra i big nella finale del Festival di Sanremo 2013 con la sua Sai (Ci basta un sogno), dietro solo a Mengoni, Elio e le Storie Tese, Modà e Malika Ayane (altra di casa Sugar). Il suo ingresso tra i grandi se l’era meritato vincendo nella categoria “Giovani” nel 2011 con Follia d’amore: e fin qui, sembrerebbe il solito percorso obbligato da idolo pop. Ma di pop Gualazzi non ha forse neanche i lacci delle scarpe. Proprio questa è la sua stranezza: con quell’aria da bravo ragazzo, un po’ impacciato e timido, ha conquistato trasversalmente anche teneri cuori da mamma, pur suonando del ragtime indiavolato al pari di un Ray Charles, che le mamme manco sanno chi è. Ed è entrato quatto quatto nel mainstream con un genere di nicchia, per intenditori. Perché seduto al pianoforte il ragazzo si scatena, e viene fuori tutta la passione che cela dietro al suo sorriso ben educato. Un sognatore schivo e riservato ma incredibilmente determinato.

moderne una rosa grande di realtà e generi musicali». Con una formazione da conservatorio alle spalle, l’amore per il genere è nato da un bisogno preciso: «Mi sono avvicinato al blues perché volevo conoscere la tradizione dalle sue origini. Fin da piccolo componevo, ma non mi sono mai preso sul serio: verso i 21 anni, più mi accostavo alla cultura blues e più mi affascinava l’idea di poter scrivere dei brani e di poterli cantare. Quindi ho cominciato ispirandomi al mondo del ragtime e del blues, a nomi come Roosevelt Sykes, Muddy Waters, Blind Lemon Jefferson, e a scrivere i brani che poi sono stati pubblicati nel primo album, nel 2005, Love Outside The Window». Un disco d’esordio realizzato con l’approccio dell’epoca: 14 brani registrati in un giorno e mezzo! «Sento il momento della creazione in studio molto vicino a quello del live. Nelle ultime produzioni ho avuto più tempo per riflettere, per scrivere, ma non ho mai voluto rinunciare al carattere spontaneo della musica, che a chi la suona dà la possibilità di comunicare e a chi l’ascolta di ricevere emozioni vere».

LE RADICI Parlando con lui, Sanremo svanisce nella cortina fumogena di un incantesimo, da cui fuoriesce un appassionato cultore di jazz e blues, a livelli da enciclopedia ambulante della storia della musica. Gli chiedo cosa ha spinto un pianista, per di più italiano, ad appassionarsi alla tecnica dello stride piano, stile Leggenda del pianista sull’oceano tanto per intenderci. «Come diceva Django Reinhardt (chitarrista virtuoso cui si ispirò Woody Allen per il film Accordi e disaccordi, ndr), ogni popolo ha il suo jazz. Lui è il pioniere francese, alcuni pionieri italiani sono stati tra i primi a registrare musica jazz agli inizi del ‘900 a New Orleans, come Nick LaRocca, di origine siciliana, che incise Tiger Rag, uno dei primi brani jazz registrati su 78 giri. È un mondo da cui prendo spunto come se fosse una tradizione classica: quello che faccio è colorare di venature tradizionali e post

tra cui tre coriste, una sezione di ottoni, chitarra (che all’occorrenza diventa banjo o ukulele) e sezione ritmica. «Il divertissement è un elemento imprescindibile fin dagli inizi della mia carriera: la musica nasce a scopo di intrattenimento». Ecco la filosofia onstage di Raphael. «Un concerto si fa sempre in due! Se suoni solo per te stesso sei troppo individualista, se suoni solo per il pubblico sei troppo commerciale. L’importante è che alla fine si muova tra le persone e i musicisti qualcosa che è ancora più bello e intangibile: la musica, con tutte le emozioni che può dare». Per uno cresciuto a pane e blues, la musica italiana ha influito poco o niente: lusingato dai paragoni con Paolo Conte, riesco a estorcergli un pollice in su per Fabrizio De Andrè, e basta. Ma a sorpresa dichiara che «la forza della nostra musica popolare sta proprio nelle melodie, quindi nella semplicità e nell’intensità, mentre il mondo americano è molto più concentrato sul sound, sulla ritmica». Si sbilancia sul comporre in italiano. «Una buona musica deve suonare bene in tutte le lingue, tanto che in quest’album c’è anche un pezzo in francese (L’amie d’un italien, cantata da Camille). La nostra è una lingua bellissima, difficile da musicare solo per un fatto: è già musicale di per sé. Il rischio è forse di inflazionarla». Saggio e bravo: sentiremo parlare di lui a lungo. l

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TOUCH DOWN ! Dai suburbs delle metropoli Usa alle passerelle dei più importanti fashion designer del mondo. Lo stile American Football domina le collezioni primavera/estate 2013, simbolo dell’attenzione sempre maggiore che le grandi firme della moda ripongono nelle tendenze che vengono dalla strada. Così il ghetto va in meta. A cura di Virginia Varinelli

