Luce serafica 02 2015 web

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Numero 2/2015 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007

Luceerafica S Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925

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Napoli un giorno di

Anno Santo della Misericordia

Quel mostro del terrorismo

La vita ritrovata Trivelle di Francesco d’Assisi di Basilicata



Editoriale Gianfranco Grieco

A

nno Santo della misericordia; anno della vita consacrata; visita pastorale di Papa Francesco a Pompei e a Napoli nel primo giorno di primavera; visita a Caserta nella festa di sant’Anna dello mese di luglio 2014. Questi eventi non possono essere vissuti in superficie dando soltanto spazio alle emozioni del momento e alle foto ricordo di un giorno, ma devono essere tradotte in programmi pastorali e socio-politici veri se vogliono per davvero segnare le coscienze. Correre dietro a Papa Francesco per un giorno non basta. Il Papa argentino non ama troppo le parole; vuole i fatti, la testimonianza silenziosa e perseverante dei figli della LUCE che ogni giorno si mettono alla sequela del vangelo. Per questo ha indetto per la Chiesa e per il mondo l’Anno Santo della Misericordia; per questo ha invitato i religiose e le religiosi a vivere in profondità un Anno che chiama alla conversione, alla perseveranza, alla fedeltà, alla testimonianza della povertà, la virtù evangelica particolarmente amata dal serafico padre Francesco; per questo, per una intera giornata è venuto a Napoli scrivendo l’“Enciclica” napoletana, religiosa e sociale che non può rimanere nei ricordi! Cardinali, Arcivescovi e Vescovi della Regione Campania, sacerdoti, religiosi e religiosi, laici impegnati, movimenti, associazioni e nuove comunità sono tenuti a programmare il futuro delle loro comunità locali mettendo in ordine quanto Papa Francesco ha raccomandato a Pompei e a Napoli, dando priorità ad una consegna esigente che deve scuotere le coscienze e portarle alla conversione. La strage per i panni stesi di Secondigliano - Napoli (l’infermiere cecchino che uccide la cognata,

il fratello, il fioraio e un vigile, e in più sei feriti e uno grave) - dimostra quanto si è ancora lontani dal’essere cristiani veri e credibili. “Cambiare vita”: questa deve essere la nuova parola d’ordine. Tutti e tutti insieme: dai pastori che guidano il gregge ai semplici fedeli che, ogni giorno, nella semplicità, avvertono il senso della appartenenza alla Chiesa e alla comunità civile.

Il Papa vuole i fatti, la testimonianza silenziosa e perseverante dei figli della LUCE che ogni giorno si mettono alla sequela del vangelo

Dai primi agli ultimi seguendo lo stile di Papa Francesco. Testimonianza, sobrietà, essenzialità, povertà, delicatezza, solidarietà, rispetto per la vita e custodia del creato, sono per noi parole “evangeliche” da tradurre in programmi sociali, da incarnare nel territorio con intelligenza e con passione guidati solo ed esclusivamente dal fine di ogni azione cristiana: il bene comune. Questo ci insegna ogni giorno Papa Francesco. Se gli vogliamo bene, non lasciamolo solo. Facciamogli compagnia e camminiamo con lui dietro i suoi passi frettolosi ed evangelici.


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EDITORIALE CHIESA NEWS - VIAGGI Ci scrivono... Papa Francesco a Napoli Testimonianze Il seguito papale a San Lorenzo Maggiore ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA La Chiesa esiste per riconciliarci 8 dicembre 2015: inizio dell’Anno Santo La stagione del perdono Riconciliamoci 11 aprile 2015: La Bolla d’indizione XX DELLA EVANGELIUM VITAE Il posto centrale della famiglia Il valore e l’inviolabilità della vita umana EV: Giornata di studio Accolgliere la vita concepita Testimonianze PACE, LIBERTÀ E CARITÀ Cessi il fragore delle armi Aiuti al Nepal La strage di Tunisia La strage del Pakistan Terra Santa Iraq e Siria Rafforzare il dialogo e la fraternità 100 milioni di cristiani perseguitati Testimoni: Giovanni Paolo II Card. Roberto Tucci Beato Oscar-Romero Carità senza limiti SGUARDI SUL MONDO La vecchia Europa: 1915-1919-1997 L’“apax” del nazismo e il processo di pace Quel mostro nascosto del terrorismo Mont Saint-Michel Un piano per rigenerare l’Africa Progetto Benin: Promuovere l’istruzione Appello dei vescovi del Kenya La soluzione nucleare da Tehran Il fondametalismo islamico 150 anni dalla scoperta dei cristiani Tarsferimento dell’impianto petrolifero Il sogno di Papa Francesco FRANCESCANESIMO Cibo e spiritualità francescana all’Expo Il tesoro di padre Léon Veuthey La scoperta di Jacques Dalarun Giotto: Affreschi a rischio? Volti di casa nostra 20 anni di presenza francescana a Salerno Dal postulato di Benevento Padre Serrini maestro di vita REPORTAGE Donne libere e sfruttamento riproduttivo Quando l’amore finisce ma non fallisce Terra dei fuochi Trivelle di Basilicata CULTURA - ARTE - MUSICA- LIBRI La cresima La fotografia mai stata viva come adesso Andrea Bocelli canta il grande Mistero Interviste impossibili ARCHITETTURA Casa e aria condizionata EVENTI

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CI SCRIVONO ….

La foto dei lettori

Caro direttore, Non occupa più i primi titoli dei giornali, ma la tragedia dell’Airbus della Germanwings continua a turbarci e lo sgomento per la conoscenza delle sue motivazioni continua a suscitare in noi domande inevitabili: Perché? Può la mente umana arrivare a tanto? Si poteva prevedere, si poteva evitare … ? Aldilà di tutte le spiegazioni più o meno plausibili, dei dettagli che si aggiungono ogni giorno nel profluvio di notizie volte a soddisfare più la nostra curiosità che il nostro bisogno di comprensione, un’immagine rimane nella mente, scolpita nella nostra memoria: quella dei volti dei parenti, degli amici, dei soccorritori, della gente del posto: tutti uniti in un unico grande fraterno abbraccio. Non abbiamo visto sacerdoti né chiese nell’orizzonte delle riprese televisive, eppure anche in quel freddo e anonimo prato verde una <voce di silenzio sottile>, ineffabile, non si può non avvertire. Anche per il più distratto. Non ci sono chiese in quel prato verde, ma ci sono la carne e il sangue delle vittime immolate ancora una volta dalla follia insensata degli uomini sull’altare della storia: la passione di Cristo continuerà a rivivere nella carne di tutti i crocifissi del mondo fino alla Parusia. Non ci sono chiese, ma accanto ai poveri resti di quei corpi straziati, altare sacro per chiunque creda nel mistero insondabile dell’Uomo, ci sono corpi che si abbracciano, mani che si intrecciano, sguardi muti che cercano altri sguardi, interrogando, nella lingua comune dei sentimenti, sconosciuti diventati improvvisamente fratelli, nello sgomento condiviso di un dolore troppo grande per essere portato da soli. Sono loro l’edificio sacro di quel prato verde: pietre vive con cui lo Spirito vuol edificare la Chiesa invisibile dei cuori, al di là di ogni appartenenza nazionale, ideologica, religiosa. Lì dove il soffio lieve ma potente di questo Spirito viene accolto è la parte migliore di noi che viene chiamata ad emergere, ad uscire dal sepolcro di ogni morte, di ogni tenebra, per quanto fitta e incomprensibile sia. Talvolta la Sapienza imperscrutabile di Dio si serve delle situazioni più estreme, delle vie umanamente più imprevedibili e assurde, per portare alla luce, chiamandolo a sé dall’abisso delle profondità di ogni cuore, uno sguardo puro, ancora incontaminato, che si solleva al Cielo nella disperata ricerca di luce: perché? Perché, Signore, la vita? Perché la morte? E’ la nostra parte migliore, la nostra parte di umanità migliore: non lasciamola spegnere, non permettiamo che le infinite chiacchiere quotidiane

la zittiscano per farci ripiombare nel sonno stanco dei nostri giorni senza speranza. Accogliamo docili, nel sacrario del nostro cuore, il soffio vivificante dello Spirito della vita: è Pasqua. ANDREANA BASSANETTI (WWW.FIGLINCIELO.IT)

Caro direttore, La visita pastorale di Papa Francesco a Napoli nel primo giorno di primavera -21 marzo 2015- ha dato gioia ed entusiasmo ad un popolo ferito, emarginato e, a volte anche offeso. Il popolo di Napoli si è stretto per circa dieci ore attorno al padre e al pastore della chiesa universale che sa parlare a tutti. Le parole di Papa Francesco a Napoli hanno toccato tante ferite che ancora bruciano. La parola “speranza” non è astratta, ma concreta! Non basta ritrovarsi tutti insieme - autorità e popolo - attorno al Papa e il giorno dopo, come in verità è già successo - continuano le liti, le morti, le emarginazioni dei più poveri. Papa Francesco ha scritto per la Chiesa che è in Napoli la sua Enciclica. Ora tocca a tutti rimboccarsi la maniche, impegnarsi e lavorare per dare un volto nuovo alla città: politica, religiosità, socialità devono puntare al bene non di pochi ma di tutti. Partire dagli ultimi, quindi. Fare una buona politica, educare al rispetto della vita, aiutare i bisognosi, amare i bambini e il mondo degli anziani, dare un futuro ai giovani. Non si può perdere ancora una volta una occasione storica come questa. Vinca finalmente il bene e tutti lavorino per il bene di tutti. L’Io’ dia spazio al ‘noi’ e le autorità politiche e religiose lavorino insieme ogni giorno per il bene della collettività. MARILENA SPIRITO NAPOLI, 5 APRILE 2015

COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Emanuela Bambara Giacomo Auriemma Mohammad Djafarzadeh Boutros Naaman Foto di copertina de L’Osservatore Romano Foto ultima di copertina Marconi foto

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Hanno collaborato: Gianfranco Grieco, Andreana Bassanetti, Marilena Spirito, Edoardo Scognamiglio, Enzo Bianchi, Bruno Forte, Martina Moglianetti, Edith, Paola Pellicano, Maurizio Gagliardini, Franck Pavone, Emanuela Bambara, Francesco Dante, Annamaria Esposito, Roselyne Fortin de Ferraudy, Mohammad Djafarzadeh, Josè Guillermo Guttiérez Fernàndez, Bill Donovan, Marco Tasca, Massimiliano Castellani, Emanuela Vinai, Emanuela Bambara, Pietro Dommarco, Andrea Giucci, Simona Corsetti, Federico Lombardi.


Da Pompei a Napoli con Papa Francesco axÄ ÑÜ|ÅÉ z|ÉÜÇÉ w| ÑÜ|ÅtäxÜt HA SCRITTO “Centinaia di migliaia di fedeli gli hanno reso omaggio, dal mattino nella Basilica di Pompei al declinare del giorno sul Lungomare. Credo che nell’omaggio di ognuno vi fosse l’attesa di essere beneficati dalla misericordia; il desiderio di cogliere nello sguardo, prima ancora che nelle parole e nei gesti benedicenti del pontefice, la misericordia che lenisca la malattia, affranchi la povertà, restituisca sicurezza”. ERNESTO MAZZETTI, IL MATTINO, 22 MARZO 2015, P.1 POMPEI: LA TAPPA MARIANA cune battute con le volontarie all’entrata del Santuario. Nel recitare la preghiera della breve Supplica ha consegnato alla Madonna “le nostre miserie, le tante strade dell’odio e del sangue, le mille antiche e nuove povertà e soprattutto il peccato”, ricordando che il Rosario, catena dolce che ci rannoda a Dio è “arma di pace e di perdono”.

La prima tappa di sabato mattina 21 marzo è stata la città di Pompei dove Papa Francesco, accompagnato dall’Arcivescovo Prelato Tommaso Caputo ha sostato ai piedi dell’immagine della Beata Vergine Maria del Santo Rosario, portata da Bartolo Longo nel 1875. Papa Francesco ha salutato i pellegrini, e ha scambiato al-

Papa Francesco: “Ieri sono stato a Napoli in vista pastorale, voglio ringraziare per la calorosa accoglienza tutti i napoletani, tanto bravi. Grazie tante!”. Dopo Angelus domenica 22 marzo 2015

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SCAMPIA: LA SOCIETÀ CORROTTA PUZZA

periferia, Scampia. E’ stato affettuosamente assalito dalle migliaia di fedeli, soprattutto dai bambini, che lo hanno atteso nella piazza dedicata a Giovanni Paolo II. Da lui un richiamo all’animo caldo di questa città, alla voglia di guardare al futuro tipica di tanti napoletani. Ma anche un richiamo alla legalità, perché da qui vuole partire un messaggio che va ben al di là del dei luoghi comuni: “Chi prende volontariamente la via del male ruba un pezzo di speranza. Lo ruba a sé stesso e a tutti, a tanta gente onesta e labo-

Napoli si è fermata per la visita pastorale di Papa Francesco che ha iniziato la sua ottava visita pastorale in Italia al Santuario di Pompei, dove ha venerato l’immagine della Madonna del Rosario e recitato la formula breve della Supplica. Poi l’incontro con la popolazione nel difficile quartiere di Scampia. Forti le sue parole. Francesco ha voluto iniziare questa sua visita dalla

HA SCRITTO “Sei tappe, dieci ore, il globetrotter di Dio, s’immerge nell’umanità complessa di una metropoli in cui da secoli, annota lui, ‘la vita non è mai stata facile, ma non è stata mai triste’. E dalla città che lo avvolge di un calore gioioso e composto, e gli riserva il primato storico del sangue di san Gennaro sciolto davanti ad un pontefice, lancia messaggi di speciale peso pastorale e politico: sulla “diffusa corruzione che è sporca e puzza”. “Contro la camorra … Contro eutanasia e aborto … Contro le colonizzazioni del pensiero, come la teoria del gender che fa tanta confusione, e a favore della famiglia che è sotto attacco”.

CONCHITA SANNINO LA REPUBBLICA, 22 MARZO 2015, PP. 1-10

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riosa, alla buona fama della Ma, il problema non è mancittà, alla sua economia”. Alla numerosa comunità dei giare, il problema più grave è immigrati che qui vivono e non avere la possibilità di portare il che hanno portato la loro testimonianza, Papa Francesco pane a casa, di guadagnarlo! E ha ricordato il valore della pa- quando non si guadagna il pane, rola di Gesù: “I migranti sono umani di seconda classe? Dob- si perde la dignità! biamo far sentire ai nostri fratelli e sorelle migranti che sono cittadini, che sono la dignità di cittadini, di uomini, di donne, di giocome noi, figli di Dio, che sono migranti come noi, vani”. E poi il mancato rispetto della legge, che perché tutti noi siamo migranti verso un’altra pa- trova punte massime nella corruzione, da Francesco tria, tutti siamo in cammino”. una risposta alla testimonianza del presidente della Poi c’è la disoccupazione che nelle periferie di Na- Corte d’Appello: “Se noi chiudiamo la porta ai mipoli colpisce anche sei abitanti su dieci. Un lavora- granti, se noi togliamo il lavoro e la dignità alla tore ha parlato per tanti che vivono questo dramma, gente, come si chiama questo? Si chiama corrue Papa Francesco ha risposto: “Ma, il problema non zione! Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la è mangiare, il problema più grave è non avere la possibilità di essere corrotti, nessuno di noi può possibilità di portare il pane a casa, di guadagnarlo! dire: io mai sarò corrotto. (…) la corruzione E quando non si guadagna il pane, si perde la di- ‘spuzza’! E la società corrotta ‘spuzza’!”. gnità!”. Un discorso questo che richiama alla buona politica, No dunque a un sistema economico che scarta la espressione “più alta della carità, del servizio e gente, no allo sfruttamento di chi, magari, è co- dell’amore. Fate una buona politica, ma fra voi: la stretto a lavorare 11 ore al giorno per 600 euro, per- politica si fa fra tutti! Fra tutti si fa una buona poliché , ha detto:” Questa mancanza di lavoro ci ruba tica!”.

