‘ Editoriale
«Cosa dice a noi questa lunga stagione ecclesiale segnata dalla presenza di Papi santi e beati che hanno accompagnato la nostra storia dalla metà del XX secolo sino ai primi anni del secolo XXI?»
Gianfranco Grieco
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l 2014 è l’anno dei tre Papi come lo era stato il 1978. Allora, la morte di Paolo VI ( 6 agosto) l’elezione e la morte di Giovanni Paolo I ( 26 agosto- 28 settembre ) e poi l’elezione di Giovanni Paolo II (16 ottobre 1978) che ha servito la Chiesa sino al 2 aprile 2005. Quest’anno, invece, l’anno dei tre Papi, ha due tappe significative. La prima celebrata domenica 27 aprile con la canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II e la seconda, domenica 19 ottobre, beatificazione di Papa Paolo V I. I due eventi celebrativi, anche se poco distanti nel tempo, non possono non essere visti se non nel segno di quella continuità pentecostale che ha sempre guidato la Chiesa del nostro tempo inquieto. Cosa dice a noi questa lunga stagione ecclesiale segnata dalla presenza di Papi santi e beati che hanno accompagnato la nostra storia dalla metà del secolo XX sino ai primi anni del XXI secolo? Ci dice, in primo luogo, che noi abbiamo una compagnia sicura nel nostro cammino. Abbiamo la certezza di essere guidati da maestri e da testimoni che hanno creduto e sperato in una Chiesa migliore e in un mondo più a misura d’uomo; hanno lavorato per una Chiesa viva capace di dialogare con il mondo moderno e le sue variegate culture. Tutto questo, ci hanno insegnato Giovanni XXIII, Paolo VI, e Giovanni Paolo II: tre giganti che la
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Chiesa ha posto sul candelabro della santità eroica non per essere osannati, ma per essere imitati nella loro passione evangelica per Gesù, per la Chiesa, per il mondo. Ricordarli oggi e domani vuol dire anche leggere ed approfondire la portata storica del loro insegnamento verticale – Dio e uomo – e orizzontale Dio – mondo. Questi tre Papi “riformatori” che hanno celebrato e trasmesso il Concilio Vaticano II insegnano soprattutto questo alla Chiesa del nostro tempo: saper amare, saper servire, saper testimoniare. Questa testimonianza, è, nella Chiesa, come un fiume in piena. Dopo Giovanni, dopo Paolo, dopo Giovanni Paolo, ecco Papa Francesco. E la sequenza apostolica continua a meravigliare e a scuotere il sonno del mondo. Non è solo quello che appare che merita il nostro plauso, ma quello che questi quattro Uomini di Dio hanno detto e continuano a ripetere per dare forza e vigore alla nostra azione e per infondere coraggio e speranza per sognare un futuro migliore. Ben vengano quindi i Papi santi. Ben vangano i santi.
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EDITORIALE CHIESA NEWS - TERRA SANTA Ci scrivono... Sul Tabor del mondo Angelo e Krol Due Papi visti da vicino Dalla città dove tutto parla di Lolek Il mio viaggio in Terra Santa Papa Francesco a Gerusalemme Per fare la pace ci vuole coraggio Paolo VI beato A. Xuereb: un anno con Papa Francesco Papa Francesco e gli esercizi spirituali TERRA DEI FUOCHI Il Papa ai mafiosi: cambiate vita Don Giuseppe Diana Campania in bianco e nero FRANCESCANESIMO - SPIRITUALITÀ Il francescano incontra l’altro Angela da Foligno Due frati all’altare Verso i 90 anni di Luce Serafica Tre nuovi vescovi francescani conventuali SGUARDI SUL MONDO Europa. Sulle staminali Sulla Legge 40 America. Verso Philadelphia 2015 Sono arrivata al Garrahan Medio Oriente. La Siria così lontana Corea. Alzati, rivestiti di luce India. Una vittoria scontata Africa. 20 anni dopo il genocidio Mille idee per rinascere STORIA - EVENTI Mai più guerre Montecassino 70 anni prima Fosse Ardeatine Le rose per Ilaria DIALOGO - REPORTAGE Il dialogo dell’amore e della verità Cristo si è fermato a Eboli LETTERATURA - ARTE - CINEMA Quando i galli si davano voce Arte del Novecento in Basilicata Matera: il Vangelo secondo Matteo FAMIGLIA - SOCIETÀ - COSTUME Famiglia e catechismo Il medico in famiglia Unione Europea o Europa unita? La casa come luogo di relax SPORT I mondiali 2014 Il Napoli e la Coppa Italia EDITORIA Il Papa è bestseller - In libreria VARIE Con Maria, in attesa dello Spirito Una Gerusalemme sui Navigli Il Centro Missionario Francescano
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La foto dei lettori
CI SCRIVONO …. Pompei, Pasqua 2014 Grazie anche per la bella rivista Luce Serafica + TOMMASO CAPUTO ARCIVESCOVO PRELATO DI POMPEI Roma, 14 aprile 2014 Grazie, Gianfranco, per il fascicolo di Luce, davvero ricchissimo. Il mio contributo l’hai incorniciato da vero artista. L’insieme è un'ondata francescana che viene riversata sulla nostra famiglia napoletana. Mi auguro che la nostra comunità come i nostri studenti siano tra i destinatari della rivista … In compenso della tua fatica il plauso e l’affettuosa stima di tutti noi. Con un forte abbraccio “Buona Pasqua”! PADRE ORLANDO TODISCO
nalisti ben assortita e un respiro mondiale. Grazie! JEAN – BAPTISTE SOUROU
Roma, 23 aprile 2014 Mi piace molto LUCE SERAFICA: hai dato una splendida impostazione e sarei felice di collaborare. PADRE RAFFAELE DI MURO
Minsk, 13 gennaio 2014 Reverendissimo Padre, Ho ricevuto l’omaggio, estremamente gradito, del volume” Sopra il cielo di Ravello. 60 anni con il Beato Bonaventura da Potenza”. Ti ringrazio cordialmente per il cortese invio del testo, che in questi ultimi mesi ho avuto il piacere di frequentare a più riprese. Tra gli astri di cui risplende il cielo di Ravello, a me particolarmente cara per il titolo vescovile che porto, hai saputo cogliere con attenzione, mediante un’indagine condotta con grande acribia, e raccontare con passione i tratti salienti delle vita del beato, facendo emergere la forza intrinseca della scientia crucis che lo ha animato, spingendolo alla donazione totale e libera di sé, nella più radicale obbedienza. Nella certezza che questo testo potrà essere di grande interesse per molti, colgo l’occasione per rinnovarti la gratitudine ed esprimerti i miei più cordiali ossequi. AFF.MO + CLAUDIO GUGEROTTI ARCIVESCOVO TITOLARE DI RAVELLO NUNZIO APOSTOLICO IN BIELORUSSIA
Napoli, 15 aprile 2014 Innanzitutto grazie della bellissima rivista che mi ha inviato: chiara, ben scandita, completa, ricca di spunti interessanti… Ti mando il mio omaggio a don Diana. CONCHITA SANNINO Ravello, 16 aprile Ciao Padre Gianfranco, è stato un ritorno al passato e alla grande famiglia francescana. Al passato perché mi ricorda le vecchie edizioni della Rivista che leggevo tanto tempo fa e alla famiglia perché molti articoli sono di persone che ho imparato a conoscere grazie a te e che ora fanno parte anche della mia famiglia. Un grazie di cuore. MARIA ROSARIA SCHIAVO Assisi, 18 aprile 2014 Caro Padre Gianfranco, la rivista è arrivata oggi! Bella, con una squadra di gior-
COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Emanuela Bambara Giacomo Auriemma Mohammad Djafarzadeh Boutros Naaman SERVIZIO FOTOGRAFICO de L’Osservatore Romano
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Hanno collaborato: Card. Pietro Parolin, P. Pierbattista Pizzaballa, P. Federico Lombardi, Annamaria Esposito, Alessandro Gisotti, P. Rocco Rizzo, Conchitta Sannino, Orlando Todisco, Raffaele Di Muro, Emanuela Vinai, Dina Nerozzi, Thomas Hong-Soon Han, Josè Guillermo Guttiérez, Rosalba Trabalzini, Francesca Pace, Francesca Fraschetti, Jean-Baptiste Sourou, Card. Ennio Antonelli, Pierino Dilenge, Franco Vitelli, Giuseppe Appella, Enzo Natta, Andrea Giucci, Gaetano Frajese, Assunta Cefola, Mohammad Djafarzadeh, Giacomo Auriemma, Mario Baudino, Card. Gianfranco Ravasi, Angelo Scelzo, Francesco Donadio
27 APRILE 2014 DUE PAPI DUE SANTI
Sul Tabor del mondo feta del Vaticano II; il secondo, realizzatore e traghettatore dell’assise ecumenica che ha segnato e GIANFRANCO GRIECO GIORNALISTA E SCRITTORE continuerà a segnare il cammino storico della comunità ecclesiale e civile. Il rapporto chiesaall’alto della facciata del Maderno della ba- mondo infatti sognato da Papa Giovanni e trasilica di san Pietro i due Papi santi , Gio- dotto in impegni socio–politici, culturali e religiosi vanni XXIII e Giovanni Paolo II, da Giovanni Paolo II continua senza sosta nelle sembravano dirsi a vicenda: “Noi abbiamo fatto la coscienze degli uomini e delle donne di buona vonostra parte …” e, guardando il mondo, aggiunge- lontà. Si tratta di un cammino irto di ostacoli, ma vano: “La vostra ve la insegni Gesù Cristo”. Era la ciò che conta è l’essere docili allo Spirito anima consegna di santo Francesco nel sabato senza tra- della Chiesa. Partiva dalle piaghe di Cristo la meditazione di monto nell’ora dell’abbraccio con sorella morte. Domenica della divina misericordia, giorno pa- Papa Bergoglio per toccare i vertici della mistica squale in cui la Chiesa ritornava ad essere il cuore cristiana e della teologia del Concilio: “ Giovanni pulsante del mondo. Canonizzazione storica che XXIII e Giovanni Paolo II – rifletteva all’omelialegava il XX secolo – quello breve – e il nostro, hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripriquello della “modernità liquida”. Solo 9 anni dopo stinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisiola morte del Papa pellegrino per le strade del nomia originaria, la fisionomia che le hanno dato mondo (2 aprile 2005) e 51 anni dopo della morte i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che Papa buono ( 3 giugno 1963) che voluto il Concilio sono proprio i santi che mandano avanti e fanno Vaticano II. crescere la Chiesa”. Erano le 10.14 di domenica 27 aprile, seconda di Il Papa della docilità allo Spirito Santo, il primo; il Pasqua, della divina misericordia, festa da lui isti- Papa della famiglia, il secondo. Papi coraggiosi, tuita per onorare la sua santa preferita Faustyna Papi contemplativi che fanno diffuso nel mondo la Kowalska. Angelo e Karol, venivano proclamati gioia e la speranza cristiana. santi della Chiesa di Dio. La comunità cristiana da Agli 80 Papa santi si aggiungono ora due Papi del oggi li onora con la gioia e con il canto dell’anima. nostro tempo. Sono stati i due Papi più amati della stagione con- La corona dei santi brilla di nuova luce pasquale ciliare. Il Concilio infatti li unisce. Il primo, pro- che non conosce tramonto. da Roma
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Angelo, docile allo Spirito Karol, il Papa della famiglia PAPA FANCESCO
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an Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr. Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia. Sono stati sacerdoti, e vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza materna di Maria. In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia dimorava «una speranza viva», insieme con una «gioia indicibile e gloriosa» (1Pt 1,3.8). La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza. Questa speranza e questa gioia si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, di cui parlano gli Atti degli Apostoli (cfr 2,42-47), che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura. È una comunità in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità. E questa è l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella
convocazione del Concilio san Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata, guidata dallo Spirito. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo a me piace pensarlo come il Papa della docilità allo Spirito Santo. In questo servizio al Popolo di Dio, san Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene. Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia. Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama. 27 aprile 2014, Santa Messa e Canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, Piazza San Pietro Città del Vaticano. II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia).
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Due Papi visti da vicino Dziwisz: Pregava con la sua vita E ha offerto questa sofferenza per la Chiesa, per il mondo”. Non a caso Giovanni Paolo II è sempre stato accanto ai malati e ai più poveri. Come quando a San Francisco abbracciò quel bambino malato di Aids che nessuno voleva toccare o come nei suoi tanti viaggi all’estero: “Viaggiava tanto in Africa, o in Asia, soprattutto nei Paesi poveri. Per gridare, per dare voce alla gente che soffriva per la povertà e anche per gridare verso i ricchi del mondo affinché cambiassero comportamento verso i Paesi bisognosi di aiuto”. Quindi, l’ascolto degli altri,senza distinzioni: “Non significa che condivideva tutto quello che sentiva, ma rispettava la persona e non solamente i cristiani, ma anche i non credenti, i non cristiani, gli ebrei, i musulmani: un grande rispetto. Per questo era leader religioso per tutti. Ha combattuto tutti i muri. Penso che qui ha aperto la Chiesa al mondo e ha avvicinato il mondo alla Chiesa”. In Vaticano, con l’aiuto di Madre Teresa, Papa Wojtyla ha creato un centro per i meno fortunati e ha l cardinale Stanisław Dziwisz, arcivescovo di Cra- voluto un convento contemplativo, dove ora risiede il covia, segretario particolare di Giovanni Paolo II e Papa emerito Benedetto XVI. Infine, ma non ultimo, il il cardinale Loris Capovilla, segretario particolare cardinale Dziwisz ha menzionato il rapporto speciale di Giovanni XXIII, ci parlano del loro vita spesa accanto con i giovani: “Un rapporto di amicizia con i giovani, a due Papi Santi. “Ho vissuto con un Santo”- confessa- amicizia con la gente. Lui fin dall'inizio ha capito che i il cardinale polacco . È stato per 39 anni accanto a Karol giovani domandano, sono sensibili, che bisogna accomWojtyla. La preghiera, la sofferenza, l’ascolto degli altri, pagnarli,dar loro risposte”. ma anche il rapporto privilegiato con i malati, i poveri e i giovani: ecco la santità di Giovanni Paolo II. Prima CAPOVILLA Giovanni XXIII, Santo come un bambino ricordare Giovanni XXIII è stato invece, il cardidi tutto la preghiera costante: “Lui pregava con la sua nale Loris Capovilla, un “vecchio prete”, “comvita. Non si poteva dividere la preghiera dal lavoro. Tutta la sua vita era una preghiera. E anche tutto ciò mosso, confuso e intimidito”. Ai bambini, anche che faceva passava per la preghiera. Per chi pregava? musulmani, che vanno in visita a Sotto il Monte, il porDiversi parlano della preghiera geografica, cioè passava porato – ha detto – parla di quando a oltre 51 anni Anogni giorno Paese dopo Paese, Nazione dopo Nazione. gelo Roncalli morì. A ogni visitatore ripete: “Non ho E pregava per diverse cose: per la pace, per la giustizia, visto morire un vecchio uomo di 81 anni e 6 mesi, ho per il rispetto delle persone, per il rispetto dei diritti visto morire un bambino, perché aveva gli occhi splenumani e anche pregava per le persone concrete”. Tutta didi come un bambino, che hanno il fulgore delle acque la sua vita, poi, è stata segnata dalla sofferenza: dap- battesimali, e aveva il sorriso sulle labbra,che è la bontà prima la perdita della madre e del fratello, più tardi, il che sale dal profondo del cuore”. Perché il Santo, ha ri13 maggio 1981, l’attentato in Piazza San Pietro: “Sono cordato il porporato citando Georges Bernanos, “è colui stato dentro l’ambulanza con lui. Quando ancora era che non è mai uscito dall'infanzia”. Così si può parlare cosciente pregava – sottovoce, ma si sentiva - per l’at- di Giovanni XXIII, così si può parlare di Giovanni Paolo tentatore. Non sapeva chi era, ma già l'aveva perdonato. II:“La definizione di Papa Giovanni è due occhi e un
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sorriso. L’innocenza e la bontà. Lo dico anche per Gio- momentaneo, non era un’atmosfera particolare che si vanni Paolo II”. Il cardinale Capovilla ha dunque voluto è creata nella città in quei giorni di sofferenza, di lutto sottolineare anche la grandezza di Karol Wojtyla, ma anche di una percezione del soffio dello Spirito “presso il quale altare - ha aggiunto - io mi inginocchio Santo. Quel grido – “Santo subito!” – ha la sua consicon tutti i suoi fratelli e figli della Polonia e del mondo stenza storica, ha un riscontro oggettivo, ha una idenintero”. Quindi l'importanza del Concilio Vaticano II: tità che è iscritta nella vita di Karol Wojtyla – Giovanni “Tutto il mondo sembra essere in questi giorni interna- Paolo II, ed è piena di segni, manifestazioni di questa zionale. Questi eventi: prima la celebrazione del cin- santità. Vorrei ricordare le parole che ha voluto dire il quantennale dell’11 ottobre 1962, Gaudet Mater Papa emerito Benedetto in occasione del quarto anniEcclesia, poi l’Enciclica Pacem in terris. A tal proposito, versario di morte del suo predecessore, parlando della Giovanni Paolo II ha detto: impegno permanente del- casa che si è riempita del profumo di santità. Oggi, quel l'umanità. Poi il testamento di Giovanni Paolo II che grido “Santo subito!”, ha il profumo e la consistenza di ha detto a tutti noi – dopo 27 anni di pontificato, dopo una vita vissuta in maniera piena, compiuta secondo la aver percorso tutte le vie del mondo, aver parlato, ca- misura alta della risposta che l’uomo può dare alla chiatechizzato, evangelizzato il grande evento, che lui mata di Dio». stesso ha chiamato il più grande evento religioso e sto- Alla domanda: “Cosa l’ha colpita delle migliaia di testirico del secolo XX – quella parola che lascia un po’ tutti monianze inviate alla postulazione che continuano ad trepidanti: raccomando a chi verrà dopo di me di con- arrivare?” la risposta di mons. Oder è stata molto chiara tinuare a scavare...”. Inoltre, l’immae concreta: «Queste testimogine più commovente. La vicinanza TESTIMONIANZE nianze sono arrivate dal del mondo intero e del popolo di primo giorno dell’apertura C ARDINALE RUINI: “La caRoma a Giovanni XXIII morente, il del processo di Beatificanonizzazione di Giovanni 3 giugno 1963: zione e di Canonizzazione, Paolo II dia coraggio e fi«Io dissi a lui: “Santo Padre, come risposta all’editto che è ducia al mondo intero” qui siamo alcune poche stato esposto qui, nella curia di NAVARRO-VALLS: ”Giovanni Roma, e a Cracovia come risposta persone nella camera, Paolo II, Santo anche per ma se vedeste la all’annuncio che è stato difcome comunicava Dio” Piazza...”. Credevo che – fuso dai media mondiali riservato com'era e contracirca la dispensa che Papa ARCIVESCOVO Marini: rio ai complimenti – mi dicesse: “La- “Parlava con Dio quando Benedetto ha voluto conscia perdere”! Invece mi disse: “È celebrava la santa Messa” cedere per l’apertura del naturale che sia così, muore il Papa. processo. La gente parla di Io li amo! Loro mi amano!”». tante cose; la cosa che mi ha colpito è che Giovanni Paolo II continua ad essere presente: non è una storia ODER Il nostro Karol continuerà ad ispirarci compiuta, un capitolo chiuso, qualcosa demandato anto Subito”: era il grido dei fedeli il giorno delle ormai soltanto alla memoria. E’ una presenza che ansolenni esequie di Papa Wojtyla, l’8 aprile del cora continua ad ispirare molte persone, una persona 2005. Proprio da quel grido trasformato in invocazione che continua a ripetere con l’esempio della sua vita e muove la riflessione del postulatore della Causa, mons. con il dono di santità: “Non abbiate paura! Aprite, spaSlawomir Oder: “ Effettivamente quel giorno, l’8 aprile lancate le porte a Cristo!”. Questa cosa mi ha colpito 2005, fu quasi un’acclamazione secondo le antiche tra- molto moltissimo: come proprio queste parole prodizioni della Chiesa, da parte del popolo che diceva: grammatiche di Giovanni Paolo II siano state iscritte «“Santo! È morto un Santo!”. Se inizialmente forse qual- profondamente nei cuori della gente, e a queste parole cuno è rimasto meravigliato e stupito dinanzi alla de- la gente ritorna: ritorna nei momenti di difficoltà, nei cisione di svolgere comunque l’inchiesta canonica, oggi momenti di problemi che affronta ogni uomo che è in penso – a distanza di questi nove anni, ormai a processo cammino su questa terra. Sono parole che incoraggiano, compiuto – che questa sia stata una scelta illuminata perché non sono rimaste solo le parole dell’inizio del dallo Spirito Santo: un grande dono fatto per la memo- Pontificato, ma sono parole confermate da una vita visria di Giovanni Paolo II e per la Chiesa. Infatti, quel suta, concreta, una vita che ha fatto sì che Giovanni grido che abbiamo sentito non era soltanto un grido Paolo II sia entrato nella nostra vita e ci accompagna».
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BENEDETTO XVI ESALTA GIOVANNI PAOLO II
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l Papa emerito Benedetto XVI in uno scritto inedito parla del suo predecessore ma si sofferma anche sulle linee portanti di quel memorabile pontificato. Il primo “giudizio” è quello sulle encicliche più importanti di Giovanni Paolo II. Su 14 egli indica le seguenti: 1. Redemptor hominis del 1979 in cui Papa Wojtyla “offre la sua personale sintesi della fede cristiana”, che oggi “può essere di grande aiuto a tutti quelli che sono ancora in ricerca”. 2. Redemptoris missio del 1987, che “mette in risalto l’importanza permanente del compito missionario della Chiesa”. 3. Evangelium vitae del 1995 che “sviluppa uno dei tempi fondamentali dell’intero pontificato di Giovanni Paolo II: la dignità intangibile della vita umana, sin dal primo istante del suo concepimento”. 4. Fides et ratio del 1998, che “offre una nuova visione del rapporto tra fede cristiana e ragione filosofica”. 5. Veritatis splendor del 1993, sui fondamenti della morale. È questa l’enciclica più trascurata e inapplicata tra tutte quelle di Giovanni Paolo II, ma che Ratzinger dice doveroso studiare e assimilare soprattutto oggi. 6. Dominus Iesus, del 2000 in questa Dichiarazione egli “riassume gli elementi irrinunciabili della fede cattolica”. Di Papa Wojtyla Benedetto XVI ammira “il coraggio con il quale assolse il suo compito in un tempo veramente difficile. Giovanni Paolo II non chiedeva applausi,né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di prim’ordine della santità”.
San Giovanni Paolo II dal finestrone del convento di santa Dorotea benedice i fedeli raccolti davanti alla chiesa dopo la visita pastorale (I Domenica di Quaresima - 17 febbraio 1991)
ELIO BOLIS, Solo un “Papa buono”?, Spiritualità di Giovanni XXIII, Edizioni San Paolo, Milano 2014 STANISLAW DZIWISZ, Ho vissuto con un santo, Rizzoli, Milano 2014 FILIPPO ANASTASI, In viaggio con un santo, Edizioni Messaggero, Padova 2014 GIOVANNI XIII, Il Giornale dell’anima. Cammino di santità, Edizioni San Paolo, Milano 2014 GIOVANNI XXIII, Primavera di speranza, Edizioni Messaggero, Padova 2014 GIOVANNI XXIII, La vita del “Papa buono” nelle sue parole, Corriere della Sera, Milano 2014 GIOVANNI PAOLO II, Vi racconto la mia vita, Corriere della sera, Milano 2014 STANISLAW DZIWISZ, Czeslaw Drazek, Renato Buzzonetti, Angelo Comastri, Lasciatemi andare. La forza della debolezza di Giovanni Paolo II, Edizioni San Paolo, Milano 2006 e 2014 PER GIANFRANCO GRIECO, Giovanni Paolo II tra le civiltà del mondo, Edizioni San Paolo, Milano 2007 GIANFRANCO GRIECO, Santo subito!”, Giovanni Paolo II visto da vicino, Edizioni Velar, BerSAPERE gamo 2011 GIANFRANCO GRIECO, Cronaca di giorni di luce, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011 DI PIÙ SAVERIO GAETA- SLAWOMIR ODER, Karol il Santo, Vita e miracoli, Edizioni San Paolo, Milano 2014 WLODZIMIERZ REDZIOCH, (A CURA DI) Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano, con un contributo esclusivo del Papa emerito Benedetto XVI, Edizioni Ares, Milano 2014 ANDREA RICCARDI, Giovanni Paolo II Santo, La biografia, Edizioni San Paolo, Milano 2011 e 2014 ANDREA RICCARDI, La santità di Papa Wojtyla, Edizioni San Paolo, Milano 2014 ANDREA RICCARDI, L’uomo dell’incontro. Angelo Roncalli e la politica internazionale, Edizioni San Paolo, Milano 2014 MARCO RONCALLI, Papa Giovanni il Santo, Edizioni San Paolo, Milano 2014 GIANFRANCO SVIDERCOSCHI, Una vita con Karol, Rizzoli, Milano 2007 GIANFRANCO SVIDERCOSCHI, Un Papa che non muore, l’eredità di Giovanni Paolo II, Edizioni San Paolo, Milano 2009
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Giovanni Paolo II sosta ai piedi delle tre cime di Lavaredo (1987)
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Dalla città dove tutto parla di Lolek
La spianata davanti al Santuario della Divina Misericordia il giorno della canonizzazione di Giovanni Paolo II. Nel Santuario sono custodite le spoglie della Santa Faustina Kowalska, beatificata nel 1993 e proclamata Santa nel 2000 da Wojtyla. da Cracovia
ANNAMARIA ESPOSITO GIORNALISTA INVIATO
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Cracovia. La panca all'interno della Chiesa di San Francesco, davanti all'Arcivescovado, dove San Giovanni Paolo II era solito andare a pregare quando era Arcivescovo.
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rrivando a Cracovia si entra subito in un clima di pacificazione e di speranza. Il primo banchetto che vende i famosi precel, i tipici taralli locali giganti a forma di ciambella intrecciata, si incontra all'interno dell'aeroporto poco prima delle porte scorrevoli. Un aeroporto che si chiama “Karol Wojtyła” e che si sta espandendo, segno che la città che per molti è la più bella della Polonia, guarda con fiducia ai tanti turisti e ai pellegrini che assicurano già presenze massicce e che arriveranno sempre più numerosi dopo la canonizzazione del loro Lolek. Guardando quel banchetto che vende precel per pochi centesimi di Złoty, immagino che forse anche Giovanni Paolo II, quando tornava a trovare la sua Polonia aveva voglia di sgranocchiare quel piccolo simbolo della sua terra, così popolare e presente nella quotidianità dei suoi concittadini. In ogni angolo della Polonia c’è il segno di Wojtyla, persino in una delle casette, graziose e ordinate, tipiche della campagna polacca, che sorgono vicino al campo di sterminio di Auschwitz – Birkenau, a pochi chilometri da Cracovia. La sua foto è esposta sul vetro di una delle finestre che danno sulla strada di campagna che porta dritta al campo. È la sintesi della forza di un Pontefice che ha cambiato la storia nei suoi incroci più difficili. Il primo discepolo di Pietro ad aver varcato la soglia dell’orrore del campo di sterminio più grande partorito dalla follia nazista. E'
Campo di sterminio di Auschwitz Birkenau. Due giorni dopo la canonizzazione di Papa Wojtyla si è svolta la 26 esima Marcia dei Viventi, migliaia di giovani ebrei da tutto il mondo marciano da Auschwitz a Birkenau per ricordare le vittime della Shoah.
lì che quando era Cardinale a Cracovia, il più giovane della Chiesa, Wojtyła ha piantato il germe del dialogo ritrovato con quelli che chiamava i suoi “Fratelli maggiori”, gli Ebrei. Era il 7 giugno del 1979. “Non potevo non tornare qui da Papa”, disse il futuro Santo, che fin da giovane aveva visitato quei luoghi, sopravvissuto egli stesso ad una guerra che uccise sei milioni di polacchi, tanti quante furono le vittime della Shoah. “A nessuno è lecito, davanti alla tragedia della Shoah, passare oltre. Quel tentativo di distruggere in modo programmato tutto un popolo si stende come un’ombra sull’Europa e sul mondo intero; è un crimine che macchia per sempre la storia dell’umanità. Valga questo, almeno oggi e per il futuro, come un monito: non si deve cedere di fronte alle ideologie che giustificano la possibilità di calpestare la dignità umana sulla base della diversità di razza, di colore della pelle, di lingua o di religione. Rivolgo il presente appello a tutti, e particolarmente a coloro che nel nome della religione ricorrono alla sopraffazione e al terrorismo”. Undici anni dopo, già provato dalla malattia, compirà lo storico pellegrinaggio giubilare di sette giorni nei Luoghi Santi, e si inginocchierà' in un momento di contrizione e di preghiera davanti al Muro Occidentale.
Ogni venerdì Wojtyła da Arcivescovo di Cracovia faceva la sua Via Crucis. Usciva dalla sede del Palazzo Arcivescovile, attraversava la via Floriańska ed entrava in una delle basiliche più antiche di Cracovia, la duecentesca chiesa di San Francesco, officiata dai frati minori conventuali polacchi. Nella piazza davanti alla basilica, otto sono i bronzi dedicati alla sua spiritualità, al percorso della sua fede. Nel Planty, il parco che cinge il centro storico di Cracovia, una mostra permanente racconta ai passanti il personaggio e la sua santità di vita. Sobria e capace di accogliere i fedeli nella preghiera e nel raccoglimento, la basilica francescana presenta subito un unico elemento di “modernità”: la vetrata realizzata sulla facciata del tempio dedicato al Santo di Assisi da uno dei più famosi artisti polacchi, Stanisław Wyspiański che era anche poeta e drammaturgo. E chissà se guardando quella raffigurazione sacra di Dio Padre, il futuro pontefice non abbia apprezzato l'opera di un raffinato uomo di teatro, che attraverso i suoi drammi raccontava la storia del suo Paese e della sua gente. Wojtyła si fermava a pregare in fondo alla chiesa, nella seconda panca entrando a di sinistra. L'ultima, verso la parete di marmo. La chiesa è buia e aveva 14
scelto, si dice, il posto che si trovava proprio sotto uno dei lumi ai lati della navata centrale. Una piccola targa ne ricorda la sua presenza e ci colpisce come alzando lo sguardo verso destra incontriamo subito una raffigura-
zione della Madonna. Wojtyła dunque pregava nella chiesa di San Francesco e vicino alla Madonna alla quale era filialmente devoto. Ma la basilica di San Francesco, così vicina all'arcivescovado gli offriva un’altra opportunità: quella di rivivere i misteri della Via Crucis, ogni venerdì, nella cappella laterale. È una cappella di recente costruzione , molto successiva all'edificio originario, tardo ottocentesca ma che resta essenziale, con le pareti chiare, con un piccolo l'altare, i confessionali (che qui sono aperti) e soprattutto le Stazioni della Via Dolorosa. La Via Crucis era per il Papa Santo forse la prova e il momento di preghiera più importante, tanto che egli stesso da Pontefice, chiamò a recitare i testi personalità religiose, laiche e intellettuali. Questa cappella di Cracovia accoglie il cammino della Via Crucis in tutto il suo spazio. Ci si può soffermare in preghiera e raccoglimento su quella panca, in un angolo quasi nascosto nella basilica di San Francesco dove Wojtyła era solito andare a pregare, e provare un sentimento di fede e di grande spiritualità. Ma il momento più commovente della visita a Cracovia per la canonizzazione è stato riascoltare la voce di Wojtyła mentre veniva proiettata la sua immagine tridimensionale sulla finestra dell’Arcivescovado da dove era solito affacciarsi per parlare ai fedeli, ai suoi concittadini polacchi. La sera della vigilia della canonizzazione una folla commossa si è raccolta in silenzio ad ascoltarlo, con lo sguardo fisso verso la sua immagina, un pellegrinaggio per abbracciare idealmente il Papa Santo, il loro Lolek. L’impressione è che al popolo polacco Wojtyla manca più che a noi.
Campo di sterminio di Auschwitz Birkenau. L'interno di uno dei caseggiati dove dormivano ammassati i deportati.