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l fenomeno stilistico che sta dilagando sulle passerelle del prêt à porter è una rappresentazione simbolica dei movimenti che vengono dal basso. In questo caso è la forza creativa dei ragazzini dei sobborghi americani ad aver avuto un impatto dirompente, trasformando in tendenza quella che originariamente era una necessità. L’American Football style che oggi vediamo disegnato da molti grandi stilisti nasce infatti da un esigenza dovuta alla povertà: qualche decennio fa, i kids più poveri hanno cominciato a indossare le maglie sportive dismesse dai fratelli maggiori, non potendo permettersi altro. Ecco perché quel tipo di indumenti si porta così largo. La creatività sembra esplodere con maggiore irruenza laddove ci sono pochi mezzi e con quelli ci si deve arrangiare. Lo stile della strada si trasforma in moda grazie anche e soprattutto al lavoro dei cosiddetti “cool hunter” (cacciatori di tendenze): persone mandate in giro per il mondo a scovare tendenze e nuovi stilli da introdurre nel mercato. Un altro segnale di come la moda stia cambiando, diventando sempre più accessibile e “umana”. In passa-

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to, dalle passerelle venivano esclusivamente proposti abiti sontuosi e difficili da indossare nella vita di tutti i giorni. Complice la crisi economica del mondo occidentale, anche gli stilisti più prestigiosi hanno compreso che la partita si vince avvicinandosi maggiormente alla praticità del quotidiano. E per farlo, devono avere un contatto continuo con la realtà quotidiana. Dal celebre brand TopShop fino all’italianissimo Replay, molti portano il vestiario sportivo nel “daily life outwear”, rendendolo più accattivante e dinamico. T-shirt oversize con numeri impressi per le ragazze da abbinare ad aderentissimi skinny jeans e giacconi in stile collegiale per il mondo maschile. Questo stile sta letteralmente impazzando negli Stati Uniti e pian piano si sta spostando in Europa. Non a caso il primo fra tutti gli stilisti ad introdurre questa tendenza fu Ralph Lauren, che nell’ottobre 2004 lanciò una collezione lifestyle completa, concepita per giovani uomini e giovani donne con un range tra i 16 e i 34 anni. Tra gli esempi che possiamo portare nel presente, Frankie Morello si è ispirato a questo mondo per creare la linea primavera/estate 2013. Per la donna propone giacche bomber oversize dai colori vivaci e metallizzati con t-shirt traforate e numeri dalle tonalità fluo stampati sulla schiena, mentre per l’uomo giacche in stile collegiale ma esclusivamente in nero o grigio con qualche trasparenza. Altro elemento introdotto dallo stilista è il cappellino con visiera da indossare in una taglia più grande per entrambi i sessi. Anche Bikkembergs ha voluto creare una linea dedicata esclusivamente al mondo del football (Luxury Sport): tra i vari capi e accessori segnaliamo la borsa di pelle da palestra maschile, a forma di palla da football. Cosa è opportuno abbinare a questi capi? Non può mancare è l’occhiale da sole, per esempio l’immortale modello “aviator” prodotto da Ray-Ban con la variante della lente sfumata, funzionale anche nelle giornate più grigie; oppure il modello bicolor di Web Eyewear per le ragazze che amano legare l’occhiale al capo che indossano. Il cappellino si diceva, colorato e borchiato per le ragazze, con scritte in stile graffiti per i ragazzi. Ma sono solo degli esempi: il Football American Style è una tendenza unisex, accessibile ma soprattutto personalizzabile e adatta a tutti, senza eccezione alcuna. Del resto, viene dalla strada. l


Il blog di Virginia Varinelli nasce nel settembre 2011, diventando subito un riferimento per gli appasionati di moda e gli addetti ai lavori. Quotidianamente il blog registra accessi da ogni luogo del mondo. Virginia è di Milano. Si è laureata in Economia nel 2009 e ha subito cominciato a lavorare. Da uno stage a Parigi presso Diane von Furstenberg è sbocciata la sua grande passione per la moda. Ha recentemente lanciato il suo brand Viridì, che in pochi mesi di vita ha già raccolto numerosi ammiratori. www.uglytruthofv.com

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6 Virginia indossa: Maglia di paillettes con numero. Replay 199 €

Occhiali da sole sfumati verdi Just Cavalli 110 € Bracciale con cristalli di Rocca e parti in argento Viridì 75 €

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s THE UGLY TRUTH OF V

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FOOTBALL AMERICANO accenni e regole base

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Levi’s 511 Red Tab: aderente e raffinato dalla vita ai piedi 86 €

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Shorts Coaln&Terry: Vintage castomizzate con borchie tonde 98 €

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Occhiali da sole Web Eyewear: KETCH_mod. WE0113 160 €

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Profumo Jean Paul Gautier Le Beau Male 57,20 €

MBC: t-shirt di cotone con stampa football americano 19,90 €

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Bomber Frankie Morello 670 €

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Il football americano nasce all’incirca nel 1861. Ogni squadra mette in campo 11 giocatori, con lo scopo di segnare più mete possibile. La palla è di forma ovale e la sua lunghezza non a caso corrisponde a quella del piede (foot) canonico preso come misura convenzionale in America. La squadra che difende calcia il pallone situato sulla linea delle 30 yards

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Alcott: maglia oversize 7,99 €

Bikkembergs bag: edizione limitata della sport Couture del brand

I Ray-Ban: occhiale aviator con lente tortora fumè 145 €

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Smalto L’Oreal: Color Riche Lo Smalto Top Coat che renderà più “shining” la vostra manicure 5,99 €

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Chanel: Palla da football americano 350 €

Elie Saab Le Parfum: da 49,50 €

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cercando di mandarlo il più lontano possibile. La squadra che attacca ha a disposizione due alternative: se il pallone arriva nelle proprio 20 yards, il giocatore preposto alla ricezione della palla (kick returner) può rinunciare a correre segnalandolo all’arbitro, oppure può correre con la palla cercando di portarla il più avanti possibile. La partita viene

suddivisa in 4 tempi da 15 minuti ciascuno per un totale di 60 minuti. Se allo scadere del tempo non c’è un vincitore si aggiungono due tempi supplementari avvalendosi della regola del Golden Goal, ovvero chi segna per prima vince. Ora che vi abbiamo svelato le regole fondamentali siete pronti per giocare una partita?

