Numero 2/2013 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007
Luce Serafica Evangelizzare ci dĂ gioia
La situazione Per un’etica politica oggi economica
Francesco e il dialogo
Speciale Papa Francesco
Per amore La festa dei del mondo SS. Pietro e Paolo
Editoriale di Edoardo Scognamiglio Finestra sul mondo di Felice Autieri Il Punto di Filippo Suppa Politica-Economia di Michele Giustiniano Psicologia di Caterina Crispo Costume-Società di Carmine Vitale Dialogo di Francesco Celestino Voci di Chiesa di Boutros Naaman Orizzonte Giovani di Luca Baselice Asterischi francescani di Orlando Todisco Spiritualità di Clara Fusciello Missione di Lidia Tetta Cassano Mistica di Raffaele Di Muro Teologia di Edoardo Scognamiglio Cronca di Eduardo Anatrella Liturgia di Giuseppe Falanga Pastorale di Antonio Vetrano Arte di Paolo D’Alessandro Poesie di Silvano Forte Radio Kolbe di Angela Traficante Vocazione di Alfredo Avallone Teatro di Maria Teresa Esposito In book La Redazione Eventi La Redazione Cinema di Giuseppina Costantino Cucina di Nonna Giovannina
Evangelizzare ci dà gioia
«
E
vangelizzare, annunciare Gesù, ci dà gioia; invece, l’egoismo ci dà amarezza, tristezza, ci porta giù; evangelizzare ci porta su […]. Una Chiesa che evangelizza deve partire sempre dalla preghiera, dal chiedere, come gli Apostoli nel Cenacolo, il fuoco dello Spirito Santo. Solo il rapporto fedele e intenso con Dio permette di uscire dalle proprie chiusure e annunciare con parresia il Vangelo. Senza la preghiera il nostro agire diventa vuoto e il nostro annunciare non ha anima, e non è animato dallo Spirito» (PAPA FRANCESCO, Discorso [22-5-2013]). Il Discorso di papa Francesco è un modo molto concreto per dire che spesso noi, come singoli credenti e come comunità, ci chiudiamo in noi stessi e ci piangiamo addosso, perdendo tempo in questioni interne e mettendo da parte il proprio della nostra fede che è quello di annunciare Cristo e di testimoniarlo con la vita, infondendo coraggio e fiducia negli altri, donando speranza a chi vive accanto a noi. Parlare di Gesù umanizza il mondo e crea fiducia tra la gente e ci “de-centra”: non sono forse questi già validi motivi per annunciare il Vangelo? La Pesca miracolosa che vi presentiamo in copertina, opera dell’artista Simone Artico (www.simoneartico.it), di Portogruaro (Ve), è un’esplosione di colori e di gioia, di fiducia nella bellezza della vita e nella provvidenza del Signore che ci chiede, sempre e ovunque, di annunciare il Vangelo sulle strade del mondo e di prendere il largo (Duc in altum) sulla sua Parola. Buone vacanze a tutti. P. Edoardo Scognamiglio, Ofm Conv.
FINESTRA SUL MONDO di Felice Autieri
La rielezione di Naplitano e la situazione politica oggi
L
’attuale situazione politica italiana ci invita a riflettere sul senso o il significato di “fare politica” nel nostro paese. Molto spesso sentiamo qualcuno che ha nostalgia dei vecchi partiti politici, o “del far politica” dei tempi che furono. Sebbene la nostalgia non porti frutti significativi, dobbiamo riconoscere che quando si cerchi di leggere con attenzione i programmi politici dei candidati, spesse volte si prova una certa difficoltà a comprendere una differenza sostanziale tra i candidati delle diverse correnti politiche. Chi ha vissuto la “vecchia politica”, con tutti i suoi limiti e incoerenze, ricorderà certamente che quando si partecipava ad un dibattito politico si era certi dell’indirizzo ideologico o politico di quel candidato che era espressione di quel tipo di partito: c’era chiarezza ideologica. Il rischio di questa “politica” è che in questa confusione generale ci possa essere ampio spazio per i populisti che, a buon ragione, basandosi sui problemi reali della gente, fanno delle urla e degli slogan
un’unica chiave di lettura della realtà. E’ evidente che questo modo di far politica all’inizio può rendere degli “apparenti” vantaggi immediati, ma alla distanza risulta invece essere fallimentare. E i cattolici? Finito il sogno sostenuto da qualcuno di far “rinascere” il “centro”, in un contesto politico in cui non erano presenti le possibilità di far rinascere qualcosa, dopo la dispersione e la necessità di costruirsi un rispettoso spazio all’interno delle compagini partitiche dove vivono la propria esperienza politica, oggi arrancano nella necessità di tutelare o testimoniare quei valori ritenuti “non sindacabili”. Il richiamo del Cardinale Bagnasco poco prima delle elezioni politiche, ai politici cattolici di testimoniare e difendere il patrimonio religioso del nostro paese, ha trovato ascolto solo in chi ha realmente compreso la necessità di recuperare un patrimonio di un cattolicesimo sociale e politico che ha una sua storia di tutto rispetto. Basti ricordarne la centralità dell’uomo dei suoi bisogni vissuti in
4
un reciproco rispetto di diritti e doveri da parte dei cittadini ma anche dello Stato, ancora oggi ha una sua valenza e una sua importanza che non può essere dimenticata. La politica italiana vive un periodo di forte stagnazione, confermata dalla rielezione a Presidente della Repubblica dell’inossidabile Giorgio Napolitano che ci evidenzia una forte stagnazione che prima di essere politica e di idee e di uomini. Infatti oggi più che mai abbiamo bisogno di persone che abbiano la possibilità di portare avanti un progetto politico serio che superi ancora quegli steccati ideologici passati. C’è anche bisogno di superare una politica basata principalmente su “slogan” che sanno molto di pubblicità commerciale ma che nella realtà dei fatti non aiutano la vera politica, quella che è a servizio del bene comune e non a logiche o interessi di parte. La sfida è aperta e i prossimi mesi ci potranno dare risposte ad una serie di interrogativi che si pone il paese rispetto ai problemi reali vissuti dalla gente comune.
IL PUNTO di Filippo Suppa
La guerra civile in Siria non si ferma: appello all’ONU
A
bbiamo assistito inermi in questo anno e mezzo alla Primavera Araba dei vari paesi musulmani, uno di questi la Siria. La vecchia terra araba è attualmente un lembo di territorio afflitto da un’aspra battaglia, che dopo iniziali manifestazioni di rivolta, segno di una giusta voglia di cambiamento, negli ultimi mesi è diventata guerra civile. Da fonti certe le ultime novità dicono che i siriani hanno rilasciato armi chimiche nell’aria, ulteriore folle gesto di odio per se stessi e per gli altri, assurdo uccidere, violentare e trucidare bambini in nome della democrazia. Qualcuno deve fermare questo massacro. L’Onu deve intervenire, e procedere a controllare anche militarmente, se serve, queste zone dove sono stati violati tutti i diritti umani. Non è più ammissibile questo massacro di civili. Immagini di una crudeltà estrema fanno il giro del mondo, e, notizie di grande disperazione arrivano da tutte le parti sui social network, le varie Primavere Arabe per ora hanno solo seminato distruzione e morte, e molti di questi uomini vanno incontro alla morte abbracciandola come eroi per il sogno della conquista della democrazia, ma la vita vale di più, anche se il
sogno di libertà è sacrosanto in zone dove i popoli vivono sottomessi, violentati e uccisi da un regime totalitario che non li fa respirare. Più di un mese fa una foto straziante girava sui social, il bambino con in faccia il ritratto della disperazione perché aveva perso i genitori, rimasto solo con il piccolo fratellino in fasce, questo e altro dal fronte di guerra siriano. Violazioni di diritti umani che non ammettono un giorno in più di riflessione e ora anche il nostro giornalista disperso. Quali le ragioni del conflitto? La guerra civile siriana vede opposte le forze governative e quelle dell’opposizione, riunite nella Coalizione nazionale siriana. Inizia il 15 marzo 2011 con dimostrazioni pubbliche come una delle tante Primavere arabe sfociata in guerra civile. L’obiettivo delle lotte è spingere il presidente siriano Bashar al-Assad ad attuare la democrazia nel paese. Secondo il governo invece i rivoltosi mirano a creare uno Stato islamico radicale, dato la presenza nel Consiglio nazionale siriano dei Fratelli Musulmani e altri gruppi legati all’Arabia Saudita di Al-Qa’ida. Una vecchia legge del 1963 proibiva
5
le manifestazioni di piazza e il regime le ha soppresso con la violenza, provocando vittime tra i manifestanti e le forze di polizia. Nella primavera 2011 il governo siriano col suo esercito apre il fuoco sui civili e migliaia di siriani si sono rifugiati nei vicini Paesi, la popolazione è decimata dall'esercito e molti dissidenti vengono rinchiusi e torturati nelle carceri governative. I miliziani usano i civili come scudi umani, e puntano armi su di loro per annientare le rivolte, d’altro canto anche i ribelli sono colpevoli di abusi dei diritti umani, incluse torture, sequestri, detenzioni illecite e altre barbarie. Dall’Occidente unanime la condanna per l’uso di violenze contro i manifestanti, più volte è stato posto il veto, e risoluzioni Onu hanno condannato le azioni di Assad con sanzioni; si è creato un gruppo gli Amici della Siria, che si riuniscono periodicamente per discutere della crisi. La Lega Araba inviò nel dicembre 2011 una missione di osservatori tentando una risoluzione pacifica e un ulteriore tentativo la nomina di Khofi Annan come inviato speciale dell’Onu ma niente è cambiato. Attendiamo speranzosi la fine delle ostilità.
POLITICA-ECONOMIA di Michele Giustiniano
Una rifondazione dell’etica per il futuro di politica ed economica
P
arla il celebre sociologo francese Alain Touraine: dalle dimissioni di Ratzinger ai successi elettorali di Beppe Grillo, i segnali di una sete di rinnovamento etico L’universalismo dei diritti dell’uomo come unico strumento per restituire una dimensione etica ad un’economia ormai dominata dalla componente finanziaria e completamente scollata dalla società reale. Non è agevole sintetizzare il pensiero di Alain Touraine, uno dei più grandi sociologi viventi, che ad ottantotto anni si getta nella mischia, nell’incontro-scontro accademico, con l’entusiasmo di un giovane. Ed è di giovani che ha fatto il pieno lo studioso francese, protagonista di un’intensa tre giorni di colloqui intitolata “Crisi, movimenti, istituzioni”, che ha riempito le aule della Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione dell’Università “Sapienza” di Roma. I lavori si sono aperti con la presentazione del volume “Dopo la crisi. Una nuova società possibile”, saggio con il quale lo studioso ha offerto una lettura sociologica di tematiche abitualmente considerate di esclusiva pertinenza degli economisti. Si tratta di un’opera la cui attualità è emersa con estrema chiarezza durante gli incontri: nell’uso tourainiano, ad esempio, del
concetto di “decomposizione” di istituzioni ed attori sociali tradizionali, che costituisce una proficua chiave di lettura dei fenomeni ai quali assistiamo oggi, nel nostro Paese, stretto tra il rischio concreto di ingovernabilità – a causa del prepotente ingresso, sul palcoscenico degli attori politici, di un movimento anti-partito come il M5S – e l’evoluzione/involuzione in senso burocratico dell’istituzione ecclesiastica, prodottasi a seguito delle “dimissioni” rassegnate da Joseph Ratzinger. Proprio l’elezione di Papa Bergoglio ha fornito a Touraine l’occasione per un “prudente” (on fait pour dire) giudizio sugli avvenimenti ancora recenti: «La decisione di Ratzinger non ha avuto nulla a che fare con problemi di salute; è solo un segnale del rischio che corre la Chiesa», un rischio – che grava anche su altri attori ed istituzioni tradizionali – di “svuotamento”, di “decomposizione”, di un’organizzazione «tenuta in piedi, per lo più, dalla vitalità e dallo spirito di iniziativa della sua base». Anche in questo caso il sociologo chiama in causa questioni etiche e cioè le basi filosofico-morali, la weltanschauung, della Chiesa Cattolica, che sarebbero ormai in totale contraddizione con i percorsi della modernità. 6
Nulla di particolarmente originale, almeno fin qui. Perché in realtà, sulla sorti della Chiesa, le Cassandre di tutti i tempi sono da sempre prolifiche di profezie. Tutte puntualmente disastrose. Tutte puntualmente smentite dalla Storia. Ma la visione dell’intellettuale francese non si limita ai fatti d’Oltretevere. Il richiamo alla dimensione etica, infatti, è centrale anche nel Movimento 5 Stelle, il quale, a detta di Touraine, si autodefinisce sociale e morale, ma che tale non è, essendo preponderante in esso la dimensione politica e «disconoscendo, di fatto, le diverse componenti sociali al suo interno». Non è una deriva pessimistica quella alla quale approda il direttore degli studi dell’école parigina; parafrasando Karl Popper, possiamo dire che il futuro resta aperto: percorsi verso la modernità molteplici e frammentati – secondo Touraine – possono trovare una ricomposizione nei diritti universali. Ma siamo sicuri che gli strumenti per ricostruire le istituzioni con il “collante etico” siano proprio (e solo) in possesso della sociologia e dei sociologi? Per quanto indubbiamente fondata, la visione tourainiana, in tal senso, appare quantomeno un po’ limitata.
PSICOLOGIA di Caterina Crispo
Come elaborare un lutto in famiglia?
C
on la parola lutto (dal latino luctus, pianto, lugere, piangere ed essere in lutto) s’intende sia la reazione emozionale che si sperimenta quando perdiamo una persona significativa della nostra esistenza, sia il tempo che segue alla sua morte. Chiunque sia mancato, un figlio, un coniuge, un genitore, un fratello, un nonno, un amico, sentiamo di aver perso una parte di noi stessi e, com’è naturale, sperimentiamo un periodo di sofferenza e difficoltà. Non si può amare qualcuno e perderlo, senza sentirsi soli e deprivati del suo affetto, della sua esistenza, senza diventare vulnerabili e provare dolore. Il lutto è come una ferita, il cui processo di cicatrizzazione e di guarigione richiede tempo e fatica, un vero e proprio lavoro per poter tornare a vivere una vita sicuramente molto diversa da quella di prima e che, piano piano con il tempo, scopriremo comunque densa di valore se riusciamo a integrare la perdita nella trama della nostra vita. Chiunque ha attraversato un’esperienza così dolorosa come quella del lutto ed è riuscito ad andare avanti, sa che ci si può dare forza, scoprendo che la vulnerabilità, la disperazione, la
paura convivono in ciascuno di noi a fianco del coraggio e della determinazione a vivere. Come viene vissuto il lutto? Il lutto viene vissuto ed elaborato in tempi e modi molto personali e differenti: non esiste una maniera giusta in assoluto. Ciascuno di noi ha personalità, modi di affrontare la vita e storie passate diverse, per cui il dolore e i comportamenti saranno differenti da quelli di qualsiasi altra persona, anche degli altri membri della famiglia. Alcuni superano il lutto in breve tempo, altri lo portano nel loro cammino a ogni passo; alcuni ne risentono profondamente, altri diventano più maturi, più validi di prima: certamente tutti ne soffrono e portano il ricordo della persona scomparsa. Anche le manifestazioni del lutto sono molto diverse: alcune persone si comportano in maniera distaccata e controllata, altre piangono e si disperano rumorosamente; alcune vogliono stare da sole, altre preferiscono una compagnia costante; alcune eliminano subito dopo la morte le cose che appartenevano al defunto, altre le conservano immutate per anni; alcune
7
vanno ogni giorno al cimitero, altre lo rifuggono totalmente. Rispetto agli uomini, le donne tendono ad avere reazioni emotive più intense e riescono a parlarne con più facilità: forse proprio per questo riescono a trovare più appoggio negli altri. Spesso capita che gli uomini “facciano i forti” per aiutare se stessi e gli altri familiari. Nascondono le emozioni più intime, e per non mostrare la loro vulnerabilità, trovano mille cose per tenersi occupati ed evitare di parlare della perdita che hanno subito. Se un uomo affronta in questo modo l'esperienza del lutto, bisogna rispettarlo, ma sarebbe meglio se riuscisse a chiedere aiuto, a condividere il proprio dolore e ad aprirsi agli altri. Quali aspetti influenzano l’esperienza del lutto? Il vissuto della perdita e il processo elaborativo del lutto sono influenzati da molteplici aspetti che inevitabilmente rendono diverso il percorso di ciascuna persona. Le valenze fondamentali sono sicuramente il grado di parentela, l’intensità e la qualità della relazione durante la vita trascorsa insieme e il supporto del contesto fami-
liare e ambientale. Naturalmente le caratteristiche psicologiche personali, l’età, le modalità di risoluzione dei lutti precedenti insieme alle circostanze della malattia (lunga o breve durata, presenza di sintomi dolorosi, stato di coscienza...), le modalità del decesso (morte improvvisa o attesa, luogo, stato della salma), la pressione delle necessità quotidiane e del contesto socio-culturale costituiscono aspetti rilevanti e significativi. Come si evolve il processo di eleborazione del lutto? Ogni lutto è diverso per qualità, intensità e durata delle reazioni emozionali, ma a tutte le persone richiede tempo e un vero e proprio lavoro per elaborarlo. Ciò che accomuna tutti i lutti è la presenza di un percorso con delle fasi che, pur con una certa irregolarità, in genere si susseguono: shock iniziale, disperazione, struggimento per la perdita, espressione di sentimenti e di reazioni emotive violente, nascita di una relazione interiore con il defunto, accettazione della perdita subita, e, solo alla fine, riorganizzazione di sé senza più la presenza fisica della persona cara. La risposta iniziale alla morte è uno stato di shock che paralizza e coinvolge completamente la persona. Si è talmente scossi e disorientati che
per difendersi e sopravvivere alla perdita, si cerca di negare l'accaduto, di attutire le emozioni troppo forti per evitare la sofferenza e tenere lontano una realtà sentita insopportabile, priva di senso e portatrice in genere di significati essenzialmente negativi. Spesso può accadere che si è consapevoli razionalmente di ciò che è accaduto, ma non si riesca ad accettarlo emotivamente. Questo è un modo molto naturale per difendersi. Poi tutti gli interessi si concentrano sulla perdita e sul dolore. Il sonno, l’appetito, l’attività, la sessualità, la vita interiore e quella relazionale sono sconvolti: si può vivere un periodo più o meno lungo di abbattimento, costernazione, inibizione, astenia o iperattività paradossale e difensiva. Successivamente, quando si diventa più consapevoli della realtà della perdita, s’incomincia a esplorare il significato della privazione di quella figura per la propria esistenza. Si ripercorre la natura della relazione, guardando alla totalità della persona scomparsa, agli aspetti positivi e negativi, riconoscendo ciò che si è vissuto, condiviso e perduto e, per certe situazioni, anche tutto ciò di cui ci si è liberati, perché non sempre i rapporti sono stati semplici e soddisfacenti. In questa fase si è inondati da reazioni emotive più forti e più profonde di 8
quelle che si sperimentavano abitualmente prima del lutto: tristezza, solitudine, nostalgia, paura, disperazione, angoscia, rabbia, rancore, rimpianti e sensi di colpa con i rispettivi correlati di aggressività e depressione, che sono i compagni più frequenti e fedeli di questo periodo. C’è il rischio di rimanere imprigionati nel passato e di allontanarsi dal presente. Il dolore per la perdita subita continua sempre ad accompagnare le persone ma con il tempo cambia il rapporto con il proprio dolore, aumenta la consapevolezza e la capacità di affrontare le esperienze dolorose. Successivamente, quando inizia un allentamento del dolore, diventa possibile riscoprire le proprie risorse e funzioni vitali che permettono di procedere nel percorso di ricostruzione della propria vita e di aprirsi agli impegni, ai progetti e ai rapporti, che aiutano a riaccostarsi alla vita e alla realtà. Nelle situazioni normali, al di fuori quindi di lutti complicati e patologici, si deve pensare al lutto come a un processo che inizia, si sviluppa e si conclude: il dolore si attenua poco a poco e la vita riprende, colmando i vuoti con nuovi compiti e nuove presenze. Mentre prima sembrava che il domani non sarebbe mai venuto, quando poi finalmente viene, sembra impossibile aver sofferto e resistito così tanto.