Papa Francesco: Vi racconto il mio viaggio in Terra Santa
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l pellegrinaggio in Terra Santa è stato un grande dono per la Chiesa, e ne rendo grazie a Dio. Egli mi ha guidato in quella Terra benedetta, che ha visto la presenza storica di Gesù e dove si sono verificati eventi fondamentali per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam. Desidero rinnovare la mia cordiale riconoscenza a Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal, ai Vescovi dei vari Riti, ai Sacerdoti, ai Francescani della Custodia di Terra Santa. Questi Francescani sono bravi! Il loro lavoro è bellissimo, quello che loro fanno! Il mio grato pensiero va anche alle Autorità giordane, israeliane e palestinesi, che mi hanno accolto con tanta cortesia, direi anche con amicizia, come pure a tutti coloro che hanno cooperato per la realizzazione della visita. 1. Lo scopo principale di questo pellegrinaggio è stato commemorare il 50° anniversario dello storico incontro tra il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora. Fu quella la prima volta in cui un Successore di Pietro visitò la Terra Santa: Paolo VI inaugurava così, durante il Concilio Vaticano II, i viaggi extra-
italiani dei Papi nell’epoca contemporanea. Quel gesto profetico del Vescovo di Roma e del Patriarca di Costantinopoli ha posto una pietra miliare nel cammino sofferto ma promettente dell’unità di tutti i cristiani, che da allora ha compiuto passi rilevanti. Perciò il mio incontro con Sua Santità Bartolomeo, amato fratello in Cristo, ha rappresentato il momento culminante della visita. Insieme abbiamo pregato presso il Sepolcro di Gesù, e con noi c’erano il Patriarca Greco-Ortodosso di Gerusalemme Theophilos III e il Patriarca Armeno Apostolico Nourhan, oltre ad Arcivescovi e Vescovi di diverse Chiese e Comunità, Autorità civili e molti fedeli. In quel luogo dove risuonò l’annuncio della Risurrezione, abbiamo avvertito tutta l’amarezza e la sofferenza delle divisioni che ancora esistono tra i discepoli di Cristo; e davvero questo fa tanto male, male al cuore. Siamo divisi ancora; in quel posto dove è risuonato proprio l’annuncio della Risurrezione, dove Gesù ci dà la vita, ancora noi siamo un po’ divisi. Ma soprattutto, in quella celebrazione ca-
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rica di reciproca fraternità, di “Abbiamo condiviso la volontà di cam- accogliente, lo benedica tanto! stima e di affetto, abbiamo minare insieme, fare tutto quello che E noi dobbiamo pregare perché sentito forte la voce del Buon da oggi possiamo fare: pregare insieme, il Signore benedica questa acPastore Risorto che vuole fare lavorare insieme per il gregge di Dio, coglienza e chiedere a tutte le di tutte le sue pecore un solo cercare la pace, custodire il creato, istituzioni internazionali di aiugregge; abbiamo sentito il de- tante cose che abbiamo in comune. E tare questo popolo in questo lasiderio di sanare le ferite an- come fratelli dobbiamo andare avanti”. voro di accoglienza che fa. cora aperte e proseguire con PAPA FRANCESCO Durante il pellegrinaggio anche tenacia il cammino verso la Udienza Generale 28 maggio 2014 in altri luoghi ho incoraggiato piena comunione. Una volta le Autorità interessate a prosein più, come hanno fatto i Papi precedenti, io chiedo guire gli sforzi per stemperare le tensioni nell’area perdono per quello che noi abbiamo fatto per favo- medio-orientale, soprattutto nella martoriata Siria, rire questa divisione, e chiedo allo Spirito Santo che come pure a continuare nella ricerca di un’equa soci aiuti a risanare le ferite che noi abbiamo fatto agli luzione al conflitto israeliano-palestinese. Per quealtri fratelli. Tutti siamo fratelli in Cristo e col pa- sto ho invitato il Presidente di Israele e il Presidente triarca Bartolomeo siamo amici, fratelli, e abbiamo della Palestina, ambedue uomini di pace e artefici condiviso la volontà di camminare insieme, fare di pace, a venire in Vaticano a pregare insieme con tutto quello che da oggi possiamo fare: pregare in- me per la pace. E per favore, chiedo a voi di non lasieme, lavorare insieme per il gregge di Dio, cercare sciarci soli: voi pregate, pregate tanto perché il Sila pace, custodire il creato, tante cose che abbiamo gnore ci dia la pace, ci dia la pace in quella Terra in comune. E come fratelli dobbiamo andare avanti. benedetta! Conto sulle vostre preghiere. Forte, pre2. Un altro scopo di questo pellegrinaggio è stato in- gate, in questo tempo, pregate tanto perché venga coraggiare in quella regione il cammino verso la la pace. pace, che è nello stesso tempo dono di Dio e impe- 3. Questo pellegrinaggio in Terra Santa è stato anche gno degli uomini. L’ho fatto in Giordania, in Pale- l’occasione per confermare nella fede le comunità stina, in Israele. E l’ho fatto sempre come pellegrino, cristiane, che soffrono tanto, ed esprimere la gratinel nome di Dio e dell’uomo, portando nel cuore tudine di tutta la Chiesa per la presenza dei cristiani una grande compassione per i figli di quella Terra in quella zona e in tutto il Medio Oriente. Questi che da troppo tempo convivono con la guerra e nostri fratelli sono coraggiosi testimoni di speranza hanno il diritto di conoscere finalmente giorni di e di carità, "sale e luce" in quella Terra. Con la loro pace!Per questo ho esortato i fedeli cristiani a la- vita di fede e di preghiera e con l’apprezzata attività sciarsi "ungere" con cuore aperto e docile dallo Spi- educativa e assistenziale, essi operano in favore della rito Santo, per essere sempre più capaci di gesti di riconciliazione e del perdono, contribuendo al bene umiltà, di fratellanza e di riconciliazione. Lo Spirito comune della società. permette di assumere questi atteggiamenti nella vita Con questo pellegrinaggio, che è stata una vera graquotidiana, con persone di diverse culture e reli- zia del Signore, ho voluto portare una parola di spegioni, e così di diventare "artigiani" della pace. La ranza, ma l’ho anche ricevuta a mia volta! L’ho pace si fa artigianalmente! Non ci sono industrie di ricevuta da fratelli e sorelle che sperano «contro pace, no. Si fa ogni giorno, artigianalmente, e anche ogni speranza» (Rm 4,18), attraverso tante soffecol cuore aperto perché venga il dono di Dio. Per renze, come quelle di chi è fuggito dal proprio Paese questo ho esortato i fedeli cristiani a lasciarsi "un- a motivo dei conflitti; come quelle di quanti, in digere". verse parti del mondo, sono discriminati e disprezIn Giordania ho ringraziato le Autorità e il popolo zati a causa della loro fede in Cristo. Continuiamo a per il loro impegno nell’accoglienza di numerosi stare loro vicini! Preghiamo per loro e per la pace in profughi provenienti dalle zone di guerra, un impe- Terra Santa e in tutto il Medio Oriente. La preghiera gno umanitario che merita e richiede il sostegno co- di tutta la Chiesa sostenga anche il cammino verso stante della Comunità internazionale. Sono stato la piena unità tra i cristiani, perché il mondo creda colpito dalla generosità del popolo giordano nel ri- nell’amore di Dio che in Gesù Cristo è venuto ad cevere i profughi, tanti che fuggono dalla guerra, in abitare in mezzo a noi. quella zona. Che il Signore benedica questo popolo Udienza Generale, 28 maggio 2014 17
Papa Francesco a Gerusalemme Card. Parolin: riprendere con coraggio il cammino da Città del Vaticano
CARD. PIETRO PAROLIN SEGRETARIO DI STATO
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ullo storico incontro di Francesco e Bartolomeo al Santo Sepolcro e sull’invito del Papa a Peres e Abbas per un incontro di preghiera per la pace in Vaticano, questo è il commento del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin: “Penso che questo incontro, che è stato molto commovente. Questo ritrovarci insieme, possa costituire un grande stimolo al cammino ecumenico. Secondo me, c’è bisogno di ritrovare entusiasmo in questo cammino, perché sono stati fatti tanti passi, dal Concilio in poi, da quando Paolo V I incontrò il Patriarca Atenagoras, 50 anni fa. Ma c’è bisogno proprio di rinnovare i cuori e di riprendere con coraggio questo cammino, che è il cammino dell’unità, che è il cammino che Gesù vuole per la sua Chiesa. Quindi io spero davvero che da questo incontro possa venire un nuovo impulso, una promozione proprio dell’ecumenismo a livello di tutta la Chiesa”. Alla domanda: “Per quanto riguarda la pace, questo gesto è stato molto forte da parte del Papa: come è stato accolto da parte palestinese ed israeliana?”. “Da quello che ho potuto percepire – ha risposto è stato accolto molto positivamente. Anche qui sottolineiamo, ancora una volta, la forza della preghiera. Credo che il Papa voglia sottolineare questo. Di fronte alle tante difficoltà che ci sono - politiche, diplomatiche - a quel groviglio di difficoltà e di problemi che esistono qui e che abbiamo sperimentato anche in questi due giorni che siamo rimasti qui, il Papa vuole – una volta di più – riaffermare la forza della preghiera, che può unire i cuori e dare a tutti quella capacità di prendere decisioni coraggiose. Il Papa ha parlato di questo ed io sottolineerei proprio questo: decisioni coraggiose. Da parte di tutti si deve essere capaci di fare scelte che possano davvero portare alla pace. La pace – ha concluso- è un dono di Dio. Quando si parla di pace dono di Dio, io dico sempre
che il dono è la trasformazione del nostro cuore: questa, è la mia interpretazione del dono di Dio. Non è un dono confezionato che viene dall’alto, ma è una trasformazione dei cuori, capaci di essere artigiani, operatori di pace giorno per giorno. Questo è il dono di Dio. Che noi sappiamo accoglierlo proprio e ci lasciamo trasformare dal suo Santo Spirito”. da Gerusalemme
PADRE PIERBATTISTA PIZZABALLA CUSTODE DI TERRA SANTA
Padre Pizzaballa: viaggio storico a seguito da vicino il Papa nel suo pellegrinaggio, il custode di Terra Santa, il padre francescano minore Pierbattista Pizzaballa. Questo il suo commento:”Si tratta di un momento storico. È stata una visita con un fortissimo impatto, soprattutto nell’incontro al Santo Sepolcro: l’abbraccio tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomaoios I è stato un momento molto emozionante che credo abbia segnato questa visita. La proposta del Papa per un incontro di pace in Vaticano, come è stata accolta qui in Terra Santa? “Con curiosità - ha risposto il religioso -. C’è sempre qualcuno che è un po’ scettico, ma anche un atteggiamento positivo, come qualcosa di nuovo che forse può aiutare a sbloccare la situazione”. I cristiani di Gerusalemme sono un po’ delusi per le misure di sicurezza: molti non sono potuti andare a Betlemme; qui Gerusalemme è blindata. Che cosa può dire loro? “Hanno ragione- ha detto con forza il padre custode. Le misure di sicurezza sono pesantissime; sembrava di essere in un accampamento militare e non ad una visita pastorale. Ma questa è una necessità alla quale il Papa non ha potuto sottrarsi. Alla domanda:”Cosa potrà portare alla Terra Santa questa visita del Papa?” padre Pizzaballa ha così risposto: “Nel tempo porterà sicuramente frutti molto positivi nel dialogo tra i cristiani e con i nostri fratelli ebrei e musulmani”.
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da Città del Vaticano
PADRE FEDERICO LOMBARDI DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE
Padre Lombardi: il Papa mostra la forza reale della fede ul viaggio del Papa in Terra Santa, a partire dal cuore di questo pellegrinaggio, lo storico incontro al Santo Sepolcro tra Francesco e Bartolomeo, questa è la riflesssione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi: “E’ stato un incontro molto atteso, molto desiderato da tutti e due. Un incontro che risale, come intenzione e come origine, ai primi giorni di questo pontificato, al primo incontro fra questo Papa e il Patriarca Bartolomeo, quando Bartolomeo venne, proprio per partecipare – anche quella era una prima assoluta – all’inaugurazione del pontificato di Papa Francesco. Allora, gli propose di venire insieme in Terra Santa, per celebrare questo anniversario così importante. Mi pare che tutti e due lo abbiano vissuto con la piena consapevolezza di quello che questo può essere sul cammino dell’ecumenismo, invitando con cordialità anche le altre confessioni a partecipare. E questa è stata una grande novità, una bella novità. Il Papa ha rimesso sul tavolo, direi, se così si può dire, la sua disponibilità, sulla traccia di quello che già avevano fatto i suoi predecessori, a una riflessione profonda sul servizio del vescovo di Roma come servizio per tutti i cristiani, per l’amore e la comunione fra tutti i cristiani, come può essere pensato, come può essere ripensato oggi, in modo – egli ha detto - anche nuovo. E questa è un’offerta di grande coraggio e di grande generosità ma è così che l’ecumenismo può andare avanti. E attingere la forza, la gioia, l’ispirazione per l’ecumenismo, proprio andando a pregare insieme, nel sepolcro di Cristo Risorto, è qualcosa di molto importante”. Alla domanda:” Quali le reazioni all’invito
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che il Papa ha fatto ai due presidenti a pregare per la pace, in quella che ha chiamato “la casa in Vaticano”?, la riposta è stata:” Mi pare che le reazioni siano state tante, che sia stata considerata un po’ una delle grandi notizie di questa giornata ed effettivamente un’offerta originale, coraggiosa, da parte del Papa. Se l’ha fatta, evidentemente, aveva la consapevolezza che poteva essere accolta. Credo che è bello che il Papa fa l’offerta che è di sua competenza. Il Papa è un uomo religioso, è un leader religioso e morale: che cosa propone lui per fare la pace? Non una trattativa diplomatica particolare - anche se dice che ce n’è bisogno naturalmente, ma non è la sua competenza -, non un rafforzamento degli eserciti, ma propone un mettersi davanti a Dio, chiedere a Dio l’aiuto per fare qualche cosa che noi non siamo finora riusciti a fare e che quindi deve venire anche dall’aiuto di qualcun altro. E per convertirci noi stessi, per toccare, modificare i nostri cuori, in modo tale, da renderli più capaci di incontro, di dialogo, di accettazione dell’altro: uscire da noi stessi per potere andare sulle vie nuove della pace. Il Papa ha fatto questa offerta che è la sua competenza. E’ bello che un’offerta di questo genere appaia realistica, proprio in un contesto in cui la pace sembra da tanto tempo così difficile, per non dire impossibile alle forze umane. E che quindi si accolga con emozione, con interesse, direi con gratitudine, il gesto di coraggio di un Papa che invita a pregare per la pace i rappresentanti di popoli che finora non sono riusciti ad accordarsi nella pace e che la gente sia contenta di questo e trovi che sia una cosa positiva, è un bel segno che la forza spirituale in questo mondo è qualche cosa di profondamente reale, profondamente presente e speriamo di prontamente efficace per far cambiare le cose”. I giorni che verranno illumineranno ancora di più questa visita chedallacronacaèpassarasubitoallastoria.
INVOCAZIONE PER LA PACE IN TERRA SANTA
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lle ore 19 di DOMENICA 8 GIUGNO ha avuto luogo nei Giardini Vaticani l’iniziativa Invocazione per la pace alla quale il Santo Padre Francesco, nel corso del suo recente pellegrinaggio in Terra Santa, aveva invitato i Presidenti Shimon Peres e Mahmoud Abbas per chiedere il dono della pace fra i popoli Israeliano e Palestinese. I Presidenti Shimon Peres e Mahmoud Abbas sono arrivati in Vaticano rispettivamente alle ore 18.15 e 18.30 circa e il Santo Padre li ha ricevuti all’ingresso della Domus Santa Marta, intrattenendosi per un breve colloquio, prima con l’uno e poi con l’altro. Successivamente Papa Francesco e i due Presidenti si sono incontrati nella Hall di Santa Marta e si è unito a loro il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I; insieme hanno raggiunto quindi in auto il luogo della celebrazione nei Giardini Vaticani dove li attendevano le rispettive Delegazioni. L’incontro è iniziato con le seguenti parole: "Il Signore vi conceda la pace! Siamo convenuti in questo luogo, Israeliani e Palestinesi, Ebrei, Cristiani e Musulmani, per offrire la nostra preghiera per la pace, per la Terra Santa e per tutti i suoi abitanti". Tre, i tempi dell’Incontro a cui è seguita una conclusione. Ogni tempo è stato dedicato alla preghiera da parte di una delle tre comunità religiose, in ordine cronologico: Ebraica, Cristiana, Musulmana. Ogni tempo è stato suddiviso in tre parti. La prima parte ha previsto un'espressione di lode a Dio per il dono della creazione, e per averci creato membri di una sola famiglia umana. La seconda parte era una richiesta di perdono a Dio per aver mancato di comportarci come fratelli e sorelle; e per i peccati contro Dio e contro il nostro prossimo. Nella terza parte si è elevata un'invocazione a Dio affinché conceda il dono della pace in Terra Santa e renda tutti capaci di essere costruttori di pace. Ognuno di questi tre momenti è stata scandita da un breve intermezzo musicale. Una meditazione musicale più prolungata ha concluso ognuna delle tre parti principali. Al termine, prima di scambiarsi una stretta di mano e piantare un piccolo albero di ulivo, quale segno del comune desiderio di pace fra il popolo Palestinese e il popolo Israeliano, hanno preso la parola Papa Francesco, il Presidente Shimon Peres ed il Presidente Mahmoud Abbas.
Preghiera Signore Dio di pace, ascolta la nostra supplica! Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace. Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, Dio Amore che ci hai creati e ci chiami a vivere da fratelli, donaci la forza per essere ogni giorno artigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino. Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perché vinca finalmente la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen. PAPA FRANCESCO 20
Per Per fare fare lalapace pacecicivuole vuolecoraggio coraggio PAPA FRANCESCO Giardini Vaticani, 8 giugno 2014
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i ringrazio dal profondo del cuore per aver accettato il mio invito a venire qui per invocare insieme da Dio il dono della pace. Spero che questo incontro sia un cammino alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide. E ringrazio Vostra Santità, venerato Fratello Bartolomeo, per essere qui con me ad accogliere questi illustri ospiti. La Sua partecipazione è un grande dono, un prezioso sostegno, e testimonianza del cammino che come cristiani stiamo compiendo verso la piena unità. La vostra presenza, Signori Presidenti, è un grande segno di fraternità, che compite quali figli di Abramo, ed espressione concreta di fiducia in Dio, Signore della storia, che oggi ci guarda come fratelli l’uno dell’altro e desidera condurci sulle sue vie. Questo nostro incontro di invocazione della pace in Terra Santa, in Medio Oriente e in tutto il mondo è accompagnato dalla preghiera di tantissime persone, appartenenti a diverse culture, patrie, lingue e religioni: persone che hanno pregato per questo incontro e che ora sono unite a noi nella stessa invocazione. È un incontro che risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o da nemici. Signori Presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti
Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. E’ nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. La loro memoria infonda in noi il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo, la pazienza di tessere giorno per giorno la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica, per la gloria di Dio e il bene di tutti. Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo. La storia ci insegna che le nostre forze non bastano. Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla. Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli. Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarla con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre. A Lui, nello Spirito di Gesù Cristo, io mi rivolgo, chiedendo l’intercessione della Vergine Maria, figlia della Terra Santa e Madre nostra.
e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino.
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Paolo VI beato il prossimo 19 ottobre
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aolo V I sarà proclamato Beato il prossimo 19 ottobre 2014 in piazza san Pietro. Alla sua intercessione è stata ricondotta l’inspiegabile guarigione di un bambino ancora non nato che rischiava la morte o gravi malformazioni. Un miracolo che ricorda il grande impegno di Papa Paolo V I a tutela della vita e contro aborto e contro la contraccezione espresso in particolare nell’Enciclica “Humanae Vitae”. Una posizione ferma che suscitò non poche critiche. Giovanni Battista Montini è nato a Concesio ( Italia) il 26 settembre 1897 ed è morto a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978, solennità della Trasfigurazione del Signore. E’ stato eletto Papa il 26 giugno 1963. Postulatore della Causa è il redentorista napoletano padre Antonio Marrazzo, il quale dopo la promulgazione del Decreto da parte di Papa Francesco pomeriggio del 9 maggio 2014 - ha ricordato le parole di Paolo VI : “Non mi pentirò mai di quello che ho fatto, di quello che ho scritto”. L’Enciclica è stata letta anche in modo riduttivo. Voleva essere l’Enciclica sull’amore coniugale, il discorso è quindi molto più vasto, solo che poi ne è stata fatta una lettura un po’ unilaterale da parte di alcuni. Io penso che l’idea di Montini fosse, da un lato, quella di conservare la continuità di quello che era il patrimonio dottrinale della Chiesa; dall’altro lato, cercare di venire incontro a ciò che è il valore della realtà coniugale della famiglia, alle urgenze che si presentavano nel mondo moderno. Ovviamente di fronte a certe cose c’è sempre chi è d’accordo e chi non è d’accordo. Paolo VI era dispiaciuto più che altro, per la violenza di alcune delle risposte che c’erano state. Però, non è stato turbato più di tanto; lui sapeva di seguire quella che era la volontà di Dio in quel momento storico e lo ha fatto>.
Alla domanda:” Paolo VI ebbe l’arduo compito di portar avanti la Chiesa in un periodo difficilissimo: contestazioni dentro e fuori l’ambito ecclesiale, calo delle vocazioni, sacerdoti che abbandonavano la tonaca e in questo stanno anche, mi pare, la sua grandezza e santità”> ha così risposto:” Lui questo contesto lo ha vissuto e ha cercato di gestirlo con estremo equilibrio: Non ha tradito il patrimonio della Chiesa sia in campo dogmatico, che morale e pastorale. A volte ha potuto dare l’impressione, secondo alcuni, di un Papa afflitto, di un Papa dubbioso, conflittuale all’interno. Non è vero. Dalla documentazione che noi abbiamo vagliato viene fuori invece una persona che viveva con speranza tutto questo. Lui ha cercato di equilibrare le cose: di essere un po’ quel punto fermo, quella parola ferma che richiamava quelli che erano i valori assoluti: Dio e l’uomo e quella che è la verità sia di Dio che dell’uomo”. Alla domanda: “Abbiamo appena vissuto le canonizzazioni di altri due papi legati al Concilio Vaticano II, un grande evento che lega Paolo VI a Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II”, la riposta del padre Marrazzo è stata immediata e convincente:”Sono le canonizzazioni dei pontefici che hanno fatto e hanno vissuto il Concilio cercando di attuare i dettami conciliari; un Concilio pastorale che è entrato in dialogo con il mondo contemporaneo e con la modernità. Credo più che altro possa significare questo: cercare di non dimenticare mai che la Chiesa è una realtà attiva e presente nel mondo contemporaneo, nella realtà sociale, in tutti gli strati di questa realtà e che vuole dialogare con l’uomo nel segno della Misericordia”. Paolo V I concludeva il Concilio Vaticano II nel ’65 con un’espressione di simpatia immensa nei confronti delle moderne società del nostro tempo. 22
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Mons. Alfred Xuereb Vi racconto il mio anno accanto a Papa Francesco, parroco del mondo da Città del Vaticano
ALESSANDRO GISOTTI GIORNALISTA
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RADIO VATICANA
n anno straordinario per la vita della Chiesa, un “tempo della misericordia” come Papa Francesco ha più volte sottolineato. Tra le persone che più da vicino hanno accompagnato il Santo Padre in questi dodici mesi intensissimi c’è mons. Alfred Xuereb, già suo segretario particolare, nominato recentemente segretario generale della Segreteria per l’Economia del Vaticano. Nei giorni 12-13-14 marzo 2014 mons. Xuereb ha sostato nella nostra casa francescana conventuale di Ravello che guarda il mare,visitando nel contempo i luoghi più significativi della Costa d’Amalfi. In questa intervista esclusiva rilasciata alla Radio Vaticana, mons. Xuereb ripercorre questo primo anno con Francesco a partire proprio da quell’indimenticabile 13 marzo 2013 Lei mi fa rivivere tante emozioni e anche tantissimi ricordi molto profondi: erano momenti particolari, che sicuramente rimarranno nella Storia. Un Papa che lascia il suo Pontificato … Dal 28 febbraio, il giorno ultimo del Pontificato di Papa Benedetto, quando abbiamo lasciato per sempre il Palazzo Apostolico, fino al 15 marzo, quindi fino a due giorni dopo l’elezione del nuovo Papa, io sono rimasto con il Papa emerito a Castel Gandolfo per tenergli compagnia e anche per aiutarlo nel suo lavoro di segreteria. Il momento del distacco da Papa Benedetto per me è stato un momento molto struggente, perché ho avuto la fortuna di vivere per cinque anni e mezzo con lui e lasciarlo, distaccarmi da lui è stato un momento molto difficile. Le cose erano precipitate, io non sapevo che proprio
in quel giorno avrei dovuto fare le valigie e lasciare Castel Gandolfo e anche lasciare Papa Benedetto. Ma dal Vaticano mi chiedevano di fare in fretta, fare le valigie e andare a Casa Santa Marta perché Papa Francesco stava persino aprendo lui la posta, da solo: non aveva un segretario che lo aiutasse. In quella mattinata sono passato più volte in cappella per avere lume, perché mi sentivo anche un po’ confuso. Però ero certo, avevo la netta sensazione che io fossi guidato dall’Alto e mi rendevo conto che stava succedendo qualcosa di straordinario, anche per la mia vita. Sono poi entrato nello studio di Papa Benedetto piangendo e, con un nodo alla gola, ho cercato di dirgli quanto ero triste e quanto fosse difficile il mio distacco da Lui. L’ho ringraziato per la Sua benevola paternità. Gli ho rassicurato che tutte le esperienze vissute nel Palazzo Apostolico con lui mi hanno tanto aiutato a guardare meglio “alle cose di lassù”. Poi mi sono inginocchiato per baciargli l’anello, che non era più quello del Pescatore, e lui, con sguardo di paternità, di tenerezza, come sa fare lui, si è alzato in piedi e mi ha benedetto. Che ricordo ha del suo primo incontro con Papa Francesco? Mi ha fatto entrare nel suo studio, mi ha accolto con la sua ormai nota cordialità, e devo dire che mi ha fatto anche un scherzo, uno scherzo – se così posso dire – da Papa! Aveva una lettera in mano e con tono serio mi disse: “Ah, ma qui abbiamo dei problemi, qualcuno non ha parlato molto bene di te!”. Io ammutolii, ma poi capii che si riferiva alla 24
Mons. Xuereb a Ravello in preghiera davanti alla tomba del Beato Bonaventura; a sinistra il prelato vaticano con padre Francesco Capobianco, rettore e custode del santuario bonaventuriano
lettera che Papa Benedetto gli aveva inviato per informarlo che lui mi aveva lasciato libero e che poteva chiamarmi al suo servizio. In questa lettera, Papa Benedetto aveva avuto la bontà di elencare alcuni miei pregi. Poi Papa Francesco mi ha invitato a sedermi sul divano e lui accanto a me, su una sedia. Mi ha chiesto – con molta fraternità – di aiutarlo nel suo gravoso compito. Infine ha voluto sapere qual è il mio rapporto con i Superiori e con altre persone di certa responsabilità. Gli ho risposto che ho un buon rapporto con tutti, almeno per quanto mi riguarda.
Cosa invece la colpisce guardando al Pastore Francesco, alla sua dimensione pubblica, a come in fondo esercita il ministero petrino? Qualcun altro mi ha fatto una domanda simile, e rispondo dicendo che mi viene in mente spontaneamente la figura del missionario. Quel classico missionario che parte, va tra gli indigeni per far conoscere loro il Vangelo, Gesù Cristo …. Ecco, io vedo in Francesco il missionario che sta chiamando a sé la folla, quella folla che magari si sente smarrita, con l’intento di riportarla al cuore del Vangelo. E’ diventato – per così dire – il parroco del mondo e sta incoraggiando quanti si sentono lontani dalla Chiesa a ritornare con la certezza che troveranno il loro posto nella Chiesa. Lui vede nel clericalismo e nella casistica dei forti ostacoli affinché tutti si possano sentire amati dalla Chiesa, accompagnati da essa. Invece, parroci e sacerdoti ci dicono quasi quotidianamente quante persone sono tornate alla Confessione e alla pratica della fede per l’incoraggiamento di Papa Francesco, specialmente quando ci ricorda che Dio non si stanca mai di perdonarci. Lui, come avete visto, ha un’attenzione speciale per i malati, e questo perché lui vede in loro il corpo di Cristo sofferente. E dimentica completamente i suoi malanni. Per esempio, nei primi mesi del suo Pontificato aveva un forte dolore a causa della sciatica che si era ripresentata. I medici gli avevano consigliato di evitare di abbassarsi ma lui, trovandosi davanti a malati in car-
Cosa la colpisce della personalità di Papa Francesco, avendo il privilegio di vivere ogni giorno accanto a Lui? La sua determinazione. Una convinzione che sono sicuro che gli viene dall’Alto, perché è uomo profondamente spirituale che cerca nella preghiera l’ispirazione da Dio. Per esempio, la visita a Lampedusa lui l’ha decisa perché dopo alcune volte che è entrato in cappella, gli è venuta in continuazione questa idea: andare di persona a incontrare queste persone, questi naufraghi, e piangere sui morti. E quando lui ha capito che gli venivano in mente più volte, allora è stato sicuro che Dio la voleva. L’ha fatta, anche se non c’era molto tempo per prepararla. Lo stesso metodo lui lo usa per la scelta delle persone che chiama a collaborare con lui da vicino. 25
rozzella o a bambini infermi nei loro passeggini si china su di loro comunque e fa sentire la Sua vicinanza. Così pure, per esempio, è successo durante la celebrazione eucaristica a Casal del Marmo la sera del Giovedì Santo durante la lavanda dei piedi. Nonostante senz’altro il dolore che avrà sentito, si è inginocchiato davanti a ciascuno dei dodici giovani detenuti per baciar loro i piedi. Papa Francesco sembra instancabile, a guardarlo negli incontri, nelle udienze… Come vive la sua quotidianità anche di lavoro, a Casa Santa Marta? Mi creda, non perde un solo minuto! Lavora instancabilmente. E quando sente il bisogno di prendere un momento di pausa, non è che chiude gli occhi e non fa niente: si mette seduto e prega il Rosario. Penso che almeno tre Rosari al giorno, li prega. E mi ha detto: “Questo mi aiuta a rilassarmi”. Poi riprende, riprende il lavoro. Riceve una persona dopo l’altra: il personale della portineria di Santa Marta ne è testimone. Ascolta con attenzione e ricorda con straordinaria capacità quanto sente e quanto vede. Si dedica alla meditazione presto, la mattina, preparando anche l’omelia della Messa a Santa Marta. Poi, scrive lettere, fa telefonate, saluta il personale che incontra e si informa sulle loro famiglie.
i nuovi cardinali. E’ una presenza che arricchisce il Pontificato di Papa Francesco. Da ultimo, cosa le sta dando personalmente questo servizio al Papa Francesco, dopo aver servito da vicino Benedetto XVI e, ricordiamolo, anche Giovanni Paolo II? Mi rendo conto che il Signore mi sta conducendo per vie veramente misteriose. Non avrei mai immaginato di poter compiere questo tipo di servizio. Ma Dio è così. Altrimenti siamo noi i programmatori della nostra via di santità. Io trovo un grande aiuto nella luminosa testimonianza di affidamento a Dio che ho avuto la grazia di cogliere di persona da Papa Giovanni Paolo II, dal Papa Emerito, Benedetto, il quale – è diventato un modo per sorridere – ogni volta che si trovava davanti ad una situazione difficile amava incoraggiarci dicendo: “Il Signore ci aiuterà”. Ecco, ovviamente il sostegno sia umano che spirituale nella preghiera, che so che fa anche per me Papa Francesco, mi è di grande conforto.
PAPA FRANCESCO
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no dei rischi più gravi ai quali è esposta questa nostra epoca, è il divorzio tra economia e morale,tra le possibilità offerte da un mercato provvisto di ogni novità tecnologica e le norme etiche elementari della natura umana, sempre più trascurata. Occorre pertanto ribadire la più ferma opposizione ad ogni diretto attentato alla vita, specialmente innocente e indifesa, e il nascituro nel seno materno è l’innocente per antonomasia. Ricordiamo le parole delConcilio Vaticano II: «La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli» (Cost.Gaudium et spes, 51). Io ricordo una volta, tanto tempo fa, che avevo una conferenza con i medici. Dopo la conferenza ho salutato i medici - questo è accaduto tanto tempo fa. Salutavo i medici, parlavo con loro, e uno mi ha chiamato in disparte. Aveva un pacchetto e mi ha detto: “Padre, io voglio lasciare questo a lei. Questi sono gli strumenti che io ho usato per fare abortire. Ho incontrato il Signore, mi sono pentito, e adesso lotto per la vita”. Mi ha consegnato tutti questi strumenti. Pregate per quest’uomo bravo! A chi è cristiano compete sempre questa testimonianza evangelica: proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi. Vi incoraggio a farlo sempre con lo stile della vicinanza, della prossimità: che ogni donna si senta considerata come persona, ascoltata, accolta, accompagnata. AL MOVIMENTO PER LA VITA ITALIANO Venerdì 11 aprile 2014
Uno dei doni più belli di questo primo anno di Pontificato sono senz’altro gli incontri tra Papa Francesco e Papa Benedetto. Lei, che è come un anello di congiunzione tra loro, cosa può dirci di questo “rapporto fraterno”? In una recente intervista, Papa Francesco ha rivelato questo: che lui lo consulta, chiede di sapere il suo punto di vista. Sarebbe una grande perdita non attingere a questa grande fonte di saggezza e di esperienza! Infatti, da subito l’ha chiamato: è come avere il nonno in casa è, come dire, avere il saggio dentro casa. Ecco, da subito Papa Francesco ha visto questa presenza come un dono inestimabile, simile a quel vescovo saggio appena eletto che trova un sapiente sostegno nel suo vescovo emerito. E’ significativo – per esempio – il fatto che abbia voluto inginocchiarsi nella cappella a Castel Gandolfo non sul suo inginocchiatoio, ma accanto a Papa Benedetto. E poi, ha voluto la sua presenza nell’inaugurazione della statua di San Michele Arcangelo qui, nei Giardini Vaticani … e l’ha convinto a partecipare al Concistoro che c’è stato per 26
Accanto a Papa Francesco per gli esercizi spirituali da Città del Vaticano
PADRE ROCCO RIZZO RETTORE DEL COLLEGIO OFM CONV. DEI PENITENZIERI VATICANI
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omenica prima di Quaresima (9 marzo). L’appuntamento è sul piazzale petriano (Aula Paolo VI). Un pullman e un minibus attendevano Papa Francesco e i collaboratori della Curia romana ( 31 cardinali; 35 arcivescovi e vescovi; 6 prelati: Il totale è di 82 persone; Più il Papa). Alle ore 16,00 arrivava il Papa, a piedi, con la sua borsa nera, resa famosa mentre saliva le scale dell’aereo per il viaggio in Brasile, accompagnato dal comandante dei gendarmi, il dottor Domenico Giani. Saliva a bordo del pullman e prendeva posto davanti, vicino al cardinale Abril y Castillo con il quale parlava spesso durante il viaggio. Prima un breve preghiera recitata dal Papa e poi si partiva, lasciando il Vaticano per i Colli Albani. Il corteo dei pullman veniva scortata da motociclisti della Polizia stradale italiana, dalle pattuglie della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Gendarmeria vaticana. Fuori i cancelli del Petriano un piccolo gruppo di turisti e di suore salutavano Papa Francesco. Presenti una decina di cineoperatori. Verso le ore 17,00 si arrivava ad Ariccia, cittadina in provincia di Roma, situata nella splendida corona dei Colli Albani. Lungo la strada vari gruppi di persone e di turisti salutavano il corteo papale, meravigliati della presenza del Papa sul pullman. Nelle vicinanze della residenza dei paolini ‘Casa Divin Maestro’ , voluta e costruita dal beato Giacomo Alberione, fondatore della famiglia paolina, una piccola folla attendeva il Papa, sventolando fazzoletti e bandiere vaticane. All’ingresso della casa, il Papa veniva accolto dal superiore generale dei paolini, don Silvio Sassi, dal responsabile della casa, da alcune suore ‘Pie Discepole del Divin maestro’ e dal Reggente della Prefettura della Casa Pontificia, monsignor Leonardo Sapienza. La casa è immersa nei boschi di lecci, tigli e abeti posta di fronte al lago di Albano di origine vulcanica, con sullo sfondo la residenza pa27
pale di Castel Gandolfo e la città di Roma, si vedeva in lontananza il cupolone di san Pietro. I cardinali e i vescovi prendevano alloggio nelle camere assegnate, già in anticipo, nei vari padiglioni della casa. Alle ore 18,00, i partecipanti si recavano nella grande cappella dedicata al ‘Divin Maestro’ raffigurato su un grande mosaico dell’abside attorniato al lati dai quattro evangelisti con i loro simboli. Il Papa, vestito come un semplice sacerdote con la sola croce pettorale argentata, prendeva posto in uno dei banchi a due, quasi a metà della navata della cappella. Si sedeva accanto al cardinale Bertone, perché quello era l’unico posto rimasto libero, dato che il Papa entrava quasi sempre per ultimo. Anche i cardinali e gli arcivescovi vestivano con la sola talare nera e la croce pettorale. Con il canto del ‘Veni, Creator Spiritus , iniziavano gli esercizi spirituali quaresimali, predicati da
monsignor Angelo De Donatis, parroco di san Marco Evangelista al Campidoglio in Roma, dedicati al tema: ”La purificazione del cuore”. La meditazione introduttiva si concentrava sulla disposizione interiore per iniziare gli esercizi spirituali: la necessità di aprirsi all’ascolto dello Spirito Santo, per prepararsi a vivere un rapporto profondo e personale con Dio. Si invitava, per questo, al silenzio rigoroso per tutto il tempo degli esercizi. Si consigliava, persino, di evitare i saluti della mattina e della sera. Il Papa in questo è stato rigorosamente osservante. Ha sempre mantenuto uno stile silenzioso. Viveva come estraniato dalle persone intorno a lui. Sempre assorto nella preghiera. Era un esempio per tutti. Lo schema dei cinque giorni prevedeva: Alle ore 7,30 concelebrazione eucaristica, presieduta dal Santo Padre. Una celebrazione semplice e senza omelia. Dirigeva i canti e suonava l’organo il maestro della Cappella Sistina, monsignor Massimo Palombella. Le varie celebrazioni erano dirette dal Maestro delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, monsignor Guido Marini. Alle ore 8,30 colazione. Alle ore 9,30 prima meditazione. Alle ore 10,15 tempo libero per la riflessione personale. Si passeggiava lungo i viali asfaltati del bosco chi con il rosario in mano; chi meditava in camera o chi pregava in cappella. Nel bosco erano dislocate delle artistiche edicole del Rosario e della Via Crucis. La natura selvaggia dei luoghi e il canto degli uccelli invitava alla riflessione personale. Durante questo tempo, due padri penitenzieri: il sottoscritto in qualità di Rettore del Collegio dei Padri Penitenzieri Vaticani e padre Roman Wadach erano a disposizione per l’ascolto delle confessioni. Alle ore 12,30 pranzo. Ognuno prendeva posto dove trovava una sedia libera, così anche il Papa. Al tavolo del Papa sedevano il cardinale Paolo Sardi, monsignor Palombella, monsignor Nykiel e monsignor De Donatis. Durante il pranzo vigeva il silenzio. Il Papa benediceva la mensa in lingua latina: Si iniziava così il pranzo servito da una decina di giovani camerieri. A turno monsignor Guido Marini, e monsignor Vincenzo Peroni, cerimoniere pontificio, leggevano un capitolo alla volta del libro ‘La sapienza di un povero’ di Eloi Leclerc. Terminata la lettura si ascoltava musica classica o canti liturgici. Finito il pranzo o la cena, il Papa si alzava da tavola per primo, faceva una
breve preghiera in privato e segnandosi con un segno di croce lasciava la sala da pranzo, seguito, poi, dagli altri commensali. Alle ore 16,00 seconda meditazione. Alle ore 16,35, tempo libero. Alle ore 18, 00 recita dei Vespri e adorazione eucaristica. Alle ore 19,00 benedizione eucaristica impartita dall’arcivescovo Corrado Krajewski, Elemosiniere di Sua Santità. Alle ore 19, 30 cena. Giovedi 13, anniversario dell’elezione di Papa Francesco. A sorpresa, il cardinale Giambattista Re, rompendo il silenzio, prima della recita dei Vespri, prendeva la parola a nome di tutti i presenti, per porgere al Santo Padre, gli auguri più cordiali e affettuosi ad un anno esatto del suo ministero petrino. Applausi da parte di tutti, seguito dal canto Tu es Petrus. Il Papa si alzava e ringraziava con un inchino il cardinale. Prima degli auguri, il cardinale faceva una premessa: Mi sono permesso di parlare senza aver chiesto il permesso al Papa, perché sono sicuro che me lo avrebbe negato. Tutti a ridere compreso il Papa. Venerdì 14, dopo l’ultima meditazione delle 9,30, il predicatore benediceva l’assemblea e così si chiudevano gli esercizi spirituali, per la prima volta dal 1925, fuori dalle mura del Vaticano. Il Papa si avvicinava vicino al tavolo del predicatore e prendendo in mano il microfono del tavolo ringraziava di cuore monsignor De Donatis per la sua capacità di aver seminato il buon seme della Parola di Dio. “Noi torniamo a casa con un buon seme: il seme della Parola di Dio. E’ un buon seme, quello, il Signore invierà la pioggia e quel seme crescerà. Crescerà e darà il frutto - assicurava il Papa. Poi, chiedeva al predicatore di pregare per questo “sindacato di credenti”, così definiva scherzosamente (e qui un sorriso) se stesso e i cardinali e vescovi. Alle ore 10,45, il Papa dopo aver salutato e ringraziato il superiore dei Paolini con il suo consiglio, il personale della casa, camerieri, cuoche e addetti ai vari servizi, donando a tutti una corona del rosario, saliva a bordo del pullman insieme con i suoi collaboratori. Una piccola folla lo salutava all’uscita della residenza paolina. Il corteo papale scortato, come all’andata, dalla Polizia italiana e dalla Gendarmeria vaticana, passava per Castel Gandolfo e prendeva l’Appia Nuova per Roma. Alle ore 11,15 circa, il pullman arrivava nella Città del Vaticano – Piazza santa Marta, vicino alla residenza di Papa Francesco. 28
Fuori del cancello del Perugino, una trentina di persone salutava calorosamente il corteo papale. Il Papa scendeva per primo e ai piedi del pullman salutava e ringraziava ad uno ad uno tutti i partecipanti agli esercizi spirituali. 15 gendarmi vaticani con a capo il comandante Giani, sorvegliavano, notte e giorno, la sicurezza del Papa e dei suoi collaboratori. Erano presenti anche cinque vigili del fuoco e uno staff di medici e di infermieri. Fuori del recinto della casa alcuni gendarmi, carabinieri e poliziotti custodivano l’ingresso. Questa mia partecipazione inaspettata agli esercizi
spirituali con la presenza di Papa Francesco e con tanti cardinali e vescovi resterà a lungo nei miei ricordi e nelle mie intime e profonde emozioni spirituali. E’ stata un’esperienza irripetibile ed unica. Concelebrare con il Papa; recitare i salmi insieme; confessare; ascoltare le stesse riflessioni; mangiare quasi a fianco; viaggiare sullo stesso pullman, è stato veramente emozionante, bellissimo. Voglio ringraziare dal profondo del cuore il Signore per questi momenti di forti emozioni spirituali che mi sta concedendo, spesso, in questi ultimi tempi.