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PIAZZA DEL PLEBISCITO: “È TEMPO diti disonesti: questo è pane per oggi e fame per doDI RISCATTO, CRIMINALI, CONVERTITEVI!” mani. Non ti può portare niente! Reagite con fer“Napoli sia piena della speranza di Cristo Signore”. È mezza alle organizzazioni che sfruttano e stato questo l’auspicio di Papa Francesco risuonato du- corrompono i giovani, i poveri e i deboli, con il cinico rante la solenne concelebrazione eucaristica presieduta commercio della droga e altri crimini. Non lasciatevi sull’altare dell’immenso piazzale della straordinaria rubare la speranza! Non lasciate che la vostra giocornice di Piazza PleLa corruzione ‘spuzza'! ventù sia sfruttata da quebiscito. “Quando i sta gente! La corruzione e E la società corrotta cuori si aprono al la delinquenza non sfiguVangelo il mondo co- ‘spuzza'. rino il volto di questa mincia a cambiare e bella città! E di più: non l’umanità risorge. La sfigurino la gioia del voParola di Cristo vuole raggiungere tutti, in particolare stro cuore napoletano! Ai criminali e a tutti i loro quanti vivono nelle periferie dell’esistenza. È “tempo complici oggi io umilmente, come fratello, ripeto: la di riscatto per Napoli”. È stato questo l’augurio di Papa Chiesa ripete: convertitevi all’amore e alla giustizia”. Francesco per una città che “ha tante potenzialità spirituali, culturali e umane, e soprattutto tanta capacità Gesù cerca tutti di amare. Napoli è oggi l’emblema di tante città del mondo, chiamate non a ripiegarsi nella rassegnazione Tutti, anche dopo sconsiderate deviazioni, possono percorrere la strada di una vita onesta: ma a non fiducia per costruire un futuro migliore”. “Lasciatevi trovare dalla misericordia di Dio! Siate La corruzione non sfiguri il volto di Napoli consapevoli che Gesù vi sta cercando per abbracciarvi, per baciarvi, per amarvi di più. Con la grazia “Cari napoletani - ha esortato il Santo Padre - non di Dio, che perdona tutto e perdona sempre, è possilasciatevi rubare la speranza!”: bile ritornare a una vita onesta. Ve lo chiedono anche “Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di red- le lacrime delle madri di Napoli, mescolate con quelle

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di Maria, la Madre celeste invocata a Piedigrotta e in tante chiese di Napoli. Queste lacrime sciolgano la durezza dei cuori e riconduca noi tutti sulla via del bene.

Dio, fonte della nostra gioia e ragione della nostra speranza, vive nelle nostre città. Dio vive a Napoli!

La parola di Cristo cambia il mondo

recinti”, a portare a tutti “la misericordia, la tenerezza e l’amicizia di Dio”. Ogni parrocchia e ogni realtà ecclesiale – ha affermato il Pontefice – diventino “santuario per chi cerca Dio e casa accogliente per i poveri, gli anziani e i bisognosi”. Napoli – ha aggiunto – sia piena di speranza: “Questa città può trovare nella misericordia di Gesù Cristo, che fa nuove tutte le cose, la forza per andare avanti con speranza, la forza per tante esistenze, tante famiglie e comunità. Sperare è già resistere al male. Sperare è guardare il mondo con lo sguardo e con il cuore di Dio.

L’abbraccio del Santo Padre alla popolazione di Napoli è radicato in Gesù Cristo, l’unica Persona “che può guarire le ferite del nostro cuore”: “La parola di Cristo è potente: non ha la potenza del mondo, ma quella di Dio, che è forte nell’umiltà, anche nella debolezza. La sua potenza è quella dell’amore: questa è la potenza della parola di Dio! Un amore che non conosce confini, un amore che ci fa amare gli altri prima di noi stessi. La parola di Gesù, il santo Vangelo, insegna che i veri beati sono i poveri in spirito, i non violenti, i miti, gli operatori di pace e di giustizia. Questa è la forza che cambia il mondo”.

Scommettere sulla misericordia di Dio

Uscire dai recinti e accogliere i poveri

“Sperare – ha spiegato il Papa – è scommettere sulla misericordia di Dio”, che perdona sempre e perdona tutto:“Dio, fonte della nostra gioia e ragione della nostra speranza, vive nelle nostre città. Dio vive a Napoli!”.

Andare e accogliere sono i battiti vitali con cui – ha detto il Papa – “pulsa il cuore della Chiesa e di tutti i suoi figli”. Il Santo Padre ha esortato ad “uscire dai

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POGGIOREALE: “TROVEREMO ACCOGLIENZA FUORI DA QUESTE MURA?” L’amore di Gesù è consolazione e speranza. È il cuore del discorso di Francesco consegnato ai detenuti del carcere di Poggioreale dove il Papa ha consumato il pranzo. Niente potrà mai separarci dall’amore di Dio! Neanche le sbarre di un carcere. Papa Francesco nel suo messaggio ai detenuti di Poggioreale è come se parlasse a tutti coloro che vivono una situazione di segregazione, spiegando loro che “l’unica cosa che ci può separare da Dio è il nostro peccato” che però se riconosciuto e confessato “con pentimento sincero, proprio quel peccato diventa luogo di incontro con Lui”. Francesco scrive di conoscere le “situazioni dolorose” dei carcerati, attraverso le lettere che gli giungono dai

Ecco quindi l’incoraggiamento a “sviluppare queste esperienze positive, che fanno crescere un atteggiamento diverso nella comunità civile e anche nella comunità della Chiesa”, partendo però sempre da un dato, che “alla base di questo impegno c’è la convinzione che l’amore può sempre trasforTutti nella vita abbiamo mare la persona umana. E allora un luogo di emarginazione, come può esfatto sbagli... Nessuno può sere il carcere in senso negativo, può dire ‘io non merito di essere diventare un luogo di inclusione e di carcerato’. Nessuno. stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone”. penitenziari di tutto il mondo. “I carcerati - il Papa “Capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da lo sa e lo spiega - troppo spesso sono tenuti in condi- tutti, si legge anche nel messaggio, ma Dio non si dizioni indegne della persona umana, e dopo non rie- mentica dei suoi figli, non li abbandona mai! Egli è scono a reinserirsi nella società”. Francesco rende sempre al nostro fianco, specialmente nell’ora della omaggio al lavoro di dirigenti, cappellani, educatori, prova. E “questa è una certezza che infonde consolae operatori pastorali che sanno stare vicino ai dete- zione e speranza, specialmente nei momenti difficili nuti “nel modo giusto”. E ricorda anche che ci sono e tristi”. Il Signore “non si stanca” di indicare la via “esperienze buone e significative di inserimento”. del ritorno e dell’incontro con Lui. Il suo amore è sor-

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gente di consolazione e di speranza. “Il futuro è nelle della gente che ha sempre un giudizio morale sui demani di Dio!”, è questa la speranza cristiana. tenuti. Francesco ha poi ricordato che il primo santo Al termine del pranzo Papa Francesco ha avuto pa- canonizzato nella Chiesa è stato un condannato a role di speranza nel rispondere alle domande di due morte: il buon ladrone a cui Gesù ha detto sulla croce: detenuti: come fare per continuare ad alimentare la “Oggi sarai con me in Paradiso”. “Nel momento in cui fede in Dio che ho ritrovato in carcere, una volta li- sei condannato a morte, solo perché hai guardato Cribero? E ancora: troveremo accoglienza Il Signore “non si stanca” fuori da queste mura? Mantenere la fede una volta usciti dal di indicare la via del ritorno carcere con le tentazioni che li aspete dell’incontro con Lui. Il suo tano e senza gli aiuti spirituali ricevuti “non è facile – ha detto il Papa – ma amore è sorgente di consolazione non impossibile”. Ma bisogna andare e di speranza. “Il futuro è nelle avanti e non scoraggiarsi. Francesco ha poi ripreso una frase del cardinale Sepe mani di Dio!”, è questa la secondo cui il nocciolo della morale speranza cristiana. cristiana non sta nel non cadere, ma nel rialzarsi subito. “Tutti nella vita abbiamo fatto sbagli – ha osservato il Papa – E perché sto, il Signore ti rinnova la vita. E questo è quello che a me è accaduto questo ed a te, che hai fatto più sbagli la società deve imparare. Quando Lui perdona dimendi me, no?”: tica – ha proseguito il Papa – nessuno ha il diritto di “Sono le cose della vita. Ma nessuno può dire io non non dimenticare una persona che ha pagato, che ha merito, io non merito. Nessuno può dire ‘io non me- chiesto perdono alla società. Ma la società non lo imrito di essere carcerato'. Nessuno. Tutti abbiamo sba- para. E per questo tanti si scandalizzano di Gesù che gliato. Tutti, io per primo. Tutti. E perché voi e non andava con i pubblicani, con i ladri e le prostitute: altri? Sono cose inspiegabili della vita e la vita dob- “Questi, i pubblicani e le prostitute, entreranno prima biamo prenderla come viene. E alzarsi sempre e an- di voi nel Regno dei cieli”. Ma questo, la società non dare avanti”. l’ha imparato. E per questo la nostra società ancora La mancata accoglienza dei detenuti – in risposta alla non è cristiana. Si dice cristiana, vuole essere criseconda domanda – Papa Francesco l’ha definita una stiana, ci sono tanti santi e tanti cristiani, sì. Ma la sodelle crudeltà più grandi della società di oggi. Per cietà come tale è più pagana che cristiana, perché non l’accoglienza è necessario un lavoro di educazione ha capito questo di Gesù”.

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AL CLERO: CHI CHIACCHIERA È TERRORISTA CHE BUTTA BOMBE Nel duomo dedicato a Santa Maria Assunta, Papa Francesco ha incontrato nel primo pomeriggio il clero e i religiosi locali, alla presenza anche delle claustrali della diocesi.

Nel duomo di Napoli, Papa Francesco preferisce lasciare da parte il discorso scritto - perché, dice, i discorsi preparati “sono noiosi” - e detta una riflessione suscitata dalle domande di don Aldo Giosuè e di padre Salvatore, sulla bellezza dell’essere preti e sui segni di speranza nella vita consacrata.

Dobbiamo convertirci Gesù al centro un po’ più tutti perché Da Francesco, l’esortazione a mettere Gesù al “centro della vita”: ci voglia più bene.

Francesco ha anche l’ampolla del sangue san Gennaro. Si era verificato, poco prima, l’evento della liquefazione del sangue del patrono della città. “Segno che san Gennaro vuol bene al Papa, che è ‘napoletano’ come noi, il sangue è metà sciolto già”! - ha detto il cardinale Sepe, tra la gioia e la commozione dei presenti -. E Papa Francesco: “Il vescovo ha detto che il sangue è metà sciolto: si vede che il santo ci vuole a metà. Dobbiamo convertirci un po’ più tutti perché ci voglia più bene”.

“Il cammino nella vita consacrata è andare nella sequela di Gesù; anche la vita consacrata in genere, anche per i sacerdoti: andare dietro a Gesù e con voglia di lavorare per il Signore”.

Le chiacchiere distruggono

La strada, afferma il Papa, è quella di andare oltre le chiacchiere, che “distruggono”: “Quello che chiacchiera è un terrorista che butta una bomba, distrugge e lui è fuori”. Il diavolo, aggiunge, “ci tenta sempre con gelosie, invidie, lotte interne, antipatie”, cose che – spiega – 14


“non ci aiutano a fare una vera fratellanza”, dando invece “testimonianza di divisione”. Se la vocazione significa lasciare o non avere una famiglia, i figli, l’amore coniugale, per finire a litigare col vescovo, con i fratelli sacerdoti, con i fedeli, “questa non è testimonianza”.

Fratellanza

Se voi non avete Gesù al centro, ritardate l’ordinazione.

chi non prega Maria, “la Madonna non gli darà il Figlio”: “Dare testimonianza di Gesù e, per andare dietro a Gesù, un bell’aiuto è la Madre: è Lei che ci dà Gesù. Questa è una delle testimonianze”.

La via, ricorda il Pontefice al clero partenopeo, è quella della fraternità diocesana, sacerdotale e delle comunità religiose. Ai seminaristi dice: “Se voi non avete Gesù al centro, ritardate l’ordinazione. Se non siete sicuri che Gesù è il centro della vostra vita, aspettate un po’ più di tempo, per essere sicuri. Perché al contrario, incomincerete un cammino che non sapete come finirà”.

L’affarismo non entri nella Chiesa

Il Papa menziona poi lo spirito di povertà, “che non è - spiega - lo spirito di miseria”: “Quando nella Chiesa entra l’affarismo, sia nei sacerdoti che nei religiosi, è brutto, brutto”

Una vita mondana non aiuta La preghiera alla Madonna Quindi l’invito alle opere di misericordia e l’attenzione al pericolo “della mondanità”, al “vivere con lo spirito del mondo che Gesù non voleva”. Parla dell’eccesso di comodità e racconta di un collegio di suore “nella diocesi - dice - che avevo prima”, dove

In duomo ci sono anche le claustrali di 7 conventi della diocesi, che non contengono la loro gioia nell’abbracciare il Santo Padre. Francesco sollecita tutti i presenti a pregare la Madonna, perché - afferma - a

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in ogni stanza era stato collocato un televisore: all’ora della telenovela “non trovavi una suora in collegio”,

sacrati, scritta dal Papa stesso nel novembre 2014, aveva sollecitato a chiedersi se nelle comunità oggi ci sia gratitudine e “gioia di Dio che La testimonianza è una delle colma il nostro cuore” e non “volti tristi, persone scontente e insoddicaratteristiche che attira, mentre una vita comoda, una vita sfatte”. Nel testo il Santo Padre aveva invitato inoltre a “testimomondana non ci aiuta. niare, con umiltà e semplicità, che la vita consacrata è un dono preaggiunge. A proposito del problema del calo delle vo- zioso per la Chiesa e per il mondo”, un dono “da concazioni, la testimonianza è una delle caratteristiche dividere, portando Cristo in ogni angolo di questa che attira, mentre “una vita comoda, una vita mon- città. dana non ci aiuta!

Uscire, per andare fuori a predicare Cristo Nella gioia, il Signore è sempre fedele Altra testimonianza indicata dal Papa, la gioia che significa “vedere che il Signore è sempre fedele”: “I consacrati o i sacerdoti noiosi, con amarezza di cuore, tristi hanno qualcosa che non va e devono andare da un buon consigliere spirituale, un amico, dire: Ma, non so cosa succede nella mia vita”. Anche nel discorso preparato per l’incontro al Duomo e consegnato al cardinale Sepe, il Pontefice ispirandosi alla Lettera ai con-

Congedandosi da Santa Maria Assunta, Francesco raccomanda l’adorazione del Signore, l’amore per la “sposa” di Gesù - cioè la Chiesa che, ricorda, “non è una ong” -

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e lo zelo apostolico, la missionarietà: uscire da se stessi “per andare fuori” a predicare la rivelazione di Cristo. AL GESU’ NUOVO: “I MALATI SONO CRISTO CROCIFISSO PER NOI” Nella Basilica del Gesù Nuovo Papa Francesco ha incontrato subito dopo circa 800 malati ai quali aveva raccomandato: “A voi ammalati vi dico che se non potete capire il Signore, chiedo al Signore che vi faccia capire nel cuore che siete la carne di Cristo, che siete Cristo Crocifisso fra noi, che siete i fratelli molto vicini a Cristo”. Il Papa ha rivolto anche un sincero grazie ai medici e ai volontari. Si è anche

A voi ammalati vi dico che se non potete capire il Signore, chiedo al Signore che vi faccia capire nel cuore che siete la carne di Cristo, che siete Cristo Crocifisso fra noi, che siete i fratelli molto vicini a Cristo.

