Onstage Magazine maggio/giugno 2015

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MAGGIO GIUGNO

2015

E xpo

Perché potrebbe essere una grande occasione anche per la musica

FSG

L’ultimo atto del trio Fabi Silvestri Gazzè: tiriamo le somme, con loro

+ Nina Z IL L I Mar c MÁRQUEZ

I biza

LEVAN TE

Si è trasformata nell’isola delle esperienze esclusive, a caro prezzo

BLU R Jasmi n e TRIN CA

Mu m f o r d & So n s

VAS CO

25 anni di concerti negli stadi

EURO 3

9

772421

ISSN: 24210781

078005

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Nuova musica, vecchi concetti. Per cambiare serve restare se stessi

MARCO MENGONI

To g l i e t e g l i t u t t o , m a n o n l a l i b e r t à d i s f u g g i r e a l l e e t i c h e t t e







EDITORIALE DANIELE SALOMONE

@DanieleSalomone

D

ue anni fa abbiamo celebrato la morte dei grandi festival in Italia. Annullato A Perfect Day, che con la prima edizione (nel 2012) aveva illuso un po’ tutti, cancellato Heineken Jammin’ Festival, non restava che leccarci le ferite. A caldo sembrava un disastro totale e per di più molto sentito dal pubblico italiano, coinvolto più di quanto si potesse immaginare. Un dato: il pezzo con il quale dicevo la mia sui motivi del fallimento è stato il più letto sul sito di Onstage nel 2013. Non può essere un caso e non è stato merito mio, ma del tema trattato. Smaltita la delusione, oggi la situazione mi sembra meno grave. Abbiamo realtà medio-piccole che, pur destinate a rimanere tali, rappresentano possibilità concrete di vivere l’esperienza di un festival nel senso letterale del termine. Penso a Ypsigrock, che si è imposto agli Onstage Awards nella categoria Miglior Festival, o al veneto Home Festival che continua a crescere e potrebbe davvero avvicinarsi ai modelli europei cui si ispira. E Collisioni, Unaltrofestival, Radar, MiAmi e altri ancora. Poi ci sono le rassegne, che gli anglofoni (e pure noi, agli Awards) chiamano con un più sexy “concert series”. Buone occasioni per concerti di alto livello, spesso in suggestive cornici come Lucca o Piazzola sul Brenta (quest’ultima ospita l’Hydrogen Festival, che ha vinto il premio di categoria agli Onstage Awards). Oppure

in piazze grosse capaci di garantire qualità e quantità, come Roma. Paradossalmente, la città che più fatica a imporre un format live è Milano, che pure ha il primato nei concerti sia come numero sia come fatturato. Prima Jazzin’ Festival all’Arena civica, poi City Sound all’Ippodromo. Sono falliti tutti i tentativi di dare manifestazioni estive alla città che ha il potenziale maggiore. Ma anche in questo caso si può essere ottimisti. Le novità si chiamano Postepay Milano Summer Festival ed Estathé Market Sound, che si svolgeranno rispettivamente nell’area antistante al Forum di Assago e ai Mercati Generali. Sono location tutt’altro che esaltanti, cemento circondato da cemento. Ma è quel che passa il convento. Dentro e intorno a Milano non esistono aree verdi, ben servite dai mezzi pubblici e facilmente raggiungibili in macchina, senza residenti sul piede di guerra e amministrate da politici lungimiranti. C’è poco da fare. Le buone notizie sui nuovi format milanesi sono due. La prima: partono nel 2015 con l’intenzione di durare nel tempo. L’area di Assago dove si svolgeranno i concerti del Summer Festival è stata affidata in gestione a Live Nation Italia per 6 anni, mentre gli organizzatori di Market Sound hanno firmato un contratto 4+4 per i Mercati Generali. Non sono quindi progetti Expo-dipendenti, anche se quest’anno molti biglietti saranno

venduti agli stranieri che affolleranno Milano durante l’Esposizione Universale (Market Sound è nel programma di Expo in Città). La seconda buona notizia è che sembra esserci grande attenzione per i servizi, che nell’anno domini 2015 sono decisivi quanto gli artisti per garantire successo e continuità. Parcheggi, viabilità, servizi igienici, food & beverage. Tutti aspetti decisivi ai quali gli organizzatori giurano di aver dato grande importanza. I fatti diranno se hanno mentito o se finalmente potremo raggiungere gli spazi comodamente, parcheggiare spendendo poco, arrivare a un bagno prima di farcela addosso, mangiare e bere senza passare un’ora in coda per poi essere avvelenati dalle solite schifezze. Per tanti motivi – non ho qui lo spazio per (ri)affrontarli – sappiamo che non è immaginabile un Glastonbury o un Sziget nel nostro Paese. Peccato, ma facciamocene una ragione e guardiamo oltre. Abbiamo tutte le possibilità per consolidare un certo tipo di manifestazioni live, che siano concert series o festival medio-piccoli. Concentriamoci sulle possibilità e puntiamo all’eccellenza in questi format. Lo scenario potrebbe rivelarsi molto positivo. Le buone intenzioni sembrano esserci. Gli esempi virtuosi sappiamo dove trovarli. Serve solo che il fermento e gli annunci trovino concretezza.

onstage maggio - giugno 07


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44

56

52

INDICE

JUKEBOX 19. Alt-J 20. Fondazione Prada 21. Patti Smith 22. Make Music Milan 23. Fabrizio De André

32.

42.

44.

Da Fronte del palco a Sono innocente: celebriamo i 25 anni negli stadi del più grande artista italiano di sempre.

Una festa-concerto con tanti amici per il puro piacere di stare insieme. Un Plurale Unico che entusiasma il bolognese.

Alla vigilia del suo primo tour nei palazzetti, Marco ci ha rivelato qual è l’unica cosa che odia del suo mestiere: le etichette.

FACE TO FACE 26. Nina Zilli 28. Márquez

52.

56.

62.

Il nuovo album è un taglio netto rispetto al passato. Ma cambiare, ci hanno detto, era l’unico modo per essere coerenti.

Il miglior supergruppo degli ultimi anni all’ultimo live: l’impresa è riuscita perchè nessuno di loro ha rinunciato al proprio io.

Una delle nuove proposte più credibili nella musica italiana ci racconta il suo album (e perché vuole essere pop).

DC SHOES PULSE! 30. Circa Waves

08 onstage maggio

- giugno

VASCO

MUMFORD&SONS

SAMUELE BERSANI

FABI SILVESTRI GAZZÈ

MARCO MENGONI

LEVANTE


THE

TRASE

THE ORIGINAL. SINCE NOW.


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68

74

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INDICE

64.

68.

La più amata all’estero, grazie alle sue imperfezioni.

Potrebbe lasciare una grande eredità per la musica live a Milano.

facebook.com/onstageweb

74.

87/96.

@ONSTAGEmagazine

JASMINE TRINCA

IBIZA Upper Island

80.

TENNIS Vantaggio nostro

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98.

COMING SOON Jovanotti

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ONSTAGEWEB.COM NUOVO SITO, VECCHIE (E BUONE) ABITUDINI

©Giuliano Plorutti

Onstage lancia a maggio il suo nuovo sito, totalmente mobile-friendly e ricco di nuovi contenuti. Senza rinunciare però alle sane e vecchie abitudini: seguiremo come sempre i concerti con recensioni, scalette e foto e non perderemo il vizio di regalare accrediti per i live più attesi dei prossimi mesi. Accanto a tutto quello che già conoscete affiancheremo nuovi format, come rubriche curate da impor-

10 onstage maggio

- giugno

tanti artisti italiani (i Santa Margaret ci parleranno di vinili) e le Home Interview, grazie alle quali entreremo con le nostre telecamere nelle case di alcuni musicisti per mostrarvi la loro vita quotidiana: lo abbiamo già fatto con Stef Burns (il chitarrista di Vasco, grande protagonista di questo numero), che tra le altre cose ci ha anche confessato... a che ora preferisce fare sesso.



CONTRIBUTOR RICCARDO LA VALLE

Giovane fotografo italiano. Si occupa principalmente di moda. Ha curato gli scatti per il nuovo album di Levante, tra i quali anche quello che potete vedere nelle nostre pagine.

RICCARDO GHILARDI

SIMONE CECCHETTI

Specializzato in cinema, ha all’attivo numerose mostre su attori e registi. Molto apprezzato soprattutto dalle attrici (alle quali ha dedicato un libro), è fotografo per Contour di Getty Images.

Fotografo italiano, classe 1973, ha ritratto i più importanti artisti italiani e internazionali, dai Coldplay agli U2, dai Rolling Stones a Bruce Springsteen. Sono sue le foto al trio Fabi Silvestri Gazzè.

LINDA BROWNLEE

STYLAZ

Coppia di amici fotografi specializzati in metropolitane e artisti. Andrea Peroni e Riccardo Ambrosio uniscono la passione per gli spazi urbani a quella per la musica. Hanno scattato le foto di Marco Mengoni.

Regista e fotografa nata a Dublino, lavora nella moda e nella musica e ha pubblicato su Vogue, New York Times, Guardian e Telegraph. La foto dei Blur in questo numero è stata scattata da lei.

TONI THORIMBERT

Svizzero, nasce come reporter per poi diventare fotografo di moda e musica, con numerosi libri e mostre all’attivo. Nina Zilli ha scelto il suo obbiettivo per farsi ritrarre.

ERRATA CORRIGE Nell'articolo sui vincitori degli Onstage Awards presente in Onstage n. 76 era assente il riferimento al vincitore del Miglior Festival, che potete trovare qui sotto. MIGLIOR FESTIVAL: YPSIGROCK Un premio molto combattuto. Ma l'affermazione di Ypsigrock ha sorpreso solo chi non conosce bene il festival, che anche quest'anno ha proposto i suoi tre giorni di musica (8-10 agosto) rispettando la regola che gli organizzatori si sono imposti sin dalla prima edizione, nel 1997: «Nessun artista potrà mai suonare due volte con lo stesso progetto». La line-up 2014 del festival di Castelbuono (nel parco delle Madonie, in Sicilia) ha visto tra i nomi più importanti quelli di Anna Calvi, Sun Kil Moon, M+A, Sohn, Moderat, Kurt Vile e Belle and Sebastian. Premiato dal pubblico e da una larghissima parte della giuria. Complimenti.

12 onstage maggio

- giugno



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14 onstage maggio

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Š David Redfern


50 ANNI FA usciva una delle canzoni più importanti nella storia del rock. Era il 6 giugno 1965 quando (I Can’t Get No) Satisfaction veniva pubblicata negli Stati Uniti come singolo, lato A di un 45 giri che sul lato B proponeva The Under Assistant West Coast Promo Man. In quel momento, un eccellente gruppo blues londinese si trasformava nella più grande rock‘n’roll band di tutti i tempi. Non erano ancora i Rolling Stones sporchi e cattivi che nei successivi anni avrebbero ottenuto un successo forse secondo solo a quello dei Beatles. Mick Jagger, Keith Richards, Brian Jones, Bill Wyman e Charlie Watts amavano suonare un blues elettrico nel quale si univano i loro maestri Chuck Berry e Muddy Waters. I loro singoli precedenti erano per lo più cover che avevano avuto un buon successo e avevano permesso loro di guadagnarsi un posto di rilievo nella marea di gruppi che in quegli anni sgomitava in locali come il Marquee Club di Londra. Bastano tre note per cambiare la storia. Come spesso capita in questi casi, l’origine del brano è avvolta nella leggenda. La più accreditata, anche perché raccontata dal diretto interessato nella sua autobiografia Life, è che Keith Richards una sera si sia messo a suonare la chitarra acustica nel suo appartamento e il mattino dopo si sia risvegliato sul divano senza ricordarsi nulla. Trovandosi davanti un registratore, Keef riascoltò il nastro e si accorse di aver strimpellato per un paio di minuti e canticchiato la frase «Can’t Get No Satisfaction», prima di sentire una mezzora abbondante di sonore russate. Keith lavorò su quel breve riff (ispirato alla sezione fiati di Nowhere To Run di Martha and the Vandellas), che sarebbe diventato uno dei più noti del rock, mentre Mick Jagger buttò giù un testo semplice, diretto e denso di significato, un inno contro il consumismo della società americana di metà anni Sessanta. Ne uscì una delle canzoni più celebri di sempre. Tanto provocatoria nei versi, con i suoi riferimenti al sesso e alle mestruazioni, quanto innovativa nelle sonorità, con l’utilizzo per la prima volta di un pedale distorsore per chitarra (il Gibson Maestro Fuzz-Tone) che da quel momento avrebbe ridefinito lo standard per ogni chitarrista. Ancora oggi, dopo 50 anni, il gruppo chiude i suoi concerti con (I Can’t Get No) Satisfaction. Nonostante negli anni seguenti siano arrivate decine di altri successi, esiste tra la band e il brano una simbiosi che si ritrova in pochi altri casi nella storia della musica. I Rolling Stones non sono solo coloro che hanno scritto quella canzone. I Rolling Stones sono quella canzone. E quella canzone, tanto nel testo quanto nella musica, non è solo una delle pietre miliari della storia del rock. Quella canzone è il Rock. E i Rolling Stones sono il rock. @altroviaggio onstage maggio - giugno 17



JUKEBOX

IT’S MASSIVE! L’ESPRESSIONE È USCITA AGLI ALT-J ALLA VISTA DEL PUBBLICO DEL CONCERTO MILANESE DI FEBBRAIO. L’ITALIA, DOPO LA LORO PATRIA, È IL PAESE CHE LI AMA DI PIÙ. PER RIPAGARE L’AFFETTO, TORNANO IL 14 GIUGNO A ROMA. STORIA DI UN SUCCESSO INASPETTATO.

Testo di FRANCESCO RICCARDI Foto di GABRIEL GREEN

C

hi era a Milano lo scorso 14 febbraio se lo ricorda bene. Il Mediolanum Forum tutto esaurito. Undicimila persone in visibilio. Le ovazioni ad accogliere ogni canzone. L'attenzione altissima per ogni nota. Chi c'era non dimentica. Ma meglio di tutti dovrebbero ricordarlo gli Alt-J, il gruppo artefice di questa specie di miracolo. La data di Milano è stata la più grande dell'intero tour. Unica occasione paragonabile: il concerto alla O2 Arena di Londra, a fine gennaio. Ma in patria è quasi naturale: gli Alt-J sono i vincitori del Mercury Prize, arrivati con This Is All Yours fino alla prima posizione della classifica degli album più venduti, mentre l'esordio An Awesome Wave aveva già dominato la più ristretta indie chart. In Italia, i tre ex studenti di Leeds si sono presi il Forum solo grazie al passaparola dei fan. E nessuno se lo aspettava. Neanche gli stessi Alt-J. «Incredibile», è stato il commento del tastierista Gus Unger-Hamilton. «Avevamo sentito che a Milano si erano venduti un bel po' di biglietti, ma non avevamo preso la cosa troppo sul serio. Poi abbiamo visto il Forum e... shit, it’s massive!». Suonare lì, ha aggiunto, è il tipo di cosa che rende più umili. Commento che non rientra esattamente tra i luoghi comuni sulle rockstar. Altri magari si sarebbero sentiti inebriati. O tentati dall'arroganza. Invece niente. Solo la presunzione di supporre che il pubblico fosse lì per la musica e per nessun'altra ra-

gione. Una scommessa? Invece è proprio per questo che in tanti si sono convinti a comprare un biglietto. Gli operatori del settore, colti di sorpresa, sembravano saperne un po' meno. Lo sforzo promozionale per gli Alt-J a Milano non è stato affatto superiore alla norma. Dovevano suonare all'Alcatraz. Sembrava una sede per-

«È incredibile. Non passavamo a Milano da tempo e i fan ci aspettavano in un Forum pieno. È il tipo di cosa che ci rende più umili» fetta. In fondo lì si esibisce buona parte delle rockband straniere di passaggio nel Nord Italia. È come un vestito tagliato su misura per quel mercato. Poi però succede che i biglietti venduti sono cinque volte più di quanti possa contenerne l'Alcatraz. E accade senza una particolare attenzione da parte della stampa. Probabilmente ai fan è bastato leggere “unica data italiana”. Sono venuti da ogni angolo del Paese e anche questo era un segnale. Pure l'e-

tà media lo era. Giovani e giovanissimi. Moltissime ragazze (il coro su Mathilda è stato rivelatore). È un pubblico che non disdegna i territori di confine più austeri tra rock e pop. Che ama le chitarre aiutate dall'elettronica - ma che l'effetto sia scuro, abbia una venatura d'intensità dark. Che è contento di muoversi su un groove danzabile più che con l'headbanging. Ma allo stesso tempo si appassiona a momenti di raccogliemento, a ballate più scarne. Ragazzi che vogliono emozionarsi, più che divertirsi. Dopo gli Alt-J vorranno andare a vedere i Muse, ma anche i Mumford&Sons. E saranno forse meno attenti ad artisti più vecchi. Guardano con attenzione all'Inghilterra, quasi una seconda patria musicale. Gli piace esserci, più ancora che comprare l’album. Sembra insomma che in Italia stia crescendo una platea sensibile a quegli artisti che partono dall'indie ma arrivano a lambire il mainstream. Non a caso il ritorno avverrà in una delle più grandi rassegne estive del nostro Paese, il 14 giugno al Postepay Rock in Roma. onstage maggio - giugno 19


JUKEBOX

HOTLIST

LAL’ASTRONAVE MODA DEL RECUPERO IN CAMPAGNA La Fondazione Prada inaugura la sua nuova sede in una vecchia fabbrica

milanese: lo spazio, grande oltre un ettaro e pensato da architetti e registi, sarà dedicato a mostre e iniziative culturali. Testo di FRANCESCA VUOTTO - Foto di BAS PRINCEN 2015 - Courtesy of Fondazione Prada

E

xpo a parte, da qualche anno a Milano si assiste al recupero delle tante aree industriali dismesse in periferia. È in quest’ottica che Fondazione Prada ha deciso di utilizzare la vecchia distilleria di Largo Isarco, non lontano da piazzale Lodi, per realizzarvi la sua nuova sede. Lo studio di architettura OMA, guidato da Rem Koolhaas, ha lavorato per far convivere gli edifici esistenti con tre nuove costruzioni, e dare così vita a una struttura di 19mila metri quadrati. Di questi, 11mila saranno dedicati a mostre ed esposizioni, in ossequio all’intento della Fondazione - voluta nel 1993 da Miuccia Prada e Patrizio Bertelli - di dare spazio all’arte e alla cultura. Tre le iniziative di questi primi mesi, un documentario e una rassegna cinematografica a cura di Roman Polanski e la mostra Serial Classic, che illustra con oltre 70 opere il rapporto tra originali e copie nell’arte classica. Il visitatore è accolto all’ingresso dall’area didattica dedicata ai bambini (progettata dagli studenti dell’École nationale supérieure d'architecture de Versailles) e dallo spazio Caffè, ideato dal regista Wes Anderson.

IL FUMETTO PARTECIPATO Torna la fortunata serie La storia del rock a fumetti. E questa volta l’autore Enzo Rizzi ha deciso di chiedere ai lettori di aiutarlo a scegliere i protagonisti.

S

e siete appassionati di comics e di musica, è tempo di fare posto sui vostri scaffali: è in arrivo la nuova edizione di La storia del rock a fumetti. La Nicola Pesce Editore, visto il successo riscosso dalla prima serie, sta infatti lavorando per aggiungere altre pagine e strisce. Il menestrello chiamato a raccontare la storia di gruppi e cantanti è Heavy Bone, il serial killer di rockstar voce narrante anche di un altro fortunato libro, Storia del metal a fumetti. Enzo Rizzi, miglior autore italiano al Gran Premio Autori ed Editori 2014, ha pensato non solo di arricchire il 20 onstage maggio

- giugno

precedente lavoro ma anche di accontentare tutti i suoi lettori, coinvolgendoli attivamente nel progetto. Dal 15 al 30 maggio sul sito www.edizioninpe.it è attivo un sondaggio per individuare alcuni dei nuovi protagonisti del testo di prossima pubblicazione. Tocca a voi scegliere chi vedere accanto ai già presenti Elvis Presley, Jimi Hendrix, Bruce Springsteen, The Beatles, Red Hot Chili Peppers, Queen. Immaginate la soddisfazione di avere tra le mani il nuovo La storia del rock a fumetti sapendo di avergli dato il vostro contributo con un semplice click. [F.V.]

I 10 BRANI PIÙ ASCOLTATI IN REDAZIONE DURANTE LA LAVORAZIONE DI QUESTO NUMERO MARTIN GORE SOUTHERLY [MG, 2015] NIRVANA HEART-SHAPED BOX [In Utero, 1993] BLUR LONESOME STREET [The Magic Whip, 2015] THE ROLLING STONES DIRTY WORK [Dirty Work, 1986] THE DARKNESS OPEN FIRE [Last Of Our Kind, 2015] LEVANTE CIAO PER SEMPRE [Abbi cura di te, 2015] FABRI FIBRA IL RAP NEL MIO PAESE [Squallor, 2015] METALLICA CREEPING DEATH [Ride The Lightning, 1984] PRODIGY NASTY [The Day Is My Enemy, 2015] MUSE DEAD INSIDE [Drones, 2015]


40 ANNI DI UN CAPOLAVORO Tra giugno e luglio, Patti Smith tornerà per il suo ormai consueto tour italiano annuale. Stavolta però c’è un anniversario importante da celebrare, quello dei 40 anni di Horses, il suo disco d’esordio. Testo di STEFANO GILARDINO - Foto di EDWARD MAPPLETHORPE

P

rovo a pensarci ma non riesco a trovare una risposta soddisfacente: in quale momento abbiamo smesso di tenere costantemente gli occhi e le orecchie settate sul presente o sul futuro per abbandonarci alla retromania e al piacere della riscoperta a tutti i costi? Quelli dell’ATP, il festival All Tomorrow’s Parties hanno colto per primi o quasi questa voglia di nostalgia inventandosi uno spin off chiamato Don’t Look Back, nel quale una band o un artista veniva chiamato a suonare il proprio disco più rappresentativo dall’inizio alla fine. A questo esercizio di stile non si è sottratto quasi nessuno. Neppure la nostra amata Patti Smith, la quale, nel 2005, per celebrare il trentesimo anniversario di Horses, ha tenuto un concerto alla Royal Festival Hall di Londra. Di anni oggi ne sono passati altri dieci: la formazione è quasi la stessa - Kaye, Dougherty, Shanahan, con il solo Jackson Smith a sostituire l’ospite speciale di allora Flea - e il disco pure, quell’Horses che, a conti fatti, può essere considerato il punto d’inizio dell’epopea punk. O forse no? «Non fummo mai veramente punk», ricorda Smith con la solita franchezza e onestà. «Eravamo dei predecessori di quel fenomeno. Cercavamo di fare spazio perché il pubblico potesse esprimere i propri sentimenti antisociali. Eravamo una via di fuga dai concerti negli stadi, dalla disco music e dal glitter rock. Tornavamo nelle strade, nei garage. La gente che venne dopo di noi era quel genere. Noi eravamo i nonni». Quella rivoluzione (una delle tante possibili) parte con Gloria (In Excelsis Deo) e con quei versi memorabili, «Jesus died for somebody’s sins but not mine». Nel 1975, sciolti New York Dolls, MC5, Stooges e Velvet Underground, non esisteva nulla di lontanamente simile a Patti Smith e alla sua band (i già citati Lenny Kaye e Jay Dee Dougherty più Richard Sohl e Ivan Kral) e quel debutto, a 40 anni di distanza, non smette di raccontare la sua importanza capitale. Registrato agli Electric Ladyland di New York, gli studi del

suo amato Jimi Hendrix, e prodotto da John Cale - ex Velvet Underground -, Horses è la summa del fascino ambiguo di un'artista, Patti Smith, che era ed è ancora una poetessa prestata alla musica, e condensa in otto tracce il suo furore interpretativo. «Io e John Cale eravamo due poeti pazzi che gestivano piogge di parole. Ma non avevamo nessun altro intento se non fare qualcosa di grande», avrebbe poi ricordato Patti. C’è tutta la storia del rock in quei 40 minuti: il tributo a Van Morrison di Gloria, il punk di Free Money, la sperimentazione

di Birdland, il reggae (per nulla solare, anzi macabro e perverso) di Redondo Beach, l’ode a Jim Morrison di Break It Up, con l’amico Tom Verlaine dei Television alla chitarra, e la delicatezza di Kimberly, dedicata alla sorella. E poi ci sono i due capolavori che chiudono il disco, il medley di Land (che incorpora ancora un altro classico come Land Of A Thousand Dances) e i nove minuti di Elegie, lamento per piano, chitarra e voce, registrato proprio nell’anniversario del giorno nel quale morì Jimi. Comunque vada, sarà bellissimo riascoltarlo dal vivo. onstage maggio - giugno 21


JUKEBOX

CALENDARIO CONCERTI

FAI MUSICA MILANO!