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ome Pastori, siate semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla tra voi e gli altri. Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti: accompagnatele, fino a riscaldare loro il cuore e provocarle così a intraprendere un cammino di senso che restituisca dignità, speranza e fecondità alla vita. Tra i “luoghi” in cui la vostra presenza mi sembra maggiormente necessaria e significativa – e rispetto ai quali un eccesso di prudenza condannerebbe all’irrilevanza – c’è innanzitutto la famiglia. Oggi la comunità domestica è fortemente penalizzata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio. Fatevi voce convinta di quella che è la prima cellula di ogni società. Testimoniatene la centralità e la bellezza. Promuovete la vita del concepito come quella dell’anziano. Sostenete i genitori nel difficile ed entusiasmante cammino educativo. E non trascurate di chinarvi con la compassione del samaritano su chi è ferito negli affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita. Un altro spazio che oggi non è dato di disertare è la sala d’attesa affollata di disoccupati: disoccupati, cassintegrati, precari, dove il dramma di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con quello di chi non sa come mandare avanti l’azienda. E’ un’emergenza storica, che interpella la responsabilità sociale di tutti: come Chiesa, aiutiamo a non cedere al catastrofismo e alla rassegnazione, sostenendo con ogni forma di solidarietà creativa la fatica di quanti con il lavoro si sentono privati persino della dignità. Infine, la scialuppa che si deve calare è l’abbraccio accogliente ai migranti: fuggono dall’intolleranza, dalla persecuzione, dalla mancanza di futuro. Nessuno volga lo sguardo altrove. La carità, che ci è testimoniata dalla generosità di tanta gente, è il nostro modo vivere e di interpretare la vita: in forza di questo dinamismo, il Vangelo continuerà a diffondersi per attrazione. Più in generale, le difficili situazioni vissute da tanti nostri contemporanei, vi trovino attenti e partecipi, pronto a ridiscutere un modello di sviluppo che sfrutta il creato, sacrifica le persone sull’altare del profitto e crea nuove forma di emarginazione e di esclusione. Il bisogno di un nuovo umanesimo è gridato da una società priva di speranza, scossa in tante sue certezze fondamentali, impoverita da una crisi che, più che economica, è culturale, morale e spirituale. Considerando questo scenario, il discernimento comunitario sia l’anima del percorso di preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel prossimo anno: aiuti, per favore, a non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini. Andate incontro a chiunque chieda ragione della speranza che è in voi: accoglietene la cultura, porgetegli con rispetto la memoria della fede e la compagnia della Chiesa, quindi i segni della fraternità, della gratitudine e della solidarietà, che anticipano nei giorni dell’uomo i riflessi della Domenica senza tramonto. AI VESCOVI ITALIANI RIUNITI PER LA 66.MA ASSEMBLEA GENERALE 19 maggio 2914
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TER Papa Francesco ai mafiosi: DEI FUORA CHI «Lo chiedo in ginocchio cambiate vita, convertitevi, fermatevi»
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razie di avere fatto questa tappa a Roma, che mi dà la possibilità di incontrarvi, prima della veglia e della “Giornata della memoria e dell’impegno” che vivrete stasera e domani a Latina. Ringrazio Don Luigi Ciotti e i suoi collaboratori, e anche i Padri Francescani di questa parrocchia…. Il desiderio che sento è di condividere con voi una speranza, ed è questa: che il senso di responsabilità piano piano vinca sulla corruzione, in ogni parte del mondo … E questo deve partire da dentro, dalle coscienze, e da lì risanare, risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi, e prenda il posto dell’iniquità. So che voi sentite fortemente questa speranza, e voglio condividerla con voi, dirvi che vi sarò vicino anche questa notte e domani, a Latina – pur se non potrò venire fisicamente, ma sarò con voi in questo cammino, che richiede tenacia, perseveranza. In particolare, voglio esprimere la mia solidarietà a quanti tra voi hanno perso una persona cara, vittima della violenza mafiosa. Grazie per la vostra testimonianza, perché non vi siete chiusi, ma vi siete aperti, siete usciti, per raccontare la vostra storia di dolore e di speranza. Questo è tanto importante, specialmente per i giovani! Vorrei pregare con voi – e lo faccio di cuore – per tutte le vittime delle mafie. Anche pochi giorni fa, vicino a Taranto, c’è stato un delitto che non ha avuto pietà nemmeno di un bambino. Ma nello stesso tempo preghiamo insieme, tutti quanti, per chiedere la forza di andare avanti, di non scoraggiarci, ma di continuare a lottare contro la corruzione. E sento che non posso finire senza dire una parola ai grandi assenti, oggi, ai protagonisti assenti: agli uomini e alle donne mafiosi. Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi. Convertitevi, lo chiedo in ginocchio; è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro
che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portarlo nell’altra vita. Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. E’ quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi. AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DALLA ASSOCIAZIONE "LIBERA" Parrocchia di San Gregorio VII, Roma, Venerdì, 21 marzo 2014
HA SCRITTO “La disponibilità del Papa ad accompagnare i famigliari a questo momento carico di dolore ma anche di speranza, è segno di una attenzione e di una sensibilità che loro hanno colto sin dal primo momento. Attenzione verso tutta l’umanità fragile e ferita. Ma attenzione, anche, per lo specifico tema delle mafie, della corruzione, delle tante forme d’ingiustizia che negano la dignità umana. Voce di una Chiesa che salda il Cielo e la Terra, e che della denuncia fa annuncio di salvezza. Molte di quelle vittime era “giusti”. Persone che non hanno esitato a mettere la propria vita al servizio di quella degli altri, anche a costo di perderla. E’ questa giustizia delle coscienze, prima che delleElle leggi, il dono che ci hanno lasciato. Condividerlo è nostro compito quotidiano. Condividerlo con Papa Francesco è la più grande delle gioie”. LUIGI CIOTTI, Fondatore di Libera La Stampa, 16 marzo 2014 30
E la tomba di don Peppino profuma di vita da Napoli
CONCHITA SANNINO GIORNALISTA INVIATO LA REPUBBLICA - NAPOLI
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asal di Principe - C'era un freddo pungente. E nient'altro, intorno a quel vuoto. Primavera solo di calendario, soffiav a aria ostile in quel sabato di morte di venti anni fa, a Casal di Principe, un paese che sembrava proprietà solo degli altri, dell'Antistato. La devastante notizia dell'assassinio di un parroco ci catapultò nella mattina livida davanti alla consegnava a Repubblica, in jeans e pullover, appena chiesa di San Nicola, macchiata del sangue di don sei mesi prima del suo martirio, nell'ultima intervista. Peppino Diana, 19 marzo del Novantaquattro. Era<<Questa terra è nostra. Questo paese aspetta la resurvamo inviati su un tragico ossimoro: una rezione>>, sorrideva don Diana. <<Paura? E chiesa, porto sicuro, che diventa teatro di di che? Siamo ridotti in un feudalesimo, i un'esecuzione di camorra. Un panostri padri non avrebbero voluto “Chi non salta store dalla parola limpida, il prete questo>>. mafioso è” che incarnava il Vangelo ricorOra sappiamo che in quelle La lotta alla mafia è fatta di piccoli dando “Per amore del mio postesse ore la camorra non era gesti quotidiani, di testimonianza attiva polo non tacerò” che diventa solo quella che uccideva o e coraggiosa e di azioni di solidarietà nei vabersaglio per vili, avversario trafficava armi o navigava lori della legalità, della giustizia e della pace sociale. Per i bambini, inizia con il gioco. Così, su cui stendere una pistola, nell'oro degli appalti inquil’arcivescovo di Agrigento, monsignor Francesco nemico da lasciare a terra, nati: c'era chi imbottiva di Montenegro, si è fatto promotore di una iniziacadavere. Meglio se nel immondizia viadotti e autiva nella sua diocesi, “esportabile” facilmente e giorno di festa, il suo stesso tostrada in costruzione, chi senza costi economici per lo Stato, il primo magonomastico. irrorava di rifiuti pericolosi gio 2014, giorno di San Giuseppe lavoratore, alUna comunità quasi spran- l’incontro “Giovani in festa” a San Giovanni in orti, antichi giardini e perGemini: insieme in un salto di libertà per dire gata vedeva sfilare sgomento sino campi di proprietà della “no” alla mafia , al grido di: “Chi non salta e indignazione, soprattutto Curia. mafioso è!”. «Volete essere liberi o prigio“importati” da fuori. Il paese Ma l'altra parte del paese, la nieri? Risorti o schiavi», ha chiesto sembrava deserto come un set Casale in ombra, senza donne né l’arcivescovo ai giovani riuniti in piazza. «Non siamo da far west, come una casa dopo prebambini a passeggiare per strada, soli». cipitoso trasloco. Invece. Dietro le apguardinga dietro gli scuri accostati, parenze, una minoranza muta e dietro le insegne di bar con le luci basse addolorata - di facce pallide, di vecchi contadini frequentati solo da immigrati-schiavi, dietro le increduli e straziati, con le mani nei capelli,convinti masserie dalla feroce e impenetrabile aria familiare, che ammazzare un parroco fosse assaggio della “fine restava muta e immobile. Rimasero scolpiti, sul tacdel mondo”, e di giovani scout e compagni di don cuino, le generalità complete di un Massimo, di uno Peppino ormai colpiti al cuore – cercava dentro di sé Stefano: <<Hanno ammazzato un prete? Non sono le forze per reagire alla deflagrazione di rabbia e docose che ci riguardano. Noi siamo orgogliosi del lore. Riecheggiavano le parole che quel giovane sapaese>>, esibivano l'indifferenza. Parlavano la lingua cerdote, quanto di più lontano dalla figura dell'eroe, di quando ci schieriamo con Caino e chissà, venti anni
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commissario prefettizio Silvana Riccio deve cominciare la sua battaglia dai contatori per l'acqua, letteralmente: migliaia di cittadini forse onoreranno per la prima volta bollette mai saldate, legalità significa anche pagare i servizi, scovare evasori, farne cittadini. Venti anni dopo, anche se la Chiesa ha compiuto un lungo cammino e spesso fa da supplente ai vuoti dello Stato, c'è anche qualche prete che finisce sotto inchiesta, in un paese vicino, perché ha impartito la sua benedizione a un boss in fuga, perché gli ha scritto lettere incoraggianti, salvo gioire perché i giudici lo hanno prosciolto dall'accusa di favoreggiamento. Come se non fosse il Vangelo il “codice” da interrogare, un altro il giudizio da temere. Eppure non è il freddo che, oggi, ti accoglie a Casale. Il paese aspetta ancora la resurrezione cui don Peppino era rimasto fedele. Ma la sua stola la indossa Papa Francesco, a Roma. Sono germogli che si schiudono a distanza, venti anni dopo quel sangue versato in sacrestia. dopo, dove sono. Arrivavano in quei giorni, ai funerali di don Peppino, ventimila persone. I boss erano latitanti o nascosti. In mezzo ai vicoli stretti sfilavano con gli altri l'allora presidente della Camera, Giorgio Napolitano, il sindaco degli onesti di Casale, Renato Natale, e quello di Napoli, Antonio Bassolino, ma soprattutto un popolo di giovani, di amici di Peppino, tutti i suoi preti della forania, e pezzi di comunità italiane, soprattutto gente lontana dall'agro aversano. Ma ai bordi di quell'immenso corteo, tanti compaesani, troppi, erano rimasti a guardare. Venti anni dopo, la tomba di don Peppino profuma di vita. É itinerario di giovani da ogni parte d'Italia che non aspettano l'anniversario per prestare le loro gambe alle sue parole. Ma l'happy end non è previsto e come don Ciotti ha sempre scandito , anche da quel cimitero, l'antimafia continua ad acquistare senso solo nelle scelte di ognuno. C'è ancora un popolo di migliaia di persone, giovani e vecchi, credenti e non credenti, al corteo che solo qualche settimana fa attraversa le vie di un paese più aperto, più penetrabile, dove i padrini di ogni fazione sono tutti all'ergastolo o al regime di carcere duro, dove l'AntiStato è decapitato e indebolito, dove nessuno esibisce la vecchia indifferenza: “Non sono cose che ci riguardano”. Eppure, venti anni dopo, c'è tanta parte dell'agro aversano che ancora resta ai margini. A guardare. Casal di Principe resta per l'ennesima tornata un comune sciolto per condizionamento mafioso, e il
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Il presidente dell’Autorità anti-corruzione Cantone da Napoli a Milano per vigilare sull’Expo 2015
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ontro la corruzione servono nuove leggi su prescrizione e falso in bilancio. Dovremo combattere una reticolo di lobby, il bubbone è antico”. Così parla il giudice Raffaele Cantone commissario anti-corruzione, chiamato da Matteo Renzi ad essere supervisore delle procedure e della trasparenza amministrativa di Expo 2015. Nato a Giugliano ( Napoli) 51 anno fa, Cantone è stato sostituto procuratore a Napoli fino al 1991, anno in cui è entrato a far parte della direzione distrettuale antimafia della Campania. Per molti anni si è occupato di indagini sulla camorra e in particolare sul clan dei Casalesi. Ha fatto condannare all’ergastolo il boss Francesco Schiavone, detto Sandokan. Dal’99, dopo la scoperta di un piano della malavita organizzata per ucciderlo, vive sotto scorta. Il 27 marzo 2014, dopo aver lavorato per un breve periodo alla corte di Cassazione, Cantone è stato nominato al vertice dell’autorità nazionale anticorruzione. E’ presidente onorario della sezione dell’associazione Libera di Giugliano. “Non farò il capo espiatorio. Voglio rivedere tutti gli incarichi di Infrastrutture lombarde. Tutti gli appalti saranno su Internet”- ha detto al’indomani della nomina, domenica 11 maggio. “Quando Renzi mi ha detto:‘ dammi una mano su Milano’ mi sono sentito orgoglioso. Per me, uomo del sud, è stata una bella soddisfazione. Ho sempre ammirato la città di Milano e quel che rappresenta. Gli anticorpi ci sono. Usiamoli tutti insieme”.
DIGNITÀ DELLA PERSONA E DIRITTI ALLA SALUTE
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ll'udienza generale di mercoledì 14 maggio, Papa Francesco ha salutato con queste parole la delegazione degli abitanti della “terra deifuochi”:”Saluto la delegazione degli abitanti della cosiddetta ‘terra dei fuochi e dei veleni’, in Campania e, nell’esprimere loro la mia vicinanza spirituale, auspico che la dignità della persona umana e i diritti alla salute vengano sempre anteposti ad ogni altro interesse”. Era presente all'udienza anche don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, da sempre impegnato nel denunciare le emergenze legate al traffico di rifiuti tossici: “Penso –ha detto - che sia giunto il tempo, ormai, per fare di queste parole del Papa il nostro modello di vita: la dignità della persona umana prima di tutto. Viene prima l’uomo, e poi tutte le altre cose debbono servire l’uomo; quando invece, per il guadagno disonesto, si maltratta l’uomo, si maltratta il Creato, noi cristiani ci troviamo di fronte ad un peccato immenso mentre i nostri politici che ci governano si trovano di fronte ad un atto di negligenza molto pericoloso. Penso, credo, spero, lo voglio credere con tutto il cuore che i primi ad accogliere queste parole del Papa siano coloro che ci stanno governando: le risposte fino ad oggi sono sempre state delle risposte molto, molto lente e parziali”. Dopo l’udienza generale, don Maurizio Patriciello ha incontrato Papa Francesco. Questa la sua testimonianza: “Siamo arrivati qua stamattina: siamo un migliaio di persone tra cui le mamme dei nostri bambini morti; c’erano anche alcuni bambini malati, in particolare Luigi, in carrozzina, che oggi è felicissimo perché ha visto il Papa, ha potuto abbracciare il Papa … E ce ne torniamo a casa con questa speranza in più. Ho avuto, per qualche minuto, la possibilità di incontrarlo: ha benedetto la mia coroncina. Ha detto: ‘Io benedico la tua corona e tu prega per me’. Io ho avuto modo di dirgli: sono uno dei parroci della "terra dei fuochi". Lui mi ha guardato, mi ha stretto le mani, così, mi ha guardato come per dire: ‘Ne sono a conoscenza, di questo dramma’ … . L’attenzione al Creato, oggi, non è più facoltativa: è proprio un’emergenza. Il nostro popolo ha sempre pregato per il Papa e sente questo legame affettivo, oltre che teologico, pastorale, spirituale con il successore di Pietro”. PAPA FRANCESCO AGLI ABITANTI DELLA “TERRA DEI FUOCHI”
Sentiamo il lamento straziante delle madri per i loro figli morenti a causa dei tumori prodotti dagli incendi dei rifiuti tossici
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aria raccoglie tutte le lacrime di ogni mamma per i figli lontani, per i giovani condannati a morte, trucidati o partiti per la guerra, specie i bambini-soldato. Vi sentiamo il lamento straziante delle madri per i loro figli, morenti a causa dei tumori prodotti dagli incendi dei rifiuti tossici”. VIA CRUCIS AL COLOSSEO QUARTA STAZIONE- 18 APRILE 2014
HA SCRITTO Il grande patto della mazzetta: torna la peste che infetta Milano
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i sarà stupito anche il cardinale Angelo Scola che, in occasione della Professio fidei, aveva già disposto di portare fuori dal Duomo e recare in pellegrinaggio la preziosa Croce di San Carlo con la reliquia del Santo Chiodo. Anche questo un evento rarissimo: per primo l'aveva fatto nel 1576 lo stesso arcivescovo Carlo Borromeo nei giorni della grande pestilenza che mieteva a migliaia le vite dei milanesi. Quattrocento anni dopo, nel 1984, fu un altro arcivescovo, Carlo Maria Martini, a portare la Croce di San Carlo per le vie di Milano per spingere la città a prendere coscienza delle "nuove pesti", la corruzione e il malaffare, che di lì a qualche anno sarebbero state scoperchiate da Tangentopoli. Anche nel 2014 il cardinale aveva deciso di richiamare per la terza volta, con quella scelta eccezionale, una "purificazione del cuore" che investe "il piano personale come quello sociale" per chiedere perdono a Dio generando "sobrietà" e recuperando la perduta "attenzione alla trasparenza e alla sobrietà". Non certo casualmente Scola aveva deciso di portare innanzitutto la Croce di San Carlo davanti a un grattacielosimbolo del potere finanziario, la nuova sede dell'Unicredit in piazza Gae Aulenti. Già lunedì scorso egli aveva voluto predicare il primato dell'etica sugli affari, intervenendo all'assemblea annuale della Consob. Ma di certo Scola non aveva immaginato che l'8 maggio, quando infine il sole ha sciolto la nebbia, la sua città si sarebbe trovata al cospetto di un terzo accadimento eccezionale: la decapitazione dei vertici di Expo 2015, cioè l'evento planetario in cui Milano ripone la speranza di reagire a una decadenza che pare attanagliarla”. GAD LERNER la Repubblica, 10 maggio 2014,p.5
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Pompei: il card. Parolin nella città di Maria ra in 40.000 a Pompei per la supplica alla Vergine del santo Rosario giovedì 8 maggio. A presiedere la solenne concelebrazione Eucaristica quest’anno era il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato. Con il porporato hanno concelebrato l’arcivescovo Tommaso Caputo, prelato di Pompei, altri vescovi della Regione e numerosi sacerdoti. Da Pignataro Maggiore in provincia di Caserta sono giunti in seicento percorrendo a piedi più di 90 chilometri. A mezzogiorno, Il cardinale Parolin ha guidato la Supplica che viene recitata da 131 anni in tutte le chiese del mondo dove si venera l’immagine della Vergine del Rosario.
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Napoli: Il card. Sepe prima a Mosca e poi l’ordinazione di 16 nuovi sacerdoti rima a Mosca per incontrare il 25 aprile il Patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill con un folto numero di sacerdoti e di 50 pellegrini e poi l’ordinazione sacerdotale domenica 11 maggio di ben 16 nuovi sacerdoti nella chiesa cattedrale di Napoli. Questi due eventi sono stati preceduti dalla celebrazione della Settimana Santa. Nel corso dei suoi interventi del triduo sacro il cardinale ha ancora una volta fatto sentir forte il richiamo alla difesa della vita contro la piaga dilagante della ludopatia, il fenomeno del bullismo e la violenza sulle donne. Cristo non si è fermato alla croce- ha detto con forza il venerdì santo- Una società piagata da una minoranza che impone violenza, malaffare e ingiustizia non è accettabile. Ancora sangue e nuove croci segnano la vita delle nostre comunità, della nostra città. Spesso, troppo spesso è sangue di innocenti, vittime della furia omicida, cieca e brutale, di uomini senza dignità e senza leggi. Una sconfitta per tutti, una sorta di maledizione, il disprezzo della vita dono di Dio, il segnale di una deriva che rende insicuri. E’ il declino di valori fondamentali e irrinunciabili”.
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Aversa: Beatificazione di padre Vergara ella cattedrale della città normanna è stata beatificato sabato 24 maggio padre Mario Vergara, missionario del pontificio istituto missioni estere e il catechista Isidoro Ngei Ko Lat, primo beato della Chiesa
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che è in Birmania. Il solenne rito è stato presieduto dal cardinale Angelo Amato, prefetto della congregazione delle cause dei santi che ha rappresentato Papa Francesco. Con il porporato salesiano hanno concelebrato il vescovo di Aversa mons. Angelo Spinillo, vice presidente della conferenza episcopale italiana e il vescovo di Loykaw, in Myanmar, mons. Sotero Phamo. “Per la diocesi di Aversa che si avvia a celebrare il suo primo millennio di vita e di fede è un evento storico” – ha detto il vescovo Spinillo-. Padre Vergara è nato a Frattamaggiore ( Napoli) diocesi di Aversa il 18 novembre 1910. Ordinato sacerdote del Pime all’età di 24 anni il 28 agosto 1934, a fine settembre veniva inviato perla Birmania, oggi Myanmar, nella diocesi di Toungoo. All’età di 40 anni- il 25 maggio 1950- cadeva martire della fede fucilato sulla sponde del fiume Salween. Nel 2003 sui apriva il processo di beatificazione e il 3 dicembre 2013 la decisione unanime dei cardinale e dei vescovi membri della Congregazione delle cause dei santi a favore del riconoscimento del martirio in odium fidei. Diverse iniziative religiose e culturali hanno preceduto l’evento della beatificazione: un convegno storico a Frattamaggiore il 15 maggio; significative le veglie di preghiere culminate il 22 nella parrocchia di san Simeone a Frattaminore guidata dal superiore generale del Pime padre Ferruccio Brambillasca. Pochi giorni prima dell’evento della beatificazione la diocesi di Aversa – sabato 3 maggio- è stata visitata dalla grazia di Dio con l’ordinazione dei sei nuovi sacerdoti. A conferire l’ordine sacro è stato il Vescovo Spinillo: I novelli sacerdoti che vanno dai 26 ai 30 anni sono: Domenico Pezzella; Alessandro Palumbo; Michele Manfuso; Giuseppe Avolio; Antonio Scarano; Armandp Bazzicapulo. Caserta: D’Alise è il nuovo Vescovo ons. Giovanni D’Alise ha preso possesso della sua nuova diocesi domenica 18 maggio. “ I laici realizzino la loro vocazione” – ha detto- ed ha invitato le istituzioni a “ seguire unapolitica alta e pulita”. Lotta alla criminalità e attenzione al lavoro tra le altre priorità del suo ministero indicate nella prima omelia della messa concelebrata in cattedrale.
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Napoli:.. e il porto muore eti incrociati stanno affondando il porto di Napoli. in fumo 240 milio di Bruxelles ( oltre un miliardo con gli investimenti privati) se entro la fine 2015 non si realizza il 2grande progetto”. Debiti, burocrazia e inchieste: a rischio 5.000 assunzioni. Il porto di Napoli si estende per due milioni e 800 mila metri quadrati; ha 11 moli, 6 milioni e mezzo di passeggeri e 400 mila container, con 236 edifici nel suo perimetro, molto spesso rifugio di clochard. Sul porto vi sono canoni non pagati per 25 milioni, concessioni illegittime, inchieste penali e antitrust. Da due anni non si riesce a nominare il presidente perché i politici non riescono, come sempre, a non trovare nessun accordo:
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luogo dell’Irpinia. Causa: la bonifica dei vecchi treni dell’ex Isochimica chiusa da 25 anni. La procura ha detto:”Si tratta di una bomba ecologica”. “E’ in atto- ha rilevato il procuratore della Repubblica di Avellino Rosario Cantelmo - un pericolo per la salute e per l’incolumità di dispersione delle fibre di amianto. Tale pericolo è dovuto all’ulteriore stato di degrado dei manufatti all’interno dell’area. 2.276 tonnellatre è la quantitò di crocidolite - la varietà più pericolosa dell’amianto che l’appalto prevedeva dovesse essere gettata via dalla carrozze; 12 i morti ufficiosamente legati all’amianto dell’Isochimica. A 150 lavoratori è stata riconosciuta la malattia professionale. Napoli: Sulla sanità Napoli virtuosa. E’ il Nord spendaccione n Campania i costi per persona sono inferiori di 70 euro rispetto alla media nazionale. Anche per quanto riguarda i dipendenti siamo più virtuosi: ne abbiamo il 10% in meno. E’ quanto sostiene il Governatore della Campania Stefano Caldoro che guida la Regione dal 2010.
Caserta: notizie squallide dalla reggia a cronaca nera continua a travolgere la reggia di Caserta. Una porzione del tetto della zona ovest del Palazzo Reale, occupata dalla scuola specialisti dell’aeronautica militare, è crollato il primo maggio. Malgrado le forti piogge nessuno è intervenuto. Altra notizia non cero esaltate: Aveva le chiavi in tasca per fare jogging Nicola Cosentino ben noto alle cronache nere campane ed extra. Le aveva ricevute dell’ex prefetto e trovate in casa durante una perquisizione. Da parco pubblico a parto privato. Fin dove arriva l’arroganza del potere. E dicono che tanti altri hanno le chiavi per entrare a correre e fare da padroni.
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Napoli: Dopo 37 anni i libri tornano a Scampia ono passati 37 anni e il nuovo spazio del quartiere per promuovere la lettura e il dibattito socio-culturale e religioso continua a mobilitare e a sensibilizzare soprattutto le coscienze dei giovani. Sono i ragazzi a gestire la nuovo libreria. “Il futuro è qui”- sostengono giustamente Rosario Esposito La Rossa e Maddalena Stornaiuolo-. Il nostro obiettivo è quello di creare un ponte tra il centro – la Napoli bene - e la periferia”.
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Avellino: Amianto, la città contaminata dalla bonifica di vecchi treni i sono anche altre terre dei fuochi in Campania. L’amianto continua a contaminare la città capo-
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Il francescano incontra l’altro da Roma
Morto a Parigi all’età di 90 anni Jacques Le Goff Amico di san Francesco
ORLANDO TODISCO FILOSOFO
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l tema dell’incontro con l’altro è preminente e insieme estremamente problematico a causa della pluralità e talvolta contrapposizione di punti di vista, prima che sociali e politici, di carattere propriamente antropologico. Quali le risorse da mettere in campo? Il mondo occidentale è per lo più il mondo dei turisti, e cioè di coloro che girano il mondo, senza incontrare veramente mai nessuno. Il francescano è un itinerante, non un turista. Se si incammina lo fa per incontrare l’altro. E allora, quando ha luogo l’incontro e quando questo può dirsi propriamente umano? Si sa che è possibile vivere accanto all’altro come se l’altro non ci fosse, così come è possibile vivere accanto all’altro anche in sua assenza. In cosa allora consiste l’incontro e quando questo può dirsi pienamente umano? In breve, in cosa consiste l’incontro? Il personaggio, a cui chiediamo luce, è Francesco d’Assisi, colui che ha amato la sua gente, ha considerato la sua città punto di riferimento costante della sua vita, facendovi ritorno dopo ogni missione, più o meno prolungata. Tra i suoi molti incontri, ne scegliamo uno, quello che egli stesso ama ricordare nel Testamento - l’incontro con i lebbrosi. – che anzi ritiene decisivo. Va notato – un tema che lasciamo inesplorato - che i primi biografi per ragioni contingenti - Tommaso da Celano anzitutto hanno omesso di ricordare e Giotto ha omesso di affrescare nella Basilica Superiore di Assisi. E’ Francesco che scrive nel Testamento: “Il Signore concesse a me di iniziare a fare penitenza in questo modo: poiché quando ero nei peccati molto amaro mi era il vedere i lebbrosi. Ma il Signore mi condusse tra loro e usai loro misericordia. Allontanandomi, ciò che mi sembrava amaro si convertì in dolcezza dell’anima e del corpo. Dopo poco uscìi dal mondo” (Et recedente me ab ipsis, id quod videbatur mihi amarum, conversum fuit mihi in dulcedinem animi et corporis; et postea parum steti et exivi de saeculo” (FF 110). In base agli Statuti Comunali italiani i lebbrosi, come già comandato nel Levitico, dovevano vivere fuori della città e andare gridando ‘Immondo, immondo!’ o portare dei sonagli ai piedi per evitare incontri contagiosi. Il lebbroso era gravato dal diffuso pregiudizio che la lebbra fosse il
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l grande medievista francese Jacques Le Goff ( Tolone 1 gennaio 1924 è morto a Parigi il primo aprile 2014 all’età di 90 anni. Autore di studi capitali sulla vita quotidiana e sulla visione del mondo dell’Età di mezzo, Le Goffe ha incarnato in tutta la sua lunga esistenza lo spirito del Medioevo. “Conoscevamo il suo “laicismo” intransigente, che pure non cedeva mai alla volgarità dell’anticlericalismo o dell’intolleranza- ha scritto il suo amico storico Franco Cardini-: tuttavia ci sorpresero la delicatezza e la profondità con le quali riuscì a parlare di Francesco d’Assisi ( San Francesco d’Assisi, Laterza 2000) e la dottrina anche teologica con la quale esaminò il tema del rapporto tra santità e regalità nella figura di Luigi IX ( San Luigi, Einaudi 1996)… Da storico guarda all’uomo, alle sue debolezze, ai suoi errori e alla sua aspirazione al cielo. Forse, sul piano della fede, non condivide tutto ciò. Ma lo “sente”: e ce lo fa sentire. Anche lo studio, quando è serio e profondo, diventa preghiera”.
risultato del disfrenamento libidico – è quanto oggi si dice dell’AIDS – per cui erano lontani dagli uomini e si ritenevano abbandonati da Dio. Siamo alla periferia, morale e sociale, della città o ai bordi della convivenza. Anche la letteratura cortese contribuì a rafforzare questo pregiudizio narrando della pena a cui il re Marco condannò l’infedele Isotta, e cioé a essere violentata da un branco di lebbrosi (cf. Le Goff, La civiltà dell’Occidente, Firenze, Sansoni 1969, p. 374). Francesco confessa candidamente che gli “era amaro anche soltanto vedere i lebbrosi”. Il Signore però lo condusse tra loro: Dominus conduxit me – mi portò per mano - come la madre porta per mano il figlio, riottoso o pigro, a scuola. Quale la forza di quel gesto? Si risolve forse nel lavare i piedi dei lebbrosi? Quale è lo strappo? quale maschera egli lacera e butta via – exivi de saeculo? Il valutare l’altro, il giudicare l’altro, il condannare l’altro in base a ciò che si vede, si dice, o in base a ciò che l’altro ha fatto o fa. E’ la logica oggettivante, entro la cui rete tutti siamo impigliati. Pare che non abbiamo altra via per conoscere l’altro che la sua oggettivazione – la sua storia. Nelle relazioni sociali di cosa altro disponiamo? Ma chi di noi si 36
HA SCRITTO uando Francesco d'Assisi compose il suo testo “
stessa logica dell'evoluzione naturale a basarsi sulla cooperazione e si educano i nostri ragazzi in questa prospettiva. Occorre quindi superare la cupa filosofia della vita trasmessa dal darwinismo e comprendere che a guidare l'evoluzione non è soltanto la lotta ma prima ancora il rapporto di complementarietà e di armonia, visto che non esiste vita se non in relazione, non esiste bios se non come symbios, come simbiosi. Dalla crisi ecologica ed eticospirituale non si uscirà se non si risaneranno le idee che l'hanno prodotta. Occorre che l'urgenza ecologica trasformi la nostra visione della biologia e ci faccia prendere coscienza del legame che unisce tutte le cose, dell'interconnessione di ogni ente con il tutto, di ciò che la fisica chiama entanglement e che costituisce il paradigma ontologico più avanzato. Tutto ciò è traduci- bile in filosofia dicendo che la prima categoria dell'essere non è la sostanza ma è la relazione, all'insegna di una relazionalità globale che supera l'antropocentrismo e l'utilitarismo che ne discende. Da Francesco d'Assisi malato e alla vigilia della morte nacque uno dei testi più sublimi della spiritualità di tutti i tempi. Dalla nostra civiltà, malata e così cieca da non riconoscere la sua malattia, può emergere ancora la possibilità di una svolta per non precipitare nell'abisso sempre più vicino? Penso che nessuno lo sappia ed è per questo che le tenebre del venerdì santo avvolgono le nostre esistenze e il nostro futuro, senza sapere se ci sarà data la luce di pasqua. Ma credere di sì è un dovere morale, oltre all'unica concreta possibilità che la svolta possa prodursi davvero”. VITO MANCUSO la Repubblica, 18 aprile 2014, p.31
identifica con ciò che ha fatto o con ciò che dice? Ognuno sa di essere ben altro, capace di fare altro e in altro modo. L’io, il soggetto, è sempre al di qua delle sue oggetivazioni. Se poi ci accostiamo all’altro con sguardo cristiano e pensiamo che è figlio di Dio, redento dal suo sangue, con un destino eterno, allora ciò che appare è davvero ben poca cosa. Chi si ferma al visibile è simile a colui che valuta il pacco in base al modo con cui è confezionato, non a ciò che ha dentro. Francesco sa che noi viviamo e giudichiamo in base al modo con cui il pacco è confezionato e cioé in base a ciò che appare. Quel gesto di servizio, che Francesco mette in atto, pensando alla perla che quel lebbroso porta con sé, anche se rivestito di stracci, e dunque trascendendo il versante naturale o sensibile, provoca in lui un cambiamento profondo – la metanoia - che egli descrive dicendo “ciò che prima mi sembrava amaro mi si convertì in dolcezza dell’anima e del corpo” Il gesto è grande se trasforma l’esistenza. Infatti, Francesco aggiunge “stetti poco e uscii dal mondo- stetim parum
et exivi de saeculo”, e cioè abbandonai il modo consueto di pensare. Ecco, siamo al diaframma tra te e l’altro; siamo alla maschera che ti dà l’impressione di incontrare l’altro, mentre in effetti ti chiude nel tuo mondo, di cui l’altro è al più riflesso o prolungamento. Quale è l’impedimento dell’incontro, soprattutto in città? Quel diaframma, che ci divide dall’altro, di cosa è fatto? La risposta è: quel diaframma consiste nella pretesa di giudicare l’altro alla luce di ciò che vediamo o ci sembra di vedere. Anzi, in quanto razionali, crediamo che il nostro primo compito sia quello di giudicare. Noi tutti siamo investiti da questa logica che, come un’onda culturale, viene da lontano con forza travolgente, per cui, senza accorgercene, ognuno resta estraneo all’altro. Dunque, quale è l’onda tempestosa che scioglie l’uno dall’altro, nonostante qualunque forma di convivenza? Il primato del giudizio. Francesco ci invita a ‘uscire dal mondo’ (exivi de saeculo) e cioè a problematizzare questo modo consueto di pensare, anteponendo l’amore al giudizio. Il nostro compito è di amare l’altro, non di giudicarlo.
