Numero 1/2014 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007
Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925
Luceerafica S Papa Francesco in Terra Santa “Svegliate il mondo!�
Il Vangelo di frate Francesco
Dossier 2014 Sguardi sul mondo
Il pastore buono
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Da 90 anni dal colle del Paradiso di Ravello la testimonianza francescana illumina le nostre terre e le nostre città
‘ Avanti con la luce accesa Gianfranco Grieco
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Papa Francesco a guidare i nostri passi per le strade del mondo. Lui è la nostra guida “sonora”. Domenica 9 febbraio 2014. Angelus in Piazza san Pietro: “... Voi siete la luce del mondo!... La luce, per Israele era il simbolo della rivelazione messianica che trionfa sulle tenebre del paganesimo. I cristiani, nuovo Israele, ricevono dunque una missione nei confronti di tutti gli uomini: con la fede e con la carità possono orientare, consacrare, rendere feconda l’umanità …. Tutti noi battezzati siamo discepoli missionari e siamo chiamati a diventare nel mondo un vangelo vivente: con una vita santa daremo “sapore” ai diversi ambienti e li difenderemo dalla corruzione, come fa il sale; e porteremo la luce di Cristo con la testimonianza di una carità genuina. Ma se noi cristiani perdiamo sapore e spegniamo la nostra presenza di sale e di luce, perdiamo l’efficacia. Ma che bella è questa missione di dare luce al mondo! È una missione che noi abbiamo. E’ bella! E’ anche molto bello conservare la luce che abbiamo ricevuto da Gesù, custodirla, conservarla. Il cristiano dovrebbe essere una persona luminosa, che porta luce, che sempre dà luce! Una luce che non è sua, ma è il regalo di Dio, è il regalo di Gesù. E noi portiamo questa luce. Se il cristiano spegne questa luce, la sua vita non ha senso: è un cristiano di nome soltanto, che non porta la luce, una vita senza senso. Ma io vorrei domandarvi adesso, come volete vivere voi? Come una lampada accesa o come una lampada spenta? Accesa o spenta? Come volete vivere? [la gente risponde: Accesa!] Lampada accesa! È proprio Dio che ci dà questa luce e noi la diamo agli altri. Lampada accesa! Questa è la vocazione cristiana. E prima di congedarmi, mi viene in mente quella domanda che ho fatto: lampada accesa o lampada spenta?
Cosa volete? Accesa o spenta? Il cristiano porta la luce! È una lampada accesa! Sempre avanti con la luce di Gesù!”. Lunedì 6 gennaio, Angelus della solennità dell’Epifania del Signore. Papa Francesco ricorda alla moltitudine di fedeli raccolti in Piazza san Pietro : “La luce ci precede, la verità ci precede, la bellezza ci precede. Dio ci precede”. Da 90 anni, questa splendida Luce accesa sul Colle del Paradiso di Ravello viene trasmessa ad una moltitudine di visitatori di generazione in generazione. Continuiamo a farlo nella certezza di contribuire a dare Luce da Luce che parte dal Padre per riflettersi nel Figlio – Luce vera, quella che illumina ogni uomo – (Gv 1 9), in Francesco d’Assisi e in tutti i santi francescani come il beato Bonaventura da Potenza che da Ravello continua ad illuminare il nostro cammino e a parlarci. “Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino” (cf. 2Pt 1,18-19). Attualizziamo queste parole dell’apostolo Pietro, fratello di Andrea, il primo dei chiamati, che riposa ad Amalfi, a due passi da Ravello. Riscontriamo la presenza di religiosi profeti (il Beato, fra Ludovico Di Nardo, i fratelli Palatucci, i fratelli Mansi, padre Andrea Sorrentino ed altri) e di laici francescani esemplari che hanno creduto a quella Luce che brilla e guida i nostri passi incerti e frettolosi per dare futuro al mondo.
«Il nostro futuro è vivere insieme» - Bound to live together
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LUCE SERAFICA 1/2014
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TERRA DEI FUOCHI Non abbassate la guardia e fate presto! Rifiuti tossici campani Questa terra che brucia La reggia di Carditello In treno da Napoli in giù
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LITURGIA - TEOLGIA - SPIRITUALITÀ In cammino verso la Pasqua Francesco esempio di riforma Il lupo di Gubbio Angela da Foligno: mistica del genio femminile
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SGUARDI SUL MONDO Europa. Che succede alla famiglia? Delfina continua a stupire Asia. La primavera è vicina America. Soffre il continente della speranza Ecuador missione umanitaria Africa. Attese di giustizia e di solidarietà
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PASTORALE - CATECHESI - DIALOGO Mettiamo il Vangelo in mano ai bambini Sulla scia di Francesco Forum permanente sul Gesù della storia Viaggiatori di nuvole
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ARTE - CINEMA I capolavori del museo di san Gennaro San Giorgio e il drago Il cuore dell’assassino La grande bellezza
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COSTUME E SOCIETÀ- SPORT Famiglie senza soldi e futuro Sicurezza in casa Napoli canta ancora Brasile: Mondiale 2014 La buona occasione di Renzi
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MISSIONE Ancora emergenza nelle Filippine IN LIBRERIA CUCINA
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EDITORIALE TERRA SANTA - CHIESA Papa Francesco pellegrino in Terra Santa Una svolta per le comunità cattoliche I nuovi Cardinali dalle periferie del mondo La trasformazione missionaria della Chiesa Venti di pace Alla ricerca delle pietre vive Svegliate il mondo Tre incontri con Papa Francesco
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HANNO SCRITTO
NEWS SALA STAMPA VATICANA
“Dal viaggio in Terra Santa uscirà un messaggio di amicizia. Papa Bergoglio incarna una nuova stagione di rapporto con l’ebraismo: vivere insieme le grandi problematiche spirituali. Vi è un filo di fraternità da Giovanni Paolo II a Papa Francesco”. ANDREA RICCARDI Famiglia Cristiana, 26 gennaio 2014, p.16
Papa Francesco nella Corea del Sud beatificherà un gruppo di martiri dell’800
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apa Francesco compirà un viaggio apostolico in Corea del Sud dal 14 al 18 agosto. Le date della visita sono state ufficializzate lunedì 10 marzo dalla Sala Stampa della Santa Sede. L’occasione, precisa la nota, è data della sesta Giornata della Gioventù Asiatica, che si svolgerà nella diocesi di Daejeon. Ma, ha precisato ai media il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, il Papa presiederà anche il rito di beatificazione di un gruppo di martiri coreani. “In Asia si deve andare. Perché Papa Benedetto non ha avuto tempo di andare in Asia ed è importante”. È il 28 luglio dell’anno scorso, la Gmg brasiliana si è appena conclusa e mentre l’aereo sul quale conversa amabilmente con i giornalisti stava lasciando il continente americano per riportarlo in quello europeo, Papa Francesco a un tratto spinge lo sguardo ancora più a oriente. Nelle sue parole c’è l’impulso personale di un pastore abituato a considerare centro dalla sua missione ogni periferia, ma c’è in filigrana anche la forza di una “visione”, quella che 15 anni fa, alla vigilia del Giubileo, Giovanni Paolo II affermava a chiare lettere nell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Asia: “Come nel primo millennio la Croce fu piantata sul suolo europeo, nel secondo millennio su quello americano e africano, nel terzo millennio si potrà sperare di raccogliere una grande messe di fede in questo continente così vasto e vivo”. Il Papa pellegrino per le strade del mondo proclamato ora Santo della Chiesa parlava per esperienza, avendo per due volte – nel maggio dell’84 e nell’ottobre dell’89 – raggiunto la parte meridionale della penisola divisa dal 38.mo parallelo e soprattutto da una mai sopita rivalità fratricida. Papa Francesco si prepara a seguirne le orme 25 anni dopo, avendo in cuore un pensiero ben definito, già espresso il 13 gennaio scorso nell’udienza al Corpo diplomatico accreditato in Vaticano: “In occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con l’auspicio che, per il bene di tutto il popolo coreano, le Parti interessate non si stanchino di cercare punti d’incontro e possibili soluzioni. L’Asia, infatti, ha una lunga storia di pacifica convivenza tra le sue varie componenti civili, etniche e religiose”.
“Il dialogo con la Russia, mediato da Putin, dicono la serietà con cui Francesco pensa l’unità con un cercare ciò che ci unisce, avrebbe detto san Giovanni del Concilio, alias Roncalli. La parola importante è cercare». ALBERTO MELLONI Corsera, 8 gennaio 2014, p.36
HA DETTO “Il viaggio di Francesco in Terra Santa sarà un pellegrinaggio. L’augurio sincero e che Papa Francesco possa lanciare un messaggio di pace arrivando al cuore di tutti coloro che abitano in quella terra”. ABRAHAM SKORKA Rettore del seminario rabbinico di Buenos Aires
HA SCRITTO Scoprire e amare la fraternità “La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità”. PAPA FRANCESCO Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2014.
COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Emanuela Bambara Giacomo Auriemma Mohammad Djafarzadeh Boutros Naaman SERVIZIO FOTOGRAFICO de L’Osservatore Romano Progetto grafico della copertina: Silvia Placidi
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Hanno collaborato: Raniero Cantalamessa, Iman Sabbah, Barbara Castelli, Carlo e Maria Carla Volpini, Antonio Spadaro, Gabriella Ceraso, Gianfranco Grieco, Giuliana Martirani, Emanuela Bambara, Giuseppe Falanga, Orlando Todisco, Emanuela Vinai, Giovanna Abbagnara, Thomas Hong-Soon Han, Josè Guillermo Guttiérez, Rosalba Trabalzini, Jean - Baptiste Souro, Boutros Naaman, Luciana Siotto, Assunta Cefola, Mohammad Djafarzadeh, Giacomo Auriemma, Mons. Gianfranco Todisco, Mons. Angelo Spinillo, Gianfranco Vissani.
Papa Francesco pellegrino in Terra Santa «Nel clima di gioia, tipico di questo tempo natalizio, desidero annunciare che dal 24 al 26 maggio prossimo, a Dio piacendo, compirò un pellegrinaggio in Terra Santa. Scopo principale è commemorare lo storico incontro tra il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, che avvenne esattamente il 5 gennaio, come oggi, di 50 anni fa. Le tappe saranno tre: Amman, Betlemme e Gerusalemme. Tre giorni. Presso il Santo Sepolcro celebreremo un Incontro Ecumenico con tutti i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme, insieme al Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli. Fin da ora vi domando di pregare per questo pellegrinaggio, che sarà un pellegrinaggio di preghiera». Angelus - Domenica 5 gennaio 2014
I PRECEDENTI 1964 Paolo VI Papa Montini è stato il primo Pontefice a raggiungere Gerusalemme dopo quasi due millenni. Il viaggio apostolico (4-6 gennaio) apriva le porte al dialogo con Atenagora, Patriarca di Costantinopoli.
2000 Giovanni Paolo II Il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II durava sette giorni ( 2026 maggio). Pace, fraternità e giustizia per tutti gli uomini: questo era il messaggio del pellegrino tra le civiltà del mondo.
2009 Benedetto XVI Tra le tre visite papali, questa è stata la più difficile. Il viaggio (815 maggio) si svolgeva in un contesto segnato dalle sofferenze e dalle disillusioni lasciate dalla seconda intifada
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Una svolta anche per le tre comunità cattoliche da Nazareth
IMAN SABBAH GIORNALISTA
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na parola di pace e di giustizia, e meglio, se fosse possibile, un’azione per la riconciliazione dell’interminabile conflitto tra israeliani e palestinesi. Tante le aspettative dei cristiani dal pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa, ma la priorità è la pace. Le condizioni di vita, essendo una minoranza, poco meno di 200.000 tra Israele, Territori Occupati e Gaza, diventano sempre più difficili e l'arrivo di Papa Francesco segna una speranza e forse una svolta. Le sue parole e le sue auspicate, azioni a favore della pace e del dialogo possono, finalmente, alleviare le loro sofferenze. Le ferite sono tante. La comunità cristiana si trova costretta ad essere divisa tra due territori. Da una parte i cristiani israeliani e dall'altra quelli della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. In Israele i cristiani sono una minoranza nella minoranza. Appartengono alla comunità araba che costituisce il 20% di una popolazione a maggioranza ebraica. I cristiani sono il 9% della comunità araba a maggioranza musulmana. Dunque, sono circa 15.000 gli arabi cristiani di Israele. Numeri che diventano spesso rapporti di forza, con il più forte che pensa di poter controllare e decidere lo stile di vita del più debole. Dall’altra parte i Territori Occupati, la Cisgiordania, dove vive un popolo a cui spesso viene negato ogni diritto. Dalla limitazione della libertà di movimento con un muro di separazione e posti di blocco, alle restrizioni di accesso alla
terra e alle sue risorse. Condizioni che impattano su tutti gli aspetti della vita minando la crescita economica, aumentando il tasso di disoccupazione e compromettendo i rapporti tra le comunità che condividono quei territori. 50.000 i cristiani della Cisgiordania, ai quali si sommano i 10.000 che vivono nella città Santa, Gerusalemme. Poi la Striscia di Gaza dove, nonostante tutte le difficoltà e le minacce di un estremismo in crescita, vivono ancora 2.000 cristiani. Operano al loro servizio quattro scuole cristiane: due del Patriarcato Latino, una delle Suore del Rosario, e una del Patriarcato Greco-ortodosso, e un ospedale anglicano. Divisi dal conflitto ma uniti nella fede. Ecco perché la visita di Papa Francesco segna una svolta. Il suo arrivo significa puntare i riflettori di una comunità internazionale che spesso si dimentica di loro e a volte ignora la loro presenza. Tuttavia si sente una certa frustrazione perché la visita, volendo insistere sul carattere ecumenico (incontro Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli), ricorda solo i cristiani di Betlemme, ma di-
PAPA FRANCESCO «Occorre “il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 228), per considerare gli altri nella loro dignità più profonda, affinché l’unità prevalga sul conflitto e sia “possibile sviluppare una comunione nelle differenze” (ibid.). In questo senso è positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi e faccio voti affinché le Parti siano determinate ad assumere, con il sostegno della Comunità internazionale, decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente. Non cessa di destare preoccupazione l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Essi desiderano continuare a far parte dell’insieme sociale, politico e culturale dei Paesi che hanno contribuito ad edificare, e ambiscono concorrere al bene comune delle società nelle quali vogliono essere pienamente inseriti, quali artefici di pace e di riconciliazione». AL CORPO DIPLOMATICO PRESSO LA SANTA SEDE 13 GENNAIO 2014
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mentica quelli di Israele e di Gerusalemme. Nella situazione di conflitto ciascuno di queste tre comunità ha la sua “ferita” e i Cristiani, nella loro devozione per il Papa, lo vorrebbero presente con loro per un momento di preghiera. In Israele, in particolare a Nazareth e a Gerusalemme. Papa Francesco rappresenta un vero e proprio sostegno morale, un incoraggiamento per continuare a testimoniare la parola di Gesù in una terra di conflitto.
HA DETTO «Sono davvero ammirato per lo sforzo di Papa Francesco nel promuovere un vero senso di fratellanza e di rispetto per coloro che sono meno fortunati. Sono davvero impressionato dal modo in cui ha comunica quello che io credo sia l’essenza della fede cristiana. Sono estremamente colpito dall’umiltà di Papa Francesco e dalla sua empatia verso i poveri». BARACK OBAMA
PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA
I NUOVI CARDINALI DALLE PERIFERIE DEL MONDO
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ari fratelli e sorelle, rivolgo a tutti voi il mio saluto cordiale, in particolare alle famiglie e ai fedeli venuti da diverse parrocchie dall’Italia e da altri Paesi, come pure alle associazioni e ai vari gruppi. Oggi un pensiero speciale vorrei rivolgerlo ai genitori che hanno portato i loro figli al Battesimo e a coloro che stanno preparando il Battesimo di un loro figlio. Mi unisco alla gioia di queste famiglie, ringrazio con loro il Signore, e prego perché il Battesimo dei bambini aiuti gli stessi genitori a riscoprire la bellezza della fede e a ritornare in modo nuovo ai Sacramenti e alla comunità. Come è stato già annunciato il prossimo 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro, avrò la gioia di tenere un Concistoro, durante il quale nominerò 16 nuovi Cardinali, che - appartenenti a 12 nazioni di ogni parte del mondo - rappresentano il profondo rapporto ecclesiale fra la Chiesa di Roma e le altre Chiese sparse per il mondo. Il giorno seguente presiederò una solenne concelebrazione con i nuovi Cardinali, mentre il 20 e il 21 febbraio terrò un Concistoro con tutti i cardinali per riflettere sul tema della famiglia.
Ecco i nomi dei nuovi Cardinali: Mons. Pietro Parolin, Arcivescovo titolare di Acquapendente, Segretario di Stato. Mons. Lorenzo Baldisseri, Arcivescovo titolare di Diocleziana, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi. Mons. Gerhard Ludwig Müller, Arcivescovo-Vescovo emerito di Regensburg, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Mons. Beniamino Stella, Arcivescovo titolare di Midila, Prefetto della Congregazione per il Clero. Mons. Vincent Gerard Nichols, Arcivescovo di We-
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stminster (Gran Bretagna). Mons. Leopoldo José Brenes Solórzano, Arcivescovo di Managua (Nicaragua). Mons. Gérald Cyprien Lacroix, Arcivescovo di Québec (Canada). Mons. Jean-Pierre Kutwa, Arcivescovo di Abidjan (Costa d’Avorio). Mons. Orani João Tempesta, O.Cist., Arcivescovo di Rio de Janeiro (Brasile). Mons. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve (Italia). Mons. Mario Aurelio Poli, Arcivescovo di Buenos Aires (Argentina). Mons. Andrew Yeom Soo jung, Arcivescovo di Seoul (Korea). Mons. Ricardo Ezzati Andrello, S.D.B., Arcivescovo di Santiago del Cile (Cile). Mons. Philippe Nakellentuba Ouédraogo, Arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso). Mons. Orlando B. Quevedo, O.M.I., Arcivescovo di Cotabato (Filippine). Mons. Chibly Langlois, Vescovo di Les Cayes (Haïti). Insieme ad essi, unirò ai membri del Collegio Cardinalizio tre Arcivescovi emeriti che si sono distinti per il loro servizio alla Santa Sede e alla Chiesa: Mons. Loris Francesco Capovilla, Arcivescovo titolare di Mesembria; Mons. Fernando Sebastián Aguilar, Arcivescovo emerito di Pamplona; Mons. Kelvin Edward Felix, Arcivescovo emerito di Castries, nelle Antille. Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché rivestiti delle virtù e dei sentimenti del Signore Gesù, Buon Pastore, possano aiutare più efficacemente il Vescovo di Roma nel suo servizio alla Chiesa universale.! PAPA FRANCESCO DOMENICA 12 GENNAIO 2014 - ANGELUS
La trasformazione missionaria della Chiesa Questa è la priorità di BARBARA CASTELLI Papa Francesco, sin dai primi mesi del suo pontificato, sembra aver toccato il cuore dell’uomo bisognoso di miseCENTRO TELEVISIVO VATICANO ricordia e comprensione pastorale. Anche dal punto di Intervista al Card. Pietro Parolin Segretario di Stato vista della diplomazia, possiamo annotare pagine nuove di storia per la Santa Sede? a priorità è la trasformazione missionaria della Sì: direi che ogni giorno si scrivono pagine nuove con la Chiesa»: è quanto ha affermato il Cardinale Pie- storia della diplomazia della Santa Sede, pagine nuove che tro Parolin, Segretario di Stato, creato da Papa si aggiungono alle pagine del passato: vorrei ricordare in Francesco Cardinale di Santa Romana Chiesa nel Conci- questo contesto l’anniversario centenario, che cade questoro del 22 febbraio 2014, nella sua prima intervista rila- st’anno, dell’inizio della Prima Guerra mondiale – il Papa sciata all’inizio del nuovo anno. «La diplomazia umana – vi ha fatto riferimento durante il discorso al Corpo Diploha rilevato – promuova la cultura dell’incontro». matico, il 13 gennaio 2014. Una pagine evidentemente gloriosa, se si pensa all’immensa opera compiuta da Benedetto A pochi mesi dalla nomina, quali sono le sue impressioni XV per fermare quella che lui chiamava “l’inutile strage”. da Segretario di Stato e quali sono le sue priorità? Ecco, per quanto riguarda le nuove pagine io direi che Ho incominciato nel novembre 2013, quindi sono più o vanno sottolineati, prima di tutto, i numerosi incontri che meno solo alcuni mesi che mi trovo in questo incarico. Po- in questi primi mesi del Pontificato ci sono stati con capi trei dire che si tratta ancora della fase di avvio, una fase di Stato, con capi di governo, con responsabili delle orgadedicata soprattutto allo studio, alla conoscenza e all’ap- nizzazioni internazionali, desiderosi di incontrare Papa profondimento dei vari problemi attraverso la documen- Francesco e di confrontarsi con lui sui grandi problemi, sui tazione e soprattutto attraverso l’incontro con le persone. grandi temi e sulle grandi sfide del’umanità. E poi, vorrei Ecco, mi rendo conto che si tratta di un servizio molto im- ricordare in modo particolare – credo che sia imprescinpegnativo, di un servizio molto esigente e pieno di respon- dibile farlo – la Giornata di preghiera e di digiuno per la sabilità. Ma vorrei sottolineare che si tratta soprattutto di pace in Siria: questa è stata una pagina veramente imporun servizio molto appassionante in questa nuova stagione tante nell’attività della diplomazia, impulsata dal Santo della Chiesa, inaugurata dal pontificato di Papa Francesco. Padre stesso, che in fin dei conti ha espresso proprio la E, per quanto riguarda le priorità, come segretario di Stato, forza morale dell’attività della Chiesa; il Papa che ha saputo primo e diretto collaboratore del Papa, non possono essere raccogliere e interpretare il grido di pace che sale dalla altro che le priorità del Papa, quelle priorità sulle quali ha martoriata popolazione siriana e che sale da ogni cuore deinsistito fin dai primi giorni del suo pontificato e che poi sideroso di vivere in maniera umana, in maniera solidale ha raccolto in maniera più organica nella “Evangelii Gau- la sua vicenda. E quindi, ha saputo interpretarlo e tradurlo dium”. Direi che la priorità è la trasformazione missionaria in un grande movimento che ha portato anche i suoi frutti, della Chiesa: una Chiesa in uscita, come dice lui, una dando esempio di una forza morale, di una forza spirituale Chiesa in stato permanente di missione. E questa caratte- che è un po’ quello che la Santa Sede testimonia nei conristica, questo rinnovamento ecclesiale, questa conversione fronti delle sue relazioni con gli Stati. pastorale, deve riguardare tutte le strutture della Chiesa, e deve riguardare anche la Curia Romana e deve riguardare Parlando di diplomazia, Papa Francesco utilizza i termini anche la diplomazia ecclesiastica che sono un po’ i due am- “etica della solidarietà” e “utopia del bene”. Qual è un suo biti principali in cui si colloca l’attività del segretario di commento? Stato. Poi vorrei dice che spero si possa fare tutto con il Il Papa si costituisce, in questo caso, un po’ come la cocuore: che riusciamo veramente a fare tutto per il Signore scienza morale dell’umanità. E mi pare, riprendendo un e che facendo così, riusciamo a toccare il cuore delle per- po’ l’affermazione che facevo prima, come questo richiamo sone. che egli fa sia un richiamo che venga ascoltato, anche da GIORNALISTA RADIO VATICANA
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parte delle Cancellerie, da parte dei Governi. Il fatto che molti capi di Stato e di Governo vengano qui significa, appunto, che c’è un’attenzione speciale a tutto quello che il Papa dice e a tutto che il Papa fa. E io credo che anche a livello di diplomazia. Io vorrei sottolineare questo: a volte sembra che gli appelli del Papa non trovino una risposta immediata; però, voglio dire che c’è anche un grande desiderio di bene, c’è anche un grande sforzo per costruire veramente la pace nel mondo. Penso, per esempio, allo sforzo della diplomazia multilaterale, nel campo dei diritti umani, per salvaguardare i diritti umani; nel campo del disarmo, per evitare una tragedia nucleare; nel campo delle regole del commercio, nel campo dell’ambiente … Ecco, credo che questi richiami del Papa – che d’altra parte sono sempre stati caratterizzanti l’attività dei pontefici, anche in passato – trovino un accoglienza e lentamente si facciano strada nella coscienza e nell’attività dell’umanità. La diplomazia dovrebbe unire non solo i popoli, ma anche le persone. Quali sono – a suo avviso – i principi fondamentali che dovrebbero essere alla base di quella che possiamo definire una “diplomazia umana”? La diplomazia deve essere umana. Quindi, credo che debba avere al suo centro la persona umana: il primo principio mi pare questo. E vorrei dire che Papa Francesco ci spinge a considerare questa centralità della persona umana non in maniera astratta – l’uomo come tale – ma ogni singolo uomo, ogni singola persona deve essere al centro della nostra azione, soprattutto le persone dei poveri, le persone degli emarginati, le persone dei deboli, le persone più vulnerabili, le persone che non hanno voce. Io direi che il principio – la centralità della persona – debba essere lo sforzo di fare della diplomazia una strada per l’incontro: anche qui, il Papa sottolinea molto la dimensione della cultura dell’incontro, quindi l’uscire dall’isolamento e incontrarsi, perché solamente incontrandosi ci si può capire, ci si può accettare e si può collaborare. Un secondo aspetto è la solidarietà e il terzo aspetto è prendersi a cuore le situazione degli altri, contro questa cultura dell’indifferenza che il Papa continua a denunciare. Prendersi a cuore, ancora una volta, le singole persone e le loro situazioni di sofferenza. In fin dei conti, potremmo dire che il principio di una diplomazia umana è l’amore, è l’attenzione alla persona, l’amore per ciascun essere umano che viene in questo mondo”.
In un contesto internazionale, quale apporto specifico può fornire la diplomazia vaticana? Può aiutare ad allargare gli orizzonti del dialogo e della mutua comprensione? Sì, certamente. Credo che questo sia il nostro compito, questo è sempre stato il compito della diplomazia vaticana. In questo momento, in cui ci sono tanti conflitti, in cui il mondo vive tante lacerazioni e tante contrapposizioni, io credo che siamo chiamati più che mai a promuovere e a consolidare questo incontro, questo dialogo e questo rispetto gli uni degli altri. Io credo che una delle sfide principali del mondo di oggi, quando le diversità si sono ravvicinate e si sono incontrate e possono dare origine a scontri, a conflitti, ecco, la grande sfida – anche della diplomazia ecclesiastica, come di tutte le diplomazie – è fare sì che queste differenze e queste diversità – che possono essere politiche, culturali, religiose – non diventino motivo di contrapposizione e di lotta, ma di arricchimento reciproco. Trovare la strada proprio per poterci arricchire con le nostre diversità. E questo mi pare che sia il compito della diplomazia in genere, e della diplomazia vaticana in particolare. Quali sono le aree geografiche nelle quali la Santa Sede deve investire maggiormente, e quali sono i traguardi di questi ultimi anni che possiamo enumerare? Come padre e pastore della Chiesa universale, Papa Francesco ha a cuore tutte le situazioni: in qualsiasi parte del mondo ci siano difficoltà e sofferenze e contrasti, il Papa là è presente con il suo cuore di rappresentante del Signore. Direi che per quanto riguarda l’Europa, mi pare che questa sia un’area che merita attenzione, soprattutto per quello che concerne la costruzione di una Casa europea: mi pare molto importante questo; dove la Chiesa possa dare un suo contributo perché ci sia un’animazione di valori, e questa Casa non sia soltanto una costruzione politica o economica, ma sia una costruzione e una condivisione di valori profondi che stanno nell’anima dell’Europa e che furono un po’ i motivi ispiratori dei Padri dell’Europa. Però, certo, oggi l’attenzione si sposta soprattutto nel Sud del mondo, ed allora ecco l’attenzione a quelle realtà del Sud del mondo dove esistono conflitti e dove il primo impegno è proprio quello di aiutare a ritrovare la pace, una pace che sia la base, il fondamento – anche – per uno sviluppo umano integrale.
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PAPA FRANCESCO «Non cesso di sperare che abbia finalmente termine il conflitto in Siria. La sollecitudine per quella cara popolazione e il desiderio di scongiurare l’aggravarsi della violenza mi hanno portato, nel settembre scorso, a indire una giornata di digiuno e di preghiera. Attraverso di Voi ringrazio di vero cuore quanti nei Vostri Paesi, Autorità pubbliche e persone di buona volontà, si sono associati a tale iniziativa. Occorre ora una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto. In tale prospettiva, auspico che la Conferenza “Ginevra 2”, convocata per il 22 gennaio, segni l’inizio del desiderato cammino di pacificazione. Nello stesso tempo, è imprescindibile il pieno rispetto del diritto umanitario. Non si può accettare che venga colpita la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini. Incoraggio, inoltre, tutti a favorire e a garantire, in ogni modo possibile, la necessaria e urgente assistenza di gran parte della popolazione, senza dimenticare l’encomiabile sforzo di quei Paesi, soprattutto il Libano e la Giordania, che con generosità hanno accolto nel proprio territorio i numerosi profughi siriani». AL CORPO DIPLOMATICO PRESSO LA SANTA SEDE 13 GENNAIO 2014
Pontificium Consilium Pro Familia
18 – 19 gennaio 2014, per la prima volta nei campi di calcio di serie A Pontificio Consiglio per la Famiglia e Caritas Italiana con Lega Calcio Serie A Il 22 gennaio 2014 si aprirà a Ginevra la nuova sessione di negoziati sulla Siria: un evento e un’opportunità unica per trasformare i venti di guerra in venti di pace. Papa Francesco, nel Discorso di lunedì 13 gennaio al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, sottolineando che “occorre ora una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto”, ha auspicato che tale Conferenza “segni l’inizio del desiderato cammino di pacificazione”, aggiungendo poi che è “imprescindibile il pieno rispetto del diritto umanitario” e “non si può accettare che venga colpita la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini”. Il Santo Padre ha anche esortato tutti “a favorire e a garantire, in ogni modo possibile, la necessaria e
urgente assistenza di gran parte della popolazione, senza dimenticare l’encomiabile sforzo di quei Paesi, soprattutto il Libano e la Giordania, che con generosità hanno accolto nel proprio territorio i numerosi profughi siriani”. Egli stesso si recherà in Medio Oriente nel prossimo maggio per sostenere ogni sforzo per la pace in quella martoriata regione. Il Pontificio Consiglio per la Famiglia e Caritas Italiana rilanciano dunque con forza questo appello e chiedono la fine del conflitto in Siria, che ha causato un numero altissimo di vittime, milioni di profughi in tutti i paesi limitrofi, oltre un milione di famiglie distrutte. Due i messaggi forti: educare alla pace, globalizzare la solidarietà per costruire una cultura di pace ed esprimere vicinanza a chi soffre. Accanto all’impegno per porre fine al conflitto, proseguono infatti gli aiuti concreti alla popolazione colpita. In occasione del Pellegrinaggio mondiale delle Famiglie alla Tomba
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di San Pietro (26 e 27 ottobre 2013), il Pontificio Consiglio per la Famiglia in collaborazione con Caritas Italiana a sostegno degli interventi di Caritas Siria aveva già lanciato l’iniziativa di solidarietà: “Le famiglie del mondo per le famiglie della Siria”. Il progetto, che ha la durata di un anno, prevede la fornitura di aiuti umanitari alle famiglie siriane in difficoltà, e prioritariamente con bambini; la realizzazione di alloggi temporanei per le famiglie sfollate; l’assistenza medico�sanitaria a malati, bambini e anziani. I beneficiari del progetto sono circa 5.400 famiglie siriane (oltre 20.000 persone). La Lega Calcio Serie A, con il sostegno del CONI, ha deciso di aderire all’iniziativa del Pontificio Consiglio per la Famiglia e di Caritas Italiana, autorizzando per la prima giornata di ritorno, 18 e 19 gennaio 2014, negli stadi dei dieci club ospitanti (Atalanta, Bologna, Catania, Chievo Verona, Genoa, Juventus, Milan, Sassuolo, Roma, Udinese),
PAPA FRANCESCO «Rimanendo nel Medio Oriente, noto con preoccupazione le tensioni che in diversi modi colpiscono la Regione. Guardo con particolare preoccupazione al protrarsi delle difficoltà politiche in Libano, dove un clima di rinnovata collaborazione fra le diverse istanze della società civile e le forze politiche è quanto mai indispensabile per evitare l’acuirsi di contrasti che possono minare la stabilità del Paese. Penso anche all’Egitto, bisognoso di una ritrovata concordia sociale, come pure all’Iraq, che stenta a giungere all’auspicata pace e stabilità. In pari tempo, rilevo con soddisfazione i significativi progressi compiuti nel dialogo tra l’Iran ed il “Gruppo 5+1” sulla questione nucleare». AL CORPO DIPLOMATICO PRESSO LA SANTA SEDE 13 GENNAIO 2014
l’esposizione al centro del campo di uno striscione con la scritta “Venti di pace per le famiglie della Siria” e in contemporanea sui maxischermi sarà trasmesso uno spot di Federico Fazzuoli e Elisa Greco con immagini dei campi profughi libanesi
41% disoccupati Sono i giovani della Striscia rimasti senza lavoro a seguito della chiusura dei tunnel da parte egiziana
Il mondo dello sport non dimentica situazioni dolorose che colpiscono, in Siria, come in altre parti del mondo, troppi innocenti: la partita della pace si può vincere insieme, con l’impegno di ognuno.
Un chiaro segnale di come eventi quotidiani possono alimentare VENTI DI PACE.
Per informazioni/donazioni: www.family.va – www.caritas.it
1,1 milioni Gli abitanti della Striscia di Gaza (su 1,7 ml) assistiti dall’Agenzia Onu per i rifiugiati
Alla ricerca delle pietre vive da Gerusalemme
CARLO E MARIA CARLA VOLPINI NOSTRI INVIATI
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ome coppia responsabile del Movimento Equipes Notre Dame1, abbiamo da sempre vissuto il nostro servizio non solo cercando di svolgere con dedizione e responsabilità gli impegni e le scelte che questo ha comportato, ma soprattutto cercando di stabilire un contatto autentico con le persone che ci sono state affidate per questo tempo della nostra vita2. Questo ci ha portato a non rimanere al tavolo del nostro ufficio ma a visitare e conoscere tante delle coppie e delle famiglie che vivono nei molti Paesi dove il Movimento è presente: Europa, Australia, Argentina, Libano, Siria, Canada, Brasile, Africa... un patrimonio immenso di conoscenze, e soprattutto di incontri, che hanno dilatato senza fine i confini della nostra mente e del nostro spirito. Tuttavia la Terra Santa non ha mai costituito, in tutti questi anni, meta di un nostro viaggio e abbiamo così conservato nel cuore questo desiderio ponendolo come obiettivo della fine del nostro servizio: un compimento di un periodo della vita, il voler porre nelle mani di Dio quanto ci era stato donato e quanto eravamo riusciti a fare in questi anni. I mesi che hanno seguito la fine del nostro servizio internazionale sono stati, però, un susseguirsi di grandi e inaspettati dolori: lutti familiari molto gravi e soprattutto l’incontro personale con una malattia importante che ha sconvolto ogni nostro progetto. Durante tutto l’anno il pensiero del viaggio in terra santa ci ha “tenuto compagnia”, dando forma ai nostri stessi sentimenti più profondi, primi fra tutti la paura di non farcela alternata alla speranza, invece, di realizzare questo progetto così a lungo accarezzato. Il giorno prima della partenza, nel pomeriggio, eravamo ancora una volta dal medico per improvvise complicazioni, spaventati certo ma incredibilmente fiduciosi che il giorno dopo saremmo partiti per la Terra Santa. E, infatti, finalmente alle nove di sera abbiamo cominciato a preparare la valigia e il viaggio è diventato non più una speranza e un desiderio ma una realtà. Mentre cercavamo di fare ordine tra le cose da portare, sentivamo l’emozione crescere fino a riempirci il cuore. Dopo aver girato mezzo mondo, fatto e disfatto valigie in ogni ora del giorno e della notte e nei luoghi più sperduti del mondo, ora nella
2% in terra Santa Su una popolazione di circa 13 milioni ci sono circa 250 mila cristiani di tutte le confessioni
nostra camera da letto fare la valigia aveva un sapore tutto speciale: questa era la valigia per la Terra Santa! Terra Santa, terra di contraddizioni La Terra Santa è, per eccellenza, il luogo delle contraddizioni: una terra, due popoli, tre religioni, in un eterno scontro e conflitto che sembra non trovare mai fine. Forse perché rappresenta il conflitto eterno dell’uomo con se stesso e con Dio: l’affermazione della propria individualità e il bisogno dell’Assoluto, la tentazione dell’onnipotenza di ogni popolo e la povertà di ogni singolo uomo che ha l’esigenza di sentirsi radicato in una terra, la Torre di Babele simbolo della confusione e della incomunicabilità e la Torre di Babele simbolo della infinita differenza dell’umanità che è ricchezza e immagine plurale di Dio. Quando si arriva in Terra Santa si avverte immediatamente di essere immersi in questa realtà “diversa” dove tutto è segno di questa contraddizione della storia e dell’umanità, dove tuttavia ognuno sente di essere al suo posto, perché questa è la terra del Figlio di Dio che si è fatto Uomo e, quindi, è anche la terra di ogni uomo. “La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini!” (Lv, 25,23.) I luoghi mille volte immaginati, conosciuti e diventati quasi familiari perché mille volte ricordati attraverso i Vangeli, questi luoghi abitati, calpestati, respirati da Gesù, diventano realtà concreta sotto i nostri occhi e sotto i nostri piedi: Betlemme, Nazareth, Cafarnao, Gerico, Geru14
HA DETTO Il rabbino Rosen: il viaggio del Papa in Terra Santa porterà frutti di comunione, di speranza e di pace Papa Francesco è amato e in Israele sono già tutti entusiasti della sua visita. Da questa terra amata e benedetta, lancerà un messaggio d’amore che altro non è che il messaggio cristiano e il messaggio dell’ebraismo. Lo ha detto il rabbino David Rosen, direttore internazionale degli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee, dopo l’incontro di giovedì 13 febbraio con il Santo Padre e con 55 membri dell’organizzazione che, negli anni, ha dato un importante contributo al dialogo tra ebrei e cristiani. Rosen, nel corso dell’incontro svoltosi presso la stampa della radio vaticana, ha detto tra l’altro: "Anche chi non ha che fare con la Chiesa Cattolica, anche chi non ha nulla a che fare con la fede, resta affascinato dalla sua presenza, dal suo essere. Ci siamo sentiti accolti come persone di famiglia. L’imminente viaggio in Terra Santa, porterà frutti di comunione, di speranza e di pace”. “Mi piacerebbe che questa visita fosse più lunga, ma l’accoglienza positiva è garantita a causa di questo incredibile carisma di cui gli è stato fatto dono. Tutti sono in sua attesa, e tutti sapranno che il Papa parla a loro e che è con loro, il che è di enorme importanza soprattutto nella zona di conflitto della Terra Santa. “Purtroppo- ha proseguito - l’antisemitismo è un virus molto resistente e continua a esistere, in alcune zone addirittura diventa più forte, ma la realtà è che molto spesso oggi i cristiani sperimentano qualcosa di simile: ci sono posti dove non possono apertamente manifestarsi come cristiani, e questo può dipendere da un sentimento antireligioso in generale, o da un fondamentalismo religioso che non consente di professare altra tradizione religiosa, e questo è ciò che accade in diverse parti del mondo. E, dato che entrambi sperimentiamo questo fenomeno, questo ci obbliga ancor di più a lavorare insieme contro qualsiasi restrizione o minaccia alla libertà religiosa. Alla domanda: “Qual è lo stato di salute del dialogo tra cattolici ed ebrei?”, il rabbino Rosen ha così risposto:” Diventa sempre più sano. Così come voltiamo le spalle al tragico passato e riscopriamo la nostra fraternità e sorellanza, anche se ci sono differenze che non interpretiamo esattamente nello stesso modo, come ha detto il filosofo Martin Buber: abbiamo un libro in comune e non è piccola cosa. Ancora dobbiamo conoscere molto l'uno dell'altro, dobbiamo approfondire la nostra conoscenza reciproca, e lavorare insieme per i valori in cui crediamo e che condividiamo”.