CS O
Arriva l’estate: tutti a dieta!
Q
ualche consiglio su come seguire un corretto stile alimentare, senza farsi abbindolare dal miraggio del “magro e subito” La bella stagione è alle porte: voglia di mare, di caldo, di estate. Voglia di riporre finalmente maglioni e cappotti negli armadi e di sdraiarsi al sole a prendere la tintarella. Poi però ci si guarda allo specchio, i piccoli inestetismi che avevamo ben nascosto durante l’inverno ci sembrano un ostacolo insormontabile e l’idea di indossare un costume quasi ci terrorizza. E allora la prima idea che viene in mente è quella di mettersi a dieta, ma se i più saggi decidono di rivolgersi ad esperti nel settore, i più scelgono imprudentemente la strada del “fai da te”. Del resto, di questi tempi basta fermarsi in un’edicola per trovare tantissime riviste sulle cui copertine sono pubblicizzate miracolose cure dimagranti (del tipo: «perdi 5 kg in 30 giorni!»), enfatizzate da foto di ragazze dal fisico invidiabile. E anche il web non si fa certo trovare impreparato all’appello del “magro e subito”: i siti Internet sono pieni di consigli su come perdere peso in pochissimo tempo. Si osservano, fra le varie proposte presenti, alcuni suggerimenti davvero bizzarri: c’è chi consiglia di affidarsi alle qualità sazianti delle patate (scegliendole come unico nutrimento, perfino a colazione!), chi suggerisce di bere vodka, perché considerata meno calorica del vino, e chi pubblicizza gli effetti miracolosi della dieta del sesso, basata sull’assunto per cui una costante attività sessuale sarebbe la soluzione ideale per perdere i chili in eccesso. A chi poi vuole dimagrire senza fare troppi sacrifici, viene proposta la dieta ipnotica, “gustabile” standosene comodamente seduti sul divano ad ascoltare un dvd che, spiegandoci l’importanza di un approccio corretto all’alimentazione, dovrebbe agire sul nostro inconscio ed indurci a mangiare di meno! In realtà, se si vuole davvero perdere peso ci si deve rivolgere ad esperti, evitando di seguire diete “strampalate”, frutto di improvvisati nutrizionisti o dietologi. Un errore comune è proprio credere che una dieta letta su una rivista o trovata su Internet possa fare al caso nostro, specie se ci promette di dimagrire rapidamente. In realtà per decidere se seguire l’una o l’altra dieta, è bene ricordare che ogni organismo ha le sue caratteristiche e le sue esigenze; pro-
TUME OCIETÀ
di Carmine Vitale
prio per questo, il regime alimentare andrebbe adeguato ai gusti e ai bisogni di chi lo deve seguire. Affidarsi a diete estremamente squilibrate (o perfino a digiuni) rischia solo di creare problemi e non serve a ottenere i risultati sperati; dopo un breve periodo di tempo, infatti, è facile cedere alle tentazioni e riprendere tutti i chili che, a fatica, si erano persi. E allora la prima regola, semplice ed economica, è che per dimagrire non bisogna avere fretta: la perdita di peso deve avvenire lentamente, perché ciò che va davvero modificato non è il modo di mangiare nell’arco di un mese, ma le errate abitudini alimentari di sempre. Fermo restando che una dieta equilibrata va adeguata all’organismo di chi la deve seguire, indichiamo di seguito dei consigli generici che, seppur non avranno l’effetto miracoloso di far perdere tanti chili in poco tempo, potranno aiutare il consumatore a correggere il proprio errato stile alimentare. Un primo suggerimento per cercare di contenere la voglia di cibo è iniziare i pasti con un’abbondante insalata mista, moderatamente condita, che sostituisce il contorno, dà un senso di sazietà e fornisce importanti principi nutritivi. Per quanto riguarda il pane, sarebbe preferibile mangiare quello casereccio, mentre la pasta andrebbe alternata con minestroni che danno un senso di sazietà e forniscono all’organismo poche calorie. Chi ama i formaggi deve ridurne il consumo e preferire quelli “leggeri”, accanto a latte o yogurt scremati; la carne andrebbe invece alternata con il pesce alla griglia o lesso (come merluzzo, nasello, trota e sogliola) condito con solo limone o poco olio. È poi preferibile sostituire bibite e bevande alcoliche con acqua e, se proprio non si può fare a meno di bere vino o birra, è bene non consumarne più di due bicchieri al giorno. E per i più golosi che non riescono a rinunciare al dolce? Per loro è in arrivo una buona notizia perché anche i dolci possono essere mangiati purché non frequentemente e solo in sostituzione del primo o del secondo. Più in generale, si dovrebbe scegliere un’alimentazione varia, si dovrebbero limitare le dosi e bisognerebbe tenere sempre a mente che una vita sedentaria è nemica della linea: senza fare un po’ di moto è pressoché impossibile dimagrire. Non resta quindi che armarsi di buona volontà e affiancare ad un corretto stile alimentare del sano movimento!
9
DIALOGO di Francesco Celestino
Con Francesco d’Assisi sui sentieri del dialogo
S
e è vero che la nuova evangelizzazione è il coraggio di osare sentieri nuovi, di fronte alle mutate condizioni dentro le quali la Chiesa è chiamata a vivere oggi l’annuncio del Vangelo, ed è anche è un’azione anzitutto spirituale – ossia la capacità di fare nostri nel presente il coraggio e la forza dei primi cristiani, dei primi missionari –, allora la testimonianza viva di san Francesco e il suo carisma vissuto nelle nostre fraternità hanno ancora molto da dire al mondo e possono contribuire in misura significativa alla missione della Chiesa. 1. La “nuova evangelizzazione “Nuova evangelizzazione” è sinonimo di rilancio spirituale della vita di fede delle Chiese locali, avvio di percorsi di discernimento dei mutamenti che stanno interessando la vita cristiana nei vari contesti culturali e sociali, rilettura della memoria di fede, assunzione di nuove responsabilità e di nuove energie in vista di una proclamazione gioiosa e contagiosa del Vangelo di Gesù Cristo. La nuova evangelizzazione è, dunque, un’attitudine, uno stile audace. È la capacità, da parte del cristianesimo, di saper leggere e decifrare i nuovi scenari che in questi ultimi decenni si sono creati dentro la storia degli uomini, per abitarli e trasformarli in luoghi di testimonianza e di annuncio del Vangelo. Questi scenari sono stati individuati analiticamente e descritti più volte; si tratta di scenari sociali, culturali, economici, politici, religiosi.
Questo profondo miscuglio delle culture è lo sfondo sul quale opera un terzo scenario che va segnando in modo sempre più determinante la vita delle persone e la coscienza collettiva. Si tratta della sfida dei mezzi di comunicazione sociale, che oggi offrono enormi possibilità e rappresentano una delle grandi sfide per la Chiesa. Non c’è luogo al mondo che oggi non possa essere raggiunto e quindi non essere soggetto all’influsso della cultura mediatica e digitale che si struttura sempre più come il “luogo” della vita pubblica e della esperienza sociale. Il diffondersi di questa cultura porta con sé indubbi benefici: maggiore accesso alle informazioni, maggiore possibilità di conoscenza, di scambio, di forme nuove di solidarietà, di capacità di costruire una cultura sempre più a dimensione mondiale, rendendo i valori e i migliori sviluppi del pensiero e dell’espressione umana patrimonio di tutti. Queste potenzialità non possono però nascondere i rischi che la diffusione eccessiva di una simile cultura sta già generando. Si manifesta una profonda concentrazione egocentrica su di sé e sui soli bisogni individuali. Si afferma, così, un’esaltazione della dimensione emotiva nella strutturazione delle relazioni e dei legami sociali. Si assiste alla perdita di valore oggettivo dell’esperienza della riflessione e del pensiero, ridotta in molti casi a puro luogo di conferma del proprio sentire. Il quarto scenario che segna con i suoi mutamenti l’azione evangelizzatrice della chiesa è quello economico. La perdurante crisi economica nella quale ci troviamo segnala il problema di utilizzo di forze materiali, che fatica a trovare le regole di un mercato globale capace di tutelare una convivenza più giusta. Il quinto scenario è quello della ricerca scientifica e tecno-
2. I nuovi scenari Si possono individuare almeno sei scenari che mettono a dura prova l’annuncio del Vangelo oggi. Primo fra tutti, va indicato lo scenario culturale di sfondo. Ci troviamo in un’epoca di profonda secolarizzazione, che ha perso la capacità di ascoltare e di comprendere la parola evangelica come un messaggio vivo e vivificante. Il credente si trova spesso ad agire in un contesto di totale diffidenza nei confronti del Vangelo. Accanto a questo primo scenario culturale, ne possiamo indicare un secondo, più sociale: il grande fenomeno migratorio che spinge sempre di più le persone a lasciare il loro paese di origine e vivere in contesti urbanizzati, modificando la geografia etnica delle nostre città, delle nostre nazioni e dei nostri continenti. Da esso deriva un incontro e un mescolamento delle culture che le nostre società non conoscevano da secoli. 10
se gli infedeli avessero ricevuto le grazie date ai missionari, essi sarebbero diventati migliori di loro. L’amore e la stima non debbono venir meno né per i loro peccati né per la loro malizia, perché i frati sono destinati a liberare coloro che sono nell’errore. E «molti che ci sembrano membra del diavolo, possono un giorno diventare discepoli di Cristo» (3Comp 14,58: FF 1469). Il Poverello sapeva di “essere posseduto” dall’amore di Dio e dalla verità di Cristo che salva, e non “di essere la verità”. È questo lo stile cristiano dell’annuncio e del dialogo con il mondo e le altre religioni. I frati sono testimoni dell’Amore e della Verità che rende liberi. Essi non si sentono migliori degli altri. La Verità, poi, non s’impone: perché si rende credibile nel vissuto quotidiano dei discepoli. Una verità che avesse bisogno d’essere dimostrata sarebbe solo una “mezza verità”. La Verità che ci conquista – forma storica dell’Amore, suo volto – ci rende pieni di zelo per gli uomini e le donne del nostro tempo e ci accende il cuore fino a quando tutti i popoli della terra non conosceranno il Cristo, Signore del tempo e della storia. Francesco si sentiva posseduto da una Verità più grande delle sue stesse forze, della sua parola, della sua stessa fede e del suo medesimo amore verso Cristo e i fratelli. Vi è, allora, un’insopprimibile tensione missionaria che distingue e qualifica la vita dei frati. Chi ama Dio, Padre di tutti, non può non amare i suoi simili, nei quali riconosce altrettanti fratelli e sorelle. Proprio per questo egli non può restare indifferente di fronte alla costatazione che molti di loro non conoscono la piena manifestazione dell’amore di Dio in Cristo. Nasce di qui, in obbedienza al mandato di Cristo, lo slancio missionario ad gentes, che ogni cristiano consapevole condivide con la Chiesa, per sua natura missionaria. È slancio avvertito soprattutto dai membri degli Istituti sia di vita contemplativa che di vita attiva. Le persone consacrate, infatti, hanno il compito di rendere presente anche tra i non cristiani il Cristo casto, povero, obbediente, orante e missionario. Restando dinamicamente fedeli al loro carisma, esse, in virtù della più intima consacrazione a Dio, non possono non sentirsi coinvolte in una speciale collaborazione con l’attività missionaria della Chiesa. Lo slancio missionario è nel cuore di ciascun frate. Francesco vuole che tutti i frati – e non solo quelli che per ispirazione divina chiedono di andare in missione o presso i saraceni – predichino con le opere. Egli riconosce alla comunità francescana la capacità d’animare gli spazi della missione con la diversità di doni, carismi e ministeri per l’edificazione della Chiesa e l’annuncio senza limiti del Vangelo. È importante, però, che nessun ministro o predicatore consideri sua proprietà il ministero dei frati o l’ufficio della predicazione. Guardandosi dalla superbia e dallo spirito della carne, ogni frate è portatore della “buona novella” per la diffusione della pace nel mondo, agendo così per l’azione dello Spirito Santo.