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più bello, il Cantico delle creature, la pagina più antica della letteratura italiana, era quasi cieco per una malattia agli occhi e soffriva per una serie di altri mali che da lì a un anno l'avrebbero condotto alla morte. Ciò non gli impedì di cantare la luce di frate sole e di frate focu e di celebrare le altre realtà naturali. Penso che guardando alla sua vita sia possibile capire le due principali malattie di cui soffriamo oggi: 1) una filosofia di vita opposta a quella di Francesco e analoga a quella del ricco mercante suo padre, cioè all'insegna dell'accumulo e del consumo, a cui si viene indotti fin da piccoli dalla potenza della pubblicità e dall'industria dell'intrattenimento che le gira attorno; 2) una filosofia della natura opposta a quella del Cantico delle creature che considera la materia come inerte e la vita come lotta, e da cui discende un atteggiamento predatorio verso il pianeta e il conseguente inquinamento. Dal canto suo la religione tradizionale dell'Occidente non è stata in grado di fronteggiare questi due mali, anzi vi ha persino contribuito a causa del suo antropocentrismo, per cui anche il cristianesimo si deve rinnovare, anzi direi convertire. L'umanità, se vuole sopravvivere, deve cambiare la mentalità che guida le sue politiche economiche e che orienta il suo atteggiamento verso la natura. L'unica possibilità di una svolta è nella presa di coscienza che la Terra è un organismo che deve la sua origine e la sua esistenza alla logica dell'armonia relazionale. Il passaggio da una civiltà basata sulla lotta a una civiltà basata sulla cooperazione può avvenire solo se si comprende che è la
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Angela da Foligno «Ricordati, non ti ho amato per scherzo!» da Roma
RAFFAELE DI MURO
CHI È
DOCENTE DI SPIRITUALITA FRANCESCANA
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l 4 gennaio 2014 è stata canonizzata Angela da Foligno, mistica francescana del medioevo, che rappresenta una delle figure più singolari ed affascinati della storia della spiritualità cristiana. Nasce 1248 da una famiglia nobile e facoltosa. Passa la giovinezza e buona parte della sua maturità a coltivare la sua bellezza ed una vita mondana. Si sposa a 20 anni con un signorotto locale dal quale ha diversi figli. Vive nella dissipazione e nel peccato fino all’età di 37 anni, quando, nel 1285, dopo una lunga e fruttuosa confessione decide di dare alla sua vita una svolta: è la conversione. Perde madre, marito e figli. Ormai, non si cura dei vestiti e del viso, cercando di dare maggiore attenzione alla sua vita spirituale. Attratta dall’ideale francescano entra nel Terz’Ordine nell’estate del 1291. Muore a Foligno il 4 gennaio 1309.
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a preghiera e la devozione a san Francesco sono all’origine e alla devozione al serafico padre san Francesco. L’opera dalla quale si comprende il suo itinerario spirituale è il Liber, redatto in due parti da un frate teologo: il Memoriale, che espone il cammino di Angela e la seconda caratterizzata da relazioni, lettere e discorsi (Instructiones). E’ protagonista di singolarissime esperienze mistiche nelle quali Dio si rivela in molteplici in visioni o audizioni. L’unione profonda e totalizzante con la Trinità arriva al culmine del suo cammino di conversione che è motivo di crescita spirituale anche per quanti incontra. I tratti della spiritualità di santa Angela pongono in parallelo i fenomeni mistici, dono di Dio, ma anche il suo
Giovanni Paolo II dopo aver pregato sulla tomba di santa Angela da Foligno posa con i frati della provincia umbra insieme con il vescovo Costantini e il ministro generale dell’Ordine Serrini (Domenica 20 giugno 1993)
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continuo e determinato desiderio di santità. Ciò evidenzia il fatto che la Folignate non è da considerarsi mistica solo in virtù dei doni soprannaturali che ne caratterizzano il vissuto spirituale, ma soprattutto per la comunione profonda e continua con Dio, frutto di un cammino di ascesi, di preghiera e di una costante disponibilità all’azione della grazia. La mistica di Angela è caratterizzata dal suo amore per il raccoglimento e per la preghiera. Ella favorisce il suo incontro orante con Dio mediante tempi lunghi di preghiera “nutriti” dal silenzio e della quiete. Il suo cammino è di matrice trinitaria. Ella ha ben presente l’unità perfetta del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, tuttavia ha un rapporto distinto con ciascuna delle Persone divine dalle quali riceve numerose locuzioni interiori. Vive tempi di grande prova, ma sperimenta l’incontro mistico con la Trinità e che rappresenta la vetta, l’ultima tappa del suo percorso mistico. Ella è affascinata dalla paternità di Dio Padre, dalla sua bellezza, dalla sua grandezza, dalla sua bontà (il Padre le si rivela come Bellezza e Amore mediante locuzioni interiori): è attratta dall’umanità del Verbo, dai misteri della passione e della risurrezione e dalla presenza reale nel Sacramento dell’Eucarestia; è disponibile all’azione dello Spirito Santo che ella considera la sorgente della vita interiore. Ritiene che il credente riceva rapidamente la luce proveniente da Dio-Trinità mediante la preghiera devota, pura, umile, continua e insistente. Molto frequenti sono in Angela le visioni del Crocifisso che la inducono ad essere perseverante in un cammino di continua conversione e purificazione. Vive un’autentica teologia della croce nella quale Gesù che soffre e muore rappresenta la massima espressione d’amore di Dio per l’umanità ed invita il credente ad amare nello stesso modo. La spiritualità della santa ha molteplici sfumature mariane. Infatti, il suo rapporto con Maria è segnato da molteplici e dolcissime locuzioni e visioni che la riempiono di consolazioni. La Vergine è per lei un esemplare nell’amore per Gesù e nell’ accogliere le prove e le croci della vita per amore suo. La Madonna è Madre di Dio, ma anche Madre di tutta l’umanità che è sotto la sua protezione premurosa ed amorosa. La folignate non è solo una donna di preghiera, ma mostra il suo impegno nella evangelizzazione e nella carità. E’ madrina spirituale di innumerevoli persone che si affidano alla sua mediazione per realizzare un cammino di conversione e per vivere illuminati dalla volontà di Dio. Secondo l’esperienza di questa meravigliosa donna francescana la santità è il frutto di quattro “salti” in progressione: in primo luogo, l’anima è inviata alla com-
prensione profonda di Dio e dei suoi misteri, per poi giungere a sperimentare un amore di dilezione esclusivo. Il terzo passo di questo itinerario consiste nell’esperienza della divina presenza che coinvolge soprattutto le potenze intellettive e, infine, si giunge all’unione d’amore. Le dimensioni affettiva e cognitiva mai sono da considerasi in antitesi ma vi è tra loro una perfetta integrazione. Dio è il protagonista di questa mistica operazione, l’uomo è chiamato a lasciarsi docilmente condurre verso la comunione con Lui sempre più totalizzante. Santa Angela da Foligno è tra le mistiche medievali più studiate, amate ed apprezzate lungo i secoli. Il suo vissuto ed il suo messaggio risultano semplici e profondi, la sua esperienza al cospetto di Dio suscita ammirazione, stupore ed un irrefrenabile desiderio di percorrere quelle vie di unione con l’Altissimo che hanno riempito il suo cuore e la sua esistenza. La Folignate, dunque, ancora oggi, si attesta per tutta la Chiesa splendida maestra di vita spirituale. “Ricordati che non ti ho amato per scherzo!”- le disse Gesù in una visione mistica. Ed è quanto ricorda anche oggi a noi:”Ricordati che Gesù non ti ama per scherzo!”.
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Amalfi – La famiglia di Gaetano Afeltra (Amalfi 11 marzo 1015 - Milano 9 ottobre 2005) conserva gelosamente tre le mura di casa che si trova al centro della città, questa stampa dell’Ottocento che presenta il Venerabile Domenico Girardelli da Muro Lucano che “richiama in vita il defunto Matteo Anastasio suo penitente, che stava per subire l’eterna dannazione per non essersi confessato di una grave colpa commessa nella sua giovinezza”.
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udovico da Casoria sarà proclamato santo il 26 novembre insieme ad altri cinque testimoni di Cristo e della Chiesa. Papa Francesco aveva autorizzato in data 15 aprile 2014 la Congregazione delle Cause deiSanti a promulgare il Decreto riguardante il miracolo attribuito al Beato Ludovico da Casoria ( al secolo Arcangelo Palmentieri), sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori e Fondatore della Congregazione delle Suore Francescane Elisabettine dette Bigie. Padre Ludovico è nato a Casoria l’11 marzo 1814 ed è morto a Napoli il 30 marzo 1885. Un secondo Decreto riguarda il Beato Amato Ronconi, del Terz’Ordine di San Francesco, Fondatore dell’ospizio dei poveri pellegrini della città di Saludecio, ora casa di riposo/opera pia Beato Amato Ronconi, nato a Saludecio nel 1226 e morto a Rimini nel 1292 circa.
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l processo canonico di beatificazione del servo di Dio fra Luigi Lo Verde (1910-1932)- informa il vice postulatore della causa padre Giorgio Leone- procede regolarmente. In data 20 marzo scorso il Postulatore generale delle Cause dei Santi dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali padre Angelo Paleri informava che l’8 maggio 2014, la Positio del servo di Dio, già presso la Congregazione dei Santi fin dal 1985 e riconosciuta valida con decreto del 21 febbraio 1992, veniva esaminata dal congresso dei consultori teologi. Emesso il decreto di eroicità delle virtù il servo di Dio fra Luigi verrà proclamato “ Venerabile”. Si è in attesa dei miracoli attribuibili alla sua intercessione per potere procedere alla beatificazione. La tomba del servo di Dio fra Luigi, è custodita nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù alla Noce in Palermo, officiata dai Francescani Conventuali di Sicilia. 40
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ra di 20 pagine il primo numero di Luce Serafica (marzo 1925). Il numero 2 partiva da pagina 21 e termina a pagina 52, ma aveva un primo piccolo errore: marzo 1925 n.2 e non aprile 1925 n.2.. Cose che capitavano anche allora! Gli articoli invece, dopo la spiegazione del titolo Luce Serafica: che cosa vogliamo, perché Luce e perché Serafica
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e la riposta era :”E’ un dovere”, presentavano articoli come San Francesco e il mezzogiorno; il primo convento francescano del mezzogiorno: san Lorenzo maggiore; Pensieri per la Vergine e per san Giuseppe sposo; una riflessione su Roma che vive il Giubileo del 1925 e un articolo sulla vigilia del VII° centenario della morte gloriosa del serafico padre san Francesco (4 ottobre 1226- 4 ottobre 1926). Il numero 2 (pubblichiamo in questa stessa pagina la copertina del Domenichino, ospita le congratulazioni del ministro generale dell’ Ordine dei Frati minori Conventuali Padre Alfonso Orlini, del ministro provinciale padre Antonio Palatucci, dell’arcivescovo di Amalfi, Ercolano Marini e di Giulio Tommasi, arcivescovo di Conza e sant’Angelo de’ Lombardi. Dopo una meditazione pasquale scritta da padre Giuseppe (Joseph) Palatucci, il grande dantista e studioso di storia francescana padre Stefano Ignudi, francescano conventuale genovese e confessore di Papa Benedetto XIV, scriveva tre pagine sulla fondazione dell’ordine francescano (XVI aprile 1209-1225)). Lo studio su san Francesco e il Mezzogiorno si dirigeva vero le Puglie. Mentre il grande storico Francesco Scandone scriveva sul convento ( monastero!) di santo Francesco a Folloni di Montella (Avellino). Gli altri brevi saggi riguardavano il beato Agostino da Assisi, primo ministro provinciale di Terra di Lavoro. Continuava lo studio sul primo convento francescano del mezzogiorno (pp. 43 - 46) e venivano presentate due belle pagine sulla storia del Terz’Ordine Francescano. Un ampio notiziario e una significativa ed intelligente bibliografia (ben sei recensioni) chiudevano il numero 2 di aprile 1925. G.G.
Ravello, Fra Ludovico Di Nardo con il piccolo Alfonso Schiavo e le bimbe Maria Schiavo e Maria Mansi (1939)
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Zambia, Costa Rica, Italia Tre nuovi Vescovi francescani conventuali
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ell’arco di cinque mesi Papa Francesco ha nominato in Zambia, in Costa Rica e in Italia tre religiosi francescani conventuali vescovi diocesani. Si tratta di fra Patrick Chisanga, già ministro provinciale dei Frati Minori Conventuali in Zambia, di fra Enrique Montero Umana, già custode della missione nelle Filippine dei Frati Minori Conventuali di Napoli e già rettore del Collegio Internazionale Seraphicum di Roma e di fra Giuseppe Piemontese, già custode del Sacro Convento di Assisi.
Mons. Montero Umana - La nomina a Vescovo della diocesi di San Isidoro de El Eeneral in Costarica è giunta alla viglia di Natale - 24 dicembre 2013-. Religioso e sacerdote della provincia americana dell’Immacolata Concezione- Delegazione Costa Rica, fra Enrique è nato in Moravia - Costa Rica - il 6 novembre 1945. E’ stato ordinato sacerdote il 16 giugno 1973. Formatore di giovani che si preparano alla vita religiosa francescana conventuale al collegio internazionale Seraphicum all’Eur, fra Montero ha anche speso un arco della sua vita religiosa in missione formando i giovani filippini alla vita francescana e sacerdotale. In questa terra ha lasciato i segni della sua presenza e del suo apostolato francescano e missionario. Mons. Montero Umana è stato ordinato Vescovo il 1° marzo 2014.
Mons. Giuseppe Piemontese - La nomina a Vescovo della diocesi di Terni – Narni - Amelia (Italia di fra Giuseppe Piemontese, è stata resa nota il 16 aprile mercoledì santo. Padre Giuseppe Piemontese è nato a Monte Sant’Angelo (Foggia) il 24 aprile 1946. Ha frequentato gli studi nei seminari dell’Ordine nelle Puglie e a Roma. Ha conseguito la Licenza in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura" Seraphicum a Roma e la Laurea in Diritto Canonico. Ha emesso i voti temporanei l’8 settembre 1967, quelli perpetui l’8 ottobre 1977. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 5 aprile 1971. Ha svolto i seguenti uffici e ministeri: Educatore nelle case di formazione; Animatore della pastorale giovanile; Parroco a Bari per nove anni nella popolosa parrocchia del Rione Japigia; Membro del Definitorio della Provincia; Ministro Provinciale della religiosa provincia pugliese OFMConv., e Custode del Sacro Convento di Assisi. Mons. Piemontese è stato ordinato vescovo nella cattedrale di Terni sabato 21 giugno 2014 dal cardinale arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti.
Mons. Patrick Chisanga - In data 30 novembre Papa Francesco ha nominato fra Chisanga Vescovo della diocesi di Mansa. Fra Patrick è nato il 18 maggio 1971 a Kamuchanga, in diocesi di Ndola. La provincia religiosa di Zambia nata nel lontano 1930 ha donato alla Chiesa in Africa ben quattro frati come Vescovi. Si tratta di mons. Mazzieri ( ora Servo di dio) di mons. Agnozzi, divenuto poi al rinetro in Italia vescovi di Ariano Irpino e i monsignori Potani e Chisanga, quinto ordinario della diocesi di Mansa che si trova nel nord- ovest dello Zambia a 600 km da Ndola. Mons. Chisanga ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 1° febbraio 2014.
Convento S. Antonio - Largo S. Antonio 1 - 85025 Melfi (Pz) Telfax. 0972239464; Cell. 3426435559
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E uro Dossier 2014 pa Sguardi sul mondo Staminali: non “spacciare” per terapeutico quello che scientificamente non è da Roma
EMANUELA VINAI GIORNALISTA DI SCIENZA & VITA
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opo trentadue anni di lavoro si cominciano adesso a vedere i primi risultati”, ha ricordato recentemente Angelo Vescovi, biologo e farmacologo, direttore scientifico dell’Istituto di ricerca e ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, parlando delle terapie con le staminali. Il prof. Vescovi, che a Terni sta conducendo un’importante e promettente ricerca sulle staminali per la cura della Sla, sotto costante e rigorosa attenzione scientifica legata alla valutazione prima di tutto della sicurezza dei pazienti, tiene a mettere in guardia contro i troppi “stregoni” che promettono alternative anche oltre ogni ragionevole speranza. La sperimentazione clinica deve sempre rifarsi ai principi della buona pratica medica, sembrerebbe un’osservazione ovvia, ma il caso Stamina e, prima ancora, le varie terapie “miracolose” che si sono succedute negli anni, hanno dimostrato che così, purtroppo, non è. In particolare, le cure a base di cellule staminali, quelle cellule così potenti da potersi trasformare in altro e da
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poter intervenire a sostituire quelle malate o danneggiate, rappresentano la nuova frontiera delle terapie e sono invocate a vario titolo come possibile e inesauribile panacea per tutti i mali. Nel mondo oggi sono innumerevoli le sperimentazioni cliniche avviate in tal senso, e le uniche ad aver fornito risultati concreti sono le ricerche condotte utilizzando staminali adulte e non quelle embrionali, prelevate cioè distruggendo embrioni umani. Ma purtroppo non è tutto oro ciò che luccica e il rischio è che a guidare le sperimentazioni sia una logica sempre più commerciale. Un recente studio pubblicato sul British Medical Journal e ripreso da Nature, fa crollare molte attese 44
sulle terapie con le staminali: ci sono troppi falsi positivi nei test condotti sull’uomo. Grazie a un algoritmo infatti sono state smascherate le numerose discrepanze presenti nei dati presentati negli articoli scientifici (dal reclutamento dei pazienti al conflitto tra i dati descritti e quelli contenuti nelle tabelle). I risultati presentati con una maggiore enfasi sull’efficacia sono infatti anche quelli con il maggior numero di incongruenze. L’algoritmo ha analizzato 133 articoli relativi a 49 sperimentazioni cliniche su malattie del cuore trattate con cellule staminali prelevate dal midollo osseo (mesenchimali), individuando oltre 600 discrepanze. E’ emerso che a presentare i risul-
tati più clamorosi erano gli articoli sulle cinque sperimentazioni con la più alta media di difformità (ben 30 ciascuno). Gli articoli privi di discordanze sono invece una netta minoranza, appena cinque, e purtroppo per ognuno di essi gli effetti terapeutici dichiarati erano pari a zero. Una doccia fredda per le speranze degli innumerevoli potenziali pazienti.
Ma soprattutto un chiaro avvertimento che ci dice come sia in atto un eccesso di trial clinici scientificamente infondati che utilizzano cellule staminali, mesenchimali e non, per scopi non plausibili sul piano medico e biologico. Come se non bastasse, in altre parti del mondo queste procedure, pur inefficaci, sono offerte su base commerciale. E se questi
sono i risultati scientificamente controllati, che evidenziano il cammino ancora lungo da percorrere prima di arrivare a una cura vera e valida, non si può che rabbrividire pensando a cosa possa essere spacciato per “terapeutico” da personaggi con pochi scrupoli e basi scientifiche discutibili che fanno leva sulla disperazione per trarne vantaggi economici.
Demolizione Legge 40 Dov’è il cuore del problema? da Roma
DINA NEROZZI CONSULTORE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA
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a Legge 40 che aveva in animo di regolamentare quello che era definito, prima della sua introduzione, come un far west nel campo della procreazione medicalmente assistita, è stata smantellata a colpi di sentenze della magistratura. Purtroppo non si tratta di un fatto isolato, ormai abbiamo ben compreso chi detta le regole in Italia, e non solo, come avvertiva già nel 2003 Robert Bork, giudice della Corte d’Appello del distretto di Columbia, con il suo Coercing virtue: the
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Worldwide Rule of Judges. In ogni dittatura la magistratura esula dal suo ruolo istituzionale, di attento esecutore delle leggi, e diviene attiva politicamente, imponendo quelle regole che la politica non ha la forza di imporre perché priva del consenso popolare. Il quesito cui la Consulta ha dato seguito, era stato posto dal tribunale di Firenze, cui si erano rivolti un uomo e una donna che consideravano il divieto di fecondazione eterologa una discriminazione nei confronti delle coppie sterili. Il tribunale interpellato, ritenendo che tale divieto fosse in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, poneva il quesito alla Corte Costituzionale.
Sull’onda della vittoria appena conseguita con la demolizione della legge 40, il tribunale di Grosseto non ha voluto perdere tempo e ha deciso di fare un ulteriore passo sulla via del “progresso” ordinando di trascrivere nei registri di stato civile il “matrimonio” tra due uomini e tra due donne, facendo così saltare un altro paletto del Diritto Naturale. A detta del giudice estensore dell’ordinanza “nel codice civile non è individuabile alcun riferimento al sesso in relazione alle condizioni necessarie al matrimonio”. Mentre la ragione collettiva sembra assopita, per riprendere in mano le redini di questa follia bisogna capire esattamente quando è iniziato il glorioso processo che ha deciso di mettere in soffitta le leggi della natura, ormai superata dalla tecnologia umana, e da lì bisogna riprendere il cammino. Tutto il resto è semplicemente inutile. La deriva è iniziata nel 1948 quando l’Oganizzazione Mondiale della Sanità, sotto la direzione del suo primo direttore generale Brock Chisholm, ha cambiato la definizione di salute: dalla pragmatica definizione di “Assenza di malattia e di disabilità” a “Stato di completo Benessere, fisico, psichico e sociale e non semplice mancanza di malattia”. Una definizione utopica che aveva il compito di aprire la strada al nuovo mondo progressista. Con la nuova definizione di salute lo Stato ha promesso qualcosa che non è umanamente raggiungibile e dunque diventa, di fatto, un falsario. Quello che uno Stato può fare è cercare di garantire le cure basilari ai suoi cittadini, ma non può garantire la salute come un di-
ritto. Per quello bisogna rivolgersi a un altro indirizzo, che sta sopra le nostre teste. La nuova definizione era però la chiave indispensabile per aprire le porte ai “diritti sessuali e riproduttivi”, vale a dire contraccezione, aborto e riproduzione medicalmente assistita per tutti quelli che lo desiderano, e a spese del servizio sanitario nazionale. La riforma della legge 40 attuata dalla Consulta significa una sola cosa: l’assenza di un figlio è da paragonarsi a una malattia e lo Stato deve provvedere a sanare questa situazione discriminatoria utilizzando tutti i mezzi messi a disposizione dalla tecnologia. Punto. A questo punto sorge la domanda poco romantica: chi paga? Se è un diritto deve contribuire la comunità intera. Uno Stato alle soglie della bancarotta, che fa fatica a garantire le cure per i malati di cancro, ma che è così sensibile da voler donare un figlio a chi non può averlo. Una volta un figlio era considerato un dono della natura, o, a detta di qualcun altro, un dono di Dio. Adesso è diventato un dono del servizio sanitario nazionale. Un dono che però qualcuno deve pagare, dato che lo Stato non ha risorse proprie, ma le deve chiedere ai cittadini con le tasse. Prima di assistere allo spettacolo di un servizio sanitario nazionale che sarà costretto, per mancanza di fondi, a ridurre le cure essenziali ai malati veri, che dovranno vedersela da soli, diamoci da fare per far ritornare il bene della ragione nella politica sanitaria. E’ necessario ritornare alla definizione pragmatica di salute: “Assenza di malattia e di disabilità”. Non esiste altra strada.
Am eric a
Verso Philadelphia 2015 da New York
JOSÉ GUILLERMO GUTIÉRREZ FERNÀNDEZ ESPERTO DI SOCIOLOGIA RELIGIOSA
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al 22 al 27 settembre 2015, Philadelphia ospiterà l’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie. Questa città dello Stato di Pennsylvania è una delle più grandi del Paese e la più ricca della storia americana. È qui che gli Stati Uniti sono nati come nazione e dove oltre due secoli fa si sono sviluppati gli ideali politici a servizio dei diritti umani e della libertà. Philadelphia è anche un luogo dove si rispecchia di più la vita cattolica dell’America. Ben due sono i santi di questa terra. La prima: santa Katherine Drexel è nata lì nel 1858. E’ stata lei la fondatrice delle suore del Santissimo Sacramento che operarono sin dalla metà dell’ottocento per gli indios e per la gente di colore. Trascorse la sua vita al servizio degli afro-americani e degli indiani del Nord america. Morì il 3 marzo del 1955 e fu canonizzata da Giovani Paolo II nel 2000. Il secondo è san John Neumann, che fu vescovo della città tra il 1852 e il 1860, anno della sua morte. Fu canonizzato da Paolo VI il 19 giugno del 1977.
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Neumann creò scuole parrocchiali che sono diventate un modello nazionale e hanno aiutato le famiglie immigrate povere a educare i loro figli. Lui stesso era un immigrato. Era infatti nato il 28 marzo del 1811, in Bohemia, nel impero austro-ungarico. Si trasferì negli Stati Uniti, dove, nel 1836, veniva ordinato sacerdote a New York. Philadelphia, quindi, ha una grande eredità ecclesiale in materia di educazione cattolica e secoli di servizio agli immigranti, alle minoranze, alle persone disabili, agli anziani, agli affamati e ai poveri. Questo servizio continua tuttora in numerosi servizi sociali gestiti dai cattolici del Paese. Dopo la crisi degli abusi sessuali dello scorso decennio, la Chiesa che è in Philadelphia ha anche un grande bisogno di rinnovamento. I cattolici devono essere aiutati a vivere la loro fede con gioia e con profonda convinzione. I cattolici degli Stati Uniti e di Philadelphia desiderano avere la possibilità di approfondire la presenza di Dio nelle loro famiglie e condividere il Vangelo con un mondo che ha bisogno urgente di speranza. Certamente il prossimo incontro Mondiale delle Famiglie offrirà una occasione preziosa per realizzarlo. L’Incontro Mondiale avrà luogo in coincidenza con
i 50 anni della chiusura del Vaticano II, un Concilio che ha aperto la Chiesa cattolica La Chiesa Cattolica negli Usa al dialogo ecumenico e interreligioso. Così tra le novità di questo Incontro Mondiale, 1493 l’anno dell’arrivo del cristianesimo si registra il fatto che ci sono anche alcuni sull’attuale territorio degli Stati Uniti; 78,2 mileaders ecumenici e interreligiosi a far lioni di fedeli (il quarto Paese con più cattolici nel parte del comitato organizzatore, come comondo, dopo Brasile, Messico e Filippine); il 28% presidenti. E si sono uniti ai colleghi relidella attuale popolazione americana è cattolica; i giosi anche alcuni membri della comunità cattolici sono la più numerosa confessione cristiana degli affari di Philadelphia, il governatore nel Paese con 195 giurisdizioni ecclesiastiche (diodello Stato della Pennsylvania e il Sindaco cesi, arcidiocesi, esarcati e ordinariati); 17,644 pardella città, onorando il loro impegno per rocchie; 19 cardinali; 270 vescovi e arcivescovi in la famiglia e per l’intera società americana. carica; 454 i vescovi emeriti; 41.406 sacerdoti; In questo modo, il prossimo Incontro Mon17.000 diaconi permanenti; 63.032 e religiose; diale delle Famiglie nel 2015 sarà senz’altro 5.040 fratelli religiosi; 189 seminari dioceun grande momento di speranza e di gioia per ogni famiglia che sarà presente a Philadelphia. sani con 5.247 seminaristi; 2,7 milioni Si vivrà così una grande esperienza di Chiesa Fadi alunni nelle scuole cattoliche. miglia aperta alla vita, alla bellezza e alla gioia del13 i santi canonizzati. l’essere famiglia cristiana negli Stati Uniti e nel mondo intero.
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Con il cuore colmo di gioia sono arrivata al Garrahan da Buenos Aires
ROSALBA TRABALZINI GIORNALISTA DIRETTORE DI GUIDAGENITORI.IT
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opo aver attraversato in una lunga diagonale l’Atlantico sono atterrata a Buenos Aires, giusto il tempo di lasciare i bagagli in albergo per ripartire alla volta dell’ospedale dove il prof. Marcelo Scopinaro, il Presidente dell’ospedale pediatrico più importante del Sud-America J.L. Garrahan, era ad attendermi. In Argentina vive la più grande comunità italiana all’estero e sono anche i più grandi sostenitori di Guida per Genitori, richiedono sempre più spesso le nostre consulenze pediatriche on-line ed è nata così, quasi per caso, la nostra missione Argentina. Alla SIP, la società Italiana di Pediatria abbiamo chiesto di sostenerci e di fatto sono partita per incontrare i 35 bambini ricoverati nel centro oncologico dell’ospedale. Tutti bambini tra i due ed i 13 anni, tutti in trattamento chemioterapico. Per non andare a mani vuote, abbiamo chiesto ai genitori che ci seguono di far scrivere delle letterine di buon augurio dai loro figli destinati ai piccoli degenti del Garrahan, ne sono arrivate ben 849. A scriverle sono stati tanti bambini: gli alunni della maestra Tiziana di Valmontone e gli alunni della maestra Federica di Monteporzio e poi i bambini di Palermo, di Perugia e di Cagliari. Tutti hanno partecipato. Il marchio di abbigliamento per bambini Mi.Mi.Sol. ci ha fatto avere delle bandane e l’agenzia che
ha arrangiato il viaggio ha offerto matite colorate, l’associazione Guida per Genitori ha offerto 35 libri illustrati e le sacche per contenere le preziose letterine ed i piccoli doni. Il grande problema è stato come abbattere il peso dei libri, piuttosto pesante a dire il vero. Non mi sono persa d’animo, mentre ero in attesa per fare il check-in ho chiesto ai passeggeri se ognuno di loro fosse stato disposto a portare un libro, così è stato. Una volta a bordo, considerata la lunghezza del viaggio: 14 ore senza scalo, ho ricomposto le sacche, in ognuna ho inserito le letterine, la bandana, il libro, un porta badget, le matite colorate e penne. L’incontro con i bambini è stato di una emozione così forte quasi da togliere il respiro. Il prof. Scopinaro era ad attendermi ed io puntuale alle ore 10,30 ero fuori dal reparto. Questo ospedale ha un tristissimo primato: diagnostica il 30% di tutte le forme tumorali del Sud America. Inizia il giro, i piccoli degenti sono distesi nei loro lettini,
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alcuni con le flebo di chemio. Mi sono fermata a parlare con ognuno di loro: ho parlato con Alejandra, con Luis, con Almudena, con Esmeralda, con Inez, con Marisol, con Alonso, con Natal, con Nestor, con Roberto, con Victor, con Tito, con…. Vorrei elencarli tutti e 35 i piccoli angeli con gli occhi cerchiati dalla sofferenza, sono però riuscita a strappare un sorriso ad ognuno di loro. Per ogni piccolo mi sono seduta accanto al loro letto ed ho iniziato a leggere le letterine che loro stessi prendevano dalla loro sacca. In alcuni bambini la curiosità è andata oltre, volevano sapere cosa facessero i nostri bambini, se andavano a scuola, se vedevano la televisione e come stavano passando le vacanze del Natale. Ho portato nel reparto una ventata di novità che ha contagiato tutti i piccoli degenti e io, tornerò casa con l’immagine di quei bambini ai quali è stato sufficiente leggergli una lettera di un coetaneo che vive dall’altra parte del mondo per vederlo sorridere.
Med La Siria così lontana Orie io nte da Damasco
Papa Francesco: tacciano le armi nell’amata Siria!
FRANCESCA PACE
GIORNALISTA INVIATO LA STAMPA
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arole accorate per l’amata Siria! Papa Francesco, in chiusura dell’udienza generale di mercoledì 9 aprile, ha rivolto un appello alla pace per questo Paese, insanguinato da una guerra civile che si protrae da tre anni e che ha causato - si stima - 150 mila morti, di cui oltre 50 mila civili e quasi 8 mila minori. Ultima vittima della guerra in Siria, dove viveva da quasi 50 anni fa, padre Frans van der Lugt, 75 anni, gesuita olandese, ucciso il 7 aprile 2014 nella martoriata città di Homs. “Un uomo - ha ricordato il Papa - che ha sempre fatto del bene a tutti, con gratuità e amore”, “amato e stimato da cristiani e musulmani”: “La sua brutale uccisione – ha detto commosso - mi ha riempito di profondo dolore e mi ha fatto pensare ancora a tanta gente che soffre e muore in quel martoriato Paese – la mia amata Siria! - già da troppo tempo preda di un sanguinoso conflitto, che continua a mietere morte e distruzione". Il pensiero di Francesco è andato poi alle vittime sequestrate: "Penso anche alle numerose persone rapite, cristiani e musulmani, siriani e di altri Paesi, tra le quali ci sono vescovi e sacerdoti. Chiediamo al Signore che possano presto tornare ai loro cari e alle loro famiglie e comunità". Quindi, l’invito alla preghiera per la pace in Siria e nell’intera regione e l’accorato appello ai responsabili siriani e alla comunità internazionale: “Per favore, tacciano le armi, si metta fine alla violenza! Non più guerra! Non più distruzione! Si rispetti il diritto umanitario, si abbia cura della popolazione bisognosa di assistenza umanitaria e si giunga alla desiderata pace attraverso il dialogo e la riconciliazione”.