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STYLE

TU VUO’ FA L’AMERICANO (MA SI NATO IN ITALY!) 10 prodotti per raggiungere gli states senza muoversi I college, il football, la pop-art. L’italiano è sempre stato affascinato dagli Stati Uniti. Ma anche i più convinti supporter del life style a stelle e strisce non possono nascondere l’istinto italico. Ecco qualche suggerimento per soddisfare entrambe le fascinazioni.

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EASTPAK Lo storico marchio statunitense (nato nel 1952) propone una nuova collezione ispirata alle sue origini: l’America. Lo zainetto a stelle strisce, con la zip e il tipico tascone frontale, si adatta ad ogni necessità, che si tratti di un viaggio o di una scampagnata fuori porta. 100 Euro

MOLESKINE DIARY/PLANNER Il tempo è prezioso. Per organizzarlo al meglio è utile avere sempre con sé un’agenda maneggevole e colorata la Moleskine. Sapere che è l’erede del leggendario taccuino di Ernest Hemingway, celebre scrittore americano, non può che stimolare la vostra voglia di scrivere. 12 Euro

KEEPCUP In perfetto stile college americano. Utile per portarsi in giro la propria bevanda calda preferita e, diciamocelo, per tirarsela un po’ fingendosi protagonisti di qualche telefilm poliziesco d’oltreoceano. Notizia gradita: sul sito del marchio è possibile personalizzare colori e dimensioni. Da 9,60 a 12,80 Euro

I-Wood Il look è proprio quello (ci siamo capiti?), l’utilizzo un po’ diverso. I-Wood è una lavagnetta incassata in una struttura di legno delle dimensioni di un portatile. Il pensiero scivola diretto ai ricordi della giovinezza dietro ai banchi di scuola. Dediacata a piccoli e meno piccoli. 44 Euro

NY yankees - new era Lui, l’intramontabile, l’inimitabile. Il cappellino americano per antonomasia. Chi non ne ha mai avuto uno alzi la mano e corra immediatamente ai ripari! Non solo icona di stile ma anche eccellenza produttiva: non a caso 22 sono le fasi necessarie per realizzarlo. 34 Euro

beats studio by DR. DRE Una volta erano solo dei calciatori che sfuggivano alle interviste. Oggi sono un must al quale è difficile rinunciare. Questo modello, disegnato dal rapper americano Dr. Dre, è tra i più prestigiosi della gamma in quanto dotato di sistema di riduzione del rumore ambientale. 299 Euro


! L A O O GO

CALCIO BALILLA F20 GARLANDO Quattro amici, un calcio balilla a disposizione ed il divertimento è garantito. Questo modello stabile e robusto viene incontro anche a chi ha problemi di spazio: grazie ad innovative gambe pieghevoli si può ripiegare e nascondere all’occorrenza (a volte cancellare le traccie conviene). Altro che America! 319 Euro

cuffia poolish - arena Con questa cuffia sulla testa il plurimedagliato nuotatore americano Michael Phelps vi guarderà con sospetto. Questa nuova collezione di cuffie in silicone è leggera e confortevole ed adatta sia ai delfini d’esperienza sia a chi si cimenta per le prime volte. Di certo non vi sentirete pesci fuor d’acqua. 8,95 Euro

NINTENDO 3DS XL La prima console che permette di giocare in 3D senza l’ausilio di nessuno scomodo occhiale, basta regolare tramite un pulsante il livello di tridimensionalità che desideriamo. Questo cosa vi suggerisce? Che l’importante è averla in borsa, nello zaino o in tasca, il resto vien da sè.189 Euro

electrolux ekf 5220 Fondamentale nelle notti prima degli esami ma anche per il dopo cena in compagnia, visto che la caraffa in vetro ha una capacità di 10 tazze di caffè (americano). Se siete sbadati non preoccupatevi perchè è dotata anche di un timer programmabile e di spegnimento automatico. 49 Euro

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GIOVEDÌ 23 MAGGIO NAPOLI PIAZZA DEL PLEBISCITO VENERDÌ 31 MAGGIO PADOVA STADIO EUGANEO LUNEDÌ 03 GIUGNO MILANO STADIO SAN SIRO GIOVEDÌ 11 LUGLIO ROMA ROCK IN ROMA

WRECKING BALL WORLD TOUR 2013 brucespringsteen.net

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WHAT’S NEW

Non è

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ABBASTANZA

Dopo una carriera che non ha conosciuto altro che successi, i Depeche Mode hanno inciso un altro gran disco. Delta Machine segna il ritorno ai suoni che hanno reso unica la band inglese. di Guido Amari