logica. Viviamo in un’epoca che non si è ancora ripresa dalla meraviglia suscitata dai continui traguardi che la ricerca in questi campi ha saputo superare. Tutti possiamo sperimentare nella vita quotidiana i benefici arrecati da questi progressi. Tutti siamo sempre più dipendenti da questi benefici. La scienza e la tecnologia corrono così il rischio di diventare i nuovi idoli del presente. Il sesto scenario è quello politico. È giunta la fine della divisione del mondo occidentale in due blocchi con la crisi dell’ideologia comunista. Ciò ha favorito la libertà religiosa e la possibilità di riorganizzazione delle Chiese storiche. L’emergere sulla scena mondiale di nuovi attori economici, politici e religiosi, come il mondo islamico, mondo asiatico, ha creato una situazione inedita e totalmente sconosciuta, ricca di potenzialità, ma anche piena di rischi e di nuove tentazioni di dominio e di potere. In questo scenario, l’impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli; il miglioramento delle forme di governo mondiale e nazionale; la costruzione di forme possibili di ascolto, convivenza, dialogo e collaborazione tra le diverse culture e religioni; la custodia dei diritti dell’uomo e dei popoli, soprattutto delle minoranze; la promozione dei più deboli; la salvaguardia del creato e l’impegno per il futuro del nostro pianeta, sono tutti temi e settori da illuminare con la luce del Vangelo. 3. La testimonianza di san Francesco Francesco volle formare i suoi frati alla missione per un dialogo sereno e sincero con il mondo e le altre religioni. Egli raccomandava loro d’amare e di stimare gli infedeli (non solo i saraceni, ma ogni pagano, qualsiasi persona non battezzata) e di non credersi affatto migliori di loro, poiché
11
VOCI DI CHIESA di Boutros Naaman
Papa Francesco e la missione della Chiesa
P
roviamo a riflettere assieme sulla novità apportata da papa Francesco, un uomo scelto dalla fine del mondo che sembra, attraverso piccoli gesti quotidiani, voler operare veramente la riforma della Chiesa e della stessa Curia romana, ponendo soprattutto attenzione ai poveri e impegnandosi giorno per giorno con uno stile di vita sobrio e veramente francescano. 1. La novità: un gesuita francescano Sicuramente, la scelta del nome Francesco da parte di mons. Bergoglio ha interrotto la linea di Benedetto XVI che era più propenso a un cristianesimo mistico e di tradizione benedettina. Le motivazioni di questa scelta: chiesa povera, chiesa che lavora per la pace, guardare al creato. Il cambio di registro è dato pure dal motto. Per Benedetto XVI era Cooperatore della verità. Papa Francesco pone attenzione al tema della misericordia. C’è tra i due modus agendi dei papi un rapporto di continuità nella discontinuità. Continuità perché entrambi sono al servizio dell’unità della Chiesa, discontinuità perché cambiano le personali prospettive di governo e di pensiero. Da subito, papa Francesco ha messo in evidenza due 12
aspetti della Chiesa: popolo di Dio (che ha un significato decisamente biblico e storico) e sposa di Cristo (più mistico). Ratzinger si è soffermato sul genitivo “Chiesa di Dio” e sul termine “comunione” (inteso soprattutto gerarchicamente, cioè in senso sacramentale). I tre temi fondamentali di Ratzinger nel suo pontificato sono stati: la verità (identità del Cristianesimo nei confronti del relativismo); il logos nel dialogo tra fede e ragione; il pericolo del relativismo e la modernità 2. Riformare se stessi per cambiare la Chiesa Papa Francesco è apparso, dai suoi primi incontri ufficiali, un uomo spontaneo, semplice, immediato, riconciliato. Nella breve visita a Santa Maria Maggiore, il neo eletto pontefice ha esortato i confessori ad essere misericordiosi, a diventare cioè strumento di pace e di riconciliazione. È proprio di questo che il mondo ha bisogno: di uomini e donne riconciliati che sanno trasmettere l’amore e il perdono di Dio. Il sogno di san Francesco, di riparare la Chiesa di Cristo, non restò lettera morta, né fu stigmatizzato come chimera: si realizzò giorno per girono nel suo personale percorso di
13
vita, convertendo se stesso, assumendo sempre di più la forma del Vangelo, cioè di Gesù Cristo. Credo che questo sia anche il sogno di papa Francesco: riformare la Chiesa a partire dalla propria vita. Solo così, infatti, sarà possibile la nuova evangelizzazione oggi. Francesco d’Assisi è ricordato, nella storia del cristianesimo, non solo come il santo che più assomiglia a Cristo – come l’alter Christus – ma anche come l’unico dei testimoni del Vangelo che, nel Medioevo, inaugurò la terza via, quella del dialogo, dell’accoglienza dell’altro, della pace. Infatti, accanto alla prima via, quella delle crociate, del rifiuto dell’altro, se ne affermò subito una seconda: quella dell’isolamento e del distacco dallo straniero, soprattutto dal mondo musulmano.
Il Poverello provò a portare il dono della pace anche tra i saraceni, senza rinunciare alla forza del Vangelo e alla sua identità, avvalendosi semplicemente del saluto di pace. Credo che papa Francesco seguirà questa terza via e farà del dialogo, dell’amicizia fraterna e della fedeltà al Vangelo il suo stile di vita. Lo dimostrano il suo saper stare tra la gente, gli ottimi rapporti che ha curato con il mondo ebraico, la vicinanza ai poveri, la sobrietà nel vestire, l’attenzione nei confronti della modernità e la sua sensibilità per la pietà popolare. Papa Francesco è abituato a viaggiare in metrò, a usare tram e autobus come la gente comune, ama lo sport e sa pure ballare il tango. È un uomo semplice. La sobrietà del suo stile di vita non può non metterci in crisi e favorire, finalmente, 14
sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!» (papa Francesco, Omelia per l’inizio del suo ministero petrino [19-3-2013]). È sufficiente rileggere questo stralcio di omelia di papa Francesco per riconoscere in lui i segni del carisma francescano: la “vocazione del custodire”. Nel gioco drammatico della salvezza – avvenuta con la morte e risurrezione del Verbo fatto carne, figlio di Dio e dell’uomo – c’è spazio pure per i corpi e il mondo. Il francescanesimo non professa, come d’altronde non lo fa il cristianesimo, la semplice e riduttiva salvezza delle anime. No. Noi crediamo nella risurrezione della carne. È la fede della Chiesa! Papa Francesco, nel suo riferimento alla “vocazione del custodire”, ci invita a riscoprire il tema dell’ecologia e della salvaguardia del creato. Il mondo che noi abitiamo, le città che noi viviamo, sono destinati alla salvezza, all’incontro con Dio. 4. Il tema della misericordia Nell’Omelia tenuta per la V Domenica di Quaresima nella Chiesa di S. Anna, in Vaticano, papa Francesco, commentando l’atteggiamento di Gesù nei confronti dell’adultera, ha parlato della misericordia come del messaggio forte del Signore. È un tema che riaffiora continuamente negli scritti, nei discorsi e nelle omelie di papa Francesco. Infatti, nella visita breve a Santa Maria Maggiore, chiese ai penitenziari di usare misericordia, di essere cioè strumenti di riconciliazione tra Dio e gli uomini. Solo la misericordia di Dio può cambiare il mondo e accendere di amore i nostri cuori. Il problema, ha affermato papa Francesco nell’Angelus del 17 marzo scorso, è che noi ci stanchiamo di chiedere il perdono, mentre Dio non si stanca di perdonare. Se è vero che Dio è Padre misericordioso che perdona tutto, noi non dobbiamo stancarci di chiedere il suo perdono. Il riferimento al perdono è tornato pure nell’omelia della notte di Pasqua. Papa Francesco ha affermato: «Fratelli e sorelle, non chiudiamoci alla novità che Dio vuole portare nella nostra vita! Siamo spesso stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela. Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai: non
quel processo di purificazione delle nostre stesse strutture curiali e religiose, nonché di certi modi di pensare nella Chiesa, che spesso ci appesantiscono e ci allontanano dalla gente comune. 3. La “vocazione del custodire” «La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso
15
ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui» (n.1). Nel Messaggio urbi et orbi, per il giorno di Pasqua, è ritornato pure il tema della misericordia: «Ha vinto l’amore, ha vinto la misericordia! Sempre vince la misericordia di Dio!». Il tema del perdono – che non è buonismo o pacifismo a oltranza – mi fa pensare, immediatamente, alla Lettera che san Francesco scrisse a un Ministro al quale chiese di far sì che nessun frate andasse via da lui senza avere il suo perdono e, addirittura, di perdonarlo anche se egli non volesse essere perdonato. Si tratta di vivere il Vangelo sine glossa, ossia di capire che la Verità – in questo caso il prendere atto del proprio peccato o limite – non è il fine delle nostre relazioni, bensì solamente lo strumento (il mezzo) attraverso cui raggiungere un obiettivo più grande che è il perdono o la riconciliazione fraterna. È questa la novità del cristianesimo che per troppo tempo abbiamo rinnegato o messo da parte. L’essere cooperatori di verità è importante nella misura in cui operiamo come strumento di pace e di riconciliazione! D’altronde, la Chiesa esiste solo per questo: per riconciliare gli uomini e le donne di ogni tempo, per offrire la buona notizia della morte e della risurrezione di Cristo, il Figlio di Dio, a tutto il mondo! Papa Francesco vuole, come il Poverello, riformare se stesso per cambiare la Chiesa di Cristo che da subito l’ha presentata con due immagini molto significative (popolo di Dio e sposa di Cristo) per sgombrare il campo dall’idea che essa fosse una semplice Ong.
fede e della carità. Non dobbiamo dimenticarlo, anche se in questo momento è per noi semplicissimo e automatico percepirne le differenze di stile, di linguaggio, di approccio al ministero, del modo stesso di celebrare e di rapportarsi al mondo e alla stessa gerarchia e ai fedeli dell’unica Chiesa cattolica. Io credo, sinceramente, che il pontificato di Benedetto XVI e quello di papa Francesco ci aiutano a capire che, nel concetto stesso di cattolicità, si nasconde - o meglio è contenuto - il principio stesso della diversità. Mi spiego: la Chiesa cattolica è sempre una Chiesa di Chiese. Ci sono modi di celebrare la fede, di vivere il Vangelo,
5. Siamo fratelli Che cosa si saranno mai raccontati papa Francesco e Benedetto XVI nello storico incontro a Castelgandolfo? Il colloquio privato tra i due presuli è durato circa 45 minuti. Benedetto XVI voleva che papa Francesco si sedesse sull’inginocchiatoio d’onore, preparato apposta per lui, ma Bergoglio ha voluto che si sedessero insieme sul medesimo banco a pregare. Già, a pregare. Mentre tutto il mondo freme per conoscere il contenuto di quell’incontro fraterno e “cicaleggia” sull’abbigliamento dei due anziani, Francesco e Benedetto XVI si sono fermati a dialogare con Dio, per ritrovarsi assieme anzitutto come credenti e discepoli del Signore. La fede in Cristo è ciò che li unisce se pur nel modo diverso di rapportarsi al mondo e nonostante le differenze dei rispettivi stili di vita. Papa Francesco e Benedetto XVI sono come due fratelli legati per sempre al Signore da un vincolo fortissimo, quello della
16
di rapportarsi al mondo e di dialogare tra i fedeli che cambiano di Paese in Paese, secondo tradizioni ben consolidate nella storia. Ne sono una prova vivente gli stessi riti presenti nella Chiesa cattolica. Il termine “cattolico” è alquanto complesso: contiene in sé tanti significati. E, per sfatare un luogo comune, non significa principalmente “universale”, bensì “unione secondo il tutto”, ossia “unione di fede e di carità”. Anticamente, siamo già nel II secolo d.C., si definiva cattolica quella comunità che, facendo esperienza di comunione (di fede e di carità) celebrava assieme a tutti i fedeli l’Eucaristia attorno al proprio Vescovo.
17
Dunque, papa Francesco e Benedetto XVI esprimono due modi diversi - ma non in contrasto - di essere cattolici. Il primo è l’espressione di una Chiesa maggiormente estroversa - quella dell’America Latina -; il secondo, invece, di una Chiesa sopratutta eurocentrica, alquanto introversa. Tuttavia, entrambi sono fratelli nel Signore e hanno ricevuto un grande ministero: quello di servire Dio attraverso il cammino di unità (di fede e di amore) nella Chiesa di Cristo. Dunque, entrambi sono cattolici, pur esprimendosi con gesti, linguaggi, simboli e approcci diversi.
6. La sfida della nuova evangelizzazione La sfida della nuova evangelizzazione è, secondo papa Francesco, così come ha affermato nell’udienza dello scorso 27 marzo, «entrare nella logica del Vangelo. Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un “uscire”, uscire. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi… La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie - che pena tante parrocchie chiuse! - dei movimenti, delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre! E questo con amore e con la tenerezza di Dio, nel rispetto e nella pazienza, sapendo che noi mettiamo le nostre mani, i nostri piedi, il nostro cuore, ma poi è Dio che li guida e rende feconda ogni nostra azione».
celebrazione dell’Eucaristia nella Cappella della Domus Sanctae Marthae, in Vaticano. Il papa ha parlato dei “cristiani tiepidi”: «sono quelli che vogliono costruire una Chiesa a propria misura, ma non è la Chiesa di Gesù». Questi cristiani «non si consolidano nella Chiesa, non camminano alla presenza di Dio, non hanno il conforto dello Spirito Santo, non fanno crescere la Chiesa». Sono «cristiani di buon senso, soltanto: prendono le distanze. Cristiani – per così dire – “satelliti”, che hanno una piccola Chiesa, a propria misura: per dirlo proprio con le parole di Gesù nell’Apocalisse, “cristiani tiepidi”. La tiepidezza che viene nella Chiesa […]. Camminano soltanto alla presenza del proprio buon senso, del senso comune […], quella prudenza mondana: questa è una tentazione proprio di prudenza mondana». Poi il papa ha parlato dei tanti cristiani «che in questo momento danno testimonianza del nome di Gesù, anche fino al martirio». Questi non sono “cristiani satelliti”, perché «vanno con Gesù, sulla strada di Gesù». Questi cristiani «sanno perfettamente quello che Pietro dice al Signore, quando il Signore gli fa la domanda: “Anche voi volete andare, essere “cristiani satelliti?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Così da un gruppo grande diventa un gruppo un po’ più piccolo, ma di quelli che sanno perfettamente che non possono andare da un’altra parte, perché soltanto Lui, il Signore, ha parole di vita eterna». Il criterio di distinzione tra i “cristiani satelliti” e i “veri discepoli” è la croce: chi si lascia guidare, fino al dono totale di sé, perdendo la vita, è
7. I cristiani tiepidi e quelli veri Danno molto a pensare le brevi parole che papa Francesco ha pronunciato sabato 20 aprile 2013 durante la
18
autenticamente cristiano; chi, invece, vuole che tutto giri attorno a sé, o comunque tende a risparmiarsi, anche nella fede e nella carità, non può ritenersi un vero discepolo, ma è come un satellite che si stabilisce su una rotta (orbita) e si assicura un piccolo giro, senza mai mettersi in discussione o provare a dare di più. Una fede tiepida e una carità vissuta ai margini della propria esistenza, fanno di noi tutti una piccola Chiesa, troppo modesta e fredda per essere il corpo del Signore! La tiepidezza la si vince con lo slancio dell’amore verso i fratelli, con la carità vissuta nei confronti di chi non ha niente, lasciandosi guidare da quella gioia del cuore che è frutto dello Spirito del Signore risorto. Dio ama, infatti, chi dona con gioia. Essere autentici discepoli di Gesù significa, allora, vincere ogni paura e resistenza per donarsi completamente a servizio dei fratelli per la causa del Regno. Ci dobbiamo liberare da una visione di Chiesa addomesticata, come altresì da un cristianesimo borghese, da una fede che non riesce a incarnarsi nella storia e ad agire concretamente per aiutare i più poveri.
cosa deve fare un cristiano? Deve vivere il Vangelo come buona notizia per sé e per gli altri, ossia annunciare la gioia di appartenere a Cristo giorno per giorno nella propria vita. Ma quali sono i grandi ideali per cui vale la pena giocarsi la vita? Beh, anzitutto, l’Amore: quello con la A maiuscola, ossia che ci è testimoniato nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. In tal senso, Dio veramente è grande e ci ama: perché ci ha donato il suo Figlio unigenito. L’Amore con la A maiuscola è Agape, ossia dono di sé per l’altro, dono gratuito, libero, che non si attende niente in cambio. Giocare la vita per i grandi ideali significa, altresì, riconoscere che senza Cristo – presente nell’Eucaristia – noi non possiamo vivere e che, quindi, siamo disposti a morire per lui, per stare con lui, per non distaccarci dal suo corpo. Ancora, si gioca la vita per i grandi ideali nel momento in cui si portano avanti i progetti intrapresi: la famiglia, il matrimonio, l’educazione dei figli, la solidarietà verso gli ultimi, la carità vissuta con i poveri, la lotta al male, la denuncia delle ingiustizie… Tutto questo, ci ricorda papa Francesco, lo possiamo vivere, essere, pensare e fare se abbiamo in noi la forza dello Spirito Santo, il grande protagonista della Pasqua. Lo Spirito, infatti, è colui che trasforma le nostre zone d’ombra, i nostri comportamenti che non sono secondo Dio e lava i nostri peccati. Il Soffio di vita è colui che ci sostiene nelle tribolazioni e ci dona la vera gioia del cuore: essere sempre con il Signore!