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ssad ha vinto, ripete ormai spavaldamente l’Iran spalleggiato da Mosca. La riconquista della ribelle Homs è solo l’ultimo dei tasselli di un puzzle anti-storico. Le elezioni presidenziali del 3 giugno anno aumentato la distanza tra i sostenitori del regime e il gruppo “Amici della Siria” che, con non poche ragioni, le definisce già una “parodia”. In mezzo, nella voragine senza fine, sprofondano gli umani, uomini, donne, bambini, i veri protagonisti di questa epopea iniziata oltre tre anni fa come pacifica richiesta di democrazia e degenerata sotto lo sguardo indifferente del mondo in una sanguinaria guerra civile. Sebbene pretenda il contrario infatti, il mondo guarda in diretta la Siria che muore. Ma non batte ciglio. E’ capitato che l’attenzione si destasse nel caso della piccola Israa alMasri, finita dalla fame nel campo profughi palestinese di Yarmouk, a Damasco, o in quello dell’infinita coda per il pane nello stesso campo. Dura poco, però. Titoloni sui giornali e aperture di tiggì. Fine. Perché la Siria non scalda i cuori e forse non li ha mai scaldati. Con la conta dei morti ormai ampiamente sopra quota 150 mila (10 mila minori), le maggiori organizzazioni umanitarie mondiali ripetono che nessuna crisi ha sensibilizzato meno l’opinione pubblica della carneficina in corso ad appena tre ore di volo da Roma. Gli Stati
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Chiese devastate in Siria
donano poco, tanto che l’Onu ha lanciato il più grande appello della storia chiedendo 6,5 miliardi di dollari (finora solo il 12% dei 2,3 miliardi di dollari promessi in Kuwait dalla Conferenza dei Donatori sono stati versati). I privati, solitamente assai più generosi dei loro governanti, donano ancora meno. Basta pensare che a novembre per lo tsunami nelle Filippine il World Food Programme ha raccolto in poco tempo oltre il 90% degli 88 milioni di dollari stimati per l’emergenza cibo: per la Siria, una catastrofe umanitaria da 40 milioni di dollari alla settimana, non si è neppure al 39% dei fondi necessari. Come mai la Siria ci lascia freddi al punto da non registrare quasi le dimissioni del segretario generale della Nazioni Unite Ban Ki-moon, che abbandona rassegnato il suo ruolo di mediatore mentre l’intelligence francese denuncia l’uso ricorrente delle armi chimiche e dei barili bomba carichi di gas al cloro da parte del regime, gli jihadisti tagliano l’acqua ad Aleppo e l’Unicef registra nuovi focolai di polio? Gli operatori umanitari, alle prese ogni giorno con campi profughi come quello giordano di Zaatari in cui vivono circa 150 mila persone, spiegano l’indifferenza con la complessità. La Siria, con 3 milioni di rifugiati
all’estero e 9,3 milioni di sfollati all’interno del paese, appare un caos nel quale è impossibile distinguere i buoni dai cattivi soprattutto perché, diversamente dalle sciagure naturali, la popolazione aveva teoricamente la scelta di rimanere zitta e buona sotto la dittatura evitando questo disastro. Tra l’altro, mentre l’accordo UsaRussia sul disarmo di Damasco avanza a dir poco lentamente, la situazione sul terreno si fa sempre più complicata. Numerose sono le voci di una “sotterranea” collaborazione tra le forze lealiste e i qaedisti in zone come Raqqa, dove il 29 luglio dello scorso anno è stato sequestrato padre Paolo Dall’Oglio. Se i fondamentalisti islamici terrorizzano i cristiani siriani e Assad terrorizza buona parte degli altri, i ribelli originari, disarmati e desiderosi di riforme, non fanno più paura a nessuno e dunque non fanno notizia. Il tempo stringe. Save the Children stima che 5 milioni di bambini siano bisognosi di assistenza mentre l’Unicef chiede 222,192,134 di dollari per non interrompere il crescente bisogno di acqua potabile e vaccinazioni. La campana suona per la Siria ma, per quanto chiudiamo le orecchie giustificandoci con la complessità, suona per tutti noi.
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Corea «Alzati, rivestiti di luce» da Seoul
THOMAS HONG-SOON HAN GIÀ AMBASCIATORE DI COREA PRESSO LA SANTA SEDE
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a Chiesa in Corea è in attesa dell’ imminente visita di Papa Francesco. Fervide ed ardenti le preghiere. Grandi le aspettative. Mentre è riconoscente a Dio per lo slancio vitale che questa visita porterà alla sua missione, sta anche cercando di sfruttare al meglio l’evento per una nuova evangelizzazione di se stessa e della società. La Chiesa in Corea è stata iniziata da laici coreani, non da missionari esterii verso la fine del XVIII secolo e ha vissuto i primi 100 anni sotto severe persecuzioni in cui più di 10.000 persone hanno dato propria vita per testimoniare la fede, di cui 103 sono canonizzati da Giovanni Paolo II a Seoul nel 1984 e altri 124 saranno beatificati da Papa Francesco nel prossimo agosto a Seoul. Nella Corea del Nord la persecuzione persiste tuttora sotto il regime comunista. Nella Corea del Sud, negli ultimi decenni la Chiesa è cresciuta notevolmente: i cattolici si contavano mezzo milione all’inizio degli anni ‘60 e ora si contano 5,5 milioni. La Corea è forse l’unico paese nel mondo dove la chiesa cattolica cresce di pari passo con la crescita economica. Spesso si dice che con l’aumento del benessere economico, la fede diminuisce. La Corea sfata questo binomio perché con la crescita economica è cresciuta anche la fede cattolica. Un istituto di ricerca buddista prevede che nel 2044 addirittura circa 25 milioni, ovvero il 56% della popolazione, sarà cattolica. Potrà verificarsi questa previsione? In ogni caso, se continua questo ritmo di crescita, con un certo realismo si può dire che la Chiesa cattolica sarà la religione più diffusa in Corea. In Corea, alla conclusione della Messa, il sacerdote anziché dire: «La Messa è finita, andate in pace», dice: «La Messa è finita, andiamo ad evangelizzare il mondo». I fedeli laici sono così mobilitati alla missione nell’ambito della propria vita quotidiana, sempre uniti al Papa e ai Vescovi, quindi in collaborazione con i sacerdoti e con le religiose e con i religiosi. A differenza delle altre religioni in Corea, la Chiesa è infatti riconosciuta come la religione dell’ unità, il cui garante è il Papa. Inoltre, la Chiesa in Corea si è vigorosamente impegnata nelle questioni relative alla giu-
PAPA FRNACESCO
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ispetto all’Asia, ci sono in programma due viaggi: questo in Corea del Sud, per l’incontro dei giovani asiatici, e poi, a gennaio prossimo, un viaggio di due giorni in Sri Lanka e poi nelle Filippine, nella zona che ha subito il tifone. Il problema della non libertà di praticare la religione non è soltanto in alcuni Paesi asiatici: in alcuni, sì, ma anche in altri Paesi del mondo. La libertà religiosa è una cosa che non tutti i Paesi hanno. Alcuni hanno un controllo più o meno leggero, tranquillo, altri adottano misure che finiscono in una vera persecuzione dei credenti. Ci sono martiri! Ci sono martiri, oggi, martiri cristiani. Cattolici e non cattolici, ma martiri. E in alcuni luoghi non si può portare il crocifisso o non puoi avere una Bibbia. Non puoi insegnare il catechismo ai bambini, oggi! E io credo – ma credo di non sbagliare – che in questo tempo ci sono più martiri che non ai primi tempi della Chiesa. Dobbiamo avvicinarci, in alcuni posti con prudenza, per andare ad aiutarli; dobbiamo pregare tanto per queste Chiese che soffrono: soffrono tanto. E anche i Vescovi, anche la Santa Sede lavora con discrezione per aiutare questi Paesi, i cristiani di questi Paesi. Ma non è una cosa facile. Per esempio, ti dico una cosa. In un Paese è proibito pregare insieme: è proibito. Ma i cristiani che sono lì vogliono celebrare l’Eucaristia! E c’è un tale, che fa l’operaio, che è sacerdote. E lui va lì, al tavolo, fanno finta di prendere il the, e celebrano l’Eucaristia. Se vengono i poliziotti, nascondono subito i libri e stanno prendendo il the. Questo succede oggi. Non è facile”. Conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Terra Santa; Lunedì 26 maggio 2014
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stizia e ai diritti umani derivanti dalla rapida crescita economica del Paese. Sotto i regimi autoritari e totalitari (anni ‘60-’80) la Chiesa si è messa accanto ai poveri e agli oppressi, promuovendo i loro diritti umani con parole e con le azioni, svolgendo costantemente le opere caritative per i bisognosi. Cosi, la Chiesa in Corea è unanimamente riconosciuta per il suo ruolo profetico, sia all'interno che al di fuori del Paese, quale paladino dei diritti umani e punto di riferimento morale. Dagli anni ’80 la Chiesa che è in Corea manda i missionari all’estero. Sino ad oggi sono 834 i missionari (181 sacerdoti, 621 suore e 32 fratelli) che svolgono attività di evangelizzazione in 78 Paesi dispersi in tutti i continenti. Così si è trasformata da Chiesa ricevente a chiesa donante. La Chiesa in Corea del Sud cerca di migliorare le condizioni di vita del popolo della Corea del Nord,con aiuti umanitari di vario genere. Si impegna soprattutto a pregare per la riconciliazione e per l’unificazione della nazione, divisa ormai da 70 anni, mentre cerca di fornire aiuti umanitari al Nord. Tutte queste testimonianze hanno fatta guadagnare alla Chiesa la stima del popolo. Infatti la preferenza religiosa della maggior parte dei cittadini è rivolta alla Chiesa cattolica. Spesso si sente dire: « Se dovessi scegliere una religione, sceglierei senz’altro il cattolicesimo». Ora, questa chiesa in Corea, pienamente riconoscente che « per grazia di Dio, è quello che è »( Cf. 1Cor. 15, 10), e convinta che « la fede si rafforza donandola »(Redemptoris Missio, 2), è pronta ad « alzarsi, rivestirsi di lumen fidei» (Cf. Is 60, 1) per illuminare in unione con Papa Francesco che viene nel nome del Signore non solo la
Penisola coreana ma anche il vasto continente asiatico, promuovendo la civiltà dell’amore, della pace, e della vita e per «rinnovare la faccia della terra» (Sal 104, 30) in questa immensa parte del mondo.
Crescita della Chiesa cattolica in Corea 1960
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Cattolici (.000)
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788
1.321
2.750
4.071
5.206
5.443
% popolazione
1,8
2,6
3,5
6,3
8,9
10,5
10,8
8
13
14
15*
15
16
16
258
415
589
855
1.228
1.609
1.668
Sacerdoti: Coreani 243
520
901
1.504
2.891
4.314
4.695
198
363
246
201
200
176
170
Fratelli: Coreani
66
84
159
326
670
692
639
Esteri
57
28
39
21
23
75
55
721
1.958
3.011
5.215
8.562
9.566
9.916
111
192
158
184
190
272
257
528
1.528
1.595
1.674
1.463
Diocesi Parrocchie Esteri
Suore: Coreane Estere Seminaristi
267
609
Fonte: Conferenza Episcopale Cattolica di Corea; Ufficio Nazionale di Statistica Coreano. *Dal 1990 in poi, viene incluso l’ordinariato militare che è stato eretto nel 1989.
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India
CHI È
Una vittoria scontata ma con tante paure da New Delhi
VALERIA FRASCHETTI GIORNALISTA LA REPUBBLICA
L
a nuova era dell’India è cominciata con delle lacrime, di commozione. In un Parlamento tinto di un intenso zafferano, colore simbolo della destra nazionalista e induista, il neo-premier Narendra Modi si è rivolto per la prima volta ai 543 deputati esortandoli, con una voce rotta dall’emozione, a servire la nazione come fosse la loro “madre”. Perché “le aspirazioni e le speranze del miliardo e duecentocinquanta milioni di indiani sono riposte in questo tempio della democrazia”, ha spiegato il vincitore di un’elezione mastodontica, durata oltre un mese e conclusasi il 12 maggio scorso con un risultato storico.
La sedicesima maratona elettorale per la Lok Sabha, la camera bassa, è stata piena di primati. Record è stato il numero degli elettori chiamati a votare: dalle montagne del Kashmir alle spiagge del Kerala 814 milioni di cittadini, di cui 150 milioni per la prima volta. Inedita anche l’affluenza, il 66,4 per cento. Ma epocale è stato soprattutto il risultato uscito dalle urne. Il partito laico del Congress, che aveva guidato l’India per 53 dei 67 anni dall’indipendenza, ha ricevuto uno schiaffo fragoroso che ha d’un tratto miniaturizzato il potere politico della dinastia Gandhi a cui è da sempre legato. Punito per i suoi scandali di corruzione e l’inefficienza mostrata negli ultimi dieci anni al governo, il Congress ha ricevuto appena 44 seggi. Mentre la destra
V
aleria Fraschetti nasce da padre ciociaro e da madre boema. Cresce nel Lazio, ma viaggia sin da bambina. Dopo una laurea in scienza della Comunicazione e un master in giornalismo, si trasferisce in India come freelance. Ci resta due anni, collaborando con La Stampa, Il Riformista e il gruppo l'Espresso. Oggi vive a Roma, ma scrive ancora di affari esteri ed è sempre con la valigia in mano.
del Bharatiya Janata Party (Bjp), in buona parte grazie al carisma e all’abilità comunicativa di Modi, ha ottenuto la maggioranza assoluta. Non succedeva da 30 anni, da quando Rajiv Gandhi fu eletto premier sull’onda emotiva seguita all’assassinio di sua madre Indira, che nel frastagliato panorama politico indiano un solo partito riuscisse ad avere dei numeri così poderosi in Parlamento. “TsuNaMo”, hanno titolato esultanti i media indiani, facendo una crasi tra “tsunami” e “NaMo”, il nomignolo con cui Narendra Modi è chiamato dai suoi fan. Giovani in particolare, che hanno voluto vedere nel leader del Bjp
soprattutto un leader carismatico, volitivo, che nei suoi dodici anni come chief minister del Gujarat ha saputo attirare i capitali dell’industria e far crescere il Pil a livelli quasi doppi rispetto alla media nazionale degli ultimi anni. E lui, il figlio di un umile venditore di tè salito sulla poltrona più alta dell’India, ha giurato che replicherà il “modello Gujarat” su scala nazionale, ha parlato di treni veloci, sgravi alle imprese, 100 città da costruire ex novo. Ha promesso lo sviluppo che gli indiani vedono perlopiù solo dalla tv. E il tutto con una sofistica macchina comunicativa, fatta anche di ologrammi in 3D per trasmettere i comizi contemporaneamente in più città. Per Narendra Modi la vittoria è stata la parte più facile, addirittura scontata. Esaudire i sogni di un miliardo di indiani sarà la sua vera sfida. Almeno un terzo della popolazione vive ancora in condizioni di totale miseria. Centinaia di milioni di cittadini non hanno ancora accesso a servizi igienici e
corrente elettrica. Ogni anno 13 milioni di indiani entrano in un mercato del lavoro che non riesce ad assorbirli. A Modi non basterà risollevare il Prodotto interno lordo, facilitando gli investimenti esteri e agevolando fiscalmente i tycoon del Paese per invitarli ad aprire nuove fabbriche. Dovrà fare molto di più. E per questo ha bisogno anche di tempo. Anche per questo, appena usciti i risultati ufficiali, ha detto che per sviluppare l’India avrà bisogno non di cinque, ma di dieci anni. Guarda molto avanti, il neo-premier. Forse anche nella speranza che i cittadini dimentichino per sempre quel che c’è dietro, il suo discusso passato. Di fondamentalista indù. Narendra Modi è cresciuto ideologicamente nelle RSS, organizzazione estremista ispirata ai fascismi europei d’inizio Novecento ma radicata nell’hindutva, l’induismo politico che ha originato il Bjp e che vede l’India come una terra per soli indù, dove le minoranze religiose dovreb-
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bero convertirsi o adeguarsi. Inoltre, nel 2002, quando Modi era governatore del Gujarat, nello stato avvennero degli scontri interconfessionali tra indù e musulmani che causarono oltre 1000 morti, soprattutto tra gli islamici. I sospetti di un suo coinvolgimento in quello scempio restano forti, nonostante l’ex chief minister sia stato assolto da ogni accusa. Ora ha promesso che governerà per “tutti gli indiani”. E il popolo, compresi molti musulmani e cristiani, ha voluto credergli. Le sirene sullo sviluppo futuro hanno avuto la meglio sulla paura. Paura che sotto un governo guidato dalla destra nazionalista i movimenti radicali indù possano sentirsi più protetti nel commettere impunità contro le minoranze già commesse in passato, come roghi di chiese e conversioni forzate. Paura che con Modi premier la cultura di tolleranza interreligiosa dell’India, garantita anche da un’impostazione secolare dello Stato, possa venire meno.
Af ric 20anni dopo il genocidio a la Chiesa sempre impegnata a curare le ferite L
a Chiesa è impegnata nella ricostruzione di una società rwandese riconciliata. E’ quanto assicurato da Papa Francesco nell’udienza ai vescovi del Rwanda, proprio nei giorni in cui si commemora il 20.mo del genocidio di oltre un milione di persone nel Paese africano. Il Papa - nel discorso consegnato ai presuli - riconosce che, ancora, oggi ci sono ferite profonde da guarire e sottolinea perciò che è importante superare i pregiudizi e le divisioni etniche e proseguire sul cammino della riconciliazione.
C
i sono ferite e sofferenze difficili da rimarginare. Papa Francesco esordisce così nel suo discorso ai vescovi del Rwanda, a pochi giorni dal 20.mo del genocidio che scosse il Paese africano nel 1994. Il Papa si associa al dolore dei rwandesi e assicura la sua preghiera per quanti soffrono ancora, per tutto il popolo del Rwanda, “senza distinzione di religione, di etnia o di scelta politica”. Vent’anni dopo quei tragici eventi, prosegue il Papa, “la riconciliazione e la cura delle ferite restano sicuramente la priorità della Chiesa del Rwanda”. E Francesco incoraggia i vescovi proprio a “perseverare in questo impegno” come già fatto con numerose iniziative. “Il perdono delle offese e la riconciliazione autentica – afferma – che potrebbero sembrare impossibili in un’ottica umana sono invece un dono che è possibile ricevere da Cristo, attraverso la vita di fede e la preghiera”. E questo anche se “il cammino è lungo e richiede pazienza, rispetto reciproco e dialogo”.
fondità”. E’ allora importante, ribadisce il Papa, che, “superando i pregiudizi e le divisioni etniche, la Chiesa parli ad una sola voce, manifesti la sua unità e riaffermi la comunione con la Chiesa universale e con il Successore di Pietro”. In questa prospettiva di “riconciliazione nazionale”, esorta, “è anche necessario di rinforzare le relazioni di fiducia tra la Chiesa e lo Stato”. E rammenta l’importante occasione del 50.mo delle relazioni tra Rwanda e Santa Sede, che ricorrono il 6 giugno prossimo. Un dialogo costruttivo e autentico con le autorità, afferma il Papa, “non potrà che favorire l’opera comune di riconciliazione e ricostruzione della società sui valori della dignità umana, della giustizia e della pace”. Siate, esorta, “una Chiesa in uscita” che “prende l’iniziativa”. Nel suo discorso il Papa mette quindi l’accento sull’importanza dell’educazione dei giovani, del ruolo dei laici per la sfida dell’evangelizzazione e della formazione dei sacerdoti. Dal Pontefice un incoraggiamento a coloro che negli Istituti religiosi si dedicano a quanti sono stati feriti dalla guerra, nell’anima come nel corpo. Un pensiero particolare è andato agli orfani, ai malati e agli anziani. “L’educazione della giovinezza – evidenzia il Papa – è la chiave dell’avvenire in un Paese dove la popolazione si rinnova rapidamente”. Sui laici, osserva che sono fortemente coinvolti nella vita della “Comunità ecclesiale di base”, nei movimenti, nelle opere caritative e mette l’accento sulla loro formazione spirituale, umana e intellettuale.
Il Papa ai vescovi del Rwanda
La Chiesa, rassicura, è impegnata “nella ricostruzione di una società rwandese riconciliata”. Di qui l’esortazione ai vescovi ad andare “risolutamente avanti” nel testimoniare la verità evangelica con il dinamismo della fede e la speranza cristiana. Solo stando uniti nell’amore, è stata la sua esortazione, “possiamo fare in modo che il Vangelo tocchi e converta i cuori in pro-
Una vigilanza tutta particolare, soggiunge, va assegnata alle famiglie del Rwanda nel momento in cui si trovano minacciate dal processo di secolarizzazione. Quindi, la gratitudine del Papa è andata ai sacerdoti rwandesi, esortando i presuli ad essere loro vicini. Il Papa conclude il suo discorso rinnovando la vicinanza al popolo rwandese, affidandolo in particolare alla protezione della Vergine di Kibeho. 56
Mille idee per rinascere
da Kogali
Era certo urgente, perché la Chiesa che è lungimirante, vedeva il male arrivare. Dal 1990 al 1994, la conferenza episcopale rwandese ha pubblicato circa quattordici documenti per ribadire i valori cristiani dell’amore fraterno, della pace, del la giustizia, della la carità e della riconciliazione. Anche alcune religiose e sacerdoti sono stati riconosciuti fautori del genocidio e condannati per questo. Due anni dopo i tragici eventi, san Giovanni Paolo II scriveva ai cattolici del Paese: «Tutti i membri della Chiesa che hanno peccato durante il genocidio devono avere il coraggio di sopportare le conseguenze dei fatti che hanno commesso contro Dio e contro il prossimo». La comunità internazionale poteva anche aspettarsi questi tragici eventi, ma, diciamo la verità, non ha avuto il coraggio di prendere decisioni rapide al momento opportuno. Forse anche per questo, il presidente del Rwanda, Paul Kagamé, nel discorso che ha pronunciato il 6 aprile 2014, giorno dell’anniversario dell’inizio del genocidio, ha detto: «Les faits sont têtus». Cioè: «La storia non si può cancellare. I fatti rimangono». Infatti molte teorie o miti razzisti erano alla base del lavoro svolto dalle nazione europee che hanno colonizzato ed evangelizzato il Rwanda, specialmente il Belgio. Tra questi miti, affermano degli esperti: la superiorità intellettuale di un gruppo sociale o etnico su un altro, e, il peggior di tutti i mal: la superiorità genetica. Queste teorie pian piano, hanno seminato rancori, odio, frustrazioni che sono sbocciate nel genocidio.
JEAN-BAPTISTE SOUROU GIORNALISTA
I
l Rwanda ricorda quest’anno il ventesimo anniversario di quel tragico genocidio che ha fatto più di ottocento milla morti in soli cento giorni, tra di loro un centinaio di sacerdoti e tre vescovi. La furia umana, l’odio covato per anni hanno accecato menti e cuori spazzando via tutto quello respirava. Non c’erano luoghi di rifugio che potessero fermare gli assassini: né chiese, né moschee, né conventi, né episcopi. Due gruppi sociali: Hutu e Tutsi che vivevano assieme, si sposano tra di loro, lavoravano assieme hanno preso il macete, bastoni e armi da fuoco per eliminarsi per distruggersi. Il Rwanda è una nazione a maggioranza cristiana. Quando qualche anno dopo il tragico evento, chiesi all’arcivescovo di Kigali, S.E. Monsignor Thaddée Ntihinyurwa cosa non ha funzionato nell’evangelizzazione del suo paese, e mi rispose: «Non posso dire che l’evangelizzazione non sia riuscita. Quello che posso affermare, ha proseguito, è che la vita sociale e la cultura del ruandese non sono state integrate nella fede. La dottrina sociale della Chiesa su pace, giustizia, bene comune e aiuto fraterno non è stata ancora assimilata nella fede e nella cultura della mia gente. C’è quindi tutto un lavoro da fare e che si sarebbe dovuto avviare anche se non ci fosse stato il genocidio. Occorre operare una sintesi tra la cultura, la fede e la dottrina sociale della Chiesa. E’ urgente».
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Nel Ruanda tradizionale infatti Hutu e Tutsi, contra- Quanti massacri, quanto genocidi hanno preceduto riamente a quello che sostenevano i Belgi, marcavano quello del Ruanda!». Rincontrandolo recentemente, il loro stato sociale. Nel Paese delle mille colline verdi, l’arcivescovo di Kigali confidava che in seguito ad un il grande capitale era il bestiame I Tutsi stavano in un sinodo diocesano sull’etnicismo, tema scelto dopo una gradino più alto, mentre gli Hutu dopo. I primi erano consultazione nazionale sulle cause delle divisioni alprevalentemente allevatori di bestiame e gli altri agri- l’interno della popolazione ruandese, tutti i fedeli coltori. Un Tutsi che perdeva il suo gregge scendeva hanno deciso di istituire delle piccole comunità dove nella classe degli Hutu e un Hutu, che cresceva il suo possono lavorare sulle loro vite, sulle sfide, sulle ferite, capitale: bastavano dieci teste di bestiame e passava per chiedere e ricevere perdono. « Si notano già dei nella classe dei Tutsi. I matrimoni erano possibili tra cambiamenti significativi, prima ci ritrovavamo in le due classi. Aggiungendo considerazioni fisiologiche chiesa, ma dopo la messa c’erano piccoli gruppi che si ai miti poc’anzi citati, i Belgi consideravano le due formavano con connotazioni etniche o di classi sociali, classi sociali delle etnie e sostenevano la suprementre ora vediamo che tutti si avvicinano a tutti, si mazia di un gruppo etnico sull’altro. I sentono al loro agio... c’è un clima molto diTutsi infatti, sono alti, snelli, col steso», egli ha affermato. Ciò tuttavia non naso fino, quindi più vicini agli deve fare dimenticare, come ha avverHA SCRITTO Europei, e anche più docili. tito il presidente della Commissione “Tra Hutu e Tutsi si aprì un Perciò quel gruppo ha ricevuto episcopale giustizia e pace del abisso di follia. più privilegi a scapito dell’alRwanda e vescovo di Byumba, Può accadere di nuovo? tro:l’ insegnamento, posti di mons. Servilien Nzakamwita, che Costruiamo una cultura del vivere insieme perché non si ripeta nulla comando nell’esercito e nel«permangono reminiscenze di dividi simile” l’amministrazione. Già nel sione e di esclusione, e l’ideologia ANDREA RICCARDI 1959, dei Tutsi erano costretti in del genocidio persiste ancora in alFamiglia cristiana, seguito a massacri ad esiliarsi in cuni cuori e certi ambienti che anelano n.14 ,p.17 Uganda. Il Belgio forse per ricupea riconquistare il potere... ci sono ancora rare la fiducia degli Hutu, affidava nel casi di traumi psicologiche, disabilità fisiche e 1962 la guida del Paese ad un presidente Hutu, mentali, sofferenze psichiche di ogni genere... una siin occasione dell’indipendenza. Ma le frustrazioni che tuazione difficile da gestire di orfani, di vedove e di perhanno già causato squilibri sociali, malumori, odio e sone senza famiglia». rancori non si cancellano facilmente. Degli Hutu mo- In occasione di questo ventesimo anniversario, si è noderati, volevano la riconciliazione, altri no. Tra di loro tato che la popolazione anela alla riconciliazione e mancava l’intesa politica. I Tusti in esilo volevano rien- molti segni lo dimostrano: gente che ha perdonato gli trare in patria e facevano delle incursioni armate. Si assassini dei propri genitori, una donna che ha sposato incominciava a rifornirsi di varie armature, fino a l’assassino dei propri parenti, dopo il pentimento e la quando il 6 aprile 1994, la distruzione in volo dell’aereo richiesta di perdono di questi. Allo stesso tempo, ci del presidente Juvenal Habiarimana, un Hutu mode- sono ancora degli scettici, ma essi dicono di aver capito rato, dava l’avvio ai massacri di massa tra i due gruppi. comunque che l’odio e il rancore non portano a nulla. Sempre in quella intervista, Mons. Thaddée Ntihi- Tutti quindi, in un modo o in un altro aspirano alla nyurwa affermava: «E’ l’uomo che deve essere conver- piena riconciliazione. Il cammino è lungo e arduo. tito perché è capace del meglio e del peggio: il ruandese Anche in un Rwanda che anela ad una convivenza pacome qualsiasi altro, di qualsiasi cultura e provenienza. cifica, i tempi di attesa sono lunghi.
Con l’unità europea ci siamo riusciti
I
l Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano è intervenuto il 15 marzo 2014 a Cassino alla commemorazione del 70° anniversario della distruzione della città della Ciociaria. Erano presenti, tra gli altri, il Sindaco di Cassino, rappresentanti del Parlamento, il Ministro della Difesa, il Giudice della Corte Costituzionale, Rappresentanti diplomatici di tanti Paesi alleati ed amici, autorità e cittadini, uomini e donne, giovani e ragazzi di Cassino. Proponiamo la lettura del testo del presidente Napolitano. Non è soltanto un lettura storico - politica di quel tragico evento, ma la testimonianza credibile di un italiano come tanti, che in quegli anni, ha sofferto con milioni di italiani le conseguenze di una guerra drammatica ed assurda (1 settembre 1939 - maggio 1945).