12 mila a Betlemme Su una popolazione totale di 40 mila. Nel 1964 erano 6 mila su una popolazione di 8 mila
salemme, il monte Tabor e il Monte delle Beatitudini, il Monte degli Ulivi e il Monte Sion, il Getsemani, il Tempio, il Cenacolo, il Santo Sepolcro. Il deserto di Giuda... In ognuno di essi, insieme al sentimento e all’emozione che rievocano, riesce a delinearsi la storia della nostra fede che ha le sue tappe anche nel percorso terreno e storico di Gesù, ogni luogo fa riemergere una pagina del Vangelo, ogni luogo richiama al cuore una Parola di Dio… e ti accorgi che la Buona Novella di cui si è nutrita la nostra fede è ancora oggi, più che mai, una linfa vitale per la nostra vita quotidiana. C’è però un luogo che, a nostro avviso, è la sintesi di tutte le emozioni, di tutti pensieri e di tutti i sentimenti che un viaggio in Terra Santa può regalare: il lago di Tiberiade. Arriviamo a Tiberiade nel primo pomeriggio, la giornata è serena, appena offuscata da una leggerissima foschia che la rende quasi più eterea, l’acqua è solo un po’ imbronciata e alterna i colori del grigio, dell’azzurro e del verde secondo il gioco che le nubi fanno con il sole. In giro pochissimi turisti, gli ultimi eventi socio-politici li hanno allontanati da questi luoghi, e possiamo prendere la barca in totale solitudine. All’inizio solo il vociare allegro e spensierato del nostro gruppo di amici, poi piano piano il silenzio prende il suo spazio perché ognuno sente di rivivere l’esperienza vissuta dagli apostoli dell’essere insieme a Gesù. La lettura del brano di Matteo (14, 24-32) ci porta indietro nel tempo, anzi annulla ogni distanza temporale: “La barca
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Il Patriarca Twal difendere i palestinesi non vuol dire essere contro Israele
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problemi e i conflitti tra israeliani e palestinesi avranno termine solo quando si riconoscerà il ruolo cruciale delle religioni nel processo di pace, perché “non possiamo pretendere di trovare una soluzione senza tenere in conto la dimensione spirituale di questa terra”. Così il patriarca di Gerusalemme dei Latini Fouad Twal si è rivolto al funzionario statunitense Shaun Casey nel corso dei colloquii sul contributo decisivo che le comunità religiose sono chiamate a offrire per la pace in Terra Santa. Casey - riferisce l'agenzia Fides - dirige l'Office of faith-based Community Initiatives, organismo connesso al Dipartimento di Stato Usa e istituito dal Segretario di Stato John Kerry con la mission di rinnovare e di rafforzare il ruolo delle comunità religiose nella politica estera degli Stati Uniti. Nel colloquio – i cui contenuti sono stati diffusi dalle fonti del Patriarcato latino di Gerusalemme - sia l'inviato Usa che il patriarca hanno espresso grandi aspettative per la visita di papa Francesco in Terra Santa. Casey ha ribadito che la protezione dei cristiani e la libertà di culto e di accesso ai Luoghi Santi sono al centro della sollecitudine per la Terra Santa condivisa sia dalla Santa Sede che dagli Stati Uniti. In particolare, l'attuale Segretario di Stato Usa – ha assicurato Casey - “è consapevole del potere della fede nel processo di pace” e si è mostrato “attento alle inquietudini dei cristiani di Terra Santa”. Si propone di gettare le grandi linee di un accordo tra le parti prima della visita papale. “Di certo” - ha aggiunto Casey - “le dichiarazioni del Papa in occasione del suo prossimo viaggio saranno importanti per aiutare i due popoli a procedere in questa direzione”. Dal canto suo, il patriarca ha avuto espressioni di apprezzamento per la creazione dell'Ufficio per le iniziative confessionali, percepito come un riconoscimento concreto del ruolo cruciale giocato dalle comunità religiose nei processi di pace. A giudizio del patriarca Twal Gerusalemme deve rimanere “una città aperta per i due popoli e le tre religioni”. Nella conversazione, ambedue gli interlocutori hanno sottolineato i benefici che la pace porterebbe anche a Israele. “Difendere i palestinesi” - ha affermato il patriarca - “non significa essere contro Israele”. “Tutti devono rendersi conto di quanto la pace sarebbe benefica per le due parti non solamente per i diritti dell'uomo, ma - ha aggiunto Casey- anche dal punto di vista economico”.
intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!». Gesù è stato a lungo sulle sponde di questo lago chiamato anche mare di Galilea, ha predicato nei villaggi, ha solcato le onde con le barche dei pescatori. In queste acque Pietro e i discepoli hanno gettato tante volte le reti. Spesso, in barca, hanno avuto paura quando, all’improvviso, la calma quasi irreale del lago, lasciava il posto ad onde alte e rabbiose, spinte dal vento. Dalla calma alla tempesta, da una tranquilla navigazione ad una paurosa avventura.
L’avventura dei discepoli è l’avventura di ogni uomo: è l’esperienza della notte, dei dubbi, delle grandi domande senza risposta, una notte che sembra non terminare mai, quando sembra di essere sospesi sull’abisso agitato che vuole inghiottirci, scossi dalle onde che mettono in crisi le nostre certezze, con la fatica di arrivare all’altra riva! E’ la fede alla prova dell’esistenza ed è la prova dell’esistenza della fede. L’indicazione del testo evangelico è preziosa: bisogna imparare a camminare sul mare: fa parte di ogni autentica storia umana. Come la paura e lo spavento. Ci viene detto però che la barca, nonostante tutto, anche quando il vento della vita pare contrario, regge. Nella fatica Gesù ci chiama ad avere fiducia e ad imparare a dire con il cuore e con la vita: “Signore salvami”. Se guardo Gesù, cammino, se guardo le mie paure sprofondo. Non si vince la morte se non affidandosi a lui nella sua morte. “Coraggio, sono io. Non abbiate paura”3. Ci lasciamo andare ad una meditazione silenziosa sulle paure che ci accompagnano quotidianamente, sul buio che a volte sperimentiamo, sulla nostra incapacità di affidarci davvero al Signore come Lui stesso ci ha invitato a fare. Entriamo nel profondo di noi stessi: luogo senza nascondigli e senza ripari.
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Contraddizioni viventi noi stessi: abbiamo bisogno di Lui, Lo preghiamo e non sappiamo abbandonarci a Lui. Una barca sul lago di Tiberiade, uomini e donne con le loro paure, con i loro affanni, con le loro speranze. Oggi come ieri. Cantiamo sottovoce “Nada te turbe, solo Dio basta..” e il ritornello ripetuto più volte rinfranca il nostro animo come una nenia di cui sentiamo tutta la dolcezza perché ci riporta bambini. «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!». E la paura, almeno per oggi, lascia il posto alla fiducia piena. I nostri occhi sorridono, il respiro è leggero: nada te turbe, solo Dio basta . Queste sono solo alcune delle pietre “di pietra” che i nostri piedi hanno calpestato a volte con passo spedito, altre con passo incerto, affaticato, come forse tante volte ha fatto Gesù, le pietre “di pietra” sulle quali i nostri occhi si sono posati abbracciando l’orizzonte come forse tante volte ha fatto Gesù. E il miracolo si ripete nel cuore: Gesù accompagna il nostro cammino. Ma altre pietre costituiscono il fondamento della Terra Santa di oggi: pietre viventi che danno significato e spessore al messaggio evangelico per gli uomini del nostro tempo. Ne abbiamo incontrate diverse lungo il nostro viaggio: sono uomini e donne che hanno scelto di fare della loro vita semplicemente e totalmente un messaggio di pace e di amore, restando su questa terra che ha respirato il messaggio per eccellenza di amore di pace. Ci portiamo nel cuore padre Pierluigi Pizzaballa, Custode della Terra Santa che con serena fermezza continua ogni giorno ad intessere un dialogo con tutte le forze presenti nel territorio; Guido, responsabile del kibbutz Lavi che ci invita al matrimonio di sua figlia e ci fa entrare nella vita quotidiana di uno dei 50 kibbutz ancora presenti sul territorio, laddove si vive “ricevendo ciascuno secondo il suo bisogno e dando secondo le sue possibilità”; fratel Marco dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld da cinque anni a Nazareth che tutte le sere dice di “abbracciare” il mondo pregando con i suoi confratelli; abuna Raed, parroco a Ramallah, che con un entusiasmo ed una energia quasi inumane ci spiega come si vive in Terra Santa, ci dice che “certo, la pace verrà” ma, prima di salutarci, ci rivolge anche il suo commovente appello: “venite, venite ancora, venite a visitarci, non lasciateci soli, questa è anche la vostra terra!. Un segno speciale, però, lo hanno lasciato alcune figure di cui ora vogliamo narrarvi, nella speranza di riuscire a condividere la profonda emozione che l’incontro con loro ha suscitato in noi.
Suor Donatella del Caritas Baby Hospital Alle sei del pomeriggio arriviamo al Caritas Baby Hospital di Betlemme e suor Donatella, delle suore elisabettiane, ci viene incontro sorridente per farci conoscere questa realtà dell’unico ospedale pediatrico di tutta la Palestina. Il Caritas Baby Hospital nasce nel 1952 dall’impegno di un medico e un’infermiera che, in una stanza completamente spoglia, proprio come la grotta che accolse la nascita del Figlio dell’Uomo, hanno cominciato ad operare per curare e salvare le vite di mille e mille bambini, innocenti vittime di una storia tanto più grande di loro. Da allora le sue porte non si sono mai chiuse ed oggi il Caritas Baby Hospital è un punto di riferimento e di speranza per tutte quelle famiglie che vivono lo strazio di vedere i loro figli colpiti da malattie o feriti dai colpi di una guerra che non fa distinzione tra soldati e bambini. E’ un luogo di arrivo del dolore quindi, ma anche un punto di partenza della speranza, nonostante le continue, a volte insormontabili difficoltà, tali da rendere più facile il trasporto di un bambino malato in Italia piuttosto che nella vicina Gerusalemme. “Lasciate che i bambini vengano a me..” Al Caritas Baby Hospital i bambini non sono ebrei, mussulmani, cristiani, arabi o israeliani, hanno un’unica identità, quella di bambini, ed hanno un unico volto, quello del Dio bambino che chiede cura e protezione. Al Caritas Baby Hospital anche i medici e gli infermieri e tutti gli operatori non sono ebrei, mussulmani, cristiani, arabi o israeliani, tutti hanno una sola identità, quella dell’essere una persona umana immagine di Dio, ed hanno un unico volto: quello del Dio Buon Pastore che si prende cura con tenerezza delle sue pecore. E a parte il servizio continuo e totale che viene offerto, tutti coloro che in qualche modo del Caritas Baby Hospital fanno parte o hanno avuto esperienza, hanno inoltre l’impegno di ritrovarsi, alle 17.30 di ogni venerdì, a recitare il rosario sotto il muro, il famoso vergognoso muro, per rendere presente a Dio Padre la sofferenza di questa Terra e per rendere visibile al mondo che insieme, uomini di popoli e religione diversa, credono nella pace e per la pace superano ogni divisione. E Suor
che ne avvolge come una spirale le pareti, il nero che ricorda il vortice del dolore nel quale migliaia di uomini, di vecchi, di donne e bambini sono stati fatti precipitare nell’indifferenza del resto dell’umanità. Poi il giallo: il colore della stella di David, impressa nel cuore di tutti gli ebrei, stella di riferimento per il loro andare; e ancora il grigio: la vita senza colore perché, come dice Hanna, “anche se il sole c’era, per noi non splendeva più e nessun sorriso accompagnava i nostri giorni”. Infine una macchia rossa: il sangue versato dai tanti morti, ma anche la scintilla mai spenta dell’affermazione della vita. Hanna parla per più di due ore e, nonostante l’orrore di quel che racconta, tutti noi che l’ascoltiamo siamo affascinati dalla lucidità con cui rievoca la sua esperienza, una lucidità che non è né fredda memoria di eventi passati, né enfasi debordante di emozioni ancora indicibili. E’ solo la condivisione di un pezzo di vita, durato per lei sette anni, vissuto nel campo di Auschwitz. È l’immagine dei nonni, della mamma e della sorellina più piccola, Magdi, che salutano lei e sua sorella più grande Ghisi, al treno che ha capolinea nel campo di concentramento, con la sicurezza di ritrovarsi a breve e che invece non vedrà mai più. È il dire, in uno spirito di verità scarna e autentica come solo la verità può esserlo, che il pensiero fisso ogni giorno, dentro il campo, era il cibo e come riuscire a trovare una briciola in più di pane per dare sollievo ai crampi dello stomaco che sembravano morsi di un cane rabbioso: “perché la fame entra nel cervello e prende tutto lo spazio”. Mentre Hanna racconta, le parole diventano immagini, scene di vita concrete, turbamenti che dilagano nel cuore… “Stavamo per arrivare alla meta del nostro viaggio, un viaggio che non sapevamo dove ci avrebbe portato, ma ci avevano detto che ci sarebbe stata per noi anche la possibilità di lavorare sul posto. Mia madre, non so come, riuscì a trovare dei fazzoletti tra le cose che in fretta e furia aveva racimolato e messo nella sua borsa quando ci avevano preso e con quelli tentò, come meglio poteva, di pulire me e mia sorella dalla sporcizia che si era accumulata sui nostri corpi durante quel trasbordo bestiale. E tolse dalla valigia dei vestiti puliti che ci ordinò di indossare. A noi tutto sembrava assurdo ma lei ci ricordò che quando ci si presenta per un lavoro bisogna essere in ordine e fare “buona impressione”. Non sapeva, povera madre mia, che invece solo nude, spogliate di ogni vestito e di ogni dignità, me e mia sorella saremmo state scrutate e valutate adatte a lavorare”. Hanna è ancora lì oggi a ricordare, a raccontare, a dare testimonianza, a combattere la tentazione dell’oblio e della dimenticanza. Ha 85 anni, di lei e delle persone come lei dicono che siano dei sopravvissuti. Non è semplicemente cosi: Hanna è una pietra vivente della consapevolezza di quanto e di come l’uomo può arrivare al fondo più impensabile del male ma anche alle vette, ancora più impensa-
Donatella, dopo aver condiviso questa esperienza di dolore e di speranza, rivolge anche a noi l’invito ad unirci e sentirci presenti, anche con una sola Ave Maria, in questo appuntamento di preghiera ai piedi del muro. Oggi il Caritas Baby Hospital è una struttura moderna ed accogliente, che vive soprattutto del contributo finanziario che misteriosamente arriva da ogni parte del mondo. Pietre solide e stabili che non temono il rombo dei colpi di fucile e delle bombe. Ma anche pietre vive di tutti coloro che rendono ogni giorno testimonianza forte che si può proteggere la vita al di là di ogni scelta di morte e che si può fare della propria vita una scelta di servizio a favore di altre piccole vite, quelle dei più piccoli e indifesi. Pietre vive che inseguono la pace non solo parlando e invocando la pace ma lavorando per essa e costruendola fianco a fianco ogni giorno. Pietre vive ancora più forti e parlanti delle pietre del muro! Hanna Weiss a Nazareth Hill È una donna minuta, quasi trasparente in un corpo che rivela tutta la fragilità e la precarietà dei giorni vissuti, lontani nel tempo della storia, presenti nel tempo interiore della vita. Solo gli occhi azzurri sono di un’incredibile vitalità e, nella loro chiarezza e luminosità, danno luce alle sue parole, ai suoi gesti, al suo racconto. Hanna vive oggi a Nazareth Hill, in un luogo-museo costruito e voluto per non dimenticare la Shoah, l’abisso del male nel quale l’umanità è scivolata, quasi senza accorgersene, nel tempo dell’olocausto e dello sterminio del popolo ebraico. Hanna, dopo anni vissuti in America e in Europa, è voluta tornare proprio in questa terra che il popolo ebraico sente come sua patria, terra martoriata ancora oggi come ieri e come sempre, per farsi custode di questa memoria e questa storia millenaria che ancora non ha trovato il suo epilogo. All’entrata del parco-museo dove Hanna risiede ci si presenta una strana costruzione, quasi un monumento, di cui subito non si afferra il significato ma che, al contrario, riesce, attraverso i simboli che contiene, ad esprimere la sintesi oscura di quel tempo malvagio. Prima di tutto il nero 18
bili, della condivisione, della solidarietà e dell’amore per la vita. L’uomo immagine di Dio, come Dio, non può piegarsi e lasciarsi sopraffare dal male ma, nei modi e nelle forme più misteriose, riesce comunque a far emergere e affermare la priorità dell’amore, riflesso del Dio eternamente presente e vivente.
io creo per voi cielo nuovo e terra nuova” (Isaia 65, 17). E da allora questi due uomini continuano ad incontrarsi tra loro e ad incontrare altri che vogliono ascoltare la loro tragica esperienza, vanno nelle scuole e dovunque ci sia qualcuno disposto ad ascoltarli. Quasi mille incontri l’anno e ogni volta a raccontare di se stessi e della loro vita più volte stravolta. L’obiettivo di oggi è far capire che odio e vendetta possono solo continuare all’infinito ad autoalimentarsi senza mai condurre a porti di saturazione e l’unica alternativa possibile è solo invertire la marcia e convertirsi verso un cammino di pace. Da allora il padre israeliano e il padre palestinese, il credente ebreo e il credente musulmano sono solo due padri feriti a morte nella morte dei loro figli e che per i loro figli hanno scelto di aderire all’associazione, “Parents circle” che conta ora quasi milleseicento membri: altri padri e altre madri israeliani e palestinesi, che hanno vissuto la loro stessa drammatica esperienza e che hanno saputo con coraggio voltare le spalle all’odio per cercare nuovi sentieri di cammino e di senso della vita. Anche loro, come gli altri, pietre vive e itineranti che sulla terra di Dio gettano semi di speranza e di pace. Pietre vive che costruiscono una nuova Gerusalemme, una nuova Terra Santa, costruttori infaticabili della ricomposizione di ogni conflitto, anche quello che nasce dal dolore più sconvolgente quale può essere la morte di un figlio per mano di uno sconosciuto nemico. Pietre vive e itineranti che percorrono una terra ancora bagnata di sangue e percossa da ferite laceranti, spargendovi una nuova semente di coraggio, di desiderio di pace, di annullamento di ogni possibile divisione. E fiorirà il deserto sulla terra arida. Queste donne e questi uomini che abbiamo incontrato durante il nostro viaggio sono state le pietre vive che hanno reso più stabile il nostro passo sul cammino della fede, pietre vive che hanno riacceso i nostri sogni di pace, insegnandoci che, come loro, bisogna continuare sempre a sognare perché questo ci obbliga a guardare al futuro chiamandoci ad un impegno nel presente.
Parent's Circle4: i due padri I due uomini sono seduti l’uno accanto all’altro ad un tavolo, i volti seri ma sereni, le mani incrociate appoggiate al tavolo, le loro spalle quasi si toccano, ogni tanto si guardano e si dicono sottovoce qualcosa. L’atmosfera è particolare: un misto di interesse, curiosità, rispetto e desiderio vivo di ascolto perché ci è stato detto che questi due uomini rappresentano una vera rivoluzione del Medioriente. Quando iniziano a parlare il silenzio si fa colmo di attesa: uno dei due è palestinese, l’altro israeliano: la loro storia, la loro fede, la loro vita ha creato tra loro solchi profondi di distanza, di divisione, di contrapposizione e di odio fino a quando.. Fino a quando un evento tragico ha costruito per loro un comune denominatore: sono divenuti due padri che hanno perso i loro figli in attentati terroristi dell’uno e dell’altro schieramento di guerra. Rievocano con commozione profonda il giorno in cui sono morti le loro figlie, uno ancora una bambina di soli dieci anni, l’altra appena adolescente di sedici; ce le fanno vedere davanti ai nostri occhi correre, giocare, andare a scuola, andare in bicicletta, fare i capricci per andare a dormire la sera.. come tutti i figli del mondo. E poi, in un giorno straordinariamente normale della loro vita, ce le fanno vedere a terra dilaniate da una bomba, in un lago di sangue…mai più correre, giocare, andare a scuola, fare i capricci….mai più stringerle al collo e riempirle di baci. Mai più. Nel cuore di questi padri l’odio cresce a dismisura, in un desiderio rabbioso di vendetta che non conosce sosta né giorno né notte, un odio che riempie ogni loro pensiero, ogni vena del loro corpo, che articola le loro parole, che guida i loro gesti, odio e vendetta, odio e vendetta, odio e vendetta…Raccontano con parole quasi neutre per quanto tempo si sono nutriti di questi sterili sentimenti senza mai riuscire a trovare pace. Fino a quando… c’è un altro fino a quando che sconvolge di nuovo le loro esistenze ridotte a brandelli di vita senza senso. Fino a quando si conoscono, invitati ad un incontro-confronto sulla loro tragica esperienza, invito che entrambi accolgono al solo scopo di fare proseliti del loro odio e del loro obiettivo di alimentare desideri di vendetta. Ma “il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”5 e il loro incontrarsi di quella sera, il loro reciproco riconoscere l’abisso del proprio dolore nel cuore del “nemico”, il loro reciproco leggere l’uno negli occhi nell’altro la sete di vendetta inutilmente cercata e mai saziata, ha inspiegabilmente e incredibilmente generato una cosa nuova : “ecco
NOTE Equipes Notre Dame, Movimento di spiritualità coniugale nato in Francia nel 1939 e attualmente diffuso in 70 Paesi del mondo. Conta l’adesione di più di 120.000 membri laici (coppie e vedovi/e) e più di 8000 sacerdoti. 2 Siamo stati membri dell’Equipe Responsabile Internazionale dal 2000 al 2006 e Coppia Responsabile Internazionale dal 2006 al 2012. 3 A.Campoleoni-D.Rocchetti, I nostri occhi hanno visto. Pellegrini in Terra Santa, Ed. Progetto , Bergamo, 1999. 4 Associazione che riunisce famiglie israeliane e palestinesi che hanno subito gravi lutti familiari a causa del conflitto, e operano per il dialogo e per la riconciliazione. 5 Blaise Pascal, Pensieri, 277. 1
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«Svegliate il mondo» Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali ANTONIO SPADARo S.I.
p. David Glenday, comboniano, Papa Francesco con semplicità ha ringraziato cordialmente per l’invito e ha subito ascoltato un primo gruppo di domande. I religiosi hanno innanzitutto interrogato il Papa sull’identità e la missione dei religiosi: «Che cosa si aspetta dalla vita consacrata? Che cosa chiede? Se lei fosse al nostro posto, come accoglierebbe il suo appello ad andare nelle periferie, a vivere il Vangelo sine glossa, la profezia evangelica? Che cosa si sentirebbe chiamato a fare?». E ancora: «Dove si dovrebbe porre l’accento oggi? Quali sono le priorità?». Papa Francesco ha cominciato col dire che anche lui è un religioso, e che dunque conosce per esperienza ciò di cui si parla2. L’ultimo Papa religioso è stato il camaldolese Gregorio XVI, eletto nel 1831. Quindi ha fatto riferimento esplicito a Benedetto XVI: «Lui ha detto che la Chiesa cresce per testimonianza, non per proselitismo. La testimonianza che può attirare veramente è quella legata ad atteggiamenti che non sono gli abituali: la generosità, il distacco, il sacrificio, il dimenticarsi di sé per occuparsi degli altri. È quella la testimonianza, il “martirio” della vita religiosa. E per la gente è un “segnale di allarme”. I religiosi, con la loro vita, dicono alla gente: “Che cosa sta succedendo?”, queste persone mi dicono qualcosa! Queste persone vanno al di là dell’orizzonte mondano! Ecco — ha proseguito il Papa, citando Benedetto XVI —, la vita religiosa deve permettere la crescita della Chiesa per la via dell’attrazione»3. Dunque «La Chiesa deve essere attrattiva. Svegliate il mondo! Siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere! È possibile vivere diversamente in questo mondo. Stiamo parlando di uno sguardo escatologico, dei valori del Regno incarnati qui, su questa terra. Si tratta di lasciare tutto per seguire il Signore. No, non voglio dire “radicale”. La radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico. Io mi attendo da voi questa testimonianza. I religiosi devono essere uomini e donne capaci di svegliare il mondo». Papa Francesco è tornato in maniera circolare sui concetti espressi, approfondendoli progressivamente. Ha proseguito infatti: «Dovete essere veramente testimoni di un modo
Ore 9,25. Aula del Sinodo in Vaticano
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uando Papa Francesco parla «a braccio» e dialoga, il suo discorso ha un ritmo ad «ondate» progressive che va seguito con cura perché si nutre della relazione viva con i suoi interlocutori. Chi prende nota deve prestare attenzione non solamente ai contenuti, ma alle dinamiche di relazione che si creano. Così è avvenuto nel colloquio che il Santo Padre ha concesso all’Unione Superiori Generali (Usg) degli Istituti religiosi maschili alla fine della loro 82a Assemblea Generale1. Seduto in mezzo a loro, ho preso nota quindi del dialogo. Cercherò qui di esprimere come possibile la ricchezza dei contenuti, mantenendo il tono del colloquio vivo e spontaneo durato tre ore. A metà, un intervallo di mezz’ora, nel quale il Papa si è soffermato a salutare personalmente i Superiori Generali, prendendo anche un mate in un clima di relax e distensione. In realtà, i Superiori avevano chiesto solamente un breve incontro di saluto, ma il Pontefice ha voluto dedicare al colloquio l’intera mattinata. Ha però deciso di non tenere alcun discorso, e di non ascoltare, a sua volta, relazioni già preparate: ha voluto un colloquio franco e libero, fatto di domande e risposte. Sono le 9,25, e l’arrivo dei fotografi annuncia il suo ingresso imminente nell’Aula nuova del Sinodo in Vaticano, dove lo attendono circa 120 Superiori. I religiosi: peccatori e profeti Accolto da un applauso, il Santo Padre si siede alle 9,30 in punto, guarda l’orologio e si congratula per la «puntualità svizzera». Tutti ridono: il Papa in questo modo ha voluto salutare fr. Mauro Jöhri, ministro generale dei Frati minori cappuccini, di nazionalità svizzera, appena eletto vicepresidente della stessa Unione. Dopo le brevi parole di saluto del presidente, p. Adolfo Nicolás, preposito generale dei gesuiti, e del segretario generale, 20
diverso di fare e di comportarvi. Ma nella vita è difficile che tutto sia chiaro, preciso, disegnato in maniera netta. La vita è complessa, è fatta di grazia e di peccato. Se uno non pecca, non è uomo. Tutti sbagliamo e dobbiamo riconoscere la nostra debolezza. Un religioso che si riconosce debole e peccatore non contraddice la testimonianza che è chiamato a dare, ma anzi la rafforza, e questo fa bene a tutti. Ciò che mi aspetto è dunque la testimonianza. Desidero dai religiosi questa testimonianza speciale».
questa lettera p. Arrupe parlava della povertà e diceva che è necessario un tempo di contatto reale con i poveri. Per me questo è davvero importante: bisogna conoscere la realtà per esperienza, dedicare un tempo per andare in periferia per conoscere davvero la realtà e il vissuto della gente. Se questo non avviene, allora ecco che si corre il rischio di essere astratti ideologi o fondamentalisti, e questo non è sano»6. Il Papa si sofferma quindi su un caso concreto, l’apostolato giovanile: «Chi lavora con i giovani non può fermarsi a dire cose troppo ordinate e strutturate come un trattato, perché queste cose scivolano addosso ai ragazzi. C’è bisogno di un nuovo linguaggio, di un nuovo modo di dire le cose. Oggi Dio ci chiede questo: di uscire dal nido che ci contiene per essere inviati. Chi poi vive la sua consacrazione in clausura vive questa tensione interiore nella preghiera perché il Vangelo possa crescere. Il compimento del mandato evangelico “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15) si può realizzare con questa chiave ermeneutica spostata nelle periferie esistenziali e geografiche. È il modo più concreto di imitare Gesù, che è andato verso tutte le periferie. Gesù è andato verso tutti, proprio tutti. Io non mi sentirei affatto inquieto andando verso la periferia: non sentitevi inquieti nel rivolgervi a chiunque». Allora, qual è la priorità della vita consacrata? Ha risposto il Papa: «La profezia del Regno, che non è negoziabile. L’accento deve cadere nell’essere profeti, e non nel giocare ad esserlo. Naturalmente il demonio ci presenta le sue tentazioni, e questa è una di quelle: giocare a fare i profeti senza esserlo, assumerne gli atteggiamenti. Ma non si può giocare
Evitare il fondamentalismo e illuminare il futuro Proseguendo nel rispondere alle prime domande, Papa Francesco ha toccato uno dei punti chiave del suo pensiero: «Io sono convinto di una cosa: i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. È una questione ermeneutica: si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto. Per capire davvero la realtà, dobbiamo spostarci dalla posizione centrale di calma e tranquillità e dirigerci verso la zona periferica4. Stare in periferia aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici». Dunque: «Non serve essere al centro di una sfera. Per capire ci dobbiamo “scollocare”, vedere la realtà da più punti di vista differenti5. Dobbiamo abituarci a pensare. Faccio spesso rifermento a una lettera del padre Pedro Arrupe, che è stato Generale della Compagnia di Gesù. Era una lettera indirizzata ai Centros de Investigación y Acción Social (CIAS). In
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in queste cose. Io stesso ho visto cose molto tristi al riguardo. «Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata» No: i religiosi e le religiose sono uomini e donne che illu- A questo punto le domande poste hanno avuto come cenminano il futuro». Papa Francesco, nella sua intervista alla tro il tema delle vocazioni. Si sta verificando un cambiaCiviltà Cattolica, aveva chiaramente affermato che i religiosi mento profondo nella geografia umana della Chiesa e sono chiamati a una vita profetica. Questa è la loro peculia- quindi anche degli Istituti religiosi. Vanno crescendo le rità: «essere profeti che testimoniano come Gesù è vissuto vocazioni in Africa e Asia, che da sole esprimono la magsu questa terra, e che annunciano come il Regno di Dio sarà gioranza del loro numero totale. Tutto questo pone sfide nella sua perfezione. Mai un religioso deve rinunciare alla serie: l’inculturazione del carisma, il discernimento vocaprofezia. […] Pensiamo a ciò zionale e la selezione dei candidati, A volte siamo tristi per che hanno fatto tanti grandi la sfida del dialogo interreligioso, la il peso dei nostri peccati. santi monaci, religiosi e reliricerca di una rappresentatività più giose, sin da sant’Antonio Non scoraggiamoci – è la sua equa negli organi di governo degli abate. Essere profeti a volte Istituti e, più in generale, nella strutesortazione Cristo è venuto può significare fare ruido, tura della Chiesa. Viene dunque non so come dire... La pro- a togliere tutto questo, Lui ci chiesto al Papa qualche orientafezia fa rumore, chiasso, mento in merito a questa situazione. dà la pace. qualcuno dice “casino”. Ma Papa Francesco si dice ben consapein realtà il suo carisma è quello di essere lievito: la profezia vole che è cambiata moltissimo la geografia della vita conannuncia lo spirito del Vangelo»7. sacrata e che «tutte le culture hanno la capacità di essere E allora, come essere profeti vivendo il proprio carisma re- chiamate dal Signore, che è libero di suscitare più vocaligioso particolare? Per Papa Francesco occorre «rafforzare zioni da una parte o dall’altra. Che cosa vuole il Signore ciò che è istituzionale nella vita consacrata e non confon- con le vocazioni che ci manda dalle Chiese più giovani? dere l’Istituto con l’opera apostolica. Il primo resta, la se- Non lo so dire. Ma mi pongo la domanda. Dobbiamo porconda passa». Prosegue il Papa: «Il carisma resta, è forte, cela. C’è una volontà del Signore in tutto questo. Ci sono l’opera passa. A volte si confonde Istituto e opera. L’Istituto Chiese che stanno dando frutti nuovi. Forse una volta non è creativo, cerca sempre nuovi cammini. Così anche le pe- erano così feconde, ma adesso lo sono. Ciò obbliga naturiferie cambiano e se ne può fare un elenco sempre diffe- ralmente a ripensare l’inculturazione del carisma. Il carirente». sma è uno, ma, come diceva sant’Ignazio, bisogna viverlo
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Mons. Carballo: giovani se il Signore vi chiama ditegli subito ‘Sì!’ E’ stata celebrata il 2 febbraio 2014 la 18.ma Giornata della Vita Consacrata. La solenne concelebrazione in San Pietro presieduta da Papa Francesco è stata aperta da una processione di 50 consacrati, 25 uomini e 25 donne di diverse congregazioni religiose dei vari continenti. Mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata ha così risposto ad alcune domande sulla attualità della vita religiosa: Credo di poter dire che ci sono motivi di speranza. E’ vero che ci sono ombre nella vita consacrata; è vero che assistiamo ad una diminuzione di vocazioni ed è vero anche che questo fa sì che dobbiamo chiedere ad alcuni istituti di unirsi e altri stanno lasciando opere importanti; ma - allo stesso tempo - io vedo che c’è uno sforzo molto serio per tornare all’essenziale di ogni carisma. Io credo che la vita consacrata oggi sia ancora piena di vita e questo ci dà speranza per il futuro. Una cosa importante che vorrei sottolineare sulla vita consacrata è che in questo momento si sta impegnando ancora di più per andare alle periferie, ascoltando proprio l’invito di Papa Francesco. Quindi anche questo è motivo di speranza. Cosa direbbe a un giovane che sente nel cuore un’attrazione per la vita religiosa? Non avrei dubbi nel dire a un giovane che si sente attirato da questa forma di vita o che si interroga: “Non avere paura!”. Se il Signore lo chiama entrerà in un corpo - diciamo - dove c’è molta vita e molta fedeltà, che magari non fa rumore come gli scandali o come gli abbandoni … Direi a un giovane che la vita consacrata oggi non è facile, perché questo vuol dire andare controcorrente, ma proprio per questo è bella! Direi di più: se fosse facile non sarebbe vita consacrata! Seguire Cristo, in obbedienza, povertà e castità, non è stato mai facile e oggi ancor di più, perché non sono valori considerati tali dalla nostra società, ma sono i valori del Vangelo ai quali noi non possiamo rinunciare. Quindi: giovani che vi interrogate sulla vostra vita, se il Signore vi chiama, non dubitate nel dire sì e nel seguirlo. Coraggio, non abbiate paura!
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HA DETTO
secondo i luoghi, i tempi e le persone. Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente. Ma così c’è il rischio di sbagliare, direte, di commettere errori. È rischioso. Certo, certo: faremo sempre degli errori, non ci sono dubbi. Ma questo non deve frenarci, perché c’è il rischio di fare errori maggiori. Infatti dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio. Pensiamo, ad esempio, alle intuizioni pionieristiche di Matteo Ricci che ai suoi tempi sono state lasciate cadere»8. «Non sto parlando di adattamento folkloristico ai costumi — ha proseguito il Papa —: è una questione di mentalità, di modo di pensare. Ad esempio: ci sono popoli che pensano in maniera più concreta che astratta, o che almeno hanno un tipo di astrazione diversa da quella occidentale. Io stesso ho vissuto da provinciale dei gesuiti in Argentina questa differenza. Ricordo quanta fatica facevamo reciprocamente nel dialogo, anche su cose semplici della vita quotidiana, con un fratello gesuita che proveniva dalla zona dei guaranì, i quali hanno sviluppato un pensiero molto concreto. Bisogna vivere con coraggio e confrontarsi con queste sfide anche su temi importanti. Insomma, non posso formare una persona come religioso senza prendere in considerazione la sua vita, la sua esperienza, la sua mentalità e il suo contesto culturale. Questo è il cammino. Questo hanno fatto i grandi religiosi missionari. Mi vengono in mente le straordinarie avventure del gesuita spagnolo Segundo Llorente, tenace e contemplativo missionario in Alaska, che non solo ha imparato la lingua, ma che ha appreso il pensiero concreto della sua gente9. Inculturare il carisma, dunque, è fondamentale, e questo non significa mai relativizzarlo. Non dobbiamo rendere il carisma rigido e uniforme. Quando noi uniformiamo le nostre culture, allora uccidiamo il carisma», ha concluso con decisione il Pontefice, indicando la necessità di «introdurre nel governo centrale degli Ordini e delle Congregazioni persone di varie culture, che esprimano modi diversi di vivere il carisma». Papa Francesco è certamente consapevole dei rischi, anche in termini di «reclutamento vocazionale», delle Chiese più giovani. Ha ricordato, tra l’altro, che nel 1994, nel contesto del Sinodo ordinario sulla vita consacrata e la sua missione, i vescovi filippini denunciarono la «tratta delle novizie», cioè il massiccio arrivo di Congregazioni straniere che aprivano case nell’arcipelago allo scopo di reclutare vocazioni da trapiantare in Europa. «Bisogna tenere gli occhi aperti su queste situazioni», ha detto il Papa. Si è quindi soffermato anche sulla vocazione dei fratelli e, più in generale, dei religiosi che non sono sacerdoti. Ha lamentato che non si sia sviluppata oggi una consapevolezza adeguata di questa vocazione specifica. Ha accennato a un documento ad essa relativo che non è mai apparso, e che forse andrebbe ripreso per portarlo a compimento e av-
«Guardiamo alla vita consacrata come ad un incontro con Cristo: è Lui che viene a noi, portato da Maria e Giuseppe, e siamo noi che andiamo verso di Lui, guidati dallo Spirito Santo. Ma al centro c’è Lui. Lui muove tutto, Lui ci attira al Tempio, alla Chiesa, dove possiamo incontrarlo, riconoscerlo, accoglierlo, abbracciarlo. Gesù ci viene incontro nella Chiesa attraverso il carisma fondazionale di un Istituto: è bello pensare così alla nostra vocazione! Il nostro incontro con Cristo ha preso la sua forma nella Chiesa mediante il carisma di un suo testimone, di una sua testimone. Questo sempre ci stupisce e ci fa rendere grazie. E anche nella vita consacrata si vive l’incontro tra i giovani e gli anziani, tra osservanza e profezia. Non vediamole come due realtà contrapposte! Lasciamo piuttosto che lo Spirito Santo le animi entrambe, e il segno di questo è la gioia: la gioia di osservare, di camminare in una regola di vita; e la gioia di essere guidati dallo Spirito, mai rigidi, mai chiusi, sempre aperti alla voce di Dio che parla, che apre, che conduce, che ci invita ad andare verso l’orizzonte. Fa bene agli anziani comunicare la saggezza ai giovani; e fa bene ai giovani raccogliere questo patrimonio di esperienza e di saggezza, e portarlo avanti, non per custodirlo in un museo, ma per portarlo avanti affrontando le sfide che la vita ci presenta, portarlo avanti per il bene delle rispettive famiglie religiose e di tutta la Chiesa».