8. Giocare la vita per grandi ideali «Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali, giovani!». Le parole di papa Francesco pronunciate durante la celebrazione dell’Eucaristia, lo scorso 10 maggio – in cui ha amministrato il sacramento della Cresima a molti giovani – ci inducono a un risveglio spirituale, alla presa di coscienza del nostro statuto di battezzati. Che
19
ORIZZONTE GIOVANI di Luca Baselice
«... e il vostro frutto rimanga»
(Gv 15,1-17)
D
opo la festa regionale del 1 Maggio, che ci ha visti concludere in molti, l’anno fraterno a Caserta, abbiamo vissuto l’evento del Capitolo elettivo della Gioventù Francescana di Campania e Basilicata, esattamente, dal 10 al 12 Maggio, presso “l’Oasi Maria della Pace” di Benevento, dove è iniziata, una nuova storia nel cammino di fede di questi giovani. Ci siamo ritrovati a condividere un pezzo di storia che ha segnato l’unitarietà dell’esperienza della Gioventù francescana di Campania e Basilicata. La gioia e la serenità di essere costruttori di pace e di bene, ha segnato la positività di questi giorni. Anche noi assistenti, ci siamo sentiti parte di quella gioia che i giovani ci hanno trasmesso. Certo un po di tristezza si è fatta sentire, soprattutto, quando abbiamo dovuto salutare il Consiglio regionale uscente. Ma il loro volto e il loro impegno a servizio dei giovani, si è impresso vivo nel nostro cuore. A loro va la nostra gratitudine per l’impegno e per la vita offerta a servizio di grandi ideali francescani, come l’amore e la pace che uniscono e non dividono. Al presidente uscente, Igino Tomasetta e alla vice presidente uscente Maria Felicia della Valle, va il sentito e affettuoso ringraziamento da parte di tutti i frati assistenti regionali. Hanno saputo guidare una fraternità regionale, con gioia e con il desiderio di volere per questa, il Bene Grande e
Assoluto, quel Dio di Gesù Cristo che vive in ogni scelta, e che è l’opzione fondamentale della vita cristiana. Formatori ed educatori di una gioventù che guarda a grandi valori e ideali. Grazie di cuore per quello che siete stati per tutti i giovani, ma soprattutto per noi frati, nel delicato compito di assistervi spiritualmente. Ma anche il nuovo Consiglio Regionale, promette bene! Sono giovani pieni di gioia e di entusiasmo, desiderosi di mettere a disposizione dell’intera fraternità regionale, la loro vita e il loro cuore. Li accompagniamo con la nostra fraterna preghiera. Che Dio benedica il loro entusiasmo e le loro giovani vite e dia loro tanta carica interiore per donare gioia e speranza, laddove c’è tristezza e disperazione. Nel guardarli però, non posso che ringraziare il Signore per questi anni che ho vissuto a loro servizio, facendo esperienza di com’è bello stare con loro. Ho vissuto con loro empaticamente le fasi più belle della loro crescita umana e spirituale, guardandoli da lontano e facendo capire loro, senza impormi, che io c’ero. Credo che questa esperienza, non soltanto ha aperto il mio cuore al confronto con i giovani, ma sia stato un ulteriore passo che mi ha fatto crescere nel ministero sacerdotale. Stare con i giovani, fa crescere nella solidarietà e nella paternità e arricchisce il cuore di carità e speranza. Che il Signore, benedica tutti loro e li faccia ancora essere, testimoni di pace e di bene nel mondo.
20
ASTERISCHI FRANCESCANI
Modo d’essere francescano con papa Francesco
di Orlando Todisco
N
oi viviamo donando, senza rendercene conto, nel senso che doniamo senza portarne il conto. Si pensi a ciò che accade in famiglia, dove prevale il dono sullo scambio, come nella sfera amicale o in altri ambiti, dove la logica economica del ‘do ut des’ è appena sfiorata. Il prototipo da tener presente è il doppio gioco che ha luogo all’interno di ognuno di noi, e cioè del padrone nel servo e del servo nel padrone, del suddito nel legislatore e del legislatore nel suddito. Questa ambiguità è preziosa. Come svilupparla nei rapporti quotidiani? Intesa come anima della necessità, la gratuità comporta che ciò che si fa, e non si può non fare, venga fatto come se si trattasse di ciò che vogliamo fare, con sensibilità oblativa, in maniera che sia espressione del compito che siamo chiamati a svolgere e insieme sia segno della nostra libertà creativa. Il dono anima dello scambio: ecco il compendio di tutte le ambiguità. Più che mescolare due logiche – quella del dono e quella dello scambio - l’una è posta a nutrimento dell’altra. Il che comporta un innalzamento del rapporto, grazie al rispetto della pluridimensionalità dell’essere e del con-vivere. È ovvio che l’accento cada sulla logica del dono, capace di dare un tono singolare alla logica dello scambio ridimensionandone il ruolo, senza indebolirne il rigore. Si tratta di far cadere il presupposto, davvero deleterio, secondo cui il cittadino è un proprietario-produttore-consumatore e dunque oggetto o merce. Per il francescano ogni uomo è civis regni futuri, erede della città di Dio. Si vada, a mò di esempio, alla Lettera a Diogneto, secondo cui occorre vivere nelle città ma senza chiudersi in alcuna, con la chiara allusione a una fonte che tiene insieme dignità e provvisorietà; o si rilegga la Regola di san Francesco ove si dice che occorre vivere come forestieri e pellegrini, dando senza imporre, sempre in punta di piedi. È subdola e diffusa la tentazione di recintare la verità o di perimetrarne il contenuto, per il gusto di imporla e di sentirsi suoi servitori. In quest’ottica il cittadino perché non sia subditus, ma auctor civitatis, non però padrone o despota, quale prospettiva deve salvaguardare? perché non si ritrovi “cosa” da barattare o pedina da manovrare, sotto la maschera di un appa-
rente protagonismo, di quale città deve dirsi cittadino? La risposta: deve riscoprirsi cittadino della civitas Dei, alla cui luce assumere un atteggiamento non dominatorio, ma oblativo, di servizio, non di possesso, impegnato a tenere aperto l’orizzonte, perché la voce di tutti giunga lontano. In fondo, si tratta di rivivere il Cantico di Frate Sole. Prima che di Francesco, quel cantico è delle creature, che si dicono felici di essere, assieme alle quali e attraverso le quali il poverello di Assisi alza al cielo la loro voce. La difficoltà di condividere tale prospettiva la si percepisce rilevando che l’Alleanza di Dio con il popolo d’Israele è stata per lo più intesa nei termini dello scambio o del ‘do ut des’, in una sorta di sacro mercato. Che al centro della Storia della salvezza ci sia la Croce è sintomatico della difficoltà di fare spazio alla verità come forma espressiva della gratuità, quale anima coesiva della comunità, il cui culmine sta nell’amore, finanche dei nemici. Dove riporre il motivo ultimo di tutto ciò se non nella difficoltà a condividere l’idea che l’essere è dono da donare, senza timore e pregiudizi? che lo scambio non deve mortificare il dono ma rivestirlo, moltiplicarlo, senza appiattirlo? Non poche teologie della redenzione sono rimaste vittime della logica della vita commerciale, quasi che la logica del dono sia estranea alla logica del pensare e il carattere gratuito del comportamento non trascenda, ma violi il comportamento razionale. È improcrastinabile mescolare la logica dello scambio con la logica del dono, con l’obiettivo di commerciare donando e di donare commerciando. Trasformare la merce in dono: ecco il sogno di elevazione sociale di papa Francesco. Merce e dono insieme e a un tempo. È preziosa, e impegnativa, la lezione francescana di papa Francesco, perché impone una sorta di ripensamento dell’indole dell’essere, non più diritto da rivendicare, ma dono da donare nello scambio, ma con il garbo del gran signore. È la via che fa del fidelis un civis, e cioè il testimone di uno stile di vita, secondo cui non è vero che il profitto è la principale ragione per la quale valga la pena di vivere.
21
SPIRITUALITÀ di Clara Fusciello
L’anima fedele... «
S
tringiti alla sua dolcissima Madre, che generò un figlio tale che i cieli non potevano contenere, eppure lei lo raccolse nel piccolo chiostro del suo sacro seno e lo portò nel suo grembo di ragazza. Chi non avrebbe in orrore le insidie del nemico dell’uomo, che attraverso il fasto di beni momentanei e glorie fallaci tenta di ridurre a nulla ciò che è più grande del cielo? Ecco, è ormai chiaro che per la grazia di Dio la più degna tra le creature, l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo, poiché i cieli con tutte le altre creature non possono contenere il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora e sede, e ciò soltanto grazie alla carità di cui gli empi sono privi, come afferma la Verità stessa: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui. Come dunque la gloriosa Vergine delle vergini lo portò materialmente, così anche tu, seguendo le sue orme, specialmente quelle di umiltà e povertà, senza alcun dubbio lo puoi sempre portare spiritualmente nel tuo corpo casto e ver-
ginale, contenendo colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute, possedendo ciò che si possiede più saldamente rispetto agli altri possessi transitori di questo mondo» (3LAg 1824; FF 2890-2893). Le parole di Chiara si commentano da sé in questo passo, uno dei più belli del suo epistolario, quattro lettere, forse le superstiti di un carteggio più ampio e tutte indirizzate ad Agnese di Boemia. È l’unico epistolario del medioevo fra due donne. Agnese, lo ricordiamo brevemente, aveva fondato a Praga un monastero secondo le indicazioni di Gregorio IX. Successivamente entra in contatto con Chiara, desiderosa di vivere anche lei la vita evangelico-francescana. Nelle lettere Chiara trasmette ad Agnese i motivi della propria forma di vita e così ci offre uno squarcio della sua esperienza spirituale, della dinamica di fondo che sostenne ogni sua scelta. Il brano che abbiamo riportato è un punto culminante della visione che Chiara ha della dinamica della fede. Le due citazioni (1Re 8,27 e Gv 14,23) orientano la nostra lettura in direzione eucaristica. La prima, infatti, si riferisce alla preghiera che Salomone pronuncia davanti all’altare del tempio per la sua consacrazione: «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!». Dio che abita un luogo inaccessibile si rende accessibile all’uomo. La citazione dal vangelo di Giovanni è essa stessa di chiaro contesto eucaristico, appartenendo ai discorsi pronunciati da Gesù nel cenacolo: l’uomo diventa tempio di Dio grazie all’amore. E poi abbiamo l’avverbio “spiritualmente”: spiritualmente, afferma Chiara, tu lo potrai portare sempre. L’avverbio non va ridotto a quel qualcosa di immateriale e forse un po’ aleatorio che ha per noi. 22
Per il medioevo e soprattutto per Francesco aveva un valore consistente connesso allo Spirito Santo. In questo “spiritualmente” mi sembra di vedere adombrato l’evento sacramentale che permette a ciascuno di noi di portare “corporalmente” il Figlio dell’Altissimo diventandone dimora e sede. Come accade questo? «Seguendo le sue orme»: cioè battendo la stessa strada che fu di Gesù. È l’eucarestia! È il Vangelo, che per Chiara come per Francesco, non è pensabile fuori dal momento celebrativo – nel medioevo non avevano le nostre comode bibbie e il contatto con la Scrittura avveniva attraverso la liturgia. È lo specchio in cui ogni giorno portare lo sguardo interiore per conformare la nostra vita a quella di Gesù. Per Chiara la contemplazione è sempre volta alla carità, al santo operare che mostra nel servizio ai fratelli la verità dell’amore che ci abita. Dal Processo di Canonizzazione conosciamo le parole di Chiara dopo la comunione pochi giorni prima della morte: «tanto benefizio me ha dato oggi Iddio, che el cielo e la terra non gli si potrebbero pareggiare» (PCan 9,10; FF 3068). Ricevere il corpo del Signore è ritenuto da Chiara un beneficio imparagonabile al dono dell’intera creazione. Che cosa è più grande del cielo se non poter contenere Colui dal quale l’anima e tutte le cose sono contenute? Accostiamoci, dunque, con fede alla celebrazione eucaristica, sapendo che essa è memoriale della pasqua di Gesù, l’inestimabile dono che egli ha fatto di se stesso per noi, pronti a fare lo stesso per i fratelli, con la gioia d’essere abitati da Lui! Così ha fatto Chiara e l’iconografia ha colto questa verità condensando nel simbolo liturgicoeucaristico dell’ostensorio una vita consumata nel rendimento di grazie a beneficio di tutta la chiesa.
MISSIONE di Lidia Tetta Cassano
La mia India
N
el mio quinto viaggio in India ho avuto la gioia d’incontrare i miei bambini… Sono partita ai primi di dicembre del 2012 e ritornata a fine gennaio 2013. È stato questo il mio periodo di permanenza più lungo in India. Nella prima settimana mi sono fermata al seminario minore di Nirmalaram Ashram, condividendo esperienze di lavoro e momenti di svago assieme a quaranta ragazzi entusiasti di iniziare il cammino vocazionale francescano tra i Frati Minori Conventuali. Ho vissuto quindi un Natale pieno di gioia ed emozione per le preghiere e il rito che è diverso dal nostro. C’è stato poi l’Ordinazione Sacerdotale di cinque chierici, tra cui un mio figlio spirituale: Patrick. È stata una grande gioia sostenerlo negli studi e vederlo ora insieme con la sua famiglia sacerdote felice. Mi sono recata poi al centro di Coimbathur da altri miei bambini che li ho trovati ora grandi uomini e signorine. Assieme abbiamo trascorso dei giorni bellissimi a disegnare e giocare. Ho visitato poi il noviziato e prenoviziato insegnando ai ragazzi anche un po’ di italiano. Ripreso l’aereo mi sono recata nello Stato di Andhra Pradesh, nel paese Dondapodi dove i frati hanno un ostello e ospitano circa quaranta bambini offrendo un piatto di riso, e la possibilità di studiare. Tutti si ricordavano di me e in particolare un bambino di nome Teja che mi donava un grande amore standomi sempre vicina. Terminata la mia permanenza i bimbi erano tutti attorno a me per salutarmi, mancava il mio piccolo Teja. Ho alzato lo sguardo e l’ho visto arrivare poco dopo con un grosso fiatone e stringendo tra le mani una bustina tra-
23
sparente con due piccoli mandarini per me. L’emozione mi ha preso e l’ho abbracciato non nascondendo le mie lacrime. Il giorno seguente ho visitato un piccolo villaggio a Christianpet. E anche qui sono stata accolta con grande gioia dai giovani dell’Ofs, dai bambini e dagli adulti. Abbiamo celebrato la Santa Eucarestia in un piccolo spazio dato da una famiglia. I frati, avendo un progetto di costruire una piccola chiesa, mi hanno chiesto un aiuto. E la Provvidenza divina non si è fatta attendere…grazie alla fondazione Insieme per…di Melfi (PZ), che si è resa disponibile a darci una mano. Gli ultimi giorni del mio soggiorno in India li ho trascorsi al seminario maggiore Kolbe Franciscan Ashram Aluva. Questo è un luogo dove è passato proprio san Massimiliano Maria Kolbe. Qui ho incontrato con grande gioia i miei macchalen (figli) negli spazi liberi e ho cucinato per tutti loro delle pizze napoletane al pomodoro e peperoncino, e altre con cipolle. Ringrazio il Signore per questa bellissima esperienza missionaria che mi ha fatto sperimentare la Sua presenza e mi ha fatto capire che nel donare si riceve molto ma molto di più.