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i sono chiaramente delle influenze blues. Il filo conduttore delle canzoni è un grido d’aiuto, che è proprio del blues. Ci si lamenta delle proprie pene, ma in qualche modo ci si libera attraverso la musica». Così Dave Gahan descrive l’approccio compositivo di Delta Machine, tredicesimo lavoro in studio del terzetto di Basildon, una sorta di ritorno verso quel sound che li ha resi davvero immortali. Dopo aver sparigliato le carte della scena pop con una manciata di dischi che mescolava ritornelli affascinanti ed elettronica di largo consumo, i Depeche Mode hanno sterzato in modo piuttosto evidente poco dopo la metà degli Ottanta, lasciando intravedere un aspetto piuttosto oscuro della proprio musica, alimentato anche dai ben noti problemi di tossicodipendenza di Gahan, un Iggy Pop della generazione elettropop, presenza fondamentale sul palco e autentico rovescio della medaglia dell’amico Martin Gore, compositore eccelso e leader incontrastato del gruppo.

Delta Machine

Sony Music Italy

divide equamente tra buone cose ed episodi Il risultato più affascinante di questo mix esaltanti che giustificano l’acquisto dell’album viene ben riassunto in una tripletta di dischi e rilanciano con successo le quotazioni dei Deche li consegna alla storia e li lancia in cima peche. Per carità, non era certo il successo di alle classifiche di tutto il mondo: Violator, classifica a mancare ai nostri, ma la sensazione Songs Of Faith And Devotion e Ultra sono la è che un singolo come Soothe My Soul divensumma di un suono personale e affascinante, terà il prossimo singalong da stadio, mentre devoto al blues del Delta - lo stesso del titoAngel e Slow (blues primitivo ed elettronica ai lo del nuovo disco -, ma piegato alle esigenze massimi livelli, con la seconda che proviene dei sintetizzatori e delle drum machine. Gore addirittura dai tempi di Songs Of Faith And si divide tra chitarra e tastiere e regala una Devotion) faranno ammattire i fan storici. Il sequenza di singoli che non ha rivali, imponostro plauso va anche al pop oscuro ed epico nendo la sua band come una delle migliori di Alone, all’elettronica scarna, quasi in odore anche degli anni Novanta. Il peso della fama e di una carriera sempre ai vertici rischia di interrompere la parabola Non era certo il successo di classifica dei Depeche, ma la maturità e un a mancare, ma la sensazione è che un nuovo equilibrio interno (Gahan, singolo come Soothe My Soul diventerà per esempio, ottiene di inserire tre il prossimo singalong da stadio. suoi brani in ogni disco) garantiscono un sereno proseguimento di Warp, di My Little Universe, alla conclusisenza troppi scossoni. va Goodbye che potrebbe essere una nuova I E se la sequenza di album successivi contiFeel You. Il resto delle canzoni, come già detnua sulla strada di una musica elettronica perto, si mantiene su buoni livelli, garantendo sonale, ma un po’ troppo di maniera, Delta comunque la necessaria qualità a un album Machine cerca con coraggio di rivolgersi verso che dimostra quella vitalità che molto spesso quella fonte d’ispirazione che tanto bene ha manca ad artisti in pista da oltre trent’anni. fatto alla musica del terzetto. I tre pezzi di GaParafrasando una delle loro hit immortali, anhan si mantengono su uno standard discreto cora oggi, a distanza di così tanto tempo, “we - manca la scintilla di genio, ahinoi, ma dojust can’t get enough”. L’appuntamento live, a vendo scegliere propendiamo per Secret To The questo punto, è obbligatorio. End -, mentre il materiale proposto da Gore si

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MUSICA

ove vanno gli Strokes? Il loro percorso, iniziato con il rock’n’roll sfacciato e arrabbiato di Is This It, sta evolvendo in qualcosa di più personale, ma anche più sfuggente. Comedown Machine prosegue nel solco obliquo che avevano iniziato a tracciare con First Impression Of Earth, con diverse novità. Il “suono Strokes”, quel misto di chitarre e indolenza, ha lasciato il posto a composizioni spregiudicate, deliziosamente retrò, dove sintetizzatori e tastiere la fanno da padroni. Il primo ascolto può lasciare spiazzati. Si sente l’eco di una certa fascinazione per gli anni 80, tra i Cocteau Twins e il dream-pop, arricchito però dall’attitudine rock che da sempre caratterizza il quintetto newyorkese. 80’s Comedown Machine lo dichiara già dal titolo, ma basterebbe il rullante riverberato a rivendicarne la paternità Eighties. Slow Animals e Happy Ending, i pezzi più convincenti, trovano il perfetto equilibrio tra strofe incalzanti e ritornelli che ti portano dove vogliono loro. 50 50 e All The Time sono i brani che più ricordano i primi Strokes, ma è come se fossero filtrati da una luce particolare che ne confonde i contorni e ne scompone i tratti. I synth di One Way Trigger (che sembrano

THE STROKES

Comedown Machine (RCA Records)

rubati da Enola Gay degli OMD) si intrecciano alla perfezione con la voce di Julian Casablancas, mai così versatile, che si assottiglia tanto da riconoscersi a stento - succede anche in Chances mentre in Welcome To Japan, si fa suadente e profonda. L’impressione generale è che neppure gli stessi Strokes sappiano esattamente che direzione stiano intraprendendo, ma che con coraggio e un pizzico di incoscienza vadano definendo sempre di più le coordinate di un loro personalissimo stile. L’album, pur senza nessun pezzo particolarmente forte e con qualche colpo a vuoto, chiarisce una volta per tutte che no, non sono e non saranno più quelli di Is This It.