GIORGIO NAPOLITANO Presidente della Rapubblica Italiana ono qui, a 70 anni di distanza dal colpo mortale inferto all'Abbazia di Montecassino e dal martirio della città di Cassino, nonché a 10 di distanza dal solenne impegno assunto dal Parlamento italiano per un'opera costante di coltivazione della memoria storica e di consolidamento della pace : sono qui, nel solco dei miei predecessori, per rinnovare il triplice omaggio che dalla nostra Repubblica è dovuto ancora una volta :
S
- omaggio al sacrificio terribile della città e della popolazione di Cassino e dell'intera area - omaggio a tutti gli artefici di una ricostruzione e di una rinascita che in questa terra massacrata non potevano neppure essere immaginate e sono invece via via diventate realtà - e infine omaggio allo straordinario tributo di fatica, di eroismo, di sangue di quanti in quei mesi del 1944 combatterono in questo durissimo teatro di guerra per la liberazione d'Italia e d'Europa. Innanzitutto, quindi, ho da esprimere nuovamente un sentimento profondo di vicinanza e solidarietà, che non può considerarsi concluso, che non può mai archiviarsi e consegnarsi al passato, perché si rivolge a famiglie e a comunità la cui spaventosa sofferenza si è trasmessa da una generazione all'altra. Anche a distanza di più di
Montecassino 70 anni dopo
Mai più guerre
mezzo secolo, nell'animo di ogni uomo e donna che sia nato e viva qui, resta impressa in modo indelebile un'esperienza tra le più tragiche vissute nella seconda guerra mondiale. Un'esperienza di cui bisogna non stancarsi di trasmettere a tutti gli italiani delle generazioni più giovani la conoscenza e la lezione. La lezione principale - inutile dirlo - è quella della ferocia e spesso della irrimediabile irrazionalità della guerra. La ferocia con cui si bruciarono nelle quattro battaglie combattute qui decine di migliaia di giovani vite, si bombardò l'Abbazia di Montecassino e si rase al suolo la città di Cassino. L'irrazionalità dei calcoli che indussero ad attacchi senza possibilità di successo e ad ostinate, coriacee difese senza futuro. Un'irrazionalità fatta anche di errori clamorosi, più o meno riconosciuti in sede storica. E a questo proposito, permettetemi di dirlo, il tema cruciale non può ormai più essere la controversa e dubbia ricostruzione storica o la polemica sulle responsabilità dell'uno o dell'altro comandante alleato per il bombardamento distruttivo dell'Abbazia e per quello della città. Soprattutto, non deve comunque mai oscurarsi il senso della riconoscenza di noi italiani per i combattenti delle più diverse provenienze ed etnie che sotto le bandiere alleate furono impegnati per mesi nelle condizioni più ingrate nell'azione per superare la linea Gustav e aprire la strada alla Liberazione di Roma. E vorrei citare in proposito l'apporto straordinario del corpo d'armata po-
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lacco del generale Anders : lo cito perché ho constatato - nei miei incontri col Presidente di quel paese - quanto fortemente se ne coltivi lì il ricordo ammirato. Poco più di un anno fa, col Presidente Komorowski ricordammo a Napoli Gustaw Herling, che lì aveva trascorso l'ultimo periodo della sua vita : un grande intellettuale e patriota polacco che partecipò, assai giovane, alla battaglia di Montecassino. E viene in mente quel che dové significare, per quei combattenti, innalzare il 18 maggio del '44 la bandiera polacca sulle rovine dell'Abbazia di Montecassino finalmente raggiunta ; vengono in mente le parole che si leggono sulla stele eretta in memoria dei caduti polacchi a quota 593 : "Noi soldati polacchi, per la nostra e vostra libertà, abbiamo dato l'anima a Dio, i corpi al suolo d'Italia e i cuori alla Polonia". Onore a loro, e onore a tutti i combattenti e i caduti - stranieri e anche soldati della nuova Italia, stranieri di tutte le lingue e le nazionalità - sacrificatisi per la libertà dei loro popoli, per l'indipendenza delle loro nazioni, per la pace e la democrazia in Europa. E lasciate che dica ancora come io abbia vissuto, da molto giovane, i cento bombardamenti alleati sulla mia città, su Napoli, scoprendo che era quello un terribile prezzo da pagare per la sconfitta del nazifascismo, e che ne portava la colpa la politica di guerra di Mussolini e di Hitler. E perciò accogliemmo come liberatori a Napoli gli alleati, a cominciare dagli angloamericani i cui bombardamenti, pure, avevano seminato distruzione e morte nella nostra città. Quel che ha contato e conta è guardare avanti, non dimenticando mai la lezione : basta con le guerre, mai più guerre ciecamente concepite e ciecamente distruggitrici. In Europa, con l'unità tra i nostri popoli, con l'integrazione tra i nostri paesi, ci siamo riusciti. Ma non lontano dai nostri confini, abbiamo ancora avuto negli anni '90 i conflitti esplosi nell'area della ex Jugoslavia, conflitti non meno brutali di quelli della seconda guerra mondiale : e si è riusciti a spegnerli solo aprendo ai popoli e ai paesi dei Balcani occidentali la prospettiva dell'Europa unita. Ed è ancora aperta - non tanto lontano dai confini dell'Europa - la sanguinosa ferita della guerra all'interno della Siria, con ricadute di tensioni pericolose e di milioni di profughi nei paesi vicini. Alla pace conseguita in Europa è tempo che si accompagni dunque una svolta di pace in Medio Oriente. E dovunque insorgano crisi o pericoli di guerra, occorre imboccare la via del dialogo, che significa innanzitutto ascolto reciproco, considerazione attenta, da parte di ciascun soggetto politico e statuale, delle preoccupazioni e ragioni dell'altro. E' questa la via da seguire anche per disinnescare i pericoli insiti in una contrap-
PAPA FRANCESCO
L
o splendido Monte di Cassino, che domina l’intero territorio, è caro in modo speciale non solo ai discepoli di san Benedetto e santa Scolastica, ma anche a tutti i popoli d’Europa. Qui infatti lungo i secoli, nel monastero di Benedetto, sono state prodotte grandi opere di vita religiosa e spirituale, ma anche di scienza e di grande cultura che sono note ovunque nel mondo. Purtroppo guerre feroci non risparmiarono questo luogo così bello e pacifico! Così settant’anni fa, mentre nella seconda guerra mondiale gli eserciti combatterono aspramente, anche la veneranda Abbazia di Montecassino fu totalmente rasa al suolo. Ripristinata per divino favore la pace, si diede inizio alla faticosa opera di ricostruzione con il contributo di innumerevoli persone. Ora poiché per ogni benevolenza occorre rendere grazie a Cristo –Egli è infatti la nostra pace (Ef 2, 14) -, Noi siamo molto lieti insieme con i diletti Figli di san Benedetto e gli altri fedeli di godere di una pace duratura ed eleviamo perciò insieme ad essi la Nostra lode a Dio. (Dalla Lettera al cardinale Ennio Antonelli, inviato del Papa a Montecassino , 19 marzo 2014) posizione o sfida minacciosa sullo status dell'Ucraina, di cui vanno garantite l'indipendenza e l'evoluzione democratica, in un costruttivo rapporto sia con l'Unione Europea sia con la Federazione Russa. Vedete, dalla riflessione su una tragica esperienza vissuta 70 anni fa come la vostra, nascono pensieri che si rivolgono ai problemi e ai dilemmi del mondo d'oggi, di cui dobbiamo essere consapevoli noi - l'Italia, gli italiani - come membri responsabili della comunità internazionale, sensibili alla causa comune della pace e del progresso democratico. Questa causa fa tutt'uno con il rilancio di quel grande progetto dello stare insieme in Europa, del costruire insieme un'Europa capace di prevenire e superare crisi come quella in cui da oltre 5 anni ci dibattiamo. Non si oscuri mai in noi la coscienza di quel che ci ha già dato e ci può ancora dare l'unità europea : questa rimane la via maestra per progredire ciascuno dei nostri paesi - nel nuovo mondo globale, la via maestra per lasciarci definitivamente alle spalle un passato come quello che oggi qui ricordiamo, per rafforzare e difendere la pace sulla base di un'effettiva giustizia e coesione sociale. Penso che possa essere questo il messaggio da lanciare qui, in questa città martire, in questa Cassino più che mai orgogliosa della sua medaglia d'oro al valor militare. 60
Nel mezzo di una immane tragedia
ENNIO ANTONELLI CARDINALE
L
a solennità di San Benedetto ( 21 marzo), la storia della gloriosa Abbazia di Montecassino, il 70° anniversario della distruzione-ricostruzione ci offrono molti motivi di riflessione, di preghiera e di impegno. Ho notato che a questa figura ideale della comunità cristiana corrisponde pienamente l’immagine del monastero benedettino, come emerge dal capitolo 72 della Regola di S. Benedetto, un capitolo brevissimo, sintesi della spiritualità benedettina: “(I monaci) gareggino nello stimarsi a vicenda; sopportino con somma pazienza, a vicenda, le loro infermità fisiche e morali; si prestino a gara obbedienza reciproca; nessuno cerchi l’utilità propria, ma piuttosto l’altrui; si voglia bene a tutti i fratelli con casta dilezione; temano Dio nell’amore; amino il loro abate con sincera ed umile carità; nulla assolutamente antepongano a Cristo, il quale ci conduca tutti alla vita eterna” (Regola, 72). Il monastero benedettino è una comunità cristocentrica e teocentrica: “Nulla assolutamente antepongano a Cristo”; “temano Dio nell’amore”. Dio, che si dona a noi in Cristo, è l’unico bene necessario: per essere monaci, occorre cercarlo sinceramente, tenerlo al centro della mente e del cuore, in modo da poterlo poi raggiungere definitivamente al termine della vita terrena. Esemplare è la ricerca di Dio da parte di S. Benedetto, che l’ha iniziata da giovane lasciando la famiglia, la proprietà e gli studi, l’ha sviluppata con coraggio e coe-
Montecassino 70 anni prima
Dalla distruzione alla ricostruzione
renza attraverso varie e difficili esperienze, l’ha conclusa da vecchio scegliendo di morire emblematicamente in piedi con le braccia alzate per la preghiera, sostenuto dai fratelli. L’attività principale dei monaci è la preghiera, l’opus Dei. Le altre molteplici occupazioni e relazioni gravitano intorno ad essa e hanno valore nella misura in cui glorificano Dio in Cristo e conducono a lui. Però la centralità di Cristo ha come frutto un vivere pienamente umano. Afferma il Concilio Vaticano II: “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41). La storia del monachesimo benedettino testimonia splendidamente la verità di questa affermazione. Umana è innanzitutto la regola, per la sua saggezza, moderazione ed equilibrio, per la fermezza circa i valori e flessibilità riguardo alle forme, per gli spazi di autonomia e creatività entro un quadro definito e stabile. Essa favorisce la formazione di personalità, capaci di dominare i propri istinti egoistici e di trovare l’armonia con Dio, con gli altri e con se stessi. Soprattutto consente di edificare comunità ben ordinate, che sono oasi di pace e diffondono pace. La reciprocità del rispetto, dell’amore e dell’obbedienza caratterizza la vita comunitaria. L’abate è il padre, il maestro e il capo, al quale si deve obbedienza “senza esitazione, senza indugio, senza tepidezza, senza mormorazione” (Regola, 5); però, a sua volta, egli deve obbedire alla regola e deve governare consultando la comunità, anche i fratelli più giovani, “perché spesso a uno più giovane il Signore ispira un parere migliore” (Regola, 3). Inoltre l’obbedienza deve esercitarsi reci61
procamente tra gli stessi monaci, come espressione concreta dell’amore fraterno e della reale volontà di bene: “Non solo nei riguardi dell’abate devono tutti esercitare la virtù dell’obbedienza, ma i fratelli devono anche obbedirsi l’un l’altro, convinti che per questa via dell’obbedienza andranno a Dio” (Regola, 71). Non sono ammesse distinzioni secondo la classe sociale o la nazione di provenienza: ricchi e poveri, romani e barbari devono integrarsi tra loro. I vari uffici e compiti vengono conferiti dall’abate, tenendo conto delle attitudini e delle competenze, e devono essere svolti con grande senso di responsabilità come servizi in vista del bene comune. Il lavoro è accuratamente disciplinato, specialmente riguardo al suo alternarsi con la preghiera. Da questa alternanza è derivato il motto ora et labora, che ben riassume la spiritualità benedettina. “L’ozio è nemico dell’anima; e quindi i fratelli devono in alcune determinate ore occuparsi nel lavoro manuale, e in altre ore, anch’esse ben fissate, nello studio delle cose divine” (Regola, 48). Lavoro manuale e studio, poche e semplici parole che hanno fatto la storia: dignità personale, sociale e religiosa del lavoro manuale, coltivazione razionale della terra, allevamento degli animali (compresi i pesci), artigianato, produzione di tessuti e scarpe, di cibi e bevande, progresso tecnologico (ad es. il mulino ad acqua e il mulino a vento); cultura teologica, cultura umanistica, trascrizione dei codici antichi, biblioteche monastiche, studi e laboratori di medicina. Lungo i secoli, i monasteri benedettini si sono molto impegnati nell’accoglienza degli ospiti e dei pellegrini, nell’assistenza ai poveri, nell’evangelizzazione dei pagani, nell’istruzione scolastica, nell’animazione civile del territorio. Hanno calamitato e attirato la popolazione, giungendo a volte a generare, accanto a sé, borghi o città. In campo economico hanno offerto ai laici un modello di razionalità gestionale e in campo politico hanno ispirato, con l’elezione dell’abate e la frequente consultazione dei monaci, il sorgere delle forme democratiche comunali e quindi delle moderne democrazie. Mi è gradito sintetizzare questo panorama storico con
una citazione di Giorgio La Pira, illustre Sindaco di Firenze, “il Sindaco santo”: “Si può dire senza tema di errore che l’asse attorno al quale si è svolto l’ampio giro della civiltà cristiana e umana, con i suoi splendori di santità, di arte, di poesia, di bellezza, di vita civile, è stato appunto costituito dai grandi ordini monastici, fioriti lungo il corso della vita della Chiesa”. I monasteri, ispirandosi alla prima comunità cristiana di Gerusalemme, hanno voluto essere un’attuazione esemplare della Chiesa, quasi un’avanguardia profetica, tutta concentrata su Cristo e su Dio e proiettata verso la Gerusalemme celeste. Per questo hanno attirato e orientato tutto il popolo cristiano, risvegliando meravigliose energie di santità, umanità e civiltà. Il monachesimo benedettino è germogliato in tempo di crisi gravissima: crollo dell’impero romano, invasioni barbariche, decadenza dei costumi, epidemie, carestie. Tutto sembrava perduto. Ma Dio ha suscitato S. Benedetto; l’ha ricolmato di santità; gli ha dato il dono dei miracoli; ha attirato a lui numerosi discepoli; gli ha ispirato la regola monastica; ha moltiplicato in tutta Europa i monasteri benedettini; attraverso di loro ha evangelizzato i popoli europei e ha costituito tra di essi un’unità spirituale e culturale, più solida e duratura di quella dell’impero romano! Possiamo riconoscere che attraverso il monachesimo benedettino Dio ci ha dato un segno luminoso della sua presenza nella storia e che ci offre, anche per il presente, un motivo di speranza, malgrado la crisi che attanaglia l’Europa: crisi della fede cristiana, dei valori etici, della natalità, del lavoro. Segno monumentale di speranza è questa stessa Abbazia di Montecassino. Nella sua storia molte volte è stata assalita, occupata, devastata, saccheggiata; quattro volte è stata distrutta, l’ultima mediante bombardamento settanta anni fa, nel 1944, nel mezzo di una immane tragedia che ha coinvolto molti popoli, come testimoniano i cimiteri disseminati sul territorio. Sempre però è risorta dalle sue rovine. E oggi celebriamo il settantesimo anniversario dell’ultima distruzione-ricostruzione. Montecassino continua ad essere la città sul monte, che “non può restare nascosta” (Mt 5, 14), alta sulla pianura, ben visibile da lontano. Invitando a guardare in alto, continua a trasmettere il messaggio essenziale di S. Benedetto: la vita è ricerca di Dio, ascesa a Dio. Riflettendo all’intorno il candore delle sue pietre, esorta a costruire ancora, con coraggio e perseveranza, relazioni e opere di civiltà e di pace. La memoria storica invita alla speranza per il futuro. Ma il fondamento sicuro della speranza è solo l’amore fedele e misericordioso di Dio. 62
Fosse Ardeatine 70 anni dall’eccidio
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a pace non è un dato scontato, ma una conquista, dovuta alla unità europea che oggi troppo superficialmente si cerca di screditare e attaccare". Così il presidente della Repubblica Napolitano i durante la commemorazione del 70.mo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. 335 civili e militari vennero uccisi il 24 marzo 1944 per mano dei nazisti. L’esecuzione fu decisa in seguito alla morte, il giorno prima, di 33 soldati tedeschi nell’attentato partigiano di Via Rasella. Alle Fosse Ardeatine, Giulia Spizzichino perse 7 familiari; nel rastrellamento furono coinvolti altri 11 suoi parenti, tra donne e bambini, gasati ad Auschwitz. Paolo Ondarza l’ha intervistata: Purtroppo, ricordo tutto perché ero già grande, avevo 17 anni: quella sera era l’ora del coprifuoco e Via Madonna dei Monti era completamente al buio, come tutta Roma, come tutta l’Italia, per via dell’oscurità obbligatoria. Noi sentimmo passare un camion tedesco sotto le nostre finestre, a Via Madonna dei Monti, dove io ero ospite, perché ero sfuggita per l’ennesima volta, insieme alla mia famiglia, ai nazisti, nella casa di fronte c’era mio nonno con la sua famiglia. Mamma spense le luci e ci mettemmo sotto le persiane, per vedere cosa stesse succedendo. Era realmente un camion tedesco con i fari illuminati, che procedeva molto lentamente e che si fermò proprio davanti al negozio e all’abitazione di mio nonno, dove era ospite in quel momento il figlio,
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con la moglie e nove nipoti. La cosa durò forse un quarto d’ora: si vedevano solo delle ombre e si sentiva un grande silenzio. Quando il camion ripartì, non c’era più nessuno: avevano caricato tutti, persino il pupetto, nato da 18 giorni. Di questo eccidio c’è ancora qualcosa di cui non è stato detto abbastanza? C’è stato quel tedesco, quel nazista, di cui non voglio neanche dire il nome, che è morto adesso a 100 anni, che ha dichiarato fino all’ultimo che le camere a gas non erano vere, che il gas c’era, ma serviva per cucinare… Tornando a quel giorno: gli uomini furono immediatamente divisi dalle donne e dai bambini e sette della mia famiglia, della famiglia di mia madre, la famiglia Di Consiglio, furono portati alle Fosse Ardeatine. Pensavano di andare a lavorare, con le mani legate dietro la schiena. Furono chiamati cinque per volta, fatti inginocchiare e inchinare immediatamente il capo sulla mano del nazista, che sparava dietro il capo di ognuno un solo colpo, per non sprecare le munizioni. Alcuni, infatti, sono stati trovati in condizioni disperate, perché non sono morti sul colpo. Le donne, poi, furono mandate a Fossoli per un mese, e dopo un viaggio allucinante, con parecchi bambini quella sera, non furono nemmeno “timbrati”, se mi si vuol passare questa brutta parola, e furono immediatamente inviati alle camere a gas e bruciati tutti. Non tornò più nessuno.
Un impegno che richiede sicuramente uno sforzo fisico... Uno sforzo, perché io non sono più una ragazzina, sono abbastanza vecchia. Può fare il conto: se avevo 17 anni nel ’44... E dove trova tanta energia? Non lo so. Una conoscente ebrea mi ha detto: “Ma tanto non sei tu che parli, è l’Angelo di Dio”. Può darsi, può darsi, perché io non so dove la trovo, ma sento che non posso rifiutare.
Lei faceva riferimento ad uno dei principali responsabili del massacro delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke, che fuggì in Argentina, e la cui estradizione fu resa possibile negli anni’ 90 proprio grazie al suo impegno... Sì, fui chiamata dalla televisione americana, che mi aveva visto sul Combat Film, e mi chiese se volevo andare a chiedere l’estradizione, visto che il ministro Biondi non c’era riuscito. Io risposi: “Scusi, non c’è riuscito un ministro, ci riesco io?”. Poi, non so come, dissi immediatamente sì e mi trovai catapultata in Argentina.
Altrettanto grande l’impegno nel tenere viva la memoria dell’eccidio delle Fosse Ardeatine è quello profuso da un’altra testimone Vera Michelin Salomon, oppositrice politica al nazismo, deportata in Germania:
Ero prigioniera a Regina Coeli, quando è stata fatta la scelta delle persone che dovevano andare, si pensava, a lavoro, e invece poi abbiamo saputo, la sera stessa, che erano state uccise. Tra queste persone c’era un caro amico, che era stato arrestato con noi, perché si era trovato in casa nel momento in cui erano venute le SS a cercarmi: ero accusata di aver diffuso dei volantini davanti ad una scuola. Questa persona si chiama Paolo Petrucci ed è un numero abbastanza alto nel memoriale, nelle tombe raccolte. Questo ci ha fatto pensare che sia stato tra i primi uccisi. Questo è il mio ricordo, personale, che mi segue tutti gli anni. Il peggior ricordo del mio anno, più di un anno, prima in Italia e poi deportata in un carcere in Germania.
E ha ottenuto questa estradizione: Priebke è stato portato in Italia, dove è stato processato... Ringrazio gli argentini che mi hanno accolto come una regina. Questo è solo uno degli esempi del suo grande impegno nel mantenere vivo il ricordo di quell’eccidio... Mi sono trovata coinvolta, da 20 anni, in questa cosa. Sono 20 anni, infatti, che saltello come una farfalla impazzita... ... infatti, ha scritto anche un libro (intitolato “La farfalla impazzita”) che ha regalato al Papa... Esattamente. E’ stato molto carino. Ho una foto stupenda, che mio figlio ha voluto sviluppassi in tela e incorniciassi, perché è bellissima, dove tiene le mie mani strette a libretto. E’ bellissima, è una foto stupenda.
Sui libri di storia è stata fatta piena luce, verità, sull’eccidio delle Fosse Ardeatine? Ma quali libri di storia? Ci sono dei libri di storia che sì, l’hanno fatta con gli elementi che hanno trovato. Quella degli occupanti tedeschi, dei nazisti, delle SS, non è stata una rappresaglia dovuta alla mancata presentazione dei cosiddetti colpevoli: è stata una vendetta contro un gesto, un’azione militare, approvata dal Cnl, dal Comando di liberazione nazionale, e non un’iniziativa di quattro terroristi sparsi. E’ stato, quindi, un vero atto di guerra e con un atto di vendetta di guerra si è risposto.
Cosa vorrebbe dire alle giovani generazioni oggi, a 70 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine? Quando vado nelle scuole è qualcosa di incredibile. Anche i bambini delle elementari, dai quali sono sempre un po’ restia ad andare, non può immaginare che accoglienza mi facciano. Sono veramente meravigliata di quello che fa la gioventù. Non è vero che non gliene importa niente, non è vero che sono superficiali. Ci saranno pure quelli che fanno cosacce, ma io amo molto i giovani. Mi vogliono, mi cercano tanto e sto facendo veramente la spola. Qualche giorno fa sono stata al Senato e alle due già ero in treno per Firenze; sono andata ad Agrigento, sono andata da tutte le parti.
Lei s’impegna, continua ad impegnarsi ogni anno, per la memoria di questo periodo storico... Faccio parte dell’Associazione nazionale dei deportati. Spero che la popolazione capisca, anno dopo anno, come sono andate le cose e faccia di questo luogo romano un posto dove si va, così come si va al Colosseo. E’ un posto dove riflettere, dove commuoversi e dove pensare alla storia che abbiamo attraversato.
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Le rose per Ilaria
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’Orto botanico di via Corsini a Roma ha creato per Ilaria Alpi una rosa profumatissima dandole il suo nome. Erano in tanti nei giardini ai piedi del Gianicolo per questa solenne memoria. La mamma Luciana; colleghe e colleghi del Tg3; scrittori ed amici. Il 20 marzo del 1994 venivano uccisi in Somalia la giornalista del tg 3 Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin. A 20 anni dalla loro morte, non sono ancora noti i nomi dei loro assassini. Intanto, il governo italiano ha annunciato che desecreterà gli atti relativi all'inchiesta. Una richiesta in tal senso era venuta ieri dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Erano in Somalia per raccontare della guerra tra fazioni nel Corno d’Africa e della cooperazione italiana. Ma a Mogadiscio Ilaria Alpi aveva scoperto qualcosa di importante: un traffico i rifiuti tossici che in Somalia arrivavano con navi anche italiane. In cambio, i somali, ricevevano armi dell’ex Unione Sovietica. Le indagini sulla loro morte, fin dall’inizio, furono lente. Numerosi i depistaggi. I taccuini di Ilaria, come le videocassette
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di Miran, dalla Somalia non sono mai arrivati in Italia. Il governo ha annunciato che desecreterà i documenti dell'inchiesta, così come chiesto dalla presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini e come auspicato da Mariangela Gratti Grainer, presidente dell’AssociazioneIlariaAlpi: "Se oggi possiamo dire di sapere, con assoluta certezza, che si è trattato di una esecuzione Ilaria e Miran sono stati uccisi con un colpo in testa ciascuno - se possiamo dire di conoscere anche i possibili nomi degli esecutori, ma che non abbiamo con certezza i mandanti, certo siamo ad un punto importante che ci fa dire che la verità storica ce l’abbiamo. Ora, vogliamo la verità giudiziaria che ancora non c’è. Penso che sia utile, anzi necessario, desecretare così da avere i nomi dei responsabili, dei mandanti. Io mi chiedo chi li abbia coperti, perché tutti questi anni di depistaggi, di 'non so', di sabbia che cresce, di bugie, di detto e poi ritrattato non può essere avvenuto da solo o per qualche potente di turno. Ci devono essere anche complicità - e ci sono - all’interno dello Stato e degli Stati, stante che la vicenda non è soltanto italiana". Tantissime le inchieste giornalistiche realizzate negli ultimi 20 anni per tenere sempre viva l’attenzione sull’omicidio dei due giornalisti. La signora Luciana, madre di Ilaria Alpi: "C’è un gruppo nutrito di giornalisti che ha lavorato molto sul caso di mia figlia; per questo devo dargliene atto e ringraziarli. Gli sono grata ... Ma lei è di Radio Vaticana? – chiede alla giornalista -Mi abbracci il Papa se lo vede …".
Il dialogo dell’amore e della verità Cattolici e ortodossi a convegno da Salonicco - Grecia
EDOARDO SCOGNAMIGLIO TEOLOGO
Il dialogo dell’amore e della verità è stato al centro del dibattito del congresso ecumenico internazionale tra cattolici e ortodossi che si è svolto a Salonicco nei giorni 2630 maggio 2014 presso il monastero di S. Teodora. L’evento è stato organizzato dalla Sez. S. Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Napoli) in collaborazione con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e l’Università di Aristotele. Il simposio ben s’inserisce nelle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario dello storico incontro a Gerusalemme tra Paolo VI e il patriarca Atenagora I. Nel messaggio inaugurale, il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha affermato esplicitamente che il dialogo tra cattolici e ortodossi non è solo teologico ma anche e soprattutto dell’amore. Il dialogo ha radici trinitarie: è, infatti, dalle relazioni d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che la Chiesa di Cristo può “essere sempre in dialogo” e stare in una vera tensione d’apertura verso il mondo. Il dialogo, nella prospettiva del patriarca Bartolomeo I, è autentico solamente se diventa uno stile di vita, un modo d’essere del credente e di stare della Chiesa nel mondo. Perciò, non possono esistere due Cristi o due verità e bisogna tendere al-
l’unità della Chiesa, pur rispettando le differenze tra cattolici e ortodossi. Nel messaggio di saluto di papa Francesco, che in quei giorni del congresso internazionale si è trovato in pellegrinaggio a Gerusalemme, si è posta in evidenza l’azione vivificante dello Spirito Santo che trasforma i cuori dei credenti e orienta tutti i cristiani alla riconciliazione e al perdono fraterno. L’abbondanza d’amore Ha moderato la prima sessione il metropolita di Kitros, sua eminenza reverendissima Giorgio. L’archimandrita del Trono ecumenico, Makarios Griniezakis, si è soffermato su L’ethos del dialogo e, dunque, sulla docilità di Dio nel dialogare con l’uomo. Riprendendo l’immagine biblica del profeta Elia, al quale Dio si rivelò nel venticello leggero, senza forzare nessuno, il metropolita Makarios ha affermato che Dio sempre si rivela in “abbondanza d’amore”, in quell’“aura sottile” dell’amore trinitario di cui il dialogo ne costituisce un’emanazione. Perciò, si deve prendere coscienza che il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi – come tra tutti i cristiani – corrisponde a un’inclinazione divina di amore e di riconciliazione. Occorre essere consapevoli di questa verità: se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme. Dunque, il dialogo teologico non è qualcosa di astratto in quanto si basa sulla natura dialogica della Chiesa e sulla 66
P. Edoardo Scognamiglio relatore al Convegno ecumenico internazionale - Salonicco (Grecia). Seguono foto dei vari momenti del Convegno.
medesima essenza della Divina liturgia che è essa stessa un dialogo. Di fatti, la Chiesa senza dialogo cessa di essere Chiesa: così, la fede in Cristo ci conduce a prendere coscienza del significato dell’unità all’interno del dialogo che si basa sulla dossologia trinitaria. Il dialogo, essenzialmente, vive della dinamica dello scontro tra l’unione e la rottura e prende atto delle diversità e diviene uno strumento di riconciliazione, di amore, di comunicazione, di progresso e di civiltà. Il dialogo, da una parte, presume la differenza e, dall’altra, l’incontro e la comunione con l’altro, perché la divisione resta sempre una “comune disgrazia”. Il dialogo tra cattolici e ortodossi – che avviene nell’amore e nella verità – deve coinvolgere tutte le membra della Chiesa ed esige che ognuno sappia rinunciare a qualcosa e che nessuno si ritenga possessore esclusivo della verità. Solo in questo modo il dialogo potrà essere l’unica via che tiene assieme coloro che sono divisi. L’ethos del dialogo respinge ogni sorta di rela-
tivismo e di proselitismo. Principio etico del dialogo è, dunque, la sincerità, come altresì il mettere da parte ogni pregiudizio o sospetto nei confronti dell’altro. L’ethos del dialogo, che mai potrà ammettere la sopraffazione sull’altro, si esprime dentro quell’aura sottile in cui Dio parla. Chiesa ed Eucaristia Il professore Georgios Martzelos, a partire dai dialoghi teologici tra cattolici e ortodossi – considerando in particolare il teso di Monaco (1982), di Bari (1987-1988) e di Ravenna (2007) –, si è soffermato su Unità e universalità della chiesa nel dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Il testo di Monaco di Baviera è frutto della seconda assemblea generale della Commissione teologica mista che aveva come tema Il mistero della Chiesa e dell’eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità. Si tratta di un documento che ha permesso di riscoprire l’ecclesiologia eucaristica come base della vita e della missione della Chiesa. La Chiesa celebra l’eucaristia realizzando quello che è, ossia l’essere il corpo di Cristo. Il documento di Monaco si sofferma sul significato della Chiesa locale in cui si celebra l’eucaristia. Una Chiesa locale che celebra l’eucaristia tramite il vescovo non è una parte del corpo di Cristo: la molteplicità delle sinassi non divide la Chiesa, ma piuttosto esprime in segreto la sua unità. Così, universalità e località della Chiesa coincidono sacramentalmente nell’eucaristia. Il relatore ha messo in evidenza il fatto che la Chiesa cattolica, a partire dal Vaticano II, ha recuperato la visione eucaristica e sacramentale della Chiesa locale. A partire dalla sinassi locale eucaristica, in cui si manifesta l’unica Chiesa di Cristo,
si potrebbe rileggere il primato del vescovo di Roma come primus inter pares. Il testo di Bari del 1987 afferma che non è possibile la comunione sacramentale senza la comunione nella fede. Dunque, comunione nella fede e comunione nei sacramenti sono interdipendenti. La fede non è solo all’origine della vita sacramentale, ma ne è anche il frutto. L’unità della vita di fede è inseparabile dall’unità di vita sacramentale. Dunque, la comunione nella fede e la comunione nei sacramenti non sono due realtà distinte, bensì due volti di una stessa realtà che presuppone e rivela l’unità della Chiesa. Nella relazione, si accenna anche al testo di Balamo del 1988 che sviluppa l’im-
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portanza del sacerdozio e della successione apostolica per l’unità della chiesa. Il sacerdozio del vescovo ha come servizio quello di custodire l’unità della Chiesa locale. Perciò, è necessario che ci sia comunione tra tutte le Chiese locali. In questo documento si riconosce l’importanza della pentarchia dell’antica chiesa: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Il testo su cui molto ancora si sta discutendo è quello di Ravenna che ha per tema La comunione ecclesiale, la conciliarità e l’autorità. Nella prima parte del testo sono ripresi i fondamenti della sinodalità. Il carattere sinodale della Chiesa si esprime universalmente e diacronicamente su tre
livelli: locale, provinciale e mondiale. La prima sessione si è conclusa con la relazione di Gregorios Liantas su Il Concilio Vaticano II – punto di vista ortodosso – e la posizione di osservatore del Patriarcato di Alessandria durante i lavori della sua IV Sessione (14-9-1965 fino al 8-12-1965). Il relatore, riportando il giudizio di due importanti personalità della Chiesa ortodossa, sua eminenza Charkianakis (arcivescovo d’Australia) e il professore Nikos Matsoukas, ha affermato che il Vaticano II costituisce la massima apertura della Chiesa cattolica nei confronti della Chiesa ortodossa. Il Vaticano II è uno sforzo dinamico per rispondere ai grandi problemi interni ed esterni della chiesa. L’ecumenismo e il Vaticano II Ha moderato la seconda sessione il metropolita di Bursa, monsignore Elpidoforos. Nel nostro intervento ci siamo soffermati su Il dialogo fraterno tra ortodossi e cattolici. Dal Concilio Vaticano II ai nostri giorni. Abbiamo rilevato che la magna charta del dialogo fraterno tra cattolici e ortodossi è, da parte cattolica, il decreto del Concilio Vaticano II Unitatis redintegratio che ha assunto un valore norma-
tivo nella riflessione teologica contemporanea. Il Concilio ha riconosciuto che il movimento ecumenico è un segno profetico dello Spirito Santo e perciò ha insistito affinché tale movimento ricevesse nuovi impulsi e istanze critiche. La promozione del ristabilimento dell’unità tra i cristiani è uno dei principali intenti del Concilio stesso. Tra gli obiettivi del Vaticano II vi fu proprio quello dell’avvicinamento ecumenico: Paolo VI ritornò in più occasioni su tale punto e parlò proprio di “ecumenismo spirituale”. Egli sottolineò che l’avvicinamento tra le Chiese si realizza nella misura in cui tutte le Chiese, e in primo luogo la Chiesa cattolica, vivono una sempre maggiore fedeltà alla vocazione ricevuta e s’impegnano in un cammino di costante conversione. Il dialogo diventa fraterno nella misura in cui ci apriamo reciprocamente al perdono. Solo così può diventare uno stile di vita e aprire i cuori al dono dello Spirito Santo e all’amore di Dio che è carità. Il dialogo ecumenico è credibile – rende testimonianza – nella misura in cui rivela l’amore della Trinità e si fa comunione, ossia accoglienza dell’altro nella sua stessa diversità. Lo stesso Paolo VI af68
fermò che il decreto Unitatis redintegratio spiegava e completava la costituzione Lumen gentium: perché il destino delle singole Chiese richiama in gioco la verità sull’unità della Chiesa e la sua presenza storica nel mondo. In questa prospettiva si muoverà pure Giovanni Paolo II che darà un grande contributo al dialogo ecumenico, specialmente con l’Ortodossia, attraverso la promulgazione dell’enciclica Ut unum sint (25-5-1995). All’interno della Chiesa cattolica ci saranno segni, gesti, incontri e riflessioni che promuoveranno l’unità tra i cristiani ad ampio raggio, come ad esempio la nascita e il consolidamento dello “Spirito di Assisi”. Si tratta di segni, gesti, incontri e riflessioni che saranno alimentati dalla buona volontà e dall’amore di altrettanti leader, capi e teologi della grande tradizione Ortodossa. Il dialogo tra cattolici e ortodossi comincia con lo storico incontro tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora. Essi diedero inizio al “dialogo della carità”. Senza questo desiderio comune di incontrarsi, di dialogare, di perdonarsi, di conoscersi, non c’è alcun movimento ecumenico, ossia nessun punto di partenza. All’origine dello stesso movimento ecumenico, dunque, c’è il “dialogo della carità”. Nel valutare tutti i singoli documenti si è oramai preso coscienza che c’è da discutere in modo critico e sistematico sul primato del vescovo di Roma all’interno dell’ecumene. Le questioni più scottanti Il metropolita di Messinia, monsignore Crisostomo Savvatos, ha presentato una relazione molto obiettiva circa Il cammino e i problemi del Dialogo teologico ufficiale tra ortodossi e cattolici dopo il testo di Ravenna (2007). Le que-
stioni più scottanti riguardano il principio ecclesiologico cattolico del subsistit in e il primato del romano pontefice nel dialogo tra tutte le Chiese. Il testo di Ravenna è, sicuramente, una risposta teologica alla dichiarazione Dominus Iesus. È necessario rileggere il primato del vescovo di Roma all’interno della sinodalità o conciliarità. Il primato del papa è nell’ordine e nell’onore ma sempre come primus inter pares tra i cinque patriarchi e necessita di una rilettura eucaristica. La Chiesa ortodossa ha interpretato in maniera negativa la cancellazione unilaterale del titolo storico e canonico del papa quale patriarca d’Occidente: è un fatto che non aiuta il dialogo perché cancellando questo titolo la Chiesa indivisa non riconosce più il vescovo di Roma come il primo nella chiesa attraverso l’ecumene ed entro la pentarchia dei patriarchi.Il metropolita di Messinia ha ricordato che dopo lo scisma del 1054, nella tradizione orientale, il primato d’onore e di ordine nella funzione del primo non è mai stato messo in dubbio nell’ambito del funzionamento dell’istituzione della pentarchia dei patriarchi. Per questo, la Chiesa di Costantinopoli diventa rappresentante e custode dell’unità pan-ortodossa, ossia titolare del primato d’onore e d’ordine. Il documento di Ravenna costituisce non solo lo sforzo teologico della commissione mista, bensì il tentativo da parte delle due Chiese di prendere coscienza della propria identità. Per il futuro, occorrerà seriamente confrontarsi sul significato del primato petrino e intenderlo, all’interno della Chiesa cattolica, come un problema della funzionalità delle strutture ecclesiastiche cattoliche. La seconda sessione si è conclusa con l’intervento del professore Antonios Papadopulos su Il dialogo tra
cattolici e ortodossi porta alla riconciliazione? La domanda in sé contiene l’invito ad andare oltre ciò che divide i cristiani e di porre l’attenzione su ciò che unisce i discepoli di Gesù Cristo. Il carattere sacramentale La terza sessione è stata moderata dal vescovo di Amorio, monsignore Niceforo. Nella relazione del professore Valdimiro Caroli ci si è soffermati su Il credente e il dogma. Rapporto tra soggettività e mistero in tre autori cristiani (Nisiotis – Kierkegaard – Möhler). Solamente l’esperienza della grazia può aprire i cuori a un dialogo sincero, superando le secche dell’io. Il professore Pierluigi Cacciapuoti si è soffermato, invece, su Il carattere sacramentale nella teologia latina. Un contributo al dialogo ecumenico. Il relatore ha esordito affermando che la teologia orientale tradizionale, legatissima all’eredità dei santi Padri, ha avuto affinità con quella occidentale per quanto riguarda la teologia sacramentale. Ci sono state molte incomprensionie divergenze ma si è mantenuta una certa uniformità di vedute. La teologia neo-greca ha registrato un rinnovato interesse per i sacramenti e la sacramentaria in genere,
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sottolineandoi punti specifici della dottrina alla luce delle affermazioni dogmatiche della Chiesa occidentale, sia cattolica che protestante. Tuttavia, si è mostrata poco incline ad accettare un concetto che nella Chiesa latina era stato oggetto di lunghe e appassionate discussioni, vale a dire il carattere sacramentale. La motivazione fondamentale è che questo concetto non sarebbe provato dalla rivelazione biblica e, quindi, sarebbe stato inserito dall’esterno e forzatamente nella dogmatica. Yoannis Spiteris, nella sua presentazione della teologia ortodossa neo-greca formatasi in Grecia da teologi che avevano studiato in facoltà europee, specialmente protestanti, pubblicando manuali di grande importanza e organizzando nel 1936 il I Congresso internazionale delle scuole teologiche ortodosse, rimasto insuperato per la qualità dei contributi, cita due autori, appartenenti alla cosiddetta “scolastica” greca, che ha creato la teologia greca odierna, Christos Andruzzos (1867-1935) e Costantino Dyovouniotis (1872-1943) che esplicitamente rigettano il concetto e la realtà del carattere, come tipico di tre sacramenti: il Battesimo, la Confermazione e l’Ordine.
da Matera
PIERINO DILENGE DIRETTORE DE LA VOCE DEI CALANCHI
A
LIANO - Deve la sua notorietà allo scrittore ed artista torinese Carlo Levi, autore del famoso libro “Cristo si è fermato a Eboli”, tradotto in ben 37 lingue, la ridente cittadina di Aliano. In questo libro/denuncia Levi aveva colto tutti gli aspetti drammatici di una realtà di sottosviluppo socioeconomico di questo piccolo centro della terra di Basilicata, in provincia di Matera, dove visse come confinato politico dal mese di settembre 1935 al mese di maggio 1936, e dove è sepolto dopo la sua morte , avvenuta a Roma nel mese di gennaio 1975. Da diversi anni, e precisamente all’indomani della sua morte, Aliano, vincendo una comprensibile reazione negativa nei confronti dello scrittore torinese, che, a dire della popolazione, “aveva sparlato della sua gente
E AG RT PO RE
Dal paese del “Cristo si è fermato ad Eboli”
dopo averlo trattato bene”, ha cercato di fare tesoro della notorietà, per ricavarne aspetti positivi e quindi farne una leva di riscatto socio-economico, cercando di diventare protagonista del suo futuro, abbandonando così una atavica logica mortificante di assistenzialismo. All’indomani della morte La associazioni sorte all’indomani della morte di Carlo Levi, come la Pro-Loco Aliano, il Circolo Culturale Giovanile “Nicola Panevino” hanno cercato di valorizzare al meglio questa risorsa storico-culturale , che, unita alla suggestività del suo paesaggio calanchistico paragonato peraltro alla Cappadocia della Turchia, promuovendo così un turismo culturale ed escursionistico, da fare del paese negato alla storia ed allo Stato”, uno dei centri più visitati della Regione Basilicata dopo la Città dei Sassi di Matera. Per chi ha letto il “Cristo…”di Levi, arrivando ad Aliano, ha l’opportunità di una rielettura del libro at-
traverso la visita dei luoghi leviani, indicati con tavolette di argilla con le stesse descrizioni fatte dal Levi, da percorrere il centro storico con un senso di aria magica proprio della civiltà contadina descritta con i suoi protagonisti in modo pittorico, da rivivere quella realtà descritta nel libro con tanto rispetto e quasi con tanta partecipazione alle sofferenze non solo della popolazione alianese, lucana, ma anche di altre realtà simili sparse allora ed anche ai giorni nostri in tante pareti del mondo, facendo così di Aliano Il simbolo di tante altre Aliano sparse nel mondo”. Nel corso degli anni, grazie anche ad una presenza viva della Chiesa, sono state promosse varie iniziative socioculturali ed economiche, come cooperative agricole giovanili e di servizio, che hanno cercato di far uscire Aliano dall’isolamento e rilanciarlo nella storia della Basilicata e del Sud quale paese che lotta per riscattarsi e per assumere un ruolo da protagonista, proponendosi come esempio di sviluppo autopropulsivo attraverso la valorizzazione delle sue valide risorse esistenti sul territorio. Nel 2000, in seguito ad un Bando europeo sui paese resi celebri da opere letterarie, con una sovvenzione globale europea, è stato costituito il Parco Letterario Europeo “Carlo Levi”, associato successivamente alla rete dei Parchi Letterari Italiani, con sede in Roma.