- Bellissima, bellissima … È favoloso! Vi dà un messaggio di positività? Certo! - Ma sì, è chiaro che è un messaggio di positività! - Con questa partecipazione così ampia, dev’essere per forza un messaggio di positività! Buongiorno: voi delle forze dell’ordine, come state vivendo questa giornata? Bene, grazie … Indaffarati? - Il giusto. È un grande evento! - Non possiamo lamentarci: tra l’altro, è anche stato organizzato benissimo … E per voi, ragazzi? - È la cosa più bella! - È stata un’emozione meravigliosa, davvero! - Ma è bellissima questa opportunità! (tutti insieme) “Viva Papa Francesco”!

UN’EMOZIONE MERAVIGLIOSA Migliaia i fedeli napoletani che hanno assistito alla visita del Papa, anche lungo il corteo che si è snodato in città, aspettando per ore il passaggio di Papa Francesco solo per guardarlo e avere un saluto e una benedizione. Queste le voci della gente raccolte da Alessandro Guarasci: Che impressione vi ha fatto vedere il Papa? È una bella emozione … Che messaggio porta a Napoli? - La speranza: la speranza che si riprenda Napoli … - … si dovrebbe migliorare per tutti … - Per noi che abbiamo fede è un’emozione unica … in questo momento ancora dobbiamo realizzare, forse, fino in fondo questa grande opportunità, forse irripetibile! 17


“Napoli capitale delle periferie dell’uomo dal papa una scelta chiara qui la sua prima visita in una grande città. Per Papa Bergolio la nostra metropoli ha straordinarie ricchezze ma è piegata dai problemi” BRUNO FORTE, IL MATTINO, 24 MARZO 2015, P. 29

soffermato in preghiera davanti alla tomba di Giuseppe Moscati, il medico proclamato santo da Giovanni Paolo II. ALLE FAMIGLIE: IN DUE LA GIOIA È DOPPiA, IL DOLORE A METÀ Le dieci ore trascorse da Francesco nella città di Napoli sono state caratterizzate ovunque dall’affetto gioioso che la popolazione ha riversato sul Papa. Nel pomeriggio, il bagno di folla sul lungomare Caracciolo, ultimo atto che ha visto Francesco un po’ stanco ma felice conversare con le famiglie, i giovani e gli anziani, prima di ripartire per Roma poco dopo le 18. È stata una grande festa sul lungomare Caracciolo per Papa Francesco. Almeno in 100 mila si sono riversati in questa parte di Napoli, per l’evento conclusivo della giornata di Francesco nella città partenopea. Per lui anche un piccolo siparietto in dialetto napoletano con la presentatrice dell’evento, ma poi ha chiesto di sedersi dopo una giornata che lo ha messo a dura prova fisicamente: “Ma, scusatemi se sono seduto, ma davvero, sono stanco. Perché voi napoletani … ti fanno muovere, eh?”. Papa Francesco ha voluto un vero dialogo con i giovani, con una donna anziana e con una famiglia. Ai ragazzi ha detto una società che li lascia “senza lavoro”, nella “disoccu-

pazione” è “senza futuro”. Poi, un “no” alla cultura dello scarto in particolar modo nei confronti degli anziani. Questo nelle parole a una 95.enne che aveva paura di finire in un ospizio, ma che non si sente più sola da quando ha un’associazione che l’aiuta: “L’affetto è la medicina più grande, più grande per noi anziani. E questa testimonianza che lei dà, con i suoi amici – che sono bravi …”. Il Papa è inoltre tornato a condannare la colonizzazione ideologica della “teoria del gender” perché su essa si fa tanta “confusione”. Poi, un consiglio alle tante famiglie che si sono riversate sul lungomare: “Litigate quanto volete. Ma non finite la giornata senza fare la pace. Siete in due: ‘io’ non è molto valido nel matrimonio, ma il ‘noi’. Ma anche è vero quello che si dice dei matrimoni: gioia in due, tre volte gioia. Pena, dolore in due, metà pena, metà dolore”.

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Ex camorrista di Scampia: ripartire dall’istruzione per arrivare alla fede

Testimonianze

In piazza a Scampia c’era anche Davide Cerullo, ex camorrista e spacciatore del quartiere. Dopo un periodo di carcere a Poggioreale ha lasciato la città, per tornarvi dopo la conversione alla fede. Oggi a Scampia dirige un’associazione di sostegno ai giovani, da lui fondata. L’ha intervistato Antonella Palermo: Sono contento, sono felice perché questo Papa rap“PULIZIA” E “PUZZA” presenta la Chiesa che scende da cavallo, dal piedistallo e si china sui problemi reali della gente, è Padre Sergio Sala, gesuita, è del Centro Alberto Hurveramente il Papa degli ultimi, degli emarginati, tado, un luogo di formazione per i giovani di Scamdegli invisibili, possiamo dire. Ben venga questa pia. Lui si occupa di progetti che riguardano i rom, voce, soprattutto la forza salutare della parola di così come gli scout. Antonella Palermo gli ha chiesto questo Papa per questo territorio veramente abbancosa hanno significato per lui le parole del Papa: donato. La camorra qui non comanda: governa! E ci Siamo stati tutti molto colpiti in fa soprattutto credere che non c’è modo positivo da quello che ha uno Stato, che non ci sono le istiHA SCRITTO detto. Personalmente ho trotuzioni che invece comandano “Solo Bergolio ha capito la nuova vato molto azzeccato e stimocon i poteri necessari che sono i camorra. È il primo Papa a parlare lante il rapporto tra la “pulizia” diritti. così della corruzione e a fare queCome vivi oggi il tuo impegno di e la “puzza”: la pulizia della sto esplicito collegamento tra mafede e il tuo impegno sociale a propria anima, siamo nel pe- laffare e criminalità organizzata”. Scampia? riodo di Quaresima in prepara- ANTONELLO ARDITURO, ESPERTO PM La fede è necessaria perché ti zione alla Pasqua, la pulizia ANTIMAFIA DI NAPOLI, IL FATTO QUOpermette di aprire gli occhi sul della città e la pulizia del TIDIANO, 24 MARZO 2015, P. 7 senso vero della vita. Sono tormondo del lavoro. In tutti e tre nato a Scampia due anni fa, ho questi aspetti c’è, da una parte, la ricerca della puliaperto un centro che si occupa della dispersione scozia, dall’altra la puzza, rappresentata dalle nostre delastica. Quello che io vorrei fare è di riuscire ad abbolezze umane, dalle strade piene di immondizia. battere questo fenomeno, perché la famiglia e la Non è possibile che in tre giorni sia stato pulito tutto scuola sono i due elementi centrali per vincere la quando, fino ad una settimana fa le strade erano criminalità organizzata. La scuola è debole, le istisporche. Abbiamo paura che tra una settimana lo dituzioni sono assenti, la famiglia vuole che i figli diventino di nuovo. Questo non è possibile. Il Papa ha ventino grandi, adulti, in fretta e, in questo modo, sottolineato quali sono le puzze del mondo del labruciano le tappe dell’infanzia, della poesia, della fiaba. In casa non ci sono libri, siccome sappiamo voro: la disoccupazione e per chi ha un lavoro la che l’istruzione è il più grande atto di democrazia e mancanza di diritti e - ha addirittura detto - la schiadi libertà, quando manca è facile essere fregato. vitù nel mondo del lavoro. Quindi è stato veramente molto toccante. Lei ha a che fare con i giovani che spesso non riescono nel vostro territorio a trovare lavoro; ha a che fare con gli scout, con il centro Hurtado … che offre qualche aiuto, vero? Certo, noi puntiamo sull’educazione umana e sull’educazione al lavoro. Abbiamo una piccola cooperativa che dà lavoro a persone di Scampia e dobbiamo purtroppo salutare molti nostri ragazzi che devono emigrare per cercare lavoro.

Padre Sala: un messaggio toccante

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Papa Francesco a Napoli Il Seguito papale tra i frati di San Lorenzo per l’agape fraterna

La comunità francescana conventuale di san Lorenzo Maggiore di Napoli ha accolto sabato 21 marzo, dopo la solenne concelebrazione eucaristica presieduta da Papa Francesco in piazza del Plebiscito, il Seguito papale per l’agape fraterna. Era stato il cardinale Sepe a chiedere al ministro provinciale padre Edoardo Scognamiglio di compiere questo gesto di accoglienza francescana. Il Seguito papale era composto dagli Arcivescovi Giovanni Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato e Georg Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia; dai tre vescovi ausiliari di Napoli, Lucio Lemmo, Gennaro Acampa, Salvatore Angerami; dal direttore de L’ Osservatore Romano prof. Giovanni Maria Vian; dal dott. Angelo Scelzo, vice direttore della sala stampa della Santa Sede; da mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, dal prof. Patrizio Polisca medico personale di Papa Francesco, dal cav. Sergio Mariotti, aiutante di camera e da alcune reclute della Guardia Svizzera e della Gendarmeria Vaticana. All’incontro era presente tutta la comunità francescana conventuale con il ministro provinciale, il padre guardiano Angelo Palumbo. Tra gli invitati, il padre Gianfranco Grieco, capo ufficio del pontificio consiglio per la famiglia. Nelle prime ore del pomeriggio il Seguito papale ha aggiungo Papa Francesco in duomo nel l’incontro con il clero, i religiosi, le religiose dell’arcidiocesi partenopea. Il provinciale padre Scognamiglio ha anche offerto il suo contributo alla trasmissione del Tg1 nel corso della concelebrazione svoltasi nella piazza “ cuore” della città. La visita pastorale di Papa Francesco a Napoli ha segnato i cuori di tutto il popolo napoletano. Nel segno della speranza che non muore Papa Bergoglio ha indicato la strada da percorrere per essere testimoni nella vita pubblica, religiosa, civile e sociale della città.

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il segno vivo dell’amore del Padre. D’altronde, lo ripetiamo, la missione della Chiesa è solo questa: “riconciliare i cuori della gente”. Chi di noi non sente il bisogno di sperimentare l’amore perdonante di Dio? L’Amore, così come l’ha vissuto Gesù, ossia donare la vita gratuitamente (in quanto Agape), ci fa esistere, ci rende persona, ci personalizza: è la risposta al problema dell’uomo e al senso della vita. Questo Amore – che non consiste semplicemente nel guardarsi negli occhi e nel sospirare, ma, lo ripetiamo, nel donare la vita per il prossimo e finanche per i nemici –, è la medicina che Dio usa pe guarire le nostre ferite. È come la rugiada del mattino, segno estremo della bontà e della tenerezza di Dio che il Cristo crocifisso ben rivela. È un amore viscerale, paziente, infinito, misericordioso, attraverso il quale Dio ci guarda in modo sempre nuovo, ossia con gli occhi di Cristo, con la compassione nel cuore.

da NAPOLI

EDOARDO SCOGNAMIGLIO TEOLOGO

Dopo aver meditato con attenzione, rigo per rigo, la bolla d’indizione del Giubileo straordinario della Misericordia (Misericordiae vultus) – voluto da papa Francesco a partire dall’8 dicembre 2014 –, sopravviene spontanea nel cuore questa verità di fede: “La Chiesa esiste solo per riconciliare i cuori” degli uomini e delle donne del nostro tempo. La missione è epifania della compassione divina, manifestazione dell’amore di Dio – Cristo – a tutto il mondo con tutto quello che noi siamo.

L’amore impossibile esiste

Se Cristo è il volto misericordioso del Padre, la Chiesa è il luogo in cui si rivela l’amore di Dio per l’umanità. La Chiesa, infatti, non è una catena di agenzie pubblicitarie dell’Evangelo a livello mondiale, né un’associazione delle succursali dei discepoli di Gesù, ma è la novità della comunione dello Spirito Santo tra gli uomini e le donne di buona volontà. Celebrare un anno di grazia e di misericordia vuol dire, concretamente, credere che l’amore impossibile esiste a partire proprio dal dono della Chiesa, dalla presenza nel mondo del corpo inquieto di Cristo. L’amore impossibile, il Cristo crocifisso e risorto, esiste nella Chiesa come un evento reale, tangibile: è questa la buona notizia che papa Francesco annuncia con l’indizione del prossimo Giubileo. Se veramente la Chiesa si rapporta al mondo come sacramento di carità – e non come una Ong – allora l’amore di Dio potrà raggiungere il cuore di quanti hanno bisogno di sperimentare il perdono del Padre e la misericordia di Cristo. Di fatti, Gesù è l’unico testimone della tenerezza del Padre e della miseria dell’uomo. Egli, però, è un testimone fedele perché porta a compimento nella sua stessa storia la promessa del Padre per tutti i suoi figli. Guardando alla passione e alla risurrezione di Gesù – nella potenza dello Spirito Santo – noi comprendiamo che dinanzi alla gravità del peccato Dio risponde sempre con la pienezza del perdono. Si tratta di comprendere che la misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato e che nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona (cf. Bolla, n. 3).

La sfida del perdono

La proposta di papa Francesco per l’Anno della Misericordia è una grande sfida, visto che viviamo profondamente segnati da lotte intestine, dalla cultura della morte e della violenza, dal rifiuto del perdono in ogni senso. La misericordia, invece, è l’agire concreto di Dio verso di noi che trascende ogni modello di giustizia umana e di amore terreno. Dio ci ama così com’egli è, ossia infinitamente, fino al gesto estremo della Croce. Dunque, la nostra credibilità – quella della Chiesa – passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. Ne siamo capaci? Siamo pronti a tendere la mano al nostro prossimo, a metterci in gioco e in discussione per gli amici e finanche per i nostri nemici? Crediamo veramente che il perdono sia una forza liberante che fa rinascere la nostra esistenza? Un dato è certo: «Il mistero di Cristo mi obbliga a proclamare la misericordia quale amore misericordioso di Dio» (Bolla, n. 11). Biblicamente, la giustizia divina non si esprime semplicemente nel dare a ciascuno il suo e nel considerare il bene e il male nell’uomo. Diversamente, da ogni modello umano, la giustizia divina è misericordiosa, ossia tende a ripristinare ogni relazione lacerata, qualsiasi rapporto distrutto. Per superare una prospettiva legalista, è bene ricordare che nella Bibbia la giustizia è concepita come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio. Di fatti, la giustizia di Dio è il suo perdono (cf. Sal 51,11-16). Siamo pronti a tendere la mano come Gesù? Siamo capaci di vedere il bene che c’è nel cuore dell’altro? Guardando alla vita di Cristo e attingendo dal dono dello Spirito Santo, sostenuti dalla grazia, noi saremo in grado di andare oltre la giustizia con la misericordia e il perdono.

Un segno della tenerezza di Dio

Il Giubileo che ci apprestiamo a celebrare non è frutto di un buonismo sciocco o di puro sentimentalismo: è, invece, un segno di grazia attraverso il quale papa Francesco ci invita a riappropiarci dell’essenza del Vangelo, ossia della misericordia del Padre. Ognuno di noi, come battezzato, non può non sentire la responsabilità di essere nel mondo

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Anno santo della misericordia

La Chiesa esiste per riconciliare i cuori


Anno santo della misericordia

8 dicembre 2015

Inizia l’anno della Misericordia DIO PERDONA TUTTO, DIO PERDONA SEMPRE Il richiamo di Gesù spinge ognuno di noi a non fermarsi mai alla superficie delle cose, soprattutto quando siamo dinanzi a una persona. Siamo chiamati a guardare oltre, a puntare sul cuore per vedere di quanta generosità ognuno è capace. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio. Tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sue porte permangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono. Più è grande il peccato e maggiore dev’essere l’amore che la Chiesa esprime verso coloro che si convertono. Con quanto amore ci guarda Gesù! Con quanto amore guarisce il nostro cuore peccatore! Mai si spaventa dei nostri peccati. Pensiamo al figlio prodigo che, quando decide di tornare dal padre, pensa di fargli un discorso, ma il padre non lo lascia parlare, lo abbraccia (cfr Lc 15,17-24). Così Gesù con noi. “Padre, ho tanti peccati…” – “Ma Lui sarà contento se tu vai: ti abbraccerà con tanto amore! Non avere paura”. Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. E’ un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di

Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre” (cfr Lc 6,36). E questo specialmente per i confessori! Tanta misericordia! Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre del 2016, Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo e volto vivo della misericordia del Padre. Affido l’organizzazione di questo Giubileo al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, perché possa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia. Sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perché siamo peccatori, potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo. Non dimentichiamo che Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre. Non ci stanchiamo di chiedere perdono. Affidiamo fin d’ora questo Anno alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino: il nostro cammino penitenziale, il nostro cammino con il cuore aperto, durante un anno, per ricevere l’indulgenza di Dio, per ricevere la misericordia di Dio. OMELIA 13 MARZO 2015 BASILICA DI SAN PIETRO – LITURGIA PENITENZIALE 22


La stagione del perdono distinzione tra il male che c’è e chi lo commette, che può sempre avere un cammino di redenzione e può sempre chiedere perdono al Signore.