PAPA FRANCESCO Omelia per la Giornata della vita consacrata Domenica 2 febbraio 2014
viare una riflessione più adeguata. A questo punto il Papa ha rivolto lo sguardo al cardinal João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e al segretario della stessa Congregazione, mons. José Rodríguez Carballo, che erano presenti nell’assemblea, invitandoli a considerare la questione. Ha concluso: «Non credo affatto che la crisi della vocazione dei religiosi non sacerdoti sia un segno dei tempi per dire che questa vocazione è finita. Dobbiamo semmai capire che cosa Dio ci sta chiedendo». Rispondendo poi a una domanda sulla questione dei religiosi fratelli come superiori in ordini clericali, il Papa ha risposto che si tratta di un tema canonico che deve essere affrontato a quel livello. «La formazione è un’opera artigianale, non poliziesca» Papa Francesco quindi ascolta alcune domande sul tema della formazione. Risponde subito dando indicazioni di priorità: «La formazione dei candidati è fondamentale. I pilastri della formazione sono quattro: spirituale, intellettuale, comunitario e apostolico. Il fantasma da combattere è l’immagine della vita religiosa intesa come rifugio e consolazione davanti a un mondo “esterno” difficile e complesso. I quattro pilastri devono interagire sin dal primo giorno di ingresso in noviziato, e non devono essere strut-
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turati in sequenza. Ci deve essere un’interazione». Il Papa è consapevole del fatto che il problema della formazione oggi non è facile da affrontare: «La cultura odierna è molto più ricca e conflittuale di quella vissuta da noi, al nostro tempo, anni fa. La nostra cultura era più semplice e ordinata. Oggi l’inculturazione richiede un atteggiamento diverso. Ad esempio: non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello. Serve tanto dialogo, tanto confronto. Per evitare i problemi, in alcune case di formazione, i giovani stringono i denti, cercano di non commettere errori evidenti, di stare alle regole facendo molti sorrisi, in attesa che un giorno gli si dica: “Bene, hai finito la formazione”. Questa è ipocrisia frutto di clericalismo, che è uno dei mali più terribili. L’ho già detto ai vescovi del Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam) quest’estate a Rio de Janeiro: bisogna sconfiggere questa tendenza al clericalismo anche nelle case di formazione e nei seminari. Io lo riassumo in un consiglio che una volta ho ricevuto da giovane: “Se vuoi andare avanti, pensa chiaramente e parla oscuramente”. Era un chiaro invito all’ipocrisia. Bisogna evitarla a ogni costo». A Rio, infatti, il Papa aveva identificato nel clericalismo una delle cause della «mancanza di maturità e di libertà cristiana» del popolo di Dio10. Quindi, «Se il seminario è troppo grande, bisogna dividerlo in comunità con formatori capaci di seguire davvero le persone. Il dialogo deve essere serio, senza paura, sincero. E bisogna considerare che il linguaggio dei giovani in formazione oggi è diverso da quello di chi li ha preceduti: viviamo un cambiamento d’epoca. La formazione è un’opera artigianale, non poliziesca. Dobbiamo formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca». Il Papa ha poi insistito sul fatto che la formazione deve essere orientata non solamente alla crescita personale, ma alla sua prospettiva finale: il popolo di Dio. Formando le persone, bisogna pensare a coloro ai quali saranno inviati: «Bisogna sempre pensare ai fedeli, al popolo fedele di Dio. Bisogna formare persone che siano testimoni della risurrezione di Gesù. Il formatore deve pensare che la persona in formazione sarà chiamata a curare il popolo di Dio. Bisogna sempre pensare nel popolo di Dio, dentro
di esso. Pensiamo a quei religiosi che hanno il cuore acido come l’aceto: non sono fatti per il popolo. Insomma: non dobbiamo formare amministratori, gestori, ma padri, fratelli, compagni di cammino». Papa Francesco, infine, ha voluto mettere in evidenza un rischio ulteriore: «se un giovane che è stato invitato a uscire da un Istituto religioso a causa di problemi di formazione e per motivi seri, viene poi accettato in un seminario, questo è un altro grosso problema. Non sto parlando di persone che si riconoscono peccatori: tutti siamo peccatori, ma non tutti siamo corrotti. Si accettino i peccatori, ma non i corrotti». E qui il Papa ha ricordato la grande decisione di Benedetto XVI nell’affrontare i casi di abuso: «ci deve servire da esempio per avere il coraggio di assumere la formazione personale come sfida seria avendo in mente sempre il popolo di Dio». Vivere la fraternità «accarezzando i conflitti» Il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione aveva chiesto ai religiosi di essere testimoni della forza umanizzante del Vangelo attraverso la vita fraterna. Prendendo spunto da questo appello, sono state poste al Papa alcune domande circa la vita fraterna dei religiosi: «Come tenere insieme gli impegni della missione e quelli della vita comunitaria? Come lottare contro la tendenza all’individualismo? Come comportarsi con i fratelli in difficoltà o che vivono o creano conflitti? Come coniugare giusta risposta e misericordia davanti a casi difficili?». Papa Francesco ha ricordato che il giorno precedente aveva ricevuto la visita del priore di Taizé, Frère Alois: «A Taizé ci sono monaci cattolici, calvinisti, luterani... tutti vivono veramente una vita di fraternità. Sono un polo apostolico impressionante per i giovani. La fraternità ha una forza di convocazione enorme. Le malattie della fraternità, d’altra parte, hanno una forza che distrugge. La tentazione contro la fraternità è ciò che più impedisce un cammino nella vita consacrata. La tendenza individualistica è in fondo un modo per non soffrire la fraternità. San Giovanni Berchmans11 diceva che per lui la penitenza maggiore era proprio la vita comunitaria. A volte è difficile vivere la fraternità, ma, se non la si vive, non si è fecondi. Il lavoro, anche quello “apostolico”, può diventare una fuga dalla vita 24
Presentato l’Anno dedicato alla Via Consacrata Nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, è stato presentato venerdì 31 gennaio l’Anno dedicato alla Vita Consacrata che sarà celebrato nel 2015. Sono intervenuti il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, O.F.M., Segretario della medesima Congregazione. Il 29 novembre 2013, Papa Francesco, alla fine dell’incontro con i 120 superiori generali di istituti maschili nell’aula del Sinodo, in Vaticano ( pubblichiamo in queste pagine tutto il suo intervento “a braccio”) ha annunciato che l’anno 2015 sarà dedicato alla Vita Consacrata. Il Concilio ha rappresentato il soffio dello Spirito non soltanto per l’intera Chiesa e, in particolare modo per la vita consacrata. In questi 50 anni la vita consacrata ha percorso un fecondo cammino di rinnovamento, non esente certamente da difficoltà e da fatiche, nell’impegno di seguire quanto il Concilio ha chiesto ai consacrati: fedeltà al Signore, alla Chiesa, al proprio carisma e all’uomo di oggi ( cf. PC 2). Questo Anno sia un’occasione per fare “memoria grata” di questo recente passato; per “abbracciare il futuro con speranza” e per “vivere con passione il presente”. L’apertura potrebbe essere il giorno 21 novembre 2014, Giornata mondiale “Pro orantibus”. L’ Assemblea plenaria della Congregazione, che si terrà nel mese di novembre 2014 e che, parte dalla parola di Gesù “vino nuovo in otri nuovi”, avrà per tema: Il novum nella vita consacrata a partire dal Vaticano II. Sono previsti diversi incontri internazionali a Roma tra i quali:- Incontro per giovani religiosi e religiose: novizi, professi temporanei e professi perpetui con meno di 10 anni di professione; -Incontro dei formatori e formatrici; - Congresso internazionale di teologia della vita consacrata, organizzato dal nostro Dicastero, dalla USG e UISG e con la collaborazione delle Università Pontificie, sul tema: “Rinnovamento della vita consacrata alla luce del Concilio e prospettive di futuro”;- Mostra internazionale su: “La vita consacrata Vangelo nella storia umana”, con diversi stands secondo i vari carismi. Tutti questi incontri si svolgeranno in stretta collaborazione con la USG e con la UISG. È previsto che durino una settimana. Al termine è in programma l’ udienza con il Santo Padre. Per la conclusione dell’Anno della Vita consacrata si pensa anche ad una solenne concelebrazione presieduta dal Santo Padre prevista per il giorno 21 novembre 2015 a 50 anni del Decreto Perfectae caritatis.
fraterna. Se una persona non riesce a vivere la fraternità, non può vivere la vita religiosa». «La fraternità religiosa — ha proseguito il Papa —, pur con tutte le differenze possibili, è un’esperienza di amore che va oltre i conflitti. I conflitti comunitari sono inevitabili: in un certo senso devono esistere, se la comunità vive davvero rapporti sinceri e leali. Questa è la vita. Pensare a una comunità senza fratelli che vivono in difficoltà non ha senso, e non fa bene. Se in una comunità non si soffrono conflitti, vuol dire che manca qualcosa. La realtà dice che in tutte le famiglie e in tutti i gruppi umani c’è conflitto. E il conflitto va assunto: non deve essere ignorato. Se coperto, esso crea una pressione e poi esplode. Una vita senza conflitti non è vita». Il valore in gioco è alto. Sappiamo che uno dei princìpi fondamentali di Papa Francesco è che «l’unità è superiore al conflitto. Le sue parole ai religiosi sono da leggere alla luce della Evangelii gaudium (nn. 226230), lì dove si chiede di «accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (n. 227). Bisogna ricordare che per Bergoglio la realizzazione personale non è mai un’impresa esclusivamente individuale, ma collettiva, comunitaria12. In questo senso il conflitto può, e anzi deve evolvere in un processo di maturazione. In ogni caso però il conflitto va accompagnato: «Mai dobbiamo comportarci come il sacerdote o il levita della parabola del buon Samaritano che semplicemente passano oltre. Ma come fare? Mi viene in mente — dice il Papa — la storia di un giovane di 22 anni che era in piena crisi depressiva. Non sto parlando di un religioso, ma di un giovane che viveva con sua mamma che era vedova e lavava i panni di famiglie abbienti. Questo giovane non andava più a lavorare e viveva annebbiato dall’alcol. La mamma non poteva far nulla: semplicemente ogni mattina prima di uscire lo guardava con tanta tenerezza. Questo giovane ora è una persona importante: ha superato quella crisi, perché quello sguardo di tenerezza di sua mamma alla fine lo ha scosso. Ecco, bisogna recuperare la tenerezza, anche una tenerezza materna. Pensate alla tenerezza che ha vissuto san Francesco, ad esempio. La tenerezza aiuta a superare i conflitti. Se poi
questo non basta, può anche essere il caso di cambiare comunità». «È vero — ha proseguito Papa Francesco —, a volte siamo molto crudeli. Viviamo la tentazione comune di criticare per soddisfazione personale o per provocare un vantaggio personale. A volte le crisi della fraternità sono dovute a fragilità della personalità, e in questo caso è necessario richiedere l’aiuto di un professionista, di uno psicologo. Non bisogna avere paura di questo; non si deve temere di cadere
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Presto beato il francescano conventuale di Sassari Francesco Zirano
necessariamente nello psicologismo. Ma mai, mai dobbiamo agire come gestori davanti al conflitto di un fratello. Dobbiamo coinvolgere il cuore». «La fraternità è qualcosa di molto delicato. Nell’inno dei Primi Vespri della solennità di san Giuseppe del breviario argentino si chiede al Santo di custodire la Chiesa con ternura de eucaristía, “tenerezza eucaristica”13. Ecco, così bisogna trattare i fratelli: con tenerezza eucaristica. Bisogna accarezzare il conflitto. Mi viene in mente quando Paolo VI ricevette la lettera di un bambino con molti disegni. Paolo VI disse che, su un tavolo dove arrivano solo lettere con problemi, l’arrivo di una lettera così gli fece tanto bene. La tenerezza ci fa bene. La tenerezza eucaristica non copre il conflitto, ma aiuta ad affrontarlo da uomini».
Ormai non è più un auspicio o una attesa indeterminata. È stato lo stesso Papa Francesco a renderlo pubblico venerdì 8 febbraio 2014, dopo aver ricevuto il giorno prima in udienza il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzandolo a pubblicare il decreto di beatificazione del servo di Dio Francesco Zirano, quale martire. Il francescano conventuale di Sassari, andato nel 1602 a riscattare schiavi ad Algeri, fu effettivamente ucciso in odio alla fede il 25 gennaio 1603, e che tale convinzione, da subito manifestata dai cristiani schiavi che ne raccolsero ossa e pelle come reliquie, porterà ben presto la Chiesa a tributargli culto pubblico, additandolo nel contempo come modello di vita per i cristiani. Questo è l’epilogo di un lavoro delicato, lungo e complesso, fatto in tre fasi negli ultimi 35 anni. Innanzi tutto la fase di studio, tesa a rintracciare a tappeto tutti i documenti possibili sulla sua vita, martirio e fama del martirio, portata avanti per otto anni (1978/85) in archivi e biblioteche soprattutto di Sardegna, Vaticano, Italia e Spagna da parte dei frati minori conventuali di Sardegna. La seconda fase, quella diocesana, vero avvio della causa da parte dell’arcivescovo di Sassari Salvatore Isgrò ha avuto questi momenti salienti: il parere favorevole dell’Episcopato sardo, l’editto diretto a clero e fedeli (25.11.1984), il lavoro di anni da parte di una commissione storica sui documenti allegati, il processo o inchiesta diocesana, concluso con seduta pubblica il 7 settembre 1991 nella chiesa di S. Maria di Betlem, Sassari, presso cui padre Zirano aveva vissuto 22 anni. La terza fase, quella romana della Congregazione delle Cause dei Santi, dopo il decreto di validità giuridica dell’inchiesta diocesana (3 giugno 1992), è consistita nell’esame della “Posizione sul martirio del Servo di Dio” da parte di tre organismi o sezioni della Congregazione stessa che si sono così pronunciati positivamente in questa successione: Periti storici (4 marzo 2003); Consultori teologi (16 maggio 2013); Cardinali e Vescovi (4 febbraio 2014). Ora si attende la pubblicazione del decreto con la firma del Papa e la data di beatificazione.
Le mutue relazioni tra religiosi e Chiese locali A questo punto i Superiori Generali hanno posto al Papa alcune domande circa l’inserimento delle comunità religiose nelle Chiese locali e circa il rapporto con i vescovi: come possono essere rispettati e promossi per il bene della Chiesa del luogo i carismi dei diversi Istituti? Come promuovere la comunione tra i distinti carismi e le forme di vita cristiana per la maggiore crescita di tutti e uno sviluppo migliore della missione? Papa Francesco risponde che, ormai da molti anni, vi è la richiesta di rivedere i criteri direttivi circa i rapporti tra i vescovi e i religiosi nella Chiesa che sono stati emanati nel 1978 dalla Congregazione per i religiosi e dalla Congregazione per i vescovi (Mutuae relationes). Il Papa è dell’avviso che il tempo sia maturo perché «quel documento risponde a un certo tempo e non è più attuale. I carismi dei vari Istituti vanno rispettati e promossi perché c’è bisogno di essi nelle diocesi. Conosco per esperienza — ha proseguito — i problemi che possono nascere tra il vescovo e le comunità religiose». Ad esempio: «se decidono un giorno di lasciare un’opera per mancanza di religiosi, il vescovo si ritrova spesso improvvisamente con la patata bollente nelle mani. Io ho avuto esperienze difficili in questo senso. Mi veniva comunicato che l’opera stava per essere abbandonata e io non sapevo cosa fare. Una volta mi hanno addirittura avvisato a cose fatte. Ma potrei invece raccontare altri episodi molto positivi. Insomma: conosco i problemi, ma so anche che non sempre i vescovi conoscono i carismi e le opere dei religiosi. Noi vescovi dobbiamo capire che le persone consacrate non sono materiale di aiuto, ma sono carismi che arricchiscono le diocesi. L’inserimento diocesano delle comunità religiose è importante. Bisogna salvare il dialogo tra vescovo e religiosi per evitare che, non capendo i carismi, li considerino semplicemente come utili strumenti». Perciò il Papa ha affidato alla Congregazione per i religiosi il compito di riprendere la riflessione e di lavorare a una revisione del documento Mutuae relationes.
Le frontiere della missione: emarginazione, cultura ed educazione Le ultime domande hanno riguardato le frontiere della missione dei consacrati. Il Papa ha spesso parlato di «uscire», di «andare», di «frontiere». I Superiori Generali dunque hanno chiesto quali siano queste frontiere verso le quali uscire: «come vede la presenza della vita consacrata nelle realtà di esclusione che ci sono nel nostro mondo? Molti Istituti svolgono un compito educativo: come vede questo genere di servizio? Che direbbe a religiosi che sono impegnati in questo campo?». Il Papa innanzitutto afferma che certamente rimangono le frontiere geografiche, e che bisogna essere disponibili alla mobilità. Ma ci sono anche le frontiere simboliche, le quali 26
non sono prefissate e non sono uguali per tutti, ma «vanno cercate sulla base dei carismi di ciascun Istituto. Dunque si deve discernere tutto secondo il carisma proprio. Certamente le realtà di esclusione rimangono le priorità più significative, ma richiedono discernimento. Il primo criterio è quello di inviare in queste situazioni di esclusione e di emarginazione le persone migliori, più dotate. Sono situazioni di maggiore rischio che richiedono coraggio e molta preghiera. Ed è necessario che il superiore accompagni le persone impegnate in questo lavoro». C’è sempre il rischio, ha ricordato il Papa, di lasciarsi prendere dall’entusiasmo, di mandare in frontiere di emarginazione religiosi di buona volontà, ma non adatti a quelle situazioni. Non bisogna prendere decisioni nel campo dell’emarginazione senza assicurare adeguato discernimento e accompagnamento. Accanto a questa sfida dell’emarginazione il Papa ha citato altre due sfide sempre importanti: quella culturale e quella educativa nelle scuole e nelle università. In questo settore la vita consacrata può offrire un enorme servizio. Ha ricordato: «Quando i Padri de La Civiltà Cattolica sono venuti a trovarmi, io ho parlato loro delle frontiere del pensiero, del pensiero unico e debole. A loro ho raccomandato queste frontiere. Così come il Rettor maggiore dei Salesiani sa che tutto per loro ha avuto inizio sulla base di un sogno educativo di frontiera, il sogno di don Bosco che ha spinto i suoi salesiani fino alle periferie geografiche della Patagonia. Potremmo fare altri esempi». Per il Papa, i pilastri dell’educazione sono: «trasmettere conoscenza, trasmettere modi di fare, trasmettere valori. Attraverso questi si trasmette la fede. L’educatore deve essere all’altezza delle persone che educa, deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia». Quindi ha insistito: «Il compito educativo oggi è una missione chiave, chiave, chiave!». E ha citato alcune sue esperienze a Buenos Aires sulla preparazione che si richiede per accogliere in contesti educativi bambini, ragazzi e giovani che vivono situazioni complesse, specialmente in famiglia: «Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “la fidanzata di mia madre non mi vuol bene”. La percentuale di ragazzi che studiano nelle scuole e che hanno i genitori separati è elevatissima. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia? Bisogna stare attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede»14. *** Alla fine delle tre ore, intorno alle 12,30, il Papa si dice dispiaciuto di dover chiudere questa conversazione: «lasciamo altre domande per la prossima volta», dice
sorridendo. Confida che lo attende il dentista. Prima di salutare i Superiori Generali presenti, ha un annuncio da fare: il 2015 sarà un anno dedicato alla vita consacrata. Queste parole sono accolte con un lungo applauso. Il Pontefice guarda sorridendo il Prefetto e il Segretario della Congregazione per i religiosi e gli Istituti secolari dicendo: «è colpa loro, è una loro proposta: quando questi due si incontrano, sono pericolosi», provocando così l’ilarità di tutta l’assemblea. Lasciando l’aula, ha affermato: «Vi ringrazio, vi ringrazio per questo atto di fede che avete fatto in questa riunione. Grazie, per quello che fate, per il vostro spirito di fede e la ricerca del servizio. Grazie per la vostra testimonianza, per i martiri che continuamente date alla Chiesa, e anche per le umiliazioni per le quali dovete passare: è il cammino della Croce.
NOTE 1
. L’Assemblea si è tenuta dal 27 al 29 novembre presso il Salesianum di Roma. Si è trattato di un incontro basato su tre esperienze che hanno guidato le riflessioni successive. Il p. Janson Hervé, dei Piccoli Fratelli di Gesù, ha parlato delle «luci che mi aiutano a vivere questo servizio dei miei fratelli e di come Papa Francesco conforti la mia speranza». Fr. Mauro Jöhri, cappuccino, ha spiegato «come Papa Francesco mi sta ispirando e sfidando nel servizio di animazione del mio Ordine». Infine, il p. Hainz Kulüke, della Società del Verbo Divino, si è soffermato sulla «leadership all’interno di una Congregazione religiosa missionaria in un contesto internazionale e interculturale alla luce dell’esempio di Papa Francesco». 2 . Ricordiamo che J. M. Bergoglio, da provinciale dei gesuiti argentini, aveva pubblicato Meditaciones para religiosos, San Miguel, Ediciones Diego De Torres, 1982, un libro che raccoglie una serie di riflessioni date a confratelli che risultano essere illuminanti per comprendere alcuni temi chiave che Bergoglio svilupperà successivamente. 3 . BENEDETTO XVI, Omelia nella Santa Messa di inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi presso il Santuario di Aparecida (13 maggio 2007). Papa Francesco ha più volte ripreso questo concetto del suo predecessore. Lo ha fatto nell’omelia di Santa Marta il 1° ottobre, aggiungendo: «Quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno di cui parla il profeta Zaccaria: “Vogliamo venire con voi!”. La gente sente quel bisogno davanti alla testimonianza della carità, di questa carità umile, senza prepotenza, non sufficiente,
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HA DETTO
. Papa Francesco ha ben presente questa lettera del padre Pedro Arrupe e l’aveva citata anche nell’intervista alla Civiltà Cattolica, definendola «geniale». Cfr PAPA FRANCESCO, La mia porta è sempre aperta…, cit., 117. 7 . Ivi, 63 s. 8 . L’incomprensione era dovuta al fatto che, nelle loro missioni, i gesuiti cercavano di adeguare l’annuncio del Vangelo alla cultura e ai culti locali. Ma questo aveva preoccupato alcuni e nella Chiesa si erano levate voci contrarie allo spirito di tali atteggiamenti, come se comportassero una contaminazione del messaggio cristiano. Le posizioni profetiche non vennero accettate al tempo, perché superavano la comprensione ordinaria dei fatti. 9 . P. Segundo Llorente (Mansilla Mayor, León [Spagna], 18 novembre 1906 - Spokane, Washington [Stati Uniti], 26 gennaio 1989), gesuita, ha trascorso oltre 40 anni come missionario in Alaska. È stato delegato al Congresso degli Stati Uniti per lo Stato dell’Alaska, di cui è considerato co-fondatore. Fu sepolto in un cimitero indiano a De Smet, Idaho, dove possono essere sepolti soltanto indigeni nativi americani. Quando a 29 anni arriva a Akulurak, la sua prima difficoltà consiste non solo nell’imparare l’eskimo, ma nel parlare di Dio a persone con un modo di pensare radicalmente diverso da quello europeo. Ha scritto 12 libri sulla sua esperienza missionaria. 10 . J. M. BERGOGLIO, Discorso all’incontro con i vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam), in occasione della riunione generale di coordinamento presso il Centro Studi di Sumaré, Rio de Janeiro, 28 luglio 2013. 11 . Giovanni (Jan) Berchmans (Diest [Belgio], 12 marzo 1599 – Roma, 13 agosto 1621) fu un gesuita. canonizzato da papa Leone XIII nel 1888. Il 24 settembre 1618 emise la prima professione religiosa da gesuita e nel 1619 si trasferì a Roma per completare gli studi filosofici presso il Collegio Romano, dove, ammalatosi, morì dopo solo due anni, il 13 agosto 1621. Fedele ai suoi motti preferiti: Age quod agis (Fai bene quanto stai facendo) e Maximi facere minima (Rendi il massimo con il minimo), riuscí a eseguire le cose ordinarie in modo straordinario e a diventare il santo della vita comune. 12 . Cfr J. M. BERGOGLIO, È l’amore che apre gli occhi, Milano, Rizzoli, 2013, 46. 13 . Guarda a la Iglesia de quien fue figura / la inmaculada y maternal María; / guárdala intacta, firme y con ternura / de eucaristía. 14 . Papa Francesco si è soffermato a lungo, in passato, sui temi dell’educazione in vari interventi compiuti da cardinale arcivescovo di Buenos Aires. Segnaliamo soprattutto: Scegliere la vita. Proposte per tempi difficili, Milano, Bompiani, 2013.
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li Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica possono e devono essere soggetti protagonisti e attivi nel vivere e testimoniare che il principio di gratuità e la logica del dono trovano il loro posto nell’attività economica. Il carisma fondazionale di ciascun Istituto è inscritto a pieno titolo in questa “logica”: nell’essere-dono, come consacrati, date il vostro vero contributo allo sviluppo economico, sociale e politico. La fedeltà al carisma fondazionale e al conseguente patrimonio spirituale, insieme alle finalità proprie di ciascun Istituto, rimangono il primo criterio di valutazione dell’amministrazione, gestione e di tutti gli interventi compiuti negli Istituti, a qualsiasi livello: «La natura del carisma dirige le energie, sostiene la fedeltà ed orienta il lavoro apostolico di tutti verso l’unica missione» (Esort. ap. postsin. Vita consecrata, 45). Occorre vigilare attentamente affinché i beni degli Istituti siano amministrati con oculatezza e trasparenza, siano tutelati e preservati, coniugando la prioritaria dimensione carismatico-spirituale alla dimensione economica e all’efficienza, che ha un suo proprio humus nella tradizione amministrativa degli Istituti che non tollera sprechi ed è attenta al buon utilizzo delle risorse. All’indomani della chiusura del Concilio Vaticano II, il Servo di Dio Paolo VI richiamava a “una nuova ed autentica mentalità cristiana” e a un “nuovo stile di vita ecclesiale”: «Notiamo con vigile attenzione come in un periodo come il nostro, tutto assorbito nella conquista, nel possesso, nel godimento dei beni economici, si avverta nella opinione pubblica, dentro e fuori della Chiesa, il desiderio, quasi il bisogno, di vedere la povertà del Vangelo e la si voglia ravvisare maggiormente là dove il Vangelo è predicato, è rappresentato» (Udienza generale del 24 giugno 1970).
PAPA FRANCESCO Messaggio sulla gestione dei beni ecclesiastici 8 marzo 2014.
umile, che adora e serve». Ritroviamo la citazione di Benedetto XVI nel discorso di Papa Francesco del 4 ottobre durante la visita alla cattedrale di San Rufino ad Assisi, e anche nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 14). 4 . Cfr J. M. BERGOGLIO, Nel cuore dell’uomo. Utopia e impegno, Milano, Bompiani, 2013, 23; PAPA FRANCESCO, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, Milano, Rizzoli, 2013, 86 s. 5 . Papa Francesco ha espresso questa sua convinzione nella sua Evangelii gaudium quando ha scritto: «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (n. 236). 28
Tre incontri con Papa Francesco Una particolare preghiera per i lettori di Luce Serafica Padre Orlando Todisco, filosofo, presentato da Mons. Gianfranco Girotti, saluta Papa Francesco al termine della celebrazione della santa messa per il 50. mo anniversario di sacerdozio (2 settembre 2013)
Padre Gianfranco Grieco, giornalista e scrittore, al termine dell’udienza del 25 ottobre 2013 offre al Papa la prima copia del volume da lui curato: “Gli insegnamenti del cardinale Jorge Mario Bergoglio - Papa Francesco - sulla famiglia e sulla vita” (19992013) edito dalla Libreria Editrice Vaticana (pp. 230)
Padre Edoardo Scognamiglio, ministro provinciale e teologo, a conclusione della plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia - 25 ottobre 2013 - dona al Papa Francesco il suo ultimo volume di teologia edito nel 2013 dalla Lev: <L’Incarnazione del Verbo> (pp. 252)
I tre religiosi francescani conventuali della provincia Campania - Basilicata hanno chiesto a Papa Francesco una particolare preghiera per tutti i lettori di Luce Serafica.
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«Non abbassate la guardia e fate presto!»
Appello del Cardinale Sepe e dei Vescovi
La <reginella santa> di Napoli Sposa di Ferdinando II Maria Cristina di Savoia (1812-1836) moriva di parto a soli 23 anni lasciando a Napoli una indelebile traccia di carità . La beatificazione della <reginella santa> è avvenuta nella basilica francescana di santa Chiara sabato 24 gennaio 2014. Il cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe nel gioire per questa nuova pagina di santità della Chiesa partenopea ha detto che “questa beatificazione è una ulteriore testimonianza della fede e della religiosità di questa terra benedetta da Dio. Maria Cristina. Vera partenopea, è stata sempre vicina al suo popolo, specie ai più poveri”. Dopo oltre 150 anni è arrivato a compimento il processo avviato dal beato Pio IX. La guarigione miracolosa di una donna genovese, Maria Vallarino, avvenuta nel 1866. Un cancro sparito in poche ore. La morte della miracolata è avvenuta nel 1905.
Il Cardinale Crescenzio Sepe e i Vescovi delle Diocesi ai fedeli
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ate presto, sentiamo il dovere di dire a quanti hanno ruolo, responsabilità e autorità di intervenire e decidere per frenare il dilagare di timore, di paura e di mali. Al di là di qualche provvedimento, pur necessario e importante, ancora si discute sul da farsi, mentre urgono bonifica, controllo sanitario, sostegno all’economia, incoraggiamento per far emergere dal lavoro nero tante piccole imprese nascoste e spesso inquinanti, perimetrazione dei terreni malati, tutela della buona agricoltura e dei produttori onesti, gravemente danneggiati da giudizi generalizzati se non da vergognose speculazioni di chi, non potendo prevalere con la concorrenza lecita, cerca di trarre vantaggio da incolpevoli sventure altrui. Di fronte a questa realtà, pertanto, ancora una volta esprimiamo preoccupazione e dolore per il dramma che stanno vivendo tante famiglie e tante comunità di quella parte del territorio campano, tristemente definita come “terra dei fuochi”. Troppi stanno pagando, sulla propria pelle, l’arroganza, la prepotenza, l’inciviltà, l’avidità e la stupidaggine di criminali che, senza avere pietà neppure per i propri figli e i propri familiari, non hanno esitato a vendere la propria terra a persone disoneste quanto loro, violentandola e avvelenandolo con rifiuti altamente tossici e nocivi. Forte è il grido di rabbia e di sofferenza che viene da tante mamme e tante persone della nostra amata terra, per i danni, anche luttuosi e irreparabili, subiti o temuti ed anche per l’attesa di atti chiari, concreti e rassicuranti ri-
spetto al presente e al futuro. Come Chiesa, non abbiamo competenza per dare suggerimenti e indicazioni, ma nella nostra azione pastorale siamo pronti ad affiancare e a sostenere tutti gli uomini di buona volontà, facendoci interpreti dell’angoscia, delle attese e dei diritti di quelli che sono più deboli e indifesi, di quelli che non riescono a far sentire la propria voce e il loro pianto. Il disastro ambientale che denunciammo circa un anno fa si è trasformato in un vero dramma umanitario, anche per il tasso di patologie tumorali che, secondo alcuni, è più alto che in altre parti d’Italia. Durante lunghi questi mesi responsabile e costante è stata l’attenzione e apprensione espresse dall’Episcopato e dalla Chiesa della Campania, spiritualmente e umanamente vicine a chi è stato colpito negli affetti più cari, ma anche discretamente accanto ai tanti che si sono fatti testimoni del meraviglioso risveglio delle coscienze e di un ammirevole senso civico. I Vescovi della Chiesa che è in Campania, nel rinnovare la più ferma condanna del tanto male provocato dalle forze del malaffare, esprimono profondi sentimenti di vicinanza e di sostegno alle tante famiglie colpite dalla incredibile tragedia provocata a una parte del territorio regionale ed auspicano che il percorso avviato dalle istituzioni pubbliche possa proseguire rapidamente ed efficacemente, affinché torni serenità nelle comunità coinvolte. 30
RIFIUTI TOSSICI CAMPANI dramma umanitario lo Stato è distante GABRIELLA CERASO GIORNALISTA
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’attenzione resta altissima, e il presidente Napolitano segue costantemente la problematica della Terra dei fuochi''. A dirlo è il capo della task force del Viminale per l'emergenza rifiuti tossici in Campania. La lettera del capo dello Stato e l’incontro con le mamme e con don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano attivo nel contrasto al fenomeno che sta devastando l’economia e colpendo la salute di molta della popolazione campana, svoltosi il 22 gennaio 2014 al Palazzo del Quirinale,è di per se un fatto importante e significativo. “Attendiamo che le parole diventino fatti”- ha affermato il parroco subito dopo l’incontro. “Un vero dramma umanitario, occorre fare pre-
sto”, hanno ribadito in una lettera-appello il cardinale arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, e i vescovi delle diocesi della “Terra dei fuochi”. Il decreto “carente” - secondo don Patriciello - varato a inizio dicembre 2013 dall’esecutivo è un primo passo che sottolinea la necessità di vigilare e di impegnarsi costantemente su un problema - più che trentennale - che non è solo campano, ma nazionale e che non riguarda lo smaltimento dei rifiuti quotidiani, ma bensì quello illegale dei rifiuti industriali. È questa la prima distinzione da fare e da ribadire, per centrare il problema. HA DETTO «Auspico che le Istituzioni possano intensificare il loro impegno al fianco delle vittime dell’usura, drammatica piaga sociale. Quando una famiglia non ha da mangiare, perché deve pagare il mutuo agli usurai, questo non è cristiano, non è umano! E questa drammatica piaga sociale ferisce la dignità inviolabile della persona umana».
PAPA FRANCESCO Udienza generale 29 gennaio 2014)
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tosi”. Guardate che non è omertà: è paura. Proprio paura. Più lo Stato è distante e più la camorra diventa forte”.
Don Praticiello di chi sono le colpe? “Che vadano ad arrestare chi appicca il fuoco in campagna è una grande cosa, visto che fino a poco tempo fa c’era solo una piccola multa da pagare. Ma se non si chiedono cosa stia appiccando questa persona e da dove venga … E’ là allora che arriviamo a un sistema industriale che vive e opera in regime di evasione fiscale. Bisogna allora andare incontro e non rovinare certamente quel poco che c’è. La camorra nostrana ha le sue colpe: quelli non vogliono bene a nessuno, non amano nessuno. Ma la camorra nostrana ha lavorato in questo modo di fare industria”. Il Quirinale dice di volere essere informato sulle esigenze e le istanze della popolazione, che lo stesso don Maurizio sta raccogliendo, ma che non sono positive: “Sfiducia. Persone che non credono più a niente e a nessuno. Io questo l’ho detto mille volte al Senato, alla Camera e anche a Bruxelles: fate attenzione, perché non c’è niente di peggio di un popolo che ormai non crede più a nessuno. E la cosa è veramente complessa, perché riguarda l’economia, riguarda l’ambiente, riguarda la politica, riguarda la coscienza, riguarda la mafia, la camorra, che ancora fa tanta paura. È facile dire, come qualcuno ogni tanto si ricorda di dire: “Siete stati anche voi omer-
Alla Camera proprio il Coordinamento del Comitato dei fuochi e altre rappresentanze civili campane in audizione hanno presentato spunti e richieste sul testo legislativo. Primo punto, la richiesta di un nuovo regime fiscale e più attenzione al mondo del lavoro, per evitare risparmi sullo smaltimento dei rifiuti industriali. Poi, un monitoraggio serio delle conseguenze sulla salute del fenomeno “rifiuti tossici” e nessun risarcimento, bensì giustizia regionale, come spiega Antonio Marfella del Coordinamento fuochi: “La Campania è la regione più giovane d’Italia e quella più colpita da questo disastro ambientale, che per una impropria e fuorilegge ripartizione del fondo sanitario nazionale è quella che ha a testa 70 euro in meno di ripartizione del fondo. È veramente vergognoso Abbiamo al Pascale le nostre giovani ammalate di cancro, che si sono esposte, non certo per volontà estetica, ma per sottolineare il problema, all’interno di un calendario, che le ritrae bellissime. Il tutto è finalizzato alla consapevolezza del danno ambientale. Stanno dando un grande esempio di civiltà e di coraggio”.
HA DETTO «Anche con in tanti bambini che sono in pazza san Pietro vorrei rivolgere un pensiero a Cosò Campolongo, che a tre anni è stato bruciato in macchina a Cassano allo Jonio. Questo accanimento su un bambino così piccolo sembra non avere precedenti nella storia della criminalità. Preghiamo con Cosò, che sicuro è con Gesù in cielo, per le persone che hanno fatto questo reato, perché si pentano e si convertano al Signore».
HA SCRITTO “Lo Stato deve essere più forte, deve essere attento, deve monitorare affinché le aziende commissariate non le ricomprino le stesse organizzazioni criminali. I beni immobili devono essere dai alle associazioni, come in effetti avviene. Ma le aziende, i negozi, devono ritornare nel mercato e nella legalità. Non solo. Bisogna comprendere che in questo momento, sia in Italia che in Europa, la politica sta facendo troppo poco per evitare l’infiltrazione dei capitali criminali nell’economia reale”.
PAPA FRANCESCO
ROBERTO SAVIANO la Repubblica, 24.1.2014, p. 35
Dopo Angelus 26.1.2014
Michele Liguori un vigile che lottava da solo
Papa Francesco chiama la mamma di Elisa Claps
Michele Liguori, 59 anni ha lottato 7 anni contro i veleni: la malattia lo ha fermato il 19 gennaio 2014. Era l’unico vigile della sezione ecologica di Acerra che lottava da solo e combatteva due tumori. “È’ la mia terra - diceva non potevo far finta di niente”. “Certe notti trasudava sudore chimico – ha testimoniato la sua consorte-. Puzzava di pneumatici bruciati. “Quell’agente è stato l’unico a non offrire delle coperture” – ha rivelato un pentito.