MISTICA di Raffaele Di Muro
La vita nuova in Cristo
T
alvolta l’uomo vive la realtà del peccato e della lontananza da Dio. L’inganno sta nel fatto che alla base dell’errore vi è la certezza di compiere il bene. Ad esempio, Saulo si dedica alla persecuzione dei cristiani ritenendo di fare una cosa giusta ed opportuna. Egli sperimenta quanto anche noi possiamo vivere. I nostri peccati sono determinati proprio dal fatto che essi paiono ai nostri occhi come cose buone, da realizzarsi al più presto. In molte occasioni non ci rendiamo conto che si tratta di una trappola che talvolta non riusciamo ad individuare. Può capitare di allontanarsi dall’amore di Dio ritenendo di fare una cosa giusta. Ad esempio, quando ingaggiamo fiere battaglie con i nostri fratelli con la convinzione di essere i detentori della verità in realtà talvolta determiniamo profondi strappi con il nostro prossimo. Quando non prego e mi dico: «A cosa serve pregare? Meglio fare un’opera buona», in realtà non comprendo l’altissimo valore della preghiera che è un vincolo insostituibile di comunione con Dio. Potremmo fare del male ei fratelli non prestando loro aiuto, restando freddi e indifferenti. Gesù ci illumina donandoci una vita nuova che si diffonde partendo dalla nostra conversione interiore. La creatura non si accorge che con il pretesto di fare un bene solo apparente può arrivare alla definizione di una “rottura” con Dio ed un distacco dal suo amore misericordioso e trasformante. Si tratta di un monito anche per noi. Riflettiamo bene sul nostro agire e cerchiamo di inserirlo sempre nello splendido amore di Dio. Malgrado l’errore ed il peccato, l’uomo non è abbandonato da Dio. Egli continua a bussare alla porta del suo cuore perché si converta e cambi il suo modo di agire. Infatti, Gesù dice questa parabola per esplicitare questo concetto: «Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non
vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,12-14). È molto bella anche l’espressione seguente che traiamo dal libro dell’Apocalisse: «Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui, ed egli con me» (Ap 3,20). Il Signore è sempre alla porta del nostro cuore per accogliere ogni movimento di conversione. Pur nelle tenebre, un minimo di apertura alla grazia può rivelarsi davvero molto importante per la nostra trasformazione interiore. Lasciamo che Gesù ci parli e ci conduca verso la via che ha pensato per noi. Accogliere la voce del Signore rappresenta un principio di guarigione interiore nonché una base nuova e solida per il nostro itinerario di santificazione. Con Paolo di Tarso e Francesco d’Assisi, rispondiamo a Cristo: «Signore, che cosa vuoi che io faccia?» (Memoriale II, 6 FF 587). Significativa è la chiamata di Levi: “Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo se24
profezia nella Chiesa e nel mondo. La pazienza si rivela molto preziosa in questa fase del nostro percorso di santificazione. Dopo l’epoca del distacco e del peccato, Dio stesso, mediante la benefica azione dello Spirito, ci ha purificati e guariti ed ora siamo pronti a vivere la nostra missione. Abbiamo in Francesco un luminoso esempio. Dopo la sua conversione, ha bisogno di tempo per capire cosa il Signore gli chiede. Poi si invola verso le missioni che l’Altissimo gli affida, donandogli uno splendido ruolo profetico nella Chiesa. Anche a te viene affidata una missione da Dio, è importante che la comprenda con tanta preghiera ed un buon discernimento. Poniti in ascolto, lascia che Gesù continui a parlare al tuo cuore perché, rinnovato e fortificato nella fede, tu possa intraprendere quella missione che lui ti indica. Dopo la guarigione del cuore, sei pronto ad essere un apostolo. Per giungere a tanto, il Cristo ci indica la strada della «piccolezza interiore»: « In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18, 1-2). Gesù è la luce e anche dopo l’esperienza del peccato guarisce interiormente l’uomo. La forza beneficante dello Spirito Santo agisce sulla creatura che è profondamente rinnovata. Gesù appare a S. Paolo e cambia la sua vita. Egli si manifesta anche nel nostro cammino per rigenerare in profondità il nostro cuore Il protagonista di questo cammino in vista di una sempre più piena conformazione a Cristo è lo Spirito Santo. Non siamo soli in questo percorso è lo Spirito a guidarci. Per noi, allora è fondamentale invocare lo Spirito, disporci docilmente alla sua azione alla sua volontà. La nostra mentalità dovrebbe essere sostituta da quella pasquale. La guarigione del cuore, produce la conversione e da questo presupposto scaturisce la possibilità del credente di aprirsi all’azione missionaria volta a far comprendere come è bello e dolce lasciarsi guidare, sostenere e sanare dall’amore misericordioso di Cristo.
guivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?». Avendo udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (cf. Mc 2.13-17). Quando ci rialziamo dopo un errore non è tutto subito chiaro. E’ necessario continuare a camminare spiritualmente e fare discernimento. Il Signore ci rialza, ci riabilita, ci rafforza, ma non subito siamo in grado di correre. È necessaria tanta grazia, cioè tanta forza interiore donata da Dio per recuperare la giusta stabilità. In questo caso, ci aiuta molto la virtù della pazienza perché ritorniamo ad un cammino ben solido ed orientato verso una conversione sempre più significativa. È come quando un atleta subisce un infortunio grave. Prima di tornare a correre a bisogno di lunghi tempi di terapia riabilitativa. Così accade anche nella vita spirituale: prima di volare e di raggiungere le vette è necessario pazientare e recuperare le forze. Lo Spirito Santo cura le nostre ferite e ci abilita ad essere creature profondamente rinnovate ed in grado di esercitare una
25
TEOLOGIA di Eduardo Scognamiglio
Per amore del mondo Riflessione a margine della Gaudium et spes
«
L
e gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (GS 1). Sembra dirci il Concilio ecumenico Vaticano II che il mondo è il partner della salvezza, non più un nemico da sconfiggere. Verso di esso, non si prova né un sentimento d’identificazione né di rifiuto. Non c’è alterità radicale tra la Chiesa e il mondo: hanno come destino l’unico regno di Dio. La vita della Chiesa e dello stesso regno è inserita nelle vicende di questa storia. La Chiesa offre al mondo il messaggio di salvezza e la Chiesa riceve dal mondo nuovi impulsi e segni di luce e di bene che lo Spirito stesso indica e suggerisce. La Chiesa si apre alla modernità e si confronta con essa criticamente. Nei confronti della modernità sono da evitare due opposti atteggiamenti: di rifiuto acritico e di accoglienza acritica. La chiesa è profezia per la modernità e viceversa. Nella GS ci viene prospetta una nuova antropologia o visione dell’uomo che ha il suo modello nella Trinità e si esprime nella natura sociale della persona umana. L’uomo non è solo nell’universo. L’agire della persona nel mondo, attraverso la fede, trasforma la storia e la orienta in modo comunitario verso l’avvento definitivo di Cristo. La Chiesa è persa fra i tempi e che cammina nella storia che è luogo teologico: il “chi è” della Chiesa (LG) è descritto nel suo “con chi e per chi” essa è. La Chiesa esiste per riconciliare i popoli, come segno di luce e di speranza… Storia come luogo teologico significa che la storia è lo spazio dentro il quale Dio opera e si rivela, salva e chiama. La storia è lo spazio dentro il quale cammina e cresce, si purifica e si santifica il popolo santo di Dio. Il dialogo diventa la parola chiave ad intra e ad extra
della Chiesa. La GS costituzione pastorale, ci permette di riflettere sul termine pastorale che è la novità assoluta per questo documento. Novità a carattere teologico e pratico del Vaticano II. In tal senso, la verità non è semplicemente una dottrina, ma l’irruzione nell’esistenza personale e comunitaria di Gesù via verità e vita (cf. Gv 14,6) che chiama gli uomini mediante la carità. La verità è l’irruzione nell’esistenza personale e comunitaria di Gesù che chiama a vivere con lui, trasformando la storia secondo il disegno di amore e di libertà, di giustizia e comunione del Padre. È importante questa concezione integrale della verità. 2. Genesi e sviluppi della GS Si può dire tranquillamente, senza sbagliare, che la GS è l’ultimo documento di un Concilio pastorale. Nel discorso del 25 gennaio 1959, Giovanni XXIII non propose indicazioni troppo precise su come lui immaginasse quella grande assise. Tuttavia, voleva un Concilio di natura pastorale. Giovanni XXIII tornò più volte sull’aspetto pastorale del Vaticano II. L’idea di uno schema complessivo sulla Chiesa nel mondo con26
temporaneo maturò solo dopo il primo periodo conciliare, quando Giovanni XXIII, constata la generale insoddisfazione dei padri per gli schemi preparatori, aveva costituito una Commissione di coordinamento con lo scopo di riorganizzare tutto il lavoro. Il primo periodo di lavoro mise in evidenza, nonostante tanti insuccessi, le dinamiche e le nuove potenzialità dell’assise. Ci furono accesi dibattiti circa una Chiesa dei poveri. Ci fu una sensibilizzazione al tema della povertà. Il cardinale Suenens, belga, proponeva una riflessione sulla Chiesa nel mondo che portasse attenzione alla dottrina sociale, alla vicinanza della Chiesa ai poveri. Il cardinale Suenens chiedeva di seguire sempre e ovunque questo schema: ad intra e ad extra. Il cardinale francese di Lille, mons. Liénart Achille, suggerì di raccogliere tutto il materiale nello schema intitolato De homine. La Commissione sui laici propose di elaborare un nuovo schema sui problemi della società per risolvere la sovrapposizione tematica tra il suo testo e quelli della Commissione teologica. Si affidò il tutto a una Commisione mista (composta dalla Dottrina e da
quella dei laici). Lo schema iniziale fu il seguente: I principi e l’azione della Chiesa per la promozione del bene della società (Schema XVII). Questo schema prevedeva sei capitoli: il primo di carattere dottrinale sull’uomo (natura, vocazione, peccato e redenzione); gli altri capitoli dovevano riguardare rispettivamente: l’ordine della società, il matrimonio, la cultura, l’economia, la giustizia sociale, la pace internazionale. Questi argomenti erano stati scelti tenendo conto degli schemi preparatori. Tuttavia, la Commissione mista ebbe a disposizione due o tre mesi per elaborare lo Schema. La Commissione mista fu presieduta dal cardinale Ottaviani e dal Cardinale Fernando Cento. Furono costituite delle sottocommissioni e fu interpellato un gruppo di laici nell’aprile del 1963 per discutere con loro una prima redazione. Uscì, il giovedì santo del 1963, l’enciclica Pacem in terris che orientò molto le scelte finali della GS. Nella redazione finale del maggio 1963, dopo tante discussioni, ci si rese conto che tante questioni non erano state affrontate o affrontate con giusto equilibrio e profondità. Lo schema appariva troppo dottrinale,
27
quasi una sintesi dei principi dottrinali della Chiesa in rapporto alla società. Il cardinale Suenens chiese di rivedere l’intero schema e riuscì a riunire nel settembre del 1963 in Belgio, a Malines, un gruppo ben scelto di teologi: Rahner, Philips, Moeller, Rigaux, Cerfaux, Thils, Tucci. Il testo preparato da Gérard Philips, sulla base di alcune indicazioni di Congar, fu discusso insieme e si intitolava: La presenza attiva della Chiesa nel mondo da edificare. Era un testo abbastanza breve. Il soggetto non era più l’uomo bensì la Chiesa. L’idea centrale era quella di missione. La chiesa non aveva una soluzione per tutti i problemi umani, ma doveva portare luce e coraggio per guardare ai principi più alti dell’esistenza e della vocazione degli uomini. Nel novembre del 1963 tornò a riunirsi la commissione mista: in giugno era morto Giovanni XXIII. Vennero ripristinate le vecchie sottocommissioni e fu istituita una Sottocommissione centrale con il compito di preparare la parte dottrinale. Fu il vescovo di Livorno, mons. Emilio Guano a presiedere la Sottocommissione centrale, sotto la supervisione di un comitato ristretto guidato dal redentorista B. Haring che fu incaricato di riscrivere il testo tenendo conto di tutti i suggerimenti dei padri conciliari e dei periti. La parte dottrinale del nuovo testo comprendeva i primi tre capitoli: l’uomo e la sua vocazione, i princìpi della presenza della Chiesa nel mondo, l’azione dei fedeli. Il quarto capitoli riguardava i problemi più urgenti del mondo moderno. L’idea guida della Sottocommissione centrale fu la seguente: la dimensione soprannaturale dell’uomo non
si contrappone e non si separa da quella naturale. Inoltre, la Chiesa riconosceva nella storia i segni della salvezza divina (i segni dei tempi di cui già parlava Pacem in terris). La Chiesa doveva mettersi in ascolto di questi segni. Un ulteriore principio fu quello del dialogo elaborato da Paolo VI nell’Ecclesiam suam: la Chiesa deve confrontarsi con il mondo ascoltandone con sincerità le ragioni profonde. Il 20 ottobre del 1964 incominciò la discussione in aula. Ormai lo schema era abbastanza nuovo. La sottocommissione aveva dato risalto anche all’amore coniugale piuttosto che al vincolo giuridico del matrimonio. Questioni delicate erano: il controllo delle nascite e la vita internazionale. Lo Schema era diventato lo Schema XIII: si riconobbe l’importanza degli argomenti trattati ma non si condividevano tante posizioni contrastanti. Si chiedeva di approfondire alcuni problemi: si chiedeva di precisare l’eccessiva apertura della Chiesa al mondo e anche il significato di pastorale. L’immagine del mondo appariva troppo intellettuale, lontana dalla realtà. Karol Wojtyla fece osservare che c’erano diversi mondi da tenere in considerazione. Accese le discussioni relative al matrimonio e alla guerra. Autorevoli cardinali difesero i principi della morale cristiana. Alcuni vescovi misero in guardia dal rischio che le affermazioni contro l’uso delle armi avrebbero potuto avere a livello internazionale, legando le potenze occidentali a una norma morale che lasciava invece libere le potenze comuniste.
28
Ci fu una discussione molto impegnativa e ricca di stimoli. Lo schema fu accettato nonostante le molte critiche. Si chiese di lasciare alla commissione l’arduo lavoro di conciliare osservazioni numerosissime e spesso divergenti. Da qui la nascita dello schema Haubtmann, portavoce dell’episcopato francese, che coinvolse anche il belga Gérard Philips. Haubtmann preparò un nuovo testo, sensibilmente diverso da quello percedente ed era diviso in tre parti: il mondo moderno, l’uomo al centro del cosmo e della natura, l’uomo nella società. Tuttavia, quando i vescovi si riunirono ad Ariccia, accanto a questo testo ufficiale se ne trovarono un altro, che aveva portato dalla Polonia Wojtyla e che presentava aspetti molto interessanti: il tema fondamentale era quello della presenza della Chiesa nel mondo. Il testo di Haubtmann fu accettato con le integrazioni di Wojtyla e con significative correzioni: dopo il proemio con la panoramica sul mondo moderno, venne reintrodotto un capitolo a carattere antropologico sulla dignità della persona umana, cui seguivano un capitolo sull’uomo nella società e un capitolo sull’attività dell’uomo nell’universo. Inoltre, venne aggiunto un capitolo specifico sui rapporti tra la Chiesa e il mondo e sui modi in cui i cristiani devono collaborare con gli altri uomini. Nonostante il grande lavoro arrivarono forti critiche dall’ala conservatrice e da diversi teologi, tra cui Rahner, De lubac e Ratzinger. Anche Dossetti fece la sua critica: si rimprovera la scarsità delle basi teologiche, come pure l’appiattimento dello schema sull’attualità che era quasi un’analisi sociologica. Mancavano forti riferimenti alla Scrittura. Le tesi antropologiche erano scarse. Chenu, invece, difese il testo al di là di errori e superficialità: per la prima volta veniva posto in termini nuovo il rapporto tra natura e grazia e si cercava di dare alla storia un significato teologico complessivo e si rifiutavano le scorciatoie delle condanne, da un lato, e della spiritualizzazione dall’altra. La discussione in aula si aprì il 21 settembre del 1965. Al di là delle numerose critiche, il giudizio d’insieme fu positivo. Alcuni cardinali chiesero che il documento non fosse considerato come una costituzione bensì come una dichiarazione o una lettera enciclica. Lo schema appariva ancora troppo occidentale. Ci fu un ulteriore lavoro di approfondimento da parte della Sottocommissione centrale. Finalmente, si votò tra il 15 e il 19 novembre del 1965: alcuni vescovi ancora tentarono di respingerlo. Si ebbero molti voti negativi che non riuscirono, però, a bloccarne l’approvazione. Il testo fu ancora corretto dalla Sottocommissione. Ci furono ancora pressioni da parte di vescovi per far boc-
29
ciare il testo. Le questioni da approfondire erano: la libertà di coscienza, la questione Galilei, la guerra moderna, la mancata condanna del comunismo… Il giorno prima della votazione furono addirittura distribuiti volantini e petizioni casa per casa ai singoli vescovi, nelle loro residenze romane, perché votassero contro. Ma alla fine il testo ottenne una solida maggioranza e Paolo VI procedette alla promulgazione. Il percorso redazionale della GS fu incerto e tormentato. In sintesi, potremmo dire che la GS afferma che la Chiesa è testimone dell’amore di Dio per il mondo e annunciatrice del regno. Grazie all’intervento di Haring, si affermò che la Chiesa è solidale con il mondo e la storia degli uomini e che ha come punto di riferimento l’incarnazione del Verbo nella storia. Grazie sempre a Haring si ebbe attenzione per i poveri come soggetto privilegiato della cura pastorale della Chiesa. Grazie a Chenu si deve il recupero e il dialogo della Chiesa con il mondo: anche se Chenu fu accusato di eccessivo ottimismo. Per Chenu, è importante l’attenzione ai segni dei tempi. Si tratta di cogliere nel mondo, nella storia, la Parola di Dio che si è fatta carne abitando nel tempo e nello spazio. Grazie a Rahner la Chiesa ha fatto propria la svolta antropologica in teologia. 3. I temi della GS (7 dicembre 1965) La GS è suddivisa in due grandi parti. La prima parte comprende: Proemio (intima unione della Chiesa con l’intera famiglia, a chi si rivolge il Concilio, a servizio dell’uomo, la condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo); Capitolo primo (la dignità della persona umana: a immagine di Dio, il peccato, i costitutivi dell’uomo, dignità dell’intelligenza, la verità e la sapienza, dignità della coscienza morale, eccellenza della libertà, il mistero della morte, forme e radici dell’ateismo); Capitolo secondo (la comunità degli uomini, l’indole comunitaria dell’umana vocazione, l’interdipendenza della persona e dell’umana società); Capitolo terzo (l’attività umana nell’universo, il valore dell’attività umana, terra nuova e cielo nuovo); Capitolo quarto (la missione della chiesa nel mondo contemporaneo: mutua relazione tra Chiesa e mondo, l’auto che la Chiesa intende offrire agli uomini, l’aiuto che la Chiesa riceve dal mondo). La seconda parte tratta di alcuni problemi urgenti e comprende: proemio, capitolo primo (dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione); capitolo secondo (la promozione del progresso della cultura);
Capitolo terzo (vita economico-sociale); Capitolo quarto (la vita della comunità politica); Capitolo quinto (la promozione della pace e la comunità delle nazioni).