Valide iniziative culturali. Pertanto ad Aliano sono state lanciate e sono tuttora valide varie iniziative culturali: dal 1989 è presente il Museo demoetnoandropologico ( civiltà contadina) , allestito nell’antico frantoio sottostante la Casa di confino di Levi; nello, nello stesso periodo è stato allestito il Museo Storico Carlo Levi , che ha dato origine poi a una Pinacoteca Carlo Levi, con oltre 20 tele originali , l’atelier pittorico dell’artista torinese(camice, tavolozza dei colori, cavalletto su cui ha dipinto le interessantissime opere del confino, eccc); la Casa di confino, ristrutturata con intelligenza, è diventata un museo multimediale. Visitando questi luoghi il turista ne resta affascinato ed è portato a rivivere intensamente quella realtà descritta quasi pittoricamente, di stile manzoniano, denunciata con tanto coraggio al mondo intero. I suddetti contenitori culturali sono aperti al pubblico tutti i giorni, eccetto il lunedì, mattina e pomeriggio. E’ sufficiente cliccare sui siti www.parcolevi.it- www.aliano.it – Un Centro visite è a disposizione dei visitatori ( 0835-568529- parcololevi.tiscali.it)- www.lalunaeicalanchi.it, per spaziare nella realtà storico-culturale alianese. Da molti anni anche le suddette iniziative culturali sono accompagnate ed arricchite da importanti manifestazioni culturali ormai consolidate, come la Estemporanea Interregionale di Pittura “Premio Carlo Levi”, giunta
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alla XXVIII edizione, riservata a studenti di Istituti e Licei Artistici; il Premio Letterario Nazionale annuale “Carlo Levi”, giunto alla sua XVII edizione, manifestazione che , nel corso degli anni, oltre a dare spazio a nuove leve, ha visto tra i vincitori penne famose della nostra letteratura, come Pontiggia, Bevilacqua, Nigro,. Maraini, Conti, il compianto magistrato D’Ambrosio, ecc … Da circa 38 anni, per conto della Parrocchia, viene pubblicato un periodico di informazione e formazione “La Voce dei Calanchi, da alcuni a colori, con una tiratura di 2.500 copie, regolarmente registrato; esso viene inviato a tutte le parrocchie, le scuole, gli uffici e comuni della Basilicata, agli emigrati in Italia ed all’estero; lo stesso, da alcuni anni sul sito del comune www.aliano.it – www.aprcolevi.it. L’interesse culturale di Aliano è arricchito anche dalla presenza delle famose antropologiche “maschere cornute”, arcaiche, collegate alla civiltà greca ed a quella contadina; esse sono costruite artigianalmente con l’argilla locale e
Aliano, la casa restaurata dove è vissuto Carlo Levi
carta pesta: Da anni il gruppo folk delle maschere è presente anche nelle sfilate nazionali, come il Carnevale di Venezia, di Putignano, in Sardegna. Aliano, gode anche di una notevole importanza archeologica. A tutt’oggi, con scavi sistematici, dalle sue numerose necropoli, cosparse dalla pianura alla parte alta del territorio comunale (850 mt. S.l.m.) sono venute alla luce oltre 1.500 tombe terragne, risalenti alla seconda metà del VII secolo a. C.; una ricchezza impressionante di importantissimi reperti archeologi, conservati soprattutto nel Museo della Siritide a Policoro, confermano l’esistenza 72
della civiltà enotria che nei secoli ha subito l’influenza della civiltà etrusca e greca, trovandosi la nostra terra all’interno della fascia ionica, su cui si erano insediate diverse colonie della Magna Grecia. Questa ricca realtà storico-culturale ha rafforzato nella popolazione la voglia d riscatto e di uno sviluppo socio-economico; sono nate cos’a tutt’oggi ben tre strutture recettive molto attive; è di prossima apertura una pensione con 28 posti in un palazzo attivo adeguatamente ristrutturato; il Comune di Aliano, inserito nell’Associazione dei Borghi Albergo d’Italia sta portando a compimento la ristrutturazione del centro storico per farne un Borgo Albergo con 50 posti letto. Entro la fine del corrente anno Aliano avrà la disponibilità di circa 100 posti letto. Questa realtà offrirà al piccolo centro lucano di passare da un turismo “mordi e fuggi” ad un turismo residenziale.
Oltre il terziario Aliano, oltre il terziario, trae le sue risorse anche dall’agricoltura. La sua superficie di circa 10 mila ettari, è ricca di uliveti da una prelibata cultivar ”Maiatica”, dal sapore leggero ed aromatico. Ai frantoi tradizionali si sono affiancati quelli moderni a ciclo continuo, che producono olio di alta qualità , imbottigliato e venduto con un proprio marchio. Insieme storia, cultura e paesaggio stanno diventando una concreta base di sviluppo economico, associando le potenzialità dell’agricoltura e di un rinascente artigianato. Aliano, quindi, grazie al “Cristo...”, fortemente convinto delle sue valide risorse storico-culturali esistenti sul territorio, ha cercato e sta cercando intelligentemente di valorizzarle al meglio, per orientare soprattutto i giovani in cerca di prima occupazione, con una mentalità rigenerata, e menageriale, a diventare protagonisti del loro futuro.
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Quando i galli si davano voce Letteratura
FRANCO VITELLI CRITICO LETTERARIO E MERIDIOLANISTA
È
il libro di una vita ( Edizioni della Cometa, Roma 2013, p. 188) dove Mario Trufelli ha riversato il suo processo di formazione, battendo all'unisono con il mondo che gli stava intorno ma proiettandosi in un diverso altrove. La chiave di let¬tura sta tutta nell'esergo di Ernesto De Martino, per cui il villaggio vivente nella memoria, riplasmato dall'arte "in voce universale", dura come valore dello spirito comunitario. Con scrittura limpida, a tratti poetica, e una struttura narrativa anche movimentata dall'inserimento di carteggi che contribuiscono felicemente a una variatio espressiva e al progredire dell'azione, Trufelli ci fa rivivere in dimensione socio-antropologica la vita di un paese del Mezzogiorno durante il fascismo e nel successivo pe¬riodo postbellico. In quest'ambiente, che ha sullo sfondo la cultura in equilibrio di una civiltà millenaria con i suoi antichi usi e costumi, precipita il turbamento devastante di un duplice suicidio; sottile, invece, s'insinua quello dell'amore che assume le sembianze di un sentimento timoroso e pudico per la coscienza che non può mai essere effettivamente consumato nelle situazioni contingenti. La piazza, con la sua ricorrenza, diviene punto di riferimento; luogo nevralgico ove gl'incontri seguono il ciclo rituale della normalità quotidiana nella presenza contrastiva dell'orologio che ammonisce per un tempo in direzione del cambiamento. E dentro la sua cornice si rappresentano gli eventi, la lettura del canto di Paolo e Francesca con l'eccezionale interpretazione di Nando Tamberlani e l'opera buffa delle adunate di regime. Gli incastri di frammenti evocativi del paesaggio servono a dare respiro e testimonianza della bellezza naturale rimasta quasi intatta. La preoccupazione documentaria facilmente s'indovina e vale a mettere sul saldo le voci suggestive della memoria che cercano un'autonoma esistenza. La storia circola veicolata da un groviglio di problemi e istanze: essa permea lo spirito della narrazione col peso insopportabile della ragnatela fascista e della prepotenza padro-
nale; con le legittime aspirazioni del mondo contadino rappresentate nei momenti tumultuosi della rivolta, ove aleggia l'ombra di un giovane "pelorosso"; con il disastro della guerra, che più virulenti fa sentire i suoi effetti nei luoghi di miseria. Quando i galli si davano voce in efficace metafora esprime le segrete corrispondenze che vengono a stabilirsi nel tempo buio della mancanza di libertà e prelude all'alba nuova della rinascita, al germoglio di nuovi semi per la ricostruzione. Fedele Martino, il professore in pensione zio del podestà, e don Armando, il prete colto punito col trasferimento perché in diretto contatto con Francesco Saverio Nitti, formano una singolare coppia di antifascisti che quasi si logora nelle interminabili discussioni e analisi, mantenendo tuttavia sempre accesa la fiaccola della speranza. Forse, la nota di maggiore forza del libro, quella che più lo caratterizza, è la rappresentazione dell'esperienza dei confinati che trasferisce nel borgo i riverberi di una storia lontana e fa intrecciare inediti rapporti di vita corale. Rispetto a Carlo Levi, viaggiatore esterno pieno di una travolgente carica amorosa, Trufelli aggiunge al tema del confino il punto di vista del popolo ospitante di cui lui stesso è parte. Nel ruolo di testimone fedele consegna al lettore un referto dal fascino sicuro, frutto della prodigiosa memoria di un ragazzo; quel Ninì io narrante e protagonista, cresciuto ormai e andato al mondo per la sua strada. 74
da tenere nel referendum monarchia/repubblica. Ma, come specie si addice alla sede HA SCRITTO di una Diocesi, il mondo ecclesiastico “Per non essere provinciali occorre possedere un vilcondiziona la vita e ne determina gli laggio vivente nella memoria, a cui l’immaginazione orientamenti, divenendo parte ime il cuore tornano sempre di nuovo, e che l’opera di portante del sistema sociale. Di qui scienza e di poesia riplasma in voce universale”. la plurima irradiazione nelle pagine del ERNESTO DE MARTINO romanzo e il fatto che don Armando conduca il filo della vicenda insieme a Ninì, non a caso e simbolicamente a lui vicino nel momento della morte. Personaggio riuscitissimo rimane quello del Vescovo, che Trufelli ritrae nelle sue Nello studiolo dell'usciere giudiziario, zona franca dove collaudate capacità di rapporto con le Istituzioni e il poi canonici si riuniscono, risalta in microcosmo l'uni- tere, mimandone sinanche il linguaggio curiale, ora soverso dei preti, scrutati con finezza psicologica e pene- lenne ora insinuante, che ce lo fa sentire vivo e trante ironia durante i loro accesi confronti: uno che operante in mezzo a noi. oscilla tra storia e dottrina, leggi razziali e ruolo degli UCANIA ebrei per la Chiesa; e gli altri sulla guerra e la posizione Io lo conosco questo fruscìo di canneti sui declivi aridi contesi dalla frana ario Trufelli, giornalista, scrite queste rocce magre tore e poeta è nato a Tricarico, dove i venti e le nebbie paese del sindaco poeta Rocco Scoteldanno convegno ai silenzi laro e vive Potenza da sempre. Reche gravano a sera sponsabile della redazione lucana della Rai dal 1969 al 1994, ha svolto una intensa attività giorsul passo stanco dei muli. nalistica per la quale ha meritato il Premio Saint E’ poca l’acqua che scorre Vincent. E’ stato collaboratore fisso della trae le vallate son secche smissione televisiva Check-Up, ideata e diretta spaccate, d’argilla. da Biagio Agnes. Presidente dell’Ordine dei giorDi qui le mandrie migrano nalisti della Basilicata è stato amministratore con l’autunno avanzato unico dell’APT ( azienda promozione turismo) per la piana delle marine regionale. La poetica di Trufelli è raccolta in tuffando i passi nelle paludi. Prova d’addio ( Scheiwiller, 1991), opera che ha Di qui è passata la malaria vinto il super Premio Ennio Flaiano e il Regium Julii; i raccontini Trufelli, invece, sono pubbliper le stazioncine sul Basento cati nel volume Lo specchio del comò ( Guida squallide, segnate d’oleandri. Editore 1990). In collaborazione con il critico Da noi la malvarosa è un fiore d’arte e scrittore Giuseppe Appella ha pubbliche trema col basilico cato: Amore di Lucania ( Edizioni della Cometa, sulle finestre tarlate 1983); e poi L’ombra di Barone- Viaggio in Luin un vaso stinto di terracotta cania ( Edizioni Osanna, 2003) e L’Erbavento ( e il rosmarino cresce nei prati Rocco Curto Editore,2005). Inoltre Pellegrinagsulle scarpate delle vie gio sentimentale testi che presentano paesi emaccanto ai buchi delle talpe. blematici e raccolgono interviste e scritti vari dal Da noi si riposa il falco e la civetta 1952 al 1996. Per il suo costante impegno meridionalistico gli è stato conferito il Premio Guido segna la nostra morte. Dorso. Il romanzo Quando i galli si davano voce Da noi il mondo è lontano, è dedicato a Rocco Mazzarone meridionalista ma c’è un odore di terra e di gaggìa doc, “ che questo mondo ha voluto fosse narrato”. e il pane ha il sapore del grano. MARIO TRUFELLI
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CHI È
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AL MACRO DI ROMA Arte
GIUSEPPE APPELLA CRITICO D’ARTE
Ha scritto
Arte del Novecento in Basilicata
La voce del Sud in un filo d’erba
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orto appena trentenne, Rocco Scotellaro ( Tricarico 1923 – Portici 1953) fu una meteora inattesa e straordinaria nella scena della cultura italiana del secondo dopoguerra, e incarnò senza volerlo il modello di quell’“intellettuale organico” teorizzato da Antonio Gramsci, ma altrettanto atteso dai Gobetti e dai Salvemini e dai rappresentanti del “cattolicesimo sociale” messo duramente alla prova del ventennio fascista. Fu infatti poeta e scrittore, inchiestatore e sociologo ma anche leader politico di base, sindaco socialista del suo paese, strenuo difensore dei diritti di una popolazione contadina sfruttata e oppressa, quella raccontata fervidamente da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli e dallo stesso Rocco in Contadini del Sud nelle sue sfaccettature più strane o bizzarre, contro il preconcetto di una figura unica e da presepe: l’infimo piccolo-borghese Mulieri in lotta contro uno Stato che si fa vivo soltanto per il tramite dell’imposizione d’imposte (e del servizio militare), il bufalaro degli stagni che conosce le sue bestie una per una e una per una dà loro un nome, il Chironna evangelico e il Di Grazia democristiano… GOFFREDO FOFI Avvenire- Cultura 14 dicembre 2013
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ell’Auditorium del MACRO (Via Nizza 138 Roma), il 6 giugno 2014 in coincidenza con la mostra organizzata dal Museo romano nel decennale della scomparsa dello scultore Giacinto Cerone (Melfi 1957-2004), l’Associazione dei Lucani a Roma, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Municipio Roma II, organizza l’incontro dedicato a: Arte del Novecento in Lucania. Da Joseph Stella a Giacinto Cerone. 1896-2004. Lo storico dell’arte Giuseppe Appella, che ha conosciuto e in molti casi posto all’attenzione del mondo artistico i corregionali che hanno partecipato alle fasi più considerevoli delle ricerche espressive del secolo appena trascorso, traccerà un’attenta analisi della vicenda esistenziale e creativa dell’arte lucana, supportando i vari momenti dell’accidentato percorso con una rigorosa selezione di immagini di riferimento. La costante esplorazione linguistica, presente negli artisti lucani cresciuti altrove (nel susseguirsi di generazioni, basta contare i nomi di Stella, Marino di Teana, Masi, Falciano, Guerricchio, Santoro, Pompa, Cerone), è posta tra due date: 1896-2004, la partenza da Muro Lucano per New York di Joseph Stella e la morte a Roma di Giacinto Cerone. Sono tanti gli elementi che accomunano i due artisti, allontanatisi dai loro luoghi di origini alla stessa età, quindi la conferma di far parte, non solo agli inizi del secolo XX, di un’emigrazione non estranea nemmeno alla cultura artistica, la sconfessione di quella storia, tutta gattopardesca, di artisti che si guardano costantemente indietro, privi di collegamenti, di mercato e di collezionisti, di presenze nelle grandi esposizioni nazionali. Napoli, da diversi decenni, ha perduto il ruolo di centro di produzione e di proposte, la pittura meridionale che, per tutto l’Ottocento, aveva trovato nell’Istituto di Belle Arti di Napoli e di Palermo due sicuri punti di riferimento, dopo l’Unità comincia a guardare a Roma e a Milano se non a Parigi o all’America.
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In questo contesto, ricostruire la storia dell’arte lucana della prima metà del Novecento è arduo e difficile, tanta la fedeltà alla tradizione ottocentesca, sostenuta dalla classe al potere e quindi dura a morire, erosa dall’arte emergente, “nuova”, espressione di bisogni impensabili per quanti, abituati ai tempi lenti dei nostri paesi di allora, si erano ostinatamente seduti su una statica fedeltà di comunicazione. La conversazione servirà, dunque, a sollecitare alcuni interrogativi e a evidenziare le radici linguistiche su cui lavorarono i giovani artisti della fine degli anni Cinquanta, sostenuti da Leonardo Sinisgalli attraverso 76
“Civiltà delle Macchine”, e i giovani degli anni Ottanta che oggi troviamo immersi nella contemporaneità non solo italiana. Non è un caso se, nel 2011, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma dedica a Giacinto Cerone una grande mostra delle sculture e delle ceramiche, seguita dall’antologica di disegni ora al MACRO, e, proprio in questi giorni, la Calcografia Nazionale, esponendo le sue opere dagli anni Sessanta a oggi, riconosce a Ninì Santoro, nel 2011 Premio Presidente della Repubblica, un posto di primo piano nella
storia della grafica e della scultura del Novecento. La relazione di Giuseppe Appella è stata preceduta dai saluti dell’Assessore alla Cultura del Municipio Roma II Agnese Micozzi, che ha favorito il patrocinio del Comune di Roma Capitale all’iniziativa, e dal Presidente dell’Associazione dei Lucani a Roma, Filippo Martino. A seguire, gli interventi della curatrice della mostra di Giacinto Cerone al MACRO, Benedetta Carpi De Resmini e, a conclusione, del Capo Gabinetto del MiBAC, lo storico lucano Giampaolo D’Andrea.
A Matera: 50 anni dopo ritorna il Vangelo secondo Matteo Cinema
ENZO NATTA CRITICO CINEMATOGRAFICO
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l progetto del “Vangelo” pasoliniano – del quale quest'anno ricorre il cinquantenario - prese forma e si concretizzò grazie a un insolito triangolo: l'idea del film (un Vangelo laico, concepito secondo l'estetica e la poetica di Pier Paolo Pasolini); lo sponsor che quest'idea sostenne fin dal primo momento (la Pro Civitate ChriHA SCRITTO stiana di don Giovanni Rossi); il “In Basilicata il film è stato girato a Barile, a Centro Cattolico CinematoCastel Lagopesole e a Matera. A Barile, Pagrafico (mediatore fra la Pro solini trovò quello che stava cercando. Forse fu Civitate e la Segreteria di richiamato dai Misteri, le Sacre Rappresentazioni che Stato della Santa Sede), aveva visto documentare in un cortometraggio di umbra era in stato d'asche avrebbe dovuto farsi sedio per la visita di Mario Carbone girato agli inizi degli Anni Sessanta garante dell'operazione. insieme al documentario La passione del grano di lino papa Roncalli) nel siUna partita a terziglio, Del Fra, girato a San Giorgio Lucano, che gli suggerì lenzio e nella pace della non certo facile, dove Pro Civitate. Isolato, la scena di Erode” l'ultima preoccupazione ROCCO BRANCATI lontano dalla “pazza folla”, erano i soldi (il Credito cicominciò a leggere il VanDA CRISTO È NATO A BARILE nematografico della BNL aprì i gelo trovato sul comodino A CURA DI DONATO MARIA MAZZEO cordoni della borsa senza battere cidella sua stanza. Un'illuminazione, glio: se la Santa Sede aveva approvato il perché l'idea del film nacque in quella progetto, il Ministero dello Spettacolo poteva circostanza. Pasolini trovò un appoggio imdormire fra due cuscini). Tutto cominciò quando, mediato in Lucio Caruso (altro protagonista della in uno dei suoi vagabondaggi poetico-esistenziali, storia), volontario della Pro Civitate Christiana, Pasolini capitò ad Assisi e trovò rifugio (la cittadina medico-chirurgo (per anni sarà in Africa con i me-
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chio (l'uomo giusto al momento giusto), fino a qualche tempo prima avvocato esperto di diritto cinematografico e impegnato nell'esercizio cattolico come segretario generale dell'ACEC (l'organizzazione delle sale parrocchiali, allora forte di ben 5 mila sale sul territorio nazionale). Angelicchio si era fatto prete a trent'anni suonati. Prima aveva fatto la guerra nei parà della Folgore, era stato al fronte e poi nella Resistenza: in altre parole, era un uomo de-
dici senza frontiera) e incaricato dell'ufficio-cinema. Caruso parlò del progetto di Pasolini con don Giovanni Rossi e quest'ultimo non era persona timorosa, né tipo da tirarsi indietro. Ma, a sostenere il progetto con la Santa Sede e il Ministero dello Spettacolo (che senza un sì del Vaticano
avrebbe risposto picche, anche con un ministro socialista qual era Achille Corona), occorreva un'istituzione in grado di fornire tutte le assicurazioni del caso. Per fortuna in quegli anni era arrivato al Centro Cattolica Cinematografico don Francesco Angelic-
ciso, che se faceva una scelta andava fino in fondo. Per farla breve, riuscì a convincere la Curia Romana e alla fine il consenso d'Oltre Tevere arrivò. La Mostra organizzata dal Museo di Matera per il cinquantesimo anniversario del Vangelo secondo Matteo esporrà foto, manifesti, lettere, documenti, materiali audiovisivi, fra cui un'intervista inedita con Enrique Irazoqui (il protagonista del “Vangelo”) da parte di Valeria Patané, e Itinerari evangelici in Palestina realizzato nel 1963 da Pasolini, da Lucio Caruso e da don Andrea Carraro delle Pro Civitate Christiana. Un sopralluogo che Pasolini volle per comprendere a fondo i luoghi che furono testimoni dei fatti rievocati e ricostruiti dal film. 78
Famiglia e catechismo: si può fare? Cultura religiosa
ANDREA GIUCCI ESPERTO DI CATECHESI
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utte le volte che si ragiona insieme sul ruolo della famiglia nel cammino di catechesi di iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, emergono facilmente due posizioni: da un lato tutti riconoscono il sacrosanto ruolo primario della famiglia nell'educazione alla fede dei figli, dall'altro però tutti lamentano una sostanziale assenza dei genitori in questo campo. Così mamma e papà sono insieme i più desiderati e temuti, i più cercati e, spesso, i più assenti. Tale situazione provoca un circolo vizioso capace di montare solo nella lamentela se non nel risentimento sterile. Non solo da questa situazione apparentemente bloccata si deve uscire, ma è anche possibile farlo: basta cambiare l'approccio alla questione e non avere pretese irrealistiche. Il primo passo consiste nello smettere di dare per scontata la fede nei genitori, solo per il fatto che continuano, più o meno a seconda delle situazioni, a iscrivere i figli a catechismo e a chiedere per loro i sacramenti. I motivi per cui oggi continuano ad avviarsi cammini di iniziazione alla fede sono alquanto articolati e complessi. Uscire da ciò che è scontato significa porsi la domanda del perché genitori spesso assai lontani dalla chiesa continuano a bussare alla sua porta e sui punti positivi iniziare a costruire. Come? Anzitutto tacendo! Il secondo passo per avviare un positivo cammino con le famiglie è infatti quello di mettersi in ascolto delle loro vite, dei loro desideri, delle loro domande che li hanno condotti a noi, anzitutto del loro nome, perché fino a quando continueremo a chiamarli come il padre di Francesca o la mamma di Matteo dimostreremo un approccio istituzionale e non un interesse vero alla persona. Per ascoltare è necessario accogliere pazientemente, creare un clima cordiale, lasciare tempo alle persone di superare la naturale ritrosia, non giudicare, non supporre, non pretendere. Tutto ciò richiede tempo, molto tempo, che magari si deve togliere ad attività e a proposte con i bambini, ma questo sarà un investimento assolutamente proficuo. Terzo passaggio fondamentale: dopo aver a lungo ascol-
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tato guai a parlare troppo, magari facendo una predica o - che tristezza! - dando gli avvisi. A persone che si riavvicinano alla chiesa siamo chiamati anzitutto a offrire lo sguardo amoroso di Gesù, l'esperienza misericordiosa e avvolgente dell'amore del Padre, il calore di una fraternità gratuità e appassionata. Le pagine di Papa Francesco nella Evangelii Gaudium sul primo annuncio sono luminose ed esemplari a riguardo! Dal punto di vista pratico è necessario uscire dal cliché della riunione, spesso unico genere letterario utilizzato con i genitori del catechismo; accanto ad alcuni momenti di dialogo vanno invece proposti occasioni di fraternità, un'uscita, un gesto di carità intensa da vivere con tutta la famiglia: nella condivisione fattiva di esperienze si smuovono rigidità e durezze e si avviano cammini sorprendenti. E quando si proporrà una riunione andrà sempre ricordato che gli adulti pretendono di essere trattati da adulti, non da bambini né da scolaretti! Una cosa è certa: la costruzione di relazioni significative e personali con i genitori prima ancora che con i bambini offrirà nel corso degli anni di cammino una maggior disponibilità al coinvolgimento, a patto di costruire itinerari che vedranno sempre più le famiglie come soggetti e destinatari delle proposte e non solo i bambini. Così alle pretese corrisponderanno proposte coerenti e praticabili e qualche madre e padre scoprirà la bellezza di parlare e di Gesù ai loro figli, fino magari a pregare con loro.
Quel medico in famiglia che non c’è più Medicina
GAETANO FRAJESE GIÀ ORDINARIO DI ENDOCRINOLOGIA E MALATTIE DEL METABOLISIMO, DIRETTORE DI SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”
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ell’immaginario sociale e collettivo, il medico è visto da sempre come la persona di riferimento, esperta e saggia cui rivolgersi nei momenti del bisogno. La persona pacata, capace di ascoltare, di riflettere, di suggerire, di prescrivere e di indicare – di volta in volta – la via da seguire. Chi è che decide di fare il medico, di intraprendere questa lunga strada, irta di difficoltà, non solo di studi severi ma di regole di comportamento che dovranno accompagnarlo per tutta la vita se vorrà praticare con successo questa professione? Le motivazioni possono essere tante. Io vi racconto la mia: Sono nato poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale e mi trovavo con la mia famiglia nella casa dei miei nonni materni in un piccolo paese della Campania, in una casa di campagna occupata da un reparto tedesco. Avevo tre anni quando cominciò lo sbarco delle forze alleate anglo-americane poco lontano da noi a circa dieci chilometri dal mare di Salerno. E dal mare il paesino veniva bombardato …. e la nostra casa era diventata il punto di raccolta e di ricovero dei feriti dal momento che mio nonno e mio zio erano medici. Ricordo ancora il sangue dappertutto, i feriti che arrivavano con il corpo straziato e che chiedevano aiuto ai due medici che disinfettavano, tagliavano, curavano come potevano ….. Io capii che da grande avrei fatto il medico. E da allora ebbi sempre presente questa aspirazione che poi ho portato a compimento. Che cosa avevo visto e mi aveva così colpito? Gente sofferente, con il corpo mutilato, che chiedeva aiuto al medico …. ecco, io volevo diventare medico e quel tipo di medico. In realtà avrei voluto, dopo la laurea, ritornare al mio paese e fare là il medico condotto come già lo avevano fatto mio nonno e mio zio, ma la vita mi portò a Roma perché mio padre, funzionario dello Stato, a un certo punto della sua carriera fu trasferito nella città capitale . A Roma ho fatto l’Università e …. oggi,a 49 anni di
distanza dalla laurea, l’ho lasciata con un po’ di anticipo perché, tutto è cambiato e il “ sistema “ si è adeguato ai tempi odierni. Il sunto di una vita Se dovessi fare un sunto della mia vita da medico, direi che è andata bene. Aldilà del successo accademico, ho fatto il medico come mi sentivo di farlo: con passione, entusiasmo, disponibilità verso il prossimo, ricambiato da tanta, infinita, costante riconoscenza dai tanti che ho curato e dalle loro famiglie. Avrei tanti aneddoti da raccontare ma non è questo il momento adatto. Ecco quindi che, alla domanda, chi dovrebbe e potrebbe fare il medico, con tutte le limitazioni che questa scelta comporta, direi senz’altro: chi sente forte la disponibilità verso il prossimo, consentitemi di dire ‘ l’amore per il prossimo ‘. Su questa strada e con questi intendimenti la scelta della professione è coincisa con una scelta di vita. E’nella mia esperienza di vita e di conoscenza di tanti altri medici di ogni ordine e grado, della mia generazione, che a fronte di questo tipo di lavoro c’è stato anche un ritorno economico. Attenzione, il ritorno economico non ha significato ricchezza ma benessere. C’è stato un periodo del dopo guerra, a partire dagli anni ’60, che l’iscrizione alle facoltà di medicina è salita iperbolicamente fino ad arrivare ai livelli attuali del tutto insostenibili e ingiustificati: siamo passati dai 150200 matricole/anno degli anni ’50 (mi riferisco alla ‘Sapienza’ dove io ho studiato) agli attuali 1200/anno. Questo, a livello nazionale ha comportato e comporta un esubero di offerta medica che ha stravolto i termini 80
del discorso cui ho fatto riferimento. E’ vero che il corpo docente è aumentato ma non così proporzionalmente comparabile al crescere della domanda di laurea. Si registra, quindi, un esubero di offerta rispetto alla domanda. Ma, ci si chiede come mai si è giunti a tanto? Come mai tanta gente si è iscritta a medicina ed è riuscita a prendere la laurea? Non è supponibile che tanti giovani, improvvisamente e rapidamente, ispirati al concetto dell’amore per il prossimo, siano andati verso questa scelta professionale in un mondo diventato sempre più tecnologico e con una caduta di tutti i più fondamentali valori morali: dall’aborto all’eutanasia, dalla riproduzione assistita alla fecondazione in vitro e ai primi tentativi di clonazione, per non parlare poi di quello che sta succedendo all’area della famiglia in generale. Certamente la chimera di un ritorno economico in una professione che si mostra ai giovani totalmente mutata rispetto ai nostri tempi: tutto si fa con la tecnologia, non c’è più bisogno dell’arte medica, quella che dai tempi di Galeno (II secolo dopo Cristo) fino agli anni dell’ultimo dopo guerra aveva tenuto banco: medicina con la M maiuscola che si apprendeva dal maestro e poi da tanti maestri e che poi si esercitava con quanto appreso professionalmente con l’utilizzo della raccolta dei dati clinici essenziali alla diagnosi, la pratica razionale della diagnosi differenziale aiutata certamente dai dati di laboratorio e strumentali proprie dei vari periodi storici e quindi con il razionale approccio terapeutico. Oggi, già al primo colpo di tosse o alle prime linee di febbre si fa ricorso alla diagnostica di laboratorio e strumentale: analisi di sangue, radiografie ( o, meglio, diagnostica per immagini dove l’esperto radiologo consiglia cosa fare: tac, rmn ,endoscopie, pet). Tutto questo senza che il medico di medicina generale, il medico di famiglia, si alzi dalla sua sedia provvedendo alacremente alle prescrizioni di tutto quanto è possibile ottenere per arrivare alla diagnosi e quindi alla terapia. Tutto questo porta alla disumanizzazione della medi-
cina: basterebbe un computer con una stampante per fare la prescrizione degli accertamenti e, poi ancora inserire i dati dei vari esami ottenuti per ricavare una diagnosi e poi ancora alla prescrizione terapeutica, ponendo in fila tutti risultati, nella speranza di aver ottenuto dalla sorte tutto quanto necessario. Ma non è così che vanno le cose..non c’è computer al mondo capace di sostituire la mente umana in un lavoro così complesso che parte dalla attenta osservazione dei sintomi, giunge alla discriminante diagnosi differenziale per arrivare alla adeguata terapia. E se non si segue questa strada c’è poco da scherzare: in molti casi il ritardo di questo processo elaborativo può portare ad errori e complicazione e mettere a rischio la vita stessa del paziente. Il sistema, oggi, è in crisi: crisi di lavoro: troppi medici a fronte di minore richiesta, quindi disoccupazione e necessità per i neolaureati di cercare delle nicchie di attività professionali: l’obesità, l’impotenza, fecondazioni sempre ‘più assistite’, e tante altre ancora. Abbiamo una richiesta eccessiva di specializzazioni e super-specializzazioni che attualmente non trovano un riscontro e una risposta positiva da parte dello Stato che ha un debito “sanitario” di migliaia e migliaia di milioni di euro (migliaia di miliardi delle vecchie lire) e quindi non ha soldi per la loro istituzione e dispensazione delle cosiddette borse di formazione. Allora il giovane medico si fa ‘animo e coraggio’ e impara tecniche nuove a sue spese (e della sua famiglia, quando questo è possibile) e si mette “in piazza” quale dispensatore di diete computerizzate dopo attenta valutazioni dei dati sul metabolismo basale che gli “impedioziometri”del momento gli forniscono, oppure diventa esperto di “chirurgia delle varici”, comprese quelle emorroidarie, oppure ancora di tante altre cose …. Un quadro pessimistico Il quadro è pessimistico se ci si aspetta che l’iter studiorum attuale sia fantastico e purtroppo non lo è. In quest’epoca di globalizzazione parliamo tutti inglese, anzi americano. Americana è la ricerca, americane sono le finalità . Americano, o se volete, anglosassone è il sistema di insegnamento. Il corso di laurea magistrale di medicina e di chirurgia è oggi un corso con tanti esami, ognuno dei quali dovrebbe essere la sintesi finale di un insegnamento integrato tra più discipline inserito in un semestre di studi, ma così non è, con tutte le migliori intenzioni dei docenti. E’ frammentato in tanti rivoli specialistici e la capacità di apprendimento dei concetti generali è limitata da una nozionistica estremamente frammentata e lo studente perde di vista il concetto ge-
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nerale e basilare che dovrebbe accompagnarlo per tutta la vita. Troppa chimica, troppa fisica, troppa genetica, troppa statistica, poca fisiologia generale, poca patologia generale, entrambe ad un livello troppo selettivo e troppo complicato per un giovane di 20 anni che da poco ha lasciato la scuola superiore. Bisognerà tornare al corso degli anni ’60, quando con circa 25 esami, distribuiti in sei anni, il corso si chiudeva. Gli esami, per anno, erano pochi ma si insegnava quello che doveva rimanere per l’intera vita lo scibile essenziale e fondamentale per il bagaglio del medico qualunque fosse stata la scelta, eventualmente specialistica, del dopo laurea. Oggi il corso di laurea, troppo nozionistico, frammentato in mille rivoli e in mille insegnamenti è di fatto già specialistico. Oggi lo studente, con la laurea in tasca non è capace di praticare la medicina generale. Il medico di base non sa raccogliere l’anamnesi, la diagnosi è una chimera, la capacità terapeutica è inesistente. Il legislatore dovrà formulare una laurea a misura di un medico realmente di “ famiglia “, lasciando a quest’ultimo la possibilità successiva di approfondire il suo bagaglio teorico e pratico in successivi corsi di vera educazione medica. La specialistica va ridimensionata. Abbiamo troppi specialisti sotto-occupati e pochi, pochissimi medici internisti. Non ho timore di dire che quando la mia generazione medica sarà esaurita, sarà il caos. La gente non saprà da chi andare per un consiglio. Si rivolgerà, per suo conto, allo specialista di turno apparso alla televisione o su qualche giornale, identificando il suo problema con quello prospettato nell’occasione. Ai giovani lancio questo messaggio in cui realmente credo. In attesa di un aiuto dallo Stato, che prima o poi dovrà intervenire, non cercate subito la specializzazione. Frequentate gli ospedali, meglio
Numero di medici di famiglia nei paesi dell’Ocse 1 medico ogni 175 abitanti (record europeo) 1 ogni 298 in Francia 1 ogni 301 in Germania 1 ogni 420 in Irlanda 1 ogni 501 in Inghilterra 273 mila camici bianchi in Germania 198 mila in Francia 125 mila in Spagna L'Italia, dopo la Grecia, è il Paese dell'Ocse ( Organizzazione per la cooperazione e lo per sviluppo economico ) con il maggior numero di medici per abitante: 4,1 per 1000, contro un 2,8 per 1000 degli altri paesi industrializzati. Gli italiani però' li consultano meno della media Ocse: 6,1 visite all'anno per abitante contro il 6,5 degli altri Paesi industrializzati. L'Italia e' superata solo dalla Gran Bretagna nella classifica dei paesi che nel periodo 1990-2000 hanno ridotto maggiormente il numero di consultazioni. Per la sanità l'Italia spende l'8.4% del pil contro l'8,3% della media Ocse (dati 2002) I campioni delle spese sanitarie sono con il 10% del Pil Germania Svizzera e Usa.
quelli delle periferie, per dirla con Papa Francesco. Datevi da fare a studiare e capire, osservando e chiedendo, questa è la strada migliore. Solo così potrete trovare lavoro e soddisfazione, anche al di fuori del servizio sanitario nazionale. Il lavoro c’è ed è quello della medicina generale. Il medico deve riprendere il suo posto e il suo ruolo. Deve ritornare ad essere il punto di riferimento per chi, a qualunque titolo, soffra ed essere guida sicura nel labirinto delle specializzazioni.