“Sono Papa Francesco, domani celebrerò la santa Messa per Elisa, in occasione del suo compleanno”. Elisa era nata a Potenza il 21 gennaio 1977. Scomparsa a soli 16 anni il 12 settembre 1993 a Potenza il corpo viene ritrovato nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità il 17 marzo 2010. Papa Francesco ha invitato la mamma di Elisa a santa Marta in Vaticano per un incontro. “Grazie, Santità – ha detto mamma Filomena al Papa -. Lei ci sta restituendo la Chiesa in cui credevamo, ci sta facendo riconciliare con essa. Ma, mi raccomando la verità …”. 32
Il Presidente Napolitano al parroco di Caivano: “Non abbassare la guardia” «Caro Don Patriciello, ho riascoltato con rinnovata commozione, dopo le drammatiche notizie che Lei stesso mi ha voluto rappresentare in Prefettura a Napoli nell'incontro del 29 settembre scorso, il grido accorato delle madri dei bambini colpiti da gravi patologie tumorali ricondotte al criminale inquinamento dei vostri territori della Campania. Le rinnovo, perché se ne faccia portavoce verso le famiglie interessate, la mia intima partecipazione al loro dolore, confidando che non abbandonino la fiducia nell’impegno delle istituzioni, reso più coeso e credibile anche grazie alla partecipazione attiva della rete di comitati e singoli cittadini che non si contentano di denunciare i crimini subiti, ma sostengono con le loro iniziative le operazioni di monitoraggio e di bonifica dei siti. Ho affrontato l’argomento in varie occasioni, sia in ripetuti contatti con competenti autorità locali sia sollecitando, presso le autorità governative, l'adozione di provvedimenti adeguati alle necessità più urgenti riscontrate alla luce di elementi emersi di recente. La gra-
vità del problema è stata da me pubblicamente evidenziata in una dichiarazione del 29 settembre scorso, poi nella ricorrenza del 1910 anniversario della fondazione del Corpo Forestale dello Stato, interessato a controlli in materia, e in un'iniziativa sull'ambiente tenuta si al Quirinale con l'Associazione Green Cross Italia. Malgrado l’impegno dispiegato dallo Stato, sono d’accordo con lei che la questione richiede ancora energie e attenzione. Sebbene il territorio colpito e danneggiato sia circoscritto, e non esteso all'intera Campania, la serietà del fenomeno non può permettere di abbassare la guardia. Mi ritenga disponibile a ricevere nei prossimi giorni da lei un aggiornamento sulle sue valutazioni circa esigenze e istanze della popolazione. Vorrà credere nel mio costante e personale impegno a sollecitare - a tutti i livelli di governo - gli interventi necessari, compresa la vigilanza sul buon andamento delle misure e degli investimenti da effettuarsi e, non appena sarà possibile disporre di ulteriori risorse, mirate misure compensative del danno subito dalle vittime».
Quando muore un vescovo amico GIANFRANCO GRIECO
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a morte del vescovo di Caserta mons. Pietro Farina (1942-2013) ha fatto piangere non solo una città, ma l’intero territorio della Terra di Lavoro. Lui, che proveniva da quella terra dei fuochi “amata” e “maledetta”, ha speso tutta la sua vita – aveva appena compiuto i 70 anni il 7 maggio 2013 – per il bene del suo popolo. Prima come sacerdote, poi come vicario generale di Caserta, poi come vescovo di Alife e Caiazzo dal 17 aprile 1999 , infine, come Pastore della Chiesa di Caserta dal 25 aprile 2009 e, nel contempo al servizio della Conferenza Episcopale Italiana. Quanto il 7 maggio del 2013 un gruppo di amici lo ha voluto festeggiare nella sala del glorioso e storico convento dei francescani conventuali di Maddaloni, lui affaticato e stanco, non voleva sembrare un disarmato, un ferito, ma ancora un combattente. Erano i suoi ultimi mesi di vita spesi ai piedi della Croce. <Con l’elezione di Papa Francesco – sosteneva durante il conviviale incontro appena due mesi dopo l’elezione di Bergoglio - la Chiesa incomincia a mettere in pratica il Concilio Vaticano II. Tutto quello che è successo in questi
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primi 50 anni- sosteneva con convinzione profonda- è stato come un lungo anno di prova, di fughe in avanti, di passi indietro. Ora si comincia per davvero. Il cammino sarà arduo, ma è bello camminare alla luce del Concilio!>. Queste parole del vescovo Farina hanno il sapore di un testamento. Aveva in mente di riprendere i testi del Vaticano II, rileggerli insieme con un gruppo di esperti e di diffondere testi pastorali a commento dei documenti. Ora mons. Farina abita in cielo. Ha cambiato indirizzo, ma restano i gravi problemi della sua terra che soffre e si dispera immersa nel dolore dei suoi figli: territorio ferito a morte; mancanza di lavoro per i giovani e per gli adulti; promesse che lasciano il tempo che trovano; vite spericolate appese al chiodo; sfruttamento degli immigrati; malavitosi senza scrupolo che navigano tra disprezzo della vita e affari di morte. Non si stancava di dare speranza mons. Farina. Era un combattente, un dialogante, un propositivo, un innovativo, Uno che credeva nella cultura del dialogo e del confronto. Questa è la sua eredità. Non la possiamo dimenticare!
Questa terra che brucia GIULIANA MARTIRANI DOCENTE UNIVERSITARIA
2013 sono state censite ben 82 inchieste per traffico di rifiuti che hanno incanalato veleni da ogni parte d’Italia per seppellirli direttamente nelle discariche legali e illegali della Terra dei Fuochi, gestite della criminalità organizzata casertana e napoletana. Inchieste concluse con 915 ordinanze di custodia cautelare, 1.806 denunce, coinvolgendo ben 443 aziende: la stragrande maggioranza di queste ultime con sede sociale al centro e al nord Italia. In ventidue anni sono stati smaltiti nella Terra dei Fuochi, tra la provincia di Napoli e di Caserta, circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni specie. Un tir, secondo gli inquirenti, è in grado di trasportarne 25 tonnellate alla volta. Circa 410.905 camion carichi di rifiuti hanno attraversato mezza Italia terminando il loro tragitto nelle campagne del napoletano e nelle discariche abusive del casertano. Rifiuti prodotti da società o impianti, noti nel panorama nazionale, come quelli di petrolchimici storici del nostro Paese: i veleni dell’Acna di Cengio, i residui dell’ex Enichem di Priolo, i fanghi conciari della zona di Santa Croce… Soltanto l’inerzia diffusa delle istituzioni, la «disattenzione» di chi doveva controllare, e una fitta rete di collusioni e omertà possono aver consentito «l’invisibilità» di una colonna di decine di migliaia di tir. Soltanto l’idologia del danaro, il trasformare il danaro in idolo, in dio può permettere ciò.
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l fuoco, insieme a acqua terra e aria, tra gli elementi, è quello più simbolicamente forte dato che può essere il fuoco della guerra, perfino nucleare, il fuoco amico che uccide i propri compagni in guerra, il fuoco omicida, il fuoco tossico della terra dei fuochi… ma anche il focolare domestico e addirittura il fuoco dello Spirito Santo. Insomma Frate Foco. Il fuoco di Prometeo e l’idolatria dell’economicismo sfrenato L’antico mito greco di Prometeo può essere simbolo di questo modello di sviluppo economico della crescita e del Pil, uno sviluppo fortemente economicista che nelle sue estreme conseguenze porta alla Terra dei Fuochi. Il mito racconta che dal tita¬no Giapeto e dall'oceanide Climene erano nati due figli: Prometeo (il previdente, il prudente, colui che pensa prima) ed Epimeteo (colui che pensa dopo). Prometeo rubò il fuoco del cielo e ne fece dono agli uomi¬ni insegnandone loro l'uso; così divenne altamente benemerito agli uo¬mini, giacché favorì alcuni agi della vita e rese possibili le arti e l'indu¬stria. Sennonché per il detto furto, essendo come profanata la pura forza celeste (l'albero della conoscenza del bene e dei male del racconto bibli¬co), Zeus punì l'autore di questa profanazione facendolo incatenare su una rupe nei monti della Scizia (la cacciata dal paradiso terrestre) e ordi¬nando che ogni giorno un'aquila gli rodesse il fegato. Prometeo è la per¬sonificazione dell'ingegno umano, della scienza, che troppo fiduciosa in se stessa, si ribella agli dei e usurpa quello che loro spetterebbe, pur be¬neficiando con ciò la società umana. Prometeo è colui che dà il fuoco con cui possono essere trasformati i minerali della società industriale. Prometeo è caratterizzato dall'energia (fuoco), i minerali, l'industria e gli agi; è il mito della panacea tecnologica caratte¬rizzato dal Pil e da una crescita economica lineare, come lineare è lo sfruttamento delle risorse minerari che, una volta usate, senza riciclaggio, possono muo¬versi soltanto in una direzione, e cioè verso una riduzione quantitativa e l’entropia. In questo economicismo sfrenato accadono le molte ‘terre dei fuochi’. Una quella della Campania dove dal 1991 al
Il fuoco di Elia e lo spirito di Dio che vince i Baal (1Re 18,21-39) Ma già dall’Antico Testamento si comprende quanto importante sia discernere tra i fuochi: quello senza Dio o con degli dèi fittizi ed usurpatori come i Baal, degli dèi economici finanziari, mediatici, culturali… illegali da una parte, e il fuoco sacro di Dio dall’altra. Elia., che scomparirà su di un carro di fuoco, usa il fuoco dello Spirito di Dio per abbattere i Baal, gli dei pagani. Il fuoco dello spirito, addirittura immerso nell’acqua (evocativo della grazia battesimale) accende il suo altare fatto delle 12 pietre rappresentanti le 12 comunità e quindi il popolo di Dio, aggregato in piccoli gruppi (come avverrà nella Terra dei fuochi con le madri coraggio, le associazioni ambientaliste, il gruppo Pandora, Città della Scienza…) che con forza e vigore hanno denunciato gli 34
odierni Baal e i loro profeti. E come un novello Elia, i vescovi campani hanno proclamato che: “Criminali senza scrupoli hanno avvelenato la terra, l'acqua, l'aria. Il disastro ambientale ben presto si è trasformato in un vero dramma umanitario. In questa striscia di terra, dove vive più di un milione e mezzo di persone, infatti, si riscontra un tasso di patologie tumorali più alto che in altre parti d’Italia. I responsabili di tanto scempio sono da ricercare nella sfrenata corsa al denaro da parte della criminalità organizzata e di imprenditori imbroglioni e vili, assecondati da una scarsa azione di sorveglianza. Il fatto che più ci angoscia è che nelle nostre Diocesi il cancro miete vittime innocenti più che altrove. È una vera ecatombe. Siamo davanti a una ingiustizia somma. Ci rincuora non poco assistere, in questi ultimi tempi, a un vero e proprio risveglio di civiltà e impegno da parte di tantissimi cittadini, in particolare giovani, che sono scesi in campo con coraggio per dire “basta”. Tantissimi comitati (le 12 pietre!) sono nati spontaneamente in quasi tutti i paesi interessati, lanciando un grido che non è rimasto inascoltato. Il vaso di Pandora e la speranza, ultima possibilità In occasione della mobilitazione generale per la Terra dei Fuochi, il 26 ottobre 2013, Paola Dama, napoletana di nascita e, oggi, ricercatrice presso il “Comprehensive Cancer Research Centre” della “The Ohio State University” (come molti altri nostri cervelli costretti all’emigrazione!) ha lanciato il primo appello per dare vita a una task force che ha chiamato “Pandora” e che mette insieme diverse figure professionali, con l’obiettivo di fare informazione coordinata, in maniera onesta e corretta, circa la reale situazione nella Campania dell’emergenza infinita. Secondo il racconto tramandato dal poeta Esiodo, a Pandora venne fatto da Zeus in dono un vaso, con la raccomandazione di non aprirlo. Pandora però non tardò a scoperchiarlo, liberando così tutti i mali del mondo, che erano gli spiriti maligni. Sul fondo del vaso rimase soltanto la speranza (Elpis), che non fece in tempo ad allontanarsi prima che il vaso venisse chiuso di nuovo. Prima di questo momento l’umanità aveva vissuto libera da mali, fatiche o preoccupazioni di sorta, e gli uomini erano, così come gli dei, immortali. Dopo l’apertura del vaso il mondo divenne un luogo desolato ed inospitale simile ad un deserto (una terra dei Fuochi!) finché Pandora lo aprì nuovamente per far uscire anche la speranza, ed il mondo riprese a vivere.
ora si sta ricostruendo dalla cenere perché, dice la campagna per il suo nuovo, “fatti non fummo per vivere come bruti”. Una metafora calzante potrebbe essere, quindi, quella dell’araba fenice che risorge dalle ceneri perché se non teniamo ferma qualche speranza, perdiamo l'orizzonte del futuro e rischiamo di consegnarci all’impotenza paralizzatrice o a alla sterile rassegnazione dei fuochi distruttivi dei nostri Baal di oggi. Ogni tanto, dice il mito, l’aquila come la fenice egiziana, si rinnova totalmente. Vola ogni volta più in alto fino ad arrivare al sole. Allora le piume prendono fuoco e incomincia a bruciare. Quando arriva a questo punto, precipita dal cielo e si lancia nelle fredde acque del lago. E il fuoco si spegne. Attraverso questa esperienza di fuoco e acqua, la vecchia aquila ringiovanisce totalmente: ritorna ad avere grinfie affilate, occhi penetranti e il vigore della gioventù. Questo mito è forse il substrato culturale del salmo 103 quando dice: “il Signore fa rinnovare la mia giovinezza come un aquila”. Ringiovanire come un’aquila significa avere il coraggio di ricominciare da capo e di essere sempre aperti ad ascoltare, imparare e rivedere. Non è forse questo ciò che ci proponiamo ogni nuovo anno? Il fuoco di Francesco L’Europa dei tempi di Francesco, despiritualizzata da un'ottica fortemente fondata sul dominio, mette non solo la proprietà sugli spazi, con il placet di bolle papali, ma anche sul tempo facendo nascere l'interesse bancario. Fino al Medioevo, infatti, il tempo è considerato dono di Dio, appartiene a lui e non all’uomo, e perciò ai cristiani viene vietato prestare a interesse ( e perciò vengono accolti gli ebrei purchè prestino danaro ai principi cristiani!) perchè si sfrutta il tempo e lo si vende per guadagno, come avverrà con le nascenti banche che accompagnano i mercanti e i Bernardone. Lo sviluppo del mercantilismo e delle banche fa considerare prezioso il tempo, e quindi rende necessaria la sua misurazione precisa nell’interesse bancario; nella vita neg-otiosa, nel negozio della nascente borghesia mercantil-bancaria, l’uomo è padrone del suo tempo. Contro l'ozio classico medievale nasce la negazione dell'ozio: il neg-ozio. È contro questo tempo che, da Assisi, si schiera San Francesco, quando, facendo obiezione di coscienza al consumo e al denaro, ai mercanti e ai banchieri, intronizzerà al loro posto Madonna Povertà. E quando, uscendo dalla dominante ottica di sfruttamento, riporterà l’uomo alla sua naturale cultura del bene comune (e perciò Madonna Povertà) e del dialogo con la natura, lasciata nell’oblio dell’Eden, cantando l’acqua, il fuoco, il vento e il sole come fratelli e sorelle. E quindi facendo un nuovo Manifesto economico (e non solo una bella canzone evocativa!) fondato sulla fraternità con gli esseri umani e con il creato.
L’araba fenice: ricominciare dalle ceneri La presentazione dell’iniziativa “Pandora” avviene a Città della Scienza nella Sala Newton, nella parte della struttura che non è stata toccata da quell’altro fuoco criminale che distrusse uno dei più bei musei interattivi d’Europa e che
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Un Manifesto economico, oggi, nell’epoca della finanziarizzazione dell’economia e dei Baal economici e finanziari di multinazionali e banche, più che mai urgente. Allora, finalmente, ogni creatura avrà avuto il proprio nome senza essere posseduta. E anche il fuoco saltellerà danzando. Il fuoco dell'avventura tecnologico-industriale per possedere quegli agi che affrancassero tutti gli uomini non solo i più furbi e gli altri invece schiavi) dal duro lavoro. Ma quel fuoco si è trasformato, e alcuni li rende straricchi e potenti e altri cadaveri o rifugiati, spostati di terra in terra, sfollati ed esiliati per-
ché nati su terre sbagliate, troppo strategiche. Si è trasformato in strumento in fuoco tossico per una nuova strage di innocenti bambini che muoiono di cancro. E invece volevamo e ancora vogliamo la danza del fuoco condiviso. Quel fuoco che consentisse di terminare la creazione iniziata da Dio per trasformare sorella roccia rame in fratello filo elettrico. Un fuoco per stare caldi tutti e non solo alcuni con eccessivi impianti di riscaldamento e altri a batter i denti in infinite marce di sfollati, cacciati dalle loro terre. Fratello Foco per farci una danza intorno e insieme ballare la danza della vita.
È “ITALIANA” LA “REALE DELIZIA” DI CARDITELLO
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a Reale tenuta di Carditello, in provincia di Caserta, razzia di decori, sculture e arredi nel sito, che a buon dia San Tammaro è uno dei 22 siti nella Terra del La- ritto può essere annoverato tra le meraviglie nazionali, voro creati dalla Dinastia dei Borboni quali luogo di di- tanto da meritare l’appellativo di “Reale delizia”. Nel vertimento e anche di produzione agricola e di mese di gennaio 2014, la Reggia di Carditello è stata accommercio nel Regno di Napoli. Nel 1920, fu ceduta in quistata all’Asta dalla Società di Gestione Attività del proprietà dal Demanio all’Opera nazionale Combattenti, Ministero del Tesoro, per 11,5 milioni di euro, per essere che divise in lotti la tenuta e la ceduta al Ministero dei ... e dopo la sua morte parla ancora vendette, mantenendo la RegBeni, delle Attività cultuTommaso Cestrone è stato il vero angelo custode della gia settecentesca, fatta corali e del Turismo. «Finalresidenza reali di Carditello. È morto, all’età di 48 anni, struire da Carlo di Borbone su mente, la Reggia di alla vigilia di Natale, lasciando la sua testimonianza di progetto dell’architetto FranCarditello appartiene agli amore verso questa terra ferita e verso questo gioiello cesco Collecini, allievo di italiani», ha commentato di arte e di cultura. Per dispetto, dopo metà febbraio Luigi Vanvitelli –, insieme a la notizia Italia Nostra, 2014, ancora segnali di disprezzo verso Tommaso Cequindici ettari di terreno, del’Associazione nazionale strone. Dell’eroe che difendeva la Reggia dai clan è stata stinati dalla famiglia reale alla per la tutela del patrimoincendiata l’azienda. Anche dopo morte il custode della caccia. Questa, nel secondo nio storico, artistico e naresidenza di Carditello continua a dare fastidio. dopoguerra, entrò di proprietà turale della nazione, da del Consorzio generale di bonifica del bacino inferiore anni impegnata nella battaglia di riscatto della splendida del Volturno, ma fu lasciata in stato di totale abbandono residenza borbonica del casertano. Il ministro dei Beni fino ai nostri giorni. Nel 2012, in un censimento dei culturali, Massimo Bray, ha annunciato la costituzione “Luoghi del cuore” sul territorio nazionale, il Fondo Am- di una Fondazione cui parteciperà il Ministero con lo biente Italiano aveva denunciato lo stato di degrado e la Stato e gli enti locali. 36
In treno... da Napoli in giù... servizi “Freccia” ai passeggeri, però, Sicilia e Sardegna non EMANUELA BAMBARA sono state neanche disegnate. E mentre si realizza l’ambiGIORNALISTA SIR zioso programma di internazionalizzazione del Piano industriale per il quinquennio 2012-2016, con circa 45 treni ccolo, il treno, pronto per partire, al binario n. 8. giornalieri che collegano Milano-Roma e la previsione di Nella numerologia, l’8 significa l’infinito, come il un treno ogni dieci minuti nelle ore di massima mobilità, viaggio che mi appresto a compiere. Poco più di 600 con un tempo record di percorrenza di 2 ore e 20 minuti, chilometri separano Roma dalla punta dello Stivale, e poi, per 477 km di distanza, grazie all’immissione di 50 nuovi la porta della Sicilia, Messina, la mia città. In treno, però, treni ETR 1000, che viaggiano alla velocità commerciale di occorrono otto ore, se va bene, con il treno che arranca 360 km orari, per il collegamento Reggio Calabria-Roma, verso il Sud, verso il sole. Poi, c’è da attraversare lo Stretto, per circa la stessa distanza chilometrica della Capitale con con il traghetto. Solo quattro chilometri di mare, che la nave la “città da bere”, 499 km, ci sono 21 treni al giorno, meno più veloce impiega mezz’ora a navigare. della metà, con un tempo di percorrenza triplo, tra le 7 e le «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale» ed «è compito 9.15 ore, e un solo Frecciargento, che impiega 5 ore e 10 della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico minuti, alle 6.40 del mattino. Quanta fatica, poi, sentirsi itae sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei liani sulle rotaie per i cittadini dell’isola che è anche la recittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona gione più grande d’Italia, la Sicilia! Da Palermo a Roma ci umana e l'effettiva partecipazione di tutti sono soltanto sei treni giornalieri, che imi lavoratori all'organizzazione politica, piegano 11-13 ore per circa 900 km di HA SCRITTO economica e sociale del Paese», recita distanza. Da Palermo a Milano sono l’art. 3 della Costituzione. Eppure, que- “L’Italia senza la Sicilia non lascia previsti soltanto quattro treni, con un sto principio di uguaglianza, formale e nello spirito immagine alcuna. E’ tempo minimo di 14 ore, con cambio a sostanziale, per quanto riguarda la di- in Sicilia che si trova la chiave di Napoli, fino a quasi 22 ore: un’intera sponibilità e l’accesso ai servizi ferro- tutto”. giornata, quanto si impiegherebbe per Johann Wolfgang von Goethe viari sul territorio nazionale, non è per fare il giro del mondo in aereo senza Viaggio in Italia nulla rispettato. I meridionali, da Nasoste. Di treni ad alta velocità, in Sicilia, poli in giù, sono cittadini italiani di serie proprio non si parla. Se un novello Johann b. Viaggiano su un solo binario, come le loro vite, faticosa- Wolfgang von Goethe compisse oggi, dopo 200 anni, il suo mente, come il loro quotidiano. Come ha scritto Gian An- “Viaggio in Italia”, gli occorrerebbe forse lo stesso tempo di tonio Stella sul “Corriere della Sera” (il 7 gennaio 2014), la due secoli fa per raggiungere e visitare il Meridione, e pro“questione meridionale” mostra oggi il suo volto soprattutto babilmente sceglierebbe di andare a Palermo in aereo, se nello sfascio dei collegamenti ferroviari al Sud. non, anche questa volta, via mare. E agli improvvidi smeLe carrozze utilizzate sono quelle dismesse nei viaggi al morati disegnatori della mappa dei trasporti ferroviari ad Nord, al quale sono riservati i convogli più nuovi e tecno- alta velocità in Italia, il grande poeta, scrittore e drammalogicamente attrezzati. “Il treno vola a 400 all’ora”, dichiara turgo tedesco direbbe, ancora: «L'Italia senza la Sicilia non con orgoglio nel titolo l’elegante pubblicazione in perga- lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova mena del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane sul Sistema la chiave di tutto». Alta Velocità, la «linea che unisce il Paese con il compito di Non è facile raggiungerla, questa chiave. Lo si capisce subito, sostenere il salto nella modernità». Nella mappa d’Italia dei appena saliti a bordo dell’Intercity che è in partenza al biNapoli
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HA SCRITTO nario 8. Già all’altezza di Latina, un Ma, ecco, attraversiamo il litorale più “Nel XX secolo, la ‘Questione olezzo nauseabondo si diffonde nella incantevole del Bel Paese, e il treno si meridionale’ mostra il suo volto carrozza. Per risparmiare, le Ferrovie trasforma in una terrazza su questo mesoprattutto nello sfascio dei coldello Stato Italiane hanno eliminato raviglioso giardino dell’Europa Mediterlegamenti ferroviari al Sud” l’accudiente, i bagni vengono puliti solranea, nonostante il caldo, per il Gian Antonio Stella tanto nella stazione di partenza e in Corriere della Sera climatizzatore tarato su 40 gradi senza quella di arrivo. Guardo dal finestrino e possibilità di salvezza, nonostante il ru7 gennaio 2014 cerco di pensare alla gioia di ritrovare la more sibilante del convoglio che avanza mia terra, il profumo di salsedine che mi apatico sulle rotaie, nonostante il cattivo accoglie premuroso all’arrivo, il calore degli affetti familiari. odore, diventato insopportabile, nonostante la luce fioca, Provo a leggere, per distrarmi dal tempo che non passa, dal per gentilezza alla polvere che sembra secolare e ha cambimbo che urla e strepita perché ha fame, ha sete, ha sonno, biato il colore della tappezzeria, nonostante l’invadenza del dal mio vicino che ascolta musica in cuffia, ma sembra di gomito del vicino, sempre più vicino. Mi schiaccio verso il stare sotto il palco al concerto, dal rumore assordante e stri- finestrino, per quel che posso, appoggio la fronte al vetro e dente delle rotaie, e quell’odore, acre e ributtante, che mi osservo, come la piccola fiammiferaia nella notte di Natale ricorda sadico che sto viaggiando verso Sud. dietro alle vetrine delle pasticcerie. «Che bello, qui! Dove Certo, è bella l’Italia. Quando la guardi, dal treno che lento siamo?”», chiedo genericamente a chiunque sia capace di riporta in Sicilia, la ami ancora di più. E sempre ti sorprende, spondermi. «A Maratea», mi informa il ragazzo sul sedile di ogni volta, con la sua bellezza, non ti stanca mai. Ti stupisce fronte a me. «È la prima volta che viaggi in treno?», mi e ti ammalia, con le colline morbide e colorate che cedono chiede. «No, no, almeno una volta al mese, da vent’anni. il passo alle montagne ripide che svettano sul mare, limpido Eppure, ancora non riconosco tutti i luoghi da cui passiamo, e blu, come il sangue di questa nostra nazione a forma di mi sembrano sempre diversi. E tu?». «Io viaggio ogni settistivale, ma che non corre, arranca. Quando si passa sul golfo mana dalla Calabria. Lavoro a Roma e torno a casa nel weenapoletano, si riscopre il piacere di viaggiare in treno, per- kend. Di solito parto nel pomeriggio di venerdi e rientro la fino in questo treno, l’Intercity per il Meridione. Procida, domenica sera, da cinque anni. Sempre lo stesso treno». Ischia, Capri: sembrano i disegni di un desiderio nel sogno Sempre lo stesso treno. I progetti di modernizzazione dei e, invece, sono la realtà italiana, del Sud d’Italia, così vicino trasporti su rotaia non pensano al Sud, ai pendolari di lungo e così lontano. corso, come il mio compagno di avventura, che trascorrono A Salerno, il treno si svuota. La maggior parte dei passeggeri un terzo della loro esistenza sul treno, un treno che è semsono pendolari. Non sono tanti i coraggiosi che affrontano pre lo stesso, con la stessa lentezza, e sempre più sporco, il viaggio in treno per andare in Calabria MATERA: IL FAI RESTAURA mentre il resto della vita corre veloce e e, ancor di più, in Sicilia. Il vero viaggio CASA NOHA... MA NON BASTA fugge via. Guardo dal finestrino. Paola, comincia adesso. Il viaggio della spe- Il Fondo ambiente italiano (Fai) e la Belvedere marittimo. Siamo in Calabria. ranza: che il ritardo (che è già di oltre Fondazione Telecom Italia hanno Tropea è splendida. Vibo Valentia, Romezz’ora) non aumenti, che il bagno aperto al pubblico nella Città dei sarno, Palmi. Il treno è quasi vuoto, resti agibile, che il bambino non ri- Sass la Casa Noha, uno dei più signi- ormai, siamo rimasti in cinque nella mia ficativi esempi di architettura priprenda a piangere, che il treno non si vata nel cuore di Matera. La bella carrozza. Ci lanciamo sguardi sconforfermi per uno dei tanti scambi che nel palazzina secentesca è ora diventata tati. Manca poco, dai…Sono troppo tragitto per il Meridione si incontrano, casa museo inaugurata il 28 febbraio stanca, perfino per ammirare il panonel tratto su un unico binario disponi- 2014. A questa buona notizia si lega, rama, questo paesaggio marittimo così bile… Il vero viaggio comincia adesso, nel contempo, quella che non pro- familiare e magnifico. Finalmente, prio non va giù. Tra le provincie che il treno rallenta, mentre la rumoro- poco felici dell’Italia che non fun- siamo a Villa San Giovanni! Non ho la sità sembra aumentare, non si sa se per ziona soprattutto per le giovani ge- forza per rallegrarmi, sono lenta anch’io, ragioni tecniche o semplicemente per- nerazioni, le ultime in classifica nei pensieri e nei sentimenti, dopo sette ché sale la stanchezza e la rassegna- sono: Enna, Potenza e Matera. La ore di viaggio. Subisco le operazioni di zione, nella chiara certezza di essere città capoluogo della terra di Basili- imbarco sul traghetto come il detenuto cata, penultima tra le province itacittadini di serie b. «Siete lenti, al Sud», liane, va male per competitività assiste alle formalità per essere rimesso ci dicono. Non siamo lenti, siamo ral- economica e qualità di vita. Matera, in libertà. Avanti e indietro, una, due lentati. Da quelli che pretendono di an- terz’ultima in classifica, ha pochi volte. Ma, questa lentezza, ecco, adesso dare più veloci di noi, e lo credono un servizi, poco dinamismo e poche non mi stressa più. Sto per arrivare a diritto. I treni per il Sud sono lenti, sì, possibilità di guadagnare. E il sud casa. Sono quasi a Messina. Sento già il continua a morire! troppo lenti. profumo del mare. 38
Verso i 90 anni LS 19
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Solo a sfogliare le prime pagine di Luce Serafica ( Anno I. N.1Ravello – Salerno, Marzo 1925) vengono i brividi, perché quel messaggio francescano partito dalla <Gemma della divina costiera> conserva ancora oggi, dopo 90 anni, tutta la forza delle origini. I fratelli Palatucci padre Antonio e padre Giuseppe - il primo ideatore del progetto e il secondo realizzatore - rispondevano a quattro precise domande: < Che cosa vogliamo?> <Luce> <Luce Serafica; <E’ un dovere>. Si era alla vigilia del VII° centenario della morte del serafico padre san Francesco. Si avvertiva la necessità di accendere un <Luce> dal colle del Paradiso di Ravello. Da Assisi, quindi, a Ravello. Continuavano ad illuminare le strade del mondo questi due candelabri accesi: il padre: Francesco d’Assisi e il figlio: fra Bonaventura da Potenza. Dal 1925 ad oggi il fiume della storia ha segnato altri traguardi francescani che <Luce Serafica> puntualmente a riproposto ai suoi amici lettori. Dopo 90 anni quella splendida avventura francescana continua.
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In cammino verso la Pasqua Meditazioni per la Settimana Santa cato. Al di sopra della morte sta la prospettiva della vita. La morte fa parte delle dimensioni del mondo visibile, la vita è in Dio. Il Dio della vita parla a noi della croce e risurrezione del suo Figlio. Questa è l’ultima parola della sua rivelazione. L’ultima parola del Vangelo. Proprio questa parola è contenuta nel mistero pasquale di Gesù Cristo.
GIUSEPPE FALANGA TEOLOGO
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a Settimana Santa racchiude il cuore della fede cristiana. La liturgia di questi giorni ci offre la possibilità di celebrare con maggiore intensità il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Attraverso il Tempo pasquale, poi, la Chiesa si sofferma sul grande dono della luce del Cristo risorto, in attesa della nuova Pentecose. Che cosa è il mistero pasquale di Gesù Cristo? Sono gli avvenimenti di questi giorni, particolarmente degli ultimi giorni della Settimana Santa. Questi avvenimenti hanno la loro dimensione umana, come ne rendono testimonianza le descrizioni della Passione del Signore nei Vangeli. Mediante questi avvenimenti il mistero pasquale è collocato nella storia dell’uomo, nella storia dell’umanità. Tuttavia tali avvenimenti hanno, nello stesso tempo, la loro dimensione divina, e proprio in essa si manifesta il mistero. Ne scrive concisamente san Paolo: Gesù Cristo “il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Questa dimensione del mistero divino si chiama Incarnazione: il Figlio della stessa sostanza del Padre si fa uomo, e come tale diventa servo di Dio: servo di Jahvè come dice il Libro di Isaia. Mediante questo servizio del Figlio dell’uomo, la divina economia della salvezza raggiunge il suo apice, la sua pienezza. Il mistero pasquale di Gesù Cristo non si esaurisce nello spogliamento di Cristo. Non lo chiude la grande pietra messa sull’entrata del sepolcro dopo la morte sul Golgota. Il terzo giorno questa pietra verrà rotolata via dalla potenza divina e incomincerà a “gridare”: incomincerà a parlare di ciò che san Paolo ancora esprime in queste parole dell’odierna liturgia: “per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,10-11). Redenzione significa pure esaltazione. L’esaltazione, la risurrezione di Cristo apre una prospettiva assolutamente nuova nella storia dell’uomo, nell’esistenza umana, sottomessa alla morte a causa dell’eredità del pec-
1. Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli È l’antifona d’ingresso della Domenica delle Palme. Queste parole sono state pronunciate con entusiasmo dagli uomini che si erano recati a Gerusalemme per la festa di Pasqua, così come anche Gesù vi si era recato per celebrare la sua Pasqua. Sono state proclamate queste parole particolarmente dai giovani “Pueri Hebraeorum”, come dice il testo liturgico. La partecipazione dei giovani all’avvenimento della Domenica delle Palme si è fissata nella tradizione. In questa domenica noi tutti guardiamo a Cristo che, secondo il preannunzio dal profeta, viene a Gerusalemme su un puledro d’asino in conformità all’usanza del luogo. Gli apostoli hanno messo i loro mantelli sulla bestia da soma, perché Gesù vi si potesse mettere seduto. E quando egli fu vicino alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per i prodigi che avevano veduto (cf. Lc 19,37). Infatti, nella sua terra natia Gesù era già riuscito a giungere con la buona novella a molta gente, a molti figli e figlie d’Israele, agli anziani, ai giovani, alle donne e ai bambini. E insegnava operando: facendo del bene. Rivelava Dio come Padre. Lo rivelava con l’opera e con la parola. Beneficando tutti, particolarmente i poveri, i sofferenti, preparava nei loro cuori la via per l’accoglimento della parola, perfino quando questa parola era, in un primo tempo, incomprensibile, come per esempio il primo annunzio dell’Eucaristia; perfino quando questa parola era esigente, come sull’indissolubilità del matrimonio. Era tale e tale è rimasta. Tra le parole pronunziate da Gesù di Nazaret se ne trova anche una indirizzata a un giovane, a un giovane ricco. A questo colloquio ho fatto riferimento nella lettera dell’anno scorso ai giovani e alle giovani. È un colloquio conciso, contiene poche parole, ma quanto è denso, quanto carico di contenuto, quanto è fondamentale! Oggi, dunque, contempliamo Gesù di Nazaret, che viene a Gerusalemme: il suo arrivo è accompagnato dall’entusiasmo dei pellegrini: 40
“Osanna al figlio di Davide!” (Mt 21,9). Sappiamo tuttavia che l’entusiasmo verrà fra poco soffocato. Contempliamo quindi “colui che viene nel nome del Signore” (Mt 21,9) nella prospettiva della Settimana Santa. “Ecco, noi andiamo a Gerusalemme e … il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno” (Lc 18,31-33). Così dunque taceranno le grida della folla della Domenica delle Palme. Lo stesso Figlio dell’uomo sarà costretto al silenzio della morte. E quando, la vigilia del sabato, lo caleranno giù dalla croce, lo deporranno in un sepolcro, rotoleranno un masso contro l’entrata del sepolcro e sigilleranno la pietra. Tuttavia, dopo tre giorni questa pietra sarà rotolata via. E le donne che verranno alla tomba, la troveranno vuota. Ugualmente gli apostoli. Così dunque quella “pietra rotolata via” griderà, quando tutti taceranno. Griderà. Essa proclamerà il mistero pasquale di Gesù Cristo. E da essa attingeranno questo mistero le donne e gli apostoli, che lo porteranno con le loro labbra nelle strade
di Gerusalemme, e poi per le vie del mondo d’allora. E così, di generazione in generazione, “grideranno le pietre”. 2. Non mi laverai mai i piedi L’istituzione del sacramento dell’ultima cena è collegata, mediante un vincolo dai molteplici significati, con la lavanda dei piedi degli apostoli. “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli” (Gv 13,3-5). Proprio in quel momento incontrò la resistenza di Pietro. L’odierno Vangelo ce lo ricorda. Pietro cominciò ad opporsi e la sua resistenza era categorica: “Non mi laverai mai i piedi”. Già una volta Pietro si era opposto così a Cristo. Questo era avvenuto poco dopo aver confessato la fede nel Messia, Figlio di Dio. Era avvenuto quando, dopo quella confessione, Gesù preannunciò la sua passione. Allora Pietro cominciò a protestare dicendo: Signore que-
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sto non ti accadrà mai (cf. Mt 16,22). Se era il Figlio del Dio vivente, come parlare di passione? Di morte su una croce? Dio è sovrano di ogni cosa. È Signore del cielo e della terra. Allora, come può essere vinto dagli uomini? Come gli uomini possono infliggergli la morte! In quel momento Cristo rimproverò duramente Pietro. Forse a nessuno ha mai parlato così severamente, come in quella circostanza fece con lui. Questa volta invece Cristo non rimprovera Pietro. Lo ammonisce soltanto delicatamente. Usa un tono suadente: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” (Gv 13,8). E Pietro si arrende al Maestro. Tuttavia, perché Pietro si era opposto prima? Perché si era opposto quando Gesù – dopo Cesarea di Filippo – aveva preannunciato la sua passione e la morte di croce! Forse proprio perché gli era stato dato di conoscere la Divinità di Cristo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Gli era stato dato di conoscere il mistero inscruta-
bile di Dio: tutte le cose che sono tenute nascoste ai potenti e ai sapienti vengono rivelate ai piccoli (cf. Mt 11,25). Eppure, “nessuno conosce il Figlio se non il Padre” (Mt 11,27). È il Padre che ha rivelato a Pietro la Divinità del Figlio. Ma appunto per questo: come può dire lui, il Cristo, il Figlio di Dio, che verrà ucciso, condannato a morte dagli uomini? Dio non è forse il Signore assoluto di tutto quanto esiste? Non è il Signore assoluto della vita? E anche adesso: come può lui, il Figlio del Dio vivente, il Signore, comportarsi da servo? Come può mettersi in ginocchio ai piedi degli apostoli e lavare loro i piedi? Come può inginocchiarsi ai piedi di Pietro! Pietro difende dinanzi a se stesso, difende dinanzi ai Dodici, difende dinanzi a Cristo la sua immagine di Dio; di Dio e del Figlio di Dio. Quanti uomini nel mondo hanno difeso così e difendono la loro immagine di Dio. Quanti popoli quante tradizioni, culture, religioni? Dio e l’Essere 42
perfettissimo, è l’Ente supremo inscrutabile, è il Signore assoluto di ogni cosa. È impossibile che egli si facesse uomo. Impossibile che volesse servire. Lavare i piedi ai discepoli. Impossibile che potesse morire sulla croce. Questo nuovo contrasto di Pietro con Cristo precede, in quella sera che oggi rievochiamo, il mistero dell’istituzione dell’Eucaristia. Detto semplicemente: questo Dio è Amore. Come Amore, ha creato il mondo. Come Amore ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Come Amore si è fatto il Dio dell’alleanza. Come Amore si è fatto Uomo: ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché l’uomo abbia la vita eterna (cf. Gv 3,16). Come Amore, vuole andare sulla croce, per redimere i peccati del mondo, per stabilire la nuova ed eterna alleanza “nel suo Sangue”. Come Amore, istituisce, in questa sera, l’Eucaristia. L’Amore infatti non intende altro se non il bene che desidera donare. Il bene al quale vuole servire. Per questo bene, egli, che è l’Onnipotente, è disposto a diventare debole come un condannato consegnato alla morte di croce, è disposto a diventare debole e indifeso come pane: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me” (Lc 22,19).
stesso rilegge durante questa veglia il Vangelo dell’alba pasquale. Oggi è il Vangelo secondo Matteo. In questo modo la veglia della Chiesa è la veglia pasquale. Nel corso di questa santa Notte –grazie al Cristo crocifisso e deposto nel sepolcro – la morte sarà vinta dalla Morte: mors, ero mors tua. Pasqua significa “passaggio”. È il passaggio verso la vita attraverso la morte, così come una volta, nell’antica alleanza, Israele è passato verso la vita attraverso la morte dell’agnello pasquale. Tuttavia, quello fu soltanto un passaggio verso un’altra vita su questa terra: dalla schiavitù d’Egitto verso la libertà nella terra promessa. La Pasqua della Chiesa significa il passaggio verso la Vita Eterna che viene da Dio, che è la vita in Dio. Nessuna terra promessa in questo mondo può assicurare una tale libertà, può assicurare una tale vita. Tuttavia, la Pasqua di Cristo si è compiuta su questa terra. In questa terra la morte è stata distrutta dalla morte. In questa terra Cristo è stato crocifisso e deposto nel sepolcro e all’alba, “il giorno dopo, il sabato” (cioè la domenica), la tomba si è presentata vuota. La prima causa della morte è il peccato. Tutte le tombe sparse sulla faccia della terra parlano della morte delle successive generazioni umane. Tutte le tombe nel globo terrestre rendono testimonianza al peccato, all’eredità del peccato nell’uomo. Cristo, nel mistero pasquale, è passato dalla morte alla vita. Ciò vuol dire: ha distrutto alla radice l’eredità del peccato mediante la sua obbedienza fino alla morte. Dunque la Pasqua di Cristo significa anche passaggio attraverso la storia del peccato dell’umanità fin dall’inizio: fin là, dove “per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori” (Rm 5, 19). Perciò la Chiesa professa: “Fu crocifisso, morì e fu sepolto – discese agli inferi (“descendit ad inferos”) – il terzo giorno è risuscitato”. Prima di essere risuscitato, con la sua morte ha toccato il peccato dell’uomo in tutte le generazioni di quanti sono morti. Le ha visitate con la potenza della sua morte: con la potenza redentrice della sua morte. Con la potenza vivificante della sua morte. O mors, ero mors tua! E anche noi che viviamo su questa terra, che oggi partecipiamo alla veglia pasquale, siamo stati “immersi nella sua morte” come scrive san Paolo. (cf. Rm 6, 3) La morte di Cristo, la morte redentrice, la morte vivificante ha distrutto l’eredità del peccato che è in ciascuno di noi. Infatti, “siamo stati battezzati in Cristo Gesù” (cf. Rm 6, 3). C’è di più: “per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (cf. Rm 6, 4). In questo spirito partecipiamo alla veglia pasquale insieme con tutta la Chiesa. Insieme con tutti i nostri fratelli e sorelle nella fede, ovunque vegliano in questa Notte santa presso il sepolcro della morte e della risurrezione di Cristo.
3. Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito L’uomo è capace di accogliere un Dio crocifisso? Il Venerdì Santo celebriamo la Passione del Signore Gesù Cristo. Ecco la domanda contenuta nel cuore del triduo sacro. Nel profondo del mistero pasquale di Gesù Cristo. Insieme con la domanda c’è anche la risposta. Il pensiero dell’uomo attento a Dio può camminare per diverse vie e su strade impervie. Può perfino volgersi contro Dio, può negare la sua esistenza. Tuttavia Dio – al di sopra di tutto questo – “non può rinnegare se stesso” (2Tm 2, 13), non può cessare di essere se stesso. Non può cessare di essere Amore. Nella morte di Gesù Cristo, Dio rivela il suo amore per noi. Perché amare vuol dire donare la vita. 4. O mors, ero mors tua! Nella notte santa del sabato la Chiesa ritorna sul posto della morte e della sepoltura di Cristo. Il Venerdì Santo, il giorno prima del sabato, è stato tolto il suo corpo dalla croce ed è stato deposto nella tomba. In precedenza il soldato romano aveva trafitto il costato di Gesù con una lancia, per constatare se egli fosse veramente morto. Hanno deposto il suo corpo, in fretta nel sepolcro, perché il giorno della preparazione alla Pasqua stava per terminare. Oggi la Chiesa viene di nuovo a questo sepolcro e presso la tomba chiusa del Crocifisso celebra la sua veglia pasquale. Il fatto di vegliare implica un tempo di attesa. La Chiesa viene al sepolcro di Cristo con la consapevolezza della morte, che questo sepolcro significa. Viene con la certezza che Gesù di Nazaret è veramente morto! E al tempo
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5. Pace a voi Nella liturgia della Domenica in Albis questo fatto è particolarmente messo in evidenza. È l’ottava di Pasqua. È la domenica “in albis depositis”. Tale denominazione ebbe la sua origine da un rito che per molto tempo venne compiuto nella Chiesa il sabato e, poi, ricordato la domenica successiva alla Pasqua di risurrezione. In quel giorno i neofiti dopo averla indossata per un’intera settimana, riconsegnavano la veste bianca, che avevano ricevuto al Battesimo durante la Veglia pasquale. Così facendo, mentre lasciavano il vestito che indicava all’esterno il nitore delle loro anime purificate da Cristo, si assumevano l’impegno di conservare questa innocenza nella vita quotidiana. Anche nel rito battesimale attualmente in vigore è posta sul bambino una piccola veste candida, per indicare, oggi come nei tempi trascorsi, che con il Battesimo non avviene
una semplice mutazione esteriore, ma un cambiamento che giunge fino alla radice dell’essere. Il rinnovamento battesimale è uno spogliarsi dell’uomo vecchio come di una veste consunta al fine di ricevere quella di incorruttibilità offerta da Cristo, il quale, purificando e rigenerando, ci riveste di sé mediante l’incorporazione. E così, figli nel Figlio, camminiamo in novità di vita, conducendo un’esistenza redenta come si conviene “agli eletti di Dio, rivestiti di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza” (Col 3,12). Il Vangelo ci conduce al cenacolo di Gerusalemme, che è diventato il primo luogo della storia del nuovo Israele: del popolo di Dio della nuova alleanza. Già prima ci eravamo trovati nel cenacolo, il giorno stesso della risurrezione. È il primo giorno “dopo il sabato”. Il primo giorno della settimana. Gli apostoli già sanno che la tomba di Gesù è vuota, 44
perché in antecedenza le donne e poi Pietro e Giovanni si erano recati al sepolcro. La sera di quel medesimo giorno Gesù stesso viene a loro. Appare in mezzo a loro, anche se le porte del cenacolo rimangono chiuse. Si presenta e saluta i riuniti, dicendo: “Pace a voi” (Gv 20, 19). Mostra loro “le mani e il costato” (Gv 20,20): le ferite dovute alla crocifissione. Ed ecco, è come se da queste ferite, da queste mani trafitte, dai piedi e dal costato egli desuma ciò che soprattutto desidera dire loro in questo primo incontro dopo il Calvario. Ascoltiamo con attenzione. Gesù disse: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,21-23). Da quel primo giorno la Chiesa vive con la potenza della nuova ed eterna alleanza. Vive con la potenza della morte e risurre-
zione salvifica. Di là attinge il potere sul male. Direttamente da Cristo. Il Vangelo di questa Liturgia eucaristica ci conduce ancora una volta al cenacolo. È l’“ottavo” giorno, al quale corrisponde proprio la domenica odierna. Gesù viene per Tommaso. Tommaso è uno dei Dodici, e insieme con loro deve essere testimone della risurrezione. E poiché gli era difficile credere in questa risurrezione (infatti non si trovava con loro otto giorni prima), per questo Gesù viene una seconda volta, quando egli è presente. Viene per convincerlo: per offrirgli la testimonianza evidente della sua risurrezione. Così, dunque, la Chiesa, fin dai primi giorni, vive la risurrezione di Cristo. Vive del mistero pasquale del suo Maestro e Sposo. E ad esso attinge la duplice potenza: la potenza della testimonianza e la potenza della grazia salvifica dell’uomo. Di ciò parla pure la prima lettura della liturgia odierna dagli Atti degli apostoli.
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Francesco esempio più chiaro di riforma della Chiesa ogni genere di povertà. Gli storici insistono giustamente sul fatto che Francesco, all’inizio, non ha scelto la povertà e tanto meno il pauperismo; ha scelto i poveri! Il cambiamento è motivato più dal comandamento; “Ama il prossimo tuo come te stesso”, che non dal consiglio: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Era la compassione per la povera gente, più che la ricerca della propria perfezione che lo muoveva, la carità più che la povertà. Tutto questo è vero, ma non tocca ancora il fondo del problema. È l’effetto del cambiamento, non la sua causa. La scelta vera è molto più radicale: non si trattò di scegliere tra ricchezza e povertà, né tra ricchi e poveri, tra l’appartenenza a una classe piuttosto che a un’altra, ma di scegliere tra se stesso e Dio, tra salvare la propria vita o perderla per il Vangelo. Ci sono stati alcuni (per esempio, in tempi a noi vicini, Simone Weil) che sono arrivati a Cristo partendo dall’amore per i poveri e vi sono stati altri che sono arrivati ai poveri partendo dall’amore per Cristo. Francesco appartiene a questi secondi. Il motivo profondo della sua conversione non è di natura sociale, ma evangelica. Gesú ne aveva formulato la legge una volta per tutte con una delle frasi più solenni e più sicuramente autentiche del Vangelo: “Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà” (Mt 14, 24-25). Francesco, baciando il lebbroso, ha rinnegato se stesso in quello che era più “amaro” e ripugnante alla sua natura. Ha fatto violenza a se stesso. Il particolare non è sfuggito al suo primo biografo che descrive così l’episodio: “Un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria”2. Francesco non andò di sua spontanea volontà dai lebbrosi, mosso da umana e religiosa compassione. “Il Signore, scrive, mi condusse tra loro”. È su questo piccolo dettaglio che gli storici non sanno –né potrebbero – dare un giudizio, ed è invece all’origine di tutto. Gesù aveva preparato il suo cuore in modo che la sua libertà, al momento giusto, rispondesse alla grazia. A questo erano serviti il sogno di
RANIERO CANTALAMESSA PREDICATORE DELLA CASA PONTIFICIA
Quale è la natura del ritorno del giovane Francesco d’Assisi al Vangelo? Il teologo Yves Congar, nel suo studio su “Vera e falsa riforma nella Chiesa”, vede in Francesco l’esempio più chiaro di riforma della Chiesa per via di santità1. In che è consistita la sua riforma per via di santità e cosa il suo esempio comporta in ogni epoca della Chiesa, compresa la nostra. 1. La conversione di Francesco Per capire qualcosa dell’avventura di Francesco bisogna partire dalla sua conversione. Di tale evento esistono, nelle fonti, diverse descrizioni con notevoli differenze tra di loro. Per fortuna abbiamo una fonte assolutamente affidabile che ci dispensa dallo scegliere tra le varie versioni. Abbiamo la testimonianza di Francesco stesso nel suo Testamento, la sua ipsissima vox, come si dice delle parole sicuramente di Cristo riportate nel Vangelo. Dice: < Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo>. È su questo testo che giustamente si basano gli storici, ma con un limite per loro invalicabile. Gli storici, anche i meglio intenzionati e più rispettosi della peculiarità della vicenda di Francesco, come è stato, tra gli italiani Raoul Manselli, non riescono a cogliere il perché ultimo del suo radicale cambiamento. Si arrestano –e giustamente per rispetto al loro metodo – sulla soglia, parlando di un “segreto di Francesco”, destinato a rimanere tale per sempre. Quello che si riesce a costatare, dicono gli storici, è la decisione di Francesco di cambiare il suo stato sociale. Da appartenente alla classe agiata, che contava nella città per nobiltà o per ricchezza, egli ha scelto di collocarsi all’estremità opposta, condividendo la vita degli ultimi, di quelli che non contavano nulla, i cosiddetti “minori”, afflitti da 46
Spoleto e la domanda se preferiva servire il servo o il padrone, la malattia, la prigionia a Perugia e quell’inquietudine strana che non gli permetteva più di trovare gioia nei divertimenti e gli faceva ricercare luoghi solitari. Pur senza pensare che si trattasse di Gesú in persona sotto le sembianze di un lebbroso (come più tardi si cercò di fare, ripensando al caso analogo della vita di san Martino di Tours3), in quel momento il lebbroso per Francesco rappresentava a tutti gli effetti Gesú. Non aveva egli detto: “L’avete fatto a me”? In quel momento ha scelto tra se e Gesú. La conversione di Francesco è della stessa natura di quella di Paolo. Per Paolo, a un certo punto, quello che prima era stato un “guadagno” cambiò segno e divenne “perdita”, “a motivo di Cristo” (Fil 3, 5 ss); per Francesco quello che era stato amaro si convertì in dolcezza, anche qui “a motivo di Cristo”. Dopo questo momento, entrambi possono dire: “Non sono più io che vivo, Cristo vive in me”. Tutto questo ci obbliga a correggere una certa immagine di Francesco resa popolare dalla letteratura posteriore e accolta da Dante nella Divina Commedia. La famosa metafora delle nozze di Francesco con Madonna Povertà che ha lasciato tracce profonde nell’arte e nella poesia francescane può essere deviante. Non ci si innamora di una virtù, fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona. Le nozze di Francesco sono state, come quelle di altri mistici, uno sposalizio con Cristo. Ai compagni che gli chiedevano se intendeva prendere moglie, vedendolo una sera stranamente assente e luminoso in volto, il giovane Francesco rispose: “Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista”. Questa risposta viene di solito male interpretata. Dal contesto appare chiaro che la sposa non è la povertà, ma il tesoro nascosto e la perla preziosa, cioè Cristo. “Sposa, commenta il Celano che riferisce l’episodio, è la vera religione che egli
abbracciò; e il regno dei cieli è il tesoro nascosto che egli cercò”4. Francesco non sposò la povertà e neppure i poveri; sposò Cristo e fu per amor suo che sposò, per così dire “in seconde nozze” Madonna povertà. Così sarà sempre nella santità cristiana. Alla base dell’amore per la povertà e per i poveri, o vi è l’amore per Cristo, oppure i poveri saranno in un modo o nell’altro strumentalizzati e la povertà diventerà facilmente un fatto polemico contro la Chiesa, o una ostentazione di maggiore perfezione rispetto ad altri nella Chiesa, come avvenne, purtroppo, anche tra alcuni dei seguaci del Poverello. Nell’uno e nell’altro caso, si fa della povertà la peggiore forma di ricchezza, quella della propria giustizia. 2. Francesco e la riforma della Chiesa Come avvenne che da un evento così intimo e personale come fu la conversione del giovane Francesco, prese avvio un movimento che cambiò a suo tempo il volto della Chiesa e ha inciso così fortemente nella storia, fino ai nostri giorni? Bisogna dare uno sguardo alla situazione del tempo. All’epoca di Francesco la riforma della Chiesa era un’esigenza avvertita più o meno consapevolmente da tutti. Il corpo della Chiesa viveva tensioni e lacerazioni profonde. Da una parte c’era la Chiesa istituzionale –papa, vescovi, alto clerologorata dai suoi perenni conflitti e dalle sue troppo strette alleanze con l’impero. Una Chiesa avvertita come lontana, impegnata in vicende troppo al di sopra degli interessi della gente. Venivano poi i grandi ordini religiosi, spesso fiorenti per cultura e spiritualità dopo le varie riforme del secolo XI, tra qui quella Cistercense, ma fatalmente identificati con i grandi proprietari terrieri, i feudatari del tempo, vicini e nello stesso tempo remoti anch’essi, per problemi e tenore di vita, dal popolo minuto.
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al suo tempo, compresi appunto i frati minori, i domenicani, gli umiliati milanesi. Una cosa, in ogni caso, è assolutamente certa: quell’intenzione non ha mai sfiorato la mente di Francesco. Egli non pensò mai di essere chiamato a riformare la Chiesa. Bisogna stare attenti a non tirare conclusioni sbagliate dalle famose parole del Crocifisso di San Damiano “Va’, Francesco e ripara la mia Chiesa che, come vedi, va in rovina”. Le fonti stesse ci assicurano che egli intese quelle parole nel senso assai modesto di dover riparare materialmente la chiesetta di San Damiano. Furono i discepoli e i biografi che interpretarono – e, bisogna dire, non a torto – quelle parole come riferite alla Chiesa istituzione e non solo alla Chiesa edificio. Lui rimase sempre alla sua interpretazione letterale e infatti continuò a riparare altre chiesette dei dintorni di Assisi che erano in rovina. Anche il sogno in cui Innocenzo III avrebbe visto il Poverello sostenere con la sua spalla la Chiesa cadente del Laterano non dice nulla di più. Supposto che il fatto sia storico (un episodio analogo viene infatti narrato anche a proposito di San Domenico), il sogno fu del papa, non di Francesco! Egli non si è mai visto come lo vediamo noi oggi nell’affresco di Giotto. Questo significa essere riformatore per via di santità: esserlo, senza saperlo!
Dalla parte opposta c’era una società che dalle campagne cominciava a emigrare verso le città in cerca di maggiore libertà dalle varie servitù. Questa parte della società identificava la Chiesa con le classi dominanti da cui sentiva il bisogno di affrancarsi. Perciò si schierava volentieri con quelli che la contraddicevano e la combattevano: eretici, gruppi radicali e pauperistici, mentre simpatizzava con il basso clero spesso non all’altezza spirituale dei prelati, ma più vicino al popolo. C’erano dunque forti tensioni che ognuno cercava di sfruttare a proprio vantaggio. La Gerarchia cercava di rispondere a queste tensioni migliorando la propria organizzazione e reprimendo gli abusi, sia al suo interno (lotta alla simonia e al concubinato dei preti) sia all’esterno nella società. I gruppi ostili cercavano invece di fare esplodere le tensioni, radicalizzando il contrasto con la Gerarchia dando origine a movimenti più o meno scismatici. Tutti inalberavano contro la Chiesa l’ideale della povertà e semplicità evangelica facendo di esso un’arma polemica, più che un ideale spirituale da vivere in umiltà, arrivando a mettere in discussione anche il ministero della Chiesa, il sacerdozio e il papato. Noi siamo abituati a vedere Francesco come l’uomo provvidenziale che coglie queste istanze popolari di rinnovamento, le disinnesca da ogni carica polemica e le riporta o le attua nella Chiesa in profonda comunione e sottomissione ad essa. Francesco dunque come una specie di mediatore tra gli eretici ribelli e la Chiesa istituzionale. In un noto manuale di storia della Chiesa così è presentata la sua missione: “Siccome la ricchezza e la potenza della Chiesa apparivano spesso come una fonte di gravi mali e gli eretici del tempo ne traevano argomento per le principali accuse contro di essa, in alcune anime pie si destò il nobile desiderio di ripristinare la vita povera di Gesù e della Chiesa primitiva, per poter così più efficacemente influire sul popolo con la parola e l’esempio”5. Tra queste anime viene collocato naturalmente in primo luogo, insieme con san Domenico, Francesco d’Assisi. Lo storico protestante Paul Sabatier, pur tanto benemerito degli studi francescani, ha reso quasi canonica tra gli storici, e non solo tra quelli laici e protestanti, la tesi secondo cui il cardinale Ugolino (il futuro Gregorio IX) avrebbe inteso catturare Francesco per la Curia, addomesticando la carica critica e rivoluzionaria del suo movimento. In pratica è il tentativo di fare di Francesco, un precursore di Lutero, cioè un riformatore per via di critica, anziché di santità. Non so se questa volontà di strumentalizzarlo si possa attribuire a qualcuno dei grandi protettori e amici di Francesco. Pare difficile attribuirla al card. Ugolino e ancora meno a Innocenzo III, di cui è nota l’azione riformatrice e l’appoggio dato a varie forme nuove di vita spirituale sorte
3. Francesco e il ritorno al Vangelo Se non ha voluto essere un riformatore, cosa allora ha voluto essere e fare Francesco? Anche su questo abbiamo la fortuna di avere la testimonianza diretta del Santo nel suo Testamento: “E dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io con poche parole e semplicemente lo feci scrivere, e il signor Papa me lo confermò”. Allude al momento in cui, durante una Messa, ascoltò il brano di vangelo dove Gesù invia i suoi discepoli dicendo: “Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire i malati. E disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio: né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non abbiate tunica di ricambio” (Lc 9, 2-3)6. Fu una rivelazione folgorante di quelle che orientano un’intera vita. Da quel giorno gli fu chiara la sua missione: un ritorno semplice e radicale al vangelo reale, quello vissuto e predicato da Gesù. Ripristinare nel mondo la forma e lo stile di vita di Gesù e degli apostoli descritto nei vangeli. Scrivendo la Regola per i suoi frati comincerà così: “La regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo”. Francesco non teorizzò questa sua scoperta, facendone il programma per la riforma della Chiesa. Egli realizzò in sé la riforma e così indicò tacitamente alla Chiesa l’unica via
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l’ha con la scienza-conoscenza, ma con la scienza-potere; quella che privilegia chi sa leggere su chi non sa leggere e gli permette di comandare altezzosamente al fratello: “Portami il breviario!”. Durante il famoso capitolo delle stuoie ad alcuni suoi frati che volevano spingerlo ad adeguarsi all’atteggiamento degli “ordini” colti del tempo, rispose con parole di fuoco che lasciarono, si legge, i frati pervasi di timore: «Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato a camminare la via della semplicità e me l’ha mostrata. Non voglio quindi che mi nominiate altre Regole, né quella di sant’Agostino, né quella di san Bernardo o di san Benedetto. Il Signore mi ha rivelato essere suo volere che io fossi un pazzo nel mondo: questa è la scienza alla quale Dio vuole che ci dedichiamo! Egli vi confonderà per mezzo della vostra stessa scienza e sapienza”8. Sempre lo stesso coerente atteggiamento. Egli vuole per sé e i suoi frati la più rigida povertà, ma, nella Regola, li esorta a “non disprezzare e a non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso”9. Sceglie di essere un illetterato, ma non condanna la scienza. Una volta assicurato che la scienza non estingua “lo spirito della santa orazione e devozione”, sarà lui stesso a permettere a frate Antonio di dedicarsi all’insegnamento della teologia e san Bonaventura non crederà di tradire lo spirito del fondatore, aprendo l’ordine agli studi nelle grandi università. Yves Congar vede in ciò una delle condizioni essenziali della “vera riforma” nella Chiesa, la riforma, cioè, che rimane tale e non si trasforma in scisma: vale a dire la capacità di non assolutizzare la propria intuizione, ma rimanere solidale con il tutto che è la Chiesa10. La convinzione, dice papa Francesco, nella sua recente Esortazione apostolica Evangelii gaudium, che “il tutto è superiore alla parte”.
per uscire dalla crisi: riaccostarsi al vangelo, riaccostarsi agli uomini e in particolare agli umili de ai poveri. Questo ritorno al Vangelo si riflette anzitutto nella predicazione di Francesco. È sorprendente, ma tutti lo hanno notato: il Poverello parla quasi sempre di “fare penitenza”. Da allora in poi, narra il Celano, con grande fervore ed esultanza, egli cominciò a predicare la penitenza, edificando tutti con la semplicità della sua parola e la magnificenza del suo cuore. Dovunque andava, Francesco diceva, raccomandava, supplicava che facessero penitenza7. Che cosa intendeva Francesco con questa parola che gli stava tanto a cuore? A questo proposito siamo caduti (almeno io sono caduto per molto tempo) in errore. Abbiamo ridotto il messaggio di Francesco a una semplice esortazione morale, a un battersi il petto, affliggersi e mortificarsi per espiare i peccati, mentre esso ha tutta la novità e il l’ampio respiro del vangelo di Cristo. Francesco non esortava a fare “penitenze”, ma a fare “penitenza” (al singolare!) che, vedremo, è tutt’un’altra cosa. Il Poverello, salvi i pochi casi che conosciamo, scriveva in latino. E cosa troviamo nel testo latino, del Testamento, quando scrive: “Il Signore diede a me, frate Francesco, così di cominciare a fare penitenza”? Troviamo l’espressione “poenitentiam agere”. Egli, si sa, amava esprimersi con le parole stesse di Gesù. E quella parola – fare penitenza - è la parola con cui Gesù cominciò a predicare e che ripeteva in ogni città e villaggio dove si recava: “Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). La parola che oggi si traduce con “convertitevi” o “pentitevi”, nel testo della Volgata usato dal Poverello, suonava “poenitemini” e in Atti 2, 37 ancora più letteralmente “poenitentiam agite”, fate penitenza. Francesco non ha fatto altro che rilanciare il grande appello alla conversione con cui si apre la predicazione di Gesú nel Vangelo e quella degli apostoli il giorno di Pentecoste. Francesco fece a suo tempo quello che al tempo del Concilio Vaticano II si intendeva con il motto: “abbattere i bastioni”: rompere l’isolamento della Chiesa, riportarla a contatto con la gente. Uno dei fattori di oscuramento del vangelo era la trasformazione dell’autorità intesa come servizio, in autorità intesa come potere che aveva prodotto infiniti conflitti dentro e fuori la Chiesa. Francesco, per conto suo, risolve il problema in senso evangelico. Nel suo Ordine, novità assoluta, i superiori si chiameranno ministri, cioè servi, e tutti gli altri frati, cioè fratelli. Un altro muro di separazione tra la Chiesa e il popolo era la scienza e la cultura di cui il clero e i monaci avevano in pratica il monopolio. Francesco lo sa e perciò prende la posizione drastica che sappiamo su questo punto. Egli non ce
4. Come imitare Francesco Che cosa dice a noi oggi l’esperienza di Francesco? Che cosa possiamo imitare, di lui, tutti e subito? Sia quelli che Dio chiama a riformare la Chiesa per via di santità, sia quelli che si sentono chiamati a rinnovarla per via di critica, sia quelli che egli stesso chiama a riformarla per via dell’ufficio che ricoprono? La stessa cosa da cui è cominciata l’avventura spirituale di Francesco: la sua conversione dall’io a Dio, il suo rinnegamento di sé. È così che nascono i veri riformatori, quelli che cambiano davvero qualcosa nella Chiesa. I morti a se stessi. Meglio, quelli che decidono seriamente di morire a se stessi, perché si tratta di un’impresa che dura tutta la vita e anche oltre, se, come diceva scherzosamente santa Teresa d’Avila, il nostro amor proprio muore venti minuti dopo di noi. Diceva un santo monaco ortodosso, Silvano del Monte Athos: “Per essere veramente liberi, bisogna cominciare a
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legare se stessi”. Uomini come questi sono liberi della libertà dello Spirito; niente li ferma e niente li spaventa più. Diventano riformatori per via di santità, e non solo per via di ufficio. Ma che significa la proposta di Gesú di rinnegare se stessi? È essa ancora proponibile a un mondo che parla solo di autorealizzazione, autoaffermazione? Il rinnegamento non è mai fine a se stesso, né un ideale in sé. La cosa più importante è quella positiva: Se uno vuol venire dietro di me; è il seguire Cristo, possedere Cristo. Dire no a se stessi è il mezzo; dire sì a Cristo è il fine. Paolo la presenta come una specie di legge dello spirito: “Se con l’aiuto dello Spirito fate morire le opere della carne, vivrete” (Rm 8,13). Questo, come si vede, è un morire per vivere; è l’opposto della visione filosofica secondo cui la vita umana è “un vivere per morire” (Heidegger). Si tratta di sapere se vogliamo vivere “per noi stessi”, o “per il Signore” (cf. 2Cor 5,15; Rm 14, 7-8). Vivere “per se stessi” significa vivere per il proprio comodo, la propria gloria, il proprio avanzamento; vivere “per il Signore” significa rimettere sempre al primo posto, nelle nostre intenzioni, la gloria di Cristo, gli interessi del Regno e della Chiesa. Ogni “ no“, piccolo o grande, detto a se stessi per amore, è un sì detto a Cristo. Non si tratta però di sapere tutto sul rinnegamento cristiano, la sua bellezza e necessità; si tratta di passare all’atto, di praticarla. Un grande maestro di spirito dell’antichità diceva: “È possibile spezzare dieci volte la propria volontà in un tempo brevissimo; e vi dico come. Uno sta passeggiando e vede qual¬cosa; il suo pensiero gli dice: “Guarda là”, ma lui risponde al suo pensiero: “No, non guardo”, e spezza così la propria volon¬tà. Poi incontra altri che stanno sparlando di qualcuno, magari del superiore, e il suo pensiero gli dice: “Di’ anche tu quello che sai”, e spezza la sua volontà tacendo”11. Questo antico Padre porta esempi tratti tutti dalla vita monastica. Ma essi si possono
aggiornare e adattare facilmente alla vita di ognuno, chierici e laici. Incontri, se non un lebbroso come Francesco, un povero che sai ti chiederà qualcosa; il tuo uomo vecchio ti spinge a passare al lato opposto della strada, e tu invece ti fai violenza e gli vai incontro, magari regalandogli solo un saluto e un sorriso, se non puoi altro. Sei stato contraddetto in una tua idea; punto sul vivo, vorresti controbattere vivacemente, taci e aspetti: hai spezzato il tuo io. Credi di aver ricevuto un torto, un trattamento, o una destinazione non adeguati ai tuoi meriti: vorresti farlo notare a tutti, chiudendoti in un silenzio di tacito rimprovero. Dici no, rompi il silenzio, sorridi e riapri il dialogo. Hai rinnegato te stesso e salvato la carità. E così via. Un traguardo difficile (chi vi parla è lontano dall’esservi giunto), ma la vicenda di Francesco, ci ha mostrato cosa può nascere da un rinnegamento di sé fatto in risposta alla grazia. Il premio è la gioia di poter dire con Paolo e con Francesco: “Non sono più io che vivo, Cristo vive in me”. E sarà l’inizio della gioia e della pace, già su questa terra. Francesco, con la sua “perfetta letizia”, è l’esempio vivente della “gioia che viene dal Vangelo”, l’ Evangelii gaudium. NOTE [1] Y.Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano Jaka Book, 1972, p. 194. [2] Celano, Vita Prima, VII, 17 (FF 348). [3] Cf. Celano, Vita Seconda, V, 9 (FF 592) [4] Cf. Celano, Vita prima, III, 7 (FF, 331). [5] Bihhmeyer – Tuckle, II, p. 239. [6] Legenda dei tre compagni VIII (FF 1431 s.). [7] FF, 358; 1436 s.; 1508. [8] Legenda perugina 114 (FF 1673). [9] Regola Bollata, cap. II. [10] Sulle condizioni della vera riforma, vedi Congar, op. cit. pp. 177 ss. [11] Doroteo di Gaza, Opere spirituali, I,20 (SCH 92,p.177).
Il Lupo di Gubbio Quando si ama la città ORLANDO TODISCO FILOSOFO
1. I Fioretti – Il protagonista dell’opera è la famiglia francescana e l’arco di tempo è il primo secolo di storia, che va dal 1209 al 1322, e cioè dalla vocazione di frate Bernardo fino agli ultimi giorni di vita del beato Giovanni della Verna – colui che nel dicembre del 1223 allestì il primo presepe popolare, dietro richiesta di Francesco. Si tratta del volgarizzamento in dialetto toscano della compilazione latina – Actus beati francisci et sociorum eius – dovuto al fatto che la lingua volgare, nel Tre e Quattrocento, era più diffusa della lingua latina. La prima stampa risale al 1476. E’ una sorta di romanzo, dove conta più il ‘sentire francescano’, che l’attendibilità storica del fatto che ne è la voce nel tempo. L’intento dell’autore consiste nel mostrare come “il glorioso messer santo Francesco in tutti gli atti et modi di sua vita fu conforme alla vita et modi di Cristo”, e come anche quelli che lo seguirono, da “veri professori dell’altissima povertà”, furono i più santi uomini che abitassero sulla terra “dal tempo degli apostoli in qua”. “E’ un mondo puro, innocente, quasi fuori del tempo, in cui non vi è che luce e pace” (Mariano d’Alatri). 2. Il lupo di Gubbio - “Come fece la pace delli huomini d’Aggobbio con uno cattivo et malvagio lupo” (cap. XXI). a) Il carattere circolare dell’amore - Era ‘terribile et feroce’ il lupo, “tanto che li cittadini stavan tutti in gran timore”. Due mondi, l’uno contro l’altro o anche il forte contro il debole. Gli eugubini invocano l’aiuto di Francesco, colui che ‘sa parlare anche con gli animali’. Finalmente l’uno di fronte all’altro. Il Poverello d’Assisi al lupo: non molestare più questa gente, son tuoi fratelli; e agli eugubini: e voi, dategli da mangiare, perché “io so bene che per la fame omni male ài fatto”. Dopo lo scontro l’incontro: “Vivette
frate lupo di poi due anni in Aggobbio, dimesticamente entrandosi per le case, a uscio a uscio, senza far male a persona, così come senza riceverne da nullo, cortesemente da gl’uomini notricato”. La conversione per il francescano non è un fatto individuale – non riguarda solo il lupo - ma comunitario – comprende anche gli eugubini. Per questo non ama l’eremo, ma la città. È nello scambio la vita, quando si colma il divario, e il rapporto diventa stabile se e perché circolare. E’ la circolarità il segreto della stabilità, forza corosiva della solitudine all’origine della mutua diffidenza, e dunque dell’incomprensione e del contrasto. La morte del lupo non circolò come se segnasse la fine di un incubo; “li cittadini di sua morte si dolsero assai”. La nostalgia di un’amicizia infranta è la spia della sua profondità. b) Il carattere liberante dell’amore - Chiara Frugoni, nota medievista, ha ripensato l’episodio – San Francesco e il lupo. Un’altra storia (Feltrinelli 31 pp., Euro 15,00). È una fiaba per bambini, lieve e incantata. Scene di boschi invernali, illuminati dalla neve, mentre il giorno declina. Un lupo affamato si nasconde in attesa della notte, e un povero frate, accompagnato da due fraticelli, è sulle sue tracce, per metter fine al terrore. Francesco è chiamato a portare la pace tra gli abitanti angosciati di un borgo sperduto. Sopraffatti dalla paura, i compagni presto lo abbandonano. Egli però continua il percorso inoltrandosi da solo nel bosco. Stanco e sfinito, alla fine si lascia andare, addormentandosi sulla neve, tra le radici accoglienti di un albero robusto. La belva feroce ne sente la presenza e con passo lento e felpato s’avvicina, ben certo di aver trovato la sua preda. È lì. A pochi passi un uomo giace addormentato, un rappresentante della maladetta razza aassassina. È il momento della sua rivincita. Si avvicina, lo annusa e sente che quello è odore di sangue e di carne umana. Gira intorno, annusa ancora e disorientato s’avvede che però non è l’odore di un assassino. È l’odore di un uomo buono. E allora, si stende accanto e
HA SCRITTO “San Francesco ha creato un Ordine, ha rivoluzionato il rapporto con la società e rivisto le relazioni con la Chiesa. Ha reso praticabile il dialogo tra le religioni ed effettuale la parola del Vangelo e questo già in pieno Medioevo” CHIARA FURGONI la Repubblica, 19 gennaio 2014, p.49
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lo riscalda con il suo caldo corpo peloso. Quando è vero, l’amore si sente, HA DETTO perché attraversa tutto l’essere, “Il Vangelo condanna il culto del beilluminandolo. E’ l’unico senessere. Il pauperismo è uno delle intergreto che non può restar pretazioni critiche. Nel Medioevo c’erano segreto. E allora, come molte correnti pauperistiche. San Francesco svestire l’abito di assasha avuto la genialità di collocare il tema della povertà nel cammino evangelico. Gesù dice che sino o di carceriere e non si possono servire due signori, Dio e la ricconsentire all’altro chezza … La povertà allontana dall’idolatria, anche al folle, al disabile apre le porte alla Provvidenza … Quello che mentale - di vivere nelpenso della povertà l’ho espresso bene l’amicizia e nella partecinella Evangelii gaudium” pazione? Il punto chiave è: L’intervista a Papa Francesco Corriere della Sera 5 marzo 2014 come raggiungere l’io dell’altro perché guidi con creatività le energie emotive, culturali, religiose, di cui è dotato? La conoscenza – di qualunque tipo e a qualunque livello – è sempre oggettivante. L’altro in quanto soggetto lo raggiungo solo entro lo spazio della libertà, intesa come spazio dell’io e nell’io. Non c’è forza coesiva più efficace della libertà. La solidarietà o è nella libertà o si perde nel brivido di un rapida emozione. Quando è autentica, la libertà lascia che l’altro intercetti la mia libertà, potenziandosi. O si scioglie quel grumo dominatorio, che è alle radici di tutti i conflitti – è il compito liberante della libertà - o altrimenti la vita resta un campo di battaglia, senza né vincitori né vinti.