Circa la recezione di questo documento, si può dire, senza sbagliare, che la GS continua a nutrire la fede delle Chiese e lo stesso agire pastorale. GS con i suoi difetti formali e i segni delle cuciture nel suo impianto, resta un documento di straordinaria e permanente efficacia e validità. È un documento che ha aperto la strada a profondi mutamenti in teologia e nel sentire dei credenti e nella prassi ecclesiale. È sufficiente considerare oggi il Cortile dei gentili. Si pensi in Italia al Progetto culturale, alla riscrittura dei Catechismi per gli adulti, i ragazzi e i bambini. Certo, la recezione è sempre incompiuta e aperta: manca, per esempio, oggi, la dimensione escatologica che ci apre ai cieli nuovi e terra nuova (GS 39). Ci sono segnali di chiusura in certe Chiese locali che non hanno favorito il dialogo con il mondo. Lo stile dialogico della GS ha ancora molto da dirci e da insegnarci. Ci sono comunità cristiane ancora troppo autocentrate: la GS ci rende estroversi, cioè aperti all’esterno, verso il mondo. GS ci suggerisce questo principio: “cercare insieme”, attingendo alla viva tradizione della Chiesa e riconoscendo nel mondo la presenza di Dio e i segni dello Spirito Santo.
4. Qualche precisazione Che significa pastorale? La pastorale non è da riguardarsi come il momento applicativo di una teoria: aspetto dottrinale e aspetto pastorale si richiamano sempre l’un l’altro. Sono due momenti inscindibili, distinguibili solo in teoria, ma sempre connessi nella prassi di fede della Chiesa. È questa la testimonianza di GS: la teologia è sempre della storia, cioè attenta all’economia della salvezza. La Chiesa annuncia il Vangelo a una concreta comunità di persone. Nei 99 paragrafi che costituiscono il corpo della GS sono toccate tutte le dimensioni dell’umano non in maniera astratta, bensì cogliendole e collocandole nella peculiare circostanza dell’epoca presente, cioè in modo sociale. La GS ci fa comprendere lo stretto legame tra storia e salvezza, socialità e vita cristiana. Il dialogo è linfa vitale di questo documento: si cerca di comprendere anche le ragioni dell’ateismo (cf. GS 20ss.). 30
CRONACA di Eduardo Anatrella
Eccomi... Nuovi militi all’orizzonte
L
unedì 8 aprile, solennità dell’Annunciazione di nostro Signore, gli associati alla Milizia dell’Immacolata si sono riuniti per la consacrazione di sei nuovi militi. Padre Eduardo, Assistente della Milizia, ha presieduto la S. Messa e, dopo la sua commovente omelia, anche il rito della consacrazione, coadiuvato dalla Presidente Paola Brandolino. Padre Eduardo ha fatto notare che tra i nuovi militi vi erano non solo persone avanti con gli anni, ma anche una coppia di sposi ed una ragazza molto giovane, ciò a dimostrazione che il vincolo sacro che si vuole cementare con la Vergine Immacolata non solo non è soggetta ad età o condizione, ma, che soprattutto, è frutto di una chiamata. Infatti, la Presidente della Milizia all’inizio del rito ha chiamato uno ad uno gli aspiranti ed essi hanno risposto con A completamento della cerimonia, in armoniosa ed allegra voce sicura: “Eccomi”. Successivamente dopo le promesse condivisione con tutti gli intervenuti si è vissuto anche un battesimali, le preghiere, e la formula di consacrazione i particolare momento conviviale partecipando ad un semnuovi militi hanno firmato l’atto di consacrazione sull’al- plice buffet predisposto a sorpresa dai militi della Milizia tare a meglio significare il sacro impegno dichiarato. per festeggiare il lieto evento. Anno dopo anno, con l’aiuto “Un rito, nella sua essenzialità, semplice, ma esaltato, in della Vergine Immacolata, la Milizia vede sempre più intale occasione, dai canti e dalla musica d’organo diretti con crementare il numero dei suoi associati. grande maestria e sensibilità dal Direttore Elena CONSACRAZIONE DELLA FAMIGLIA Scala”. Come illustrato da Padre Eduardo “il rito di MARIA MADRE DELLE FAMIGLIE A consacrazione fu voluto da San Massimiliano Kolbe, per trasformare i militi in strumenti della Vergine O Vergine Maria, dalla Croce Gesù ha voluto affidare a te Immacolata affinché potessero cooperare fedeltutti i suoi discepoli: mente, singolarmente ed insieme, alla Sua missione noi vogliamo accogliere questo suo dono per l’avvento del Regno di Dio nel mondo”. Padre e prenderti nella nostra casa come Madre e modello. Leonardo e Padre Edoardo hanno deciso insieme Oggi consacriamo totalmente a te la nostra famiglia, opportunamente di trasportare la tradizionale data perché tu la renda sempre più unita e forte del 25 marzo ricadente, quest’anno, nel periodo nella fede e nell'amore. della settimana santa, alla prima data utile dell’8 Rafforza nel rispetto reciproco aprile. Ma, come ben illustrato dallo stesso padre e nella fedeltà il nostro amore, santificato dal sacramento del matrimonio. Eduardo, la concomitanza della solennità dell’AnConcedici di amare la vita, nunciazione non poteva essere momento più vicino di difenderla fin dal primo istante della sua esistenza alla consacrazione di nuovi militi. Infatti, ricordare e di custodirla con sollecitudine la nascita di Gesù nel grembo verginale di Maria che nell'anzianità e nella malattia. diventa Madre di Dio e madre nostra, non poteva Al tuo Cuore di Madre trovarsi circostanza migliore per consacrarsi all’Imaffidiamo le nostre gioie e sofferenze, macolata ispiratrice, protettrice di ogni milite che le difficoltà quotidiano, il lavoro e lo studio, perché in tutto sappiamo esprimere offre le preghiere, le azioni ed i sacrifici sofferti ogni con coerenza il nostro essere cristiani. giorno. Altro momento di alta commozione, si è Sostienici nell'impegno di essere avuto alla fine del rito, quando, su sollecitazione di aperti e solidali verso i più poveri e sofferenti, Padre Edoardo, i consacrati sono stati accolti da tutta per essere nel mondo un segno visibile dell'amore di Dio. la fraternità dei militi con un abbraccio di benveAccompagnaci sempre nel nostro cammino. Amen nuto e di scambio della pace.
31
LITURGIA di Giuseppe Falanga
Pietro e Paolo: un modo nuovo di essere fratelli
L
a tradizione cristiana da sempre considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città li considerò come una specie di contraltare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di fratelli a cui si faceva risalire la fondazione di Roma. Si potrebbe pensare anche a un altro parallelismo oppositivo, sempre sul tema della fratellanza: mentre, cioè, la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l’effetto del peccato, per cui Caino uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro. Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità del 29 giugno consegna a ciascuno di noi, e la cui importanza si riflette anche sulla ricerca di quella piena comunione, cui anelano il Patriarca Ecumenico e il Vescovo di Roma, come pure tutti i cristiani. Nel brano del Vangelo di san Matteo di questa festa liturgica, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cf. Mt 16,16-19). Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua
passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù a sua volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23). Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare. La tradizione iconografica raffigura san Paolo con la spada, e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell’Apostolo delle genti, scopriamo che l’immagine della spada si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2Tm 4,7). Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. E proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme con Pietro, quale colonna nell’edificio spirituale della Chiesa. 32
PASTORALE di Antonio Vetrano
La vita è “morbida” “
P
erché vivi?”. Alcuni non sapranno che cosa dirvi, e faranno silenzio. Altri vi diranno risposte, a cui neppure loro credono. Qualcuno vi dirà: “Per i figli”. E quando i figli crescono? Perché, quando i figli crescono, o ci si attacca a loro come delle sanguisughe - ed è ovvio, perché sono la ragione per cui viviamo, e senza di loro non c’è ragione -, oppure si ha “finito di vivere”. È risorto il Signore. La tomba è stata trovata vuota; e, tutto, ora, è diverso. Non sanno che cosa pensare, i discepoli, alternando momenti di entusiasmo, a dubbi, a fatica. Chiusi nella “stanza alta” dove hanno celebrato la cena, ancora faticano a focalizzare ciò che è successo. Tutto “troppo”. Troppo grande, inatteso, folle, nuovo. Tutto è sparigliato, eccessivo, incomprensibile. È davvero risorto. Ma allora? Chi è davvero il Nazareno? Le donne hanno parlato di una visione di angeli. Ma, non dimentichiamolo, sono solo donne... Emotivamente instabili! Però… anche i discepoli di Emmaus hanno parlato di uno strano incontro! E Simone, pur nel mutismo che lo contraddistingue da quella orribile notte, ha fatto cenno “a un tale che ha incontrato”, lo accenna l’evangelista Luca (lui soltanto…). Ancora stanno parlando, nel cenacolo, quando Gesù appare. È questione di fede. Ovvio. Ed è la fede, la protagonista della Pasqua. Ogni anno, un attore d’eccezione: Tommaso apostolo. Tommaso. Il credente, non l’incredulo. Credere significa appoggiarsi a qualcosa di saldo, fidarsi di qualcuno che è affidabile. Ho fiducia, ma tu mi dai la certezza di essere affidabile. Tommaso non crede. Non più. Ciò, cui si è appoggiato, è miseramente crollato. Il suo entusiasmo si è spento: tutto sembra perduto. Il Regno? Un’illusione! Il Rabbì? Un buono, travolto dalla malvagità del potere religioso. Tommaso non ha più certezze: la croce le ha travolte. Proprio come succede anche a noi. Bene. Significa che proprio quelle “certezze” dovevano crollare, perché fragili. Ancora non lo sa, Tommaso, ma la sua fede è pronta a rinascere, ad appoggiarsi alla predicazione del Rabbì. E non più alle false prospettive che l’apostolo, egli stesso, aveva elaborato. Credeva di credere. Se crolla la fede, significa che poggiava su basi fragili e inconsistenti. E siamo finalmente pronti per la Fede. Ma fede significa anche fidarsi. E Tommaso non si fida più dei suoi compagni, della Chiesa. Sono loro a dirgli che Gesù è vivo. Ma come credergli? come dar loro fiducia, dopo aver dimostrato di essere dei pavidi, degli incoerenti? Non solo loro, però! Anch’egli, Tommaso, lo è stato. E lo sa. Lo riconosce. Perciò non punta il dito. È onesto Tommaso. Ha ragione, Tommaso. Come possiamo credere al Vangelo,
33
se la Chiesa che lo proclama (troppe volte) non lo vive? Ma non se va, Tommaso. Nemmeno si sente offeso, Tommaso, se il messaggio della resurrezione è affidato alle nostre fragilissime mani. Non capisce, ma resta. Senza fondare una “chiesa alternativa”. Senza sentirsi migliore. Senza andarsene. E fa bene a restare. Otto giorni dopo il Maestro torna. Apposta per lui. Eccolo, il Risorto. Leggero, splendido, sereno. Sorride. Emana una forza travolgente. Gli altri – che hanno già vissuto l’incontro - lo riconoscono, e vibrano. Tommaso, ancora ferito, lo guarda senza capacitarsi. Viene verso di lui ora. Il Signore, gli mostra i palmi delle mani, trafitti. «Tommaso, so che hai molto sofferto. Anch’io ho molto sofferto: guarda qui». E Tommaso cede. La rabbia, il dolore, la paura, lo smarrimento… si sciolgono come neve al sole. Si butta in ginocchio ora. E bacia quelle ferite. E piange e ride. «Mio Signore! Mio Dio!». Molti sono ancora nel sepolcro. Irrigiditi come cadaveri. Travolti dal dolore, come se l’anima si fosse indurita, senza emozioni, senza desideri, senza sussulti. Come se la resurrezione riguardasse altri, come se non fosse davvero per me. Ne conosco di persone che vivono così la Pasqua. Travolti dagli eventi, o dal proprio limite, o dal dolore fisico o dal dolore spirituale. Una Pasqua solo di ostinata volontà (di fede), solo di sforzo, solo di sangue. Rimasti indietro, inesorabilmente. Con l’anima zoppa. Travolti, come se la resurrezione, in cui credono - e credono fermamente - non fosse per loro. Proprio come è accaduto a Pietro. L’ultimo degli apostoli a essersi convertito. Pietro arriva alla resurrezione con un macigno nel cuore. La sua storia, la conosciamo tutti: Simone il pescatore, l’imprenditore, chiamato a diventare discepolo del falegname di Nazareth; i tre anni di (entusiasmante) sequela, con un crescendo di fama e di popolarità; la promessa fatta a Simone - a lui! - di essere il referente del gruppo, il custode della fede; le gaffes incredibili di Pietro, che non riesce a moderare il suo temperamento troppo impulsivo e sanguigno; e, infine, la catastrofe della croce. Pietro, nel cortile del Sinedrio, aveva negato di conoscere l’uomo. Che credeva di amare e di servire fedelmente e senza incrinature. L’uomo e il Messia, per cui - diceva - avrebbe dato la vita. Era bastata la domanda di una pettegola, la serva, per far crollare le fragili certezze del principe degli apostoli. Poi l’arresto, il processo sommario, l’uccisione. Anche Pietro, come tutti, era fuggito. L’uomo… Riusciamo solo vagamente a capire quanto dolore, quanta desolazione, quanto strazio aveva scosso la vita degli apostoli. Pietro, sanguinante per la morte del Maestro; e san-
guinante per la propria morte di discepolo. Era stato travolto dal suo peccato. E lì era rimasto. No, grazie. Gesù ora è risorto. Ed è apparso ai discepoli. Pietro, insieme con Giovanni, è stato il primo a correre alla tomba. Ed è presente al Cenacolo, alla sera di Pasqua, diversamente da Tommaso. Pietro è stato il più presente alle apparizioni del Risorto. Ma nulla è accaduto, in lui, il suo cuore è rimasto duro e arido. Ma che cosa ci deve accadere, perché il nostro cuore ceda? Gesù è vivo certo, ma non per lui. Gesù è risorto e glorioso, vivo, ma lui, Pietro, è rimasto in quel cortile. Pietro crede, certo. Ma la sua fede non riesce a superare il suo fallimento. Come succede a molti di noi. Pietro torna a pescare. L’ultima volta era stata tre anni prima. “Torna a pescare”. Come a dire: ”fine dell’avventura, si torna alla dura realtà”. Sì, credo a tutto quello che mi dici, pero la vita (vera), la realtà, è un’altra cosa… Gli altri apostoli (i nostri amici, i familiari, quelli che ci vogliono bene…) lo accompagnano, sperando di risollevargli il morale. E invece nulla. Pesca infruttuosa. Pure la pesca è infruttuosa! Il sordo dolore è ascoltato da tutto intorno.
È forte, cupo. Il sordo dolore di Pietro allontana anche i pesci… Ma Gesù, come spesso accade, aspetta Pietro alla fine della notte. Gesù ci aspetta sempre alla fine della notte. Di ogni notte. «Mi ami, Simone?». «Come faccio ad amarti, Rabbì, come oso ancora dirtelo, come faccio?», pensa Pietro. E: «Ti voglio bene», risponde Simone. «Mi ami, Simone?». «Basta, basta Signore! Lo sai che non sono capace, piantala!» pensa Pietro. E: «Ti voglio bene» risponde Simone. «Mi vuoi bene, Simone?». Pietro tace, ora. È scosso, ancora una volta. “Simone” sta diventando “Pietro”… È Gesù che abbassa il tiro, è lui che si adegua alle nostre esigenze. Pietro ha un groppo in gola. A Gesù non importa nulla della fragilità di Pietro, né del suo tradimento. Non gli importa se non è all’altezza, non gli importa se non sarà capace. Chiede a Pietro solo di amarlo come riesce. «Che cosa vuoi che ti dica, Maestro? Tu sai tutto, tu mi conosci. Sai quanto ti voglio bene!». Sorride, ora, il Signore. Sorride. Simone è diventato Pietro. È pronto. Saprà aiutare i fratelli poveri, ora che ha accettato la sua povertà. Sarà un buon Papa. Sorride il Signore e gli dice: «Seguimi».