MAGGIO/GIUGNO

Il 21 giugno, primo giorno della bella stagione, torna Make Music Milan, la manifestazione che porta la musica nelle piazze. E quest’anno Onstage sarà media partner dell’evento con sorprese e iniziative speciali. 5 SECONDS OF SUMMER 08/05 TORINO - 09/05 MILANO

Testo di FRANCESCA VUOTTO

P

rendi un parco, un largo, un portico e dallo in mano a un artista. Comunque vada ne uscirà qualcosa di curioso. Da questa idea nasce Make Music Milan, iniziativa che chiama a raccolta cantanti, cori, gruppi, musicisti che abbiano voglia di mettersi alla prova nelle vie di Milano. Il 21 giugno per la seconda volta, dopo il debutto del 2014, piazze e strade si trasformeranno in un unico grande palcoscenico a cielo aperto. Lo scorso anno 800 artisti hanno animato 90 location con le loro performance, per un totale di oltre 500 ore di musica. Stavolta si punta ancora più in alto, e si comincia proprio dagli spazi: 150 quelli offerti dal Comune di Milano, ai quali si aggiungono quelli messi spontaneamente a disposizione dai privati. Chiunque può aderire nella sezione Indoor del sito www.makemusicmilan.it, iscrivendo il proprio locale, cortile, negozio, terrazza o spazio a disposizione. E la medesima “logica inclusiva” che contraddistingue la manifestazione da quando è nata nel 1982 in Francia come Festa della Musica, riguarda i performer. Tutti infatti possono far ascoltare il proprio talento: si tratta

semplicemente di individuare – sempre sul sito - luogo e fascia oraria (dalle 18.00 alle 21.00 oppure dalle 21.00 alle 24.00) della propria esibizione per prenotarsi un posto da protagonista per un evento che, l’anno scorso, si è svolto in contemporanea in più di 440 città di tutto il mondo - Parigi, Madrid, New York e Hong Kong tra le altre. Onstage, che da sempre ha una particolare attenzione per la musica dal vivo, non poteva che supportare Make Music Milan, che proprio del live fa il suo dna: tenete d’occhio il nostro sito www.onstageweb.com e la nostra pagina Facebook www.facebook.com/onstageweb, dove lanceremo alcune iniziative speciali. Correte ad iscrivervi, scaldate bene le ugole e accordate gli strumenti. Oppure, se per voi la musica è un piacere da godere più che da praticare, ricordate di concedervi una passeggiata a Milano il primo giorno d’estate: nella passata edizione c’è chi si è ritrovato Eddie Vedder tra il pubblico. Chissà che non ricapiti con qualcuna delle rockstar che saranno in città il prossimo 21 giugno.

ARIANA GRANDE 25/05 MILANO DAVID GUETTA 06/06 MILANO INCUBUS 03/06 MILANO JUDAS PRIEST 23/06 MILANO MARK KNOPFLER 28/05 MILANO MARILYN MANSON 17/06 MILANO MAROON 5 12/06 MILANO METALLICA 02/06 MILANO VAN MORRISON 06/06 BRESCIA GIANNA NANNINI 04/05 FIRENZE - 07/05 ROMA 10/05 ACIREALE (CT) - 12/05 NAPOLI 15/05 MILANO - 17/05 TORINO 20/05 TREVISO - 21/05 PADOVA 23/05 BOLOGNA 24/05 MONTICHIARI (BS) ONE REPUBLIC 09/06 PADOVA PLACEBO 20/05 VERONA FRANCESCO RENGA 23/05 VERONA SIXTO RODRIGUEZ 15/05 MILANO - 20/05 ROMA 23/05 FIRENZE ROXETTE 10/05 MILANO SLASH 23/06 ROMA - 24/06 MILANO SLIPKNOT 16/06 ROMA

22 onstage maggio

- giugno


UNA STORIA D’AMORE Esce a fine maggio Faber in Sardegna, docufilm sul cantautore ligure. Una preziosa occasione per scoprire alcune nuove sfumature del Fabrizio De André uomo e artista. Testo di ALVISE LOSI

I

n un vortice di ricordi il suonatore Faber torna tra noi. Il 27 e 28 maggio, per due soli giorni, esce nei cinema italiani un documentario, ennesimo contributo sul cantautore genovese. Ennesimo ma nuovo. Perché, dopo mostre, trasmissioni televisive, libri, Faber in Sardegna, di Gianfranco Cariddu, riesce a mostrare un lato di Fabrizio De André che ancora era rimasto per certi aspetti nascosto: il suo legame con la terra sarda. Ogni appassionato sa bene che alcune delle sue più belle canzoni sono nate, sia come idee sia come stesura, proprio in Gallura, che lui aveva eletto come suo buen retiro già a metà degli anni Settanta. Anche prima di acquistare nel 1976 la tenuta L’Agnata, una vecchia casa padronale isolata a una decina di chilometri dal comune di Tempio Pausania, De André era spesso in Sardegna, dove nei precedenti due anni aveva lavorato insieme a Francesco De Gregori all’album Volume 8. Ma mai prima di Faber in Sardegna si era entrati davvero nella Gallura di Fabrizio. Mai prima si era sentita la voce delle persone

che lo circondavano. Qui non c'è nulla dei caroggi e delle crêuze liguri che i suoi brani ci hanno lasciati impressi nell’immaginario. Nessuna via del Campo, nessuna mulattiera di mare, nessun grido in dialetto genovese da parte di anziane signore al mercato. Questi sono i luoghi dell’Indiano e dell’Hotel Supramonte. Il documentario, benché in alcuni punti un po’ didascalico e infarcito da momenti musicali non sempre riusciti, è la storia di un amore, quello di De André per una terra, tutta da scoprire e conoscere, che il cantautore non volle lasciare neppure dopo l’esperienza del rapimento nel 1979. Ma è anche la storia del suo amore per la terra, quella da coltivare, quella dove far pascolare le sue vacche di razza francese. Ne esce un Faber autentico, ancorché parzialmente velato dall’idealizzazione di chi gli vuole bene. Un Fabrizio con le mani sporche, ma anche un De André curioso di scoprire le tradizioni della sua nuova casa, al punto da parlare un dialetto gallurese più aulico e antico di quello parlato dai suoi

amici sardi. Un uomo sinceramente anarchico nelle scelte, nonostante le sue origini borghesi. Quell’amico fragile che dormiva di giorno e lavorava di notte o che chiedeva dal nulla a Filippo Mariotti, il fattore che lo aiutava, «dimmi, cosa pensi delle nuvole?», ricavandone una reazione a metà tra il curioso e l’imbarazzato. «Io lo vedo ancora, due o tre volte al mese. Parliamo in sogno di come fare alcuni lavori nelle stalle», dice oggi commosso quel signore ricordando un De André affacciato alla finestra. In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità. Faber ci vedeva la gonna di Jenny o il pesciolino di Sally o gli occhi di bosco di Andrea. Ma in quel vortice di polvere che era l'Agnata prima del suo arrivo Faber vide anche una terra vibrante di suoni. E poi ulivi, cavalli, vacche, laghi, battute di caccia. Cibo fatto in casa. Ingredienti di una musica che ci stupisce ancora ogni volta che la ascoltiamo. Manca. Manca tanto quella sua voce. Ma forse il suonatore Faber sta solo dormendo su quella collina della Gallura.

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a musica deve avere un messaggio. È il pensiero di Marco Mengoni, che ha chiaro in mente il percorso che vuole seguire. Parole in circolo, il suo nuovo album, è il primo passo in questa direzione. Il secondo è il tour che l’artista ha preparato per più di un anno, prima ancora di aver finito di registrare il disco. Perché l’attitudine di Marco è quella del performer. È sul palco che Mengoni dà il meglio di sé. Ed è così che riesce a trasmettere il messaggio che le sue canzoni racchiudono. Guerriero, il primo singolo estratto dal disco, ha registrato numerosi record di vendita e di ascolto in streaming. Per il video il cantante si è anche calato nei panni di regista, curando personalmente la sceneggiatura e le inquadrature di quella che negli ultimi mesi è stata una delle clip più visualizzate su YouTube per un artista italiano. E la necessità di dare un naturale sfogo alla propria creatività Marco l’ha espressa contribuendo attivamente al disegno del palco sul quale si esibirà e che, parole sue, sarà fondamentale. «La parte grafica ed estetica serve a rafforzare il messaggio delle canzoni». I dieci concerti che compongono il #MengoniLive2015 sono l’occasione per ascoltare dal vivo le canzoni contenute in Parole in circolo, ma anche per celebrare la definitiva consacrazione di un artista che in pochissimi anni è passato dalla vittoria di X Factor a un tour nei più importanti palazzetti italiani: da Mantova (5 maggio) a Conegliano (Treviso, il 23), passando per Milano (7 e 8), Torino (10), Firenze (12), Roma (14), Napoli (16), Bari

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(19) e Bologna (21). E proprio il contatto con i fan è ciò che più anima il giovane cantante laziale. Un contatto che potrà diventare ancor più diretto e ravvicinato grazie a un evento unico che avrà luogo poco dopo la fine del tour. È Twix Onstage Private Show. Un concorso (terminato il 10 aprile 2015) indetto da Twix, lo snack a base di due croccanti biscotti, ricoperti di un sottile strato di caramello e delizioso cioccolato al latte, che ha messo in palio la possibilità di assistere a un’esclusiva esibizione: Marco canterà insieme alla sua band solo per un fan accompagnato da cinque amici, che avranno così l’occasione di incontrare e conoscere da vicino l’artista italiano. Per partecipare e provare a vincere, è stato sufficiente acquistare un prodotto a scelta tra Twix, Mars, Bounty, Snickers e M&M’s e descrivere, tramite 160 caratteri, la propria passione per Marco Mengoni. Raccolti tutti i contributi inseriti nel sito ufficiale del concorso (twix.it), è stata la giuria di Mars Italia e Onstage Magazine a scegliere il migliore. Il fortunato vincitore, insieme ai suoi 5 amici, potrà godersi l’esibizione di Marco Mengoni a pochi metri da lui, comodamente seduto su un divano della redazione di Onstage Magazine. La scaletta sarà scelta dallo stesso cantante appositamente per lo show. Per estendere a più persone la possibilità di vincere un premio legato alla musica, Twix Onstage Private Show hs inoltre offerto giornalmente dei gift voucher TicketOne per dare la possibilità a 100 vincitori di spendere un buono del valore di 50 euro per un concerto a scelta del 2015.

CONCORSO VALIDO DAL 1/01/15 AL 10/04/15. VERBALE DI GIURIA, ASSEGNAZIONE ED ESTRAZIONE RISERVE ENTRO IL 30/04/15. TOTALE MONTEPREMI 9.600 EURO IVA ESCLUSA OVE PREVISTA. REGOLAMENTO COMPLETO SU WWW.TWIX.IT

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FACE TO FACE

NINA ZILLI REDUCE DALL’ESPERIENZA TELEVISIVA DI ITALIA’S GOT TALENT, LA CANTAUTRICE PIACENTINA TORNA IN TOUR NEI TEATRI PER MOSTRARE TUTTE LE SUE ANIME: DA QUELLA INTIMA DI SOLA A QUELLA METALLARA, CON UNA COVER MOLTO SPECIALE. Testo di FRANCESCA VUOTTO Foto di TONI THORIMBERT

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Per presentare Frasi&Fumo mi sembrava meglio iniziare con i teatri, che danno la possibilità di strutturare il live in momenti differenti, e infatti ce ne saranno tre. Si inizia con uno speech di Nina Simone, poi ci sarà la parte principale acustica, con i miei successi e quasi tutte le canzoni nuove, e poi il gran finale. PER IL NUOVO TOUR?

NELLE TOURNÉE PRECEDENTI LA CHIUSURA ERA AFFIDATA A UNA COVER, SARÀ COSÌ ANCHE QUESTA VOLTA? Sì, ma stavolta si cambia, porto un po’ di rhythm and blues nel mondo hard rock e bianchiccio degli AC/DC. Negli

anni ho omaggiato tutti i miei grandi amori, Nina Simone stessa, Solomon Burke, Etta James, Otis Redding, i Temptations, Marvin Gaye, le Supremes, Stevie Wonder e non volevo ripetermi. NIENTE DI PIÙ LONTANO DALLA TUA MUSICA: VOLEVI SOLO CIMENTARTI CON QUALCOSA DI

Sono anzitutto una fan, era uno dei gruppi che ascoltavo insieme a Faith No More, Metallica, Stone Temple Pilots, Temple Of The Dog. Ero una vera metallara da piccola, Rage Against The Machine e Pantera erano i miei preferiti. DIVERSO O SEI ANCHE UNA FAN?

«Mi piace salire sui treni e non

lasciarli passare, perciò mi lancio sempre in nuove avventure, a volte con un po’ di follia, ma con la consapevolezza di quali sono le mie capacità» In sala prove, pensando a cosa fare insieme a Mauro Pagani (direttore artistico del tour, ndr), mi è balenato in mente il ritornello di You Shook Me All Night Long. Nel giro di poco i ragazzi si sono messi a suonarla e abbiamo capito che era il pezzo che cercavamo.

LA COVER DEGLI AC/DC, IL VIDEO CON J-AX, LA PARTECIPAZIONE A ITALIA’S GOT TALENT COME GIUDICE: TRE DISCHI E TRE TOUR ANDATI MOLTO BENE PARE CHE TI ABBIANO TOLTO UN PO’ DI PRESSIONE. Mi piace salire sui treni e non lasciarli passare, perciò mi lancio sempre volentieri in nuove avventure, a volte con un po’ di follia, macon la consapevolezza di quali sono le mie capacità. Da qui le esperienze alla radio e alla televisione, con il cinema mi pongo qualche problema in più.

Diverse, ma ho un tale rispetto del mestiere dell’attore che non mi permetto di mettermi sullo stesso piano senza un’adeguata preparazione. Uno degli aspetti positivi del cinema è che ha un ruolo adatto ad ogni età, quindi posso aspettare. HAI RICEVUTO DELLE PROPOSTE?

INTANTO TI ALLENI NEI VIDEO: PARLIAMO DI QUELLO DI SOLA, DOVE TI ABBANDONI A UN

È una canzone che parla di chi ha il coraggio di affrontare la solitudine consapevolmente malgrado non l’abbia scelta, non alla Bridget Jones che canta All By Myself, per intenderci. Volevo un momento universale e positivo e al regista Alex Infascelli è venuta questa idea geniale. MOMENTO DI AUTOEROTISMO.

E TU L’HAI ACCOLTA SENZA BATTERE CIGLIO?

“Geniale ma col cavolo che lo faccio!”, ho pensato. Mi sono venuti in mente la mamma, la nonna, mio padre che lo avrebbero visto. Poi però mi sono ricordata di Stanley Kubrick: diceva che se fai arte pensando a quello che diranno i tuoi parenti allora sei messo male. E mi sono detta: “Se l’ha detto il Maestro, devo farlo”. Considera che io non mi metto in topless nemmeno a casa da sola… TI SEI PRESA UN BEL RISCHIO, POTEVA ESSERE INTERPRETATA COME UNA MOSSA PER FAR

Non volevo che la tematica fosse una scusa per far vedere nudità: se è forte ma non scabroso è proprio perché lascia tutto all’immaginazione. All’inizio pensavo “Oddio, e se viene fuori un soft porn, come la mettiamo?” e invece è venuto come l’avevo immaginato. È stato capito dalla gente e apprezzato dal mondo del cinema come un piccolo corto. Tante ragazze mi hanno ringraziato per aver rappresentato quel momento nella sua normalità, senza eccessi alla 50 sfumature di grigio. È stata una grande soddisfazione. PARLARE DI TE.

26 onstage maggio

- giugno


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FACE TO FACE

MARC MÁRQUEZ SPAGNOLO, 22 ANNI, CAMPIONE DEL MONDO. UNA STAR PLANETARIA, MA ANCHE UN RAGAZZO NORMALE. L’EREDE DEL DOTTORE (MA, DICE LUI, DI VALENTINO CE N’È UNO SOLO) RACCONTA SE STESSO E IL SUO RAPPORTO CON LA CELEBRITÀ. E CI CONFESSA CHE ESSERE FAMOSI NON È POI COSÌ MALE. Testo di GIANLUCA MAGGIACOMO

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ARC, A CHI DEVI LA PASSIONE PER LE

DUE RUOTE? Alla mia famiglia. Ho iniziato quando avevo quattro anni, ma già da prima ero sempre andato con i miei genitori a moltissime gare di motocross vicino a Cervera. Mi piacevano un sacco!

giro per il mondo ed è davvero necessario che questa vita ti diverta.

ANCHE TUO FRATELLO MINORE ÁLEX È UN MOTOCICLISTA (IN MOTO2, ndr). CHE RAPPORTO AVETE? PENSI MAI A QUANDO POTRESTE COR-

SEI STATO CONSIDERATO L’EREDE DI VALENTINO ROSSI, CHE È ANCHE UN TUO AMICO. È UNA DEFINIZIONE CHE TI PESA?

No, Valentino è Valentino. È un grandissimo motociclista, il più grande, con 20 anni di esperienza in questo sport. Io ho iniziato due anni fa e sono orgoglioso di battermi contro di lui in MotoGP.

«Quando vedo i miei fan, spe-

cialmente i bambini, che sono così felici anche solo perché riescono a toccarmi o ad avere un mio autografo ammetto che questo mi fa stare davvero bene. È una sensazione incredibile»

Quando sei giovane è bello sognare, ma non avrei mai potuto immaginare che tutto questo potesse accadere in modo così veloce. È davvero un sogno che si avvera e l’anno scorso ero più felice per il suo titolo mondiale in Moto3 che per il mio in MotoGP.

RERE NELLA STESSA CATEGORIA?

QUAL È LA COSA PIÙ PAZZA CHE HAI FATTO PER FESTEGGIARE UNA VITTORIA? A essere sincero, non saprei scegliere. E, in ogni caso, credo che non potrei dirlo (ride, ndr). È DECISAMENTE PRESTO, MA COME TI IMMAGINI UNA VOLTA CHIUSO CON LE MOTO? Non ne ho idea, ma sicuramente qualcosa che abbia comunque a che fare con le moto e magari con i giovani piloti.

IN PISTA SEI AGGRESSIVO, DETERMINATO E MEIN TRE ANNI IN MOTOGP HAI VINTO TANTO E

TICOLOSO. E QUANDO SEI GIÙ DALLA MOTO,

NON FOSSI DIVENTATO UN CAMPIONE DEL

BATTUTO MOLTI RECORD. ESISTE IL PERICO-

CHE PERSONA È MARC MÁRQUEZ? Sono un ra-

MOTOCICLISMO, COSA AVRESTI VOLUTO FARE

No, perché il mio obiettivo è sempre lo stesso: cercare di vincere, ma per riuscirci è fondamentale mantenere uno stato di calma e serenità a casa e con il team. La cosa più importante è essere concentrati e molto allenati. E poi deve piacerti questo ambiente: passiamo moltissimo tempo in

gazzo normale. Mi piace passare il tempo con la mia famiglia. E poi mi diverto a organizzare scherzi. A casa cerco sempre di riposare parecchio per ricaricare le batterie e mi alleno tutti i giorni con il mio personal trainer e con mio fratello. Quando ci avanza del tempo, usciamo con i nostri amici.

NELLA VITA? Il meccanico. Ho sempre voluto essere un meccanico. Sì, se non fossi riuscito a diventare un pilota avrei senza dubbio fatto il meccanico.

LO DI SENTIRSI APPAGATI?

I CENTAURI SONO SEMPRE STATI DEI MITI E ANCHE OGGI CONTINUANO A ESSERE L’EQUIVALENTE DI UNA ROCKSTAR. COME GESTISCI IL

Non è facile, ma adesso ci sono un po’ più abituato. Essere famoso ha naturalmente molti aspetti positivi, e credo di essere molto fortunato per la vita che faccio. Quando vedo i miei fan, specialmente i bambini, che sono così felici anche solo perché riescono a toccarmi o ad avere un mio autografo o una foto con me… ammetto che questo mi fa stare davvero bene. È una sensazione incredibile.

TUO RAPPORTO CON LA POPOLARITÀ?

PARLANDO DI MUSICA, COSA TI PIACE E COSA ASCOLTI PRIMA DI SALIRE IN MOTO? Non ho un artista o un gruppo preferito. Mi piacciono tutti i tipi di musica. Quella spagnola, naturalmente, e più in generale il pop e il rock. PRONOSTICO SECCO: FACCI IL PODIO DI FINE

Viste come sono andate le prime gare di questa stagione, davvero è impossibile fare un podio. Ma quello che è certo è che cercherò di vincere di nuovo il titolo: questo è il nostro obiettivo. STAGIONE 2015.

Marc Márquez Alentà indossa pantalone e camicia GAS Jeans

28 onstage maggio

- giugno



Circa Waves

GIOVANI E SFACCIATI Prosegue l’iniziativa di Onstage Magazine: grazie alla collaborazione con DC Shoes, brand innovatore nel campo dello streetwear, vi proponiamo i migliori nuovi talenti del panorama internazionale. Onstage Pulse! si occupa in questo numero della “Best New Band” degli ultimi NME Awards, i Circa Waves - da un paio d’anni il gruppo più chiacchierato del Regno Unito, grazie alle partecipazioni a festival come Reading e Glastonbury, e al tour con Libertines. Il cantante Kieran Shudall ha parlato con noi del disco di debutto Young Chasers e della filosofia della band. Testo di LUCA GARRÒ

I Circa Waves, si sono esibiti per la prima volta in Italia lo scorso 30 aprile, giusto un mese dopo la pubblicazione di Young Chasers, il loro album di debutto.

30 onstage maggio

- giugno


DC SHOES presenta ONSTAGE PULSE!

La stampa vi ha già designati come la nuova best thing del panorama indie britannico. Con che animo vivete l’investitura? Innanzitutto con animo scaramantico (ride, ndr). Quante volte hai sentito questa cosa negli ultimi quindici anni? Io, da inglese, penso sia la cosa più letta sui giornali specializzati. Sai cosa penso? Che la stampa sia sempre dannatamente alla ricerca di qualcosa cui aggrapparsi, perché le icone sono definitivamente scomparse. Ti ricordi un’icona negli ultimi dieci anni? Io no, ci sono molti buoni gruppi, poi ci sono quelli che riempiono ancora gli stadi, ma è impensabile paragonarli alle icone degli anni Sessanta o Settanta. Di certo non diventeremo noi delle icone, anche se mi piacerebbe si parlasse di più di band di ventenni che non siano gli One Direction. Oltretutto avere la stampa dalla propria parte oggi non ha lo stesso valore che poteva avere anche solo vent’anni fa. Non fraintendermi, avere il favore della stampa o delle radio è una cosa molto bella e ne siamo felici, ma poi alla fine non sono quelli che ci vengono a vedere dal vivo o fanno sì che un nostro tour vada bene o male. L’unica fortuna dell’esordire in questo periodo storico è quello di sapere già di essere potenzialmente band usa e getta,

un po’ come quando vai a cercare lavoro e non ti aspetti un contratto che sia per tutta la vita. Questa consapevolezza possiamo averla solo noi: anche chi oggi ha trentacinque anni si è trovato a vendere subito certe cifre e dopo qualche anno a vedere tutti i propri album scaricati e sparire. Noi sapevamo già che il rapporto tra concerti e disco in studio è ormai invertito: prima Glastonbury, poi il primo album. Primo album magari registrato dal vivo in studio, seguendo le orme degli Strokes. È così che avete concepito Young Chasers? In gran parte sì, perché volevamo mante-

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Siamo felici di avere il favore della stampa, ma non sono i giornalisti a far sì che un nostro tour vada bene o male

«

I

nsomma, provenire da Liverpool non deve essere semplicissimo per una giovane band. Immagino che lo spettro dei Beatles aleggi costantemente su chi attacca un jack all’amplificatore. Credo ci siano pochi luoghi al mondo così permeati da una band o da un artista come Liverpool. Mi viene in mente forse solo Memphis per Elvis, ma davvero nient’altro. È pazzesco perché, ancora oggi, la città vive di Beatles nonostante l’età media di chi la frequenta sia molto bassa, per via delle università soprattutto. È un luogo strano Liverpool, opprimente ma affascinante, dal quale comunque gli stessi Beatles si spostarono appena ne ebbero l’occasione. Forse non è semplice crescere come band qui, o forse è più facile che in altri luoghi…

nere quell’attitudine che ci ha permesso di suonare in festival e location che fino a una manciata di anni fa conoscevamo solo come spettatori. Quando è uscito l'Ep nello scorso anno non avevamo ancora un numero sufficiente di brani pronti e la gente chiedeva comunque qualcosa da ascoltare. Onestamente, sono un po’ stufo del paragone con gli Strokes, anche se sono una band che amo. Direi semplicemente che facciamo un rock’n’roll molto viscerale, con un’anima molto inglese, ma assolutamente dominato dalle chitarre. Molti di noi sono dei grandi amanti del punk, credo che talvolta quest’amore si senta in Young Chasers. Hai parlato di One Direction e ora di chitarre. Non ti pare che l’evoluzione delle

boy band sia proprio legata all’utilizzo delle chitarre? Assolutamente sì, è il trend degli ultimi anni. Credo che mettere in braccio degli strumenti a dei ragazzini incapaci di suonarli sia l’ultima frontiera del pop per adolescenti. Intanto serve a far vedere che se suonano degli strumenti, allora sarà sicuramente musica migliore di quella prodotta in genere da questi gruppi. E poi perché anche le nuove generazioni di ascoltatori, per quanto in modo deviato, hanno bisogno di sentire delle chitarre, qualcosa che non sia standardizzato o creato al computer. Magari si arriverà anche a boy band con voci stonate tipo quella di Johnny Rotten (ride, ndr). Quanto vi ha segnato andare in tour con i Libertines? Per giovani musicisti come noi e con il nostro background, i Libertines sono stati una delle cose più eccitanti e fresche capitate nella vita. È stato incredibile condividere del tempo insieme a loro, perché abbiamo capito che si può essere professionali pure nella totale non professionalità. Un po’ come quando tu nel tuo disordine sei in grado di ritrovare tutto, mentre se tua madre rimette tutto a posto non sei più in grado di farlo (ride, ndr). Una sera Carl Barât mi disse che per comporre buone canzoni dovevo studiarmi a fondo la musica gipsy: un giorno mi ci metterò d’impegno. Tornando per un attimo alla stampa, i Kasabian hanno detto che la loro estromissione dai Brit Awards è una cospirazione contro il rock. Come la vedi? Penso che forse certe band dovrebbero crescere. Quando inizi, o forse è meglio dire continui, a basare la tua autostima e la tua consapevolezza di ciò che fai sui premi o sulle nomination a manifestazioni che col rock non hanno mai avuto molto a che vedere, forse c’è qualcosa che non va. Siamo davvero sicuri poi che i Brit Awards siano stati lo specchio del rock? Quando ci penso, mi vengono in mente le Spice Girls. Cosa canti sotto la doccia? Dancing Queen degli ABBA.