di Tommaso Cazzorla

Micro-reviews BASTILLE Bad Blood (Virgin/EMI)

Capelli alla moda, coretti, spolverate di elettronica e melodie a presa rapida. I Bastille si candidano a riempire le radio di hit, come già il primo singolo Pompeii #tenetelidocchio

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LITFIBA Trilogia 1983-1989 Live 2013 (Sony Music)

Il live che sancisce il successo del tour dedicato ai primi tre dischi, con la formazione originale. Un salto negli anni ’80, uno dei momenti più belli del rock italiano #nostalgia

SALMO Midnite (Tanta Roba Label)

Il rapper più hardcore d’Italia sputa fuori rime gonfie di malessere, incazzature nichiliste e citazioni horror su basi dubstep e drum’n’bass scure come un film di Carpenter #darkrap

THE KNIFE Shaking The Habitual (Rabid Records)

La potenziale soundtrack di uno psycho-thriller 2.0, ossessiva. Tra kraut-rock ed echi elettronici, le turbe dei due fratelli svedesi in musica. #nonprimadiaddormentarsi


James Blake - Overgrown (Polydor/Republic Records)

di Marco Rigamonti

Il dono non si cerca, perché non si trova. O ce l’hai quando nasci o nisba. E chi ce l’ha spesso lo spreca. Non James Blake, che si applica con dedizione e trova il modo per trasformarlo in strumento a tutti gli effetti. La sua formula magica consiste nel dosare tutto con parsimonia, creando una tensione che si libera solo nell’attimo giusto, grazie a colpi di genio che sfidano i manuali del perfetto arrangiatore. La title-track di Overgrown è un brillante esempio di come l’inglese concepisca la musica: l’apparente architettura minimalista e una (ingannevole) staticità armonica vengono sconvolte all’improvviso, con il basso che si ferma e lascia via libera al piano, o con una nota lunga di violino che si apre in un generoso ventaglio di archi (finti? non importa). Parlando di congettura sonora, si ascolti Life Round Here prestando attenzione ai continui e talvolta repentini cambi di colore: si prendono gioco della ripetitività (per molti uno spauracchio, per lui una giostra) senza perdere il filo del discorso. James Blake è in grado di infrangere le regole e creare qualcosa di perfettamente coerente. All’origine di tutto non c’è improvvisazione, ma solide basi culturali e artistiche. Se aggiungiamo quella voce che ricorda Anthony Hegarty - un altro col dono - si capisce immediatamente quanto sia prezioso il suo contributo alla scena musicale dei nostri tempi.

Flaming Lips - The Terror (Bella Union) Il 2013 segna il trentennale della band dell’Oklahoma. Da non credere, specialmente se si pensa alle trasformazioni che hanno caratterizzato una carriera densissima, ricca di dischi importanti, qualche capolavoro, cadute di tono e follie assortite che solo un pazzo totale come Wayne Coyne poteva escogitare. Un esempio: Zaireeka, un quadruplo CD da ascoltare in contemporanea con quattro lettori. In un mondo fatto di meraviglie come Telepathic Surgery e Transmissions From The Satellite Heart - quello con il singolo prodigio She Don’t Use Jelly - non stupisce che la band abbia sterzato così tante volte da rendere ogni uscita discografica un piccolo evento. E se il successo di un album come The Soft Bulletin pare ormai lontano e irraggiungibile, è interessante notare come la tensione creativa tra Coyne e l’altra mente del progetto Steven Drozd sia ben lungi dall’esaurirsi. The Terror arriva dopo un travagliato periodo personale per i due, alle prese con problemi matrimoniali (il primo) e dipendenze poco sane (il secondo) e suona come un incrocio tra il sound cosmico tedesco degli anni 70, spesso senza batteria o con drum machine, e il rock psichedelico caro a Wayne: i tredici minuti di You Lust sono uno dei momenti chiave, ma non possiamo dimenticare la chiusura serrata di Always There... In Our Hearts e lo spazio profondo di Turning Violet e You Are Alone.

di Stefano Gilardino

Paramore - Paramore (Fueled by Ramen)

di Tommaso Cazzorla

Questa nuova opera dei Paramore non è quella della maturità, ma i ragazzi di Franklin, Tennessee, ci stanno provando. Giunti al quarto album, le coordinate rimangono quelle di un teen rock di stampo americano, energico e accattivante, ma con la volontà, questa volta, di andare un po’ oltre. Si percepisce la voglia di provare altre strade, non solo la più diretta, per arrivare comunque al refrain schitarrato da stadio. La voglia di rinnovamento traspare in tutto l’album. Si nota dagli inserti di synth un po’ ovunque, dall’andamento swingato di Grow Up, dal timido ukulele degli interludi e dalla bella Ain’t Fun che sfocia addirittura in un coro gospel. Il tutto calato perfettamente nell’economia del disco. Ma il meglio lo danno quando assecondano la loro natura alternative-ma-non-troppo, e giocano a fare i cuginetti modaioli dei Garbage, o la versione ripulita dei No Doubt come in Anklebiters e in Still Into You. Menzione a parte per il brano di chiusura Future, una cavalcata semi-strumentale di sette minuti che spazia dal post-rock all’industrial, in cui pesa la mano del produttore Justin Meldal-Johnsen (ex Nine Inch Nails). Se questa è l’idea che la band ha del proprio futuro, la crescita è appena cominciata.