34
ARTE di Paolo D’Alessandro
«La morte della Vergine» di Caravaggio
A
lcuni anni fa, passeggiando per i corridoi del Museo del Louvre di Parigi, mi sono imbattuto in una grande tela dallo stile inconfondibile. Leggo, infatti, sulla didascalia: Michelangelo Merisi da Caravaggio, “Morte della Vergine”, olio su tela centimetri 369 x 245, eseguita nel 1605-1606 (anche se il contratto ritrovato alla fine del secolo scorso porta la data del 14 giugno 1601). L’impatto emotivo e la sorpresa di un tema trattato in una maniera così diversa sono state per me molto forti, sconvolgenti. Figuriamoci all’epoca della sua esecuzione! La tela infatti, per il modo in cui l’artista aveva dipinta, venne rifiutata dai Carmelitani Scalzi che l’avevano commissionata per decorare la cappella privata della famiglia Cherubini, nella chiesa di Santa Maria della Scala a Trastevere (Roma). Caravaggio, descrive la morte della Vergine in modo assolutamente nuovo, togliendo dalla scena ogni riferimento soprannaturale (a parte la convenzionale aureola dietro il capo della morta). Un voluminoso drappeggio rosso, molto chiaroscurato, lussuoso, tipicamente barocco, che occupa quasi la metà superiore del dipinto, è sollevato come un sipario sinistro, mettendoci davanti a una scena drammatica di dolore e morte inserita in un ambiente scarno e povero con personaggi umili (sono, infatti, raffigurati tutti scalzi). La luce arriva da un’alta finestra a destra, scende obliquamente e colpisce le teste calve degli apostoli piuttosto anziani, con le fronti increspate dalle rughe, per poi distendersi sulla giovane figura di Maria, e sulla Maddalena china davanti a lei. L’abbandono della morte è espresso dalle mani e dal livido viso di Maria che è coronato da capelli scomposti e non toccati dal grigio della vecchiaia. La mano sinistra pende abbandonata verso lo spettatore, la destra è posta sulla veste rossa, slacciata sul petto, e sottolinea il gonfiore del ventre. Caravaggio, molto probabilmente, vuole alludere attraverso la giovinezza della Vergine alla giovinezza eterna della Chiesa e il suo ventre gonfio la configura come piena di grazia e Madre di tutti gli uomini. Il corpo di Maria sembra essere abbandonato su un giaciglio improvvisato e troppo corto per lei, non composto su un catafalco solenne come altri artisti avevano immaginato. Il corpo, aperto e scomposto, con il braccio teso, il capo reclinato, i piedi nudi e divaricati richiama la posizione di Gesù crocifisso. La morte della Madre così ri-
35
corda quella del Figlio. Il dolore e la disperazione tutta terrestre sconvolgono gli Apostoli e la Maddalena, personaggi tratti dalla realtà degli umili, riaffermando, così la presenza di Dio nell’esperienza quotidiana della povera gente. Sulla sinistra del dipinto in primo piano, vi è la Maddalena, tutta chiusa e ripiegata su se stessa: la luce batte sul suo collo su cui cadono corte ciocche di capelli ricciute. Ella non ha i capelli sciolti come nell’iconografia tradizionale, ma pettinati in una poeticissima treccia dai bagliori rossastri. Da lei inizia una diagonale che viene interrotta, nel suo sprofondarsi verso il fondo, dal corpo obliquo di Maria, al di là della quale si leva il «muro» degli apostoli in lacrime. In primo piano a destra, invece, vi è una bacinella di rame, che avrà contenuto probabilmente l’acqua per lavare il corpo di Maria. In questo dipinto Caravaggio afferma (come già Donatello nella “Maria Maddalena”), che la divinità può manifestarsi in ogni uomo, a prescindere dalla perfezione fisica del proprio aspetto, in quanto è l'interiorità, la bontà di cuore e la purezza d'animo la vera espressione della potenza e dell'amore divino. Al pittore non interessa rappresentare la Vergine secondo quelli che erano i precetti dogmatici del tempo e l’iconografia tradizionale. Egli esalta, invece, la profonda umanità di Maria, Madre di Dio (come si evince dal ventre gonfio), che si rivela proprio nella morte, in cui tutti gli uomini sono uguali, in cui non vi è nulla di glorioso o santo, ma solo la fine di un percorso terreno che reca in sé tutti i segni fisici che questo comporta.
POESIE di Silvano Forte
A Maria Ti penso alla fonte a prendere acqua. T’immagino in casa con Anna e Gioacchino e il profumo di pane appena cotto. Ti guardo la sera mentre prepari i giacigli e governi l’asino. Ne avevate uno, vero? (quale immensa responsabilità, Padre, avresti poi poggiato sul dorso di un umile asinello: l’eterno, l’infinito, l’incontenibile e Maria in fuga verso l’Egitto sotto il cielo stellato della Giudea). Quali erano i Tuoi giochi? E come si chiamavano i Tuoi amici? Anche Tu avevi un’amica del cuore? Facevi programmi per il futuro?
“Fate quello che vi dirà”. E il Verbo ha parlato per tre Pasque. Nell’ultima, prima di tornare al Padre, invertendo i ruoli di Cana, Ti ha lasciato in eredità la sua sposa: “Donna, ecco il tuo figlio!”. (4)
Mai, mai, nella Tua grande umiltà, avresti osato immaginare che saresti divenuta l’anello di congiunzione tra l’Antico e il Nuovo Testa mento II “kaire” di Gabriele Ti ha proiettata nell’eternità. (1)
Da quella croce, Maria, la Trinità, dopo aver guardato per trentatre lunghi anni l’umiltà della sua serva, Ti ha affidato il compito. (5)
In Te ha preso corpo la nostra salvezza. Dei primi trent’anni poco sappiamo: Gesù vero uomo lo hai serbato nel Tuo cuore. E con Lui, anche Tu crescevi e Ti fortificavi, piena di Sapienza, e la grazia di Dio era sopra di Te. (2)
di accompagnarci e di indirizzare la nostra libertà e i nostri passi sulla via della pace (6) “Fate quello che vi dirà”. La Madre in terra, alle nozze di Cana, il Padre in cielo, nel silenzio del Tabor accompagnano l’eterno all'esordio nel tempo e ci mostrano la Via, la Verità e la Vita. (1) Lc 1,28 (2) Lc 2,40 (3) Gv 2,5 (4) Gv 19.26 (5) cf. Lc 1,48 (6) cf. Lc 1,79
A Cana è giunta la Tua ora. Lì hai accompagnato Tuo Figlio all’altare e con cinque parole lo hai consegnato all’umanità, sua sposa, per i secoli dei secoli: “Fate quello che vi dirà”. (3) Da quelle parole, pronunciate alla presenza di pochi servi, è scaturito in duemila anni un interminabile esercito di servi del Signore, che continuano a trasformare l’acqua in vino, e il vino in sangue, in memoria di Lui.
36
RADIO KOLBE di Angela Traficante
La festa di san Michele a Monticchio Laghi “
P
rincipe nobilissimo delle angeliche Gerarchie, valoroso guerriero dell’Altissimo, amatore zelante della gloria del Signore, terrore degli angeli ribelli, amore e delizia di tutti gli Angeli giusti, Arcangelo San Michele, desiderando io di essere nel numero dei tuoi devoti, a te oggi mi offro e mi dono”. È il principio della preghiera di consacrazione all’Arcangelo Michele divenuta, negli anni, per i numerosi pellegrini, sigillo di fede, baluardo di devozione e simbolo di affidamento al celeste condottiero “armato di potenza divina”. Questa preghiera di è elevata più che mai al cielo l’8 Maggio, festa dell’apparizione di San Michele Arcangelo, nella bellissima Badia a Monticchio Laghi, nel Santuario sul Gargano ed in tante chiese dedicate al “soldato di Dio”. La festa liturgica è il 29 Settembre e la Chiesa la dedica ai tre Santi Arcangeli, Michele, Gabriele e Raffaele. Secondo fonti ufficiali, la prima apparizione risale al 490 d.C. La storia racconta che un certo Elvio Emanuele, un signore del Gargano, smarrì il toro del proprio gregge e, dopo una lunga ricerca, lo trovò all’interno di una grotta inaccessibile ed abbandonata. Il buon uomo, non riuscendo ad avvicinarsi all’entrata, scagliò contro di essa un dardo che, straordinariamente, cambiò direzione, colpendo l’uomo stesso. Comprensibilmente sorpreso l’uomo raccontò tutto al suo Vescovo, Lorenzo, il quale lo invitò a pregare per tre giorni e, proprio il terzo giorno, l’Arcangelo apparve e disse: “Io sono l’Arcangelo Michele, e sono sempre al cospetto di Dio. La grotta è a me sacra ed io l’ho scelta. Non ci sarà più spargimento di sangue di animali. Dove si apre la roccia il peccato dell’uomo potrebbe essere
37
perdonato. Ciò che è stato richiesto in preghiera sarà concesso. Perciò risalite la montagna e consacrate la grotta al culto cristiano”. Il vescovo e la popolazione eseguirono gli ordini dell’Arcangelo. Negli immediati anni successivi seguirono altre due apparizioni ed una quarta si ebbe nel 1656 d.C. allorquando una terribile peste mieteva vittime tra le popolazioni del Gargano. Il vescovo di allora, Alfonzo Puccinelli, ordinò giornate di preghiere e di digiuno e l’Arcangelo, il 25 Settembre, disse sul monte : “Chiunque utilizzi la pietra di questa grotta sarà guarito dalla peste. Benedici le pietre e scolpiscivi il segno della Croce ed il mio nome”. La pestilenza cessò e le piccole pietre ancora oggi sono ben custodite dai pellegrini. La Badia di San Michele Arcangelo a Monticchio Laghi, fin dalle prime ore del giorno, comincia ad accogliere i devoti pellegrini che da tanti anni vi si recano nel mese di Maggio per rendere onore al Principe dell’esercito celeste che, per volontà divina, mai fa mancare la sua forte protezione sulla terra da ogni insidia. Qui la festa dedicata all’apparizione dell’Arcangelo è attesa e vissuta con grande intensità spirituale e la giornata è scandita da forti momenti dedicati alla preghiera, personale e collettiva. Le sante messe della mattina elevano le lodi al Signore ed aprono i cuori dei pellegrini che con profonda devozione fissano la bellissima ed antica statua di San Michele custodita nella grotta naturale. Nel pomeriggio la recita della corona angelica si sostituisce al solenne silenzio che regna nella Badia ed un coro di voci oranti e commosse si alza fin o al cielo per dedicare al “custode di Dio” le proprie preghiere e suppliche. Continua a pagina 44
VOCAZIONE di Alfredo Avallone
«Aver cura come una madre»
L
a scelta di un di una vocazione di speciale consacrazione non è solo frutto di un incontro interiore attraverso quei divini momenti che solo una liturgia sa offrire: essa passa anche attraverso l’esperienza vissuta di un particolare stile di vita fraterna. La vocazione francescana in particolare, continua ad esercitare una forte attrazione sui giovani di oggi non solo per quel speciale incontro con Gesù che lo Spirito ancora suscita nei cuori docili, ma anche grazie ad uno stile di vita fraterna che conferma la bellezza e la verità di quella voce interiore. Di quale stile fraterno si tratta? Cosa voleva dire san Francesco quando invitava i frati ad «aver cura l’un l’altro come una madre»? Partiamo dalla Madre del Vangelo, da Maria di Nazareth, partiamo dal momento in cui questa donna ha avuto la piena consapevolezza di essere stata eletta ad una missione centrale nella storia della salvezza: essere madre di Gesù! È veramente strano che non pensi a prepararsi per una così eccezionale missione, mentre il primo atteggiamento che troviamo in lei è quello di prendersi cura della cugina Elisabetta (Lc 1,39-45). La delicatezza tipicamente femminile di questo atteggiamento di Maria, dice la capacità di lasciare ciò che è sicuro per mettersi in viaggio e la capacità
di capire ciò che all'altro manca e disporsi ad aiutare. La visita alla cugina Elisabetta è dunque un atteggiamento perfettamente in linea con la realizzazione della missione affidata a Maria: si è madri nella misura in cui si è disposti ad esercitare queste virtù! Mettersi in viaggio porta con sé la fatica di dover lasciare la comodità e la sicurezza della propria casa. Può sembrare assurdo parlare oggi della necessità di “rimettersi in viaggio”: non si viaggia già troppo? Viaggi reali e viaggi virtuali... ma dove il viaggio verso il cuore del tuo fratello? Ci sono dei viaggi che proprio non siamo disposti a fare perché non si può contare su certezze e su mezzi! Eppure questo è l'unico viaggio veramente necessario, quel viaggio capace da un lato di alimentare la speranza contro ogni forma si rassegnazione e dall'altro lato di restituirci il sapore dell’azione contro ogni forma di accomodamento (certe modalità di vita che privilegiano «più il salotto che la strada, le pantofole che gli scarponi da viaggio, la vestaglia da camera che il bastone del viandante» come direbbe Don Tonino Bello). Capire ciò che manca all'altro, capire le reali necessità del fratello che creano malessere, non solo fisico: vuoto, solitudine, turbamento, tristezza... accompagnano ogni uomo in ogni epoca ed in ogni tempo della sua vita. Aver cura di
38
ciò che manca significa vivere accanto al fratello con la “spina dell'inappagamento conficcata nel fianco” (tutt’altro che comodità e sicurezza!) e con la “voce costantemente rivolta a Dio” perché provveda e colmi il vuoto, anticipi la salvezza. Certo che è fuori moda parlare in questa società di capire ciò che manca nell’altro! L’impegno comune semmai è quello di lottare nella difesa di ciò che «mi» è dovuto, nella pretesa di colmare i «miei» vuoti, nella difesa di ciò che «mi» appartiene di diritto... Siamo portati con una certa naturalezza più a “passare sopra” i fratelli che a sentirci responsabili della loro vita, della loro gioia, dei loro vuoti, delle loro necessità. Ma percepiamo anche che in questa cultura non troviamo gioia, felicità, pienezza di vita. Passando ora a frate Francesco, non ci è difficile comprendere la portata delle sue parole, quando insiste sulle relazioni fraterne attraverso l’immagine della madre che “ama e nutre il proprio figlio” (cf. Rb 6,7-8: FF 91). L’ambito delle necessità presentate è chiaramente legato al mangiare... Ma l’attenzione dovuta al fratello che ha bisogno di mangiare è subito legata alla capacità di “amare”. Il restringimento al solo mangiare delle necessità per cui è dovuta l’attenzione del fratello, non solo non sminuisce quanto andiamo dicendo, ma l’esalta maggiormente. Infatti
il “nutrire” della madre è solo uno degli atti concreti di un amore che assume ben altra portata nel corso della vita del figlio: l’amore di una madre sa venire incontro alla necessità reale del proprio figlio in quel momento particolare della sua esistenza, ed è amore proprio perché capace di coprire il vuoto delle cose più elementari, banali. Solo nel clima di questa sollecitudine materna è possibile superare il timore di “manifestare all’altro le proprie necessità”; solo a partire da questo amore vi è assenza di giudizio o disprezzo. C’è qualcosa di grandioso in questo aiuto reciproco, qualcosa da contemplare e sperimentare per crescere insieme verso la piena maturità di Cristo: la realizzazione delle persone coinvolte nella relazione e la presenza di Dio! Aver cura come una madre significa dunque accogliere la diversità del fratello, andare incontro con serenità a ciò che manca in lui «così come il Signore darà loro la grazia», cioè attivando quella circolarità necessaria all'esistenza della vita fraterna: la necessità del fratello mi interpella; mi sento responsabile davanti a Dio del suo vero bene; nella grazia di Dio trovo una risposta. È questa forza dinamica spirituale francescana che ha il potere di attrarre ancora i giovani, nonostante tutto desiderosi di amare come Gesù ci ha amato.
39
TEATRO di Maria Teresa Esposito
Ravello festival 2013: Il Domani
R
avello, Costiera amalfitana. Sarà “Il Domani” il tema dell’edizione 2013 del Ravello Festival inteso come “futuro”, nelle sue varie declinazioni: artistiche, musicali, letterarie e sociali. “Sarà questo il leit motiv del 2013, il filo rosso che terrà insieme la programmazione estiva organizzata dalla Fondazione Ravello e gli eventi, che saranno dedicati a Wagner e Verdi. Altro solco sarà il ricordo di Niemeyer, straordinario maestro di architettura e non solo, legato a Ravello da tante storie e che ci ha lasciato lo straordinario auditorium, un’eredità di cui dobbiamo essere degni”. L’annuncio è del presidente della Fondazione Ravello, l’on. Renato Brunetta. Dopo la parentesi dedicata al Festival, la firma di tre importanti protocolli d’intesa tra l’ente di via Wagner, l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, rappresentata dal prof. Federico Marazzi, la Facoltà di Agraria della Federico II, rappresentata dal preside Paolo Masi e la Società Geografica Italiana, che mirano alla valorizzazione e alla riqualificazione del complesso monumentale simbolo della città della musica. “Penso che il festival 2012 sia stato quello di maggior successo, ma siccome non ci accontentiamo mai – ha poi detto
il presidente Brunetta – abbiamo pensato di allargare le nostre partnership. Collaborazioni che non sono solo legate alla programmazione di eventi ma soprattutto a questo straordinario contenitore che è Villa Rufolo. Tre prestigiose istituzioni ci affiancheranno nel percorso di riqualificazione e ricerca del complesso monumentale, puntando sulla formazione. In un’Italia così problematica – ha concluso Brunetta – avere un po’ di ottimismo aiuta. Alle anticipazione riguardanti la kermesse estiva e alla firma dei protocolli si è aggiunta un’altra buona notizia, annunciata dal direttore di Villa Rufolo, Secondo Amalfitano. “I ministeri competenti – ha detto – hanno dato il via libera al trasferimento di 1 milione di euro dei fondi previsti dal Decreto Interministeriale del 13 dicembre 2010 che recava la previsione di un intervento di ARCUS spa in favore del progetto denominato “Lavori di restauro e valorizzazione del complesso monumentale Villa Rufolo”. Questi nuovi fondi si aggiungono ai 500.000 euro già finanziati e spesi nel 2012, e consentiranno la prosecuzione degli interventi volti alla complessiva ristrutturazione e riqualificazione della Villa.