onstage maggio - giugno 31



È SOLO LUI A cura di LUCA GARRÒ e DANIELE SALOMONE

L

a prima volta accade nel 1989. È il tour di Liberi… Liberi. Ma sono stadi piccoli, arene all’aperto che non superano la capienza dei palazzetti in cui si esibisce già da molti anni. Un assaggio di quello che accadrà solo un anno dopo, quando Vasco varcherà le soglie di quelle che sarebbero diventate le sue seconde case, salendo sui palchi da cui non sarebbe più sceso se non per veloci scappatelle. 1990: il primo San Siro, il primo Olimpico. Ne seguiranno decine e decine, una residency negli stadi di tutta Italia che dura da 25 anni e macina numeri record, che nessuno sente il bisogno di ricordare perché il Blasco è un fuoriclasse fuori concorso, fuori portata, fuori dagli schemi, persino fuori da ogni logica commerciale. Nessuno in Italia ha mai fatto meglio di lui e nemmeno come lui. E se qualcuno ci ha provato, aveva lui come modello, come riferimento. Quando si parla di concerti negli stadi (e non solo), in Italia è Vasco quello con cui fare i conti. Tra gli eventi da ricordare in questi 25 anni di mega eventi live c’è il primo concerto a

Imola, nel 1998. 130.000 persone radunate all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari, tra il parcheggio e la “mitica Rivazza”. Non uno stadio, ma un’area immensa in cui si raduna la gente che sarebbe stata in due stadi. Un evento fortemente voluto perchè la voglia di superare i propri limiti è sempre stata una priorità per Vasco. Andare oltre, sempre, come gli hanno insegnato i suoi grandi maestri, i Rolling Stones. Quegli stessi a cui ebbe il coraggio di dire no, quando gli chiesero di aprire un loro show. «In Italia il rock sono io» disse. E come dargli torto. Prima e dopo Imola, stadi sold out e ancora stadi sold out. Una “costanza di rendimento” ineguagliabile che gli ha permesso di trascendere il ruolo di cantante, cantautore o, come ama definirsi lui, provoca(u)tore, per divenire qualcosa che non è possibile definire. Puoi avere qualcosa in comune con Vasco, puoi aver fatto qualche tour sold out negli stadi, aver scritto un libro e venduto un milione di copie con un album, ma non potrai mai avvicinarti al primo posto in classifica, perché lui quelle cose le fa da più tempo di chiunque altro. Senza cedimenti. Ci si è dovuto mettere un virus (nel

2011) perché ci fosse un qualche intoppo. Altrimenti il percorso del Blasco non ha conosciuto cedimenti di sorta: fin da quando le sue filastrocche rock hanno iniziato ad incantare qualche amico o quei disperati che si riconoscevano nelle sue parole, il seme delle sue storie di vita vissuta, di eccessi e di malinconia ha attecchito senza sosta, calamitando ad ogni concerto chi l’aveva già visto e chi ne sentiva parlare in continuazione, dai compagni di scuola dell’ultima fila o dagli amici in piazzetta, dal collega o dai genitori e, perché no, dai figli. Un quarto di secolo di concerti negli stadi sono una cosa enorme. Così grande che persino l’attestato di unica e sola rockstar italiana, che proprio noi un anno fa ci eravamo prodigati a ribadire, gli va ormai stretta: Vasco è semplicemente il più grande performer della storia musicale di questo paese. Le 14 date di Live Kom 015, quattro mesi dopo il suo 63esimo compleanno, sono la buona occasione per celebrare il primato del Sig. Vasco Rossi da Zocca. Lo celebriamo con alcuni tra gli scatti più belli e rappresentativi di questi 25 anni e alcune delle sue parole più significative.

Le citazioni sono tratte dal libro La versione di Vasco (Chiarelettere, 2011)

onstage maggio - giugno 33


36 onstage marzo - aprile


« QUANDO SONO SUL PALCO È IL MOMENTO IN CUI SONO PIÙ SICURO E TUTTO È CHIARO. IL BELLO È C HE PRIMA DEI CONC ERTI SONO SEMPRE PREOC CUPATO. DOVREI ESSERE MOLTO PIÙ PREOC CUPATO QUANDO MI SVEGLIO LA MATTINA E COMINCIA UNA NUOVA GIORNATA»

F R O N T E D E L PA L C O , M IL A N O ( 1990) F o to d i A L E S S A N DRO P IZ Z A RO T T I p e r CH IA R O S C URO C R E AT IVE ( BO)

onstage marzo - aprile 37


N ES S U N PE R I C OLO PE R T E TO U R, M I L A N O ( 1 9 9 6 ) - Fot o d i R O B E RT O V IL L A N I p e r C HIA RO S C URO C R E AT IV E ( B O )

36 onstage maggio

- giugno


H E IN E K E N J A M M IN ’ FE S TIVA L , IM O L A ( 1 9 9 8 ) - F o to d i R O B E RT O V IL L A NI p e r CH IA R O S C URO C R E AT IV E ( BO)

«IN QU EST I A N N I , G RA Z I E AI CONCERTI , SONO STATO OSP I T E N E L L E DI M ORE DE L L E VOSTRE A NI M E. H O V ISTO STA N Z E SP L E N D I DE, TU TTE DI VE RS E . P IE NE DI LU CI CO LO RAT E E OM B RE S CURE, CON C E NT I N A I A D I Q UA D RI APPES I , E TES ORI NAS COSTI , E PAS SA G G I SE G R E T I E F I NESTRE CON V IST E B E L L I SSI M E » onstage maggio - giugno 37



« SONO UN'ANIMA IN PENA , MAI CONTENTO, MAI FELIC E, MAI SERENO. MAI SODDISFATTO. ETERNAMENTE ALLA RICERCA DI QUALCOSA. IL MIO MALE DI VIVERE LO COMBATTO CON LA MUSICA E LE CANZONI. L’AF F ETTO DELLA GENTE È UNA GRANDE CONSOLAZIONE»

TO U R E UR O P E I ND O O R , P R O V E A P I E V E D I CE NT O ( F E ) , 2 0 0 9 , Fot o d i G IA NL U CA S IM O NI p e r C H I AR O S C URO C R E AT IV E ( B O )

onstage maggio - giugno 39


VA SC O.08 LI VE I N C ONCE RT, RO M A ( 20 08) - F oto di G I AN LUC A S IM O N I p e r CH IA R O S C URO C R E AT IV E ( B O )


L IVE KO M 014, M I L A N O ( 201 4 ) - Fot o d i R O B E RT O V I L L A N I p e r CH IA R O S C URO C R E AT IV E ( B O )

« OGNI TA N TO Q UA L CU N O TI RA FUORI CH E IO DOV RE I R I N G RA Z I ARE I FA N PE RCHÉ S E NZA D I LO RO … I O N O N SAREI … COSA? E S ENZ A DI M E? VO I S IE TE I M P O RTA N T I , M A S I AM O PARI . TIRA NDO L E SO M M E , I O E VOI S I AM O S E M PRE PA RI »

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L’URGENZA DI CONDIVIDERE Serata speciale per Samuele Bersani, che il 30 maggio ha deciso di invitare alcuni amici e colleghi a salire con lui sul palco durante quella che sarà una grande festa. Ne abbiamo parlato con il diretto interessato, finendo inevitabilmente a chiacchierare di passato, presente e futuro della musica. Testo di ALVISE LOSI

N

on sarà il titolo più felice del mondo, ma voleva raccontare l’idea di essere in tanti anche se facciamo un mestiere che ci vede spesso soli». Ammesso che ce ne fosse bisogno, bastano queste poche parole per convincermi che quello che Samuele Bersani ha organizzato il 30 maggio all’Auditorium Parco della Musica di Roma è una serata davvero speciale. Ha voluto chiamarla Plurale Unico, perché è l’occasione per vederlo sul palco insieme a tanti amici, oltre che colleghi, a condividere le canzoni di 25 anni di carriera. «È una festa che non avevo mai organizzato prima. È un concerto. Mi dispiace solo che non sia gratis».

«

Sarebbe bello vivere in un mondo ideale, dove uno ti fa entrare anche a casa. E uno le feste di solito le fa, gratis, a casa sua. Ma era un po’ difficile, i miei vicini non avrebbero mai accettato. GRATIS?

Semplicemente mi sono guardato indietro e ho pensato che in tanti anni non ho mai fatto una delle cose più semplici, cioè una festa appunto. E poi sentivo l’urgenza di fare una serata diversa e stare un po’ con gli altri. Mi diverto per la prima volta, io che sono figlio unico, a vivere in gemellaggio con persone che ho incontrato in questi anni di lavoro e con le quali ho costruito un rapporto. Oppure con le quali ho semplicemente vissuto momenti belli, rari, che sono rimasti evidentemente sia a me sia a loro che vengono a trovarmi. E non è stato difficile trovare adesione e gioia. Condivido con loro delle canzoni che normalmente ho sempre vissuto in solitudine, perDA DOVE NASCE L’IDEA?

42 onstage maggio

- giugno

ché anche quelle più allegre che ho fatto ero comunque sempre io da solo a cantarmele. E il fatto di poter vivere le mie canzoni insieme ad altri mi dà la possibilità di ascoltarle: in un certo senso non l’ho mai fatto. Uno scrive delle cose per sé, ma quanto è bello poter vedere un proprio vestito addosso a un’altra persona? NON TI RESTA CHE DIRMI CHI HAI INVITATO.

C’è ovviamente Pacifico, che da anni è un grande amico, oltre che una persona con la quale mi piace lavorare: abbiamo un rappor-

«Oggi è tutto più digitale e asettico: ho l’impressione che così come ci si fa il selfie, poi si ascolti tanto la propria musica e poco quella degli altri»

to autentico. Poi c’è una serie di altri amici, che forse pubblicamente si pensa siano più recenti, ma che in realtà stimo da anni e che ogni tanto mi capita di frequentare. Una novità assoluta può sembrare Caparezza, ma anche se i nostri mondi musicali sono distinti, diversi forse, c’è una certa vicinanza nei testi: parlo da fan, mi ha sempre colpito molto una certa familiarità nel saper fotografare alcune situazioni e nella scelta delle parole. Non è uno che butta via le parole. E poi Carmen Consoli, Malika Ayane e Musica Nuda, quindi Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. Mi fermo qui perché è ancora tutto in divenire. BERSANI,

CAPAREZZA,

CONSOLI,

MUSICA

NUDA: SEMBRA QUASI UNA REUNION DI TAR-

GHE TENCO. Parli

con uno che si è trovato al Tenco quando doveva ancora fare un disco. A me fa tanto piacere ogni volta che si parla di quel premio. Sicuramente ha messo in evidenza quelli che avevano da raccontare delle storie, ma ci sono tante persone che scrivono belle canzoni e magari non vincono mai un cazzo. Mi piace però ricordare che il concerto del 30 maggio è una situazione aperta ai musicisti: si tende spesso a guardare solo chi c’è davanti al microfono, ma nel mio mondo è indispensabile avere di fianco dei musicisti. Quindi ci sono anche dei grandi musicisti. Su Twitter si parla poco di loro, ma senza di loro come si fa? A PROPOSITO DI TWITTER, LA TUA GENERAZIONE È QUELLA A METÀ TRA I VECCHI MAESTRI CANTAUTORI CHE SCRIVEVANO CON CARTA E PENNA E I GIOVANI DI OGGI CHE USANO MOLTO I SOCIAL NETWORK. Uno

come me che è nato nel 1970 è inevitabilmente a cavallo fra due epoche, anche se quando dico epoca sembra di parlare di chissà quanto tempo e invece stiamo parlando di pochi anni. Ma quegli anni hanno davvero segnato una differenza in tutto, persino nel come si fanno le canzoni. È vero che oggi tutto si è sgrammaticato, dal punto di vista dell’umanità, perché è tutto più digitale, più asettico, più preparato, ma è anche vero che scrivere le canzoni è bello come vent’anni fa. Poi è normale in ogni epoca continuare a fare il lavoro che un altro aveva cominciato prima di lui. Non è che si parla di inventare la lampadina, come Edison, e prima di te non c’era nessun altro. Qui si parla di canzoni, e prima di noi c’erano questi maestri che continuano a essere un esempio. E comunque una bella penna che funzioni è sufficiente: non è indispensabile un tablet per scrivere canzoni. Ho l’impressione che oggi, così come ci si fa un selfie, si


ascolti tanto la propria musica e poco quella degli altri. PENSI CHE INCIDANO ANCHE LE NUOVE MODALITÀ DI FRUIZIONE DELLA MUSICA IN STREAMING? STA SCOMPARENDO L’IDEA DEL DISCO FISICO DA AVERE TRA LE MANI MENTRE SI

I tempi sono cambiati, abbiamo tutte le canzoni che vogliamo nei nostri bagagli digitali, dagli Abba a Zucchero, ma è proprio lì il problema: è talmente tanto quello che abbiamo che non sappiamo più di averlo. Abbiamo perso l’urgenza ASCOLTANO LE CANZONI.

di capire che cosa ci serve nel momento in cui la vogliamo. Ma non è sempre necessario fare un album, a volte può succedere che l’urgenza sia raccontare tre cose e poi da contratto tu sia costretto a raccontarne anche altre otto. E poi la fisicità di qualcosa che ti finisce nelle orecchie è un concetto particolare, non è un libro che comunque ti costringe a girare fisicamente pagina. Una canzone finisce, non ha interruzioni che ti obbligano a muovere il corpo per andare avanti. Semplicemente mi capita di vivere in quest’epoca, le cose stanno così e la sfida è anche questa:

possiamo vivere senza l’oggetto concreto? Forse sì: Le storie che non conosci, per il progetto #ioleggoperché, io e Pacifico l’abbiamo messa solo su iTunes. E mai come oggi tutto sta nel passaparola. Esiste un tipo di contagio che parte dal basso e magari mette in mostra canzoni o artisti senza alcun tipo di appoggio alle spalle. Anche questo è importante in quest’epoca per i progetti indie o le produzioni minori dal punto di vista del budget. Le cose sono cambiate ma ci sono anche sfide, quindi non vedo solo l’aspetto negativo del cambiamento. onstage maggio - giugno 43


40 onstage novembre - dicembre


Marco Mengoni

ELOGIO DELLA DIVERSITÀ L'artista di Ronciglione torna a maggio con un tour nei palazzetti italiani dopo il successo di Parole in circolo. E così gli abbiamo chiesto di raccontarci chi è Marco e dove va Mengoni. E lui ci ha risposto senza nascondersi, tra sorrisi e qualche parolaccia. Con un’idea sempre chiara in mente: non cercate di classificarlo. Perché se c’è una cosa che odia è l’idea di genere. Testo di ALVISE LOSI - Foto di STYLAZ

U

na persona intelligente. Che risponde alle domande senza snocciolare le solite banalità che anche colleghi molto più navigati di lui si ostinano a buttare in pasto ai media. Che si apre il giusto, quello che serve per mostrarsi vero, ma senza esagerare. Genuino, ma non sprovveduto. Uno senza tanti grilli per la testa, ma con la testa piena di idee che lo portano ad allargare continuamente il discorso. Marco Mengoni è un uomo adulto, che a 26 anni sa quale via ha preso e, soprattutto, ha bene in mente quale percorso seguire. Anche se magari la direzione è ancora in corso di definizione. Come dimostra la decisione di lavorare contemporaneamente sul tour e sulla seconda parte dell’album. O la scelta di imporre la sua volontà e fare di testa sua. Sempre con un faro conduttore: evitare di essere incasellato, includendo nella sua musica diversi generi. E proprio diversità è un concetto che ricorre spesso nelle sue parole. Quelle stesse parole che ha inserito in un disco che è solo la prima parte di un progetto a medio termine entreranno in circolo con una serie di undici concerti. A maggio il cantante è nei palazzetti delle più importanti città italiane (due volte a Milano). E quelle parole pesano più di quanto avessero mai fatto in precedenza. Perché nonostante la dote che ha regalato a Mengoni la notorietà sia la voce, Marco ha deciso di privilegiare le cose dette rispetto a quelle cantate in canzoni come Guerriero o Esseri umani. Brani che ha voluto e difeso e lo hanno ripagato anche grazie a scelte musicali inaspettate e volutamente distanti da un classico percorso che avrebbe rischiato di dargli un futuro da post-talent, con torme di adolescenti ai suoi concerti nei primi cinque anni e poi una carriera da eterna promessa. E così glielo chiedo subito, per evitare la classica sensazione che gli inglesi definirebbero come elephant in the room. Ossia quella cosa un po’ scomoda che tutti conoscono ma nessuno si azzarda a palesare. SEI USCITO DA UN TALENT, X FACTOR, E QUESTO FA SÌ CHE NELL’IMMAGINARIO… Io

sia un emerito stupido.

NO, FAMMI FINIRE… DICEVO, FA SÌ CHE L’IMMAGINE DI TE ALL’INIZIO FOSSE QUELLA DI INTERPRETE. INVECE DA SUBITO, CON CREDIMI ANCORA, HAI DIMOSTRATO DI SAPER ANCHE SCRIVERE BEI PEZZI.

E anche brutti, direi.

Capita.

onstage maggio - giugno 45


HAI FINITO DI INTERROMPERMI? DICEVO… OLTRE A ESSERE INTERPRETE E AUTORE, ORA HAI DECISO DI GIRARE I VIDEO DEI NUOVI SINGOLI E HAI LAVORATO PERSONALMENTE AL PALCO DEL TOUR. DA DOVE ARRIVA QUESTA ESIGENZA ARTISTICA CHE SI MANIFESTA SU PIÙ FRONTI?

La verità è che io nasco come cantante da uno stage di jazz: pura improvvisazione, perché lì per lì ti devi inventare un po’ tutto. E questo aspetto del dire cose diverse tra loro mi piaceva, questo creare sul momento la melodia o lo skat. Iniziai già allora a scrivere le mie prime canzoni: belle o brutte che siano, sono ancora in un cassetto e pian piano mi capita di tirare fuori degli scheletri un po’ assurdi di cose che ho scritto magari nove o dieci anni fa. Poi pian piano cresci e scopri che ti serve qualcuno che ti dia una direzione o dei limiti perché io, per esempio per quanto riguarda i testi, scrivo molto di getto, un po’ sturm und drang, con un flusso di coscienza che non ha una vera e propria radice letteraria o poetica, per esempio con rime in schema ABAB. Io scrivo e basta, poi fortunatamente ci sono degli autori che mi aiutano a mettere a posto concetti e pensieri che io voglio esprimere. Mi insegnano e io pian piano sto modificando anche il mio modo di comporre. Non sono un musicista, però strim pello, conosco gli accordi e so mettere le mani su una tastiera, anche se non mi definisco certo un pianista. FIN QUI LA PARTE MUSICALE…L’altro

aspetto è che ho studiato all’istituto d’arte, dove l’arte visiva ed estetica è il centro e quindi oggi,

facendo uno dei mestieri più belli del mondo dove puoi mettere tantissima creatività e anche altri rami dell’arte (non solo quelli musicali), preferisco muovermi su tutti questi livelli e creare un mini-mondo Mengoni. Mi sono disegnato il palco e se posso trovare un’idea che mi piace per creare un video, dalla quale magari era partita anche l’idea del testo, mi ci butto a capofitto. Poi sono anche un puntiglioso, un Capricorno, quindi, come si dice in francese, “un rompicoglio-

Q

MI SEMBRA DI CAPIRE CHE NON TI LEGHI TROPPO A UN’IDEA E SIA INVECE APERTO A METTERE

Sono sempre favorevole a distruggere tutto, naturalmente se non è in linea con il pensiero che hai. Il fatto è che se i due album fossero stati già chiusi e semplicemente la scelta fosse stata di farli uscire in due periodi differenti, avrei effettivamente avuto dei problemi a cambiare. Il bello invece di questo album in due parti, che mi piace pensare come playlist aperta o work in progress, è proprio la consapevolezza che c’è una crescita e c’è un mondo molto vario già nella prima parte che vorrei ampliare e completare nella seconda. Per arrivarci avevo bisogno di ulteriori input: abbiamo gettato le basi, non ci sono tutti i pezzi, ci sono alcuni che non erano riusciti ad avere una vita nella prima parte e che prenderanno una forma diversa anche grazie a quello che succederà durante i concerti. TUTTO IN DISCUSSIONE.

«La verità è che io nasco come cantante da uno stage di jazz, quindi pura improvvisazione: vuol dire che lì per lì ti devi inventare un po’ tutto»

ni”. Se posso buttarmi su tutte queste cose lo faccio molto volentieri. Dal disegnare il merchandising a… stare sul pezzo un po’ su tutto. Siccome il mio mestiere mi permette di farlo, cerco di essere presente in tutto. DICEVAMO CHE HAI DISEGNATO IL PALCO. Il palco è un perfetto esempio del mio essere puntiglioso: era già disegnato praticamente da prima del disco e poi, quando l’album è uscito, mi sono accorto che non andava bene e quindi lo abbiamo cambiato praticamente

nel 1979 arriveranno i Clash con London Calling e i Pink

DUE ALBUM SONO MEGLIO DI UNO

a un mese dall’inizio del tour. A Live Nation (il promoter dei concerti, ndr) non sapevano più che cosa fare. Sono andati nel panico perché era già tutto pronto e io all’improvviso ho cambiato le carte in tavola. Ma non sarebbe stato giusto tenere il vecchio palco, perché non era in linea con le canzoni che poi sono uscite, quindi pian piano si è andato modificando anche quello.

Floyd con The Wall. Solo per citare i più grandi.

QUINDI IL PALCO AIUTA LA TUA ISPIRAZIONE?

I live sono come un interruttore On-Off: data dopo data non hai mai tempo di elaborare veramente le idee che ti vengono, perché

Forse per questo alcuni artisti tornano al Dylan del 1965: pubblicare due album diversi (allora furono Brin-

Non è forse un caso che ognuno di questi album sia

ging It All Back Home e Highway 61 Revisited) invece

generalmente considerato il capolavoro dei rispettivi ar-

di un doppio. Uno dei primi è Bruce Springsteen, che

Il progetto di Marco Mengoni ci ha

tisti, fatta eccezione per i Beatles e il loro Sgt. Pepper’s.

addirittura fa uscire nello stesso giorno (il 31 marzo

fatto venire voglia di ripercorrere 50

L’incredibile creatività di quegli anni aveva trovato nel

1992) Human Touch e Lucky Town. Nell’ultimo venten-

anni di storia di album doppi.

doppio vinile una perfetta valvola di sfogo: nessun ob-

nio la storia degli album doppi è così andata calando,

bligo di far stare al massimo otto canzoni su un 33 giri.

relegata soprattutto a best of e live, come quelli recenti

Quando il 16 maggio 1966 Bob Dylan pubblica Blonde

La puntina del giradischi poteva correre per più di un’o-

di Tiziano Ferro e del trio Fabi Silvestri Gazzè. Ma una

on Blonde, il primo album doppio nella storia della mu-

ra sui solchi di acetato nero, bastava cambiare vinile e

ripresa sembra esserci, nonostante lo streaming spinga

sica leggera, è una rivoluzione. Non è la prima della sua

il gioco era fatto. È con gli anni Ottanta che gli album

sempre più verso i singoli. Prince il 30 settembre 2014

carriera, ma è forse quella che più muterà nei successivi

doppi iniziano a prendere un’altra strada. Quello che

ha pubblicato contemporaneamente Art Official Age e

50 anni le modalità di fare e fruire musica. Il Menestrello

prima era uno sfogo per la creatività dell’artista diventa

Plectrumelectrum. E anche in Italia qualcosa si muove:

a 25 anni è già il più influente artista del suo tempo.

con i cd (che possono contenere un maggior numero di

Jovanotti si è concesso il lusso di Lorenzo 2015 CC., un

Persino più dei Beatles. Che giusto due anni dopo, nel

canzoni rispetto ai vinili) la perfetta scusa per le etichette

album doppio per un totale di 30 canzoni. Una tradizio-

1968, seguiranno il suo esempio con il loro omonimo

discografiche per dare alle stampe compilation con b-

ne che si trasforma, ma prosegue anche con i Verdena,

doppio Lp, più noto come White Album, anticipati di un

side e rarities. Non sempre di alto livello. Una pratica

che hanno pubblicato Endkadenz in due volumi distinti.

mese da Jimi Hendrix con Electric Ladyland. I Rolling

che si consolida negli anni Novanta e diventa frequente

E naturalmente con Marco Mengoni e il suo Parole in

Stones proporranno nel 1972 Exile on Main St., mentre

nei Duemila, con il calo delle vendite di dischi.

circolo – parte uno e parte due. [A.L.]

44 onstage maggio

- giugno


onstage maggio - giugno 47


LA PRIMA VOLTA nei palazzetti per Marco Mengoni, che dopo la partenza il 5 maggio da Mantova affronta subito il Forum di Assago (Milano) per una doppia data il 7 e 8 maggio. Il tour prosegue poi a Torino (il 10), Firenze (il 12), Roma (il 14), Napoli (il 16), Bari (il 19), Bologna (il 21) e Treviso (il 23).