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CINEMA

lla fine la fantascienza non passa mai di moda. Un po’ perché tra i nuovi cineasti in circolazione c’è sempre qualche sfegatato fan cresciuto a pane e Star Wars, un po’ perché se trattato bene è un genere che parla d’altro per dare risposte su noi stessi. Tom Cruise interpreta Jack Harper, uno degli ultimi riparatori di droni operanti sulla Terra. Parte di una massiccia operazione per estrarre risorse vitali dopo decenni di guerra contro una terrificante minaccia conosciuta come Scavs, la sua missione è quasi terminata. Vivendo e perlustrando gli straordinari paesaggi da migliaia di metri d’altezza, Jack crolla ed entra in crisi d’identità quando salva una bella straniera da uno spacecraft precipitato. L’arrivo della donna innesca una serie di eventi che lo costringono a mettere in dubbio tutto ciò che conosceva e di cui era stato informato e, suo malgrado, si trova tra le mani il destino dell’umanità. Il 38enne regista Joseph Kosinski non è cresciuto con la passione per la science fiction, ma il suo destino era segnato ancor prima che lo potesse immaginare. Laureato in architettura con specializzazione in CGI e modelli 3D, è stato scovato nel 2005 da David Fincher che lo ha messo al lavoro nella sua agenzia di pubblicità. Si è fatto notare con

a cura di Antonio Bracco

Oblivion alcuni spot realizzati in computer graphica che l’hanno indirizzato verso il primo lavoro da regista, Tron: Legacy. La storia di Oblivion l’ha scritta lui concependola inizialmente come una graphic novel, la quale è in effetti stata realizzata per essere pubblicata in concomitanza con l’uscita del film. A garanzia di tutto c’è naturalmente Tom Cruise. Il suo status di superstar di Hollywood potrà non essere quello di una volta, ma in quanto a credibilità e devozione ai progetti che sceglie di fare è ancora largamente insuperabile.

critica pubblico USA, 2013, 110 min.

Il cast: Tom Cruise, Morgan Freeman, Nikolaj Coster-Waldau, Olga Kurylenko, Zoe Bell, Melissa Leo, Andrea Riseborough Di Joseph Kosinski

Micro-reviews TUTTO PARLA DI TE di Alina Marazzi (Svizzera, Italia, 2012) Pauline è una donna adulta che nasconde un segreto, Emma una giovane madre in crisi d’identità. La #maternità non è sempre fatta di serenità e sorrisi, a volte c’è un disagio che si fatica a superare

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COME UN TUONO

di Derek Cianfrance (USA, 2013) Uno stuntman (Ryan Gosling) incontra una sua ex (Eva Mendes) e scopre di essere diventato padre. Accetta le proprie responsabilità, ma per affrontare le difficoltà economiche inizia a #rapinarebanche

ATTACCO AL POTERE di Antoine Fuqua (USA, 2013) Audace thriller con un piccolo gruppo di estremisti armati fino ai denti che mette in atto un #agguato alla Casa Bianca in pieno giorno, prendendo in ostaggio il Presidente degli Stati Uniti (Aaron Eckhart)

CI VEDIAMO DOMANI

di Andrea Zaccariello (Italia, 2013) Un uomo sul lastrico (Enrico Brignano) apre un’agenzia di pompe funebri in un remoto paesino popolato solo da ultranovantenni credendo di fare affari, ma quei vecchi sono dei veri #duriamorire.


IRON MAN 3

di Shane Black, USA, 2013

critica pubblico

Quel mostro di intelligenza e sfacciataggine che è l’industriale Tony Stark ritorna nell’armatura del suo alter ego Iron Man. In questo terzo capitolo della saga il supereroe della Marvel è costretto ad intraprendere una straziante missione alla ricerca del nemico che ha distrutto tutto il suo mondo. Un nemico terribile e temibile capace di mettere a dura prova il coraggio di Iron Man, come mai gli era capitato fino a quel momento. Messo con le spalle al muro Stark è costretto a sopravvivere senza i dispositivi da lui creati, fidandosi solo del proprio ingegno e del proprio istinto. E forse capirà finalmente se è l’armatura che fa l’uomo o l’uomo che fa l’armatura. Iron Man 3 (in 3D) segna la quinta apparizione di Robert Downey Jr. nei panni di Tony Stark, considerando anche The Avengers e la breve scena dopo i titoli di coda de L’incredibile Hulk. Cast: Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Guy Pearce, Don Cheadle, Rebecca Hall, Paul Bettany, Ben Kingsley, Jon Favreau, William Sadler