Ravello festival edizione 2012
40
IN BOOK La Redazione BARTHOLOMEOS I, Incontro al mistero. Comprendere il cristianesimo oggi, Edizioni Qiqajon, Magnano (Biella) 2013, pp. 316, euro 28. Il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, ci ha consegnato, in questo scritto spirituale, un vero e proprio diario di fede in cui s’intrecciano pensieri profondi, teologia, spiritualità, vita ascetica, cultura, arte e cosmo. Ogni capitolo qui tracciato è un vero gioiello e contiene delle meditazione profondissime che ci aiutano a capire che l’esperienza di Dio nel Mistero è un fatto concreto che tocca l’oggi della nostra storia. L’afflato mistico, il desiderio dell’unità e l’attenzione alla realtà, come altresì l’amore per il creato e il problema dell’ambiente, sono i punti più sentiti dal patriarca, che da sempre si è impegnato per l’unità tra i cristiani e la salvaguardia del creato. Ci sono pagine bellissime lì dove si parla della liturgia, del culto, dei riti, dell’Eucaristia. È un libro che si legge tutto d’un fiato, come una grande meditazione che mette in contatto la vita concreta e il mistero della Trinità. W. KASPER, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo-chiave della vita cristiana, Gdt 361, Queriniana, Brescia 2013, 331, euro 26. Questo saggio è frutto di appunti presi per un ciclo di conferenze per esercizi spirituali. Deve la sua fortuna al fatto che papa Francesco, nei primi giorni del suo ministero petrino, lo citò apertamente, indicandolo come un ottimo studio per avere una conoscenza chiara e profonda della concezione biblica e cristiana della misericordia. Questo scritto cerca di mettere assieme i dati biblici con quelli teologici alla luce della tradizione spirituale cristiana antica e moderna. G. FALANGA (cur.), “Francesco ‘a fine d’ ‘o munno”, La Creazione Edizioni, Napoli 2013, pp. 40, euro 3. È un interessante libretto che presenta, oltre a un breve profilo biografico di papa Francesco, alcune spigolature raccolte dai primi interventi del nuovo “vescovo di Roma”, come lui ama definirsi. Sono piccoli flash (scritti dal cardinale Crescenzio Sepe, da alcuni docenti della Facoltà Teologica di Napoli e da altri rappresentanti del mondo ecclesiale, tra cui una giornalista di Tele Radio Padre Pio) sufficienti a illuminare la figura dell’uomo, del pastore che ha fatto subito “centro” nei cuori per la sua amabilità e simpatia. Dal loro contenuto risalta: il volto della Chiesa, popolo di Dio; l’azione dello Spirito Santo, artefice di unità; la gioia e l’amore per i poveri, che hanno ispirato Francesco d’Assisi; il compito di ogni cristiano di annunciare il Vangelo confessando Gesù Cristo crocifisso e risorto. L’aver titolato ‘a fine d’ ‘o munno, è spiegato nella Presentazione, non ci ricorda soltanto che il papa proviene geograficamente da un paese lontanissimo, ma richiama quell’esclamazione che, nella lingua napoletana, viene utilizzata quando si vuole esprimere, con un superlativo assoluto, qualcosa che non ha eguali, bella, proprio come il dono di Francesco... K. HILLENBRAND, Sacerdote del Concilio di fronte alla modernità. Con saggio introduttivo di p. Gianfranco Grieco, a cura di G. Grieco, LEV, Città del Vaticano 2013, pp. 126, euro 10. È splendido questo libro che ci consegna fedelmente l’immagine del presbitero alla luce del Vaticano II. L’autore incoraggia i fratelli nel sacerdozio a vivere fino in fondo la loro vocazione nella fedeltà piena alla Chiesa e all’uomo. Ci sono indicazioni molto concrete sulla vita del sacerdote e sulle sfide che l’attendono, soprattutto in quanto pastore e guida di una comunità nel nostro tempo.
S. RATTARO, Non volare via, Garzanti, Milano 2013, pp. 222, euro 14,90. Per essere straordinari non è necessario nascere perfetti. Matteo ama la pioggia, adora avvertire quel tocco leggero sulla pelle. È l'unico momento in cui è uguale a tutti gli altri, in cui smette di sentirsi diverso. Perché Matteo è nato sordo. Oggi è giorno di esercizi. La logopedista gli mostra un disegno con tre uccellini. Uno vola via. Quanti ne restano? La domanda è continua, insistita. Ma Matteo non risponde, la voce non esce, e nei suoi occhi profondi c'è un mondo fatto soltanto di silenzio. All'improvviso la voce, gutturale, dice: «Pecché vola via?». Un uccellino è volato via e Matteo l'ha capito prima di tutti. Prima della mamma, Sandra. Prima della sorella, Alice. È il padre a essere volato via, perché ha deciso di fuggire dalle sue responsabilità...
41
EVENTI La redazione
Salerno, 9 marzo 2013: Reliquie del B. Bonaventura da Potenza
rile 2013: Visciano, 25 ap onale M.I. Convegno regi Salerno, 21 aprile 2013: Accoglienza GiFra
Monticchio, 8 maggio 2013: Fra Giuseppe Cappello durante la processione di S. Michele
Maddaloni, marzo - maggio 2013: Forum sul Gesù della storia
Palmi, 24 aprile 2013: festa di P. Giorgio
Monticchio, 8 maggio 2013: visita alla fondazione “Insieme per”
Salerno, Via Crucis 2013
Napoli, 5 aprile 2013: Peregrinatio del corpo di S. Giuseppe da Copertino
e Nocera Inferiore, 31 maggio 2013: Raccolta fondi per il Malawi
Pompei, 1 giugno 2013: Celebrazione kolbiana con i gruppi M.I.
Maddaloni, 7 maggio 2013: compleanno di Mons. Pietro Farina e di P. Gianfranco Grieco 43
Continua da pagina 37 Purtroppo il modernismo tende a trasformare antichi rituali ed a sbiadire quei colori vivi e forti di un tempo, allorquando, non si badava troppo alle apparenze ma alla sostanza. La fede o la si aveva o no! I nostri preziosi anziani raccontano che i pellegrinaggi di un tempo rappresentavano “l’anima” dei credenti i cui gemiti, soffocati dai brutti tempi e dalla vita durissima, esplodevano incontrollabili tra le pietre dei tortuosi tratturi che conducevano ai diversi santuari dove vi si recavano, a piedi, per “chiedere la grazia” e tra quelle benedette mura, impregnate di sacro, di grazia, di pace, di Dio, quel “solenne” silenzio veniva turbato dai pianti, dalle urla, dagli affanni, dai sospiri, dalle richieste di grazia fatte ad alta voce e si vedevano ginocchia insanguinate perché erano tanti coloro che arrivavano nei luoghi sacri in ginocchio e con capo chino. Ma per quanto siamo in tempi moderni una cosa non è cambiata e né cambierà mai e cioè che l’uomo ha bisogno di Dio ed un’anima priva di Esso è visibilmente arida, vuota, misera ed impotente. “Bisogna avere fiducia di Dio solo” ha detto nell’omelia Padre Edoardo Scognamiglio, Ministro Provinciale dei Frati Minori Conventuali, che ha presieduto la Santa Messa vespertina nella Badia di Monticchio. “La devozione in questi anni è certamente cambiata” ci ha spiegato il rettore della Badia, Padre Giuseppe Cappello “ sono cambiati i modi e l’atteggiamento ma si riconosce la fede vera. I pellegrini che vengono qui sono davvero spinti da una forte devozione a San Michele e negli ultimi anni abbiamo cercato di “purificare” la festa in suo onore per trasformarla in un giorno di grazia. La viviamo come un momento forte di fede e di affidamento e nulla deve inquinare la sacralità e l’intimità con Dio”. Padre Giuseppe di questo è convinto al punto che ogni volta che deve incamminarsi la processione invita tutti, durante il percorso, a pregare e chi non è ha intenzione lo invita educatamente ad allontanarsi. Ma cosa bisogna fare per tornare a quella devozione forte di un tempo? “Rispettare prima di tutto il luogo Santo. La Chiesa è tempio di Dio. E’ il monte benedetto scelto da Dio e nel quale l’Arcangelo Sa Michele ha trovato dimora sconfiggendo il male. Occorre rispetto per Dio! Quando si varca la soglia della chiesa bisogna essere consapevoli che non si è nelle cose del mondo anche se Dio dobbiamo portarlo ovunque ma il luogo sacro è sacro! Solo così si ha la vera pace nel cuore!”. Parole sante che mi fanno venire in mente l’episodio di San Francesco di Assisi allorquando si recò a Monte Sant’Angelo, sul Gargano, e giunto sulla soglia della chiesa arrestò il suo passo dicendo all’amico che “non era degno di calpestare quel santo luogo di Dio in terra”. E oggi ci riconosciamo in questo?
Questo pio esercizio fu rivelato dall’arcangelo ad Antonia de Astonac e chiedeva nove invocazioni quanti sono i cori degli angeli promettendo “la particolare assistenza sua e di tutti gli angeli santi, durante la vita ed in purgatorio e di ottenere da Dio che colui che l’avesse venerato con la recita di questa coroncina prima della Santa Comunione, sarebbe stato accompagnato alla sacra Mensa da un angelo di ciascuno dei nove cori”. E’ antica tradizione che numerosi devoti partono all’alba dalla vicina Monteverde per raggiungere la grotta e partecipare alla Santa Messa mattutina. Un andare lento, composto racconta di un profondo raccoglimento interiore che eleva lo spirito “alle cose del cielo” e le loro mani esprimono tutta una devozione che anche il corpo sa raccontare senza bisogno di ricorrere a parole o spiegazioni. Le mani giunte in atteggiamento di preghiera, mani che, con calma, sgranano il santo rosario, mani che segnano la croce, mani che benedicono i propri figli, mani che toccano l’umida e santa roccia, mani che mandano baci all’Arcangelo, mani che depongono ai piedi di San Michele ceri votivi e fiori, mani che si elevano per invocare la Sua protezione, mani che asciugano le lacrime che solcano le guance perché ognuno non và alla grotta alleggerito ma carico del proprio fardello fatto di guai, di croci, di richieste, di intercessioni, di miracoli. È questo il pellegrino dei tempi moderni. L’aspetto più esteriore ha ceduto il posto ad una preghiera più intima, più raccolta, personale, discreta, contenuta. E non è un male perché secondo i sacerdoti “il cristiano deve essere sempre più in intimità con Dio”. Ma non dobbiamo confondere l’intimità con la tiepidezza perché va anche detto che spesso si incontrano nelle chiese persone, dichiaratamente cristiane, che dopo essersi segnate col segno della croce con svogliatezza, si guardano attorno o bisbigliano tra loro senza tener conto alcuno che si trovano nel tempio santo di Dio. 44
di Giuseppina Costantino
L’ultimo esorcismo 2 (The Last Exorcism Part II) Trama del film: Mentre Nell Sweetzer cerca di ricostruirsi una nuova vita dopo gli eventi del primo film, la forza maligna che l'aveva già posseduta ritorna con un piano ancora più terrificante. USCITA CINEMA: 04/07/2013 GENERE: Horror, Thriller REGIA: Ed Gass-Donnelly ATTORI: Ashley Bell PRODUZIONE: Arcade Pictures, Strike Entertainment, Studio Canal DISTRIBUZIONE: M2 Pictures PAESE: USA 2013 FORMATO: Colore
Il caso Kerenes
Amore carne Trama del film: Nel corso dei viaggi, i mezzi leggeri del cinema di Pippo Delbono catturano momenti unici, incontri ordinari o straordinari. Da una camera d'albergo a Parigi a un'altra a Budapest, da Istanbul a Bucarest, i percorsi intrecciano un tessuto del mondo contemporaneo. I suoi testimoni, alcuni famosi, altri no, dicono o danzano la loro visione dell'universo. Gli incontri sono altrettante immagini del mondo di ieri, di oggi, di domani. Un mondo che qualcuno racconta attraverso la musica o il gesto, oppure attraverso le parole o il silenzio. USCITA CINEMA: 27/06/2013 GENERE: Drammatico, Sociale REGIA: Pippo Delbono SCENEGGIATURA: Pippo Delbono ATTORI: Marisa Berenson, Pippo Delbono, Irène Jacob, Marie-Agnès Gillot FOTOGRAFIA: Pippo Delbono MUSICHE: Michael Galasso, Laurie Anderson, Alexander Balanescu PRODUZIONE: Compagnia Pippo Delbono, Cinémathèque Suisse, Casa Azul DISTRIBUZIONE: Tucker Film - PAESE: Svizzera, Italia 2011 DURATA: 75 Min - FORMATO: Colore
45
(Pozitia copilului) Trama del film: Cornelia è una donna benestante dell'alta società a cui non manca nulla, se non l'affetto del figlio Barbu, al quale dedica tutte le sue attenzioni in maniera ossessiva. Quando Barbu è coinvolto in un tragico incidente, Cornelia si dimostrerà pronta a tutto pur di evitare che finisca in prigione, senza capire che la vera libertà a cui il figlio aspira può concederla solo lei stessa… USCITA CINEMA: 13/06/2013 GENERE: Drammatico REGIA: Calin Peter Netzer SCENEGGIATURA: Razvan Radulescu, Calin Peter Netzer ATTORI: Luminita Gheorghiu, Bogdan Dumitrache, Natasa Raab, Florin Zamfirescu, Vlad Ivanov, Ilinca Goia MONTAGGIO: Dana Bunescu PRODUZIONE: Parada Film, Hai Hui Entertainement, HBO Romania DISTRIBUZIONE: Teodora Film PAESE: Romania 2013 FORMATO: Colore
CUCINA di nonna Giovannina
La Caprese al limone
e per farla cuocere meglio anche all’interno, copritela con un foglio di alluminio dopo circa mezz’ora che Ingredienti: sta cuocendo. 200 gr di mandorle; 5 uova; 200 gr. di zucchero; 200 Queste dosi sono adatte a uno stampo del diametro di gr. di cioccolato bianco; 150 gr. di burro; 50 gr. di fe- 22-24 centimetri. cola di patate; 1 bustina di lievito in polvere; 3 limoni; Limoncello q.b.; Zucchero a velo q.b. Idee e varianti: Preparazione: Potete servire la vostra caprese insieme a del gelato. Tritate il cioccolato bianco e fate fondere il burro in un pentolino. Nel frattempo sbattete le uova insieme Qualche curiosità a 100 grammi di zucchero per 10-15 minuti fino a ot- La caprese che qui abbiamo presentato è una variante tenere una crema gonfia e senza grumi. di quella tradizionale, ossia una torta di cioccolata e Frullate le mandorle assieme agli altri 100 grammi di mandorle, croccante fuori e morbida dentro, bassa e zucchero fino a ridurle in polvere, grattugiate le bucce molto carica di cioccolato fondente. La tradizione dei limoni e ricavate il succo da un solo limone. vuole che sia nata negli anni Venti del secolo scorso: Mettete in una ciotola il composto di mandorle, ag- il cuoco Carmine Di Fiore avrebbe dimenticato di giungete il cioccolato, la scorza dei limoni, la fecola mettere la farina in una torta di mandorle preparata di patate e il lievito in polvere. In seguito unite il per tre malavitosi americani giunti a Capri per acquiburro fuso, il limoncello e il succo di limone. Aggiun- stare una partita di ghette per Al Capone. Un errore gete delicatamente il composto di uova montate. imperdonabile si direbbe per un professionista del setAmalgamate bene fino alla scomparsa dei grumi. tore, ma che ha lanciato un mito, rendendo la torta Versate il composto ottenuto in uno stampo imbur- caprese uno dei simboli della cucina isolana. rato e infarinato, cuocete in forno preriscaldato a 170° La ricetta originale della caprese non prevede l’uso di C per circa 50-60 minuti, lasciate raffreddare e spol- farina, né del lievito. Si tratta di una torta dalla converizzate con zucchero a velo. sistenza molto particolare. Il “segreto” sta tutto nella Accorgimenti: lavorazione che deve inglobare più aria possibile per Per evitare l’annerimento della superficie della torta non avere l’effetto “mattone”. 46
47