48 onstage maggio

- giugno


o sei in sala prove o su un palco o continuamente in viaggio. È un po’ dura: se devi seguire tutto ogni giorno, è necessario un planning molto serrato e definito per capire cosa fare oggi, domani, dopodomani. Ovviamente l’unica cosa a restare fuori è l’ispirazione, perché a quella non si possono mettere limiti di giorni. Però spero che con tutte le cose che succederanno in questo periodo quella possa uscire fuori a sprazzo per modificare pian piano la seconda parte. SIAMO UN PAESE STRANO, CHE AMA LE ETICHETTE E LE TIFOSERIE: IL POP PER ESEMPIO È SPESSO SOGGETTO A CRITICHE, COME SE FOSSE UN FRATELLO MINORE E SFIGATO DEL ROCK. PENSI CHE LO STREAMING POSSA AIUTARE A ROMPERE QUESTE BARRIERE? TU STESSO PARLI DI PAROLE IN CIRCOLO COME DI UNA «PLAY-

Secondo me sarà un percorso molto lento, come tutto nel nostro Paese: arriviamo sempre un po’ in ritardo perché fatichiamo ad accettare le novità o comunque cose diverse rispetto al passato. Il cambiamento dal digitale allo streaming in realtà è stato quasi immediato se confrontato al passaggio dalla cassetta al cd e dal cd all’mp3. Io sono assolutamente favorevole alla tecnologia, anche perché sono figlio di questi tempi, e poi lo streaming può aiutare chiunque a far ascoltare la propria musica. Non credo invece nei generi e nelle etichette: credo in un pezzo bello e in musica che mi piace o che mi piace meno. E poi per me il pop è tale se arriva a una larga banda di persone e riscuote un discreto successo, a prescindere da chitarre o elettroniche o altre categorizzazioni. Io chiamo popolari i pezzi che rimangono incastonati nell’immaginario e segnano un periodo nella carriera di un artista o di un momento storico musicale. Ai generi non ho mai creduto anche perché tendo a vivere la mia vita quotidiana così: non mi piace classificare, mi sembra una ghettizzazione ridicola. LIST».

conduttore. Però mi ero un po’ stufato di farlo nella vita quotidiana: mi sono creato delle playlist con canzoni che magari non c’entravano nulla tra loro, da Erykah Badu ai Daft Punk piuttosto che ai Deep Purple. Così ho capito che la mia natura forse è cercare questa diversità in quello che ascolto. MI PUOI SPIEGARE QUESTO TUO CONCETTO DI DIVERSITÀ? Il fatto è che mi scervellavo per trovare un percorso che fosse il “percorso Mengoni”, anche perché tutti dicono sempre “Mengoni non si può incastonare in quella cosa o in quell’altra”. E siccome io invece odio queste classificazioni, mi sono detto “forse il mio ambito è la ricerca: ascoltare qualsiasi cosa e inserire nella mia musica tutta questa palette di colori e non solo la tavolozza dei rossi e basta, per mettere dentro a un disco e a un progetto una moltitudine di

COME RIESCI AD AVERE LA PERCEZIONE DI

Siamo molto attenti ai social network e alle connessioni che si possono instaurare tramite i social. Abbiamo creato l’applicazione anche per questo, perché così possiamo sapere come si sposta il pubblico. Ovviamente però questa è solo uno strumento di analisi, mentre il movimento delle persone è dovuto alla miscellanea che c’è all’interno della mia musica, che non è dall’inizio alla fine uguale. E nel live si ripropone lo stesso problema: quando lavoro alla scaletta sono “cavoli” perché ormai ho canzoni molto diverse e amo riprendere cose vecchie e riarrangiarle al giorno d’oggi. Essendo io un perfezionista questo crea dei problemi, perché capita che ci sia una canzone che non può convivere con un’altra e quindi bisogna cercare di unificare il tutto. Anche se alla fine sarà una specie di playlist con pezzi che mi piacciono. TUTTO QUESTO?

«Non ho mai creduto ai generi anche perché tendo a vivere la mia vita quotidiana così: non mi piace classificare, mi sembra una ghettizzazione ridicola»

suoni”. Poi, riuscirci è sempre molto difficile: non sono mai soddisfatto di quello che faccio perché non sono riuscito del tutto a mettere dentro ogni cosa. La seconda parte mi servirà anche per riprendere tutto quello che non ho messo nella prima. IL TUO È UN PUBBLICO MOLTO VARIO… Quindi

vuol dire che sono pop? GLI ARRANGIAMENTI QUINDI CAMBIERANNO ESSERE POP NON È CERTO UN INSULTO. COMUNQUE INTENDEVO DIRE CHE AI TUOI CONCERTI SI POSSONO TROVARE PERSONE MOLTO

E QUESTO SI TRADURRÀ ANCHE NELLA SECON-

DIVERSE TRA LORO, DAGLI ADOLESCENTI ALLE

Assolutamente sì, anche perché ogni giorno si cresce e si diventa più anziani e si scoprono cose che non si conoscevano e quindi, volenti o nolenti, si hanno degli input nuovi da tutta la musica che si ascolta. Input che poi vengono filtrati e messi in un progetto. Io mi sono accorto, soprattutto in quest’ultimo anno, che tendo a non ascoltare un disco dall’inizio alla fine. È bellissimo farlo e scoprire tutte le parti di un album che percorrono un unico filo

DONNE IN CARRIERA. QUALE PENSI SIA IL MO-

DA PARTE DI PAROLE IN CIRCOLO?

spetto a quelli precedenti. Abbiamo riproposto questa cosa anche con Guerriero, che è un pezzo con una tonalità bassissima, parlato e con molte parole e un arrangiamento strano perché all’interno abbiamo fuso generi musicali che difficilmente prima avrei pensato potessero coesistere. Cambiando il punto di vista della mia musica, e cambiando direzione rapidamente, ho sicuramente perso delle fasce di pubblico, ma probabilmente ne ho anche guadagnate diverse perché mi sono avvicinato di più a un certo tipo di persona che magari prima non mi conosceva. E poi c’è anche un naturale ricambio: quelli che a prescindere ti seguono perché lo fanno dall’inizio e altre persone che invece ti seguono per un disco e per un altro se ne vanno e invece ne arriveranno altre.

TIVO CHE TI ABBIA PORTATO AD AVERE SPETTATORI TANTO VARI? Effettivamente è una cosa che ho notato e devo ammettere che è la sfida che mi sono dato e che ci siamo dati con il mio nuovo team. Quando ho cambiato la mia squadra, ho cercato di guardarmi allo specchio e di vedere tutti i limiti che avevo. Abbiamo cercato di superarli ed è per quello che abbiamo lavorato a canzoni con tonalità diverse e arrangiamenti molto più classici ri-

Certamente. Io sono nato in un periodo che ha visto nascere l’elettronica nella musica, però non l’ho mai realmente vissuto perché sono nato nell’88 ed ero troppo piccolo per rendermene conto. Proprio per questo nei nuovi arrangiamenti ho messo anche tanto degli anni Ottanta, che tutti denigrano e invece a me piacciono tantissimo. Perché c’era sì tantissima leggerezza e usciva tantissima musica disparata, ma c’erano anche alcune cose incredibili che hanno cambiato il modo di vivere la musica. Come la rivoluzione dei Beatles negli anni Sessanta, allo stesso modo alcuni artisti hanno fatto dell’elettronica e delle scoperte una forza incredibile che è MOLTO?

onstage maggio - giugno 49


arrivata ai giorni nostri. E anche dagli anni Novanta a oggi l’elettronica è mutata e si è raffinata nelle sonorità. Ho voluto prendere spunto da quegli anni e ne sono uscite tante cose divertenti applicandole ad alcuni pezzi del mio repertorio. Sono curioso di capire come la prenderà il pubblico, soprattutto quella parte di pubblico che conosce perfettamente il mio repertorio, quando si troverà davanti degli arrangiamenti stravolti e con dei suoni che richiamano quegli anni. Voglio vedere la reazione. È naturalmente un accostamento che mi lusinga moltissimo. Io comunque penso che la base del pezzo non vada mai stravolta, perché se è nata in quel modo deve rimanere in quel modo. Si tratta semplicemente di trovare in un armadio una giacca, rispolverarla e con dei piccoli cambiamenti riadattarla a quello che sei oggi, a quello che stai scrivendo adesso. E appunto puoi permetterti di prendere anche delle cose che prima ti mancavano per ragioni anagrafiche. UN’ATTITUDINE ALLA DE GREGORI…

50 onstage maggio

- giugno

IL LIVE È UNA CORSA FRENETICA CHE DURA UN ATTIMO. TI CAPITA DI AVERE UN SENSO DI SOLITUDINE DOPO UN MESE COSÌ INTENSO DAVAN-

Tipo depressione post partum? Sì, sicuramente esiste anche la depressione post tour. Trovare l’energia per tutte quelle date, una di seguito all’altra, e poi

TI A MIGLIAIA DI PERSONE?

«Il potere che mi ha dato il successo dei primi due singoli l’ho trasformato in “consegno il disco quando è pronto, non mi rompete i coglioni”» ritornare a casa e riguardarti allo specchio è un po’ straniante. Ti dici: “E tutte quelle persone che c’erano prima, adesso dove sono?”. Essendo io un gran lupo solitario, nella solitudine trovo sempre un po’ di forza e speranza. Ma questa volta appena finito il tour ci rimetteremo subito a lavorare sul disco.

E sull’album lavorano veramente tante persone. Io tra tutti i campi (musicale, grafica, video) non avrò un minuto per pensare alla solitudine che mi potrebbe venire dopo a un tour. Anche se spero di avere almeno un paio di giorni di vacanza. Poi però lavoreremo alla seconda parte, la faremo uscire e dopo ovviamente ci sarà un secondo tour. E quindi non può venirmi la depressione quest’anno. ALLORA QUANDO ESCE LA SECONDA PARTE?

Non lo so ancora. La cosa positiva è che la mia etichetta (Sony, ndr) ha accettato l’idea di lavorare all’album per tutta l’estate e in autunno, fino a quando sarà pronto. Ho avuto ancora più forza perché, dopo aver un po’ litigato per far uscire il primo singolo Guerriero e il secondo Esseri umani, ho acquisito più potere perché hanno avuto molto successo. E quel potere si trasforma in “consegno il disco quando è pronto, non mi rompete i coglioni”. Tanto ormai i dischi non hanno più un mese di uscita. L’uscita natalizia è come le altre, se lo fai uscire ad agosto è più o meno la stessa cosa. l


GIUGNO

LUGLIO

20 TORINO

STADIO OLIMPICO

23 FIRENZE

STADIO FRANCHI

26 ROMA

T LD OU STADIOSOOLIMPICO

27 ROMA

STADIO OLIMPICO NUOVA DATA

1

BOLOGNA STADIO DALL ’ ARA

4

MILANO

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5

MILANO

DATA STADIO SAN SIRO NUOVA

8

VERONA STADIO BENTEGODI

TIZIANO

FERRO LO STADIO TO UR 2 0 1 5

TZN - The Best of Tiziano Ferro La sua prima imperdibile raccolta con tutti i successi, gli inediti, i duetti e le rarità.

onstage novembre - dicembre 47


Mumford & Sons

SVOLTARE PER NON CAMBIARE È uscito a inizio maggio Wilder Mind, il nuovo e attesissimo album dei Mumford & Sons (che tra fine giugno e inizio luglio saranno in tour in Italia). Un progetto artistico nuovo di zecca, che ha tutti i connotati della svolta totale. Eppure, ci hanno spiegato loro, hanno cambiato sound proprio per restare se stessi. E lo hanno fatto con grande naturalezza. Testo di MARCO RIGAMONTI - Foto di JAMES MINCHIN

È

facile immaginare il cambiamento come qualcosa di drastico, definitivo. Quando “voltiamo pagina” stiamo per forza trasformando radicalmente un aspetto della nostra vita e lo stiamo facendo volontariamente, con premeditazione. In realtà non funziona proprio così. O per lo meno non sempre tutto è così netto. Perché spesso il cambiamento, semplicemente, accade. Come naturale evoluzione di quello che abbiamo vissuto in precedenza. Se sono artisti e band a portare novità (nel sound, nel look, nella line-up o altro), e soprattutto se si tratta di grandi artisti o grandi gruppi, pochi hanno voglia di porsi le domande che aiuterebbero a comprendere


meglio le loro ragioni. È molto più comodo giudicare il risultato e demolire tutto ciò che spiazza. Atteggiamento intrinsecamente sbagliato: quando voltiamo la pagina di un libro, stiamo solo andando avanti a leggere. Un gesto naturale e inevitabile, che garantisce continuità, non rottura. E chi ha mai interrotto la lettura di un bel libro per paura di girare pagina? E qui entrano in scena i Mumford & Sons. Ascolti il singolo che anticipa il loro terzo disco e nella tua testa si materializza l'immagine di una soffitta dove tutto ciò che li aveva resi riconoscibili, come banjo e contrabbasso, è ricoperto da strati di polvere. I quattro londinesi hanno inciso brani dal suono indiscutibilmente pop/rock, conformandosi

a uno standard radiofonico - inutile negarlo - tutt'altro che innovativo. Spulciando qua e là sul web, le reazioni a caldo non sono state per nulla favorevoli e molto rumorose: si passa dagli insulti agli espliciti dissensi, passando per più magnanimi «il pezzo non è male, ma dove sono finiti i Mumford che conosciamo?». I fatti dimostrano che il pubblico italiano, quello che non ha pregiudizi, ha reagito bene ai primi brani estratti da Wilder Mind, terzo disco dei M&S. I biglietti per la data del 29 giugno all'Arena di Verona sono stati polverizzati in neanche 48 ore (la band inglese si esibirà anche a Roma, il 30 giugno, e a Pistoia il 1 luglio). Ma anche prima di trovare conforto in questa splendida notizia, la band

era preparata ai commenti poco positivi: non hanno intenzione di tirarsi indietro di fronte all'argomento, perché vogliono sottolineare il fatto che, in realtà, non sono cambiati di una virgola. La “nuova” impostazione riflette i loro sentimenti, sinceri, che non avrebbero potuto esplicitare altrimenti. Per andare sul sicuro sarebbe bastato fare un bel copia e incolla di Babel, ma l'opzione non è stata nemmeno calcolata. Perché non sarebbe stato onesto rispetto a quello che i Mumford sono oggi. Ed è stato tutto molto più naturale di quanto si possa immaginare. Parola di Marcus. WILDER MIND MI HA COSTRETTO A SPOSTARE I FILE DEI VOSTRI DISCHI PRECEDENTI DALLA

onstage maggio - giugno 53


CARTELLA «FOLK-ROCK» A QUELLA «POPROCK». LA COSA VI FA PIACERE O VI PREOCCUPA? Nessuna delle due! La verità è che non abbiamo avuto scelta: Wilder Mind è l'unico disco che avremmo potuto scrivere in questo periodo della nostra vita. Ci siamo resi conto, soprattutto nell'ultima parte del tour, che avevamo bisogno di un suono diverso: quando siamo entrati in studio ne abbiamo parlato con James Ford, il nostro produttore, e abbiamo trovato la formula sonora che stavamo inconsciamente cercando. Forse per qualcuno sarà una svolta problematica da digerire, ma questo album è la conseguenza di un processo del tutto naturale: il nostro obiettivo è sempre stato e rimane quello di esprimere sentimenti attraverso la musica, nel modo più conciso e diretto possibile.

54 onstage maggio

- giugno

«Il nostro obiettivo è sempre stato e rimane quello di esprimere sentimenti attraverso la musica, nel modo più conciso e diretto possibile»

tro. La sua versatilità ha contribuito alla freschezza sonora di Wilder Mind, sapevamo fin dall'inizio che avrebbe tradotto alla perfezione le nostre idee. Ci ha anche fatto scoprire musica che non conoscevamo: pensa che ogni santo venerdì doveva praticamente cacciarci dallo studio, perché aveva una residency come dj in un club di Londra. Siamo andati a sentirlo: si capisce anche da come mette i dischi che ha una cultura immensa. WILDER MIND HA AVUTO UNA GESTAZIONE

JAMES FORD È UN MUSICISTA CON UN OREC-

DIFFERENTE RISPETTO AGLI ALTRI ALBUM:

CHIO NEL ROCK E UNO NELL'ELETTRONICA. È

AVETE LAVORATO INSIEME IN STUDIO, CON-

DA SUBITO STATA LA VOSTRA PRIMA SCELTA?

DIVIDENDO IDEE DI ARRANGIAMENTO E SOLU-

Assolutamente. Abbiamo contattato anche un altro paio di persone, ma su James non c'è stato alcun dubbio fin dal primo incon-

ZIONI MELODICHE, GIUSTO? È un approccio che abbiamo sempre utilizzato, solo che in questo caso l'abbiamo fatto molto di più.


NITI «UNA NOTEVOLE QUANTITÀ DI TEMPO».

È stata la migliore decisione che potessimo prendere. Siamo consci del fatto di essere una band che non può vivere senza la connessione con il pubblico, ma ci siamo resi conto che avevamo bisogno di un momento di riflessione per riordinare le idee e guardare oltre. È stata un'ottima opportunità per vivere le città, andare a sentire concerti e ascoltare musica: in quei mesi abbiamo letteralmente messo la testa fuori e osservato il mondo. Quando ci siamo ritrovati in studio avevamo moltissima musica da proporre e da farci ascoltare a vicenda. E non parlo solo di produzioni nuove, ma anche di cose storiche che non avevamo mai approfondito a sufficienza - come per esempio i Led Zeppelin. Però non scrivere che ci siamo ispirati al loro suono, perché non è vero: avevamo talmente tanti dischi in testa che non saprei fare un elenco delle sonorità che hanno influenzato Wilder Mind.

È SERVITA?

A PROPOSITO DI SONORITÀ: SOSTENETE CHE QUESTO SIA UN DISCO MINIMALISTA A CONFRONTO CON I VOSTRI PRIMI DUE LAVORI. MA QUI C'È LA BATTERIA, CHE PRIMA UTILIZZAVATE DI RADO, E CI SONO PARECCHIE CHITARRE ELETTRICHE. COS’È PER VOI, IL MINIMALISMO?

È un discorso che ha a che fare con l'approccio che abbiamo utilizzato in studio. L'idea era quella di evitare quasi completamente il multitracking, arrangiando quindi brani esclusivamente con le parti che eseguiamo dal vivo, ognuno con il proprio strumento. In questo modo lo spettro sonoro non raggiunge la saturazione, che era un po' la regola in Sigh No More e Babel. In passato ci laSiamo orgogliosi di quanto siamo stati in grado di fidarci reciprocamente e mantenere sempre un'apertura mentale tale da non farci mai discutere, ma solo considerare tutte le opinioni ed eventualmente implementare nuove soluzioni. Sarà sicuramente una strada da ripercorrere in futuro, ma stiamo anche pensando di scrivere durante il tour; anche i live sono momenti di confronto, e fonte di ispirazioni sempre nuove. Chi lo sa, magari il prossimo album sarà frutto di canzoni composte on the road. Dopotutto ogni disco è unico e differente anche nel modo in cui viene concepito. IN EFFETTI DA QUANDO SIETE NATI AVETE SEMPRE GIRATO IN LUNGO E IN LARGO. POI C'È STATA QUESTA PAUSA DI 5 MESI, DA VOI DEFI-

«La pausa ci è servita per osservare il mondo e ascoltare musica. Non solo cose nuove, ma anche band storiche che non avevamo mai approfondito a sufficienza, come i Led Zeppelin»

sciavamo prendere la mano: ricercavamo un suono pieno, utilizzavamo molti strumenti, ci piaceva sperimentare e riempire le tracce. Ma in questo caso avevamo intenzione di essere il più diretti possibile, e quindi ci servi-

vano degli arrangiamenti che rispettassero lo spazio e che in qualche modo comunicassero un'idea di semplicità. È UN PROPOSITO CHE SI RIFLETTE ANCHE NEL TITOLO DEL DISCO, SOPRATTUTTO SE CON-

Se ti riferisci ai riferimenti “aulici” di Sigh No More (titolo tratto da una verso di Molto rumore per nulla di William Shakespeare ndr) e Babel, hai FRONTATO CON QUELLI PRECEDENTI.

«Dal vivo suoneremo i vecchi pezzi con gli arrangiamenti originali. Stravolgerli sarebbe un lavoro troppo impegnativo e non abbiamo la garanzia che il risultato sarebbe accettabile» centrato l'obiettivo. Il discorso di essere diretti vale anche per le parole: questo disco parla della nostra vita di tutti i giorni. Qualcuno potrebbe pensare che sia più semplice comunicare con testi e parole attuali piuttosto che utilizzare metafore e termini d'altri tempi, ma le cose non stanno esattamente così. Riuscire a esprimere le proprie sensazioni e fare sentire meno solo chi ti ascolta è un'impresa ardua. E noi crediamo di essere migliorati da questo punto di vista. COME AFFRONTERETE I PROSSIMI LIVE? AVETE INTENZIONE DI RIARRANGIARE I “VECCHI”

È un pensiero che ci è passato per la testa, ma l'abbiamo accantonato immediatamente. Ci abbiamo messo talmente tanto tempo ad arrangiare quei pezzi che sarebbe stato un lavoro troppo impegnativo, e non avevamo garanzie su un risultato accettabile. Li suoneremo come sono stati concepiti, e ovviamente ci saranno tromba, trombone e violini: crediamo sia il modo migliore per rispettare quelle canzoni. BRANI IN OTTICA WILDER MIND?

CHE COSA VORRESTE CHE I FAN PENSASSERO

Vorremmo che tenessero in considerazione il fatto che abbiamo inciso un disco sincero, con noi stessi e con loro. Che continuassero a viaggiare insieme a noi, perché non vogliamo fare altro che raccontare chi siamo attraverso la musica: non è così complicato, giusto? Se questo sarà il loro pensiero, allora potremo dire di avere raggiunto il nostro obiettivo. l DELLA VOSTRA SVOLTA STILISTICA?

onstage maggio - giugno 55


Fabi Silvestri Gazzè

LA CILIEGINA SULLA TORTA Testo di LUCA GARRÒ - Foto di SIMONE CECCHETTI

Il trio Fabi Silvestri Gazzè arriva all’atto finale di un progetto durato più di un anno. Una serata evento all’Arena di Verona per festeggiare una collaborazione che ha avuto da subito una “data di scadenza”. La consapevolezza di avere una sola possibilità è stato lo stimolo a dare tutto. Ognuno con il proprio personale contributo.


U

n disco di una classe e un gusto rari, un tour trionfale nei maggiori palazzetti del nostro Paese e ora il gran finale all’Arena di Verona il 22 maggio, preceduto da un album dal vivo che fotografa un’esperienza irripetibile. Questo, in pochissime parole,

il percorso che ha portato il trio composto da Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè alla conclusione di un progetto iniziato più di un anno fa con un viaggio in Sud Sudan e del quale forse oggi possiamo tirare le somme. È per questo che abbiamo chiamato i tre protagonisti, in tre momenti diversi, per scoprire cosa ciascuno di loro pensasse di questo lungo giro insieme. E an-

che se il risultato è stato una “torta” particolarmente riuscita (come mi ha detto uno di loro), gli ingredienti che ognuno ha inserito sono rimasti ben definiti prima, durante e dopo. Così come ben definite, e in alcuni casi diverse, sono le risposte che ognuno di loro ha dato alle mie domande. Del resto, l’«aggressività» di Fabi, la «razionalità» di Silvestri e la «leggerezza» di Gazzè sono


ingredienti profondamente diversi tra loro. AVEVATE GARANTITO CHE NON CI SAREBBE STATO UN FUTURO E MANTERRETE FEDE ALLA PROMESSA. ESSERE COERENTI QUANDO LE COSE VANNO COSÌ BENE DEVE ESSERE MOLTO DIFFICILE. Silvestri: Forse perché in Italia non siamo così abituati alla coerenza. Confesso che non è stato facile mantenersi coerenti, perché è andato tutto talmente bene che in tanti non si aspettavano che l’avremmo fatto, né che avremmo rifiutato tutte le richieste che ci sono arrivate. Il cammino è stato così trionfale, non solo per i numeri, che finire all’Arena di Verona sembra la ciliegina su una torta che tutto ci consiglia di non ripreparare, perché i dosaggi sarebbero differenti. Un futuro comunque è inevitabile: intanto perché abbiamo inciso un disco e poi perché ognuno di noi riprenderà in mano queste canzoni nei propri tour. Gazzè: Ho sempre pensato che la bellezza, il fascino di questo progetto stesse proprio nell’aver deciso una data precisa di scadenza, cioè la fine del tour a dicembre. Poi l’idea del concerto all’Arena di Verona è nato per dare risalto all’album che avevamo registrato durante quel tour, ma più che sancirne la fine, in qualche modo lo celebra. Andare avanti avrebbe reso dispersivo il tutto e finire qui dimostra la genuinità della scelta artistica e il rispetto per la nostra storia. Fabi: Onestamente credo che sia sbagliato parlarne in termini di coerenza: il principio di base era quello di mantenere quella gioia e quella felicità che solo i progetti estemporanei hanno. Non è un fatto di coerenza, ma di gusto personale. Pura soddisfazione e gratificazione personale. PARADOSSALMENTE, IL RISCHIO POTEVA ESSERE QUELLO DI SMETTERE SOLO PERCHÉ AVEVATE INSISTITO SUL FATTO CHE NON CI SAREBBE STATO UN FUTURO, FORZANDO I VOSTRI DESIDERI? Fabi: No, ma capiamoci bene: nulla in tutto ciò è una forzatura, non abbiamo firmato un contratto in negativo che ci obbligasse a smettere dopo un periodo preciso, né ci siamo trovati con una pistola puntata alla tempia. Credo che il principio delle cose belle sia proprio che nascono in modo non richiesto, improvviso e sono belle perché rappresentano isole di estemporaneità in una vita sempre troppo organizzata. Quindi capisci che qualora si pensasse a un secondo progetto, questo avrebbe già dei termini di paragone e si normalizzerebbe.