HITCHCOCK

di Sacha Gervasi, USA, 2012

Il maestro del brivido è uno solo: Alfred Hitchcock. Lo straordinario regista cinematografico noto per aver ideato alcune delle sequenze più spaventose ed intriganti mai apparse al cinema nascondeva un segreto, una lunga ed intensa storia d’amore con una donna forte e decisa. La donna in questione era Alma Reville, sua collaboratrice professionale nonché sua unica moglie dal 1926 al 1980. Questo film fa luce sulla loro relazione affascinante e complessa attraverso il racconto dell’avventura cinematografica più coraggiosa, la lavorazione dell’inquietante thriller Psycho che sarebbe stato il film più controverso di tutta la filmografia di Alfred Hitchcock. Alla fine di questa produzione tumultuosa ed incredibile nulla nel cinema sarebbe più stato lo stesso. Hitchcock e la moglie sono magistralmente interpretati da Anthony Hopkins e Helen Mirren. Il Cast: Anthony Hopkins, Scarlett Johansson, Jessica Biel, Helen Mirren, Ralph Macchio, Toni Collette, Danny Huston

critica pubblico

Jimmy Bobo - Bullet to the Head di Walter Hill, USA, 2012

In questa storia girata con il buon vecchio stile anni Ottanta dal regista di 48 ore, si racconta di un sicario di New Orleans che non conosce le buone maniere. Il suo nome è Jimmi Bobo, il suo obiettivo è vendicare la morte di un amico per mano del mercenario Keegan. Per riuscire nell’impresa è costretto a farsi aiutare da un riluttante detective di Washington D.C. con lo smartphone sempre accesso e connesso ad internet. I due si aiutano e si pestano i piedi continuamente fino ad arrivare a mettere le mani su documenti scottanti. Coinvolto è anche un politico corrotto che vorrebbe cambiare faccia alla città e poi lucrare sull’edilizia. Presentato allo scorso Festival del Film di Roma in presenza dello stesso Sylvester Stallone e del regista Walter Hill, il film si ispira ad una graphic novel francese intitolata Du plomb dans la tête. Il Cast: Sylvester Stallone, Jason Momoa, Sarah Shahi, Christian Slater, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Sung Kang, Jon Seda

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GAMES

a cura di Blueglue

Micro-reviews GEARS OF WAR: JUDGEMENT (Xbox 360)

L’ultimo(?) episodio della saga più amata dalla generazione 360 è in realtà un flashback (pre GOW 3); la campagna single-player non brilla affatto, e allora vai di multi. #Orde #Muoribattiterra

GOD OF WAR:

BIOSHOCK INFINITE COME IL MIGLIORE DEI FILM

ASCENSION (Ps3) L’attesa è finita, il prequel è servito: grafica da urlo e dinamiche di combattimento aggiornate rendono God Of War più esuberante e spettacolare che mai. #Ilritornodikratos #Battagliemitologiche

NUOVO CAPITOLO DELLA SAGA BIOSHOCK. ANCORA UNA VOLTA IRRESISTIBILE. Luigi’s Mansion 2 Dark Moon (3DS)

Produttore: (Irrational Games) Genere: Fps Disponibile per: Xbox 360 / PS3 / PC

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i sono poche persone capaci di raccontare storie come Ken Levine. Nella circostanza la sfida è di quelle epiche: cercare di eguagliare (o superare) il fascino di Rapture - la città in fondo al mare che ospitava l’inquietante realtà distopica di Bioshock. Per farlo, Ken sceglie il reset: con un coraggioso e inesorabile colpo di gomma cancella Big Daddy, sorelline, ADAM e personaggi chiave come Andrew Ryan e Seb Fontaine. E così i riflessi blu e verdi dell’acqua vengono sostituiti dalle accese tonalità cromatiche di Columbia, una città sospesa tra le nuvole. La claustrofobia che si provava muovendosi sotto all’oceano è rimpiazzata dalla libertà di fluttuare tra i cieli. Anche l’epoca storica è diversa: dagli anni 60 si fa un passo indietro, all’inizio del ‘900. A livello di gameplay è fondamentale l’inserimento delle sky-lines (rotaie che consentono di spostarsi a mo’ di montagne russe dando vita a inevitabili e surreali battaglie), mentre sono meno invadenti i ritocchi in ambito poteri (i Plasmidi ora si chiamano Vigor, ma il siste-

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ma di combattimento “a due mani” - arma da una parte, potere dall’altra - rimane pressoché invariato). Al fianco del protagonista Booker c’è Elizabeth; se tecnicamente è corretto definirla un NPC (Non-Player Character), sarebbe davvero un errore sottovalutare il suo apporto nel corso dell’avventura. Perché oltre a collaborare in maniera attiva (per esempio raccogliendo munizioni), mette a disposizioni anche dei varchi temporali che aiutano non poco nelle situazioni più intricate. Ma al di là di ogni possibile variazione, va messa in evidenza la cosa in assoluto più importante: Ken Levine è riuscito ancora una volta a creare una maestosa opera d’arte, dove l’ostentata critica nei confronti di certe sfaccettature della politica si intreccia con sentimenti puri e semplici, dove gli intriganti spunti storici vanno a braccetto con la rodata componente action e dove si alternano emozioni e riflessione in un brillante equilibrio. Proprio come nel migliore dei film.

Il secondo idraulico italiano più famoso al mondo torna a vestire i panni del ghostbuster in un’esclusiva Nintendo 3DS divertente, fresca e originale. #Avventuraarcade #Aspirandoectoplasmi

Monster Hunter 3 Ultimate (Wii, 3DS)

Sbarca anche in Europa e America l’elaborata espansione di Monster Hunter Tri, ottima sia per gli aficionados che per chi intende muovere i primi passi nella serie di culto giapponese. #Cacciagrossa


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IL 22 APRILE DEBUTTA ONSTAGE RADIO di Gianni Olfeni