HA DETTO “L’amore vero non si impone con durezza e aggressività. Nei Fioretti di san Francesco si trova questa espressione: “Sappi che la cortesia è una delle priorità di Dio … e la cortesia è sorella della carità, la quale spegne l’odio e conserva l’amore” (Cap.37). Sì, la cortesia conserva l’amore. E oggi nelle nostre famiglie, nel nostro mondo, spesso violento e arrogante, c’è bisogno di molta cortesia. E questo può incominciare a casa”. Incontro di Papa Francesco con i fidanzati 14 febbraio 2014
Il lupo, questo amico sconosciuto In primavera, lo scorso anno, a Strasburgo, l’Intergruppo Protezione degli Animali ha tenuto un’audizione sul lupo. Particolarmente significativo l’intervento del Prof. Luigi Boitani (Dipartimento di Biologia e Biotecnologia all’Università La Sapienza di Roma) soprattutto per la parte in cui ha raccontato di un lupo che, ferito da una macchina nella zona di Parma, una volta guarito è andato fino a Genova, poi a Nizza ed è infine ritornato in Italia percorrendo dunque 1.243 chilometri in circa 317 giorni; altri due lupi italiani sono arrivati a Barcellona, mentre un altro è stato purtroppo ucciso vicino a Bonn. In Europa il lupo è protetto dalla Direttiva Habitat e dalla Dichiarazione di Bonn ma è ancora gestito a livello locale, mentre dovrebbe esserci un migliore piano di intervento comune. In alcuni paesi europei, oltre al bracconaggio (una piaga comune a tutta l’Unione), è ancora consentito l’abbattimento del lupo per mantenere stabile il numero di esemplari: in Svezia, ad esempio, il governo ha stabilito come cifra massima 210 esemplari. E se in Svezia si parla di pulizia genetica, in Finlandia il lupo è visto come il lupo mannaro. Molte volte i lupi sono accusati di uccisioni e aggressioni alle greggi e al pollame quando invece la responsabilità è di cani abbandonati che si sono inselvatichiti. Comunque, vi sono degli stanziamenti appositi per risarcire i pastori e gli allevatori da eventuali danni causati dai i lupi. Agli allevatori si suggerisce di tenere cani da pastore che sono il maggior deterrente per impedire l’avvicinarsi del lupo. Si parla eminentemente di cani da pastore tipo il Maremmano; altri deterrenti consigliati sono, per gli animali stanziali, le recinzioni elettriche ed i fari esterni. In Polonia spetta alla direzione generale delle foreste statali, gestite dallo Stato ed estese su circa un terzo del territorio, seguire non solo i lupi, ma anche le aree protette dal punto di vista della flora e della fauna. Un tempo cacciati anche per le loro pelli, dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso i lupi sono stati messi sotto protezione dal governo. In Abruzzo, da gennaio a primavera 2013, nel Parco Nazionale sono stati uccisi 26 lupi ed è in corso un’indagine. Registriamo, purtroppo, che altre uccisioni hanno avuto luogo nella prima settimana del 2014. Ovunque, i lupi hanno anche un’importante funzione nell’ecosistema perché tengono sotto controllo l’eventuale eccessiva espansione degli erbivori, specialmente oggi a fronte dell’abbandono di numerose aree un tempo agricole: spesso i lupi aiutano ad impedire l’eccessiva espansione dei cinghiali. L’Europa ha annunciato da poco tre nuovi progetti pilota anche tenendo conto del fatto che la popolazione degli animali è ovviamente trans-frontaliera.
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Sant’Angela da Foligno mistica del genio femminile nella Chiesa I Frati Minori Conventuali e le diocesi dell’Umbria hanno festeggiato il 4 gennaio 2014 Angela da Foligno per la prima volta con il titolo di Santa, dopo la canonizzazione equipollente voluta da Papa Francesco il 9 ottobre 2013. La solenne concelebrazione eucaristica è stata presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della congregazione delle cause dei santi. Il corpo della santa vissuta tra il 1248 circa e il 1309 riposa nella chiesa dei francescani conventuali a Foligno. Maestra dei teologi amata in modo particolare dai papa del nostro tempo. Giovanni Paolo II nella visita pastorale a Foligno – domenica 20 giugno 1993- sostava in preghiera davanti alla sua tomba elevando una fervida preghiera. Benedetto XVI che le dedicava il 13 ottobre 2010, una splendida riflessione
ARISA GUARDA A SAN FRANCESCO E VINCE SANREMO
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“Giocavo per vincere. Sentivo che ce l’avrei fatta”. Rosalba Pippa, in arte Arisa, nata a Pignola in provincia di Potenza è la trionfatrice della 64.ma edizione del festival di Sanremo. Cantante e scrittrice che va “Controvento”, come la sua canzone, ha scritto il romanzo: «Una storia d’amore tra Moravia ed Erich Fromm». Arisa è devota di san Francesco. Ha detto dopo il pellegrinaggio ad Assisi: “Mi ha aiutato tanto andare ad Assisi da san Francesco. Ho sentito una calma interiore pazzesca. Ero tormentata. Sono tenace ma desidero le cose con una certa purezza”.
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dossier 2 014
guardi ul mondo
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EUROPA Che succede alla famiglia? Roma
EMAUELA VINAI GIORNALISTA DI
SCIENZA&VITA
Che succede alla famiglia e alla vita in Europa? I segnali sono contrastanti. Se da un lato alcune iniziative di tutela e di difesa hanno respinto attacchi molto duri, dall’altro in diversi Paesi dell’Ue si assiste a una progressiva destabilizzazione e disgregazione della famiglia naturale. A pochi mesi dalla fine della campagna europea “Uno di Noi” che ha coinvolto 28 Nazioni raccogliendo quasi due milioni di firme per la tutela dell’embrione, in dicembre il Parlamento europeo, con 337 voti favorevoli e 324 contrari, ha respinto per la seconda volta la relazione fortemente controversa sui diritti e la salute sessuale e riproduttiva presentata dall’europarlamentare portoghese Edite Estrela. Il testo raccomandava a tutti Paesi dell’Unione Europea l’inclusione dell’aborto tra i diritti umani e la sua disponibilità in tutti i sistemi sanitari nazionali europei. Inoltre il provvedimento prevedeva la preclusione degli aiuti finanziari ai Paesi extraeuropei che non adeguassero le proprie legislazioni in senso abortista e sollecitava la legalizzazione dell’aborto in Polonia, Irlanda e Malta, puntando a eliminare il diritto all’obiezione di coscienza di medici, infermieri e personale sanitario. Infine, il rapporto Estrela puntava all’introduzione dell’educazione sessuale scolastica fin dalla prima infanzia, anche attraverso l’invito a pratiche esplicite. La relazione aveva provocato una vera e propria sollevazione in tutta Europa. Contro il provvedimento determinante è stato il contato costante e continuo presso le istituzioni per mano della FAFCE, la Federazione europea delle associazioni familiari. E’ stata promossa anche una vasta petizione da parte di CitizenGO, con l’appoggio del Forum delle Associazioni Familiari, dal Movimento per la Vita e da altre associazioni pro-life. Si dibatte di aborto anche tra Francia e Spagna. Il governo iberico ha approvato un progetto di legge più restrittivo rispetto alla liberalizzazione voluta dal governo Zapatero, attirandosi così le critiche della ministra Marisol Touraine che parla 54
apertamente di “un ritorno all’età della pietra”. In realtà la ministra francese parla a nuora perché suocera intenda: il suo messaggio era rivolto al parlamento d’Oltralpe dove si sta dibattendo in questi giorni su una nuova e più liberale disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza. In particolare due articoli puntano a facilitare il ricorso all’aborto, eliminando il requisito di “donna in situazione di difficoltà” previsto dalla legge e prevedendo sanzioni per chi voglia ostacolare la volontà della donna di abortire. Nella Francia teatro delle grandi manifestazioni contro il matrimonio omosessuale, la bioetica si conferma tema di campagna elettorale a pochi mesi dalle elezioni europee. Intanto il Belgio si appresta a legalizzare l’eutanasia per i minori senza alcun limite di età. La legge in discussione, che ha già ottenuto il via libera del Senato e torna in discussione alla Camera, diverrà la più liberale tra quelle in vigore nei Paesi che permettono il ricorso all’eutanasia: non è infatti stato posto un limite d’età. Anche un bambino potrà richiederla se dichiara di provare una sofferenza insopportabile di ordine fisico, se è in fase terminale, se i suoi genitori sono d’accordo e se uno psichiatra attesta che è in grado di discernere quello che sta facendo. I parlamentari non si sono fermati nemmeno di fronte ai numeri, riferiti agli adulti, che dimostrano come il numero dei morti per eutanasia, secondo i numeri ufficiali che conteggiano i casi dichiarati, è quintuplicato: da 235 del 2003 a 1.133 del 2011, per un totale di 5513 persone uccise dal settembre 2002 al dicembre 2011.
... e Delfina continua a stupire CHI È
GIOVANNA ABBAGNARA DIRETTORE RESPONSABILE PUNTO FAMIGLIA
Delfina Grimaldi e Gaetano Pandolfi si sono sposati il 28 aprile 1983. Delfina è casalinga, Gaetano lavora come dipendente comunale. Hanno avuto quattro figli: Angela (1983), Emanuela (1988), Enrico (1992) e Alfonso (1994). Angela nel 2010 si è sposata con Luca e oggi Delfina e Gaetano sono anche nonni di due bambini: Mario e Michele. Nel 1992 hanno iniziato un cammino di fede insieme ad altri sposi, guidato da don Silvio Longobardi, custode della Fraternità di Emmaus. Nel 1999 hanno lasciato la loro casa per trasferirsi in un’Oasi di carità dove intrecciano preghiera e accoglienza di minori in difficoltà. Con loro vive Lina, una giovane ragazza di 20 anni accolta quando era adolescente e che poi al compimento del suo diciottesimo anno di età, ha chiesto di restare con la famiglia Pandolfi. Nell’ottobre del 2004 hanno accolto Chiara. Aveva quaranta giorni ed è anencefalica. I medici le avevano prospettato pochi mesi di vita. A settembre ha compiuto nove anni. È di fatto la quinta figlia dei coniugi Pandolfi. Nelle sue condizioni nessuna coppia si è mai proposta per l’adozione. Attualmente ci sono anche due bambine, Francesca ed Asia, di pochi mesi.
È il 26 ottobre 2013. Il sole splende fin dal primo mattino, aurora di un giorno che la famiglia Pandolfi non dimenticherà facilmente. Sono trascorse poche settimane da quando Anna Friso, membro del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha chiamato all’Oasi Maria, Madre della Vita, per invitare Delfina e Gaetano insieme ai loro figli, naturali e affidati, al grande incontro in piazza San Pietro con papa Francesco. Da quel momento la quotidianità, scandita da pappe, biberon, nottate in bianco e momenti di preghiera nella piccola cappella di casa, è rivestita da una nuova chiamata. “Non ci sentiamo degni di questo invito ma lo accogliamo come una chiamata. Con la semplicità con cui abbiamo accolto in questi anni gli inviti di Dio”, dice Delfina. La sua prima preoccupazione è Chiara, la bambina di nove anni che è stata loro affidata dalla nascita. Non ha mai fatto un viaggio così lungo. La mente corre subito al 2004. “Era il 25 ottobre quando Chiara è arrivata nella nostra famiglia. Il contrasto tra la sua pelle candida e i capelli neri come l’ebano, metteva maggiormente in luce la sua bellezza. Ci fu affidata con un semplice annuncio: la bambina è idrocefala, la mamma ha partorito in anonimato” ricorda Delfina. Da poche settimane era andato via dalla loro casa un bambino anche lui idrocefalo felicemente adottato da una coppia di sposi e Delfina nel momento in cui prende in
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braccio quella bambina si augura anche per Chiara lo stesso futuro. “Il giorno seguente però una telefonata dall’ospedale” continua Delfina “ci avvisa della diagnosi errata. Chiara non era idrocefala ma idroanencefalica, praticamente non ha il cervello, ha solo delle cellule sparse”. A quel punto chiedono a Delfina che se vuole, può rinunciare all’affidamento. Ma la sua risposta è chiara e puntuale e nasce dal cuore: “La nostra casa si chiama Oasi Betlemme, che significa casa del pane. E il pane dell’amore non mancherà per Chiara. Sono trascorsi nove anni da quel momento, i medici ad ogni controllo sono quasi stupiti di rivederla”. La medicina spesso dimentica che la partita si gioca con un alleato speciale: l’amore che scaturisce limpido dalla fede in Dio. Ed eccola Chiara in piazza San Pietro, sembra essere felice tra tutti quei palloncini colorati e la musica per i canti del pomeriggio. Chiara non vede, non sente, non si regge in piedi, non può muovere nessun arto, non può camminare, non può comunicare in alcun modo le sue emozioni né le sue necessità. Eppure questo bambina che dipende in tutto e per tutto dagli altri è diventato il motore della famiglia Pandolfi e in piazza San Pietro lo dicono anche a tutte le famiglie radunate per quell’incontro di festa. “È lei che dà a ciascuno la forza per impegnarsi e fare della propria vita un dono per gli altri” dice dai microfoni Gaetano, palesemente emozionato e grato per quel momento di grazia. Chiara non è inquadrata dalle telecamere, si vede solo di spalle ma ha il suo abito della festa e il viso accarezzato da un raggio di sole autunnale. Con il suo silenzio, dal passeggino che diventa una cattedra, ricorda al mondo intero, con la sua
sola presenza la bellezza di un amore gratuito e disinteressato che si mette in gioco, non per un giorno, un mese, un anno ma per il tempo che Dio vorrà. La festa comincia in una piazza affollatissima e coloratissima. Si alternano voci di bambini, fidanzati, famiglie allegre e gioiose. Delfina e Gaetano con la piccola Chiara sono molto emozionati. Insieme a loro c’è anche Lina, una ragazza accolta che è voluta rimanere con loro anche dopo il compimento del suo diciottesimo anno. C’è anche Angela, la primogenita con il marito Luca e i due splendidi bambini, Mario e Michele. Sono tutti emozionati. Quando arriva il loro turno, la voce di Delfina zittisce la piazza brulicante di gioia. Solo pochi minuti per raccontare 30 anni di vita insieme ma bastano a donare la percezione che è l’amore di Dio a spingere i passi degli uomini verso scelte radicalmente evangeliche, solo pochi minuti per capire che la famiglia è e resta il luogo ordinario dove ciascuno si sente accolto e amato esattamente per quello che è. Alla fine del lungo pomeriggio Delfina viene aiutata a posizionarsi con Chiara in un posto dove il Santo Padre sarebbe sicuramente passato. Desidera che papa Francesco possa benedire la sua bambina. Mentre il sole è al suo tramonto e infiamma di rosso il cielo di Roma, Papa Francesco passa tra la gente, saluta e dispensa sorrisi e per Chiara ha uno sguardo carico di amore. “Sono felice” commenta Delfina “quello sguardo lo porterò sempre nel cuore. È il segno di una Chiesa che fa festa con gli ultimi, che chiama al banchetto di nozze storpi, ciechi, poveri e zoppi. Sono loro gli uomini e le donne delle beatitudini”.
ASIA La primevera è vicina
Seoul
La soddisfazione dell’arcivescovo di Seoul per la beatificazione dei martiri sudcoreani
THOMAS HONG-SOON HAN GIÀ
AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA DI COREA PRESSO LA SANTA SEDE
“I martiri coreani sono grandi modelli di santità che hanno attraversato le barriere di status sociale e amato il prossimo senza discriminazione di genere, classe sociale, religione. Sono pieno di gioia e ringrazio la Santa Sede per tale decisione”. Queste le parole – riportate dall'agenzia Sir – del cardinale arcivescovo di Seul Andrew Yeom Soo-Jung, dopo che Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i decreti riguardanti i prossimi nuovi Beati, i martiri sudcoreani Paolo Yun Ji-chung e 123 compagni, uccisi in Corea in odium fidei nel 1791. “La beatificazione dei martiri coreani è una bellissima notizia per la Chiesa coreana” - ha proseguito- il nweo cardinale- e “vorrei condividere questa felicità con tutti coloro che si sono adoperati nel lavorare per il processo di beatificazione e tutti i fedeli che pregano ardentemente per la canonizzazione”. Paolo Yun Ji-chung e i suoi compagni, ha ricordato il presule, “erano promotori dei diritti umani e hanno giocato un ruolo importante nella storia dell’intera nazione coreana”. La Chiesa di Corea venera già 103 martiri, vittime della persecuzione di Shinyu, avvenuta nel 1801. L’inizio dell’evangelizzazione in Corea risale al 1784, quando un coreano - Lee Seung Hun, laico e uomo colto - fu battezzato a Pechino con il nome di Pietro. Tornato in patria, diede inizio alla prima comunità cattolica del Paese.
L’Asia, che sta riemergendo come la potenza economica dominante del mondo, è un continente dove malgrado una crescita cosi notevole, persiste tuttora “lo scandalo di disuguaglianze clamorose, non solo nel godimento dei beni, ma più ancora nell'esercizio del potere”(Populorum Progressio, 9). In effetti, una moltitudine di persone è tormentata da varie forme di povertà. Ad esempio, più della metà dei 900 milioni di poveri assoluti del mondo che sopravvivono con meno di $1,25 al giorno si trovano in Asia. Le donne godono di un bassissimo livello di parità di genere nel mondo. La privazione del diritto alla vita del bambino non ancora nato è largamente diffusa. Ad un gran numero di persone viene negato il diritto alla libertà religiosa. La diversità culturale e religiosa talvolta porta persino all’animosità e al conflitto tra i popoli. Nei processi di globalizzazione i valori religiosi, morali e culturali vengono erosi: individualismo sfrenato, materialismo, edonismo stanno colpendo al cuore delle culture asiatiche. L’Asia è uno dei continenti più militarizzati nel mondo: il bilancio difesa continua ad aumentare. L’Asia, diventata ormai fabbrica mondiale, inquina l'ambiente in modo consistente: quattro paesi asiatici – Cina, Indonesia, Giappone e India – sono tra i dieci maggiori inquinatori nel mondo.(www.environmentabout.com).
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Così l’Asia si trova ad affrontare diversi fattori conclamati o latenti di rischio che minacciano la pace. Infatti “la pace è ferita” non solo dalle guerre, ma anche da “qualunque negazione della dignità umana” e “dall’avido sfruttamento delle risorse ambientali.” (Discorso di Papa Francesco ai membri del Corpo Diplomatico, 13 gennaio 2014) Queste realtà dunque costituiscono grandi sfide alla Chiesa in Asia, che conta 140 milioni di credenti, ovvero il 3% (l’1%, escluse le Filippine) della popolazione accanto ad altre religioni. La Chiesa, benché sia una piccola minoranza, anzi proprio perché lo è, si dedica totalmente a servire il popolo dell’Asia affinché possa superare tutte le situazioni disumane che si riscontrano nel Continente. Oltre all’evangelizzazione diretta, la Chiesa si impegna sempre più alla promozione umana di tutti i popoli dell’Asia per costruire una società più equa, una pace più stabile nel mondo che si basa sulla dottrina sociale cattolica, proseguendo il dialogo e la collaborazione con tutti gli uomini e le donne di buona volontà nonché i credenti delle altre religioni. Anche se è una piccola minoranza, la Chiesa è riconosciuta come esperta in umanità munita di una forza: la dottrina sociale. Così la Chiesa viene spesso invitata come mediatrice dei conflitti locali. Tutte queste attività svolte in comunione con Papa Francesco e i suoi predecessori sono altamente apprezzate. In Corea ad esempio la Chiesa è riconosciuta la più affidabile tra le religioni.
La Chiesa in Asia si focalizza, dunque, tanto sulla riforma delle strutture sociali ingiuste quanto sul cambiamento radicale della cultura, cioè della mentalità e dello stile di vita della gente tramite vari istituti ecclesiali, associazioni e movimenti dei fedeli laici, e diversi mezzi di comunicazione sociale. È da segnalare, tra gli altri, la Radio Veritas Asia di FABC (Federazione di Conferenze Episcopali Asiatiche) a livello continentale e la multimedia PBC dell’ arcidiocesi di Seoul a livello nazionale. La formazione culturale, religiosa e sociale dei fedeli troverà efficacia nella testimonianza delle opere. La Chiesa stessa cerca di applicare tale senso di solidarietà e di responsabilità nel suo stile di vita. Anche in questo secondo anno di ministero petrino di Papa Francesco la Chiesa viene sempre più sfidata a rafforzare il servizio di condividere l’evangelii gaudium con tutti i popoli dell’Asia. L’autentica umanizzazione porta all’evangelizzazione, che è “il primo servizio che la Chiesa può rendere” (Redemptoris Missio, 2) all’Asia. Così la Chiesa cerca di diventare segno di speranza per i popoli dell’Asia che hanno sete di Dio, preparando una grande primavera del Vangelo. Con la visita di Papa Francesco in Asia, cioè in Corea nel 2014 e in altri Paesi in un futuro non lontano, “si potrà sperare di raccogliere una grande messe di fede.”(Ecclesia in Asia, 1). Così, l’Asia sarà il continente della speranza in questo nuovo millennio.
AMERICA Soffre il continente della speranza Città del Messico
senz’altro una grande differenza tra gli Stati Uniti,il Canada e il resto dei paesi del Continente. Si parla per questo di Nord America e America Latina e di Caraibi, per sottolineare quel passato comune di dominazione iberica (Spagna e Portogallo) che insieme alle culture precolombiane di mesoamerica ( le culture che vanno dal centro del Messico fino all’area Maia - Honduras, Costarica) e delle Ande, hanno configurato quell’area culturale comune (ma non identica), che si identifica per il predominio delle lingue spagnola e portoghese, e della religione cattolica, e che con l’insieme delle sue tradizioni li danno una profonda unità, sebbene con identità proprie in ogni nazione. Papa Giovanni Paolo II parlava di “Continente della Speranza” nel senso della sua vitalità nella fede, del suo numero di cattolici e della sua giovinezza. Ed è vero che la
JOSÈ GUILLERMO GUTTIÉREZ ESPERTO DI SOCIOLOGIA RELIGIOSA
L’elezione di Papa Francesco ha suscitato un enorme interesse per la realtà della Chiesa latino-americana che il papa santo Giovanni Paolo II, chiamava il “Continente della Speranza”. Innanzitutto bisogna sottolineare che malgrado le profonde differenze culturali ed economiche tra il nord, il centro e sud America, più che parlare di “Americhe” , come si è soliti farlo, a livello ecclesiale si deve parlare del Continente Americano, cioè di una sola America. Specialmente in questi di globalizzazione, dove la Chiesa vuole sottolineare la solidarietà e l’intercambio di doni tra le diverse parti del Continente. In questo senso è stato provvidenziale l’incontro promosso dalla Pontificia Commissione per la America Latina a mò di pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Guadalupe nel novembre scorso. I pastori di tutto il continente consapevoli di questa profonda unità nella fede , si sono dati appuntamento per ringraziare la Vergine che ha voluto portare il Vangelo “agli abitanti di queste terre” quando ancora non esistevano le frontiere politiche tra i diversi popoli del Continente. Non c’è dubbio che dal punto di vista culturale esiste
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maggioranza attuale dei cattolici vivono in quell’area geografica del mondo, che si tratta di Chiese con cinque“È bene investire sui giocento anni di tradizione, e pertanto non di recente vani, con iniziative adeguate che li nascita, c’è già una solidità delle sue strutture e aiutino a trovare lavoro e a fondare un fodella sua esperienza cristiana, anche con un nucolare domestico. Non bisogna spegnere il loro mero crescente di missionari “ad gentes”. Le entusiasmo! Conservo viva nella mia mente l’espeChiese del Continente Americano hanno rienza della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de una vitalità che le Chiese della vecchia EuJaneiro. Quanti ragazzi contenti ho potuto incontrare! ropa. Però, allo stesso tempo, sono attraQuanta speranza e attesa nei loro occhi e nelle loro preghiere! versate da profonde problematiche che Quanta sete di vita e desiderio di aprirsi agli altri! La chiusura mettono in discussione la fede e l’azione e l’isolamento creano sempre un’atmosfera asfittica e pesante, della Chiesa, le grandi disuguaglianze soche prima o poi finisce per intristire e soffocare. Serve, invece, ciali e la dilagata povertà delle sue popolaun impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’inzioni, il fenomeno della corruzione, della contro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri violenza e del narcotraffico, che convive con è capace di portare frutto, di creare vincoli, di creare couna religiosità d’impronta cattolica profondamunione, di irradiare gioia, di edificare la pace.” mente radicata, senza farsi grandi problemi moPAPA FRANCESCO rali, il rapido mutamento delle abitudini sociali, Al Corpo diplomatico della legislazione in senso laicista e la veloce secolapresso la Santa Sede rizzazione delle società. Più accentuato nelle nazioni del 13 gennaio 2014 nord e nei grandi centri urbani, che nel sud e nei paesi di campagna. Questo panorama ha motivato quel progetto sorto dal grande incontro pastorale di Aparecida in Brasile nel 2005, che è la Missione Continentale. Un progetto che in origine era sposato soltanto dalle Chiese dell’ America Latina e dei Caraibi e che recentemente è stato assunto anche dalle Chiese del nord del Continente. Questa Missione chiede una profonda conversione pastorale e una revisione di tutte le strutture della Chiesa in senso missionario, come il Papa “venuto dalla fine del mondo” sta indicando a tutta la Chiesa. L’obiettivo è chiaro: le persone possano incontrarsi con Gesù Cristo perché in lui abbiano la vita. Se questo avverrà America sarà senz’altro il “Continente della Speranza”, non solo per la Chiesa ma per tutta l’umanità.
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Ecuador missione umanitaria Quito
ROSALBA TRABALZINI GIORNALISTA
DIRETTORE DI GIUDAGENITORI.IT
Non è stato un viaggio facile arrivare a Quito, la città adagiata a 2.850 metri nel cuore delle Ande ma, sapere che i piccoli degenti del reparto oncologico pediatrico mi stavano aspettando, ha fatto svanire in un lampo stanchezza e sonno. La stessa emozione provata lo scorso anno a Buenos Aires mi ha assalito mentre in taxi percorrevo, in un saliscendi continuo le strade fino al mio arrivo in ospedale. Respirare qui è un po’ difficoltoso, la rarefazione dell’ossigeno si sente per intero. Di una cosa però non sono certa: è la carenza di ossigeno oppure è l’emozione che mi sta tirando un tiro mancino?! Una volta arrivata al SOLCA Hospital ad attendermi il prof. Il prof. Josè Eguaguiren, primario
del centro oncologico. Il collega si è messo a disposizione per accompagnarmi nella visita al centro oncologico dell’ospedale pediatrico. La missione Ecuador, in questo modo è stato definito l’incontro, prevedeva la visita a 30 bambini tra di pochi mesi ed i 13 anni, tutti in trattamento chemioterapico. E così è stato. La sera prima della partenza avevo ricevuto la lista dei piccoli ospiti nel reparto, ed ho potuto così preparare in aereo, non solo la borsa con disegnato sopra il nome di ognuno di loro ma di preparare anche la busta contenente la lettera più preziosa, quella del Santo Padre: Papa Francesco. Il Papa, con la sua immensa umanità ha esaudito la richiesta da parte della nostra associazione, avere un pensiero speciale per i piccoli ecuadoregni ricoverati. In ogni singola borsa sono state inoltre inserite le oltre circa 800 letterine. A scriverle sono stati tanti bambini, i figli degli utenti di www.guidagenitori.it , gli alunni della scuola Padre Pio di Valmontone e gli alunni della maestra Federica di Monteporzio e poi i bambini di Basiglio, di Milano e di Torino. In tanti hanno partecipato. Aver visto la gioia dei piccoli ricoverati nel sentirsi chiamare per nome e consegnare ad ognuno di loro la borsa personale è stata un’emozione immensa. Di questo debbo ringraziare anche la Società Italiana di Pediatria, la
quale mi ha offerto il sostegno affinché venisse riconosciuto l’impegno internazionale tra le società scientifiche. L’incontro con i bambini e con i loro genitori è stato struggente. Vorrei elencare tutti i piccoli angeli con gli occhi cerchiati dalla sofferenza, sono riuscita a strappare un sorriso ad ognuno di loro e per i loro genitori, aver consegnato la lettera di Benedizione di Papa Francesco è stato il regalo più grande che potessero mai immaginare di ricevere. Per ogni piccolo mi sono seduta accanto al loro letto ed abbiamo iniziato a leggere le letterine che loro stessi prendevano dalla loro sacca. In alcuni bambini la curiosità è andata oltre, volevano sapere chi fossero i nostri bambini e se andavano a scuola. Ho portato nel reparto una ventata di novità che ha contagiato tutti i piccoli degenti. Anche quest’anno, sono tornata a casa con l’immagine di quei bambini ai quali è stato sufficiente leggergli una lettera di un coetaneo che vive dall’altra parte del mondo per vederlo sorridere ed i genitori ricevere la lettera di benedizione di Papa Francesco per riacquistare la fiducia e la speranza di vita. Un grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno permesso di realizzare la missione Ecuador
AFRICA Attese di giustizia e di solidarietà
Arazzo fotografato in Sud Africa. È il simbolo della strada tortuosa che il Continente deve percorrere oggi. Cotonou Benin
presidente in carica Salva Kiir e il suo ex-vice Riek Machar hanno preso le armi per risolvere problemi personali condannando cosi le popolazioni alla fuga e alla disperazione. Eppure quella nazione è nata nel 2011 dopo più di 30 anni di guerra di seccessione col Nord Soudan. Nella Repubblica democratica del Congo, in modo particolare nell’Est, le milizie non sembrano voler dare tregua alle sofferenze delle popolazioni esauste. La Somalia rimane molto instabile e le milizie islamiche Al Shebab ogni tanto provano a “punire” il Kenya per aver contribuito a cacciarli da Mogadiscio. Hanno orchestrato un attacco kamikaze in uno dei maggior centri commerciali di Nairobi a Settembre, uccidendo più di 60 persone. Risalendo più al nord dell’Africa, la situazione in Libia, 2 anni dopo l’uccisione di Gheddafi avvenuta nel mese di ottobre 2011, sembra, al dire di molti osservatori, un vero e proprio pantano: una miscela di attentati, sequestri di ministri, incluso il premier, Ali Zeidan, il 10 ottobre scorso, creazioni di milizie, insicurezza in molte parti del paese. «Un paese dissanguato», «una rivoluzione dai frutti amari» eppure, scrivono alcuni osservatori: «i Libici vedevano il loro paese ricco di petrolio diventare il nuovo Dubaï. Oggi vivono con l’incubo della Somalia o dell’Irak ».
JEAN - BAPTISTE SOURO GIORNALISTA
Molti Paesi africani hanno concluso l’anno 2013 nel peggior dei modi. Nella Repubblica Centrafricana un golpe mal gestito sin dal mese di maggio si è trasformato pian piano in un «pre-genocidio» secondo la Francia e gli Stati Uniti. Si è molto parlato di scontri tra cristiani e musulmani per il fatto che le milizie che hanno cacciato François Bozizé dal potere erano prevalentemente di religione islamica. Ma gli organismi umanitari sostengono che non si tratta di questione religiose, ma bensi di manipolazioni politiche con basi etniche. Abbandonati case e beni, migliaia e migliaia di civili si sono prima, rifugiati nelle chiese, poi all’aereoporto internazionale della capitale Bangui dove ci sono la base militare francese e una forza armata internazionale. Molti altre persone pur vivendo nel Paese da più di mezzo secolo, hanno scelto di rientrare nei Paesi d’origine come il Mali, il Ciad o il Congo. Le atrocità commesse a danno delle popolazioni dalle varie milizie sono inaudibili. Più a sud, nella giovanissima Repubblica del Sud Soudan, il terrore della guerra e lo spettro della desolazione sono tornati a regnare, da metà dicembre. Il
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Nel vicino Egitto, gli scenari di violenze legate ad un malumore politico e religioso che dura da un paio di anni bloccano una vita sociale serena e lo sviluppo economico. Tutte queste crisi o guerre sono pentole dove covano gli ingredienti necessari per alimentare il numero di disperati costretti a cercare un futuro miglior in Europa a rischio della propria vita. L’indifferenza generale nella quella avvengono i drammi nel mediterraneo non riguarda solo l’Europa, ma l’Africa stessa che non ha il coraggio di cercare delle soluzioni vere e durature. Africa: terra di speranza Di fronte a tutte queste crisi, o sotto di esse, ci sono anche dei segnali di ripresa e una vera volontà di riuscire nelle popolazioni africane. Percorrendo infatti il continente dal Nord al Sud, incontrando le persone, mai si sente un grido di totale disperazione, ma di speranza e di voglia di lottare per cambiare situazioni dove una decina di anna fa, c’erano solo paura e rassegnazione. Molti Paesi africani hanno un indice di prosperità (salute, educazione, possibilità di investi-
mento, rispetto dei diritti dell’individuo) invidiabile: Sudafrica, Namibia, Marocco, Botswana (con zero corruzione), Malawi, Algeria e Ghana. Il continente rimane una terra di grandi investimenti nell’agricoltura, nelle risorse naturali e il turismo attrae sempre di più. Per rimanere una terra di speranza, dove le popolazioni hanno voglia di vivere, sognare e realizzare i propri sogni, il continente dovrebbe investire nell’educazione, nella salute, nelle comunicazioni, nel rispetto dei diritti dell’uomo e nella lotta contro la corruzione e la sete al potere per camminare su vie di sviluppo il cui frutto possa essere distribuito equamente tra tutti i cittadini. E’ l’unica via affinché il 2014 sia un anno migliore del passato. Se l’Africa potesse diventare soggetto protagonista del proprio sviluppo econonomico e sociale e smettesse di essere oggetto di assistenza, come ha tanto desiderato il Beato Giovanni Paolo II! Le popolazioni lo vorebbero, il continente ha i mezzi e le risorse, ma la pensano cosi anche i potenti e certa classe dirigente africana?
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Mettiamo il Vangelo in mano ai bambini ANDREA GIUCCI ESPERTO DI CATECHESI
Non ho mai avuto paura né remora alcuna a mettere il testo integrale dei quattro vangeli in mano ai bambini che iniziavano il cammino di catechismo, per leggerli insieme a loro. E se in alcune occasioni ho utilizzato, e scritto, qualche sussidio catechistico, l’ho fatto solo e sempre per aiutare i bambini a leggere il Vangelo. L’ascolto costante e condiviso della Parola è una delle dimensioni fondamentali della vita di ogni comunità cristiana e, di conseguenza, di ogni cammino di iniziazione cristiana che vuole aiutare i più piccoli ad entrare progressivamente nell’esperienza dei discepoli del Signore. In questo senso l’utilizzo del Vangelo nella catechesi non si configura anzitutto come un’operazione di spiegazione e di diffusione del testo biblico, quanto piuttosto come un’esperienza di ascolto del Signore che connota l’intera esistenza cristiana. La differenza delle due prospettive è ancor più evidente attraverso le domande con cui si verifica la proposta: quando si spiega ai bambini un testo evangelico si chiede loro se hanno capito o se ricordano l’episodio presentato, quando invece si introduce all’esperienza dell’ascolto, la domanda assume piuttosto la forma: “Che cosa ci ha detto il Signore quest’oggi attraverso la pagina evangelica appena ascoltata?”. Quando leggiamo con questa intenzione il Vangelo, le parole di Gesù, proclamate duemila anni fa, sono rivolte a noi oggi; esse ci provocano, ci cambiano, ci invitano alla conversione, ci spingono a una risposta verbale ed esistenziale. La differenza balza così subito agli occhi e marca la distanza tra un corso di cultura biblica e la proposta di un cammino spirituale. Anche la condivisione dell’esperienza di ascolto non è semplicemente riconducibile a un’attenzione pedagogica (sei piccolo e quindi hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a questo ascolto), bensì manifesta la qualità squisitamente ecclesiale dell’ascolto del Signore: non si è mai soli quando si legge il Vangelo, ma ci si colloca dentro un flusso bimillenario che arricchisce e da senso alla nostra lettura qui e oggi.