58 onstage maggio

- giugno

Silvestri: Un po’ forse sì, anche se la scelta è stata molto determinata. Devi capire che se per il pubblico la sensazione è che siamo in giro da settembre, in realtà è un anno e mezzo che portiamo avanti tutto e prima di iniziare eravamo d’accordo su alcune cose. Intanto che se i pezzi non ci avessero convinto, avremmo abortito prima che la gente sapesse che stavamo componendo insieme e poi che ci fosse un percorso preciso. Più che una scadenza, come dice Max, che sembra parli di un alimento. ALLA PRESENTAZIONE DEL DISCO PARLASTE DELL’UNIONE DELLE VOSTRE PERSONALITÀ COME DI UN CERCHIO TRIANGOLARE. IN COSA OGGI SIETE PIÙ TRIANGOLARI E IN COSA, INVECE, PIÙ SMUSSATI? Fabi: Questi sono i tipici ossimori di Max, che ovviamente sono sempre da interpretare. Il fatto di essere in tre è stato un ottimo motivo per non far scoppiare confronti uno a uno, che potevano essere più duri. Avevamo sempre a disposizione una terza via di fuga. Le dinamiche uno a

«Il principio era mantenere quella felicità che solo i progetti estemporanei hanno. Non è un fatto di coerenza, ma di gusto. Pura soddisfazione e gratificazione personale» Niccolò Fabi

uno soffocano le discussioni e le decisioni da prendere e credo che la vera fortuna, al di là della geometria, sia stata quella di avere più caratteristiche da musicisti che da cantanti. Silvestri: Mi sono posto la stessa domanda nei giorni scorsi. So di essere cambiato moltissimo: in un certo senso sono diventato schizofrenico, in un modo piacevolissimo però. Ora che mi sto approcciando nuovamente alla mia musica, sento le voci degli altri due che mi dicono cosa pensano o come si muoverebbero per un determinato pezzo. Fanno ormai parte del mio modo di ragionare, insomma. Inoltre, credo che ognuno di noi tre ora conosca davvero bene i propri punti di forza. Gazzè: Logicamente, la metafora era proprio mia. Credo sostanzialmente che ci siamo smussati a vicenda: ognuno ha preso un pezzo dell’altro, stimolandoci a vicenda e proteggendoci


onstage maggio - giugno 59


dall’esterno. Mi rendo conto che sembri la fiera del buonismo e del volemose bene: alcuni intoppi ci sono stati, ma sempre risolti da contrasti propositivi. Se l’avessimo fatto vent’anni fa, forse avremmo avuto molti più problemi di ego.

la stampa ha ricamato una serie di articoli che non parlavano davvero del disco, ma solo di quel paragone. D’altra parte, i media hanno da sempre bisogno di confrontare il nuovo col vecchio, altrimenti non riuscirebbero a parlare di molte cose. Continuo a pensarla allo stesso modo. Gazzè: Al di

VOI STESSI AVETE FATTO RIFERIMENTO AL PROGETTO DALLA - DE GREGORI PER FAR CAPIRE AI MEDIA I PUNTI DI RIFERIMENTO DEL TRIO, MA FORSE LA STAMPA HA INSISTITO TROPPO SULLA QUESTIONE. QUALI CREDETE SIANO I VERI PUNTI IN COMUNE CON QUELL’ESPERIENZA? Silvestri: Magari ce ne fossero davvero di punti in comune, visto che Banana Republic resta una delle cose più belle successe in musica in Italia negli ultimi cinquant’anni. Se dovessi trovarne uno, a bocce ferme, forse direi proprio il fatto che entrambi i progetti abbiano avuto un tempo determinato, con un inizio e una conclusione ben precisi. Per il resto, direi poco, visto che noi abbiamo fatto prima un album che un tour. Semmai ti dico la speranza: che questo progetto, come quello, abbia lasciato un segno indelebile. Fabi: La verità è che quello fu un paragone estorto quasi a forza al momento della presentazione e sul quale

60 onstage maggio

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«Sono cambiato moltissimo: ora che sono tornato alla mia musica sento le voci degli altri due che mi dicono cosa pensano o come si muoverebbero per un determinato pezzo» Daniele Silvestri

là dell’estemporaneità del progetto e dell’amicizia tra le persone coinvolte, non vedo grandi paragoni, ma la cosa mi lusinga davvero molto. Durante il tour, mi è capitato di incontrare proprio De Gregori, che per altro in molti vedono come padre putativo della scuola romana della quale dovremmo

fare parte. Mi ha detto: Max, ma chi ve l’ha fatto fare? PARLIAMO DEL CONCERTO ALL’ARENA DI VERONA. SARÀ DIVERSO DA QUANTO VISTO IN

Gazzè: Un bel po’, inevitabilmente. Sia come scelta dei brani, perché abbiamo ancora voglia di metterci in gioco, ma soprattutto a livello scenico. A fine anno, infatti, la scommessa era quella di mettere dentro un luogo dispersivo come un palazzetto un’atmosfera da pub, da salotto di casa. Come fosse un live at home. L’Arena, invece, è già un immenso salotto, raffinato per natura, e questo ci permette di giocare un po’ meno con le scenografie e le mutazioni dello spazio scenico, per dare invece importanza solo alla musica. La band sarà la stessa, ma con l’aggiunta degli archi del The New Quartet. AUTUNNO?

PARLANDO DEL PROCESSO CREATIVO, AVEVATE ELENCATO LE DIFFERENZE ARTISTICHE CHE ESISTONO TRA VOI E DI COSA DELL’UNO O DELL’ALTRO SIA CONFLUITO NE IL PADRONE

DELLA FESTA. DAL VIVO QUESTI ASPETTI SI SONO AMPLIFICATI O, VICEVERSA, SONO STATI TENUTI PIÙ A BADA?

Silvestri: Sono venute


fuori nuove differenze, che non conoscevo, anche se di fondo restano più o meno le medesime. Permane quindi l’aggressività di Fabi: è lui l’animale da palcoscenico dei tre, non c’è nulla da fare. Io sono la parte razionale, col gusto di esplorare tutti gli emisferi del possibile che si esprime nel mio classico istrionismo. Sono meno rocker, ma mi prendo spazi di parola che loro non si prendono. Poi c’è Max: uno dei bassisti più talentuosi al mondo, dotato di una leggerezza incomprensibile che gli permette di ammiccare e giocare col suo aspetto fisico. Gazzè: Oltre a essere un musicista, sono un grande appassionato di suoni, di frequenze, di arrangiamenti. La mia esperienza dal vivo ha influito enormemente sulle decisioni riguardo agli arrangiamenti da scegliere per i brani, anche dal punto di vista puramente tecnico. Ho scelto quale suono potesse essere migliore rispetto ad un altro e loro si sono fidati ciecamente, perché sapevano che alla fine avevo ragione. Credo che le caratteristiche delle quali parlammo all’uscita dell’album, dal vivo si siano invece amplificate, perché in quel contesto perdi molti dei freni inibitori che in studio ti condizionano. Fabi: Sono

dei colori di fondo che ogni essere umano possiede e che porta in ogni ambito nel quale si muove. Il mio approccio è più fisico e dinamico, Daniele è invece un mediatore e Max rappresenta il mio opposto, quello con il quale in qualche modo mi scontro. Non a caso, nella metafora che utilizziamo

«Ho incontrato De Gregori, che per altro in molti vedono come padre putativo della scuola romana della quale dovremmo fare parte. Mi ha detto: Max, ma chi ve l’ha fatto fare?» Max Gazzè

in una delle canzoni, io e Max siamo i due pugili che si fronteggiano, mentre Daniele è lo speaker, l’arbitro, proprio perché ha una predisposizione naturale a stare un passo indietro rispetto all’irruenza. Max è più narciso, quindi l’altro estremo rispetto a me.

ADESSO CHE TUTTO STA PER FINIRE, POTETE DIRCI SE INIZIALMENTE AVEVATE QUALCHE TIMORE. D’ALTRA PARTE 1+1+1 HA FATTO 4, MA AVREBBE POTUTO ANCHE FARE 2. Silvestri: Sarei bugiardo se ti dicessi che non avevamo dei dubbi. L’idea stessa di intraprendere un tour nei palazzetti, che nessuno di noi aveva mai fatto, è stato un azzardo completo e ti confesso che in tanti provarono a farci cambiare idea ai tempi. La svolta è stata il tour in giro per l’Europa prima delle date italiane: essendo in tre, ognuno era il musicista dell’altro ed era vietato sbagliare. Allo stesso tempo, però, in tre è stato anche più facile, perché se anche due si fossero distratti, il terzo avrebbe tenuto la barra del timone dritta. Gazzè: A me continua a piacere di più l’idea che 1+1+1 faccia un grosso 1, piuttosto che 4. Non eravamo per niente preoccupati, non ci siamo creati aspettative proprio per non rimanere delusi da un eventuale risultato diverso da quello che abbiamo ottenuto. L’impegno è stato comunque più importante del risultato ottenuto, e lo sarebbe stato anche qualora il risultato fosse stato inferiore alla somma delle parti coinvolte. l onstage maggio - giugno 61


UN MOMENTO FELICE Esce a maggio il secondo disco di Levante, Abbi cura di te, anticipato da un singolo che sta andando molto bene, nonostante qualche radio si ostini a ritenerlo “borderline”. Gli ultimi 12 mesi hanno cambiato la sua vita, ma non la sua attitudine: Claudia sa bene che la vita è fatta di alti e bassi. Testo di CAROLINA SAPORITI - Foto di RICCARDO LA VALLE

P

ronto, ciao sono Levante. Scusa se non ho risposto poco fa, ma stavo bevendo un caffè al bar e avevo il silenzioso». Inizia così la mia chiacchierata con Claudia Lagona, mentre sale le scale di casa con il fiatone.

QUANTO HAI LAVORATO A QUESTO NUOVO DI-

Sì, ancora per poco: mi aspetta la promozione del nuovo disco in alcuni store Feltrinelli. Vediamo se a Torino riesco a farmi presentare da un amico giornalista.

L’AMORE È CENTRALE ANCHE IN QUESTO DICAMBIATO? Sono cambiata io e sono cambiate alcune cose attorno a me. Ho trovato l’uomo

PER CASO PARLI DI MASSIMO GRAMELLINI? Mi piacerebbe fosse lui, abbiamo una cosa strana in comune. Al di là del fatto che nel suo primo libro racconta della morte di sua mamma quando aveva nove anni, il che ci fa condividere un’infanzia brutta, il suo ultimo libro si intitola Avrò cura di te e il mio nuovo album Abbi cura di te. L’ho chiamato e gli ho detto «Massimo, come dobbiamo fare?».

«Qualcuno dice che sono borderline: lo trovo di cattivo gusto, non per il termine in sé, ma perché non ha capito che il mio è un pop bello, elegante e poco banale»

«

Manuale Distruzione era uscito molto tempo dopo averlo scritto, questo l’ho composto mentre ero in tour lo scorso anno, è arrivato in modo naturale. Sono 12 brani che ho buttato giù facilmente, avevo tanti argomenti dei quali parlare e a fine gennaio l’abbiamo registrato. Credo sia la migliore risposta che potessi dare al primo album. SCO?

stavo inconsciamente facendo del male: arrivò una chiamata dalla mia insegnante di canto che mi disse «abbi cura di te» e quella frase, così semplice, suonava come la cosa più bella che potessero dirmi e il consiglio più grande che potessero darmi. NON TI SPAVENTA METTERE COSÌ TANTO DI TE NEI TUOI TESTI? NON SAREBBE PIÙ FACILE

Non ho mai avuto paura di mostrarmi, il percorso che faccio nel comporre è come scrivere un diario: sarebbe una cosa segreta, ma farlo leggere agli altri è una cura. Il primo input che ho avuto è stata la morte di mio papà: cantare cose che non riuscivo a tirare fuori in altro modo e sentire che quel dolore era condiviso da altri è stato d’aiuto. Non riuscirei a fare diversamente, anzi vorrei restare molto distante da tutti i guai della società. PARLARE, CHE NE SO, DI POLITICA?

SEI A TORINO?

SCO, PERÒ È PIÙ MATURO E COSCIENTE. COS’È

DOVRESTE SCRIVERE UN LIBRO INSIEME. UN DISCO INVECE CON CHI LO FARESTI? Mi piacerebbe duettare con Cesare Cremonini. PARLIAMO DELL’ALBUM. IL PRIMO SINGOLO,

della mia vita, ho smesso di partire prevenuta nei confronti dei sentimenti belli e mi sono detta, appunto, «abbi cura di te».

CIAO PER SEMPRE, È IN PROGRAMMAZIONE

Molto bene, a livello radiofonico però è difficile perché molte stazioni non passano il mio brano. Qualcuno ha detto che sono borderline e lo trovo veramente di cattivo gusto, non per il termine in sé, ma perché vuol dire che non ha capito che il mio è un pop bello, elegante e poco banale. Scusa se mi sto lodando, però è scoraggiante: esiste molto altro oltre ai cantanti catodici. È una fortuna che ci sia molteplicità di generi ma, proprio perché c’è, facciamo sentire tutti.

DAL 27 MARZO. COME STA ANDANDO?

62 onstage maggio

- giugno

Mi sento un po’ Gianni Morandi al femminile. Non ho gli stessi fan certo, ma rispondo anch’io a tutti e con alcuni c’è proprio una «corrispondenza di amorosi sensi». A me non interessa fare la star. Ci sono artisti le cui pagine social sono curate dallo staff, ma lo trovo triste, è doveroso essere grati a chi ti sostiene. CHE RAPPORTO HAI CON I TUOI FAN?

A PROPOSITO DI SOCIAL E TECNOLOGIE: SPOPERÒ CI SONO BRANI MALINCONICI PROPRIO

TIFY HA RIVOLUZIONATO LA FRUIZIONE DELLA

COME CIAO PER SEMPRE E LASCIAMI ANDARE.

MUSICA. PER VOI ARTISTI COSA È CAMBIATO?

Sì, però in Ciao per sempre racconto la storia di un’amica e in Lasciami andare parlo di un uomo che è stato lasciato e vuole toccare il fondo per tornare a galla. Sono storie che non ho vissuto in prima persona, ma ho scoperto di saper immedesimarmi negli altri.

Spotify è un bel mezzo di distribuzione della musica, ma non paga gli artisti. Ciao per sempre ha avuto decine di migliaia di ascolti, ma se ognuna delle persone che l’ha ascoltata avesse speso 99 centesimi per avere il singolo sarebbe stato meglio. Infatti su Spotify ci saranno solo cinque canzoni del nuovo disco e non le più belle. L'album lo devi comprare.

ABBI CURA DI TE SUONA COME CONSIGLIO, MA ANCHE COME AMMONIMENTO. A CHI È RIVOLTO?

Mi fu detto in un momento nel quale mi

NELLA FOTO SULLA COVER TIENI IN UNA MANO


UN CUORE E NELL’ALTRA UN PUGNALE. IMMAGINE EVOCATIVA DELICATA, MA ANCHE MOLTO

Ho un cuore in mano e con l’altra pugnalo un cervello sul quale sono seduta. È un’immagine che ho pensato io e rispecchia il messaggio dell’album. Senza essere blasfema, volevo ricordare l’iconografia della Madonna che pesta il serpente. L’ultimo verso della canzone Abbi cura di te dice «Segui la parte sinistra, il battito lento, l’istinto che sia». FORTE.

QUINDI SE CONTINUI COSÌ, IL PROSSIMO ALBUM SARÀ UN TRIONFO DI GIOIA E TU FINALMENTE TI DIVERTIRAI ALLE FESTE? (Ride, ndr) Non lo so. In realtà la vita è un continuo alti e bassi: questo album è il ritratto di questo periodo felice. I miei dischi sono istantanee. Manuale

Distruzione era la fotografia di una ragazzina, questo invece parla di una ragazza che sta diventando donna, magari dopo ce ne sarà un altro nel quale sarò incazzata... Speriamo di no, speriamo in una festa felice, perché no? COME I TUOI CONCERTI?

Sì, sarò in giro per tutta l’estate, con tante tappe a giugno e luglio in tutta Italia. Vorrei anche riuscire ad andare in Sardegna, perché l'anno scorso era saltata la data per questioni logistiche. E poi non ci sono mai stata e ne approfitterei per fare anche qualche giorno di vacanza. LA TUA È LA STORIA DI UNA RAGAZZA CHE HA AVUTO UN’INFANZIA COMPLICATA, CHE HA FAT-

TO LA GAVETTA, MA CHE CE L’HA FATTA. NON È COSÌ FREQUENTE.

A volte mi dicono che sono un esempio da seguire. Non lo so, però quando mi fermo a pensare a quello che ho passato mi rendo conto che il mio percorso è stato una salita felice. E poi nella vita, se non paghi un prezzo, quello che hai non ti resta per sempre. C’È STATO UN MOMENTO NEL QUALE HAI PENSATO CHE CE LA STAVI PER FARE?

No, non penso mai «ce l’ho fatta» e anche se le persone che mi stanno intorno mi dicono «guarda Claudia che stanno succedendo delle cose belle» io non guardo il cielo per dire «ce la sto facendo», osservo i piedi per chiedermi «dove sto andando?». onstage maggio - giugno 63


LA PROTAGONISTA IMPERFETTA Testo di LORENZO LAMPERTI - Foto di RICCARDO GHILARDI


JASMINE TRINCA

Lanciata da Nanni Moretti con La stanza del figlio, ora è contesa tra Sean Penn e Javier Bardem nell'action movie The Gunman. Tra la cotta adolescenziale per Indiana Jones e l'ammirazione per il cinema francese, Jasmine Trinca, attrice italiana del momento, ci parla di sé.

C

he tipo di attrice sono? Ho delle note stonate ma autentiche». Jasmine Trinca è l’italiana più desiderata dai registi. Negli ultimi mesi l'hanno voluta i fratelli Taviani, Sergio Castellitto e Sean Penn. Nel 2015 sono usciti in rapida sequenza Meraviglioso Boccaccio, Nessuno si salva da solo e ora The Gunman di Pierre Morel. Un film in costume, un dramma e un action movie. Tre opere molto diverse tra loro nelle quali lei si muove con la medesima grazia. La 19enne scoperta da Nanni Moretti ne La stanza del figlio ne ha fatta di strada. Il suo segreto è l’imperfezione. La curiosità e la voglia di sperimentare l'hanno portata nel corso degli anni a recitare tante volte all'estero e ora anche in una produzione hollywoodiana. «Ma Sean Penn è un americano inusuale», assicura lei. Che ammette di avere un debole per il cinema francese. E per Indiana Jones.

«

JASMINE, SEI L'ATTRICE ITALIANA DI INIZIO 2015. TRE FILM MOLTO DIVERSI TRA LORO, UNO DOPO

IN CHE MODO SCEGLI I FILM NEI QUALI RECITA-

In realtà non sono affatto sommersa di proposte. Comunque la prima cosa che guardo è la scrittura. Scelgo i copioni in grado di trasmettermi qualcosa. Non importa quanto la situazione raccontata mi sia vicina o lontana ma deve avere un'idea di cinema che mi piace e un qualcosa che mi sentirei fortunata a poter raccontare. RE?

QUANTO È DIFFICILE TROVARE RUOLI DEL GENERE IN ITALIA? Nel nostro Paese è difficile in generale e lo è ancor di più per i ruoli femminili. Io ho avuto parecchia fortuna perché ho trovato film che provano una strada diversa, tipo Miele o Un giorno devi andare. Ma purtroppo spesso e volentieri i ruoli femminili servono solo a raccontare un protagonista maschile. È COSÌ ANCHE ALL'ESTERO? Credo che anche lo star system americano sia molto maschile. The Gunman è stata infatti per me una scelta diversa dal solito. Anche in quel film il mio personaggio è funzionale a raccontare l'eroe della storia, anche se poi dietro c'è tutta una

L'ALTRO. COME STAI VIVENDO QUESTO MOMEN-

Con molta pragmaticità. Non ho mai fatto troppi film, anzi. Questo è un periodo denso perché sono usciti tutti insieme film che appartengono a diverse fasi della mia vita recente. Ma io sono una che spesso e volentieri fa perdere le proprie tracce. TO?

COME SI FA A PASSARE DAI TAVIANI A CASTELLITTO A UN ACTION MOVIE HOLLYWOODIANO

Il bello di questo lavoro è proprio quest'apertura, la possibilità di sperimentare cose così diverse. Tra i Taviani e Sean Penn cambia tanto, ma ognuno ti arricchisce e ti aiuta a costruire un'esperienza. La cosa che più mi entusiasma e diverte nel recitare è la possibilità di essere sempre qualcuno di differente, anche se io cerco di mantenere un tratto personale e riconoscibile. SENZA PERDERE LA BUSSOLA?

de fascino. Non credo sia un caso che le attrici europee che arrivano a lavorare in America molto spesso siano francesi. Oltralpe c'è un sistema cinema che permette al femminile di potersi affermare anche in un mondo molto diverso come quello di Hollywood. Negli anni '60 in Italia c'erano grandi attrici riconosciute a livello internazionale. Avevano una centralità che è andata poi scemando in un progressivo e continuo svilimento.

«Negli anni '60 in Italia c'erano grandi attrici riconosciute a livello internazionale. C'era una centralità del femminile che è andata poi scemando in un progressivo e continuo svilimento» serie di istanze politiche e di risvolti romantici. Comunque non per essere esterofila ma, pensando a un paragone a noi vicino, in Francia le cose sono molto diverse. Credo che lì i ruoli femminili mantengano ancora un gran-

TORNANDO A THE GUNMAN, COM’È HOLLYWO-

Ha i suoi pro e i suoi contro. Alla fine se guardiamo alla sostanza fanno le nostre stesse cose. Solo che è tutto sviluppato all'ennesima potenza, in tutti i sensi: come presenze e come investimenti. Forse lo è anche in maniera eccessiva, molto spesso sul set pensavo che forse lo stesso film si sarebbe potuto fare ugualmente in maniera un pochino più piccola. Ma di certo è interessante entrare in contatto con questo mondo dei giganti.

OD?

CHE DIFFERENZE PRATICHE CI SONO SUL SET?

Le dinamiche tra attori, registi e chi lavora sul set sono sempre quelle, non ci sono tutte queste differenze. In questo caso c'era la questione della lingua ed era necessario un grande impegno fisico anche perché io ho partecipato alle scene d'azione in prima persona. Poi Sean Penn è un americano inusuale. I suoi film non sono i classici blockbuster. Per tutto il tempo mi ha chiesto di conservare la mia specificità e non di uniformarmi a un sistema. CHE COSA HAI PROVATO A TROVARTI CONTESA TRA SEAN PENN E JAVIER BARDEM? Guarda, è una dimensione abbastanza irreale. Per fortuna io non subisco troppo il fascino del mito però devo dire che, al di là della fama che si portano dietro, si sente davvero che sono attori di un'altra categoria. Mi sono trovata un po' sotto pressione ma anche molto felice. Condividere con loro tutto quel tempo è stata un'esperienza speciale. onstage maggio - giugno 65


JASMINE TRINCA

ESPERIENZA DA RIPETERE? In realtà non lo so. Sono arrivata al film in maniera un po' particolare visto che Sean mi ha voluta dopo aver visto Miele. Successivamente, quando si trattava di mettersi sui provini americani non è che mi sia molto esposta. È una dimensione che per certi versi mi spaventa anche. Però certamente mi piacerebbe continuare a lavorare con un modo diverso di fare cinema.

fatto nel dopoguerra ma ora mi sembra che non ci sia nessuna risposta corale. Non vedo nessuna nouvelle vague ma solo degli autori che leggono la realtà in anticipo sugli altri. Ma si tratta solo di risposte di singoli.

sono dei nomi che mi portano al cinema ma non per forza cerco conferme. Mi piace scoprire cose nuove e lontane. Quando mi trovo ai festival non vedo l'ora di ritagliarmi spazio per andare a vedere film che magari poi in Italia non arriveranno mai.

HAI DIMOSTRATO DI ESSERE UN'ATTRICE VERSATILE. MA TU COME TI DEFINIRESTI? Molto imperfetta, molto poco strutturata. Ma credo

QUAL È IL FILM CHE HAI VISTO PIÙ VOLTE? Indiana Jones o Ritorno al futuro, da ragazzina erano quelli i miei riferimenti.

«Il provincialismo da noi esiste, ma ci sono anche tanti esempi di cose piccole e artigianali fatte con una cura e una dedizione che negli altri posti si sognano»

HAI MAI PENSATO A COSA SARESTI DIVENTATA

QUANTO È IMPORTANTE PER UN ATTORE FARE UN'ESPERIENZA ALL'ESTERO?

È importantissimo, porta un enorme arricchimento al proprio orizzonte. Noi possiamo farlo con i film ma è un'esperienza che andrebbe fatta anche in tanti altri campi. Mi auguro che un giorno possa farlo anche mia figlia perché è una cosa che consente di guardare più in là di quello che abbiamo davanti. SI DICE SPESSO CHE IL NOSTRO CINEMA SIA

Il provincialismo in Italia esiste ed è uno degli aspetti che cerco di evitare. Però ci sono tanti esempi di cose piccole e artigianali fatte con una cura e una dedizione che negli altri posti si sognano. Per fare belle cose non è per forza necessario avere grandi mezzi. E fare cose piccole non significa essere provinciali, anzi. “PROVINCIALE”. CHE NE PENSI?

IN UN MOMENTO DI GRANDE CRISI COME IL SECONDO DOPOGUERRA IN ITALIA CI SIAMO INVENTATI IL NEOREALISMO E UN NUOVO MODO

che l'unica cosa positiva venga proprio da lì, avere delle note che possono anche essere stonate ma sono autentiche.