Intervista a Enzo Bianchi priore della Comunità di Bose “Riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio con la quale siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e donna del nostro tempo”: questo il senso dell’Anno Santo della Misericordia secondo Papa Francesco che, a sorpresa, ha annunciato venerdì scorso l’indizione di un Giubileo straordinario. Tanti i commenti seguiti alle sue parole. Adriana Masotti ha chiesto a Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, qual è stata la sua reazione: È stata una reazione non solo positiva, ma direi piena di gioia e con un sentimento di ringraziamento a Papa Francesco, perché fin dall’inizio del suo pontificato lui ha fatto capire a tutta la Chiesa che voleva una stagione di misericordia. Papa Giovanni XXIII aveva già insistito: “Bisogna usare la medicina della misericordia, piuttosto che imbracciare le armi del rigore”. Sono parole sue nella prolusione all’allocuzione di inizio del Concilio. Ecco, Papa Francesco ha ripreso questa eredità. Conosce bene la situazione del mondo: l’umanità è molto ferita, l’umanità non ha grandi orizzonti di speranza, l’umanità ha bisogno che qualcuno si pieghi come il samaritano sulle sue piaghe e soprattutto usi misericordia, pur sempre, certo, dicendo che il male c’è, sempre indicandolo come male, come peccato, ma facendo sempre la

Il Papa ha parlato soprattutto ai confessori, dicendo che loro dovranno essere misericordiosi … La misericordia certamente, come dice la Scrittura, ha bisogno di uomini e donne che oltre che conoscerla su di loro, da parte di Dio, sappiano poi annunciarla a tutti gli uomini. E i confessori certamente sono al primo punto. Fare il ministro della confessione è una cosa ardua, perché si tratta davvero di collocarsi in ginocchio accanto al peccatore per invocare da Dio l’assoluzione. Bisogna condividere le sofferenze del peccatore, la sua nostalgia di Dio, capire il suo desiderio di cambiare vita, quindi guardare più con gli occhi di Dio il peccatore, non guardarlo con i nostri occhi che lo farebbero soltanto condannare. Il Papa parla anche di una Chiesa che ha bisogno di misericordia, perché è peccatrice, e che in questo Giubileo potrà trovare la gioia del perdono … La Chiesa ha bisogno di riforma - Papa Francesco continua a dirlo - la Chiesa deve essere sempre riformata dal Signore. Vive nel mondo, è composta di uomini e donne, peccatori e peccatrici, e quindi c’è davvero in quest’anno la possibilità per la Chiesa di impegnarsi in questa conversione, di ottenere la misericordia di Dio, di invocarla, riconoscendo le proprie colpe, i propri limiti e mostrando anche una grande solidarietà con gli uomini. Noi non abbiamo steccati con l’umanità peccatrice, siamo loro fratelli. Semplicemente sui peccati siamo chiamati a mettere lo sguardo di Dio, rispetto a loro che magari non ci riescono, perché non conoscono Dio o non ce la fanno ad assumere questo sguardo. 23


Riconciliamoci

da Chieti

BRUNO FORTE ARCIVESCOVO DI CHIETI-VASTO

“La Confessione è il sacramento della tenerezza di Dio, il suo modo di abbracciarci”. È il messaggio per il martedì santo che Papa Francesco ha affidato a un tweet: un invito ad accostarsi al Sacramento della Riconciliazione, tante volte ripetuto in due anni di Pontificato. Alessandro De Carolis ha chiesto all’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, cosa gli suggeriscano i richiami di Francesco alla Confessione come tenerezza e abbraccio di Dio: Suggerisce un’immagine evangelica e cioè quella del Padre del Figliol prodigo che sta alla finestra, vede il figlio tornare di lontano, gli corre incontro e lo abbraccia. Dunque, mi sembra che Papa Francesco abbia voluto evocare la profonda misericordia di Dio, il fatto che il Dio di Gesù Cristo è un Padre che ci ama, che ci rispetta anche quando noi scegliamo qualcosa che è contro la sua volontà ed egli è sempre pronto ad accoglierci, ad aspettare il nostro ritorno e a far festa quando torniamo. Dunque, piuttosto che la visione del tribunale – che a volte nel passato aveva dominato la visione del Sacramento della penitenza, dove il sacerdote era in qualche modo il giudice che doveva poi assolvere – siamo di fronte all’immagine di un incontro d’amore, di un’attesa, di un’accoglienza festosa, di una misericordia traboccante. Lei ricorda l’immagine di Dio come quella di un Padre che perdona sempre. Papa Francesco lo ha detto dall’inizio del Pontificato: “Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. Perché si perde la fiducia nel perdono di Dio? Il meccanismo del peccato è un meccanismo che intacca profondamente l’integrità della persona umana e l’effetto primo, devastante, del male è il male che si fa

a se stessi. Si perde il senso della propria dignità e si smarrisce proprio per questo la fiducia nelle possibilità che Dio ci ha dato. Ecco perché il volto della misericordia è fondamentale per ritrovare la strada della riconciliazione. Un Dio giudice manterrebbe ancora lontani coloro che hanno peccato. Un Dio di misericordia infinita, come ama sottolineare Papa Francesco, è un Dio che ti attrae, che sollecita il tuo cuore ad aver fiducia di Lui nonostante tutto. Papa Francesco una volta, da Santa Marta, parlando della Confessione ha detto: bisogna avere semplicità e anche coraggio. Perché queste qualità tante volte sembra siano smarrite dai cristiani quando si avvicinano al Sacramento della Riconciliazione? La semplicità è necessaria perché essere semplici significa essere veri, cioè saperci porre davanti a Dio senza alibi e senza difese. Senza quelle sovrastrutture che a volte complicano i rapporti umani e a volte complicano anche il nostro rapporto con Dio. Ciò che Papa Francesco non si stanca di ricordare è che Dio è amore e che dunque ogni rapporto con Dio deve essere vissuto nel segno dell’amore, che significa della fiducia, dell’affidamento, della libertà dalla paura e del coraggio di ritrovare nell’amore la forza per essere se stessi secondo il disegno di Dio. In fondo, il coraggio è una virtù inseparabile dalla fiducia e dall’amore. Se non hai amore, se non hai fiducia, se non ti senti amato, anche il coraggio viene meno. Se invece c’è tutto questo, il coraggio ti fa aprire a quelle che un grande teologo evangelico come Karl Barth chiamava le “impossibili possibilità di Dio”: proprio quelle che nella Settimana Santa ci vengono rivelate.

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11 aprile Papa Francesco pubblica la Bolla d’indizione del Giubileo L’Anno Santo della Misericordia, che inizierà il prossimo 8 dicembre, è stato indetto ufficialmente da Papa Francesco nel pomeriggio di sabato 11 aprile, quando alle 17.30 ha dato inizio alla cerimonia di pubblicazione della Bolla d’Indizione del Giubileo.

mento, costituisce il documento fondamentale per riconoscere lo spirito con cui viene indetto, le intenzioni e i frutti sperati dal Pontefice che lo indice per la Chiesa”. Storia della Bolla Nel caso degli ultimi due Anni Santi straordinari, del 1933 e 1983, la Bolla di Indizione, veniva precisato, “fu pubblicata in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore. Per il prossimo Anno Santo straordinario, anche la scelta dell’occasione in cui avverrà la pubblicazione della Bolla manifesta chiaramente l’attenzione particolare del Santo Padre al tema della Misericordia. La Bolla, che anticamente era la capsula metallica impiegata per proteggere il sigillo in cera di un documento importante, in modo da attestarne l’autenticità, attualmente indica il documento stesso, “così che oggi esso è utilizzato per tutti i documenti pontifici di particolare importanza che portano, o almeno tradizionalmente dovrebbero portare, il sigillo del Pontefice”.

Il rito Il rito della pubblicazione, informava una nota ufficiale, prevedeva la lettura di alcuni brani della Bolla davanti alla Porta Santa della Basilica Vaticana. Successivamente, Papa Francesco ha presieduto la celebrazione dei Primi Vespri della Domenica della Divina Misericordia, sottolineando così in maniera peculiare quello che è il tema fondamentale dell’Anno Santo straordinario: la Misericordia di Dio. Date, tempi e frutti sperati La bolla d’Indizione di un Giubileo, “specie nel caso di un Anno Santo straordinario – proseguiva la nota – oltre a indicarne i tempi, con le date di apertura e di chiusura, e le modalità principali di svolgi-

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XX della evangelium vitae

Il posto centrale della famiglia Il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione, in molti Paesi si celebra la Giornata per la Vita. Per questo, vent’anni fa, san Giovanni Paolo II in questa data firmò l’Enciclica Evangelium vitae. Per ricordare tale anniversario oggi sono presenti in Piazza molti aderenti al Movimento per la Vita. Nella Evangelium vitae la famiglia occupa un posto centrale, in quanto è il grembo della vita umana. La parola del mio venerato Predecessore ci ricorda che la coppia umana è stata benedetta da Dio fin dal principio per formare una comunità di amore e di vita, a cui è affidata la missione della procreazione. Gli sposi cristiani, celebrando il sacramento del Matrimonio, si rendono disponibili ad onorare questa benedizione, con la grazia di Cristo, per tutta la vita. La Chiesa, da parte sua, si impegna solennemente a prendersi cura della famiglia che ne nasce, come dono di Dio per la sua stessa vita, nella buona e nella cattiva sorte: il legame tra Chiesa e famiglia è sacro ed inviolabile. La Chiesa, come madre, non abbandona mai la famiglia, anche quando essa è avvilita, ferita e in tanti modi mortificata. Neppure quando cade nel peccato, oppure si allontana dalla Chiesa; sempre farà di tutto per cercare di curarla e di guarirla, di invitarla a conversione e di riconciliarla con il Signore. Ebbene, se questo è il compito, appare chiaro di quanta preghiera abbia bisogno la Chiesa per essere in grado, in ogni tempo, di compiere questa missione! Una preghiera piena di amore per la famiglia e per la vita. Una preghiera che sa gioire con chi gioisce e soffrire con chi soffre. Ecco allora quello che, insieme con i miei collaboratori, abbiamo pensato di proporre oggi: rinnovare la preghiera per il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. Rilanciamo questo impegno fino al prossimo ottobre, quando avrà luogo l’Assemblea sinodale ordinaria dedicata alla famiglia. Vorrei che questa preghiera, come tutto il cammino sinodale, sia animata dalla compassione del Buon Pastore per il suo gregge, specialmente per le persone e le famiglie che per diversi motivi sono «stanche e sfinite, come pe-

core che non hanno pastore» (Mt 9,36). Così, sostenuta e animata dalla grazia di Dio, la Chiesa potrà essere ancora più impegnata, e ancora più unita, nella testimonianza della verità dell’amore di Dio e della sua misericordia per le famiglie del mondo, nessuna esclusa, sia dentro che fuori l’ovile. Vi chiedo per favore di non far mancare la vostra preghiera. Tutti – Papa, Cardinali, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli laici – tutti siamo chiamati a pregare per il Sinodo. Di questo c’è bisogno, non di chiacchiere! Invito a pregare anche quanti si sentono lontani, o che non sono più abituati a farlo. Questa preghiera per il Sinodo sulla famiglia è per il bene di tutti. So che stamattina vi è stata data su un’immaginetta, e che l’avete tra le mani. Vi invito a conservarla e a portarla con voi, così che nei prossimi mesi possiate recitarla spesso, con santa insistenza, come ci ha chiesto Gesù. Ora la recitiamo insieme: Gesù, Maria e Giuseppe, in voi contempliamo lo splendore dell’amore vero, a voi con fiducia ci rivolgiamo. Santa Famiglia di Nazareth, rendi anche le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, autentiche scuole del Vangelo e piccole Chiese domestiche. Santa Famiglia di Nazareth, mai più nelle famiglie si faccia esperienza di violenza, chiusura e divisione: chiunque è stato ferito o scandalizzato conosca presto consolazione e guarigione. Santa Famiglia di Nazareth, il prossimo Sinodo dei Vescovi possa ridestare in tutti la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, la sua bellezza nel progetto di Dio. Gesù, Maria e Giuseppe, ascoltate, esaudite la nostra supplica. Amen. PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE, 25 MARZO 2015 26


Il valore e l’inviolabilità della vita umana Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura. All’aurora della salvezza, è la nascita di un bambino che viene proclamata come lieta notizia: «Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2, 10-11). A sprigionare questa «grande gioia» è certamente la nascita del Salvatore; ma nel Natale è svelato anche il senso pieno di ogni nascita umana, e la gioia messianica appare così fondamento e compimento della gioia per ogni bimbo che nasce (cf. Gv 16, 21). Presentando il nucleo centrale della sua missione redentrice, Gesù dice: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10). In verità, Egli si riferisce a quella vita «nuova» ed «eterna», che consiste nella comunione con il Padre, a cui ogni uomo è gratuitamente chiamato nel Figlio per opera dello Spirito Santificatore. Ma proprio in tale «vita» acquistano pieno significato tutti gli aspetti e i momenti della vita dell’uomo. L’uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio. L’altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale. La vita nel tempo, infatti, è condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell’intero e unitario processo dell’esistenza umana. Un processo che, inaspettatamente e immeritatamente, viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell’eternità (cf. 1Gv 3, 12). Nello stesso tempo, proprio questa chiamata soprannaturale sottolinea la relatività della vita terrena dell’uomo e della donna. Essa, in verità, non è realtà «ultima», ma «penultima»; è comunque realtà sacra che ci viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la portiamo a perfezione nell’amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli. La Chiesa sa che questo Vangelo della vita, con-

segnatole dal suo Signore, ha un’eco profonda e persuasiva nel cuore di ogni persona, credente e anche non credente, perché esso, mentre ne supera infinitamente le attese, vi corrisponde in modo sorprendente. Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2,14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica. Questo diritto devono, in modo particolare, difendere e promuovere i credenti in Cristo, consapevoli della meravigliosa verità ricordata dal Concilio Vaticano II: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». In questo evento di salvezza, infatti, si rivela all’umanità non solo l’amore sconfinato di Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16), ma anche il valore incomparabile di ogni persona umana. E la Chiesa, scrutando assiduamente il mistero della Redenzione, coglie questo valore con sempre rinnovato stupore e si sente chiamata ad annunciare agli uomini di tutti i tempi questo «vangelo», fonte di speranza invincibile e di gioia vera per ogni epoca della storia. Il Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo. GIOVANNI PAOLO II, EVANGELIUM VITAE, 25 MARZO 1995