Introdurre i più piccoli all’ascolto della Parola significa inoltre accoglierli in una molteplicità di esperienze spirituali: il Vangelo infatti non soltanto né forse primariamente si legge, si comprende e si spiega. Quanti sono cresciuti in una famiglia cristiana, probabilmente hanno ascoltato i primi episodi evangelici in un racconto proposto da qualche familiare o durante una celebrazione dove il testo biblico è stato proclamato. Perché la Parola può essere raccontata, proclamata, ascoltata, letta, compresa, disegnata, baciata, studiata, incensata, ricordata, cantata, pregata, annunciata, riscritta, meditata, anche mangiata come suggerisce il testo dell’Apocalisse, e dire quale dei verbi sia più importante degli altri è davvero operazione assai ardua. Il fatto è che l’intera vita cristiana è attraversata e alimentata dalla Parola, che risuona - deve risuonare! in famiglia, con gli amici, nella comunità cristiana, nei giorni feriali e in quelli festivi. Mettiamo il Vangelo in mano ai bambini senza paura. Raccontiamo loro i principali episodi della vita di Gesù e progressivamente aiutiamoli a scoprire l’intero tesoro evangelico. Senza pretesa che capiscono e comprendano tutto subito, ma con il desiderio che in quelle parole possano scorgere il volto di Gesù che li chiama amici e li invita alla sua sequela. Non temiamo la radicalità di certe parole del Signore: possano i nostri ragazzi gustare da subito la novità dell’Evangelo e riconoscere, in alcune scelte compiute dagli adulti credenti che incontrano, un’obbedienza che trasforma e salva la vita. 66
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ulla scia di Francesco
Uomo di dialogo
BOUTROS NAAMAN DOCENTE DI DIRITTO CANONICO ED ESPERTO DI DIALOGO CON L’ISLAM
ed economista). Questo convegno ha voluto promuovere il dialogo tra cristiani e musulmani per costruire un futuro migliore, nel segno della pace, della carità e della giustizia fraterna, sull’esempio di Francesco d’Assisi, il Poverello, fratello universale. Nella sua precisa e ben articolata relazione, p. Edoardo Scognamiglio si è soffermato sull’incontro tra Francesco e il Sultano d’Egitto. Egli ha comparato il capitolo XII della Regola definitiva (circa la fraternità in missione) con le indicazioni della Regola non bollata del capitolo XVI. Quest’ultimo non si presenta tanto come un testo legislativo, quanto, invece, come uno specchio fedele della primitiva esperienza francescana. Alla luce dell’esperienza di Francesco nel dialogo con il sultano d’Egitto, scopriamo che le diversità non sono di ostacolo all’affermazione o custodia della nostra identità e che le stesse alterità possono costituire una risorsa per l’annuncio del Vangelo e la testimonianza di fede. Il Poverello ci educa, così, a uno stile dialogico e comunionale di cui sentiamo un particolare bisogno soprattutto per i nostri tempi caratterizzati dalla globalizzazione, dalla vicinanza sempre più prossima e stretta di popoli, culture, etnie, religioni e modelli etici alquanto differenziati. Il capitolo XII della Regola definitiva si compone di appena quattro versetti: i primi due riguardano proprio l’invio dei frati tra i saraceni e gli infedeli, mentre il terzo fa riferimento alla richiesta del cardinale protettore e correttore della fraternità, e il quarto costituisce un compendio di tutta la regola di vita dei frati da intendersi come promessa
Si è svolto a Napoli, presso il Complesso monumentale S. Lorenzo Maggiore, un importante e significativo incontro per il dialogo islamo-cristiano. L’evento è del 14 dicembre 2013 ed è espressione del Centro Studi Francescani per il Dialogo interreligioso e le Culture e di altre importanti Associazioni, tra cui Il Tutto nel frammento, la Società italiana dei francesisti, l’associazione umanitaria Orifan, l’Ambasciata della Repubblica Araba d’Egitto, l’Istituto Italiano per gli Studi filosofici, la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la Comunità Palestinese di Roma e del Lazio. Il convegno ha visto la partecipazione di relatori illustri del mondo cristiano e di quello islamico. In collegamento da Assisi, ha portato il suo saluto p. Enzo Fortunato che si è soffermato sullo Spirito di Assisi. Geniale e profondo il contributo di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e grande esperto del dialogo ecumenico e interreligioso. Egli ha affermato esplicitamente che solo i santi sono in grado di mettersi a confronto con l’alterità fino in fondo, assumendola come parte di sé nel nome di Gesù Cristo! Per l’occasione, sono state allestite ben due mostre nel chiostro di S. Lorenzo Maggiore: la prima dedicata al tema della fede nel cristianesimo e nell’islam (di Lavinio Sceral e di Karima Angiolina Campanelli); la seconda dedicata a san Francesco e il Natale (a cura degli studenti dell’Istituto d’Arte di Napoli). Tra i relatori c’erano anche p. Edoardo Scognamiglio, Ministro Provinciale di Napoli Ofm Conv., il prof. Abdelrazek Fawky Eid (Direttore dell’Ufficio Culturale Egiziano in Roma) e il prof. Luciano Celso (Arabista
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di obbedienza e fedeltà al Signore Gesù, al suo Vangelo e alla sua santa Chiesa. Lo stile missionario assunto da Francesco e dai suoi compagni nelle terre dei saraceni e degli infedeli, in evidente dissonanza con l’impegno politico e apostolico di uomini di Chiesa e del potere temporale di quel tempo – intenti a liberare i luoghi santi dall’egemonia degli arabi musulmani attraverso la giusta causa delle crociate o guerra santa –, rivela un disagio più profondo all’interno della stessa compagine cristiana che consiste nel modo di intendere la fede, l’esperienza di Dio, la santità, l’annuncio stesso del Vangelo e l’impostazione della vita religiosa. Si tratta di una tensione – o anche di un conflitto a volte dialettico – che appare a intermittenza già dal medesimo confronto tra la prima Regola e quella ultima o definitiva. È come se si fosse creato un rapporto di continuità nella discontinuità tra l’intuizione di Francesco – il carisma della fraternità in missione e della povertà vissuta tra la gente – e l’istituzione della Chiesa nel Medioevo. Francesco volle formare i suoi frati alla missione per un dialogo sereno e sincero con il mondo e le altre religioni. Egli raccomandava loro d’amare e di stimare gli infedeli (non solo i saraceni, ma ogni pagano, qualsiasi persona non battezzata) e di non credersi affatto migliori di loro, poiché se gli infedeli avessero ricevuto le grazie date ai missionari, essi sarebbero diventati migliori di loro. L’amore e la stima non debbono venir meno né per i loro peccati né per la loro malizia, perché i frati sono destinati a liberare coloro che sono nell’errore. Il Poverello sapeva di “essere posseduto” dall’amore di Dio e dalla verità di Cristo che salva, e non “di essere la verità”. È questo lo stile cristiano dell’annuncio e del dialogo con il mondo e le altre religioni. I frati sono testimoni dell’Amore e della Verità che rende liberi. Essi non si sentono migliori degli altri. La Verità, poi, non s’impone: perché si rende credibile nel vissuto quotidiano dei discepoli. Una verità che avesse bisogno d’essere dimostrata sarebbe solo una “mezza verità”. La Verità che ci conquista – forma storica dell’Amore, suo volto – ci rende pieni di zelo per gli uomini e le donne del nostro tempo e ci accende il cuore fino a quando tutti i popoli della terra non conosceranno il Cristo, Signore del tempo e della storia. Francesco si sentiva posseduto da una Verità più grande delle sue stesse forze, della sua parola, della sua stessa fede e del suo medesimo amore verso Cristo e i fratelli. I frati dovranno portare la pace: essere, quindi, messaggeri o comunicatori della “buona notizia” (cf. Is 52,7-9). La pace è dono messianico. E Francesco ne rilegge i suoi contenuti sia in ordine al Vangelo (con riferimento alle beatitudini, al Regno dei cieli) sia in rapporto alla società, al bene delle città e della giustizia comune. Lo scambio di pace è per ogni uomo e deve essere reso da qualsiasi frate e missionario. La pace che i frati devono avere sulla loro bocca è 68
quella del loro cuore e coincide con la pace interiore, con il dono della grazia, dell’essere uniti a Cristo. È una pace che si manifesta nei rapporti con gli altri, attraverso la capacità d’ascolto, di perdono, di consolare, di unire le persone, di vedere il bene. Al capitolo XVI della Regola non bollata, Francesco usa due metafore per esprimere lo stile francescano dell’annuncio e del dialogo con i saraceni: quella dei serpenti e quella delle colombe. La prima indica l’intelligenza critica, l’astuzia, la prudenza, con la quale si può tentare d’annunciare il Vangelo, evitando pericoli inutili e questioni irrisorie. La secondo richiama alla pace, alla semplicità, per dire che la fede è una possibilità e non una necessità, cioè un dono, un’esperienza della grazia. Non si può imporre la fede né il Vangelo: restano una proposta, un appello urgente. Alla luce dello “spirito di Assisi”, è indispensabile formare le comunità cristiane a dialogare nella verità e con umiltà, senza approssimazioni o improvvisazioni. Il dialogo, in questo senso, può rafforzare la propria identità e aprire le nostre comunità a un’esperienza di fraternità veramente evangelica e universale. Occorre, altresì, educare le comunità a comprendere che il dialogo è parte integrante della missione della Chiesa e che il confronto con le altre religioni non intende assolutamente sostituire l’annuncio del Vangelo. Il dialogo porta alla conversione reciproca dei partner verso l’unico Dio, Padre di tutti.
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Obbedienza e fedeltà al Signore Gesù, al suo Vangelo e alla sua santa Chiesa
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Credo nell’utopia «Viaggiatori di nuvole» FERDINANDO CASTELLI SI
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iaggiatori di nuvole, di Giuseppe Lupo, è un romanzo di notevole spessore, originale, affascinante. Affascinante per gli sfondi di una vicenda che si sviluppa tra storia e fantasia, realtà e sogno, chiaroveggenza e favola; anche perché mette il lettore dinanzi a un palcoscenico ricco di personaggi e di eventi che hanno caratterizzato un periodo storico. Talvolta stanca per l’incalzare di eventi e di personaggi secondari. Certamente non è un lavoro facile da comprendere: per una sua piena comprensione è consigliabile una seconda lettura. L’Autore, già noto e apprezzato per diverse opere di narrativa, col presente romanzo si conferma narratore di qualità: concepisce il suo lavoro non come gioco di fantasia ma come rappresentazione della condizione umana per un vivere pieno e dignitoso. Alla ricerca di una bisaccia di pergamene Innanzitutto la trama del romanzo. Siamo a Venezia, nel 1499. Nella stamperia del fiammingo Erasmo Van Graan lavora il giovane Zosimo Aleppo, di origine ebraica, capace ed estroverso. A lui Van Graan affida un compito particolare e importante: recarsi a Milano per incontrare un ragazzo, chiamato «chierico Pettirosso», e da lui farsi dare le pergamene che porta nella bisaccia. Messer Lionardo (da Vinci) gli ha confidato che in esse si trovano profezie, rivelazioni e memorie molto importanti. La prima parte del romanzo narra la ricerca del chierico Pettirosso, impresa ardua perché costui appare e scompare, inafferrabile e misterioso. Così Zosimo da Milano deve portarsi a Mantova, da qui in Francia, poi a Napoli, infine ad Atella, in Basilicata, in un crescendo di avventure e di incontri. La seconda parte è dedicata al personaggio della ricerca. Si chiama Ismaele Machelecco (Machelek) — Pettirosso è il soprannome datogli dal padre — e vive ad Atella con la famiglia di origine ebraica, trasferita da Trebisonda dopo la conquista della loro città da parte dei turchi. Il padre di Ismaele-Pettirosso — si chiama Gioacchino Machelecco — ha abbandonato l’ebraismo e si è dedicato al mestiere di orafo con successo e profitto. Quando i francesi, per il sopraggiungere degli aragonesi, devono ritirarsi da Atella, il viceré Gilbert de Montpensier chiede che Pettirosso, al quale si è affezionato, lo segua; è malato, un po’ depresso,
CHI È Giuseppe Lupo, nato nel 1963 ad Atella in provincia di Potenza, insegna letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e di Brescia. Per Marsilio ha pubblicato i romanzi: L’americano di Celenne (2000; Premio Giuseppe Berto, Premio Mondello opera prima), Ballo ad Agropinto (2004), La carovana Zanardelli (2008; Premio Grinzane. Cavour-Fondazione Carical, Premio Carlo Levi); L’ultima sposa di Palmira (2011); Viaggiatori di nuvole, (2013); Premio Selezione Campiello, Premio Vittorini). È autore di numerosi saggi e collabora alle pagine culturali di Avvenire e di Sole-24Ore.
lontano dai suoi, e la compagnia del ragazzo gli è salutare e gradita. «Confessava che invidiava noi, la mia famiglia, il mio sangue, invidiava la nostra cieca fiducia nelle profezie di un uomo [Barba Yerarat, capostipite] che aveva l’anima capace di volare come un’aquila» (p. 120 s). La fede religiosa dei Machelecco lo induceva a interrogarsi sulla realtà e sulla presenza dell’Onnipotente. Prima di partire, il ragazzo riceve dal padre alcune pergamene ingiallite, che gli erano state date da fra’ Antonio da Bitonto prima di morire, e ritenute un dono degli angeli alla stirpe dei Machelecco. «“È per la salvezza del mondo”, 70
spiegò mentre mi donava il sacco con i fogli. “Tienili custoditi fino a quando non troverai la macchina che stampa i libri”. [...] “Qui non c’è che morte”, disse. “Va’ via”. E mi diede anche il bastone di ciliegio che era appartenuto a nonno Shulim» (p. 163). Con la partenza da Atella ha inizio l’avventura di Pettirosso. Prima tappa, Castellammare, dove il viceré muore: «Aveva la faccia secca e la pelle bruciata, fece in tempo a voltarsi verso di me e io a malapena gli dissi: “Mon ruà”» (p. 169). Il suo viaggio continua lungo le spiagge del Tirreno, fino a Tolone, da qui a Montpellier, da dove Chiara Gonzaga, vedova di Gilbert di Montpensier, lo conduce a Mantova. «“Parlate, scritturale”, implorava lei […]. “Ditemi il colore che avevano gli occhi del mio Gilbert. Raccontatemi i suoi silenzi e i suoi sorrisi”» (p. 178). La terza parte si concentra sulle vicende dei due protagonisti; sposta l’obiettivo sulle loro piste, ne analizza gli eventi, che non di rado sfuggono alla storia e si perdono nel mondo del mistero. Zosimo così scrive a Van Graan: «Egli [Pettirosso] è per me motivo di giubilo e di pena, punto cardinale del mio esistere, fantasma dei miei sogni» (p. 173). I due non s’incontreranno mai: Pettirosso trascorrerà un lungo periodo di tempo a Mantova, poi un anno a Milano, e di lui non sapremo più nulla. Zosimo raggiungerà Atella, ridotta a macerie. In una lettera a Van Graan confesserà di aver cercato chimere e di essersi perduto dietro a un fantasma.
mura di cinta erano colme delle lettere di tutti gli alfabeti che si parlavano sulla faccia della terra. Chiamarono la città nuovo mondo. «Fra’ Antonio da Bitonto era stato il primo a sentire il suono di questa lingua e non gli era bastata la vita per scriverne la grammatica» (p. 229). Il significato di questa lettera è chiaro: siamo tutti «viaggiatori di nuvole», inseguiamo sogni e chimere che appaghino le nostre più radicate aspirazioni. In realtà, siamo tutti cercatori di un nuovo mondo, ultraterreno, di una città utopica che sfugge alla nostra umana comprensione e ci situa in una situazione altra. In parole più chiare, siamo tutti cercatori di Dio, non importa se cristiani, ebrei o musulmani. Nella lettera di Zosimo si legge ancora: «La mia vita di pellegrino in cerca di un nonnulla non pareggia la felicità che provo nel constatare la fondatezza delle profezie circa l’esistenza di un mondo nuovo, così come esce dalle pagine di questo libro portato dal vento, suggerito all’estro di fra’ Antonio da Bitonto dalle correnti d’aria» (ivi). Zosimo afferma pure che «le mappe colorate di questa terra» gli fanno intuire l’esistenza del mondo nuovo più che «i sogni malati degli uomini». Una trama vasta, corale, polifonica Abbiamo cercato di cogliere il significato di fondo del romanzo di Giuseppe Lupo soffermandoci su alcune pagine particolarmente significative. Ma la sua trama è vasta, corale, polifonica. Si direbbe che l’Autore si sia divertito a darle una varietà di diramazioni che dilatano gli sfondi, le permettono guizzi surreali e percorsi tra storia e fantasia, sì che al lettore succede talvolta di avvertire un senso di smarrimento. Tra le note che caratterizzano Viaggiatori di nuvole segnaliamo la ricchezza di panoramiche sull’Italia negli ultimi anni del Quattrocento: attraversata da eserciti stranieri, abitata da diverse etnie, agitata dalle scoperte di un nuovo mondo. In alcuni personaggi si avvertono gli interrogativi dell’Umanesimo e del primo Rinascimento, in altri un senso d’inquietudine per l’incalzare degli eventi, in tutti la pesantezza del vivere e la ricerca di felicità. In questo teatro del mondo, sulla folla di mercanti, soldati, tavernieri, gente di Chiesa e di malaffare, si distinguono personaggi di alto rango: Isabella d’Este, Francesco Gonzaga, Gilbert de Montpensier, Giorgio Castriota Scanderberg e, in margine, Leonardo da Vinci. Particolarmente riusciti risultano i due protagonisti. Pettirosso ha frotte di passeri che gli svolazzano intorno, e lui riesce a comprendere il segreto del loro cinguettare. Nel suo peregrinare si chiede chi egli è: l’eletto della sua dinastia che avrebbe rivelato il contenuto delle pergamene e dato onore alla sua gente, oppure un girovago «finito dentro un buio a caccia di sogni»? (p. 170). Anche Zosimo si muove inseguito da aspirazioni e da sogni. Consuma i suoi giorni nell’inseguire Pettirosso; ma costui — si chiede — esiste realmente o è
L’utopia del nuovo mondo Che cosa contenevano le misteriose pergamene, custodite da Pettirosso? Lo rivela Gioacchino, suo padre, rimasto tra la macerie di Atella: «Dette pergamene non contenevano parole, ma disegni, immagini miniate, a dimostrazione della potenza della scrittura che sceglie altre lingue per giungere in profondo nelle coscienze degli uomini, come insegna la vicenda di quell’ebreo morto in croce una quindicina di secoli fa, a Gerusalemme, che non ha lasciato di sé alcun segno sulla carta, ma parabole, favole, apologhi di un mondo che è stato e che sarà» (p. 227). «Un mondo che è stato e che sarà». In questa affermazione c’è il senso profondo del romanzo. Lo si deduce dalla lettera di Zosimo a Van Graan. Rifacendosi a Gioacchino Machelecco, Zosimo ricorda che i Re Magi, dopo aver lasciato Betlemme, ripresero il loro viaggio approdando a un’isola sconosciuta. «Qui posero fine al loro straordinario girovagare, senza più i doni portati alla grotta, ma carichi di un libro che ciascuno di essi aveva trovato lungo il cammino: re Gaspare il Vangelo, re Malchiorre la Torah, re Baldassarre il Corano. In quel luogo decisero di costruire una chiesa, una moschea e una sinagoga […]. Dopodiché ripartirono, seguendo il richiamo del vento che soffiava da sud a nord, da oriente a occidente, e riempiva di attesa le loro ossa» (p. 228). Intorno ai tre edifici nacque una città, le cui
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«un’invenzione di messer Lionardo?». Dopo tanto andare, ha la sensazione di essersi perduto «nelle file di troppi perché, domande che si accavallano a domande, nodi che non si sciolgono, incognite, misteri, angoli scuri di una storia che sembra non avere mai fine e che rischia di far diventare lui, Zosimo, il più astuto fra i discendenti degli Aleppo, come la mosca che va a sbattere nella ragnatela» (p. 204). Lo stile del romanzo riflette un duplice registro: il primo, il più usato, è visivo, colorito, immediato, a volte passa dal discorso diretto all’indiretto e rende il lettore più partecipe della vicenda narrata; il secondo si caratterizza per il ricorso a parole ed espressioni spagnole e francesi, scritte come si pronunciano, talvolta anche dialettali. Ciò dà a certe battute un tocco di simpatia e di connivenza. «Credo nell’utopia» Due pesanti affermazioni, già citate, pongono una domanda: quale immagine dell’uomo viene fuori dal romanzo di Giuseppe Lupo? L’immagine di un viandante smarrito, «finito dentro un buio a caccia di sogni», come pensa Pettirosso? Di «una mosca che va a sbattere nella ragnatela», come è tentato di credere Zosimo? Una cosa è certa: l’uomo, abbandonato a se stesso, dà l’impressione di un viandante che ha smarrito la strada. La mèta è intuita, ma misteriosa, irraggiungibile. Rinunciare alla ricerca e rassegnarsi al buio? «La tentazione è forte», confessa Zosimo, ma il richiamo
Claudio Abbado: dopo la musica amava i poveri “Con lui fino alla morte. Non faceva che interrogarsi. Era un laico credente”. Don Giovanni Nicolini, parroco di sant’ Antonio alla Dozza, parla così del suo fedele amico Claudio Abbado morto a Bologna il 21 gennaio 2014. “Lui voleva bene ai poveri, perché lui stesso era povero”- continua don Nicolini -. Per lui la vita non era possesso ma ricerca … e anche la fede per lui era ricerca. La fede l’aveva. Il resto è un mistero”.
dell’Altrove misterioso è incalzante. «Sono certo — scrive a Van Graan — che il nuovo mondo non alberga più soltanto nei sogni malati degli uomini, nel volo delle nuvole, nel fluire del grecale e degli alisei, ma nelle mappe colorate di questa terra, assai più riconoscibile di quanto non voglia l’ostinata sordità, il debole ingegno, la dura cervice del servo vostro e fedele Zosimo Aleppo» (p. 229). A questa tensione verso il nuovo mondo Giuseppe Lupo dà un nome preciso: utopia1. Nella «Nota», a conclusione del romanzo, scrive: «Più che nella menzogna della letteratura, credo nell’utopia o nel sogno della storia» (p. 235). [Per gentile concessione del direttore de La Civiltà Cattolica (n. 3925, 4 gennaio 2014, pp. 74-78)] NOTA 1) A proposito dell’utopia, Ignazio Silone scrive: «Vi è nella coscienza dell’uomo un’inquietudine che nessuna riforma e nessun benessere materiale potranno mai placare. La storia dell’utopia è perciò la storia di una sempre delusa speranza, ma di una speranza tenace. Nessuna critica razionale può sradicarla, ed è importante saperla riconoscere anche sotto connotati diversi (I. SILONE, L’avventura d’un povero cristiano, Milano, Mondadori, 1950, 30). In Viaggiatori di nuvole le pergamene di fra’ Antonio da Bitonto simboleggiano l’utopia cristiana.
Padre Castelli gesuita doc con Napoli nel cuore
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adre Ferdinando Castelli ha lasciato questa terra venerdì 13 dicembre intorno alle ore 19.30. Ci ha salutati senza aver mai smesso di dare leggerezza e sorriso alla nostra vita di gesuiti di Civiltà Cattolica: ha sempre garantito a tutti appoggio sincero, solido, gentile. Ciascuno di coloro che lo hanno conosciuto potrebbe dire qualcosa di quest’uomo, che ha lasciato una grande eredità di affetti e di saggezza. Era nato a San Pietro di Caridà, un paesino delle Serre tirreniche in provincia di Reggio Calabria al confine con Vibo Valentia, il 24 marzo 1920. Era entrato nella Compagnia di Gesù il 30 agosto del 1937 nel noviziato di Vico Equense, dove rimase altri due anni. Quindi si recò a studiare Filosofia a Messina presso l’Ignatianum, e poi Gallarate presso l’Istituto Aloisianum: tre anni in tutto prima di essere inviato a Napoli per 4 anni di attività pastorale. Studiò Teologia nella stessa città, dove anche fu ordinato sacerdote l’8 luglio 1951. Dopo il Terz’anno, ultima tappa della formazione come gesuita, in Spagna, a Salamanca, è stato per un anno direttore della Congregazione Mariana di Villa S. Luigi a Napoli. Quindi, dal 1954 al 1966 e poi nell’anno 1970-71, fu alla chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, dove anche insegnò religione al liceo statale Genovesi, e dove iniziò, nel 1953, la collaborazione a La Civiltà Cattolica, oltre che alla rivista Letture. Dal 1971 è definitivamente alla Civiltà Cattolica, dove dal 1979 al 1987 e poi dal 1992 al 1996 è anche Rettore della Comunità. L’unica interruzione di questa lunga permanenza romana è costituita dal rettorato al Collegio Universitario dell’Aquila dal 1990 al 1992. È stato anche docente di Letteratura cristiana alla Pontificia Università Gregoriana e all’Università Salesiana. P. Ferdinando era una persona che amava scrivere. Il presente fascicolo della nostra rivista contiene un suo articolo e altri ne abbiamo di riserva. È morto il giorno in cui era prevista la presentazione del suo ultimo libro sul Natale, e ne ha lasciato un altro in ultime bozze che verrà presto pubblicato. Infaticabile, tuttavia non era assillato dal lavoro. Era anche un uomo curioso e libero, ostinato ma molto dolce; vicino agli altri sempre con un tratto inconfondibile. Era un religioso che in comunità si alzava sempre per primo per servirci a tavola, ad esempio. Sempre pronto, se il Direttore gli chiedeva un articolo per la rivista. L’unico «no» glielo disse di recente. Aveva ricevuto un volume di 1.000 pagine, e lui lo aveva
affrontato con decisione. Ma poi lo aveva restituito, non perché volesse sottrarsi alla fatica, ma perché disse con schiettezza che il «pasto» non era di suo gusto. Era un uomo vero e un grande intellettuale, cioè un uomo che aveva una visione delle cose, e che con creatività la esprimeva. Ha dato forma alla «cristologia letteraria». Era un segugio. Fiutava Cristo dovunque. Era convinto che il Signore è sempre all’opera nel mondo. E lui lo trovava soprattutto tra le pagine che la creatività ispira agli esseri umani: nelle poesie e nei romanzi. Trattava gli autori come amici con i quali dialogare, anche se ormai morti da tempo. Era comune sentirlo parlare con familiarità di autori arruffati, problematici. Alla fine si occupava quasi esclusivamente di loro. La sua visione della vita e della letteratura — per lui andavano insieme, secondo la lezione di Carlo Bo, che ben conosceva e aveva intervistato — era data dai titoli dei suoi numerosissimi volumi: la nostra vita è Nel grembo dell’ignoto, che è poi un verso di Baudelaire. È questa la nostra collocazione nel mondo. L’uomo per lui è un cercatore di Assoluto, l’abitante di un mistero che lo avvolge. Era sempre stupito come un bambino, incarnando la lezione di Péguy. Ma sempre fiducioso, non smarrito. Per lui il mistero è quello del fiore che si dischiude, non l’abisso vuoto o l’orlo di un precipizio. O meglio: era consapevole dell’ansia del mondo, ma era come se volesse scioglierla, come se volesse far sentire un abbraccio cordiale alla realtà. In gioventù a Parigi, del resto, aveva respirato i testi e la conversazione diretta con Teilhard de Chardin, Michel de Certeau e Henri de Lubac. Ma era ben consapevole della fatica della vita e dell’in-
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timo tormento dell’uomo. Dio come tormento era infatti il titolo di un suo libro del 2010. E Gesù è l’Insonnia del mondo, altro volume uscito quest’anno. Non è la vita a essere tormento e insonnia, ma Dio. Questo è il capovolgimento di p. Castelli: Ah l’uomo che se ne va sicuro,/ agli altri ed a se stesso amico,/ e l’ombra sua non cura che la canicola/ stampa sopra uno scalcinato muro, diceva con Montale. Ma per p. Castelli l’intimo tormento dell’uomo, la percezione della sua ombra, è mossa da Dio, è opera divina. E in questo p. Ferdinando era davvero gesuita, discepolo fedele di sant’Ignazio, che diceva che a volte l’uomo è desolato, perché così Dio, rendendolo insoddisfatto, lo pungola a cercarlo e a trovarlo. P. Ferdinando ci hai insegnato a cercare Dio. Se ci fosse un Dio è il titolo di un suo libro del 2008. Così raccoglieva nel titolo il «se» di molti, la domanda di molti. In quel libro il «se» era di Gogol come di Alvaro, della Mansfield come di von Kleist, ma per p. Castelli la letteratura raccoglie ed esprime meglio di altro ciò che è nel profondo del cuore dell’uomo. P. Castelli è stato un maestro delle domande. Le faceva sin da piccolo, quando lo chiamavano lo «scricciolo», perché era il più vivace di casa: non aveva requie e pare martellasse tutta la famiglia con domande impertinenti. E dunque un maestro di umanità. Papa Francesco anni fa, parlando a un gruppo di educatori, aveva detto che non siamo chiamati a essere un esercito di persone che conoscono tutte le risposte, ma persone capaci di accogliere tutte le domande e di incoraggiare gli uomini alla ricerca. P. Castelli era di questa pasta. Ma è stato soprattutto un uomo alla ricerca del volto di
Cristo. I suoi 3 volumi Volti di Gesù nella letteratura moderna sono pietre miliari della teologia letteraria, nel senso che è d’obbligo confrontarsi con essi. La sua è quasi una ricerca e una registrazione «dal vivo» di testimonianze, tracce profonde, segni evocativi, non sempre necessariamente chiari e inequivocabili. I suoi dunque non sono affatto tableaux luminosi e trionfanti: vengono registrati luci e ombre, «incontri e scontri», per dirla con il titolo di una celebre antologia letteraria su Cristo. P. Fedinando non ha mai rifuggito il giudizio o la stroncatura rispettosa dei ritratti di Cristo «nebulosi, pasticciati, asfittici, dimidiati, stonati», come ha commentato Italo Alighiero Chiusano, suo grande amico. Il Cristo che si percepisce leggendo la sua opera è in qualche modo un «personaggio in cerca di autore», il Cristo «uno, nessuno, centomila», dove il «nessuno» qui sta a indicare la sua inesauribilità e la sua non coincidenza con nessuno dei suoi «centomila» volti raffigurabili. Il suo ultimo gesto prima di uscire per l’ultima volta dalla sua camera per recarsi in ospedale è stato quello di prendere il suo più caro «volto» di Cristo, il crocifisso che gli era stato consegnato per i suoi voti religiosi, e di baciarlo. Con le sue riflessioni, p. Castelli ha offerto un contributo significativo a una storia letteraria dell’esperienza cristiana puntando molto sulla ricerca di una «comunione» tra i volti letterari di Gesù e la sua immagine evangelica. Per chi lo ha conosciuto, con la sua vita ha incarnato quotidianamente questa immagine. [Si Ringrazia padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica per la gentile concessione] ***
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Roma: i capolavori del museo di san Gennaro a Palazzo Sciarra
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ette secoli di storia, un viaggio attraverso donazioni di papi, imperatori, re, uomini illustri e persone comuni, per ricostruire uno dei più importanti e ricchi tesori d’arte orafa al mondo. È questo il leggendario Tesoro di San Gennaro, il santo di Napoli. Promossa da Fondazione Roma e organizzata da Fondazione Roma – Arte – Musei, in collaborazione con il Museo del Tesoro di san Gennaro, l'esposizione è stata curata da Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, e Ciro Paolillo, esperto gemmologo e docente presso l’Università La Sapienza di Roma. Per la prima volta al di fuori della città di Napoli è stato presentato a Papazzo Sciarra di Roma dal 30 0ttobre 2013 al 16 febbraio 2014 non solo il Tesoro del Santo di Napoli, ma documenti originali, dipinti, sculture, disegni e arredi sacri, che restituiscono la straordinaria storia di un culto, una città, un popolo. Con venticinque milioni di devoti sparsi in tutto il mondo, San Gennaro è il santo della Chiesa cattolica più famoso e conosciuto nel mondo. Il Tesoro a lui dedicato è unico nel suo genere: formatosi lungo settecento anni di storia, grazie alle numerose donazioni, si è mantenuto intatto da allora, senza mai subire spoliazioni e senza che i suoi preziosi fossero venduti. A proteggerlo
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la Deputazione della Real Cappella del Tesoro, organizzazione laica voluta da un voto della Città di Napoli il 13 gennaio 1527 deputata prima alla sovrintendenza sulla costruzione della Cappella dedicata al Santo nel Duomo di Napoli, poi alla difesa della collezione da minacce esterne. Ancora oggi formata da dodici famiglie che rappresentano gli antichi “seggi” di Napoli. La mostra ha offerto l'occasione per approfondire dal punto di vista scientifico l'inestimabile valore artistico e culturale del Tesoro. Il percorso espositivo analizzava il culto di San Gennaro, dalle sue origini, allo splendore dei due capolavori più straordinari della collezione: la Collana di San Gennaro, in oro, argento e pietre preziose, realizzata da Michele Dato nel 1679 e la mitra, in argento dorato con diamanti, rubini, smeraldi e due granati, creata da Matteo Treglia nel 1713, e della quale ricorreva il terzo centenario. Intrisa di significato la scelta delle pietre preziose da impiegare. Settanta opere di inestimabile valore, lungo un percorso affascinante alla scoperta del Tesoro di San Gennaro e la sua lunghissima storia legata a doppio filo a Napoli, tra tradizione, devozione e fede di un popolo.
L’icona di san Giorgio e il drago LUCIANA SIOTTO ICONOLOGA ED ICONOGRAFA
La festa religiosa di San Giorgio, sia in Grecia che in Russia, fu stabilita il 23 aprile, presumibilmente il giorno del suo martirio avvenuto nel III° secolo d.C.; secondo la tradizione popolare, nel giorno ricorrente il santo usciva sul suo cavallo bianco per proteggere il bestiame al pascolo: gli inni infatti cantavano San Giorgio come il signore della campagna ed instancabile aiuto di tutti i coloni. Il grande slancio del cavallo e del cavaliere equipara questo santo alla potenza dell’arcangelo San Michele facendo spesso pensare che San Giorgio non sia mai esistito e che sia stato, nell’immaginario collettivo, la personificazione del culto di San Michele; ma la Legenda aurea di Jacopo da Varazze lo fa nascere in Cappadocia e morire a Lydda in Palestina; ed è proprio la Legenda ad aggiungere un episodio famoso della vita di San Giorgio, ripreso continuamente dall’iconografia, dall’arte e dai racconti popolari: quello del santo che lega il drago consegnandolo alla figlia del re di Lydda ed infine uccidendolo a patto che tutta la città pagana si converta alla vera fede. Queste immagini, insieme ad altre della sua vita e del suo martirio, avvenuto sotto Diocleziano, vengono spesso raffigurate quando l’icona di San Giorgio è circondata da scene della sua vita in Cristo. L’icona che presentiamo in questo articolo ( vedi le due foto) custodita da padre Gianfranco Grieco, di origine presumibilmente cipriota, è di scuola greco-bizantina e lo dimostra il logo, posto sul retro dell’icona stessa, caratteristico delle scuole greche antiche.Lo stato di conservazione è molto precario: è soggetta infatti a sgretolamento a causa dell’abbandono e a mancati restauri sul legno subiti fino ad oggi; è per questo motivo che l’icona è stata inserita in un supporto ligneo che funge da cornice ma che invece serve a mantenerla integra in modo che i suoi bordi non vengano ulteriormente compromessi. Anche se sull’icona la figura del drago è scomparsa a
causa dei ripetuti baci di venerazione che il popolo usava fare sulla parte inferiore di una icona, si intuisce, dalla posizione del braccio destro, che il santo “conficca la lancia nelle fauci del serpente quasi compiendo col suo gesto quanto era già scritto nel libro del destino. Egli è il portatore del bene, della luce. Nel suo fulgore accecante c’è qualcosa di temporalesco, qualcosa che lo fa assomigliare al bagliore del lampo, e sembra quasi che non ci sia forza al mondo capace di fermare la corsa impetuosa di questo vittorioso guerriero” (Cit.da V.N.Lazarev, L’arte russa delle icone, Jaca Book, pag. 54). Il cavallo, simbolo della docilità e dell’obbedienza, galoppa con un movimento turbinoso obbedendo al cavaliere e, con una stupenda rotazione della testa, sembra volerlo guardare per poter compiere la volontà del santo. Non è un caso che il cavallo sia bianco poiché il colore lo avvicina allo splendore increato; il colore bianco è anche il simbolo della vittoria: nell’Apocalisse (19,1116) oltre ai quattro cavalli simbolici, vi è un altro cavaliere, su un destriero bianco, a capo delle schiere celesti: è il Verbo di Dio vincitore. L’uomo non è irrimediabilmente preda del maligno: 76
Curiosità ed eventi
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Barcellona, il 23 aprile si celebra, in onore del loro patrono san Giorgio, una festa civile e culturale, che per i Catalani è molto sentita e radicata. lI Santo è diventato il protagonista della leggenda più famosa a Barcellona. San Giorgio riuscì con la sua spada ad uccidere il drago e a salvare la principessa; il sangue versato si trasformò in una rosa che Giorgio le donò, la principessa ricambiò regalandogli un libro. Da allora, offrire una rosa e un libro alle persone care nella festività di San Jordì, fa in modo che la giornata diventi un omaggio all’amore, all’amicizia e alla cultura. Il giorno del libro si celebra in Catalogna dall’anno 1926, ma grazie a un’iniziativa degli editori catalani, il 15 novembre 1995, l’Unesco ha dichiarato il 23 aprile “Giornata Mondiale del Libro e del diritto d’Autore”. Gli slavi della Carinzia, invece, festeggiano san Giorgio decorando un albero, tagliato alla vigilia, e portandolo in processione, tra canti e musica, assieme con un fantoccio, ricoperto dalla testa ai piedi di rami di betulla al quale si da’ il nome di “Il Verde Giorgio”. Il fantoccio si gettava in acqua con un rito propiziatorio per la pioggia. In Transilvania, in Romania e in Russia il Verde Giorgio porta in mano una fiaccola accesa e, nell’altra un dolce, fatto di latte, farina ed uova. Esiste anche una ricetta dedicata al pane di san Giorgio. Sono dolci di farina gialla e bianca, latte, burro e fiori essiccati di sambuco. Occorre mescolare 250 g di farina gialla di mais e 250 gr di farina bianca 00, passarle al setaccio mettendole a fontana sul tavolo. Mettere al centro un pizzico di sale, 100 gr di zucchero, 2 uova leggermente sbattuti, 80 gr di burro fuso e un cucchiaino di lievito in polvere per dolci. Versare un litro di latte e impastare bene. Aggiungere fiori di sambuco secchi. Formare tante pagnottelle rotonde e schiacciate di 10 cm di diametro mettendole su una placca foderata con carta da forno. Spolverizzare con zucchero e cuocere in forno caldo a 180 gradi per mezz’ora. Servirli tiepidi o freddi con panna fresca liquida.
Cristo ha schiacciato sotto i suoi piedi il drago, simbolo delle potenze infernali; l’arcangelo Michele, come San Giorgio lo hanno vinto dopo una lotta violenta, così anche i credenti si accingono, come cavalieri di Cristo, ad ingaggiare la loro lotta con il drago. Non è importante che la figura di Giorgio, reso santo dalla sua adesione a Cristo, sia realmente esistita come persona oppure che sia la personificazione immaginaria del culto di San Michele arcangelo o ancora del discepolo cristiano che lotta, come pure non lo è la figura della principessa di Lydda, liberata da San Giorgio, spesso identificata a Santa Margherita, che conduce per tutta la città il mostro vinto e legato ad un guinzaglio sottile come un filo, dimostrando così lì impotenza completa della bestia satanica. La figura della principessa sulla sinistra, il logo sul retro, le caratteristiche iconografiche e le abilità tecniche ed artistiche dell’iconografo che l’ha scritta fanno di questa icona un piccolo gioiello che, per tanto tempo dimenticato, ritorna ora alla contemplazione di chi vuole avere davanti agli occhi e nel proprio cuore la lotta contro il male condotta da Cristo e con lui da San Giorgio e da tutti coloro che vogliono ricordare a se stessi la propria adesione a questa lotta.