DI SOLITO ALLE ATTRICI CON FIGLI PICCOLI SI IL LAVORO E IL RUOLO DI MADRE. MI SEMBRA

STATI SEGNALI IMPORTANTI DAL PICCOLO

STRANO NON LO SI CHIEDA MAI AGLI ATTORI.

SCHERMO. TI PIACEREBBE RECITARE IN UNA SE-

Sono d'accordo (ride, ndr). Non solo non lo si chiede agli attori, ma non lo si chiede nemmeno alle donne che lavorano molto più delle attrici. Io cerco di lavorare per periodi brevi ma in modo molto intenso, c'è invece chi lavora a ritmi più regolari tutto l'anno. Non prendo in considerazione l'idea di rinunciare a qualcosa per dover corrispondere a un ruolo. Se c'è una cosa bella nell'essere madre è proprio quella di cercare di dare un esempio di passione lasciando ai propri figli qualcosa che possano riconoscere nel tempo. E questo non vuol dire di certo trascurare le cose più care.

RIE TV? È sempre una questione di scrittura, se

ci fosse l'idea giusta perché no? La tv potrebbe contribuire anche più del cinema a cambiare in positivo le teste e i gusti delle persone. Il problema è che spesso chi la concepisce non può fare i conti solo col proprio coraggio.

MINE DI UN LUNGO PERIODO DI CRISI ECONO-

CHE TIPO DI SPETTATRICE SEI? QUAL È IL CINE-

MICA, SAREMMO ANCORA IN GRADO DI FARE

MA CHE PREFERISCI VEDERE? Soprattutto sono una spettatrice. La condivisione in una sala cinematografica è un momento romantico al quale appena posso voglio prendere parte. Ci

Sono convinta che il cinema, come tutte le arti, possa esprimersi al massimo in seguito a una crisi. Lo abbiamo

te. All'inizio volevo diventare un'archeologa (a proposito di Indiana Jones) e quindi potrei immaginarmi così, impegnata a fare qualcosa che esprima il mio amore per l'arte e per l'antico. Forse sarei stata una studiosa se non avessi avuto questa involuzione che mi ha portata a essere molto più ignorante oggi di quanto non fossi a 16 anni.

CHIEDE SEMPRE COME FANNO A CONCILIARE DA GOMORRA A 1992 ULTIMAMENTE CI SONO

DI FARE CINEMA. SECONDO TE ADESSO, AL CUL-

QUALCOSA DEL GENERE?

SE NON AVESSI FATTO L’ATTRICE? È interessan-

THE GUNMAN di Pierre Morel – Usa/Francia/Spagna, 2015 IL CAST: Sean Penn, Javier Bardem, Jasmine Trinca,

smine Trinca), aiutando una ong a fornire acqua pota-

Idris Elba, Mark Rylance, Ray Winstone

bile in un villaggio del Congo. Ma c'è qualcuno che lo vuole morto e sarà costretto suo malgrado a tornare in

66 onstage maggio

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Il regista francese continua il suo percorso di action

azione. In giro per l'Europa ritroverà vecchie conoscen-

movie atipici e dopo Io vi troverò e From Paris With

ze tra le quali un pericoloso Javier Bardem. Un uomo

Love realizza un nuovo prodotto ibrido tra Hollywood

può davvero cancellare i propri errori? Può bastare

ed Europa. Il protagonista è Sean Penn, ex agente

l'amore per ripartire da zero? La risposta in un thriller

speciale dal passato discutibile e in cerca di riscatto.

dove non c'è solo bianco e nero ma anche un dilagante

Vuole cambiare vita insieme alla donna che ama (Ja-

grigio nel quale finiscono sotto accusa le multinazionali.



EXPO

CHI VIVRÀ VEDRÀ L’Esposizione Universale era l’occasione giusta per regalare a Milano quegli spazi che erano sempre mancati alla musica, un’industria che in città muove parecchi soldi. Qualcosa è stato fatto, ma molto dipenderà da cosa accadrà dopo la chiusura della manifestazione. E non tutti gli attori coinvolti la pensano allo stesso modo. Testo di GIANLUCA MAGGIACOMO

68 onstage maggio

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E

xpo 2015, che è stato inaugurato il 1° maggio e si chiuderà il 31 ottobre, ha trasformato il volto di una parte di Milano. L’area interessata è di oltre 1 milione di metri quadrati, pari a circa 140 campi da calcio. Gli investimenti si aggirano intorno a un miliardo e 300 milioni di Euro. Ma cosa resterà alla città una volta che l’Esposizione Universale sarà terminata? E soprattutto: Milano riuscirà a ereditare


dell’intero business nazionale: nessuna città italiana fa meglio. Nella sola Milano le imprese che a vario titolo operano nel settore sono 911 e danno lavoro a circa 6mila persone.

COGLIERE OCCASIONI Opportunità o sperpero di denaro: questo è il problema. I grandi eventi sono spesso accompagnati da polemiche riguardanti errori, sprechi e promesse non mantenute. Expo 2015 non ha fatto eccezione. Ma, al di là di ciò, manifestazioni di questo tipo possono anche rappresentare occasioni, se colte, per dotarsi di impianti da poter

«L’archistar che ha progettato il Pala Alpitour, Arata Isozaki, ha avuto il merito di guardare al futuro perché ha pensato a uno spazio che fosse adatto anche per usi extra-sportivi» Roberto De Luca - (Live Nation)

anche strutture utili per la musica live? Il tema è assai complesso, anche perché il post-Expo è un libro ancora tutto da scrivere. Iniziative ce ne sono state. Si sono fatti avanti sia enti pubblici che privati. Ma tra le molte proposte, nessuna ha ancora avuto il via libera. La posta in gioco è alta. La discussione tra politici, imprenditori, università e altri soggetti va avanti da mesi e riguarda il futuro non solo della manifestazione

ma dello stesso modo di intendere la città e i suoi spazi. Normale che in un dibattito del genere anche i promoter di concerti tentino di far sentire la propria voce, dal momento che Milano ha il primato nell’organizzazione di live e festival e che la musica dal vivo è un’industria che muove un sacco di soldi nel capoluogo lombardo. Per la Camera di Commercio (dati dell’agosto 2014) il giro d’affari è di 3,6 miliardi di Euro, quasi la metà

poi inserire nel tessuto urbano e sociale. Strutture nuove o recuperate che, in un secondo momento, sono utili anche per fare musica. Se si guarda al passato esempi non mancano. Per l’Esposizione Universale del 2010, che si è svolta a Shanghai, è stato costruita la Mercedes-Benz Arena, un impianto per oltre 18mila persone che è oggi anche un centro d’attrazione dal punto di vista musicale. Di recente ci si sono esibiti, tra gli altri, i Metallica (agosto 2013), Rolling Stones (marzo 2014) e Katy Perry (aprile 2015). Saragozza, invece, ha approfittato dell’Esposizione Universale del 2008 per regalarsi l’Anfiteatro de Ranillas, una location per più di 6mila spettatori che è adesso sede di molti festival (particolarmente importante quello hiphop) e concerti. Hannover ha ereditato una struttura polifunzionale ex novo dall’Esposizione del 2000. Si tratta della Tui Arena, un impianto da circa 14mila posti, dove si tengono sia partite di

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EXPO

hockey sul ghiaccio che concerti. Andando un po’ più indietro nel tempo, c’è l’esempio dell’Expo del 1986 a Vancouver, in Canada, dove, per l’occasione, è stato costruito il BC Place Stadium, un impianto di quasi 60mila persone che è poi diventato palcoscenico per le Olimpiadi invernali del 2010 e oggi è tappa di molte band internazionali: nell’estate 2015 qui si esibiranno AC/DC e Taylor Swift. Naturalmente non sono solo le Esposizioni Universali a lasciare in eredità strutture che vengono poi sfruttate per la musica live. Ci sono anche le grandi manifestazioni sportive. A Londra, sede delle Olimpiadi del 2012, molti degli impianti usati per i Giochi sono anche luoghi dove normalmente vengono organizzati concerti e festival. È così per il nuovo Wembley, per l’esterno dello stadio Olimpico e per l’O2 Arena di Greenwich, dove il 23 e 24 maggio suona Paul McCartney per celebrare i 50 anni di Yesterday. A Pechino, invece, per le Olimpiadi del 2008 è stato realizzato il MasterCard Center, un’arena al chiuso (capienza massima di 18mila spettatori) dove si tengono manifestazioni sportive ed eventi musicali: Elton John e Eagles hanno suonato qui negli anni successivi ai Giochi.

UN IMPIANTO MODERNO Ma anche l’Italia ha di che vantarsi. Guardando in casa nostra il caso degno di nota è l’Olimpiade invernale che si è tenuta a Torino nel 2006. Un evento che ha dato l’opportunità di costruire il Palaolimpico, ora PalaAlpitour, una struttura che può arrivare ad accogliere fino a 15mila persone. L’impianto era stato ideato per le gare di hockey sul ghiaccio durante i Giochi, ma oggi è usato prevalentemente per i concerti. La lista di chi vi si è esibito è lunga: Peter Gabriel, Red Hot Chili Peppers, Bruce Springsteen, Ligabue e Vasco Rossi, solo per fare qualche nome. Quest’estate sono attesi gli U2, nella loro unica tappa italiana, mentre a novembre sarà la volta di Madonna e Foo Fighters. «L’archistar che ha progettato il Pala Alpitour, Arata Isozaki, ha avuto il merito di guardare al futuro perché ha pensato a uno spazio che fosse adatto anche per usi extra-sportivi», dice Roberto De Luca, patron di Live Nation, socio privato di maggioranza dell’impianto. Oggi l’ex Palaolimpico «è una struttura 70 onstage maggio

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Dall'alto verso il basso: l'interno della Mercedes-Benz Arena di Shanghai, inaugurata durante l'Expo 2010; veduta aerea del BC Place Stadium di Vancouver, costruito per l'Esposizione universale del 1986 e ristrutturato per le Olimpiadi invernali del 2010; la O2 Arena di Greenwich, dove si sono svolte alcune gare delle Olimpiadi 2012, è stata inaugurata nel 2007 e da subito utilizzata per eventi musicali. Nella pagina a fianco: il rendering dell'Open Air Theater, che sorge all'interno dell'area di Expo 2015.


estremamente funzionale. Con dei piccoli accorgimenti l’abbiamo resa modulabile, al punto che può arrivare ad avere una capienza variabile dalle 2.500 fino a oltre 15mila persone», spiega De Luca. E Milano? Anche qui qualcosa sembra muoversi. Tra le strutture costruite nell’area dell’Esposizione Universale c’è l’Open Air Theater, un’arena all’aperto con un palco coperto da una superficie di pannelli solari. Si tratta di un impianto moderno, che può arrivare ad accogliere fino a 11mila persone, con 7mila posti a sedere. Qui dal 6 maggio al 23 agosto si esibirà il Cirque du Soleil, una delle manifestazioni di punta dell’Expo milanese, mentre per quanto riguarda la musica si dovrà attendere. «Altre iniziative verranno annunciate sicuramente in estate», dice Stefano Gallizzi dell’ufficio stampa dell’Expo. Ma sarà questa l’unica nuova struttura adatta, eventualmente, per i concerti dal vivo che rimarrà alla città anche in futuro. «È un’ottima soluzione per organizzare sia eventi teatrali che musicali», afferma Gallizzi.

«Dal punto di vista logistico è perfetta. È ben servita dalla metropolitana e ha ampi parcheggi all’esterno. In più non è lontana dal resto della città, dato che è poco distante dallo stadio di San Siro».

«L’Open Air Theater è una struttura da 11mila posti, un’ottima soluzione per organizzare sia eventi teatrali che musicali» Stefano Gallizzi – Expo Milano

DESTINAZIONE D’USO Sulla carta, quindi, i presupposti sono buoni, il problema è che ancora mancano le certezze. Anche Filippo del Corno, assessore alla cultura del Comune di Milano, è convinto che l’Open Air Theater debba continuare ad avere una vocazione musicale

e di intrattenimento. «L’auspicio è quello di conservare l’arena così com’è anche dopo il 31 ottobre, quando l’Esposizione Universale sarà terminata», osserva l’assessore. «È una struttura adatta alle esigenze culturali e musicali di Milano». Già, ma tra il dire e il fare c’è bisogno di tempo. E di decisioni da prendere. «Parlare solo di quest’impianto è sbagliato», prosegue Del Corno. «La questione è molto più generale e riguarda il cosa fare dell’intera area dove si sta tenendo l’Esposizione Universale una volta che la manifestazione sarà terminata. Questa sarà una delle sfide più importanti che attendono la città in vista del 2016». Di sicuro per Milano la prospettiva di avere a disposizione uno spazio all’aperto da più di 10mila posti come l’Open Air Theater è una possibilità da non sprecare. «Se si riuscirà a mantenere l’impianto con la destinazione d’uso che ha nei mesi di Expo, avremo sopperito a una mancanza che la città ha da anni. L’intenzione c’è, però è presto per dirlo. Una scelta definitiva sarà presa solo onstage maggio - giugno 71


EXPO

dopo aver valutato i risultati dei prossimi Nei prossimi mesi in quell’area avremo un calendario molto fitto. È un esperimento, mesi», dice l’assessore. Ma l’Esposizione Universale e le sue per ora. Poi faremo delle valutazioni che prospettive future, non riguardano riguarderanno il futuro. Le premesse sono solo l’Open Air Theater. Da tenere in positive», conclude l’assessore. considerazione c’è anche l’area dei Mercati Generali. Qui si svolgeranno concerti OTTIMISMO VS PESSIMISMO nell’ambito di Expo in Città, «un cartellone Insomma, prospettive ce ne sono tante, di eventi, con musica e non solo, che ma oltre alle buone intenzioni è difficile coinvolgere tutta l’area metropolitana», andare. E infatti chi opera nel settore spiega Del Corno. Ai Mercati Generali, dal della musica live si mostra piuttosto 1° maggio al 31 ottobre, si terrà l’Estathé freddo. «Con l’Expo Milano ha sprecato Market Sound, un festival che, insieme un’occasione», commenta Vittorio al Postepay Milano Summer Festival Quattrone, l’ideatore di City Sound. «È organizzato nei pressi un vero peccato. del Forum di Assago, Dal mio punto di «I Mercati Generali sarà una della vista, il problema maggiori attrazioni della città è che non potrebbero essere un’ottima estive in città. Tra soluzione per i concerti anche ha un’area all’aperto gli artisti che si dove fare concerti in futuro, soprattutto perché esibiranno ai Mercati in estate. Per gli non si crea disagio Generali ci sono eventi al chiuso ai residenti» Francesco Renga, qualche possibilità Filippo Del Corno – Assessore Skrillex, Subsonica, c’è, per esempio con alla Cultura di Milano Annalisa e Club il Forum di Assago Dogo. E una volta e non solo. Ma per terminato Expo, il resto, da noi ci cosa sarà di quell’area? Il Comune ci sta sono criticità che non noto in altre città ragionando. Ma anche in questo caso non europee. Fino a qualche tempo fa avevo ci sono ancora certezze. «I Mercati Generali riposto molte speranze nell’Esposizione potrebbero essere un’ottima soluzione per i Universale, che si sono poi smorzate. concerti, soprattutto perché non si creerebbe Credevo che un grosso evento come questo nessun disagio ai residenti», dice Del avrebbe potuto risolvere anche i problemi Corno. «Ma è prematuro parlarne adesso. legati agli spazi da destinare alla musica. E 72 onstage maggio

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invece, alla luce di quello che vedo, non sarà così». Più morbida e possibilista la posizione di De Luca di Live Nation: «Non so bene cosa si voglia fare dell’area Expo quando tutto sarà finito, ma resto convinto che questa era ed è ancora un’occasione unica per la città. Se l’Open Air Theatre sarà pensato per una futura fruibilità dopo l’Esposizione, Milano si avvicinerebbe un po’ di più agli standard di altre città europee. Non dovesse esser così sarebbe un peccato, anche perché per costruirlo sono stati tirati fuori un bel po’ di soldi», dice. Il problema è che, «escluso San Siro, che è un


impianto adatto per tanti spettatori, non intenderci. I suoi sono giudizi netti e vanno della città e di chi l’ha sempre governata. c’è un’altra struttura all’aperto per concerti oltre al caso specifico. «Con o senza Expo, Andrebbe fatto un lavoro sul modo di con un pubblico più ridotto». Di sicuro il punto è che Milano continua a mostrare pensare Milano in relazione alla musica. Quindi, è inutile attaccarsi a quel che si aspetta De Luca Expo. Non ho mai creduto che è che, quando verrà decisa la questo grande evento potesse destinazione futura dell’area, «Ciò che manca a Milano è la dimensione aiutare il movimento della anche i promoter musicali potranno dire la loro. «Cosa intermedia: un impianto da 5 o 6mila posti. Non ce musica live. Sarò pessimista, l’abbiamo adesso, non ce l’avremo dopo Expo» ma credo che dopo il 31 che, finora, non è avvenuta», ottobre rimarrà ben poco», afferma con un pizzico di Claudio Trotta – Barley Arts attacca Trotta. Che conclude: rammarico. «Ciò che a noi manca è la Chi è poco entusiasta, invece, è Claudio Trotta, numero uno di poco interesse nei confronti della musica dimensione intermedia: un impianto da 5 o Barley Arts e storico organizzatore dei popolare contemporanea», riflette Trotta. 6mila posti, per esempio. Non ce l’abbiamo concerti italiani di Bruce Springsteen, per «È un problema che tocca la mentalità adesso, non ce l’avremo dopo Expo». l onstage maggio - giugno 73



Ibiza

Upper Island Testo di PIERFRANCESCO PACODA


IBIZA

L'

eco ipnotico dei tamburi di Benirras attraversa la fitta macchia mediterranea, arriva nel cuore delle splendide fincas nascoste nelle vegetazioni, ville di un bianco accecante che riflette i raggi del sole che scende nel mare. È il sunset time visto dal nord dell’isola, da quell’area di Ibiza dove le tradizioni di una civiltà contadina sfuggita al turismo di massa si miscelano felicemente con ciò che resta (ed è molto vitale) delle tribù hippie, che ne fecero il luogo per eccellenza della controcultura degli anni Sessanta, e con il nuovo jet set internazionale. Questo frammento di Baleari è ancora il luogo dove tutto è possibile, dove le sovrapposizioni sociali e culturali son un esperimento perfettamente riuscito. Così la Isla Blanca che ha affascinato Freddie Mercury (indimenticabile la sua performance con Montserrat Caballé al Ku, l’attuale Privilege, dove cantarono Barcelona) e il giovane George Michael, che qui con gli Wham iniziò la sua carriera registrando il video di Club Tropicana al Pikes Hotel, è adesso la meta perfetta anche per le famiglie che affollano le spiagge lasciate libere durante il giorno dai clubber, e per un pubblico d’élite che ne assorbe le ‘buone vibrazioni’, ma nel comfort del lusso degli alberghi esclusivi e dei bar alla moda.

NIENTE INIBIZIONI Certo, quel senso dell’appartenenza a una tribù della quale, anche se solo per un breve periodo, puoi fare parte rimane ed è il segno riconoscibile dell’unicità di Ibiza. Ma, sempre di più, l’isola si attrezza per accogliere la upper class, per la quale i tamburi di Benirras della domenica pomeriggio, quanto il tramonto al Cafè del Mar, sono ormai cartoline, folklore che merita solo una breve visita. Per il resto, il ritmo di Ibiza è scandito dall’eleganza dei tanti nuovi posti che l’hanno trasformata in una versione ultra patinata dell’esperienza hippie. Basta vedere come il Pacha, sicuramente la discoteca più famosa del mondo, simbolo sin dagli anni Settanta di Ibiza, ha utilizzato il suo marchio. La stessa proprietà ha recentemente aperto il Destino, un locale che sorge di fronte al club

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e funge da esclusivo resort dove l’atmosfera, come vuole la nuova offerta di Ibiza, è quella di una festa tra amici, con i dj che selezionano la musica ai bordi della piscina sin dal pomeriggio, per poi proseguire la sera nel privé Tox. Uno spazio privilegiato per sentirsi parte del Balearic Beat del futuro, come il vicino Liò, sempre della famiglia Pacha: durante l’estate 2015 l’appuntamento più ambito sarà la festa Be Craze, organizzata da Jean Claude Ades in questo piccolo ritrovo che si affaccia proprio sul mare, di fronte alle luci della città vecchia. Un cabaret supper club con piscine, animato da go go girls, burlesque e performer. Qui, dicono gli organizzatori, «bisogna lasciare ogni inibizione alla porta». E perdersi nella musica. Come sulla spiaggia dove si esibiranno i dj scelti dall’Usuhaia Beach Hotel per intrattenere i loro ospiti e le altre migliaia di persone che affollano gli eventi della lussuosa struttura. Siamo a Playa D’En Bossa, icona del techno divertimento che invade tutta la giornata con i party dello Space, i residence per giovanissimi e il Bora Bora, dove si balla sotto il cocente sole del pomeriggio, mentre sulla sabbia sfilano le parate che annunciano gli appuntamenti della notte. Celebrazioni edonistiche che è possibile godersi comodamente adagiati sull’altro spot di Playa d’En Bossa, il piccolo sunset bar Sirocco, dove le selezioni musicali che accompagnano il tramonto sono di DJ Pippi, il dj icona di Ibiza, origini italiane, qui sin dall’apertura della leggendaria Funky Room del Pacha (ancora adesso lo spazio dove si ascolta il Balearic Beat originale). L’Ibiza della folle che vogliono la techno sino all’alba sembra qui davvero lontana. Al Sirocco tutto è molto più intimo, più soffice, i suoni sono quelli della world filtrata dall’elettronica, il flamenco persino. L’isola, vista da qui, è un ambiente patinato, dai toni soffusi, dove la musica si perde nel rumore del mare. Stesse sensazioni che si vivono al Blue Marlin, a Cala Jondal, che offre ai suoi clienti un servizio di taxi su acqua per portarli in spiaggia dai loro yacht - tantissimi quelli che ormeggiano nella baia. Seducente house music sino alle 4 del mattino e, dallo scorso anno, l’apertura del Blue Marlin Ibiza Marina, a Marina Nueva, il porto turistico che riveste un ruolo importante

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IBIZA

della trasformazione in corso dell’isola.

LABORATORIO A CIELO APERTO Persino la gastronomia ha scoperto che gli eccessi possono essere una maniera perfetta per catalizzare l’attenzione di un pubblico che cerca l’esperienza esclusiva a tutti i costi. E che, alle tradizionali trattorie (quelle poche che ancora sopravvivono) del centro storico (Dalt Villa) preferisce attrattive come il Sublimotion, che si vanta di essere il più costoso ristorante del mondo (al di là quindi della qualità). Un solo tavolo per 12 persone, circa 1500 euro per un pranzo a base di cucina molecolare, ultra sperimentazione per quella che il locale definisce non una semplice cena, ma un’esperienza sensoriale. E anche la grande area ultra urbanizzata di San Antonio, un tempo di esclusivo appannaggio dei teenager inglesi che affollavano i bed and breakfast, e conosciuto soprattutto per il Cafe del Mar, ha scelto di ricevere i suoi ospiti più importanti nella seduzione ristretta dei beach club. Il più amato è sicuramente l’Ocean Beach, a S’Arenal, con una infinita piscina che gira intorno al club, lo avvolge, lo protegge dagli sguardi indiscreti, disseminata di piccoli isolotti sui quali godersi, senza mescolarsi al turismo dance, il leggendario tramonto. Mentre basta spostarsi sulla costa est, a Santa Eulalia, storica enclave hippy, per poter godere del lusso del Nikki Beach, celebre brand dell’intrattenimento più alla moda, una sorta di catena di luoghi sul mare, che, dopo Miami e Saint Tropez, ha aperto anche a Ibiza ed è subito stato scelto da marchi, solo per citarne alcuni, come Maserati e Moet et Chandon per le loro feste private. Il pubblico ‘normale’ può provare a entrare la domenica al Sunday Champagne Brunch. L’alternativa è spostarsi a Salinas, a Playa d’es Codolar, ai margini della meravigliosa riserva naturale e della spiaggia nudista per gustare uno dei cocktail del nuovo Experimental Beach, un bar che fa parte (anche questo) di un gruppo di spazi dallo stesso nome che, da Londra a Parigi, propongono i migliori drink possibili, accompagnati dal finger food creato da un team che si è formato a El Bulli della superstar Ferran Adrià. Cosa c’entra la cucina molecolare con Ibiza? Difficile trovare una relazione. Una volta

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l’isola era un laboratorio a cielo aperto, dove le sperimentazioni, sonore, ma anche sociali, nascevano dalla casualità creativa dell’incontro, dall’azzeramento di qualsiasi barriera. E da qui conquistavano il mondo. Basti pensare a quello che è successo con la musica elettronica. Se non ci fossero stati i dj ‘originali’ di Ibiza l’house music non sarebbe diventata quel linguaggio planetario che è adesso.