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EV: Giornata di studio da Roma nostro servizio particolare “Rispettare la dignità umana e promuovere la vita è una luce che la Chiesa continua ad accendere a difesa dell’umanità e del Vangelo”. Così si è espresso mons. Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu, segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, a margine della giornata di studio, tenutasi il 25 marzo presso l’aula San Pio X, per i vent’anni della “Evangelium vitae”. L’anniversario, che coincideva con il giorno in cui la Chiesa ricordava l’Annunciazione del Signore, era stato preceduto il 24 sera daunavegliainternazionaledipreghiera, che si è svolta contemporaneamente presso i santuari di Fatima, Lourdes, Guadalupe e presso la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Mons. Mupendawatu sottolinea l’attualità dell’Enciclica con cui San Giovanni Paolo II ha manifestato la verità sul valore e l’inviolabilità della vita umana, da quella nascente a quella sua via del tramonto: “Rispettare questa dignità e promuovere questa vita stessa che è dono di Dio nell’uomo è un compito non solo della Chiesa, ma di tutta l’umanità, di tutto il mondo. E’ una luce che ancora oggi la Chiesa continua ad accendere per tutti, perché la difesa della vita è la difesa dell’umanità, di noi stessi”. Lo “scarto” dell’aborto e dell’eutanasia E sulla continuità tra il contenuto dell’Evangelium vitae e le parole di Papa Francesco nel condannare la cultura dello scarto, il segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari aggiunge: “Lo scarto oggi – possiamo dire – che è il bambino cui non si dà questa opportunità di nascere, come Dio vuole. Questa è quindi spesso per decisione degli uomini, certamente per decisioni immorali, di diventare scarto per

la nostra società. E ce ne sono tanti, tanti … Non solo questo, c’è anche l’eutanasia: quindi anche gli anziani, i malati fanno parte di questo scarto di cui parla Francesco oggi. Tutte le vittime dei conflitti, delle guerre, i morti che sono provocati dall’odio, dal non riconoscere il fratello, dal non riconoscere che la vita è di Dio. Noi l’amministriamo, ma non siamo noi i padroni della vita”. Segnali di vita e cultura di morte Ma come e quanto è cambiato il contesto socioculturale dell’Evangelium vitae in questi vent’anni? Mons. Mauro Cozzoli, consultore del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e ordinario di Teologia morale alla Pontificia Università Lateranense: “Non è cambiato molto anzi per certi aspetti, pur essendo tanti i segnali di una cultura della vita e sono davvero tanti, magari si vedono meno, però ci sono. Peraltro, lo slittamento, lo smottamento verso una cultura della morte purtroppo c’è stato ed è in atto. I delitti contro la vita sono tantissimi, da quelli microscopici a quelli macroscopici”. L’amore è della famiglia Di sfida antropologica parla mons. Carlos Simòn Vazquez, Sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e sul ruolo della famiglia in questa sfida afferma: “La famiglia è in grado di manifestare al mondo che l’uomo è un essere irrepetibile, unico, prezioso. La famiglia è in grado di mostrare questa singolarità. Questa unione famiglia e vita ha come denominatore comune l’amore. E quindi riscoprire la questione antropologia porterebbe alla riscoperta di questa logica dell’amore sia nell’istituto familiare e matrimoniale, sia nella vita. E questa è la bella notizia, la buona notizia che il mondo di oggi può ricevere”. Nel messaggio fatto pervenire alla Giornata di studi da parte del presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, mons. Zygmunt Zimowski, oltre a sottolineare l’importanza dell’iniziativa, si rivolge agli operatori Sanitari e scrive loro: "Dobbiamo essere coraggiosi difensori della vita umana”. 28


MARTINA MOGLIANETTI MOVIMENTO ITALIANO PER LA VITA

Mi chiamo Martina e ho 28 anni a 17 mi sono innamorata di un ragazzo che credevo speciale. Un giorno ho scoperto di essere incinta. Mi è crollato il mondo addosso pensavo che avere un figlio a quell’età avrebbe distrutto la mia vita impedendomi di viverla. Volevo abortire senza dirlo a nessuno mi sarei liberata di quello che consideravo uno stupido errore. Quando lo dissi al ragazzo con cui avevo concepito quel bambino mi chiese solo quanti soldi servivano per abortire. In quel momento mentre ascoltavo quelle gelide parole mi sono sentita morire anche se fino ad un secondo prima ero convinta che sarebbe stata l´unica soluzione. Chissà forse senza saperlo immaginavo che mi chiedesse di farlo nascere e di crescerlo insieme. Ho capito allora di essermi innamorata di un mostro e tutte le mie certezze su quanto fosse speciale sono crollate. Lo guardai negli occhi e gli risposi che da lui

non volevo niente sono andata via piangendo mentre mi toccavo la pancia. Ho pregato Dio di aiutarmi perché non sapevo cosa fare ero sola e non volevo più eliminare quel bambino anzi mi sentivo in colpa solo per averlo pensato. Trovai il coraggio e ne parlai con mia sorella le dissi che volevo il bambino, lei ne parlò a mia madre. Tramite mia sorella ho conosciuto il Segretariato Sociale per la Vita di Roma da loro ho ricevuto non solo aiuti concreti per il mio bambino ma la cosa più importante il sostegno morale. La prima volta che sono andata al centro ero al terzo mese di gravidanza mi sentivo sola, sporca e abbandonata. Pensavo che ero io quella sbagliata ma grazie a loro ho capito che non era così. Si avevo commesso un errore, perché nei miei sogni c’era quello di costruire una famiglia ma avevo bruciato le tappe, ora però rimediavo assumendomi le mie responsabilità. Se da loro mi sentivo sostenuta c’era però gente che mi dava dell´incosciente perché a quella età “non puoi pensare di fare la mamma”. Mi sentivo giudicata ma non mi sono mai vergognata della mia scelta. Faceva male spiegare che ero sola ma poi ci ho fatto l´abitudine. Io e mio figlio siamo andati avanti da soli, sempre seguiti con amore dal Segretariato e dalla mia famiglia. Il Signore che poi ho scoperto in un percorso di vita cristiana dopo qualche anno ha messo sulla mia strada una splendida persona che ha voluto condividere la sua vita con me e Daniel. Oggi sono felicemente sposata e oltre a Daniel che ha 9 anni ho altri due bambini piccoli di 3 anni e 5 mesi. E benedico Dio per quanto ha operato nella mia vita. 29

testimonianza 1

Accogliere la vita concepita


testimonianza 2

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EDITH

MOVIMENTO ITALIANO PER LA VITA

Mi chiamo Edith e vengo dalla Nigeria. Sono arrivata in Italia circa 6 anni fa: mio marito lavorava a Reggio Emilia e mi ha detto di venire, insieme ai nostri due figli. I ragazzi a quel tempo avevano 6 e 4 anni. Ma quando sono arrivata in Italia, tutto è stato molto difficile. Io non parlavo italiano e mio marito mi diceva che dovevo sempre stare in casa: non voleva che andassi neppure a fare la spesa. Mio marito era sempre arrabbiato e mi picchiava. Un giorno scoprii che aveva delle altre donne. Una sera mi picchiò così tanto che dovetti andare all’ospedale: mi dissero che dovevo fare una denuncia alla polizia, ma non sapevo l’italiano e non sapevo cosa fare. Un’ amica mi mandò alla Caritas e dall’assistenza sociale e loro mi aiutarono a trovare altre persone che mi potessero aiutare. Mi portarono anche alla coop. Madre Teresa: si misero d’accordo con don Davide e mi ospitarono in una casa di prima accoglienza. Volevo provare a lavorare: il lavoro mi serviva anche per non pensare a tutti i miei problemi. Accettai di fare volontariato in un laboratorio di pasta fresca che la cooperativa Madre Teresa stava aprendo. All’inizio fu difficile: non capivo una parola di italiano e la prima volta che arrivai stavano facendo i tortellini! E poi lasagne, rosette e molto altro: io cucinavo in Africa per la mia famiglia, ma erano ricette molto diverse. In Nigeria io ero maestra di matematica. La mia tutor, Barbara, mi spiegò un po’ alla volta, facendomi vedere con le mani quello che dovevo fare oppure

chiedendo ad altre ragazze africane di tradurmi le istruzioni. Dopo qualche mese di volontariato mi dissero che ero brava e che mi avrebbero assunto. E così è arrivato il primo vero stipendio. Ho lasciato la casa di accoglienza e ho trovato un appartamento in affitto. Appena sono diventata indipendente e sembrava che tutto andasse bene, mio marito è tornato: non aveva più un lavoro ed voleva tornare ad abitare con me. Ero molto arrabbiata con lui ma Dio ci ha insegnato a perdonare: e io che ho sempre letto la Bibbia, l’ho accolto di nuovo in casa. Dopo poco tempo ero in cinta di una bimba, Viola. Ma quando Viola è nata, mio marito ha ricominciato ad essere violento: mi prendeva lo stipendio e picchiava i bimbi. Mio marito diceva che se lo denunciavo, riportava i bimbi in Africa. Avevo molta paura e piangevo sempre. Le maestre e gli assistenti sociali hanno chiamato il tribunale di Bologna e l’incubo è finito. Adesso Viola ha due anni, i due ragazzi grandi vanno a scuola, e continuo ancora a lavorare presso il laboratorio di Mani in Pasta, che intanto è diventato più grande. La mia vita è serena, voglio continuare ad abitare in Italia e spero che i miei figli diventino italiani a tutti gli effetti. Già adesso mangiano lasagne e spaghetti piuttosto che il nostro riso fritto. Tante persone qui ci vogliono bene, e adesso Barbara, la mia tutor, don Davide, il mio referente spirituale e Lino, il presidente della cooperativa Madre Teresa, sono la mia nuova famiglia. So che da loro basta bussare e troverò una porta aperta. Oggi sono venuta qui anche per dire grazie, grazie a Barbara , a don Davide, a Lino, e a tutti gli italiani che mi hanno aiutata: oggi pregherò anche per voi.

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PAOLA PELLICANÒ

ASSOCIAZIONE DONUM VITAE

Prima di essere un’opera da fare, la pastorale della vita è commozione che ci deve attraversare. Attraversare lo sguardo perché diventi «contemplativo», capace di «vedere la vita nella sua profondità e bellezza, scoprendo in ogni persona l’immagine vivente del Creatore» (EV, 83). Attraversare la mente perché si faccia illuminare dalla conoscenza della verità, anche scientifica, sullo sviluppo della vita, l’identità umana, il senso delle relazioni, cogliendo l’inganno di tutte le manipolazioni che la sovvertono. Attraversare il cuore perché si lasci invadere dalla grandezza del dono ricevuto: quel «Vangelo della vita» che raggiunge e tocca tutti, in ogni istante dell’esistenza. Tutti abbiamo visto la luce, concepiti da un incontro unico d’amore; tutti aneliamo all’amore vero, la cui sete di pienezza è scritta nella corporeità e ses-

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sualità umana; tutti incontriamo la disabilità della sofferenza, il cui mistero ci trasforma e ci provoca, o forse la solitudine della vecchiaia; tutti siamo chiamati alla morte che ci introduce all’eternità. Il Vangelo della vita è dono che si fa carne in ogni carne umana; così, giunge alle nostre mani che, colme di stupore e gratitudine, restituiscono il dono! Ecco le «vocazioni al servizio» (EV, 88), l’essere operatori della pastorale della vita: nell’accoglienza incondizionata della vita nascente e nel sostegno delle difficoltà; nella promozione e nella difesa della famiglia; nell’insegnamento dei metodi naturali, per la procreazione responsabile e l’apertura al vero senso della fecondità; nel sostegno a persone con dipendenze o disabilità; nella cura di minori, anziani, poveri, morenti; nell’impegno culturale e socio-politico; nello sconfinato campo dell’educazione alla dignità della persona e dell’amore umano…

testimonianza 3

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La pastorale della vita


testimonianza 4

Il destino di eternità di ogni giorno MAURIZIO GAGLIARDINI ASSOCIAZIONE DIFENDERE LA VITA CON MARIA

È una ferita che lacera il cuore e la vita. Pensiamo alle famiglie, ai genitori che vivono il rimorso, la sofferenza e l’apprensione, e che dopo la perdita d’un figlio possono domandarsi: dov’è, ora, il mio bambino? A questa domanda che sale dal profondo desideriamo rispondere con l’annuncio del Vangelo della resurrezione. Al riguardo sono straordinariamente toccanti le parole di sant’Agostino: «Ciò che diremo a riguardo della resurrezione dei neonati, si deve intendere come riferito anche ai non nati». La Chiesa tanto crede a un destino eterno di gloria per

i bambini che muoiono prima di nascere, che per loro prega, onorandone le spoglie mortali col rito delle esequie e con la sepoltura. E lo sguardo della Chiesa, in questo grande mistero di morte e risurrezione, non può che essere indirizzato al volto sofferente di Gesù. La Chiesa infatti, Madre come e secondo Maria sotto la croce, versa lacrime di afflizione, pregando con speranza per chiedere la forza della consolazione divina in terra e il cielo per tutti i bambini non nati. Imploriamo così la grazia di una nuova civiltà della vita che assieme allo Spirito lenisca le ferite e ci dia la forza di proclamare la grandezza della misericordia divina, che prepara un destino radioso di eternità a ogni uomo privato della luce di questo mondo.

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monianza delle parole di San Paolo: “Non appartenete a voi stessi”. Essi dichiarano che la loro vita, le loro scelte, i loro corpi appartengono a Dio, e che la vera libertà consiste nell’unirsi a lui, non nell’affermare la propria volontà.

FRANCK PAVONE ASSOCIAZIONE PRIEST FOR LIFE

Il sacerdozio e il ministero a sostegno della vita sono profondamente legati perché, come afferma l’Evangelium Vitae, “Il Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo” (n. 2). Difendere la dignità della persona umana non è un compito “aggiuntivo” del nostro ministero, ma sgorga indissolubilmente dal suo cuore.

Nel suo impegno a favore della vita, la Chiesa non punta il dito per condannare, ma stende le sue mani con misericordia e speranza, per sollevare dalla propria disperazione chi aveva pensato di dover abortire e chi ha già abortito. Noi di “Priests for Life” operiamo attraverso la Vigna di Rachele, il più grande ministero orientato alla guarigione dopo un aborto. Ha aiutato persone che hanno avuto anche fino a 25 aborti. Nell’Evangelium Vitae è espresso l’impegno della Chiesa per il perdono e la guarigione di queste persone. I sacerdoti e i religiosi sono un segno e un invito alla riconciliazione e alla misericordia. La guarigione coinvolge non solo la mamma e il papà, ma l’intera famiglia, gli amici, e perfino gli abortisti. Coloro che hanno avuto degli aborti possono, come afferma l’Evangelium Vitae, mediante la loro testimonianza di dolore e di desiderio di guarigione, essere la voce più eloquente a sostegno della vita.