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Il cuore dell’assassino di Catherine McGilvray Madras - Kerala
EMANUELA BAMBARA GIORNALISTA
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Il video (dura 58 minuti), ambientato in India, in lingua originale con i sottotitoli in italiano, inizia con un viaggio in treno, in sottofondo il fischio sordo della locomotiva, che lascia capire che non si tratta di un viaggio gioioso. Il viaggiatore, un induista, racconta la sua storia, di degradazione per motivi economici in famiglia e cattive amicizie. Viene arruolato dagli integralisti religiosi, che lo convincono ad aggredire le suore, accusate di spingere alla rivolta. Uccise una suora e fu arrestato, racconta. Fu abbandonato da tutti e in prigione rischiò di impazzire. Sullo stesso treno c’è una suora che prega Dio. Era malata di cancro, ed era pronta a morire, quando viene a sapere che la sorella, suora anche lei, giovane e sana, era stata assassinata da un fanatico induista. Le due storie, dell’uomo e della donna, si intrecciano, come se ciascuno continuasse il racconto dell’altro. Cambia scena, e c’è un santone, che racconta che il suo compito è portare la pace, far riconciliare le persone, per esempio, coniugi separati. “Indu, cristiani, musulmani, tutti vogliamo il bene dell’India”, dice un giovane. Il santone incontra le suore, tra loro la suora che viaggiava in treno, e le dice di aver saputo di una missionaria uccisa. La suora che aveva creato un gruppo di donne e un fondo di risparmio, aiutando tante famiglie e tanti bambini. Testimoni raccontano di essersi sentiti persi dopo la sua morte. La sorella suora racconta di avere fatto un viaggio insieme alla madre, con la paura di incontrare gli Zamidar. “Cosa faremo se li incontriamo?”, chiede. E la madre risponde: “Bacerò le loro mani”. “Perché?”, chiede la suora. “Perché sono intrise del sangue di mia figlia”. Il santone incontra l’assassino e gli dice che Dio lo ha perdonato. L’assassino è confuso, non gli era mai capitato il perdono invece della vendetta, e cambia nel cuore. Il santone propone un rito di riappacificazione alla suora, che accetta con gioia. Diventano amici. Il giovane parte insieme al santone per andare a chiedere perdono alla madre della suora uccisa. Durante una pausa nel viaggio, in riva al fiume, il santone insegna: “Solo con la mente a Dio potrai liberarti del tuo passato. Nessuna creatura impara a camminare senza cadere. Noi cadiamo e cadiamo, così impa-
riamo a camminare”. “Io non lo odio”, dice la donna nell’accogliere il ragazzo. Nel ritorno, questi afferma: “Tutto è deciso, noi possiamo solo agire bene o male. Se faremo il bene, riceveremo bene; se faremo il male, riceveremo male. Tutto il veleno che era in me è svanito”. Le ambientazioni sono bellissime, ricche di poesia e presentate con maestria di regia, pur con qualche ingenuità (per esempio, un passaggio non lineare dal viaggio in treno ala terra ferma). Lo spettatore ha la sensazione di essere anch’esso un viaggiatore, presente sulla scena accanto ai personaggi, con un effetto di realtà, come se si potesse toccare l’acqua limpida sotto la canoa su cui si ha l’illusione di muoversi, in una scena, o assaporare il profumo dell’incenso nei momenti rituali. Il video è di alta qualità artistica e spirituale. Contiene massime spirituali, di grande saggezza, ma non in linea con i contenuti della fede cristiana (come il principio che il destino è già deciso per ciascuno di noi o la presentazione quasi sacrale del santone). Però, nell’ambito di un evento pubblico a carattere interculturale e interreligioso sul tema del perdono e della famiglia (perdono in famiglia, nel senso di una sola famiglia umana, che altro non è che la famiglia di Dio), è certamente meritevole di essere presentato e testimone di buone pratiche di perdono e di convivenza pacifica tra diverse fedi, sulla base della comune credenza che Dio è amore e nell’amore è la verità. 78
Nella notte degli Oscar trionfa “La Grande Bellezza” Paolo Sorrentino e Toni Servillo da Napoli a Los Angeles
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aolo Sorrentino e Toni Servillo, napoletani doc, hanno trionfato con “La Grande Bellezza” nella notte degli Oscar 2014 (domenica 2 marzo). Dopo Bernardo Bertolucci (1987) con Ultimo Imperatore, Nuovo Cinema italiano (1990) di Giuseppe Tornatore, Mediterraneo di Gabriele Salvatore (1992) e La Vita è bella (1999) di Roberto Benigni, la coppia Sorrentino - Servillo ha vinto la corsa verso La Grande Bellezza. Prima le selezioni, poi il Golden Globe e la nomination. Infine, il verdetto dell’Oscar. Roma e Napoli, dopo questa vittoria, sono più vicine. La cittadinanza onoraria della Città di Roma data dal Sindaco al grande regista napoletano conferma il rapporto straordianrio tra queste due città uniche al mondo.
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Famiglie senza soldi e senza futuro Milano
bilità di trovare un posto di lavoro, smettono di cercare un impiego. Pur interessando l'intera Europa, l’aumento della popolazione non occupata ha colpito alcuni Paesi ben più di altri, evidenziando chiaramente le due velocità di marcia, alla quale avanzano da una parte i Paesi del centro Europa, caratterizzati da economie efficienti, e dall'altra i Paesi del sud Europa o Europa mediterranea, in cui si riscontra una situazione economica grave: se in Austria (col 4,9%), Germania (5,2%) e Lussemburgo (5,8%) la percentuale di disoccupati non ha quasi risentito della crisi, in Italia ha raggiunto l'11,8% (dall'11,0% del luglio 2012, più basso di oltre mezzo punto rispetto alla media Europea di allora, pari all'11,6%), in Spagna il 26,2% della popolazione tra i 15 ed i 75 anni, in Grecia e Cipro il 28% della popolazione in età da lavoro. L'impatto umanitario della crisi è tale che un numero sempre maggiore di persone chiede aiuti alimentari ed altri tipi di assistenza. Nei 22 paesi dell'Eurozona 3,5 milioni di persone ricevono sussidi alimentari dai programmi di assistenza, il 75% in più rispetto ai 2,5 milioni del 2009 in 17 Paesi. Tra quelli maggiormente in difficoltà vi è la Spagna, dove il numero di persone che nel 2012 ha ricevuto aiuti alimentari è pari a 1,2 milioni, più del doppio rispetto al 2009 (514 mila). Secondo quanto emerge dall’euro barometro Standard, il sondaggio più importante sulle opinioni degli Europei, in cui sono stati intervistati 1.031 Italiani tra il 7 ed il 20 novembre 2013, solo 2 cittadini su 10 in Italia credono che l’Europa stia prendendo le misure adatte per uscire dalla crisi; la maggioranza relativa (38%) degli abitanti dell’Unione Europea ha fiducia nell’azione dei Governi; il 72% degli Italiani ritiene che, per sollevarsi dalla recessione, l’Europa debba impegnarsi a fondo sulla riforma del lavoro, su istruzione e formazione ai lavoratori di ogni età. In base alla strategia per la crescita e l'occupazione, entro il 2020 l’UE intende ridurre il tasso di povertà, raggiungere un tasso di occupazione del 75% e migliorare il livello di istruzione. Così l’Europa si trova oggi dinnanzi a sfide ardue, senza precedenti dal punto di vista economico, sociale e politico; deve dare prova alle numerose famiglie sfiancate ed ai molti cittadini sfiduciati della sua capacità di reagire, di adattare scelte politiche e strumenti e di inventarne nuovi; è chiamata a dimostrare la sua utilità pubblica, dunque la sua legittimità. E quindi, se da un lato la crisi comporta numerosi rischi, può e deve anche essere vista come un’occasione per imparare dagli errori e migliorare, come un’opportunità unica per la ridefinizione che delineerà il futuro dell’integrazione europea.
ASSUNTA CEFOLA ANALISTA FINANZIARIO
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a crisi finanziaria internazionale, iniziata nell'estate del 2007 ed acuitasi nell’autunno del 2008, ha colpito duramente l’economia europea. La tendenza più rilevante evidenziata dall’analisi macroeconomica negli ultimi anni è il notevole calo del tasso di risparmio delle famiglie, storicamente elevato al confronto internazionale; con particolare riferimento alle famiglie Italiane, a partire dal 2009 la propensione al risparmio è divenuta inferiore a quella media dell'area euro. A questo si affianca una considerevole diminuzione della ricchezza netta delle famiglie, dovuta al minor flusso di risparmio ed al maggior livello di indebitamento, che ha portato ad un aumento del rischio di povertà: in Italia, il 18,2% dei residenti è a rischio di povertà, mentre il 6,9% versa in condizioni di grave deprivazione materiale (Istat, 2012) e l’aumento della pressione fiscale insieme ai tagli alla spesa sanitaria e sociale potrebbero aumentare il rischio di povertà. In conseguenza degli effetti della crisi, la concentrazione della ricchezza ha ripreso a crescere: le famiglie Italiane possiedono immobili per 5.000 miliardi di euro e beni finanziari per 3.600 miliardi, di cui 1.200 miliardi per depositi inferiori a 50.000 euro. Il 10% delle famiglie più benestanti amministra il 45% di tale ricchezza e non avverte la crisi, vede però di anno in anno perdere valore ai proprio beni; l’altro 90% avverte fortemente la crisi, ma è impotente contro di essa. Il bene comune imporrebbe una soluzione utile per il 100% delle famiglie. L’analisi del trend di risparmio e ricchezza per tipologia familiare, evidenzia un peggioramento a seguito della crisi della condizione finanziaria delle famiglie a basso reddito, di quelle giovani e degli affittuari. La dinamica negativa del reddito, particolarmente accentuata per le famiglie giovani, pare essere la determinante principale alla base dell’andamento del risparmio e della ricchezza. Un ulteriore fattore di impoverimento delle famiglie e di potenziale incremento delle disuguaglianze è costituito dalle dinamiche del mercato del lavoro. Dopo un calo dell'occupazione tra 2009 e inizio 2010 ed una timida ripresa già nel 2010, la nuova fase di recessione tra il 4° trimestre 2011 ed il 1° trimestre 2012 ha portato ad un nuovo peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro. È inoltre rilevante la diminuzione del tasso di attività, dovuto ad un aumento dei lavoratori scoraggiati che, con scarsa fiducia nelle possi80
Come vivere con più sicurezza nelle proprie case seccati lasciandosi respirare. Lo stesso succede nella cucina sia grazie ai grassi che ai vapori provocando disturbi respiratori. Un fattore di rischio importante da non sotto valutare è causato dalla presenza di impiantì elettrici vecchi ormai non più conformi alle norme vigenti i quali sollecitati dagli elettrodomestici possono provocare corto circuiti o scosse elettriche a corpo umano. Lo stesso dicasi sia per impianti idraulici e del gas. Il consiglio più importante è quello di rendere compatibili tali impianti alle normative vigente di sicurezza degli stessi. In via subordinata comunque è consigliabile la sostituzione di tradizionali flessibile a retine, soggetti ad improvvise rotture con conseguente allagamento della casa, con quelli in acciaio più sicuri per le tenute della pressione dell’acqua. Particolare attenzione si consiglia nell’acquisto degli arredi della casa che devono coniugare la piacevolezza del disegno del prodotto con la funzionalità a cui esse è destinato. Evitare, per esempio, tavoli di vetro a spigolo vivo, librerie con aggetti che possono procurare seri danni al passaggio distratto dei bambini, sedie che assicurino una sufficiente stabilità e comodità ergonomica, lampade che non procurano effetti di stress visivo. Nelle prossime occasioni parleremo ancora di altri rischi e le soluzioni per affrontarli in anticipo.
Roma
MOHAMMAD DJAFARZADEH ARCHITETTO
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egli ultimi anni importante sviluppo della tecnologia finalizzato ad un maggiore benessere nell’ambito delle abitazioni ha determinato ulteriori rischi per la vita e la salute all’interno delle nostre case. L’argomento che vogliamo trattare mira a informare la presenza di questi rischi e a dettare consigli sulle modalità a ridurli a minimo. La ventilazione della casa in tutti suoi ambienti è un atto che deve essere fatto ogni giorno e in ogni stagione, per circa 30 min. Ciò permette di eliminare odori e rinfrescare la casa dai calori sia corporei che quelli procurati da fonti di calore relative agli azioni prodotti dagli elettrodomestici, termosifoni e condizionatori. Pulire, almeno una volta al mese con prodotti disinfettanti, i rivestimenti e gli arredi del bagno e della cucina. Nel bagno i vapori mescolati con polvere producono delle muffe che si depositano sulle stuccature tra le mattonelle e poi si diffondono nell’ambiente una volta
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00153 Roma
Napoli canta ancora Napoli
GIACOMO AURIEMMA GIORNALISTA
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anta Napoli. E lo fa ad alta voce, nonostante l’addio del suo più grande tenore: Edinson Cavani. Troppo forte il richiamo di Parigi e degli Champs-Élysées, di Notre-Dame e della Senna anche per un uomo che aveva giurato amore eterno al suo popolo. Nessun tradimento, sia chiaro, perché di fronte a certe offerte è difficile rimanere impassibili e così il presidente De Laurentiis si è visto costretto a cedere uno dei più grandi calciatori del pianeta agli sceicchi del Paris Saint-Germain. Da allora ne è passato di tempo e molte cose sono cambiate, ma Napoli canta ancora. Con lo stessa passione di sempre, con lo stesso fervore, con l’innata capacità di superare qualsiasi difficoltà e voltare subito pagina. Perché da queste parti l’arte di arrangiarsi non è un modo di fare, ma un modo di essere. Uno stile di vita. Canta Napoli e lo fa ad alta voce, ma con nuovi interpreti. Da Mertens a Higuain, passando per Callejon fino ad arrivare a Benitez, bravi tutti a restituire grande entusiasmo ad una piazza tanto esigente
quanto romantica. Una ventata di novità e di internazionalità che ha avvicinato il club partenopeo alle grandissime di sempre, che ha ridotto un gap che fino a qualche tempo fa sembrava incolmabile, facendo rivivere i fasti dell’epoca di Maradona. Nemmeno il più ottimista dei tifosi avrebbe immaginato tanto in così poco tempo, ma a Napoli sogni e realtà si sfiorano sempre più spesso, fino a confondersi. E oggi gli azzurri si ritrovano a duellare in Italia con Juventus e con la Roma, a umiliare rivali storiche come Inter e Milan, a fare la voce grossa al cospetto di squadre più blasonate come Arsenal e Borussia Dortmund, a giocare un calcio spumeggiante e spettacolare come pochi in Europa. Il popolo di fede azzurra gongola e auspica adesso di alzare ulteriormente l’asticella, magari grazie all’ennesimo “coup de theatre” in pieno stile De Laurentiis. Intanto canta Napoli. Come sempre, da sempre.
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Paese per eccellenza del Calcio Mondiale 2014 Mondiali: un evento imperdibile che riesce a catalizzare su di sé l’attenzione di tutto il mondo. I Mondiali di Calcio del 2014 si giocano in quel continente immenso e bellissimo e allegro e ricco di risorse e di contrasti che è il Brasile La Coppa del Mondo di Brasile 2014 – vale a dire i Mondiali di Calcio - è l’occasione per conoscere meglio questo Paese, la sua geografia, la sua cultura e le sue usanze. Perché il Brasile non significa solo Carnevale. Il Brasile è una nazione (tra l’altro pare una delle più felici al mondo) dal territorio enorme. È il quinto Paese al mondo per estensione: ben 8 milioni e mezzo di chilometri quadrati. E anche il numero degli abitanti non è male: 192 milioni (più o meno). Quindi non lasciamoci perdere
l’occasione di sfruttare i Mondiali di Calcio 2014 per fare un passo avanti verso la conoscenza del Brasile. Ecco le città che ospitano le partite della Coppa del Mondo:
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Luigi Pierno (1938- 1998) Volto penitente del Beato Bonaventura da Potenza (1651-1711) olio su tela (1997).
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La “buona occasione” che Renzi e i suoi non dovrebbero perdere MICHELE GIUSTINIANO GIORNALISTA
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e le orecchie della gente non fossero stanche per le troppe vane promesse dei governanti, se le parole non fossero ormai logore, svuotate del proprio senso, del proprio peso dai proclami e dagli slogan politici che puntualmente svelano il loro volto menzognero all’indomani delle tornate elettorali, allora avremmo una buona notizia da dare. Il governo Renzi ha, infatti, annunciato di voler puntare sulle imprese sociali. Lo ha fatto per bocca del ministro del lavoro Giuliano Poletti, che poco dopo la sua nomina ha prospettato la creazione di un fondo di 500 milioni di euro da destinare alle imprese sociali. Una gran buona notizia, perché in questi tempi di crisi economica, che impongono quanto mai prima d’ora il superamento dei vecchi modelli di Stato assistenziale, la creazione di un welfare sussidiario basato soprattutto sullo sviluppo delle imprese sociali è assolutamente necessaria, se non si intende abbandonare i cittadini in balia dei problemi. Ne è convinta anche l’Unione Europea, che circa due anni fa ha approvato con la Social Business Initiative un piano a sostegno delle imprese sociali per generare crescita e occupazione. Non è un mistero, del resto, che la cosiddetta social economy rappresenti il 10% dell’intero Pil europeo e conti oltre dieci milioni di lavoratori. Numeri che la dicono lunga sull’importanza del terzo settore e sul bisogno
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di sostenerlo con iniziative concrete. Il governo dice a gran voce di volerci provare. Anche lo scorso 14 marzo, durante un evento organizzato dal Cergas Bocconi, il sottosegretario al lavoro Luigi Bobba e lo stesso ministro Poletti sono tornati sull’argomento. Hanno parlato di un disegno di legge che darà nuovo vigore al settore superando i limiti della vecchia normativa (L.155 del 2006). Ma come? Allargando la cerchia delle imprese sociali anche ad altre realtà che finora non ne fanno parte (quelle che operano nel commercio equo e solidale, nel microcredito ecc.); estendendo alle imprese sociali il regime fiscale delle onlus e i vantaggi delle start-up innovative; destinando alle imprese sociali una quota del patrimonio che lo Stato trasferisce ai comuni, alle province e alle regioni. Ma sarebbe ingenuo non pensare all’imminenza delle elezioni europee e al conseguente rischio che queste belle proposte per il futuro, insieme alle slide e all’aria di rinnovamento, possano rivelarsi all’indomani del voto soltanto luccicanti slogan e promesse da campagna elettorale. Se dalle slide si passerà ai fatti, stavolta saranno in milioni i cittadini disposti a cantare a Renzi e ai suoi una canzoncina celebrativa di ringraziamento. E i cantanti, stavolta, avranno ben più di sei anni. Speriamo che il governo non perda questa buona occasione.
Ciò che resta di Samar e dei suoi abitani a z en
g r e m e e a n r i o p c p i n l i A F e l l e n
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on solo l’aeroporto di Tacolban è distrutto, bensì l’intera isola di Samar. Sono migliaia e miglia i dispersi e i senza tetto. Il tifone Yolanda ha distrutto persino la storica chiesa dell’Immacolata, da sempre meta di numerosi pellegrinaggi da parte dei devoti filippini. Sono almeno dieci milioni le persone che sono state colpite dall’ultimo tifone. Si tratta del 10% della popolazione filippina, mentre più di 660.000 persone hanno perso la loro abitazione. Si va alla ricerca disperata di cibo, di acqua potabile, di medicinali, di spazi per accamparsi, di vestiti. Non c’è più nulla per milioni e milioni di cittadini. La gente gira per strada sconvolta, senza meta, priva di obiettivi, senza neanche un documento di riconoscimento. Qualcuno grida da lontano in un inglese stentato: “Siete frati? Per favore, dite alle autorità di aiutarci. Dove è il cibo? Come possiamo trovare acqua? Dove possiamo andare?”. Fortunatamente, la Caritas internazionale è in azione e alcuni volontari si avvicinano per dare soccorso e indicazioni ben precise. Sono stati preparati dei centri di raccolta per le città nelle chiese ancora in funzione. Anche i nostri frati a Samar si danno da fare. Loro sono nella parte nord di quest’isola, presso il piccolo convento dedicato a sant’Antonio da Padova. A Samar vivono tre frati. Il guardiano è fra Nicolas che lavora insieme a fra Bonaventura e a fra Josil. L’esperienza di vita fraterna e di missione su que-
st’isola risente di forti disagi per la comunicazione, i trasporti e la precarietà del posto e della stessa presenza dello Stato. I frati vivono in una piccola casa con sei stanze e, tra non poche difficoltà, lavorano presso una parrocchia e insegnano gratuitamente religione presso alcune scuole locali. I frati provvedono per l’assistenza ai gruppi e ai poveri del villaggio. Le grandi distanze non permettono facili spostamenti. L’ambiente è povero e la gente del posto ha bisogno di molte cure, soprattutto adesso. Il vescovo conta sulla permanenza dei frati a Samar. Il tifone ha devastato interi villaggi di questa zona. Per la fragile economia, i frati di Samar vivono soprattutto di provvidenza e dei sussidi da parte nostra. A non poca distanza da quel che resta del conventino, ci sono aerei militari ed elicotteri che a più riprese trasportano cibo, vestiario e acqua per gli abitanti di Samar. Il cielo è grigio: siamo nella stagione delle piogge. C’è pericolo di nuovi allagamenti e di un ritorno imminente del colera e di altre malattie endemiche. I centri caritas allestiti nelle parrocchie riescono a smistare cibo, vestiario, medicinali e denaro non senza problemi. Ci sono sciacalli anche qui. C’è gente che se ne approfitta rovistando dappertutto, tra tubi, rifiuti, mobili, cadaveri e cassetti volati via dalle case. Una giovane donna che viveva nei pressi dell’ex aeroporto di Tacolban, di nome Alicya, ha assistito in diretta alla 86
morte di suo marito John e del piccolo Tommy. Vivevano in un sottoscala che è completamente crollato: forse i loro nomi non sono neanche registrati all’anagrafe e non saranno iscritti in nessun registro dei morti. Già, qui tanta gente non sa di esistere o, meglio, non risulta registrata da nessuna parte. Si sopravvive, come morti viventi, nel tentativo di vincere i morsi della fame e della miseria. Il lavoro di ricostruzione sarà molto lungo. Certamente, non mancano gli aiuti umanitari: apprendiamo oggi che gli Usa hanno stanziato ben 25 milioni di dollari per l’emergenza umanitaria e, soprattutto per il cibo e gli alloggi; il Giappone è stato molto generoso con l’offerta di 10 milioni di dollari, così pure l’Australia; il Canada ne ha stanziati 5 milioni come pure la Corea del Sud… Aerei per gli aiuti logistici sono provenuti dall’Indonesia, altri fondi dalla Santa Sede, come pure dalle Chiese luterane e dall’American Jewish World e dalla stessa Conferenza episcopale italiana. È la solidarietà che permetterà di superare questa catastrofe e di dare speranza a milioni di persone ormai prive di ogni cosa, finanche della stessa identità, almeno di quella giuridica e amministrativa. Che cosa resta di Samar e dei suoi abitanti? Quale sarà il futuro di queste persone? I filippini appaiono, per certi aspetti, rassegnati alle grandi catastrofi e a una condizione di vita sempre sul confine della precarietà e della sofferenza. Sono un popolo abituato al sacrifi-
cio, all’impegno, alla sopravvivenza, e si adeguano facilmente. Vivono in simbiosi con il mare e le sue tempeste e si muovono con una certa disinvoltura sotto la pioggia e le tonnellate di rifiuti e di rovine. Sanno che vivere sull’isola significa correre dei rischi. Il mare è la loro risorsa per la pesca, il turismo, le comunicazioni. Occorre garantire migliori condizioni igienico-sanitarie: adulti e bambini si spostano a piedi nudi nelle fogne e si lavano presso i tombini delle strade. I filippini sono una popolazione abituata ad emigrare, a spostarsi in cerca di lavoro e di cibo e, grazie a Dio, hanno ancora con una dignità, quella di “essere umani” che vogliono conquistare l’autonomia, la libertà e vantano il diritto di essere assistiti e curati, nonché di essere felici. Per loro, per i piccoli specialmente, ci sarà un futuro se la carità non avrà mai fine o, più semplicemente, se non spegniamo i riflettori sull’ennesima catastrofe naturale e ambientale che ha investito queste povere famiglie già di per sé abbandonate alla povertà, allo sfruttamento, alla mala vita, alla strada. Ogni soldo raccolto rappresenterà la premessa per uscire da questo tunnel della fame e della miseria: sarà un seme di speranza per aiutare soprattutto le nuove generazioni a raggiungere una qualità della vita migliore rispetto ai loro familiari. Qui si muore giovanissimi. L’età media si è abbassata ai 60 anni.
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Maria di Gesù garofano sopra la rupe Rocco Rizzo Un giardino di delizie per il Signore Città del Vaticano 2013 p. 126, 10 euro
MONS. GIANFRANCO TODISCO Vescovo di Melfi - Rapolla -Venosa
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erché la pubblicazione di un volume su una monaca di clausura, morta in concetto di santità oltre due secoli fa, di cui la gente, soprattutto gli anziani, ancora oggi a Ripacandida ( Potenza) la gente ne parla? Se la memoria di suor Maria di Gesù è ancora viva, lo si deve innanzitutto a monsignor Giuseppe Gentile, arciprete parroco per 46 anni di Ripacandida che oltre alla ristrutturazione della chiesa di san Giuseppe, dove riposano i resti mortali della religiosa, si è interessato anche di raccogliere le testimonianze tramandate a voce dagli anziani del paese, e quelle scritte (lettere di sant’Alfonso e di san Gerardo) conservate nell'archivio parrocchiale e le pubblicava a sue spese perché parrocchiani ed amici conoscessero ed apprezzassero il grande dono che il Signore aveva fatto alla comunità di Ripacandida. Perché questo suo desiderio varcasse i confini della parrocchia e della diocesi, nel testamento che mi consegnò personalmente pochi mesi prima di morire, don Peppino lasciò scritto che i suoi risparmi dovessero essere impiegati per alleviare le sofferenze dei bambini poveri delle missioni che le Figlie di san Giuseppe curano in Brasile, e per avviare la causa di canonizzazione di suor Maria di Gesù.Il desiderio di don Peppino comincia a diventare realtà con questa pubblicazione curata da padre Rocco Rizzo OFMConv., nativo di Ripacandida, testimone oculare del grande sogno del parroco arciprete di vedere un giorno procla-
mata santa colei che aveva fatto rifiorire in Ripacandida lo spirito monastico di santa Teresa d’Avila. La ricerca delle fonti storiche fatta da padre Rizzo è il primo importante passo per avviare il processo canonico di suor Maria di Gesù. I racconti della gente, che a distanza di tempo permettono ancora di percepirne il profumo di santità, fanno da corona alle testimonianze di chi l’ha conosciuta in vita. La Congregazione delle Cause dei Santi dovrà pronunciarsi per stabilirne l’eroicità delle virtù cristiane e spianare così la strada verso la beatificazione. Questa indovinata pubblicazione rappresenta solo un riassunto dell’interessante materiale che padre Rizzo ha raccolto, a partire dai documenti che don Peppino, gelosamente, custodiva nell’ archivio parrocchiale, e che mi ha consegnato assieme al suo testamento. Nella sua essenzialità, padre Rizzo riesce a delineare i tratti caratteristici della santità di suor Maria di Gesù alla portata di tutti, specialmente della donna d’oggi e indipendentemente dall’età e dal ruolo che ricopre. La lettura di queste pagine permetta di dare ampia risonanza, come don Peppino desiderava, alla santità di una claustrale, definita “garofano sopra la rupe”, ma di accrescere nel cuore del lettore il desiderio di un'autentica spiritualità, senza la quale è impossibile avvicinarsi a Dio, fonte di ogni santità.
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Andrea Ciucci - Paolo Sartor In cucina con i santi Ricette di cielo e di terra, San Paolo, Milano 2013 p. 156 , 15 euro
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Ricette di cielo e di terra
GIANFRANCO VISSANI
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a cucina è certamente creatività e tecnica ma è anche, e soprattutto, convi88
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Dalla terra dei fuochi per servire il mondo
MONS. ANGELO SPINILLO Vescovo di Aversa Vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
Alfonso d’Errico Maestri e testimoni dell’amore di Cristo, Giordano Editore, Napoli 2014 p. 208, 20 euro
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on Alfonso D’Errico ha voluto raccogliere in questo volume una serie di articoli o di suoi scritti in cui, con l’entusiasmo che gli è proprio, ha potuto delineare e illustrare ad una più ampia platea di lettori i tratti biografici e le testimonianze dell’intensa vita di fede che ha potuto riconoscere nella testimonianza di tanti sacerdoti incontrati sul suo cammino. L’entusiasmo di Don Alfonso nel parlare di tanti confratelli lascia trasparire un grande amore per la Chiesa e per il sacerdozio. A scorrere le date in cui si è racchiusa la vita dei sacerdoti di cui ha scritto per noi in questo libro si comprende che egli non ha potuto incontrare personalmente ciascuno di loro, ma che il vero incontro è avvenuto nell’anima del nostro autore. Come per tutti gli esseri umani, un vero incontro è quello che lascia un segno importante nella vita delle persone, un segno che invita a camminare idealmente insieme verso la stessa meta. Possiamo, allora, sicuramente dire che, aldilà di tempi, di circostanze e situazioni, nella storia e nelle caratteristiche proprie della vita e della fede, sono richiamate la forza della speranza, la ricchezza della carità che ogni altro sacerdote, che ogni cristiano è chiamato a vivere. Per tanti di noi il solo scorrere le pagine di questo libro ed il ritrovare nella mente e nel cuore tanti nomi e tanti volti sempre stimati ed amati, potrà suscitare una rinnovata condivisione di attenzione e di ammirazione verso quei tanti fratelli che, nella peculiarità delle caratteristiche personali, sono rimasti nella vita della vialità. È una convivialità del tutto speciale, che non si limita alla tavola, ma ti accompagna in tutte le fasi di preparazione, dalla scelta degli ingredienti quando vai a fare la spesa o a raccoglierli nell’orto, alla manipolazione in cucina, alla preparazione della tavola, al rito del pasto. Tutte queste operazioni non sono semplici e freddi doveri, ma ti riempiono di un calore che viene dal loro signifi-
Chiesa come una feconda presenza di vita e sono, come ha scritto Benedetto XVI in Spe salvi: “luci di speranza… luci vicine, persone che donano luce traendola dalla sua luce (del Cristo: Egli è la luce) ed offrono così orientamento per la nostra traversata”. A quali fonti attinge l’autore, o attraverso quali percorsi di ricerca egli sviluppi l’ampiezza e l’intensità con cui narra della vita di tanti sacerdoti e ne descrive la spiritualità e l’azione pastorale. Le fonti cui Don Alfonso attinge i percorsi attraverso i quali egli sviluppa il suo narrare possono ritrovarsi nel suo essere “presente”, sempre, presente nella vita della Chiesa locale e della Chiesa universale. È la mirabile caratteristica della sua persona: essere “presente”, sempre pienamente partecipe e coinvolto nella realtà e negli incontri che la Provvidenza lo chiama a vivere. Don Alfonso non manca agli appuntamenti con la vita della comunità ecclesiale, soprattutto non manca alla possibilità di incontrare i fratelli nella fede e nel sacerdozio, non manca alla possibilità di vivere e condividere con loro l’inestimabile dono di Dio che è la vocazione. Allora non sorprende che egli porti nel cuore, e voglia condividere con noi, la presenza dei sacerdoti che ha potuto conoscere e che hanno lasciato in lui una traccia robusta e sicura, dai quali ha raccolto una testimonianza forte di amore al Signore e di fedeltà alla Chiesa.
cato, dal ricordo o dallo scopo associato a ciascuna di esse. In questo consiste l’essenza più profonda della cucina, come hanno colto perfettamente Andrea Ciucci e Paolo Sartor, tanto da regalarci con questo libro una delle convivialità più speciali, la vicinanza con donne e uomini che hanno saputo condurre la loro vita in maniera così esemplare da essere proclamati Santi. Sono donne e uo-
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mini che potremo sentire accanto leggendo le pagine del libro e mangiando il cibo che fu sulla loro tavola, sono esempi luminosi la cui vicinanza renderà più sicuro il nostro cammino e saprà restituire a ogni atto della vita quotidiana quella dignità autentica che lo eleva al di sopra della mera necessità. Grazie di cuore a don Andrea e don Paolo per questo immenso regalo!
Via S. Francesco, 1 84010 Ravello (SA) Tel. +39 089 857 133 Fax +39 089 857 935 www.hotelrufolo.it info@hotelrufolo.it
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due passi da Villa Rufolo, nel centro storico – monumentale di Ravello, lontano dal traffico della costiera ma nel pieno della vita artistica e culturale della città della divina Costiera, l’albergo Rufolo svolge da più di un secolo la funzione di ospitalità e di accoglienza, connaturale allo spirito e alla storia di questa cittadina unica al mondo. La crescita e lo sviluppo dell’albergo si legano a quello del turismo ravellese, e sono legati allo spirito di iniziativa e di intraprendenza della famiglia Schiavo. Già nella seconda metà dell’800 i fratelli Schiavo gestivano uno dei primi alberghi di Ravello situato nell’antico Palazzo D’Afflitto, denominato albergo Toro. Verso la fine del secolo la sede dell’albergo fu trasferita in sede più centrale, attigua e prospiciente a Piazza Duomo, dove ancora oggi ha sede. Con gli inizi del ‘900 i due fratelli si divisero e Ferdinando Schiavo, nonno degli attuali titolari, si trasferiva con la sua famiglia in crescita in via S. Francesco dove cominciava l’avventura dell’Albergo Rufolo, gestendo anche il Caffè - Ristorante Rufolo situato sulla Piazza centrale. Con l’aiuto del figlio Alfredo, tenace ed intraprendente, si dedicava allo sviluppo dell’Albergo che cominciava ad ospitare un numero crescente di ospiti nell’antica casa di famiglia. Da qui l’esigenza di un primo ampliamento dopo gli anni venti, ulteriori lavori nel primo dopoguerra, e la totale e funzionale ristrutturazione nel 1960 che portava l’albergo all’aspetto attuale. Negli anni successivi sono stati continuamente effettuati lavori di ammodernamento e restyling, per dotare la struttura dei più moderni comfort, di servizi e attrezzature qualificate. Ma lo spirito dell’Albergo è ancora quello di un tempo, è rimasta intatta l’architettura tipicamente locale, fatta di archi a volte, caratterizzata da ceramiche della Costiera e
da arredi dell’800 napoletano e di inizi ‘900. Innumerevoli gli ospiti che hanno frequentato l’albergo nel corso del secolo . Oltre a uomini politici come il Presidente Einaudi, Palmiro Togliatti, Giorgio Almirante, musicisti e artisti illustri come i maestri Rostropovic e Bruno Walter, Carla Fracci e Alida Valli. Chi più ha lasciato il segno della sua presenza a Ravello è il grande romanziere inglese D.H.Lawrence . Negli anni recenti soggiornarono all’Albergo Rufolo lo scrittore napoletano Domenico Rea e la scrittrice francese Lucette Desvignes che ha lasciato nel libro degli ospiti queste frasi : “Dalle torri medievali all’infinito del mare , tutto ti appartiene, montagne, costiera, valle di limoni o di vigneti, giardino magico, chiostro moresco e cupole bizantine, pini in cascata, tutto è tuo, e lo porti con te come un tesoro quando te ne vai”. Queste parole, più di ogni altra foto o commento , testimoniano lo spirito di Ravello e dell’Albergo Rufolo, in un ambiente che accomuna fascino della natura e servizi e confort moderno. E anche Gore Vidal negli ultimi anni della sua vita, ceduta la Villa Rondinaia, ha voluto trascorrere all’ Hotel Rufolo le vacanze nella sua Ravello. E da qui sono passati gli innumerevoli e indimenticabili frati del vicino Convento che si sono succeduti nel corso di tanti anni e che hanno considerato l’albergo molto legato al convento e la famiglia Schiavo parte della grande famiglia francescana conventuale. Negli ultimi anni anche Alfredo Schiavo Junior per continuare la tradizione familiare, ha aperto la casa dei nonni , dove abita con la sua famiglia, ai numerosi ospiti che arrivano a Ravello e l’affittacamere si chiama proprio “ a casa dei nonni” e qui arrivano dal lontano Giappone molti turisti che conoscono o vogliono conoscere Yumi, la consorte giapponese di Alfredo. 90
I dolci della Pasqua
Pigna dolce pasquale
La pastiera di grano
dolci pasquali sono tantissimi e non si riducono certamente alle uova pasquali o alle tradizionali colombe farcite. Qui vi proponiamo almeno due ricette. La pigna pasquale e la pastiera di grano.
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un dolce tipicamente napoletano che ammette alcune varianti. Occorre preparare la pasta frolla e da parte mescolare gli ingredienti per il contenuto.
INGREDIENTI 12 uova, 1 kg di farina 25 gr di lievito di birra (1 panetto) 400 gr di zucchero, un pizzico di sale 200 gr di strutto oppure 1 bicchiere di olio di semi 3 bustine di vanillina succo e buccia grattugiata di 1 limone PER LA GLASSA 1 albume, 180 gr di zucchero a velo, semi d'anice zuccheri e confettini colorati e argentati In una ciotolina fate sciogliere il lievito in acqua tiepida, poi aggiungetevi un po' di farina e mescolate bene. Trasferite in una ciotola più grande e aggiungete le uova, la restante farina, lo zucchero, il sale, lo strutto, la vanillina e succo e buccia di limone. Impastate a lungo fino ad ottenere un impasto omogeneo ed elastico. Mettete l'impasto in un luogo caldo e fate lievitare finchè non raddoppi di volume (circa 4 ore). Trascorso il tempo di lievitazione mettete l'impasto in uno stampo imburrato e infarinato. Potete scegliere lo stampo che preferite, con il buco o senza. Lasciate lievitare nuovamente finchè non raggiunga quasi l'orlo. Infornate a 200° per 45-50 minuti. Quando sarà cotto sfornate e lasciate raffreddare nello stampo. Nel frattempo preparate la glassa: Frullate l'albume con lo zucchero a velo, deve risultare una glassa molto densa. Se non dovesse esserlo aggiungete altro zucchero.
Per la pasta frolla: 500 gr. di farina; 200 gr. di burro; 200 gr. di zucchero; 3 uova intere; buccia di arancia grattugiata; 2 fiale di fiori d’arancio e 2 di millefiori; 2 bustine di vanillina. Bisogna lavorare il burro con la farina e poi aggiungere lo zucchero e le uova intere. In seguito grattugiare la buccia d’arancia e aggiungere gli aromi. Ottenuta una palla di pasta frolla, occorre riporla in frigorifero e farla riposare per 1 ora, avvolgendo l’impasto in un panno di tela o in una pellicola. Per ottimizzare i tempi, è possibile riporre l’impasto in freezer per 15 minuti. La pasta frolla va lavorata in brevissimo tempo.
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Per l’interno: 600 gr. di ricotta; 600 gr. di zucchero; 8 uova; canditi (possibilmente solo arancia e cedro, 70 gr.); 3 fiale di millefiori; 3 fiale di fiori d’arancio; 3 bustine di vanillina; 300 gr. di grano; 60 gr. di burro o di sugna; due bicchieri di latte. Occorre mettere sul fuoco il grano già precotto (si vende in barattolo) con il burro o la sugna e farlo cuocere per circa 15 minuti (deve ritirarsi) con il latte. A parte si setaccia la ricotta e poi si aggiungono lo zucchero e le uova (4 intere e di 4 solo il tuorlo). L’impasto deve essere ben amalgamato. Poi si aggiungono gli altri ingredienti. Si possono aggiungere anche 200 gr. di crema pasticcera. Alcuni aggiungono anche una tazzina di limoncello. Alcuni preferiscono frullare il grano. La pasta frolla va stesa e riempita con l’impasto. Si possono preparare strisce per decorazione. Infornare per circa un’ora e mezza a 180-200 gradi.
Sformate la Pigna su un piatto e rivestite la superficie con la glassa, spargetevi poi sopra i confettini, gli zuccherini e i semi d'anice.
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RAVELLO 1940 Ferdinando Schiavo con due ospiti di riguardo. A destra fra Ludovico Di Nardo (1852-1942) apostolo della costiera, mentre scende dal convento di san Francesco
EVENTI
Tagaytay, 23 gennaio 2014 - seconda parte del Capitolo custodiale delle Filippine
Amantea (Cs), 26 febbraio 2014, incontro con i frati della Custodia di Calabria per il Capitolo spirituale
Maddaloni (Ce), 8 marzo 2014, Prima relazione per il Forum sul Ges첫 della storia del Prof. Clemente Sparaco