IL SUONO DEI TAMBURI Leo Arlati fa il ristoratore a Milano. Suo padre Mario, un celebre artista, lo portava a Ibiza sin dall’infanzia. «Sono cresciuto lì, ho trascorso le notti della mia adolescenza ascoltando i tamburi hippy del primo Balearic Beat e, più avanti, ballando nella Funky Room del Pacha», ci racconta. «Adesso l’isola, al contrario del passato, anche recente, è territorio di colonizzazione dei grandi marchi. Si è piegata alla necessità economiche dell’intrattenimento globale. Che senso ha venire alle Baleari per trovare le stesse musiche, lo stesso genere di locali che già, con successo, sono parte di Saint Tropez o di Miami? La ‘diversità’, le buone vibrazioni ibizenche sono sempre più nascoste». È come se l’energia dell’isola venisse assorbita dai mega hotel e dalle spiagge ultra esclusive. Che ne hanno trasfigurato la fisionomia. «Qui», gli fa eco Ludovico Rambelli, altro frequentatore milanese di quella Ibiza, «le principesse e i freak si ritrovavano insieme sulla pista del Pacha o dell’Amnesia a celebrare un rito che, al di là del piacere del ballo, aveva il sapore, vago, forse, ma percepibile, dell’utopia». «Quel sapore che oggi fa parte di una Ibiza che esiste solo lontano dalle rotte del turismo», conclude Arlati. Non è facile trovarlo, ma neanche impossibile. Basta cercarlo inseguendo il suono dei tamburi nelle piccole insenature protette dalla natura.

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Credits: Foto 1, 2, 5, 7, 8 © Ente Spagnolo del Turismo - Turespaña Foto 3 e 6 Ushuaia Beach Hotel, Ibiza Foto 4 e 9 Blue Marlin, Ibiza

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© David Ramos Nike ha studiato per Rafael Nadal un completo che si adatti perfettamente all’intensità e aggressività delle sue giocate. La maglietta Nike Challenger Premier Rafa Crew e i pantaloncini Nike Rafa Gladiator Premier 18cm sono realizzati con la tecnologia Dri-Fit Nike che aiuta a mantenere la pelle sempre fresca e asciutta grazie ai fori al laser che ne aumentano la ventilazione. Le scarpe Nike Lunar Ballistec 1.5 invece garantiscono reattività elastica e protezione dagli impatti grazie all'ammortizzazione Lunarlon dell’inetersuola.


STYLE

VANTAGGIO NOSTRO Campioni, spettacolo, innovazione, soldi. Il tennis vive un momento d’oro a livello globale e il nostro Paese segue il trend. Non è affatto un caso, ma piuttosto il risultato di una serie di fattori in continua evoluzione. Alla vigilia dei grandi appuntamenti sulla terra rossa, come gli Internazionali d’Italia (a Roma) e il Roland Garros di Parigi, uno dei grandi simboli del tennis tricolore, Paolo Bertolucci, ci spiega i tanti perché di uno sport in continua espansione. Testo di DANIELE SALOMONE - Foto GETTY IMAGES

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uelli di Sky sono entusiasti. Le edizioni 2015 di Indian Wells e Miami hanno registrato un sorprendente più 30 per cento di share rispetto all’anno scorso, eppure sono tornei che la stampa non spinge particolarmente e quindi ci si aspetta che abbiano un pubblico di soli “malati” di tennis». Siamo al telefono, non lo vedo in faccia ma percepisco la sua estrema soddisfazione dal tono con il quale mi parla. Non tanto, o non solo, perché le partite di quei tornei lui le commenta, ma perché Paolo Bertolucci è ancora innamorato di questo mondo, del quale è stato e continua a essere un protagonista. «Anche Montecarlo è andato molto bene, con un più 28 per cento di pubblico. È vero che è un torneo molto pompato, ma lo era anche l’anno scorso». Numeri importanti che riflettono un momento positivo del tennis, sia in Italia che a livello mondiale. Partiamo da qui per analizzare una crescita che braccio d’oro - com’era sopranominato negli anni nei quali con Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli portava

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l’Italia al trionfo in Coppa Davis (1976) non fatica a inquadrare. Ci sono un contesto generale e uno specifico italiano. «I confini di questo sport negli ultimi tempi si sono allargati a dismisura. Non ci sono più barriere. Nuove nazioni emergono a livello agonistico e questo rende il tennis uno sport ricco, più ricco che in passato. Quindi ci si tuffano in tanti, a partire dalla televisione. Tanto per fare un esempio, a Wimbledon ci sono 180 tv che trasmettono in diretta, in ogni angolo del pianeta». La globalizzazione ha inevitabilmente raggiunto anche il tennis e l’Italia non ne è rimasta fuori. «Aiutano anche i successi in Fed Cup (la Davis femminile, ndr) e poi il buon momento di giocatori come Fabio Fognini e Simone Bolelli e giocatrici come Flavia Pennetta, Sara Errani e Francesca Schiavone. Ci metterei anche il grande successo del torneo di Roma, che finalmente si è dotato di un impianto proprio e di servizi che consentono al pubblico di godersi i migliori giocatori del circuito come si deve».

VOLTO PULITO C’è di più, molto di più. Se il pubblico del

tennis, nell’Italia del 2015, cresce con questi ritmi lo si deve anche a qualità intrinseche, che lo sport nazionale di questo Paese, il calcio, non è assolutamente in grado di esprimere. «Affabilità, gentilezza, educazione, fair play. Nel tennis l’arbitro è spesso superfluo, perché i giocatori hanno totale fiducia nell’onestà dell’avversario. Non esiste il tentativo di ottenere vantaggio con la furbizia, se non quella tattica. Non esistono piaghe come la simulazione», prosegue Bertolucci. Insomma, i valori dello Sport con la “s” maiuscola. «E poi la grande disponibilità dei campioni nei confronti dei tifosi. Ricordo Rafa Nadal nel 2012 a Wimbledon, dopo la sconfitta contro un’allora sconosciuto Lukáš Rosol. Sportivamente era una tragedia immane per lo spagnolo, un’eliminazione totalmente inaspettata. Eppure a fine partita Rafa si è fermato a firmare autografi così a lungo che gli inservienti lo hanno dovuto quasi cacciare. Una cosa del genere, nel calcio, non esiste». Insomma il tennis veicola valori positivi e questo, soprattutto in un momento come quello che sta attraversando l’Italia - diciamo che gli esempi positivi non fioccano - anima un’ammirazione e una passione che sembraonstage maggio - giugno 81


© Julian Finney

STYLE

Tomáš Berdych e H&M scendono in campo insieme dal 2013, anno in cui il colosso svedese dell’abbigliamento ha debuttato nel mondo del tennis scegliendo proprio il ceco come testimonial. Tomáš, ha firmato anche la collezione tennis andata in vendita nei negozi.

LUI 5 capi per non sfigurare tra il pubblico del grande tennis

FRED PERRY Cappellino da baseball in Oxford, imprescindibile per ripararsi dal sole e dalla calura. 48,50 Euro

82 onstage maggio

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K-WAY Giacca unisex antipioggia, antivento e traspirante con bordi in costina a righe. 150 Euro


vano sopite. Il volto pulito del tennis e dei suoi migliori interpreti piace molto, nello Stivale e ovunque. E non solo al pubblico.

PIATTO RICCO MI CI FICCO Come dice Paolo, il tennis è uno sport globale, ormai ampiamente seguito anche nelle nuove potenze economiche. Ed è capace di trasmettere i valori giusti. Un insieme di fattori che fa gola alle grandi multinazionali, che infatti ci si buttano a capofitto. Oltre ai colossi dell’abbigliamento sportivo, come Nike e Adidas (solo per citare i due più celebri), stiamo assistendo al rilancio di brand storici come Ellesse e Sergio Tacchini - che di italiano mantengono solo il nome - ma anche al ritorno di marchi come Lacoste che ultimamente avevano alleggerito la loro presenza nel tennis. E poi fenomeni nuovi: l’ingresso nel settore di aziende che mai in passato avevano vestito giocatori e giocatrici. È il caso di brand di abbigliamento sportivo come New Balance (sponsor del canadese Milos Raonic, numero 6 del mondo mentre scrivo) e Under Armour, pioniere del performance apparel che recentemente ha chiuso un accordo con lo scozzese Andy Murray, numero 4 del ranking e vincitore di Wimbledon 2013. Ma ancora più significativo è il caso di Uniqlo, marchio nipponico di abbigliamento che da un

TAG HEUER Il cronografo subacqueo Aquaracer 300M sfida in scioltezza anche il peggior acquazzone. 2.900 Euro

paio d’anni sponsorizza il numero uno del mondo Novak Djokovic oltre all’idolo nazionale Kei Nishikori (nella top 10 ATP). La stessa cosa ha fatto l’italiana Hydrogen, che tra gli altri veste il nostro Bolelli. Investe nel tennis persino il colosso dell’abbigliamento low cost H&M, che ha chiuso un accordo con Tomáš Berdych, anche lui stabilmente nei primi dieci giocatori della classifica mondiale. «Una volta erano solo le aziende tecniche, molte delle quali italiane, a vestire i giocatori. Poi sono arrivate le multinazionali, che avevano capacità d’investimento superiori e hanno fatto piazza pulita», ricorda Bertolucci. «Ora assistiamo a un’altra fase, con l’ingresso di nuovi marchi e il rilancio di quelli storici che sono stati acquistati da gruppi internazionali. Sono tutti attratti dalla grande fama dei campioni, dalla loro immagine positiva e dalla visibilità che il tennis garantisce grazie alla televisione. Un match dura mediamente due ore: 120 minuti durante i quali le telecamere inquadrano costantemente i giocatori in primo piano. L’esposizione è massiccia e l’associazione tra sponsor e giocatore è totale». Cosa che non capita nemmeno nel calcio. È vero che i grandi campioni hanno sponsor personali, ma è più facile associare un brand a una squadra, piuttosto che a un singolo

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giocatore. «Altrimenti perché mai H&M sarebbe entrata in questo mondo? Non mi stupirei se tra qualche anno vedessimo sulle maglie dei campioni anche il logo di CocaCola».

ICONE DI STILE L’attenzione delle multinazionali ha portato il mercato a offrire prodotti migliori. Gli attrezzi, cioè racchette e corde, innanzitutto. Ma anche tessuti e scarpe, che facilitano il movimento e quindi le prestazioni, qualunque sia il livello di gioco. Fatevi un giro nei circoli italiani. Anche nei tornei di quarta categoria - una sorta di entry level - la stragrande maggioranza dei giocatori veste completi dry-fit, tecnicamente avanzatissimi per la capacità traspirante. Avete presente le magliette di cotone sudate che si appiccicano fastidiosamente al corpo? Preistoria. Così come di un’altra era – Wimbledon escluso – sembrano i completini sobri che in realtà circolavano fino a pochi anni fa. Il grande ritorno dello stile anni Novanta non ha risparmiato nemmeno il tennis. Mai come oggi magliette e pantaloncini hanno ricordato quelli – rivoluzionari – che Andrè Agassi vestiva vent’anni fa. Dominano i colori fluo o comunque accesi proprio come allora, e proprio come nell’abbiglia-

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STYLE

La T-shirt e i pantaloncini adizero di Adidas che indossa Fabio Fognini sono in tessuto climalite®, che impedisce all'umidità di prendere parte al gioco. Ogni maglietta è stampata a mano perciò ogni capo è unico. Le scarpe Roland Garros adizero Feather 3 sono state ispirate dai match che si giocano nell’impianto francese, sono ultraleggere e assicurano grip e resistenza grazie alla suola ADIWEAR™ 6.

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mento quotidiano di oggi. Ben venga per i campioni, che diventano anche icone di stile e strappano contratti milionari. Tanto per capirci, Roger Federer ha un accordo con Nike che prevede un compenso di 140 milioni di dollari in 10 anni. Roger è il simbolo del tennis, ma restano numeri stratosferici che rendono l’idea della dimensione economica raggiunta da questo sport. «Lo svizzero è talmente popolare che l’hanno voluto come testimonial anche aziende che non hanno nulla a che fare col tennis», precisa Bertolucci. «Ma comunque tutti i più forti hanno contratti milionari e guadagnano cifre enormi». Eppure - ed è una grande notizia - tutto questo non rischia di compromettere l’integrità sportiva dei campioni, nemmeno di quelli di domani. Come invece accade spesso nel calcio, dove le storie di talenti bruciati dalla fama improvvisa e dai soldi sono innumerevoli.

L’ESPERIENZA DI UN SESSANTENNE Mi spiega Bertolucci che il tennis ha gli anticorpi per combattere certe patologie. «Un giocatore di 16 anni che si affaccia al circuito deve gestire in prima persona il suo team. È lui che sceglie e paga il coach, il preparatore atletico, il manager, il fisioterapista.

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Magari inizialmente con l’aiuto della famiglia, ma è coinvolto in prima persona nella gestione della sua carriera. Mettiamo in conto che un tennista già a quell’età gira il mondo, cambia fuso orario e alimentazione quasi ogni settimana, impara diverse lingue, conosce centinaia di persone. Tutto questo in posti assurdi, perché i tornei challenger necessari per entrare nel circuito ATP non sono certo a Parigi o a New York. Per tutti questi motivi un giocatore di 20 anni ha l’esperienza di un uomo di 60, cosa che di un calciatore della stessa età non si può certo dire. Quando poi un tennista diventa un campione, tutto questo diventa ricerca maniacale della perfezione. Pensa che esiste una persona che alla domanda “cosa fai tu nella vita?” risponde “Accordo le racchette di Roger Federer!”».

OTTIMISMO Si potrebbe avere paura che tutto questo non sia destinato a durare. Magari semplicemente perché da qui a 10 anni non avremo più un altro Federer o un nuovo Nadal o un altro Djokovic. «Non esiste. Ogni volta che finisce un’era tennistica, ne nasce subito una nuova. Dopo Pete Sampras e Andre Agassi sono arrivati Roger, Rafa e Nole. E hanno fatto ancora meglio.

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Perché il continuo perfezionamento di ogni singolo aspetto della carriera di un tennista, dai materiali all’allenamento passando per l’alimentazione, rende sempre migliori le prestazioni. Certo, forse mi divertirei di più a vedere un match di Rod Laver (che ha giocato negli anni ‘60, ndr), ma se un qualunque campione del passato sfidasse uno di quelli attuali non ci sarebbe partita». Dobbiamo essere ottimisti, quindi. L’evoluzione continuerà. «Ci sono tanti giovani interessanti, penso agli australiani Nick Kyrgios e Thanasi Kokkinakis, al russo Andrey Rublev, al coreano Lee Duckhee (classe 1998, ndr) e a molti altri che in futuro spingeranno il tennis ancora un po’ più in là. Ognuno con le proprie caratteristiche, perché non esistono giocatori uguali». Tornando al presente, non sembra esserci nessuno in grado di battere Djokovic, nemmeno sulla terra rossa. Vincerà Roma e Parigi in scioltezza? «Potrebbe succedere, ma attenzione perché nel tennis gli esami non finiscono mai. Anche i più grandi possono avere un calo di forma o inciampare in una giornata storta. Fossi in lui starei attento a Nadal: prima di dare per finiti certi fenomeni, bisogna pensarci non una ma dieci volte». Comunque vada, noi siamo al sicuro: lo spettacolo è garantito. l

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WHAT’S NEW

ARIA DI LONDRA I BLUR TORNANO CON THE MAGIC WHIP, IL PRIMO ALBUM IN STUDIO DOPO 12 ANNI. UN LAVORO NATO QUASI PER CASO, DOVE IL RETAGGIO BRITPOP CONVIVE CON LE (ALTRE) AVVENTURE DI ALBARN. COMUNQUE UNA BOCCATA D’OSSIGENO. Testo di FRANCESCO RICCARDI Foto di LINDA BROWNLEE

BLUR The Magic Whip (Warner)

V

iaggi (reali) e miraggi (musicali). Maggio 2013: i Blur sono a Hong Kong, nel bel mezzo di un tour mondiale. La tappa successiva è Tokio, ma il festival viene cancellato. I Nostri si ritrovano senza niente da fare per cinque giorni. Decidono di passare il tempo chiusi in studio, giocando con alcune idee musicali che Albarn aveva da parte. Tutto molto informale, casuale addirittura, se non fosse per le pressioni che, da più parti, li spingono a un nuovo album. Il risultato - sorpresa! - è buono. Ma viene lasciato in sospeso per mesi. Finché Graham Coxon non decide di rimetterci mano insieme a Stephen Street, produttore storico dei Blur negli anni Novanta. Gli altri danno l'ok. Damon, dopo essere ripassato dalla Cina per ritrovare ispirazione lirica, completa testi e parti vocali. Il gioco è fatto e The Magic Whip viene annunciato senza preavviso quando avevamo ormai dimenticato le session cinesi. «Un felice incidente», l'ha definito Coxon. Felice innanzitutto per lui, che torna a incidere con i Blur dopo sedici anni

(13 è del 1999) e celebra così una ritrovata amicizia con Albarn. Ma anche per fan vecchi e nuovi. Chi è affezionato al quartetto inglese si sentirà rassicurato, ritrovando in suoni e melodie un inconfondibile marchio di fabbrica. Chi invece scopre i Blur ora, ha tra le mani un utile punto di partenza. The Magic Whip contiene tante ottime canzoni “alla Blur”. Forse perché nato durante un tour con una scaletta zeppa di hit. Di sicuro c'entra lo zampino di Street. Peccato però sia difficile trovarvi un pezzo capace di sparigliare il gioco, come erano stati ai loro tempi i classici Beetlebum, To The End o persino Under the Westway. Mancano purtroppo lo sbilanciamento verso il futuro e la curiosità sgangherata che caratterizzavano i Blur più avventurosi, quelli che avevano preso a reinventarsi verso la fine dei Novanta. Eppure questo disco, per concezione, dovrebbe essere impregnato di odori asiatici e afa delle vie di Hong Kong, una delle nuove capitali del mondo. Lo è, ma nei suoi solchi si sente ancora tanto smog di Londra. Fin dalle prime battu-

te di Lonesome Street, il brano d'apertura, la chitarra di Coxon pare trasportarci di peso al britpop di vent'anni fa. Insomma, il maggiore riferimento dei Blur del 2015 sembrano essere i Blur stessi. Con in più un sound aggiornato dalle varie particolarità che Albarn porta in dote dalle sue avventure soliste e non. È una band capace di scrivere ballate potenti: la finale Mirrorball, scura, metallica e venata da archi orientali, o Thought I Was a Spaceman, il vero centro dell'album, con la sua grandiosa dispersione di malinconia. Ma non si fa mancare scatti di nervi piacevoli e inaspettati. Vedi il funk di Ghost Ship o quella specie d'intermezzo beffardo che è I Broadcast, neanche tre minuti di esplosione con Albarn che se la ride alla grande. Un'eccezione, rispetto al senso di alienazione che ricorre quasi in ogni traccia, ben noto a chi segue Damon ed è pronto stavolta a dargli un bentornato più caloroso del solito. Attenzione a non farsi sfuggire la bonus track Y’All Doomed, che già dal titolo mostra l'ironia tipica della band. onstage maggio - giugno 87


MUSICA

LA SVOLTA ELETTRICA Testo di MARCO RIGAMONTI - Foto di JAMES MINCHIN

MUMFORD & SONS Wilder Mind (Island Records)

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l rischio è di quelli enormi: l’equivalente di recidere con un colpo secco il cordone ombelicale che lega Marcus Mumford & Soci al proprio passato. Un passato di grande e fulmineo successo, che in soli due album ha portato la band nell'olimpo della musica mondiale, con Grammy e complimenti da ogni dove, frutto di scelte quantomeno bizzarre o comunque fuori contesto rispetto ai costumi della scena rock - come l’implementazione di strumenti acustici fuori moda e fuori dal tempo (vedi il banjo) e l’utilizzo con il contagocce della batteria (sostituita da infiniti strati di suoni a elevare l’impatto ritmico dei brani). Diciamolo senza tante esitazioni: con Wilder Mind il quartetto di Londra si standardizza. L’ascolto del singolo Believe aveva già messo in chiaro la situazione, confermata in maniera convinta dalle confessioni dei ragazzi sul fatto che tale strada fosse a oggi

l’unica percorribile dalla band. La loro speranza è che il cambio radicale di stile non sia frainteso: guai a pensare si tratti di una mossa pianificata per occupare un posto ancora più rilevante nella scena mainstream. E in effetti un argomento che gioca a loro favore è sotto agli occhi di tutti: Mumford & Sons nelle grazie degli ascoltatori di mezzo mondo erano già entrati da un pezzo, peraltro percorrendo una via tutt’altro che scontata. Che bisogno c'era di ricercare un suono più facilmente assimilabile dal grande pubblico? Probabilmente nessuno. Ciò detto, è facile ipotizzare che una buona fetta dei fan della vecchia guardia avrà qualche esitazione a riconoscersi in un disco che - nel bene, nel male o nell’indifferenza coglie alla sprovvista. Fortuna che al banco del mixer c’è un personaggio che ne sa parecchio. Quel James Ford (ex Simian e adesso metà dei

Simian Mobile Disco) fedelissimo di Alex Turner. Un musicista giovane, eclettico e moderno. Ebbene, i Mumford farebbero bene a tenerselo stretto. Perché per quanto le melodie di Wilder Mind non siano affatto da buttare, il vestito che James confeziona è inattaccabile e diventa l’armatura impenetrabile di un lavoro che avrebbe potuto causare più danni che benefici. Il risultato è che - pur essendo per ovvie ragioni meno intrigante di Sigh No More e Babel - Wilder Mind alla fine se la cava: inciampa in un paio di episodi tiepidi (come la title track), ma tra ballad gentili (Cold Arms, Broad Shouldered Beasts), mezzi tempi leggeri (Just Smoke) e brani decisamente più energici (Tompkins Square Park, The Wolf, Only Love) scorre piacevole. Niente miracoli, ma nemmeno condanne senza appello. E dati i presupposti, c’è di che gioire.

Micro-reviews DIMARTINO Un paese ci vuole (Picicca Dischi)

Un giovane cantautore che sa miscelare perfettamente parole e musica. Un album #immaginifico che in dodici canzoni unisce un filo conduttore: il paese inteso come dimensione umana e di umane interazioni.

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PALLANTE Ufficialmente pazzi (IT.POP)

A metà tra Vinicio Capossela e Paolo Conte. Pianoforte e chitarra. Ballate, swing e folk. Storie di vita quotidiana raccontate da una voce consapevole e profonda che sa alternare #speranza e #disincanto.

MANAGEMENT DEL DOLORE POST-OPERATORIO I Love You (La Tempesta Dischi)

Un po’ hipster, un po’ disimpegnati, un po’ incazzati. Sembra la descrizione del solito gruppo italiano uscito dalla scena indie. Invece loro meritano, perché #incazzati lo sono davvero.

WE ARE THE OCEAN Ark (BMG)

Rock all’ennesima potenza. Prendete i Muse, uniteli agli Smiths e sporcateli di Joy Division. C’è di tutto in questa giovane band osannata in patria come una delle migliori #promesse britanniche. Riff di chitarra à gogo.


FLORENCE + THE MACHINE Testo di ALVISE LOSI

How Big How Blue How Beautiful (Island Records)

FFS

(FRANZ FERDINAND & SPARKS)

Testo di LUCA GARRÒ

FFS (Domino)

Q

uando un album è composto solo da potenziali singoli significa che si è di fronte a un miracolo. Oggi come mezzo secolo fa. Ma sarebbe un miracolo un po’ inquietante: nemmeno Sgt. Pepper’s dei Beatles aveva solo singoli. Un disco per essere tale deve avere un giusto equilibrio tra hit e canzoni magari meno impattanti ma che bilancino la forza delle altre con pari o superiore profondità, altrimenti parleremmo di compilation. Ed è raro che le compilation siano belle come gli album, proprio perché manca quel senso di omogeneità che di solito hanno pezzi usciti dalla stessa penna nello stesso periodo. È comunque indubbio che alcuni dischi in particolare nella storia della musica si siano avvicinati a quel miracolo, basti pensare a Thriller di Michael Jackson o a Born in the USA di Bruce Springsteen. Ora, non stiamo parlando di un miracolo né vogliamo fare paragoni eccessivi, ma How Big How Blue How Beautiful è un signor disco. O, se preferite, un album della madonna.

La carismatica Florence Welch, accompagnata dai fidi musicisti che la affiancano in studio e sul palco, dimostra alla terza prova che tutte le speranze rivolte nei suoi confronti erano ben riposte. Sempre più padrona della scena, la rossa cantante e poliedrica artista londinese sembra aver trovato la perfetta sintesi tra il grande tormento interiore e l’incontenibile necessità di comunicare. Il rischio sarebbe stato di eccedere verso il troppo, invece l’album è perfettamente equilibrato, tra venature elettroniche, soul e naturalmente rock. Tanto rock. Il brano d’apertura Ship To Wreck ha il ritmo del singolo, così come What Kind Of Man o Delilah, ma ciascuna delle undici canzoni che compongono How Big How Blue How Beautiful merita ben più di un ascolto. È davvero difficile scegliere quale sia il pezzo più riuscito. La verità è che si tratta di un album a tal punto influenzato dagli stati d’animo ed emotivi dell’autrice che ogni traccia risulterà la migliore se ascoltata in diversi momenti della giornata. Bellissimo.