Cristo dona se stesso sulla Croce e nell’Eucaristia, ed è lì che troviamo il significato dell’amore: mi sacrifico per il bene dell’altro. Questo è l’esatto contrario dell’aborto, che invece dice: sacrifico l’altro per il mio bene. Le stesse parole che Gesù e i suoi sacerdoti usano per annunciare l’amore sono utilizzate dai sostenitori dell’aborto: questo è il mio corpo. Alcuni gestiscono il proprio corpo in modo tale da provocare la morte di altri; Cristo dona il proprio Corpo affinché altri vivano. Coloro che vivono la vita consacrata rendono testi-

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testimonianza 5

La purificazione della memoria


Pasqua di risurrezione “Cessi il fragore delle armi”

PACE E LIBERTÀ per Siria, Iraq, Terra Santa, Libia, Yemen, Nigeria, Sud-Sudan, Kongo, Kenia, Ucraina Per entrare nel mistero bisogna “chinarsi”, abbassarsi. buona convivenza tra i diversi gruppi che compongono Solo chi si abbassa comprende la glorificazione di Gesù questi amati Paesi. La comunità internazionale non rie può seguirlo sulla sua strada. manga inerte di fronte alla immensa tragedia umanitaIl mondo propone di imporsi a tutti costi, di competere, ria all’interno di questi Paesi e al dramma dei numerosi di farsi valere … Ma i cristiani, per la grazia di Cristo rifugiati. Pace imploriamo per tutti gli abitanti della morto e risorto, sono i germogli di un’altra umanità, Terra Santa. Possa crescere tra Israeliani e Palestinesi nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli la cultura dell’incontro e riprendere il processo di pace altri, di non essere arroganti ma L’intesa raggiunta a Losanna disponibili e rispettosi. Questa non è debolezza, ma vera sia un passo definitivo forza! Chi porta dentro di sé la forza di Dio, il suo amore e la sua verso un mondo più sicuro giustizia, non ha bisogno di usare e fraterno violenza, ma parla e agisce con la forza della verità, della bellezza e dell’amore. così da porre fine ad anni di sofferenze e divisioni. Dal Signore risorto oggi imploriamo la grazia di non ce- Pace domandiamo per la Libia, affinché si fermi l’asdere all’orgoglio che alimenta la violenza e le guerre, surdo spargimento di sangue in corso e ogni barbara ma di avere il coraggio umile del perdono e della pace. violenza, e quanti hanno a cuore la sorte del Paese si A Gesù vittorioso domandiamo di alleviare le soffe- adoperino per favorire la riconciliazione e per edificare renze dei tanti nostri fratelli perseguitati a causa del Suo una società fraterna che rispetti la dignità della persona. nome, come pure di tutti coloro che patiscono ingiu- Anche in Yemen auspichiamo che prevalga una costamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze mune volontà di pacificazione per il bene di tutta la poin corso. Ce ne sono tante! polazione. Pace chiediamo anzitutto per l’amata Siria e per l’Iraq, Nello stesso tempo con speranza affidiamo al Signore perché cessi il fragore delle armi e si ristabilisca la che è tanto misericordioso l’intesa raggiunta in questi

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giorni a Losanna, affinché sia un passo definitivo verso un mondo più sicuro e fraterno. Dal Signore Risorto imploriamo il dono della pace per la Nigeria, per il SudSudan e per varie regioni del Sudan e della Repubblica Democratica del Congo. Una preghiera incessante salga da tutti gli uomini di buona volontà per coloro che hanno perso la vita – penso in particolare ai giovani uccisi giovedì scorso nell’Università di Garissa, in Kenia –, per quanti sono stati rapiti, per chi ha dovuto abbandonare la propria casa ed i propri affetti. La Risurrezione del Signore porti luce all’amata Ucraina, soprattutto a quanti hanno subito le violenze del conflitto degli ultimi mesi. Possa il Paese ritrovare pace e speranza grazie all’impegno di tutte le parti interessate. Pace e libertà chiediamo per tanti uomini e donne soggetti a nuove e vecchie forme di schiavitù da parte di persone e organizzazioni criminali. Pace e libertà per le vittime dei trafficanti di droga, tante volte alleati con i poteri che dovrebbero difendere la pace e l’armonia nella famiglia umana. E pace chiediamo per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi, che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne.

Agli emarginati, ai carcerati, ai poveri e ai migranti che tanto spesso sono rifiutati, maltrattati e scartati; ai malati e ai sofferenti; ai bambini, specialmente a quelli che subiscono violenza; a quanti oggi sono nel lutto; a tutti gli uomini e le donne di buona volontà giunga la consolante e sanante voce del Signore Gesù: «Pace a voi!» (Lc 24,36) «Non temete, sono risorto e sarò sempre con voi!» (cfr Messale Romano, Antifona d’ingresso del giorno di Pasqua). MESSAGGIO URBI ET ORBI, 5 APRILE 2015

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Aiuti al Nepal Papa Francesco ha inviato, attraverso il dicastero “Cor Unum”, un primo contributo di 100 mila dollari per il soccorso alle popolazioni del Nepal colpito dal terribile terremoto. Secondo i dati al momento a disposizione, ma purtroppo non ancora definitivi, le vittime sarebbero oltre 10.000 e migliaia e migliaia i feriti. La somma stanziata a nome del Papa è stata inviata alla Chiesa locale, impiegata a sostegno delle opere di assistenza svolte in favore degli sfollati e dei terremotati, e vuole essere una prima e immediata espressione concreta dei sentimenti di spirituale vicinanza e paterno incoraggiamento nei confronti delle persone e dei territori colpiti, che Papa Francesco ha assicurato nel corso del Regina Coeli di domenica 26 aprile. Conferenze episcopali e organismi di carità cattolici sono già ampiamente impegnati nell’opera di soccorso.

sono delle vittime… Quelle persone non hanno ricevuto alcun aiuto! Sono anche le continue scosse ad impedire spesso agli aerei di atterrare, come è accaduto ad un’èquipe di Medici senza frontiere dirottata in India: quelle che sono già arrivate già stanno operando, con quali priorità in situazioni simili? Ce lo spiega Stefano Zannini Direttore supporto alle operazioni, di Medici senza frontiere: La priorità in questo momento è sicuramente quella di

Presenza della Chiesa cattolica Il religioso gesuita portoghese padre Juan Cabrai, è stato il primo sacerdote cattolico a raggiungere il Nepal nel 1628 e solo nel 1670 il re Pratap Malia invitava i gesuiti a stabilirsi nel paese. Nel 1703 era l’ora dei francescani cappuccini italiani che operavano nella parte centrale e orientale del Nepal. La conquista del potere da parte dei Gorkha, nel 1769, fermava l’evangelizzazione per quasi due secoli. E solo nel 1951 alcuni gesuiti indiani e americani potevano entrare in Nepal per insegnare, ma senza esercitare il ministero pastorale. Analogamente succedeva per le suore dì Nostra Signora di Loreto, nel 1955. Nel 1968 veniva ordinato il primo sacerdote nepalese; era un religioso gesuita. Nel 1973 venivano adottate dalle autorità severe misure per evitare le conversioni al cristianesimo, e decine di cristiani venivano incarcerati senza processo. Il 7 ottobre 1983 il territorio del Nepal, fino ad allora sotto la giurisdizione della diocesi indiana di Pattna, veniva eretto in Missio sui iuris, con sede nella capitale Kathmandu, e veniva affidata ai gesuiti. Sul finire degli anni Ottanta diverse congregazioni religiose, maschili e femminili, aprivano le loro case in diversi luoghi del paese. L'8 novembre 1996 la missione in Nepal veniva elevata a Prefettura Apostolica, e il 10 febbraio 2007 a Vicariato Apostolico. Come primo Vicario Apostolico veniva nominato padre Anthony Francis Sharma, gesuita, nativo di Kathmandu, che ne era stato responsabile fin dalla creazione della Missio sui iuris. L’attuale Vicario Apostolico, nominato il 25 aprile 2014, è mons. Paul Simick, del clero di Darjeeling. Secondo l’annuario statistico della Chiesa il Nepal ha 29.129.000 abitanti, di cui 8.000 cattolici. 11 le parrocchie; 60 stazioni missionarie; 1 Vescovo; 18 sacerdoti diocesani; 58 religiosi; 13 fratelli religiosi; 165 religiose. La Chiesa gestisce 17 centri di assistenza e di beneficenza; 22 scuole materne; 28 primarie e 23 medie, tra superiori e inferiori.

È un balletto di cifre tutte agghiaccianti quello che continua ad arrivare dal Nepal: tra i 6 e gli 8 milioni le persone interessate, più di un milione i senzatetto che hanno paura, fame e freddo nei 34 Distretti colpiti dal sisma. Intanto, si continua a scavare sotto le macerie e migliaia di cadaveri estratti vengono avvolti in teli e disposti lungo strade e corsi d’acqua, dove giorno e notte si procede con il rito delle cremazioni di massa, anche per evitare epidemie. Altro problema è che le comunicazioni sono interrotte: diverse località nelle vallate più remote sono ancora isolate. “Qui c’è solo caos e paura”, racconta Ingo Radtke, segretario generale di Malteser international, organizzazione di soccorsi d’urgenza dell’Ordine di Malta che ha una squadra in Nepal:

Sì, Questo è un altro problema! È già difficile arrivare nel Paese: l’aeroporto è piccolo… Noi sappiamo che ci sono stati degli aerei che avrebbero voluto atterrare, ma che non hanno potuto farlo e che sono stati costretti a rientrare a Delhi. Non c’era posto in aeroporto … Non ho alcuna notizia al momento sullo stato delle strade: ho sentito parlare della caduta di pietre. Tutto è bloccato anche per i rifornimenti e gli aiuti... L’epicentro del sisma è stato a 80 chilometri a nordovest di Katmandu e non abbiamo alcuna notizia riguardo a quella zona, perché è difficile riuscire ad arrivarci… Ma bisogna farlo! Siamo assolutamente certi che anche lì ci 36


aumentare la capacità chirurgica delle strutture locali. Il motivo è molto semplice, le operazioni chirurgiche sono quelle che permettono oggi di salvare vite umane. E per farlo è essenziale avere materiale, personale, sale operatorie. Su questi aspetti stiamo lavorando oggi. Rischio epidemie: si dice che siano in atto anche numerose cremazioni proprio per evitarne la diffusione … Sul rischio epidemie mi sento di dire sostanzialmente due cose. La prima è “CHIEDO IL SOSTEGNO che l’esperienza di tutti questi anni in DELLA SOLIDARIETÀ FRATERNA” contesti di questo tipo ci ha mostrato come il rischio di epidemie legato “Desidero assicurare la mia vicinanza alle popolazioni colpite da un forte terremoto in Nepal e nei Paesi confinanti. Prego per le prettamente ai cadaveri sia estrema- vittime, per i feriti e per tutti coloro che soffrono a causa di questa mente basso se non nullo. Certo, con- calamità. Abbiano il sostegno della solidarietà fraterna. E predizioni igienico sanitarie invece ghiamo la Madonna perché sia loro vicino”. molto precarie, acqua contaminata, PAPA FRANCESCO, dopo Angelus 26 APRILE 2015 possono generare epidemie: penso al tifo, penso al colera, etc. E questa è una cosa sulla quale Sappiamo che lei ha lunga esperienza in zone terremotate: in questa situazione particolari ci sono difficoltà dobbiamo lavorare il prima possibile. ulteriori? È diversa questa realtà dalle altre? Quanto ci “Manca tutto”, ha testimoniato in queste ore un medico vorrà per raggiungere tutti? che è proprio nella zona di Kathmandu, manca tutto La difficoltà è che mi pare importante e che differenzia dal punto di vista medico. La vostra azione è anche di un po’ questo terremoto da quello di Haiti è l’estrema rifornimento? dispersione di questi villaggi nella zona rurale e le Assolutamente sì. Noi stiamo facendo partire proprio grandi difficoltà di accesso: cioè, se ad Haiti il sisma in queste ore da Bordeaux e da Bruxelles 65 tonnellate aveva colpito soprattutto la capitale e un altro paio di di materiale e un ospedale gonfiabile. Alcuni camion città raggiungibili facilmente in macchina, oggi parsono entrati ieri in Nepal dall’India e stanno portando liamo di difficoltà logistiche estremamente importanti materiale prettamente medico - garze, bisturi, guanti - per poter raggiungere la popolazione che ha bisogno. e materiale non sanitario, come, per esempio, pompe Penso che un intervento come quello che si sta profigeneratori, quello che serve per garantire elettricità e lando in Nepal prenderà diversi mesi perché i bisogni acqua potabile. L’acqua è assolutamente necessaria per sono importanti e perché il sistema sanitario farà molta effettuare interventi chirurgici. In media ogni opera- fatica a riprendersi. “Aiuti lenti e inefficaci”, ammette anche il premier nezione consuma circa 100 litri di acqua pulita. palese, chiedendo ancora aiuto alla comunità internaQuali sono le zone, secondo voi, più difficoltose in base zionale: alla Chiesa si unisce l’ Onu che ha stanziato 15 alle notizie che avete? milioni di dollari e ha inviato i primi camion con riforLa fotografia che abbiamo oggi di Kathmandu è quella nimenti alimentari che stanno entrando in Nepal indi una città non completamente distrutta, diversi edifici sieme alle squadre di medici dell’Organizzazione sono rimasti in piedi, ospedali a pieno regime, man- Mondiale della Sanità. Intanto la terra continua a trecanza di materiale. Quello che ci preoccupa, oltre a mare: addirittura secondo gli studiosi l’intensità dei moquesto, però è la zona rurale, la zona che sta soprattutto vimenti tellurici avrebbe fatto sprofondare di tre metri a nordovest della capitale Kathmandu. Abbiamo sor- l’area di Kathmandu. Difficoltà estreme si registrano volato ieri una sessantina di villaggi e di questi 60, circa anche sull’Everest dopo le valanghe succedute al sisma: 45 erano o distrutti o parzialmente danneggiati. L’unica ancora ignoto il numero totale dei dispersi, una quapossibilità di accesso in tempi rapidi è l’elicottero. rantina sono italiani, tra cui 4 i morti accertati.

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Cardinale Parolin: Curare i mali e le ferite di una società che soffre Il drammatico attentato in Tunisia, l’Anno Santo della misericordia e il fenomeno della corruzione. Sono i temi su cui si è soffermato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, poco prima di partecipare a Roma, presso il Palazzo della Cancelleria, all’incontro per celebrare il 25.mo anniversario del ripristino delle relazioni diplomatiche tra Romania e Santa Sede. Queste le parole pronunciate al microfono di Amedeo Lomonaco dal porporato che condanna innanzitutto la strage in Tunisia: Una cosa crudelissima e inumana, veramente inconcepibile. Da condannare nei termini più assoluti. E si deve sperare che, in nome di Dio, non si commettano più violenze. Quali frutti porterà l’Anno Santo della Misericordia? Come diceva Giovanni Paolo II, la misericordia è la medicina di Dio per i mali dell’umanità. Io spero che, in questo Anno Santo, questa medicina venga usata in dosi particolarmente massicce e che quindi riesca a curare davvero tutti i mali e le ferite di cui questa società soffre.

E tra i mali della società c’è anche la corruzione che, vediamo, continua a colpire l’Italia … C’è anche questo. Anche di questo bisogna essere guariti. La medicina funziona se c’è anche la disposizione del soggetto a riceverla e a lasciarla lavorare. Questo significa un impegno forte da parte di tutti e di ciascuno per combattere questo fenomeno e per vivere in maniera onesta, per essere onesti e integri in tutti gli ambiti della vita.