FELIX FINKBEINERE’ UN MILIONE DI ALBERI PER MADRE TERRA
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a storia di Felix Finkbeinerè ha tutto il sapore del prodigio. Quando aveva nove anni, dopo una lezione a scuola sul disboscamento e sull’importanza della fotosintesi clorofilliana, si mise in testa un sogno: piantare un milione di alberi in tutto il mondo entro un decennio. Dall’idea di quel ragazzo che oggi di anni ne ha sedici, si è sviluppato il movimento Plant-forthe-Planet che conta 23 piccoli ambasciatori ed è presente in oltre 70 Paesi. “Le nuove generazioni hanno una missione ineliminabile” ha racconta Felix alla platea che partecipava alla Giornata di studio :”Famiglia, custodisci il creato!” promossa sabato 29 marzo 2014 presso la Sala Pio X in via della Conciliazione, 5, da Greenaccord e dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. “Dobbiamo lavorare insieme per contrastare i problemi globali perché ci rendiamo conto che, se non iniziamo a risolverli adesso, li dovremo affrontare in futuro e dovremo noi convivere con i danni causati da essi”. 82
Unione Europea o Europa unita? da Milano ECONOMIA
ASSUNTA CEFOLA ANALISTA FINANZIARIO
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l confronto tra i due capi di governo Angela Merkel e Matteo Renzi il 17 marzo 2014 è stato incentrato sul pacchetto di misure economiche presentato dal Presidente del Consiglio italiano da finanziarsi grazie anche ad un indebitamento di 6 miliardi di Euro che porterebbe il deficit italiano dal 2,6% previsto al 2,8% del PIL, appena al di sotto del vincolo del 3% imposto dal patto di stabilità europeo. Al termine del vertice, nel corso della conferenza stampa congiunta, la cancelliera tedesca si è detta realmente impressionata per il cambiamento strutturale intrapreso dal nostro Paese e, dopo aver esaminato tutti gli aspetti delle riforme proposte dal nuovo Governo, ha augurato al Presidente del Consiglio fortuna e coraggio. Evidentemente soddisfatto per l’appoggio ottenuto, il Premier ha ribadito che l'Italia deve smettere di pensare che le riforme vadano fatte perché le chiede Bruxelles o Berlino o altre capitali. La ragione per cui il Paese deve perseguire riforme ambiziose e strutturali devono seriamente essere considerate giuste ed indispensabili per tutti gli Italiani. E l’Italia non solo deve fare le riforme, sveltendone i tempi, per dare impulso a crescita e produttività e limitare la disoccupazione giovanile, ma anche restituire ai propri cittadini la possibilità di credere che l'Unione Europea non è la causa ma la soluzione dei problemi. Il rischio del trionfo dei partiti populisti è sempre in agguato. La scelta da farsi deve per forza essere orientata verso una nuova governance, in grado di assegnare una chiara priorità alla competitività, da porre al centro di tutte le politiche dell’Unione Europea, senza deroghe sul rigore o rinvii sul consolidamento delle finanze statali, senza sforare i limiti del patto di stabilità, ma perseguendo il cambiamento. L’ evoluzione dei partiti politici deve andare verso la creazione di partiti sempre più europei. Se i partiti diventano europei potranno superare degenerazioni e strettoie della politica nazionale.
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L’INCONTRO
Patrizia Grieco: “La crescita? La pinta può arrivare dalle donne”
“Per accelerare la crescita si sono due strade sulla quali bisogna puntare: l’innovazione tecnologica e aumentare l’occupazione femminile”. E’ quanto ha sostenuto Patrizia Grieco (nella foto), presidente dell’Olivetti, protagonista di “Leader, femminile, singolare”, il ciclo di incontri promossi a Milano nella sala Dino Buzzati, da Enel e Fondazione “Corriere della sera”. “Una disoccupazione giovanile al 41% è intollerabile, bisogna che il merito, per le donne, ma per tutti, torni ad essere centrale anche nel rinnovamento della classe dirigente italiana. Le parti devono essere armoniche, altrimenti non funziona”.
Durante il semestre di presidenza, l’Italia dovrà reindirizzare l’Unione Europea verso la crescita e l’occupazione, per risollevare le sorti della classe media e dovrà pensare, progettare e lavorare con impegno per gli Stati Uniti d'Europa, per favorire le generazioni future. E allora che le forze europeiste più convinte alzino la testa, mostrino il coraggio e spieghino con dovizia di particolari e con emozione, non più col linguaggio della tecnocrazia, che un'Europa più forte e più coesa è l'unica soluzione in questo tempo di globalizzazione, per affrontare le difficoltà del nostro tempo. Sarebbe davvero imperdonabile se, a fronte di così tanti segnali di allarme, i politici europei si chiudessero nelle proprie certezze, senza scommettere doverosamente sul coraggio e sul progetto. Coesione pur nella diversità: come far vivere insieme in modo armonioso tante popolazioni diverse? Come dar loro il senso di un destino e di un'appartenenza comune? Definire un'identità europea potrà conciliare tutte le nostre differenze? Come rafforzare l’integrazione dell’Unione Europea tra i suoi popoli? Il pilastro dell’Europa unita è l’universalità dei valori fondamentali in cui essa crede: difendere la dignità dell'essere umano, uomo, donna e bambino; salvaguardarne l'integrità fisica e morale; impedire il deterioramento dell’ambiente naturale; rifiutare ogni umiliazione e discriminazione abusiva legata al colore, alla religione, alla lingua, all'origine etnica, al sesso, all'età, alla disabilità: questi i valori sui quali i popoli d’Europa sono unanimi e che desiderano diffondere anche oltre i propri confini.
La casa come luogo di relax da Roma Architettura
MOHAMMAD DJAFARZADEH ARCHITETTO
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ome rendere la casa luogo del riposo e del relax, dopo una giornata di lavoro o di altro tipo di impegno fuori dalla casa?. La casa, sia nelle grandi come nelle medie città e nei piccoli centri, dovrebbe essere arredata e illuminata in ogni suo ambiente tenendo conto, oltre al proprio gusto, anche di alcuni aspetti importanti. Per quanto riguarda i mobili, divani, poltrone, armadi, tavole e sedie, ecc, l’importante è acquistarli nelle dimensioni e nei volumi tali che non ingombrino una parte considerevole della superficie del salone per non rendere non solo difficile il muoversi dentro ma anche poco piacevole dal punto di vista visivo. Questi due fattori, dimensione e aspetto visivo, spesso trascurati, determinano un ulteriore stress dopo avere passato ore di lavoro in ambienti scomodi: nella metropolitana, negli autobus e nell’automobile, mentre, abbiamo bisogno di ritornare nella propria casa per riposare e dove in ogni luogo abitato ci siano più ampie possibilità di spazio. La scelta degli arredi, particolarmente dal punto di vista delle dimensioni, dovrebbe essere basata anche sulla possibilità di cambiare loro disposizione per evitare la monotonia, fattore importante non solo per il piacere visivo, ma anche per poter spostarli nei momenti della pulizia. Esporre numerosi quadri sulle pareti da un lato rendono l’ambiente visivamente più piccolo ma sono anche stancanti soprattutto quando si tratta dei primi piani o immagini poco gioiose. Sarebbero indicate poche immagini panoramiche, con colori vivaci o pastelli, comunque rilassanti con dimensioni coerenti alle dimensioni del salone.
Per quanto riguarda la camera da letto, si dovrebbe evitare di avere degli armadi a tutta l’altezza e per tutta la larghezza posta di fronte al letto. Questa disposizione oltre ad essere poco piacevole spesso per le caratteristiche strutturali, in legno massiccio e voluminoso, rubano spazio per muoversi nella stanza. Sarebbe meglio che venga posto in uno dei lati della camera. La scelta dei colori alle pareti è un aspetto importante per rendere la casa un luogo di relax. Si devono scegliere dei colori che fanno riposare gli occhi, vittime dei raggi solari e loro riflessi per tutta la giornata. Si propone per primo il colore bianco e poi, avorio, verde molto chiaro e comunque mai colori accesi e troppo forti. Per quanto riguarda l’illuminazione, si raccomanda di evitare, al di fuori del bagno e della cucina, le luci dal alto cioè sul soffitto. E’ preferibile, invece, una illuminazione a parete o con paralumi o piantane con fonti di luce verso il soffitto che assicurano una luce di riflesso. Questo tipo di illuminazione crea un’ atmosfera rilassante sia per gli occhi che per la mente.
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Il Brasile chiama e Napoli risponde
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Mondiali 2014 sono in pieno svolgimento ed è presto per tirare le somme, ma c'è già un vincitore: il Napoli di Rafa Benitez. Quella partenopea è infatti - con la Juventus - la squadra di serie A che fornisce più giocatori alle varie Nazionali impegnate in Brasile. Si tratta di Henrique (Brasile), Ghoulam (Algeria), Mertens (Belgio), Fernandez, Higuain (Argentina), Inler, Dzemaili, Behrami (Svizzera), Reina, Albiol (Spagna), Zuniga (Colombia) e Insigne (Italia). La bellezza di dodici giocatori a cui va aggiunto Ciro Immobile, fresco di trasferimento al Borussia Dortmund ma originario di Torre Annunziata e napoletano in tutto e per tutto. Il Brasile chiama, Napoli risponde presente.
Napoli è coppa Italia Le due I di Napoli rima compagni di squadra e protagonisti assoluti con il “cuore di una madre”
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della cavalcata del Pescara di Zeman, poi grandi trascinatori di Torino e Napoli. Le loro strade si sono ormai divise, ma Ciro Immobile e Lorenzo Insigne continuano a regalare spettacolo. Il primo nasce a Torre Annunziata il 20 febbraio 1990, il secondo a Napoli il 4 giugno 1991. Qualche chilometro e quasi sedici mesi di distanza tra i due, ma tante cose in comune: la classe del predestinato, la sfrontatezza del potenziale campione, la consapevolezza di saper sempre cosa fare nei momenti decisivi. Ciro e Lorenzo ne hanno fatta di strada e anche il loro sogno si è finalmente avverato: giocare il Mondiale con la maglia della Nazionale. I come Italia. I come Immobile e I come Insigne.
da Napoli SPORT
GIACOMO AURIEMMA GIORNALISTA
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l Napoli conquista la Coppa Italia per la seconda volta negli ultimi tre anni. Gli azzurri strapazzano in finale la Fiorentina per 3-1 grazie alla doppietta di Insigne e al gol di Mertens, coronando così una stagione già di per sé straordinaria. Prima il terzo posto in campionato alle spalle di Juventus e Roma; poi la superba prestazione in Europa contro squadre ben più accreditate; infine, la Coppa Italia . Doveva essere una grande festa in una cornice colorata, ma così non è stato. La gara è stata purtroppo “anticipata” da scontri e spari nella zona di Tor di Quinto, dove alcuni tifosi si sono radunati prima del match all’Olimpico. Quattro i feriti, uno in maniera grave. Si tratta di Ciro Esposito, 30 anni, operato d'urgenza per estrarre il proiettile che ha colpito la quinta vertebra e perforato il polmone sinistro. Le condizioni del ragazzo migliorano di giorno in giorno. Chi, invece, ha avuto la forza e il coraggio di mettersi subito tutto alle spalle è la madre del tifoso azzurro: "Io nel mio cuore già l'ho perdonato, ma non riesco a capire quello che ha fatto. Forse sono sbagliata, ma io non lo odio. Siamo fratelli d'Italia, che sono queste cose?". Un messaggio forte e sincero che cozza contro la realtà dei fatti. Sì, perché a Roma è andato in scena uno spettacolo indecoroso ed è stata scritta una delle pagine più brutte della storia del calcio italiano. Qualcosa di deplorevole che ha oscurato il trionfo del club partenopeo, ma solo in parte. Perché Napoli è Coppa Italia...
La Juve: “Noi facciamo la storia, gli altri la leggono”
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iciannove vittorie su altrettante partite in casa, ben oltre il precedente limite stabilito dal Torino 1975-1976 che si era fermato a quota 14. Centodue punti in 38 gare di campionato, meglio del Benfica (101 nella stagione 1990-199), ma anche di Barcellona e Real Madrid, le altre due squadre arrivate a 100. La Juventus straccia ogni primato e scrive l'ennesima pagina di storia del calcio grazie ad un ruolino di marcia a dir poco impressionante. Numeri incredibili, che certificano il dominio assoluto della squadra di Conte. Perché la sua è una Juve da leggenda. E' la Juve dei record.
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Per l’editore di Dio il Papa è bestseller Tra il bomm di Bergoglio e suore mistiche il successo delle encicliche vale 600-800 mila copie da Torino
MARIO BAUDINO COLLABORATORE DE LA STAMPA
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e radici storiche sono antiche: risalgono al 1587 quando Sisto V volle una sua stamperia, una tipografia vaticana, e chiamò da Venezia il figlio del mitico Aldo Manuzio. Da questo punto di vista, la Libreria Editrice Vaticana potrebbe dichiarare all’anagrafe della cultura mezzo millennio di vita, il che per i tempi della Chiesa Cattolica forse non è neppure molto. In realtà, tra profonde sistemazioni storiche, quella che apre i suoi stand al Lingotto è una realtà nata nel 1927, quando Pio XI dispose l’istituzione di una casa editrice vera e propria. «Prima - spiega il direttore, don Giuseppe Costa - la vendita avveniva direttamente presso la tipografia, un po’ come ai tempi di Manuzio il giovane». Era una piccola realtà. Ora invece, dal 1991, è riconosciuta come l’editrice ufficiale della Santa Sede. Il che significa non essere proprio un editore come gli altri, se non altro perché si dispone di un autore formidabile: il Papa. Però bisogna comportarsi come gli altri. La Lev (questa la sigla che fa anche da marchio) è diventata così una macchina complessa e dinamica, che stampa soprattutto per l’Italia facendo attenzione a non sovrapporsi all’importante editoria cattolica del nostro Paese, e cede diritti di pubblicazione per tutta quella che è la sua attività poliglotta.
«Continuiamo a pubblicare direttamente in diverse lingue, ma solo per le opere che mettiamo in circolazione sul mercato romano, per esempio nella libreria in Piazza San Pietro - spiega don Costa - per il resto è risultato molto più efficace, negli ultimi tempi, affidarci ai singoli editori internazionali». Il risultato è che a guardare i numeri si penserebbe a una casa editrice media, con 20 milioni di fatturato e 38 dipendenti (di cui però 12 nelle tre librerie aperte negli ultimi anni). «In realtà se ci compariamo con gli italiani, sia cattolici sia laici, siamo quello che esporta di più - spiega ancora don Costa - e anzi sono i diritti esteri a tenere in piedi i nostri bilanci». A colpi di best seller, se così possiamo chiamare per esempio le Encicliche, che al momento della diffusione «valgono» dalle 6 alle 800mila copie. In questo momento nelle librerie sono parecchi i libri di Papa Bergoglio, dalla «Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium» ai 86
volumi dei «Messaggi del Papa su twitter», targati Lev. Ma non mancano best seller più misteriosi, quelli che non ti aspetti, come i diari di Faustina Kowalska, suora polacca canonizzata nel 2000, mistica e veggente: che macinano 50 mila copie l’anno. Ci si attenderebbero Bibbie e Vangeli, o catechismi. «Il catechismo è nostro, va da sé; all’estero però viene stampato per conto delle Conferenze episcopali dei vari Paesi. Una Bibbia speriamo di farla entro la fine dell’anno. Ma tenga conto che molti di questi testi fondamentali vengono proposti autonomamente dagli editori cattolici». La Lev ha una filosofia leggermente diversa, un «mandato» speciale. Ed è quello di «promuovere il magistero del Papa». «Il Focus sul Papa e sulle congregazioni è il cuore della nostra produzione. Poi però ci sono altri settori dove indirizzare scelte squisitamente editoriali». Che per Don Costa significano varie cose:per esempio i libri giuridici, re-
lativi al diritto canonico, ma anche e forse soprattutto l’idea di «una educazione religiosa attraverso l’arte, di una saggistica che affronti temi vitali per la Chiesa di oggi, e perché no testi di devozione». Si sta ad esempio siglando un contratto con gli Usa per un rosario commentato da Papa Francesco, e l’impressione è che il direttore della Lev ci tenga molto, non solo come religioso. Sarà un magnifico colpo editoriale, di quelli da far invidia ai grandi gruppi. Insomma, il Papa. Sempre lui. «Per statuto». In passato erano gli editori laici, in Italia Mondadori e Rizzoli, a contendersi con successo i Pontefici. Ed era una concorrenza spietata. «Io non c’ero ancora, ma va detto che l’editrice non aveva la valenza che ha oggi. Per esempio, dieci anni fa nessuno avrebbe pensato di portare la Lev al Lingotto; era ancora una sorta di appendice tipografica. Ora è ogni giorno a contatto coi più grandi editori del mondo». Un partner globale. Con vantaggi non indifferenti. «Guardi, io non sono mai stato così sicuro che l’editore laico assicuri per esempio una migliore distribuzione». Il primo volume del «Gesù
di Nazareth», di Papa Ratzinger, per Rizzoli, era andato molto bene. E il secondo... «Lo abbiamo pubblicato noi, e si è dovuto un po’ combattere, per tenercelo. Anche se il terzo tornerà a Rizzoli». Come mai? «C’era stato un calo sul secondo, rispetto al primo. Ma mi sembra naturale, per un’opera in più volumi». Magistero e concorrenza? «Siamo una casa editrice particolare». Però ragionate da editori. «Abbiamo 3500 titoli in ca-
talogo, ne pubblichiamo 140-150 l’anno. Ma teniamo il più possibile “vivo” tutto il catalogo, direi più degli altri editori». Qual è in un contesto del genere la discrezionalità e l’autonomia di una casa editrice e del suo direttore? Molta, per tutto ciò che sta attorno al magistero papale». In qualche modo, siete diventati anche l’agente letterario del Papa? «In qualche modo, sì».
La sosta di sant’Antonio di Padova nella basilica di san Tammaro a Grumo Nevano
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igliaia e migliaia di fedeli e di devoti hanno partecipato alle celebrazioni antoniane promosse dal parroco don Alfonso d’Errico. Da Padova per la quotidiana catechesi è giunto il padre Luciano Marini che ha riproposto la vita del santo dei miracoli e la devozione delle popolazioni del sud Italia al santo che tutto il mondo ama. Davanti al busto dorato di sant’Antonio che custodisce una delle sue più preziose reliquie, si sono inginocchiati giovani ed anziani, famiglie e gruppi particolari per onorare il santo di Padova amico dei poveri.
ONORIFICEZA A RINO ANASTASIO
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ella sede dell'Ambasciata del Sovrano Ordine Militare di Malta presso la Santa Sede il 18 febbraio 2014 e' stata conferita al concittadino di Ravello Anastasio Gennaro l'onorificenza di Ufficiale Pro Merito Melitensi. L'ambasciatore S.E. Alberto Leoncini Bartoli nel suo discorso di conferimento e di motivazione, ha sottolineato l'impegno e la dedizione con la quale "Rino" ( come anche a Ravello e in Costiera tutti lo chiamano) si dedica nella sua carriera come Assistente di Volo dei Viaggi Apostolici Internazionali dei Papi. Infatti ha accompagnato sin dal 2000 in numerosi voli in tutto il mondo Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco offrendo loro e al seguito papale sempre un'eccellente assistenza in aereo. Alla cerimonia, oltre alle massime cariche istituzionali della Gendarmeria Vaticana, era presente anche Padre Gianfranco Grieco legato a Rino da una profonda amicizia profonda tanto da far esclamare a Papa Benedetto nell’udienza del 5 dicembre 2012 per la consegna del volume: Sopra il cielo di Ravello. 60 anni con il Beato Bonaventura: “Ma e' un miracolo per me vedervi oggi qui tutte e due insieme …". Rino che qualche anno fa ha ricevuto, sempre dalla Santa Sede, il titolo di Commendatore dell'Ordine Equestre "Santo Sepolcro di Gerusalemme", e' particolarmente devoto al Beato Bonaventura. Tra un volo e l’altro, appena gli impegni glielo consentono, passa sempre alla chiesa di San Francesco per una preghiera al Beato.
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ria/ Pellegrini 1 al Sacro Convento di Assisi ENZO FORTUNATO Vado da Francesco. Uomini e donne, poveri e potenti, pellegrini al Sacro Convento di Assisi, Mondadori, Milano 2014 pp. 169, 16,50 euro
CARD. GIANFRANCO RAVASI PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA
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uesto, vuole essere semplicemente un ulteriore profilo tra i tanti che popolano le pagine del libro di padre Enzo Fortunato. Sarà, quindi, una sorta di autoritratto accompagnato da una riflessione personale, così che nella galleria di figure che padre Enzo Fortunato ha disegnato possa collocarmi anch’io. Sono stato, infatti, più volte nella folla di pellegrini noti e ignoti che hanno superato la soglia della Basilica di san Francesco in Assisi, sia nella basilica superiore sia in quella inferiore, con gli stessi occhi incantati dalla bellezza dell’arte di Giotto e col cuore e la mente dominati dalla presenza di un santo così straordinario e universale. Non per nulla Dante quando deve mettere in bocca a Tommaso d’Aquino la celebrazione di Francesco non trova altro simbolo se non quello cosmico del sole, colto nel picco estivo del suo splendore o nella mirabile iridescenza di un’aurora: «Nacque al mondo un sole / come fa questo tal volta di Gange»; Assisi, allora, dovrebbe chiamarsi “Oriente” per l’ascesa di un astro
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La penna di Pietro
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così luminoso: «Non dica Ascesi, che direbbe corto, / ma Oriente» (Paradiso XI, 50-53). Guidata appunto da questa luce – che è il riverbero di quella di Cristo, così come il corpo del santo ne fu l’icona vivente crocifissa, attraverso le stimmate – s’avanza ininterrottamente «una moltitudine immensa», simile a quella cantata nell’Apocalisse, «che nessuno potrebbe contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (7, 9). Per usare un’altra suggestiva immagine biblica, è come se fosse una «nube di testimoni» (Ebrei 12,1) nella quale ogni goccia è irradiata dalla luce di quel sole. Se vogliamo continuare la metafora, potremmo dire che p. Enzo fissa il suo ideale obiettivo narrativo su alcune di quelle gocce cercando idealmente di ricomporle in un arcobaleno dai colori mutevoli e differenti.
GIANFRANCO GRIECO GIORNALISTA E SCRITTORE
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l complesso e variegato mondo dell’informazione presenta oggi più problematiche di ieri. Le moderne tecnologie anche se hanno avvicinato mondi lontani hanno, nel contempo, isolato anche mondi a noi vicini. Ai nostri giorni, l’informazione attraverso una grande crisi sotto diversi punti di vista: crisi deontologica, antro-
ANGELO SCELZO La penna di Pietro. Storia (e cronaca) della comunicazine vaticana dal Concilio a Papa Francesco. Mezzo secolo dall’Inter Mirifica al Web, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013 pp. 640, 16 euro
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Nella libertà la verità
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ORLANDO TODISCO Nella libertà la verità. Lettura francescana della filosofia occidentale, EMP, Padova 2014 pp. 544, 34 euro
FRANCESCO DONADIO ORDINARIO DI STORIA DELLA FILOSOFIA UNIVERSITÀ FEDERICO II DI NAPOLI
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’è un filo rosso che unisce l’ampia e ricca produzione scientifica di Orlando Todisco. Esso consiste nella coniugazione di verità e libertà, verità e amore al di fuori di percorsi standardizzati e diventati incompatibili con la nostra sensibilità moderno/contemporanea, attingendo invece a fonti all’apparenza lontane e pur vicinissime e comunque attivandosi in un’ermeneutica di testi medievali e moderni che ne mette a nudo il fascino di un’attualità spesso sottaciuta, se non addirittura rimossa. Questo filo rosso diventa esplicito laddove egli mette allo scoperto il suo codice di lettura della filosofia occidentale e lo rivendica come strumento di analisi e di sintesi per una rinnovata comprensione del nostro passato, ma soprattutto come apertura a una più efficace possibilità di uscita dalla distretta del nostro tempo. Questo filo rosso è costituito dalla tradizione del pensiero francescano, che è stato e resta, a mio avviso, l’interpretazione/incarnazione più vicina possibile allo spirito delle Beatitudini. L’assunto generale è che con
pologica, economica, culturale. Informazione monca, di parte. Tu già sai che se prendi quel determinato giornale quale risposta avrai nel leggere gli avvenimenti del giorno. Nella lettura del libro di Angelo Scelzo partiamo dal bel titolo. <La penna di Pietro> . Pietro ha scritto solo due Lettere, mentre Paolo ne ha scritte di più: 6 grandi Lettere; 4 dalla prigionia; 3 pastorali). Il titolo è quasi tutto in un libro; è la porta attrattiva d’ingresso. Il titolo ti avvicina, ti conquista. Questo è un titolo che ti attrae e ti coinvolge.
l’età contemporanea la ragione ha esaurito la sua carica teoretica, risolvendosi in pura calcolabilità. Ispirandosi al noto saggio di Heidegger - “La fine della filosofia e il compito del pensiero” (nel vol.Tempo ed essere, Napoli, Guida 1980, pp. 163-181) – l’autore ha riaperto il dibattito di matrice medievale – a chi spetti il primato, se alla ragione o invece alla libertà – sostenendo con singolare vigore argomentativo che l’uomo è razionale perché libero, non libero perché razionale. E’ un’operazione che corre attraverso 10 capitoli, storiograficamente ricchi e teoreticamente intensi. A sostegno di tale ermeneutica vorrei accennare a un viaggio in Italia verso la fine dell’ottocento di un intellettuale tedesco, un certo conte Paul Yorck von Wartenburg, il quale in visita ad Assisi, il luogo più rappresentativo della forza simbolica del francescanesimo e della grande narrazione pittorica offertane da Giotto, rimase colpito dal quadro che rappresenta l’episodio in cui, secondo una leggenda significativa, il Bambino nelle braccia del Santo diventa vivo.
Lo stile : ci troviamo davanti al giornalista che narra una storia: 50 anni .Testi, documenti, volti di papi, di uomini - personaggi di prima fila ( direttori di giornali e responsabili dell’informazione) e di seconda fila ( giornalisti silenziosi e fedei). Questo stile del racconto affascina e conquista. Scelzo racconta una storia avvincente, attraente, che ti coinvolge, a volte ti travolge, e come guardando ad uni specchio, sembra che quasi che ti identifichi con questa storia che ti è amica, carica di confidenze, di momenti esaltanti e di momenti
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drammatici ( attentato di Giovanni Polo II n piazza san Pietro) pensosi e inquietanti ( rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI). Alcuni d noi in questi 50 anni sono stati protagonisti maggiori o minori, ma pur sempre protagonisti della storia del mistero cristiano. Protagonista maggiore: il Papa, la penna di Pietro; protagonista miniore Il giornalista –inviato. Due protagonisti che fanno rivivere il messaggio loro affidato e lo trasmettono nel segno della fedeltà ad una cerchia incalcolabile di lettori.
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La famiglia francese Nogier con i loro quattro figli e i loro undici nipoti.
Ă&#x2C6;Vita!
Famiglia
Con Maria, in attesa dello Spirito da Pompei (Na)
SILVIA COMPASSI PRESIDENTE REGIONALE M.I.
Il Centro Regionale Campano M.I. ha organizzato il Convegno mariano a Pompei in occasione della solennità di Pentecoste (sabato, 7 giugno) e della celebrazione annuale in cui si fa memoria di san Massimiliano Kolbe che era molto legato alla Vergine del Rosario di Pompei, ove sostò in profonda preghiera. Il Ministro Provinciale di Napoli, p. Edoardo Scognamiglio, ha tenuto una splendida relazione dal titolo Con Maria, in attesa dello Spirito . Se il Cenacolo è il luogo della Pentecoste, ove nasce la Chiesa, è – ancor prima – il luogo della paura, dell’asfissia: lì infatti i discepoli erano riuniti non solo per la preghiera ma anche per la paura. Lo Spirito Santo si rivela come aria nuova, ossigeno puro, energia vitale che libera dall’asfissia e dalla rassegnazione. Maria, nel Cenacolo, diviene la creatura che, innanzi alla forza del Creatore, lo Spirito Santo, si apre completamente all’amore di Dio per cantare le sue lodi. La Pentecoste è la festa dell’unione, della comprensione e della comunione umana. Tutti possiamo constatare
La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli contiene sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della costruzione della Torre di Babele (cf. Gen 11,1-9). Ma che cos’è Babele? È la descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. Ma proprio in questa situazione si verifica qualcosa di strano e di singolare. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano costruendo l’uno contro l’altro. Mentre tentavano di essere come Dio, correvano il pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme. Questo racconto biblico contiene una sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel nostro mondo. Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. È vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E come? La risposta la troviamo nella Sacra Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova.
come nel nostro mondo, anche se siamo sempre più vicini l’uno all’altro con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, e le distanze geografiche sembrano sparire, la comprensione e la comunione tra le persone sia spesso superficiale e difficoltosa. Permangono squilibri che non di rado portano a conflitti; il dialogo tra le generazioni si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi. In questa situazione, possiamo trovare veramente e vivere quell’unità di cui abbiamo bisogno?
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Una Gerusalemme sui Navigli Storico incontro alla moschea Al-Wahid da Milano
YAHYA PALLAVICINI IMAM DELLA MOSCHEA AL-WAHID
Alla vigilia dell’incontro di domenica 8 giugno in Vaticano tra Papa Francesco, Shimon Peres e Abu Mazen, sono intervenuti il 6 giugno, nella moschea Al-Wahid di via Meda a Milano, sede nazionale della COREIS Italiana, istituzioni locali e governative, ebrei, cristiani e musulmani italiani, algerini, marocchini e turchi per contribuire ad un nuovo ciclo di fratellanza e sintonia spirituale. In un clima di grande condivisione e dialogo, i testimoni di un incontro storico hanno rilevato l’importanza di una comunità autoctona di musulmani italiani ecumenici per favorire un vero scambio tra Oriente e Occidente, le diverse sponde del Mediterraneo e le componenti religiose del nostro Paese. Si è invocata la Pace non solo in Medio Oriente ma, come ha affermato il delegato dell’arcivescovo cardinale Angelo Scola, mons. Luca Bressan, “una pace che non sia solo assenza di conflitto, ma un’azione di armonia, una via mistica che ci interroga sulla dimensione più intima della nostra identità, come credenti appartenenti a vie diverse che mirano allo stesso Fine”. Roberto Jarach, consigliere nazionale dell’UCEI e Daniele Nahum, rappresentante della Comunità Ebraica di Milano, hanno voluto inoltre confermare la profonda amicizia con i musulmani della CO.RE.IS., sottolineando come bisognerebbe “tornare alle radici e ai valori rappresentati dai nostri antenati e profeti comuni come Adamo e Abramo, riscoprendo una vera fratellanza e autentica conoscenza dell’altro, unico antidoto ai pregiudizi”. Mons. Luca Bressan, Vicario Episcopale per la Cultura, Carità, Missione e Azione Sociale, che porta i saluti dell’Arvicescovo Cardinale Angelo Scola in moschea “Una fratellanza senza la quale noi tutti – ha evidenziato Franca Biondelli, Sottosegretario del Ministero del La-
voro e delle Politiche sociali, presente in rappresentanza del Ministro Giuliano Poletti – rischiamo che la crisi economica attuale diventi una ben più grave crisi spirituale, che vorremmo evitare e prevenire anche grazie all’apporto che incontri come quelli di oggi possono dare alla cittadinanza”. Delegato dal sindaco Giuliano Pisapia, Francesco Cappelli, assessore del Comune di Milano all’Educazione e all’Istruzione, ha voluto sottolineare la particolarità di Milano come “città aperta, cosa che viene confermata da questi incontri di cui abbiamo sempre più bisogno”. Una prospettiva condivisa anche da Giuseppe Priolo, vicario del Prefetto di Milano Francesco Tronca e presente in rappresentanza della Direzione Affari di culto del Ministero dell’Interno e dal Questore della Camera dei Deputati, Stefano Dambruoso, impegnato da tempo con la COREIS nel tema della prevenzione al radicalismo. Il dialogo tra gli oltre 50 invitati, seduti nello spazio sacro della moschea Al-Wahid che poche ore prima aveva ospitato la preghiera del venerdì, jum’ah, è poi continuato con importanti contributi di Margherita De Amicis del Consolato Generale degli Stati Uniti d’America, padre Edoardo Scognamiglio dei francescani di Napoli, padre Paolo Nicelli della Facoltà Teologica di Milano e docente della Biblioteca Ambrosiana, padre Fiorenzo Reati dei francescani di Brescia, Franco Nava presidente dell’UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) di Milano, Arnoldo Mosca Mondadori, Gabriella Nangeroni del Fondo Nangeroni, Stefano Biancu del MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale), professore dell'Università Cattolica di Milano, Beatrice Draghetti, Presidente della Provincia di Bologna, Alessandro Ghisalberti della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università Cattolica, Talia Bidussa consigliere dell’UGEI (Unione dei Giovani Ebrei d’Italia), Martina Spadaro, presidente della FUCI di Milano (Federazione Universitaria Cattolica Italiana). 92
E V E N T I 2014
NAPOLI, PROCESSIONE DI SANT’ANTONIO DI PADOVA E LA DISTRIBUZIONE DEL PANE
MADDALONI, PROCESSIONE DI SANT’ANTONIO DI PADOVA
ROMA, ISTITUZIONE DEL LETTORATO E DELL’ACCOLITATO
AVERSA, INIZIO TREDICINA DI SANT’ANTONIO DI PADOVA
BARRA, PROCESSIONE DI SANT’ANTONIO DI PADOVA MELFI, FESTA DI SANT’ANTONIO DI PADOVA
POMPEI, OMAGGIO FLOREALE A SAN MASSIMILIANO KOLBE
NAPOLI, FRA DOMINIC E FRA IRENEO IN VISITA ALLE SUORE
TERRA SANTA, PELLEGRINAGGIO GUIDATO DA FRA MARCUS
BENEVENTO, ACCOGLIENZA DELLA RELIQUIA DI SANT’ANTONIO
BAIA DOMIZIA, COMPLEANNO DI P. LUIGI CASILLO
ROMA, PELLEGRINAGGIO DI ALCUNI FRATI FILIPPINI
NOVALICHES, CELEBRAZIONE DEI FRATI CON IL VESCOVO DEL LUOGO
Il Centro Missionario Francescano... in missione nell’”Estate Romana sul Tevere”
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iamo un volto umanitario, sociale e spirituale all’Estate Romana sul Tevere”, è lo slogan del Centro Missionario Francescano ONLUS per sensibilizzare turisti e visitatori romani a vivere momenti di crescita nelle calde serate estive ed anche per far conoscere le attività missionarie che i Francescani Conventuali promuovono nei 40 paesi del mondo. L’iniziativa nata in collaborazione con l’Associazione Culturale “La Vela d’oro” di Roma vuole valorizzare il tempo libero con contenuti culturali, artistici e promozionali, accogliendo l’invito di Papa Francesco che stimola i credenti a “uscire dalle proprie strutture” per andare nelle “periferie esistenziali dell’uomo” dove la gente vive tempi e spazi di sana cultura. L’occasione per rispondere a queste istanze di Papa Francesco ci viene dalla prestigiosa iniziativa dell’”Estate Romana sul Tevere” che anche quest’anno dal 12 giugno al 2 settembre richiamerà più di 2 milioni di romani e turisti per vivere forti momenti aggregativi non solo goderecci e commerciali, ma culturali e umanitari. In questo contesto si colloca l’allestimento di uno STAND all’interno delle varie manifestazioni estive con lo scopo di promuovere opportunità di ri-
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flessione attraverso video, posters, mostre e contatti personali. Lo stand ha l’unico obiettivo di evidenziare le realtà missionarie e le opere caritative che i frati conven-
tuali portano avanti nelle più sparute realtà povere del mondo e nelle periferie delle grandi metropoli di Città del Messico, Nuova Delhi, Caracas, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Lusaka, Calcutta,
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Tokio, Mosca, Seoul ecc. Lo stand è anche una buona occasione di relazioni per quanti nell’incontro con un volontario, un frate o una suora, vogliono dialogare e riflettere in un mondo dove tutti corriamo e viviamo momenti frenetici alla ricerca di un “effimero” che non riesce a dare risposte ai grandi problemi esistenziali dell’umanità e alle povertà che affliggono il mondo contemporaneo. Questa iniziativa è anche la risposta alle attese di una collettività che vuole crescere, approfondire e valorizzare il tempo libero con mediazioni in grado di contribuire alla costruzione di un mondo più a misura d’uomo. P.PAOLO FIASCONARO
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