S

detto che FFS è un album sorprendente, che mischia in maniera stupefacente le sonorità di entrambe le band creando un ibrido affascinate cui risulta davvero difficile resistere, qualsiasi sia la vostra idea di musica o il vostro gusto personale. Persino le voci così particolari e riconoscibili di Russel Mael (Sparks) e Alex Kapranos (Franz Ferdinand) finiscono spesso per sovrapporsi perfettamente, mostrando un’intercambiabilità insospettabile. Talvolta, come è inevitabile ma anche normale che sia, una band prende il sopravvento sull’altra (Dictator’s Son per gli Sparks e Call Girl per i Franz Ferdinand), in molti altri invece i due gruppi si fondono alla perfezione, dando vita a qualcosa di originale e, è forse scontato dirlo, ultra ballabile. È il caso dell’opener Johnny Delusional e ancora più di una canzone irresistibile come Police Encounters. L’apice del progetto? Forse Save Me From Myself, ironica e danzereccia come chiunque si sarebbe aspettato da un’unione del genere. Da vedere dal vivo.

iamo onesti. Chiunque oggi si mettesse a dirvi che pensava da sempre a una possibile collaborazione tra gli Sparks e i Franz Ferdinand, starebbe sicuramente dicendo il falso. Ancor più chi, parliamo sempre di eventualità, avesse la faccia tosta di sostenere che, una volta annunciato il supergruppo da parte dei diretti interessati, aveva subito immaginato che ne sarebbe nata una delle collaborazioni più fresche di questo 2015. Partiamo dal principio e iniziamo col dire che siamo lontani da progetti (almeno sulla carta) folli come quello tra Lou Reed e Metallica. A differenza di quel caso, oggi parliamo di due band con sound che non sembrano poi completamente incompatibili. Tutt'altro. La notizia ha avuto comunque la capacità di spiazzare un po' tutto il mondo discografico, quanto meno per la scommessa di unire due icone (pop?) così distanti nel tempo. Insomma, un po' come se i Killers domani annunciassero un album con gli Abba o gli Sweet. Fatte queste doverose premesse, va subito

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CINEMA

QUANT’È BELLA GIOVINEZZA In un mondo che non riesce più a pensare al futuro si fa sempre più forte l'ossessione verso il proprio passato. Si è fatto abbastanza o si poteva fare di più? Ne è valsa la pena? Domande che trovano molto spazio in Youth - La giovinezza, che il regista premio Oscar Paolo Sorrentino a portato ha Cannes. Nuovo esempio della crescente attenzione del cinema verso il tema della vecchiaia. Testo di TOMMASO MAGRINI

YOUTH – LA GIOVINEZZA

di Paolo Sorrentino, Italia/Francia/Svizzera/Gb, 2015

CAST: Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Jane Fonda Hemsworth, Viola Davis, John Ortiz, William Mapother, Manny Montana

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Q

uesta è la mia vita... non è niente. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul niente e non ci è riuscito, ci posso riuscire io?». In questa domanda che si pone Jep Gambardella ne La grande bellezza è racchiuso molto del cinema di Paolo Sorrentino. Un cinema nel quale i personaggi sono chiamati a una continua riflessione sulla propria vita, le scelte fatte o evitate. Sul proprio passato. Con le costanti domande sullo sfondo: «Avrei potuto fare di più? Non ho fatto di più perché non avevo talento o perché non ne ho avuto la voglia? Che significato ha avuto la mia esistenza?». L'interesse del regista napoletano per il tema della vecchiaia e del bilancio con la propria esistenza è emerso più volte nelle sue opere. Già nel suo esordio, Un uomo in più, ritrae una vecchiaia sui generis, quella professionale del protagonista Antonio Pisapia, calciatore ormai a un passo dal ritiro e quindi vicino alla “morte sportiva”. Il monologo liberatorio di Toni Servillo-Giulio Andreotti ne Il divo non è forse una immane resa dei conti con se stesso e con la propria coscienza? E lo stesso Sean Penn-Cheyenne di This Must Be The Place a 50 anni traccia un bilancio della sua vita e comprende che, per poter rinascere, il suo vecchio io deve morire. Non sorprende allora che il premio Oscar torni prepotentemente sull'argomento in Youth - La giovinezza, in uscita il 21 maggio al cinema e in libreria, visto che dalla sceneggiatura del film è stato tratto un libro. D'altronde Sorrentino faceva dire al suo Jep Gambardella: «Quando da giovane mi chiedevano: cosa c'è di più bello nella vita? E tutti rispondevano “la fessa”, io solo rispondevo “l'odore delle case dei vecchi”». In Youth la scena non è in una casa ma in un elegante albergo ai piedi delle Alpi. Ma l'odore dell'invecchiamento è comunque forte. I protagonisti sono Fred e Mick, interpretati da due mostri sacri del calibro di Michael Caine e Harvey Keitel, due vecchi amici che alla soglia degli 80 anni si concedono una vacanza primaverile. Uno è un regista ancora in attività che sta cercando di concludere la sceneggiatura di quello che spera sia il suo ultimo e più importante film. L'altro invece è un direttore d'orchestra in pensione che ha chiuso con la musica, fino a quando arriva un emissario della Regina Elisabetta che lo invita a suonare a Buckingham Palace per il compleanno del principe Filippo. In mezzo ai fumi delle saune e dei bagni turchi guardano con

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MICRO-REVIEWS

tenerezza alla vita ancora confusa dei propri figli in mezzo a una serie di corpi in decadenza che inseguono il passato della giovinezza e cercano di dare un senso a quanto fatto. È un sentimento comune a moltissimi film di questi anni: la cinematografia dedicata al tema dell'invecchiamento si è fatta sempre più corposa. Ci sono titoli che affrontano il tema del rapporto di coppia, come Un weekend a Parigi e, in maniera dolorosa, Amour di Michael Haneke. Altri fanno i conti con la malattia, come Away From Her e Still Alice. Altri registi invece costruiscono una resa dei conti del tutto personale, come Clint Eastwood in Gran Torino e i fratelli Coen ne Il Grinta. C'è poi il desiderio di un'ultima, grande, avventura come nell'animazione Pixar di Up. Gli esempi, più o meno riusciti, non si contano.

«In mezzo ai fumi dei bagni turchi si muovono corpi in decadenza che inseguono il passato della giovinezza e che cercano di dare un senso a quanto fatto nella loro vita» Il cinema ribelle della New Hollywood non esiste più da un pezzo. Oggi il grande schermo ai nuovi modelli preferisce di gran lunga quelli vecchi. Chissà, forse sarà dovuto alle richieste del pubblico che aumenta costantemente di età. La vita media si allunga di circa tre mesi l'anno e il tasso di natalità in Occidente si abbassa sempre di più. Secondo le previsioni dell'Istat, nel 2045 per la prima volta nella storia dell'umanità la popolazione con più di 60 anni eguaglierà quella con meno di 15. In Italia nel 2040 gli ultraottantenni come quelli di Youth raddoppieranno passando dagli attuali 3,7 a 6,5 milioni. Non è un caso se, anche al cinema, questo sia un periodo dove regna l'eterno ritorno: Star Wars, Mad Max, Blade Runner e Jurassic Park in sala, X-Files e forse Twin Peaks in tv. Anche l'invecchiato mezzo cinematografico sta guardando a se stesso per capire il valore di quanto fatto? Magari, come Jep Gambardella, capirà che «c'è stata la vita nascosta sotto i bla bla bla. Emozioni, sparuti, incostanti sprazzi di bellezza insieme allo squallore più disgraziato sotto la coperta dello stare al mondo».

MAD MAX: FURY ROAD

di G.Miller (Usa/Australia, 2015) Ricomincia da zero la #saga distopica australiana. Nel deserto #postapocalittico dove si combattono bande di sopravvissuti Tom Hardy, affiancato da una furiosa Charlize Theron, prende il posto di Mel Gibson.

IL RACCONTO DEI RACCONTI di M. Garrone (Ita/Fra/Gb, 2015) Il regista di Gomorra (il film) e Reality torna con una storia per lui atipica. Un affresco in chiave fantastica del periodo #barocco con tre storie ispirate alle #fiabe di Giambattista Basile.

LA REGOLA DEL GIOCO

di M. Cuesta (Usa, 2014) #Political #thriller sulla vera storia del giornalista Gary Webb, che scopre un piano della #Cia per importare #cocaina negli Usa e diventa bersaglio di una campagna diffamatoria.

CHI È SENZA COLPA

di M. R. Roskam (Usa, 2014) Un ex criminale di Brooklyn gestisce un bar insieme al cugino. Ma è difficile cancellare del tutto le #vecchieabitudini. Intenso dramma con Tom Hardy e l'ultima apparizione di James Gandolfini.

FURY

di D. Ayer (Usa, 2014) Alla fine della seconda guerra mondiale il sergente #Wardaddy guida cinque soldati in un'ultima azione dietro alle linee naziste. Costato 80 milioni di dollari, #kolossalbellico con Brad Pitt e Shia LeBeouf.

DIOR AND I

di F. Tcheng (Francia, 2014) Specializzato nel settore #fashion, il regista Frederic Tcheng fotografa tutto quello che sta dietro alla creazione della collezione donna 2012 del nuovo direttore artistico della maison #Dior Raf Simons.

JURASSIC WORLD

di C.Trevorrow (Usa, 2015) Gli scienziati del parco Jurassic World creano l'I-rex, un nuovo tipo di #dinosauro geneticamente modificato, per attirare turisti. Conseguenze devastanti. Quarto capitolo della saga ideata da #StevenSpielberg.

TED 2

di S. MacFarlane (Usa, 2015) Ted vuole avere un bambino ma per farcela deve dimostrare di essere #umano. Un cast stellare per il secondo capitolo delle avventure dell'#orsacchiotto più irriverente del cinema. onstage maggio - giugno 91


SERIE TV

SESTO SENSO PER IL RILANCIO Mentre crollano American Idol, Glee e New Girl, il colosso di Murdoch si affida a M. Night Shyamalan, regista in cerca di riscatto, per non soccombere al nuovo che avanza (Netflix, Amazon e Google). Riuscirà il vecchio gigante Fox a risalire la china? La risposta arriverà dalla serie-evento Wayward Pines. Testo di TOMMASO MAGRINI

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a vecchia volpe vuole riprendersi l'uva. Fox si è stufata della sua posizione di secondo piano nel panorama delle serie tv e tenta il rilancio. La nuova concorrenza, da Netflix ad Amazon fino a Google, sta diventando sempre più forte. I rivali storici di Hbo e Amc continuano ad assestare colpi da ko con i vari Game of Thrones, Breaking Bad e The Walking Dead. Per uscire dalla crisi Fox ha scelto M. Night Shyamalan. Non una garanzia, ma di sicuro un regista di talento in cerca di riscatto. Il 14 maggio debutta negli Usa la sua serie-evento Wayward Pines, attesa al varco da critici e appassionati. Mentre Netflix gioca sui mondi interattivi, come nel caso del progetto multimediale con Marvel già partito con la serie Daredevil, Fox ha scelto un prodotto unico che punta tutto su un cast pieno di star (Terrence Howard, Carla Gugino, Melissa Leo e Juliette Lewis tra gli altri) e atmosfere alla Twin Peaks. Il protagonista è Matt Dillon, nei panni di un agente segreto che durante la ricerca di due colleghi scomparsi rimane intrappolato in una misteriosa cittadina dell'Idaho dove il soprannaturale è di casa. Shyamalan, produttore e regista di uno dei 10 episodi, ha subito chiarito il debito con David Lynch ma promette una visione originale sui temi del paranormale. Il regista di origine indiane, dopo i successi ottenuti con Il sesto senso e Signs, ha inanellato una serie interminabile di disastri di critica e pubblico. Con Wayward Pines spera di rinascere insieme a Fox, reduce da stagioni davvero deludenti. Il presidente di Fox Entertainment, Kevin Reilly, si è dimesso dopo

il calo di ascolti di tutte le serie più rappresentative (American Idol e Glee sono crollate) e la cancellazione di cinque show dopo una sola stagione. L'arrivo al timone della neonata Fox Television Group di Dana Walden e Gary Newman non ha ancora prodotto i risultati sperati. A febbraio New Girl ha toccato il dato più basso di sempre e anche Sleepy Hollow ha segnato record negativi. Il pacchetto di nuove serie ha fornito risultati discontinui: c'è stato il successo di Empire

ma l'attesissima Gotham dopo un buon inizio è in costante declino. Malissimo sin dal principio Weird Loners. Ora Fox punta tutto su Wayward Pines e su operazioni nostalgia come il ripescaggio di X-Files. Una navigazione a vista per un colosso ormai abituato a lanciare decine di serie per poi chiuderle di corsa se i dati di audience non sono premiano subito. Ma, con Shyamalan, la vecchia volpe spera davvero di imboccare la svolta giusta e di raggiungere nuovamente l'uva.

MICRO-REVIEWS

CONSTANTINE 1° stagione in Italia dal 4 maggio (Premium Action) Dopo il film con Keanu Reeves ecco la serie di Nbc sul celebre detective del #soprannaturale dei #fumetti. Matt Ryan a caccia di #mostri e demoni in un #horror alla #XFiles

92 onstage maggio

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AQUARIUS 1° stagione negli Usa dal 28 maggio (Nbc)

Il sergente di polizia Sam Hodiak indaga sulla scomparsa di alcune ragazze nella #LosAngeles degli anni #Sessanta. #Thriller drammatico con David Duchovny sulle tracce del serial killer #CharlesManson

SENSE 8 1° stagione negli Usa dal 5 giugno (Netflix)

Otto sconosciuti in diverse parti del mondo dopo un trauma sono improvvisamente connessi. Resi celebri dalla saga di #Matrix, fratello e sorella #Wachowski provano a rilanciare la #fantascienza in tv

TRUE DETECTIVE 2° stagione negli Usa dal 21 giugno (Hbo)

L'acclamato #poliziesco si sposta in #California. Rachel McAdams detective idealista, Colin Farrell poliziotto corrotto, Vince Vaughn imprenditore criminale: tutti coinvolti in uno strano #omicidio.



GAMES

BLOODBORNE Colpaccio Sony - Un nuovo meraviglioso capitolo della saga Souls in esclusiva per Play Station 4 Testo di MARCO RIGAMONTI

SVILUPPATORE:

From Software

/ GENERE: Action

/ RPG

/

DISPONIBILE PER:

PS4

N

on è detto che sia necessario coniare un termine ad hoc in grado di descrivere dettagliatamente ogni ramificazione di genere videoludico, ma quando accade è bene dare il giusto peso all'impatto sociale che certi titoli sono stati in grado di generare. E' il caso dei “Souls Games”, una definizione che ora più che mai spopola tra i fan di Hidetaka Miyazaki, mente dell'ormai storico Demon Souls e del suo successore spirituale Dark Souls. L'elemento distintivo di questa categoria di giochi è la ricompensa che si ottiene eliminando i nemici: si tratta di anime “multifunzionali”, utili sia per progredire di livello che per fare acquisti. Nel malaugurato (nonché frequentissimo) caso in cui si venga uccisi, sarà necessario ritornare sul punto di morte per recuperare le anime che si stavano trasportando (traduzione: se non si vogliono scialacquare ore e ore di gioco conviene tornare sul luogo del delitto). Basati su un modello che mischia azione e gioco di ruolo, i Souls sono noti anche per il singolare concetto di multiplayer implementato (una modalità cooperativa/competitiva davvero unica, impossibile da spiegare in quattro parole) e per la loro estrema difficoltà. L'aggettivo più appropriato non è arduo, ma impegnativo: sono titoli che sanno essere punitivi e possono diventare frustranti, ma soltanto perché richiedono un'applicazione e una concentrazione al di sopra della media (no: non basta buttarsi in uno scontro e premere tasti a caso).

Bloodborne è a tutti gli effetti uno spin-off (estremamente ben riuscito) della saga Souls; sconfessa la scelta di classi obbligandoci a vestire i panni del “cacciatore”, introduce un'arma da fuoco al posto dello scudo e cambia l'ambientazione (catapultandoci in una tetra città dall'architettura vittoriana e dai

toni gotici), ma rimane fedele ai sistemi di combattimento e di sviluppo del personaggio che gli appassionati conoscono molto bene. È una meraviglia. Ed è senza dubbio il titolo che farà pendere l'ago della bilancia degli hardcore gamers ancora indecisi a favore di Sony.

MICRO-REVIEWS

AXIOM VERGE

(PS4 / PS Vita / PC) Il revival 8-bit continua: Axiom Verge è un platform/shooter in due dimensioni dai toni fantascientifici che punta tutto su una miscela azzeccatissima di azione ed esplorazione. #lessismore #bringbacktheoldschool

94 onstage maggio

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DARK SOULS 2: SCHOLAR OF THE FIRST SIN (Xbox One / Xbox

360 / PS4 / PS3 / PC) Ha senso “restaurare” un capolavoro uscito appena un anno fa? Se i risultati sono questi, eccome. Un must (completo di trilogia delle corone) per chi proprio senza Souls non sa stare. #migliorarelaperfezione

XENOBLADE CHRONICLES 3DS (3DS)

Convertire un'opera delle proporzioni di Xenoblade Chronicles per una console portatile poteva sembrare un'assurdità; proprio per questo motivo il lavoro svolto da Monolith ha dell'incredibile. #unmondointasca

BORDERLANDS – THE HANDSOME COLLECTION (Xbox One / PS4)

Nel buon porting targato Gearbox manca il primo episodio della saga. È un peccato, ma si vocifera che il remaster verrà preso in considerazione in caso di successo di questa collezione; incrociamo le dita. #tothemoonandback



TECH

ARRIVANO I NOSTRI Sbarca anche in Italia Apple Watch, l'orologio intelligente atteso da mesi da tutti i patiti della mela morsicata. Ed è pronto a sbaragliare la concorrenza. Testo di GIANNI OLFENI

C

hi ha detto che partire in ritardo significa inseguire? Un famoso paradosso del filosofo greco Zenone di Elea (V secolo a.C.) dimostrava come Achille, il più grande degli eroi greci, non avrebbe mai potuto superare una tartaruga, se questa avesse avuto un vantaggio in partenza. L’idea è che, nel tempo impiegato da Achille a raggiungere la tartaruga, questa si sia già mossa e abbia percorso un ulteriore tratto, quindi Achille si trova di nuovo indietro a doverla raggiungere, e così via. Insomma, come si può essere più avanti di qualcuno che è partito prima di te? Semplice, direbbero gli uomini di Cupertino, basta colmare lo svantaggio temporale iniziando da un blocco di partenza più avanzato. Ed è esattamente quello che Apple ha fatto. L’azienda americana ha dimostrato in pochissime settimane che Apple Watch, il suo orologio intelligente disponibile dal 24

96 onstage maggio

- giugno

aprile in nove Paesi e in Italia dalla seconda metà di maggio, non deve temere la concorrenza di chi, come Samsung o Sony, aveva fatto uscire sul mercato i propri modelli con mesi di anticipo (peraltro senza grande riscontro). Semplicemente perché la credibilità costruita in tanti anni dalla società del compianto Steve Jobs è talmente solida da non aver bisogno di convincere i tanti fan della mela morsicata che il proprio prodotto sia migliore degli altri. E anche se i detrattori si ostinano a sostenere che il successo sia solo merito del design, la verità è che a livello tecnico Apple Watch non ha nulla da invidiare ai concorrenti. L’orologio pensato a Cupertino è stato sviluppato in tre varianti e due diverse dimensioni: Apple Watch Sport, Apple Watch e Apple Watch Edition, ciascuno con diametro da 38 millimetri (per donna) o da 42 millimetri (per uomo). E le cifre, naturalmente,

possono variare molto. Il modello Edition sarà solo per i paperoni: almeno 11mila euro per un orologio con cassa in oro (rosa o giallo a 18 carati) e display retina con vetro in cristallo di zaffiro. Decisamente più accessibile lo Sport, disponibile in dieci diversi modelli, con cassa in alluminio anodizzato e display retina con vetro Ion-X rinforzato: prezzo dai 399 ai 449 euro. A metà strada il classico, disponibile in venti diversi modelli, con cassa in acciaio inossidabile e display retina con vetro in cristallo di zaffiro: cifre che variano da 649 a 1.249 euro. Una curiosità: come molti avranno notato, l’orologio intelligente di Apple non si chiama iWatch (come già in passato era accaduto agli illustri predecessori iPod, iPhone, iPad). Il motivo? Semplice quanto divertente. Una startup italiana aveva già registrato il nome iWatch per una sua applicazione, solo per android. Un altro paradosso.



COMING SOON

CALENDARIO RASSEGNE & FESTIVAL

Jovanotti

LORENZO NEGLI STADI 2015

LUGLIO/AGOSTO

Testo di JACOPO CASATI

S

embrerebbe una sfida quella che si consuma quest’estate tra due grandi artisti della musica italiana: Jovanotti contro Vasco Rossi, re degli stadi italiani da almeno 25 anni. Il tour di Lorenzo conta tredici date, il Live Kom '015 una in più, per quattordici appuntamenti totali. Ma di sfida non si tratta e, dopo aver celebrato la grandezza inarrivabile di Vasco, è giusto sottolineare che Jova quest’anno sarà protagonista per tre serate consecutive allo Stadio San Siro di Milano - Vasco e Lorenzo, tra l'altro, sono anche legati da reciproca stima. È impossibile non accorgersi di come Jovanotti sia ormai anche numericamente uno dei big della musica leggera italiana. Dal tour di supporto a Safari (2008), che a luglio e agosto lo portò per la prima volta in alcuni piccoli stadi, è stato capace di riempire la curva dell'Olimpico di Roma (Ora Tour 2011) e poi i grandi impianti nel Backup Tour (2013), con doppia data al Meazza. Nei nuovi concerti estivi, Jova ha già dichiarato più volte di non aver intenzione di

proporre troppe canzoni recenti in scaletta: «Lo stadio è un enorme dj set e lì vuoi sentire le hit». Poco spazio quindi per i pezzi di Lorenzo 2015 CC., suo tredicesimo disco, già certificato Platino, che contiene ben 30 brani inediti. Una dimostrazione di creatività e di generosità che l'artista è solito fornire anche ogni volta che sale sul palco. Nel 2013 erano addirittura 33 le tracce selezionate per la scaletta del tour dal cantante, attento a non tralasciare nessuno dei classici che hanno contribuito a farlo conoscere al grande pubblico. E sarà così anche nei prossimi appuntamenti, con partenza dallo Stadio del Conero di Ancona il 20 giugno. Quindi le già menzionate tre date a Milano, con San Siro prenotato per il 25, 26 e 27 giugno. Seguiranno Padova (Stadio Euganeo, 30 giugno) e otto show a luglio che si terranno il 4 e 5 allo stadio Artemio Franchi di Firenze, l'8 al Dall'Ara di Bologna, il 12 all'Olimpico di Roma, il 18 al San Filippo di Messina, il 22 all'Adriatico di Pescara, il 26 al San Paolo di Napoli e il 30 all'Arena della Vittoria di Bari.

COLLISIONI FESTIVAL (BAROLO, CN) 18/07 PAOLO NUTINI - 19/07 J-AX + FEDEZ 20/07 MARK KNOPFLER - 21/07 STING ESTATHÉ MARKET SOUND (MILANO) 06/07 SHEPPARD - 07/07 D’ANGELO & THE VANGUARD - 08/07 NICKY MINAJ 10/07 FRANCESCO RENGA 13/07 LA DOLCE VITA - 18/07 CLUB DOGO 27/08 GOGOL BORDELLO FERRARA SOTTO LE STELLE (FERRARA) 15/07 VERDENA - 17/07 PAOLO NUTINI 19/07 THE JESUS & MARY CHAIN 21/07 GEORGE EZRA - 30/07 2CELLOS 31/07 SAVAGES HYDROGEN FESTIVAL (PIAZZOLA SUL BRENTA, PD) 01/07 CHEMICAL BROTHERS 06/07 DAMIEN MARLEY - 08/07 NOEL GALLAGHER 14/07 STROMAE - 17/07 BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS 18/07 MARK KNOPFLER - 25/07 ANASTACIA 29/07 LENNY KRAVITZ

PISTOIA BLUES (PISTOIA) 01/07 MUMFORD AND SONS 03/07 COUNTING CROWS - 07/07 HOZIER 15/07 PASSENGER - 17/07 ITALIAN BLUES NIGHT -18/07 THE DARKNESS 19/07 DREAM THEATER - 21/07 CARLOS SANTANA - 24/07 STING POSTEPAY MILANO SUMMER FESTIVAL (ASSAGO)

04/07 THE LIBERTINES - 06/07 NOEL GALLAGHER - 14/07 JUANES - 22/07 BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS

POSTEPAY ROCK IN ROMA (ROMA) 01/07 DAMIAN MARLEY 02/07 CHEMICAL BROTHERS - 04/07 J-AX 07/07 ROBBIE WILLIAMS - 08/07 STROMAE 09/07 NOEL GALLAGHER - 14/07 VERDENA 18/07 MUSE - 20/07 SUBSONICA 24/07 LITFIBA - 25/07 CAPAREZZA 27/07 LENNY KRAVITZ - 26/08 TAME IMPALA SEXTO ‘NPLUGGED (PORDENONE) 05/07 EINSTURZENDE NEUBAUTEN 06/07 ST. VINCENT - 13/07 BELLE AND SEBASTIAN - 16/07 PASSENGER 25/07 ANNA CALVI SIREN FESTIVAL (VASTO, CH) 24/07 VERDENA - 25/07 JAMES BLAKE UNALTROFESTIVAL (MILANO) 07/07 OF MONSTERS AND MEN 08/07 HOZIER ZANNE FESTIVAL (CATANIA) 16/07 FRANZ FERDINAND & SPARKS 17/07 SPIRITUALIZED 19/07 GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR

98 onstage maggio

- giugno


VASCO GIUGNO

LUGLIO

0 7 B A R I S TA D I O S A N N I C O L A 0 8 B A R I S TA D I O S A N N I C O L A 1 2 F I R E N Z E S TA D I O A . F R A N C H I 1 3 F I R E N Z E S TA D I O A . F R A N C H I 1 7 M I L A N O S TA D I O S A N S I R O 1 8 M I L A N O S TA D I O S A N S I R O 2 2 B O L O G N A S TA D I O D A L L’ A R A 2 3 B O L O G N A S TA D I O D A L L’ A R A 2 7 TO R I N O S TA D I O O L I M PI C O 2 8 TO R I N O S TA D I O O L I M PI C O

03 O8 12 13

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LIVE K O M 0 1 5

N A P O L I S TA D I O S A N PA O L O M E S S I N A S TA D I O S A N F I L I P P O PA D O V A S TA D I O E U G A N E O PA D O V A S TA D I O E U G A N E O



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