UN TREMENDO MASSACRO Papa Francesco ha espresso il suo profondo dolore per quanti hanno perso la vita nella strage di Tunisi. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, inviato all’arcivescovo di Tunisi mons. Ilario Antoniazzi, Papa Francesco ribadisce la sua “ferma condanna di ogni atto contro la pace e la sacralità della vita umana” e “si unisce con la preghiera al dolore delle famiglie” delle vittime e “a tutte le persone colpite da questo dramma, così come all’intero popolo tunisino". Il Papa “chiede al Signore di accogliere nella pace le persone decedute e di confortare quanti sono gravemente feriti”. Per il momento ancora non ci sono rivendicazioni, anche se l’ipotesi principale punta al sedicente Stato Islamico. La Tunisia vive dopo la strage la paura e l’incertezza. Tutte le prime pagine dei siti web locali e del mondo riportano il tremendo massacro di mercoledì 18 marzo 2015. Secondo le ricostruzioni un commando di terroristi ha tentato l’assalto al Parlamento, poi ha ripiegato sul Museo del Bardo a Tunisi. Vengono presi ostaggi, dopo il blitz delle forze di sicurezza si contano 23 morti, 18 turisti stranieri: , 4 italiani; 3 francesi; 3 giapponesi; 2 spagnoli; 2 colombiani; 1 britannico; 1 russo; 1 belga; 5 tunisini. E’ soltanto l’inizio ha detto l’Isis. Mobilitato esercito e polizia: tre complici arrestati, mentre un quarto risulta ricercato. A Tunisi nella notte si sono tenute manifestazioni di protesta contro il terrorismo. Il presidente tunisino Essebsi ha ribadito che nei confronti del terrorismo non ci sarà alcuna pietà. “Di lunga guerra” ha parlato il premier Essid, che ha lanciato un appello all’unità e ha ordinato urgenti provvedimenti soprattutto per i siti turistici. Un “atto ripugnante e un grave crimine che non può essere tollerato”. È il commento di Rafiq al-Aouni, leader del consiglio consultivo del Fronte della Riforma, partito islamico tunisino di orientamento salafita. A Torino, il giorno dopo la strage, si è svolta una fiaccolata di solidarietà e di preghiera per le vittime della città capoluogo e di Novara. 38


Vescovo di Tunisi: Fermare i terroristi ma non chiudere il dialogo dice che bisogna fermarli, però lasciare le porte aperte al dialogo. Qui è la stessa cosa: non possiamo permettere che facciano quello che vogliono, che terrorizzino la gente. Però credo sia necessario aiutare nella crescita. Per molti anni, al tempo delle dittature, soprattutto quella di Ben Ali, chi andava nelle moschee non era visto di buon occhio. Risultato: oggi c’è un vuoto di valori nei giovani, un vuoto di cultura perché non conoscono bene la storia del loro passato, che è gloriosa e bella, un vuoto religioso. Quando mancano i valori in una persona, il primo che arriva riempie la testa e si corre il rischio di seguire qualcosa di pericoloso e poi si arriva a situazioni che sono inspiegabili. Come adesso in cui ci si pone la domanda di come sia possibile che il popolo tunisino, che è credente, pieno di cultura sia invece quello che ha offerto più combattenti all’Is.

“Dolore, sconcerto e umiliazione” Così mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tripoli dopo l’attentato al museo del Bardo. Il presule si sta recando in vari ospedali della città per far visita ai feriti, colpiti - ha detto - da un "atto insensato di violenza”. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: Prima di tutto vorrei dire che siamo vicini a chi soffre, vicini alle famiglie di coloro che sono morti e a chi è rimasto ferito. Poi vorrei dire che questa non è l’espressione del popolo tunisino che non capisce in queste ore come sia possibile che siano state uccise e ferite delle persone. Il popolo tunisino è un popolo accogliente e buono. Il Paese sembrava vivere una nuova stagione dopo la “primavera araba”. Questo episodio mette a rischio questo percorso di democrazia? Il pericolo c’è sempre, perché ci sono molte cellule dell’Is anche qui, anche se non si sa dove siano; però non dobbiamo dimenticare che il popolo tunisino è un popolo di cultura che ama la pace e questo ci dà tanta speranza. La prima reazione è stata quella di manifestare il sostegno al governo e il rifiuto di ciò che è accaduto. La speranza, sempre grande, è che - prendendo spunto dal passato e da come si sono comportati i tunisini - questa sia una “nuvola molto triste” che è passata e speriamo non ritorni più.

Qual è il vostro impegno come Chiesa sul territorio? Il nostro impegno è quello di sempre: mostrare attraverso la testimonianza di Cristo i valori umani e sociali che non possono mancare in qualsiasi persona – che sia cristiana o non cristiana - attraverso le nostre scuole, i nostri incontri e le relazioni. In questo momento ancora di più … In questo momento di sofferenza la Chiesa deve prendere una posizione molto più forte e la convinzione che abbiamo da fare un lavoro in profondità più grande, iniziando dai nostri cristiani che hanno un contatto diretto con il popolo tunisino.

Voi avete paura? Come Chiesa no, perché fino ad ora noi non abbiamo avuto nessun segno che sia un movimento contro la Chiesa o contro i cristiani. Abbiamo la paura che hanno tutti, quella di trovarci coinvolti perché al posto sbagliato, nel momento sbagliato, ma niente di più.

Vuole lanciare un appello attraverso le pagine di Luce Serafica? Prima di tutto non fare di tutta un’erba un fascio: la Tunisia è un popolo islamico – è vero - un popolo musulmano, però non sono tutti terroristi. La Tunisia soffre moltissimo per questa situazione e farà di tutto per uscire. Le speranze che noi abbiamo, anche con un po’ di tremore, sono di pace e di un futuro che può essere ancora tranquillo per la Tunisia.

La prima risposta è stata quella di dire: “La guerra al terrore verrà combattuta senza pietà”, altri hanno sottolineato: “La via da perseguire è quella del dialogo, del confronto. Non bisogna perdere il controllo dei nervi in questo momento”. Cosa ne pensa? La posizione da seguire è quella del Papa, quando

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PAKISTAN TEMPO DI LUTTO E DI PREGHIERA Tempo di lutto e di preghiera per la Chiesa in Pakistan: i fedeli cattolici subito dopo la strage hanno celebrato una “speciale Giornata di preghiera per le vite innocenti dei martiri”. Lo ha annunciato, in una nota ripresa dall’agenzia Fides, mons. Sebastian Shaw, arcivescovo di Lahore, dopo il duplice attentato suicida che il 15 marzo, ha colpito la chiesa cattolica di San Giovanni e quella protestante, la “Chiesa di Cristo”, a Youhanabad, sobborgo interamente cristiano alla periferia di Lahore. Le vittime innocenti definite “martiri” L’arcivescovo annunciava che le scuole e gli istituti cattolici restavano chiusi per commemorare le vittime innocenti, e definiva “martiri” quanti “hanno dato la loro vita nell’incidente per salvare migliaia di persone”. “Il loro sangue non sarà stato versato invano e porterà la pace a tutti i cittadini del Pakistan”. Condannando i barbari atti e chiedendo maggiore impegno del governo a protezione dei cristiani pakistani, mons. Shaw pregava “perché la pace e l’armonia prevalgano nel Paese”, invitando tutti i cittadini a “rigettare apertamente violenza e terrorismo”. La Chiesa chiede di non reagire con la violenza Anche mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan ha diffuso una nota, inviata all’agenzia Fides, in cui diceva: “La Chiesa cattolica condanna fermamente i brutali attacchi suicidi alle chiese di Lahore. Supplichiamo il governo del Punjab e il governo federale del Pakistan affinchè prendano adeguate misure per la protezione delle chiese e delle minoranze religiose in Pakistan. Chiediamo ai fedeli di non reagire con la violenza e di collaborare con le forze di polizia nelle

indagini. Preghiamo il Signore nostro Gesù Cristo per la guarigione dei feriti e per le famiglie delle vittime”. Il Pakistan è chiamato ad unirsi contro il terrorismo “Il governo, i partiti politici, i leader religiosi e ogni cittadino del Pakistan – ha ricordato mons. Coutts – sono chiamati a prendere posizione contro le forze estremiste, a fianco dei loro fratelli e sorelle cristiani. Atroci episodi come questo, esigono che tutta la nazione si unisca contro il terrorismo. I credenti di tutte le religioni devono promuovere la pace e l’armonia sociale e proteggersi a vicenda dal terrorismo. La Chiesa cattolica e le minoranze religiose in Pakistan chiedono al governo di adottare misure efficaci per garantire la libertà di religione nel Paese”.

ORDINARI TERRA SANTA APPELLO PER RIFUGIATI SIRIANI E IRACHENI Un invito alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite ad intervenire a favore dei rifugiati siriani e iracheni in Giordania “per non lasciarli nella loro situazione di disperazione” e un appello per la ricostruzione di Gaza “per aiutare le migliaia di famiglie rimaste senza casa dopo l’ultimo conflitto”. È quanto chiedono gli Ordinari cattolici di Terra Santa al termine della loro Assemblea svoltasi il 10 e 11 marzo nel Salone della Custodia a Gerusalemme. Problema della scuola in Israele Durante i lavori gli Ordinari - riferisce l’agenzia Sir hanno discusso anche della situazione della scuola che dovrebbe, a loro avvivo, “continuare ad offrire, oltre ad eccellente formazione accademica e umana, la formazione religiosa a tutti gli studenti”. In particolare, per le scuole in Israele i vescovi invitano “a proseguire il dialogo con il Ministero dell’Istruzione per risolvere la 40


questione delle sovvenzioni e della partecipazione dei genitori al sostegno finanziario delle scuole, con la convinzione che lo scopo delle nostre scuole non è il profitto ma l’educazione per eccellenza”. Gioia per la canonizzazione delle due beate arabe palestinesi Durante l’Assemblea svoltasi a Gerusalemme i vescovi cattolici di Terra Santa hanno affrontato anche il tema del prossimo Sinodo sulla famiglia che si terrà a Roma ad ottobre. Nella nota diffusa al termine dei lavori i vescovi sottolineano “la necessità di migliorare la preparazione al matrimonio e la formazione continua delle coppie di fede”. Augurando che il Sinodo “porti molti frutti” i vescovi sperano in un “approfondimento relativo alla nullità del matrimonio rendendola più flessibile senza toccare il principio dell’unità e indissolubilità del matrimonio”. “Immensa gioia” viene infine espressa dall’Assemblea per la prossima canonizzazione delle due beate arabe palestinesi Marie Alphonsine Ghattas, fondatrice della Congregazione del Rosario, e Maria di Gesù Crocifisso Bawardi, fondatrice del monastero carmelitano di Betlemme.

Monastero già trasformato in prigione In tempi recenti, secondo notizie confermate da più fonti, il monastero di San Giorgio era stato usato dai jihadisti anche come luogo di detenzione. A dicembre vi erano stati trasferiti almeno 150 prigionieri bendati e ammanettati, compresi alcuni capi tribù sunniti oppositori dello Stato Islamico ed ex membri degli apparati di sicurezza, detenuti in precedenza presso la prigione di Badush (evacuata nella previsione di un possibile attacco da parte della coalizione anti-Califfato). L’affidamento alla protezione di san Giorgio In precedenza, fonti locali avevano riferito alla Fides che presso il medesimo monastero erano stati portati gruppi di donne. “Siamo addolorati per quello che succede al monastero - dice a Fides suor Luigina, superiora delle suore caldee a Roma, nata e cresciuta a Mosul ma confidiamo che alla fine ci penserà San Giorgio, che è molto potente, come sanno bene gli abitanti di Mosul, cristiani e musulmani, che gli sono tutti molto devoti” .

SIRIA E IRAQ 14 MILIONI I BAMBINI IN CONDIZIONI DISPERATE

IRAQ DANNEGGIATO IL MONASTERO DI SAN GIORGIO A MOSUL

Circa 14 milioni di bambini soffrono a causa del conflitto in Siria e in Iraq. È quanto denuncia l’Unicef, che segnala come con l’inizio del quinto anno di conflitto in Siria, la situazione di più di 5,6 milioni di bambini all’interno del Paese rimane ancora più disperata. 2 milioni di bambini vivono nelle aree del Paese maggiormente tagliate fuori dall’assistenza umanitaria a causa dei combattimenti o di altri fattori. Circa 2,6 milioni di bambini siriani non vanno a scuola. Almeno 2 milioni di minori vivono come rifugiati in Libano, Turchia, Giordania e altri Paesi in campi in difficoltà a causa di servizi sanitari e scolastici già al collasso. Intanto, la crisi sempre più grave in Iraq ha costretto più di 2,8 milioni di bambini a lasciare le proprie case, molti altri sono intrappolati in aree controllate da gruppi armati. Le violenze cambiano il futuro degli adolescenti “Per i bambini più piccoli, questa crisi è l’unica realtà che abbiano mai conosciuto. Per gli adolescenti, le violenze e le sofferenze non hanno solamente rovinato la fanciullezza, ma anche cambiato profondamente il loro futuro dichiara Anthony Lake, direttore generale dell’Unicef spiegando che si tratta di una generazione di giovani ancora in pericolo di perdersi nel ciclo delle violenze e di far pagare poi alla prossima generazione quello che loro hanno sofferto”. Giacomo Guerrera, presidente dell’Unicef Italia, sottolinea che, grazie ai donatori italiani, sono stati raccolti oltre 3.619.000 euro per i bambini siriani.

I jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) che dallo scorso giugno hanno in mano Mosul, hanno devastato la facciata dell’antico monastero di San Giorgio appartenente all’Ordine antoniano di sant’Ormista dei caldei. Ma la chiesa – riferiscono fonti irachene all’agenzia Fides - al momento risulta essere ancora in piedi, contrariamente alle voci circolate sui media che parlavano di una sua totale demolizione tramite esplosivo. Una foto pubblicata in esclusiva sul sito ankawa.com mostra la chiesa con la facciata sventrata. Devastato il cimitero adiacente alla chiesa La furia distruttiva dei jihadisti si è concentrata sulla facciata del luogo di culto per la sua particolare configurazione architettonica, con i mattoni e le aperture disposti in modo da disegnare una grande croce. Le croci che spiccavano sulla cupola e sul tetto del monastero erano state divelte dai jihadisti già a dicembre, analogamente a quanto è accaduto alle altre chiese sparse nei territori controllati dallo Stato Islamico. Le fonti locali e la foto pubblicata dal sito iracheno confermano che a subire devastazione è stato soprattutto il cimitero adiacente alla chiesa, dove riposavano anche i corpi di molti soldati iracheni cristiani caduti durante il conflitto IraqIran.

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Rafforzare il dialogo e la fraternità Gli avvenimenti di questi ultimi tempi fanno sì che molti ci chiedano: “C’è ancora spazio per dialogare con i musulmani?”. La risposta è: si, più che mai. Prima di tutto perché la grande maggioranza dei musulmani stessi non si riconosce nella barbarie in atto. Purtroppo oggi la parola “religione” viene spesso associata alla parola “violenza”, mentre i credenti devono dimostrare che le religioni sono chiamate ad essere foriere di pace e non di violenza. Uccidere, invocando una religione, non è soltanto offendere Dio ma è anche una sconfitta dell’umanità. Il 9 gennaio 2006 Papa Benedetto XVI, indirizzandosi al Corpo Diplomatico e parlando del pericolo degli scontri fra civiltà e, in particolare, del terrorismo organizzato, affermò: “Nessuna circostanza vale a giustificare tale attività criminosa che copre di infamia chi la compie e che è tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale”. Purtroppo in questi ultimi giorni assistiamo ad una radicalizzazione del discorso comunitario e religioso, con i conseguenti rischi dell’incremento dell’odio, della violenza, del terrorismo e alla crescente e banale stigmatizzazione dei musulmani e della loro religione. In tale contesto siamo chiamati a rafforzare la fraternità e il dialogo. I credenti costituiscono un formidabile potenziale di pace, se crediamo che l’uomo è stato creato da Dio e che l’umanità è un’unica famiglia e, ancor di più, se crediamo come noi

cristiani che Dio è Amore. Continuare a dialogare, anche quando si fa l’esperienza della persecuzione, può diventare un segno di speranza. Non è che i credenti vogliano imporre la loro visione della persona e della storia, ma vogliono proporre il rispetto delle differenze, la libertà di pensiero e di religione, la salvaguardia della dignità umana e l’amore della verità. Dobbiamo avere il coraggio di rivedere la qualità della vita in famiglia, le modalità di insegnamento della religione e della storia, il contenuto delle prediche nei nostri luoghi di culto. Soprattutto la famiglia e la scuola sono le chiavi perché il mondo di domani si basi sul rispetto reciproco e sulla fraternità. Unendo la nostra voce a quella di Papa Francesco diciamo: “Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche (Ankara, 28 novembre 2014). Dichiarazione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; 22.04.2015.