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! PRIMA E UNICA

Avete mai ascoltato una digital radio che trasmette solo musica live? Anticipare la vostra risposta: no! Onstage Radio è il primo progetto radiofonico digitale interamente costruito intorno alla musica live. Cliccando play accederete al nostro mondo: i concerti. La selezione musicale, curata da Daniele Tognacca (Radio Deejay, Virgin Radio e altre nel suo curriculum, vi farà rivivere le emozioni dei grandi live di artisti italiani e internazionali 24 ore su 24. 72 onstage aprile

COMPUTER

Il player di Onstage Radio sarà naturalmente posizionato all’interno del sito di Onstage. Ma non solo: lo troverete anche in un ampio numero di siti partner (l’elenco completo sarà pubblicato a ridosso del lancio della radio). Insomma, lo troverete in Rete e potrete accedervi da qualunque dispositivo, fisso o mobile. Se invece volete ascoltare la nostra digital radio senza entrare in Internet, potete addirittura scaricare il Desktop Player sul vostro pc. Sarà ancora più semplice e immediato.

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Per facilitare l’accesso e migliorare l’ascolto in movimento, potrete scaricare l’app di Onstage Radio sui market place dei dispositivi Apple (App Store) e Android. L’interfaccia della nostra applicazione è semplice da fruire: ascoltare musica rigorosamente live, conoscere la programmazione e gli artisti proposti sarà semplicissimo. E se vorrete condividere l’ascolto con i vostri amici, basterà accedere alla radio con il profilo Facebook e sfruttare la funzione “Condividi”.



COMING SOON

GREEN DAY

CHE SIA LA VOLTA BUONA di Tommaso Cazzorla

R

icapitoliamo. Nel 2010 i Green Day sono gli headliner dell’Heineken Jammin Festival, ma un nubifragio si abbatte sul Parco San Giuliano di Mestre e costringe gli organizzatori a cancellare l’evento. Poco più di due anni dopo, settembre 2012, sono il gruppo principale del I-Day festival di Bologna, ma questa volta è la stessa band che annulla il concerto, poche ore prima dell’inizio, per un presunto malore che avrebbe colpito il frontman Billie Joe Armstrong costringendolo in ospedale. La situazione è poco chiara, non si capisce cosa sia successo. L’ospedale parla di gastrite, gli altri membri del gruppo di influenza, e anche gli orari non tornano. Si chiarisce tutto pochi giorni dopo, quando Billie Joe sbrocca durante l’iHeart Festival di Las Vegas: innervosito dagli organizzatori che hanno tagliato lo show dei Green Day, ferma l’esibizione, spacca la chitarra e se ne va insultando tutti in malo modo, eviden-

temente fuori di sè. È tempo di correre ai ripari. Scuse ufficiali da parte della band e rehab per il cantante, che avrebbe avuto un crollo nervoso dovuto allo stress e alle miscele di alcool e sonniferi di cui fa uso e abuso. Tutto risolto? Macchè, poco tempo dopo i Green Day rimandano il resto del tour 2013, che coinvolgeva principalmente l’America, per permettere al cantante/chitarrista di riprendersi al meglio. La band gli dimostra tutto l’affetto di cui ha bisogno. «Abbiamo dovuto mettere la vita del nostro amico Billie Joe davanti a tutto per salvarlo». Funziona. A fine 2012 l’annuncio dei nuovi concerti. Tra cui, per farsi perdonare il forfait di Bologna, ben 4 in Italia (a Milano, Trieste, Roma e Bologna). Sembra che tutto si sia risolto per il meglio e il peggio sia ormai alle spalle. Proprio Billie Joe ha recentemente raccontato in un’intervista, la prima dopo la difficile riabilitazione, come l’autunno 2012 sia stato il periodo peggiore della sua vita: «In quel momento la mia dipendenza dai farmaci era al massimo. Soprattutto medicine per tenere sotto controllo l’ansia, e poi sonniferi». Incrociamo tutti le dita, allora, perché il tour estivo metta fine alla lunga serie di sfortunate circostanze che hanno segnato il rapporto tra il nostro paese e la band americana. Che questa sia la volta buona.

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CALENDARIO CONCERTI Baustelle 02/05 Parma 04/05 Montecatini

04/05 Venezia 17/05 Lecce 18/05 Teramo

Bruce Springsteen 23/05 Napoli 31/05 Padova

Mark Knopfler 02/05 Torino 03/05 Milano

Beyoncé 18/05 Milano

My Bloody Valentine 27/05 Bologna 29/05 Roma

Gianna Nannini 03/05 Verona 04/05 Verona Joe Satriani 26/05 Rimini 28/05 Napoli 29/05 Roma 30/05 Milano 31/05 Firenze Lana Del Rey 03/05 Torino 06/05 Roma 07/05 Milano Green Day 24/05 Milano 25/05 Trieste Marco Mengoni 20/05 Torino 21/05 Genova 23/05 Firenze 24/05 Padova 26/05 Napoli 27/05 Ancona 29/05 Roma 30/05 Bologna Ministri 03/05 Reggio Emilia

74 onstage aprile

Modà 03/05 Genova 04/05 Torino 06/05 Milano 08/05 Bologna 10-11/05 Padova 14/05 Bolzano 17-18/05 Firenze 21/05 Caserta 22/05 Bari 25/05 Palermo Niccolò Fabi 10/05 Sassari One Direction 19/05 Verona 20/05 Milano Raphael Gualazzi 05/05 Torino 06/05 Verona 07/05 Udine 10/05 Padova 11/05 Bologna 12/05 Pescara Zucchero 01/05 Verona 02/05 Verona




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