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Papa Francesco incontra il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon Papa Francesco poco dopo le 9 di martedì mattina 28 aprile si è recato alla sede dell’Accademia delle Scienze, alla Casina Pio IV, in Vaticano, per un breve incontro di saluto in forma privata al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che si trovava all’Accademia delle Scienze per il successivo discorso di apertura del Workshop internazionale: “Protect the Earth, Dignify Humanity. The Moral Dimensions of Climate Change and Sustainable Development”. Nel corso dell’incontro il Segretario delle Nazioni Unite come ha spiegato egli stesso nel corso di una successiva conferenza stampa - ha manifestato al Papa la sua gratitudine per aver accettato di rivolgersi all’Assemblea delle Nazioni Unite il prossimo 25 settembre, gli ha espresso l’attesa per il suo discorso in tale occasione e per la sua prossima enciclica, e gli ha illustrato alcuni punti dell’attuale impegno delle Nazioni Unite a proposito non solo delle questioni ambientali, ma anche dei migranti e delle drammatiche situazioni umanitarie nelle aree del mondo colpite da conflitti.


Cento milioni i cristiani perseguitati e ridotti al silenzio l’Afghanistan, il Sudan, l’Iran, il Pakistan, l’Eritrea e la Nigeria. Papa Francesco ha denunciato una persecuzione “che il mondo cerca di nascondere”. Perché? I cristiani che incominciano a essere noti a tutti come la minoranza o la religione comunque più perseguitata lì dove sono, probabilmente non fanno gli interessi forse delle persone al potere o degli Stati. Non sono al centro dell’attenzione, perché per esempio in Pakistan sono una minoranza, seppur consistente, che spesso è tenuta poco più che analfabeta. Sarebbe invece di grande interesse, anche per i nostri governi, cercare di aiutare queste minoranze cristiane, alla luce anche dei flussi migratori che ci sono. L’Africa in particolare sta diventando un continente insicuro in molti Paesi … La situazione infatti è peggiorata in 33 delle 50 nazioni che noi elenchiamo e l’Africa è entrata con diversi Paesi. Ci sono Stati che si sono fortemente destabilizzati, soprattutto nella cintura del Sahel che comprende la Nigeria, il Niger, il Ciad fino al Sudan, e queste nazioni hanno fortemente risentito della caduta dei governi nella parte più a nord, come la Libia. Paesi che hanno infatti messo in giro tantissime armi e hanno armato appunto tutti questi gruppi di integralisti islamici, che ora si stanno muovendo per ottenere degli Stati basati sulla legge islamica.

15 fedeli cristiani uccisi domenica 15 marzo in Pakistan ed altri 78 feriti, 30 in gravi condizioni, in due chiese, una cattolica e l’altra protestante, sono solo le ultime vittime di una persecuzione “che il mondo cerca di nascondere”, come ha denunciato Papa Francesco all’Angelus, gridando il suo dolore per questi “fratelli che versano il sangue soltanto perché cristiani”. Quanti sono i cristiani perseguitati e in quali Paesi? Roberta Gisotti lo ha chiesto a Cristina Merola, dell’Associazione internazionale “Porte aperte”, da 60 anni a servizio dei cristiani perseguitati, in oltre 60 Stati. Le nostre stime sono attorno ai 100 milioni di cristiani perseguitati o discriminati per la loro fede. Ogni anno “Porte Aperte” stila una “lista nera” dei Paesi più a rischio per i cristiani, un fenomeno in crescita se nel 2014 si stimano 4.344 vittime e 1.062 chiese attaccate… Sì, la persecuzione è in crescita in diversi Paesi. Questa lista viene redatta tenendo conto di cinque aree della vita quotidiana nelle quali i cristiani possono o non possono vivere liberamente la loro fede: nel privato, nella famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella congregazione che frequentano e nella vita pubblica della nazione in cui vivono. A questa si aggiunge una sesta area, che serve a misurare il grado di violenze che subiscono. I primi dieci Paesi di questa lista sono la Corea del Nord, la Somalia, l’Iraq, la Siria,

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testimoni

X anniversario della morte di Giovanni Paolo II

Un grande uomo con grande cuore Il ricordo del cardinale Ruini Dieci anni fa – 2 aprile 2005 – moriva Giovanni Paolo II. Il cardinale Camillo Ruini, allora suo vicario per la Diocesi di Roma, ha ricordato così la storica giornata: Il mio ricordo personale è questo: dapprima una corsa tumultuosa, perché io abitavo in San Giovanni in Laterano e quando è giunta la notizia ho dovuto affrettarmi con l’automobile a raggiungere il Vaticano. Poi sono entrato nell’appartamento papale e lì c’era una grande tristezza, ma anche una grandissima serenità. Sono stato anche io ammesso a vedere la salma … È stato un momento di grande commozione. Lo ricordo come fosse oggi: ricordo i suoi lineamenti composti; ricordo tutto quello che, anche da morto, la sua salma esprimeva; i suoi occhi, anche se non c’era più lo sguardo di prima, quello sguardo che entrava dentro, quello sguardo che diceva la grandezza di un uomo e la grandezza del suo cuore. A due anni dall’inizio del Pontificato di Papa Francesco, quanto resta attuale la figura e la testimonianza di san Giovanni Paolo II nella Chiesa di oggi? Resta – a mio parere – totalmente attuale: attuale nel grande messaggio della nuova evangelizzazione, che Papa Francesco – con altre parole – riprende quando parla di uscire e di andare alle periferie dell’esistenza; resta attuale il suo grande coraggio di innovare, perché Giovanni Paolo II è stato un grande innovatore e anche in questo Papa Francesco – con un altro stile – si pone sulla stessa linea; resta attuale il tema della misericordia, tanto è vero che adesso avremo un Anno Santo dedicato alla Misericordia e Giovanni Paolo II – come sappiamo – è l’autore dell’Enciclica “Dives in Misericordia” – Dio ricco di misericordia – che esprime il profondo del suo cuore e che è una Enciclica nella quale si dice come la misericordia sia il centro di tutto. E anche l’ultimo libro che ha scritto riguarda ancora la misericordia, perché dice che “il

limite del male, il limite che il male non può superare è la misericordia di Dio”. Papa Francesco ha definito san Giovanni Paolo II il Papa della famiglia e proprio sulla famiglia, attraverso il cammino sinodale si sta giocando una delle sfide più importanti di questo Pontificato. Un altro elemento che dimostra l’attualità del magistero di Karol Wojtyla … Certo. Ricordiamo che il primo documento ufficiale, la prima Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II fu la “Familiaris Consortio”, che resta fondamentale e totalmente attuale. Ricordiamoci le sue catechesi sull’amore umano, che sono il primo grande ciclo di catechesi di Giovanni Paolo II, che hanno approfondito in una chiave insieme tradizionale ed estremamente moderna. Il rapporto tra i coniugi, il senso dell’amore coniugale e quindi il senso della famiglia. E ricordiamo la sua grande battaglia a favore della famiglia e contro le manomissioni del ruolo della famiglia compiute purtroppo da tanti Stati e la sua battaglia a favore della vita sintetizzate nella grande Enciclica “Evangelium Vitae”. L’attualità internazionale ci dimostra anche la fortissima attualità della predicazione di Giovanni Paolo II sul versante del dialogo interreligioso, la sua preghiera per la pace ad Assisi … Certo, anche in questo, Giovanni Paolo II ha aperto un cammino. Ricordiamoci le due giornate di Assisi che sono state davvero memorabili. Ricordiamoci la sua capacità nella piena fermezza della dottrina, però di aprire le porte, dimostrare che il cristianesimo, proprio per essere fedele a se stesso, deve essere una fede inclusiva perché ha al suo centro l’amore di Dio per noi e, per conseguenza, l’amore nostro per Dio e per il prossimo. E, quindi, essendo la religione dell’amore, è la religione che più di ogni altra favorisce il dialogo. 44


LA NOTIZIA Si è spento il 14 aprile sera a Roma il cardinale Roberto Tucci. Il 19 aprile avrebbe compiuto 94 anni. Gesuita, è stato direttore della Civiltà Cattolica e della Radio Vaticana, nonché organizzatore dei viaggi papali. Papa Francesco, in un messaggio di cordoglio inviato a padre Adolfo Nicolás, preposito generale della Compagnia di Gesù, ricorda con “animo grato” la “preziosa collaborazione” prestata per tanti decenni da questo “stimato” porporato alla Santa Sede. Ne rammenta la sua “vita operosa e dinamica, spesa nell’adesione coerente e generosa alla propria vocazione quale religioso attento alle necessità degli altri e pastore fedele al Vangelo e alla Chiesa, sull’esempio di Sant’Ignazio”. I funerali del cardinale Tucci sono stati celebrati venerdì 17 alle 15.30, nella Basilica Vaticana, dal cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio. Al termine, Papa Francesco ha presieduto il rito dell’Ultima commendatio e della valedictio.

Anche da cardinale si faceva chiamare padre Tucci Napoletano e gesuita, figlio di madre inglese di confessione anglicana, il card. Tucci dovette soffrire e faticare per farsi sacerdote e gesuita. Nonostante l’opposizione della famiglia a soli 15 anni entra nel noviziato della Compagnia di Gesù. Nel 1950 viene ordinato sacerdote. Chiamato nel 1956 a collaborare con la rivista dei Gesuiti, La Civiltà Cattolica, dopo tre anni ne assume la direzione. Durante i lavori del Concilio Vaticano II svolge un’intensa attività, sia nella fase preparatoria che nello svolgimento delle varie sessioni in veste di perito: rilevante il suo contributo alla stesura delle Costituzioni Gaudium et spes e Lumen gentium. Quotidiano era allora il suo contatto con i giornalisti di lingua italiana per informarli sui lavori conciliari. E’ poi consultore del segretariato per l’Unità dei cristiani, dal 1967 al ‘69 ricopre l’incarico di segretario generale della Provincia italiana della Compagnia di Gesù e in seguito quello di consigliere del padre gene-

Un gesuita speciale Un napoletano di razza

rale, Pedro Arrupe. Paolo VI nel 1973 lo nomina direttore generale della Radio Vaticana. E come direttore dell’emittente pontificia, padre

Tucci accompagna Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio, in Messico, nel 1979, a cui seguirono tutti gli altri di cui, dal 1982, diventa l’organizzatore principale. Papa Wojtyla lo crea cardinale alla soglia degli 80 anni, ma molti tra noi della Radio Vaticana, su sua esplicita richiesta, continuano a chiamarlo con l’appellativo di “padre” espressione dell’affetto maturato negli anni. E un rapporto di vicinanza e di profonda amicizia era quello che il card. Tucci ha vissuto con Giovanni Paolo II.

Il suo essere gesuita napoletano lo caratterizzava anche in alcune credenze popolari che mi ricordava spesso: “Io non credo al tocca ferro, ma quando vedo passare qualcuno che porta iella e meglio prevenire, tanto compiere certi gesti non costa niente”. E poi, stavamo a Betlemme, nel corso della visita di Giovanni Paolo II in terra santa durante il grande giubileo dell’anno duemila, mi diceva, mentre ero dietro all’altare per scrivere il mio articolo di inviato de L’Osservatore Romano: “Vedi, il guaio del mondo arabo è quello di essere diviso nel loro interno, altrimenti … avrebbero già vinto la loro battaglia”. Intelligente, attento, delicato, deciso al momento giusto, capacità di parlar chiaro, padre Tucci aveva lo stile del signore. Mai una parola fuori posto e sempre la risposta al momento giusto. Coniugava alla perfezione il suo essere “gesuita speciale e internazionale” e “napoletano di razza”.

dalla Città del Vaticano GIANFRANCO GRIECO Porterò nel cuore e nell’anima il ricordo di padre Roberto Tucci con il quale ho avuto il privilegio di fare il giro del mondo, con i 104 viaggi internazione del Papa “pellegrino tra le civiltà del mondo”. Di questo grande religioso gesuita voglio ricordare tre cose: la prima si sentiva francescano nell’anima e mi diceva sempre che quando i gesuiti ricordano il 17 di settembre san Roberto Bellarmino del quale portava il nome, potevano anche celebrare la feste delle stimmate di san Francesco al quale si sentiva particolarmente legato.

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Beatificato il 23 maggio a San Salvador LA PREGHIERA DI UN POPOLO AL MARTIRE OSCAR-ROMERO L’arcivescovo martire Oscar Arnulfo Romero è stato beatificato a San Salvador sabato 23 maggio, vigilia di Pentecoste. A dare l’annuncio nel corso della sua visita in Salvador, è stato mons. Vincenzo Paglia, postulatore della Causa dell’arcivescovo martire, assassinato in odio della fede il 24 marzo 1980. Il 23 maggio, sarà per sempre la memoria liturgica di Arnulfo Romero. La solenne santa Messa di beatificazione è stata presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Mons. Paglia ha voluto ringraziare Papa Francesco per aver firmato il decreto, il 3 febbraio, e ha voluto inoltre ringraziare Papa Benedetto, Papa Giovanni Paolo II e Paolo VI che hanno sempre stimato e prediletto l’arcivescovo Romero. L’annuncio della data di beatificazione era stato accolto da un fragoroso applauso durante la conferenza stampa, segno di quanto la gente, quanto gli stessi salvadoregni attendessero questa giornata per poter celebrare il loro arcivescovo. Dopo la tappa della Beatificazione, ci sarà la tappa della Canonizzazione, ha anticipato mons. Vincenzo Paglia, sottolineando però come queste non servano tanto a Romero, che è già santo, ma a tutti noi. La sua testimonianza conti-

Al Beato Oscar Arnulfo Romero O Gesù, Pastore Eterno: Tu hai fatto del Beato Oscar Arnulfo Romero un esempio vivo di fede e di carità, e gli hai concesso la grazia di morire ai piedi dell’altare in un atto supremo di amore a Te. Fa’ che seguiamo il suo esempio di amore alla tua Chiesa, alla tua Parola e all’Eucaristia e che ti amiamo nei più poveri e nei più bisognosi. Te lo chiediamo per l’intercessione della Vergine Maria, Regina della Pace.Amen. nua a generare vita e speranza nel popolo salvadoregno e soprattutto in quelle parti del popolo salvadoregno più povere, più emarginate, che hanno sempre trovato una forma di consolazione in mons. Romero. Da anni il popolo era in fermento per aspettare questo annuncio. Le persone più umili, i più poveri, aspettavano con ansia che si sapesse la data del loro “monseñor”, non c’è neanche bisogno di aggiungere Romero. E ancora la gente va sulla tomba di mons. Romero, nella cripta e lì parla con lui come se fosse vivo e gli racconta le sue pene. Mons. Romero resterà per sempre un punto di riferimento imprescindibile per i salvadoregni che sono afflitti oggi da nuovi problemi: non più la guerra civile ma la violenza dovuta al narcotraffico e ai “pandillas”.

SAN GIOVANNI PAOLO II

PAPA FRANCESCO

“Ricordati, Padre, dell’arcivescovo Romero ucciso all’altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico”

“PER ME ROMERO ERA UN UOMO DI DIO, IL SIGNORE DEVE DARE IL SUO SEGNO…”

“Ricordati, Padre dei poveri e degli emarginati, di quanti hanno testimoniato la verità e la carità del Vangelo in America fino al dono della loro vita: pastori zelanti, come l’indimenticabile arcivescovo Oscar Romero ucciso all’altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico, sacerdoti generosi, catechisti e catechiste coraggiosi, religiosi e religiose fedeli alla loro consacrazione, laici impegnati nel servizio della pace e della giustizia, testimoni della fraternità senza frontiere; essi hanno fatto risplendere le beatitudini degli affamati e degli assetati della giustizia di Dio. Siano saziati con la visione del tuo volto e siano per noi testimoni di speranza”. Romero è morto sull’altare come san Stanislao, con il Corpo di Cristo e il calice in mano … Gli altri non hanno diritto di impossessarsi del suo sacrifici … Romero è nostro, come nostro e san Stanislao Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del secolo XX, Roma, Colosseo, 7 maggio 2000

“Il processo era alla Congregazione per la Dottrina della fede, bloccato “per prudenza”, si diceva. Adesso è sbloccato. E’ passato alla Congregazione per i Santi. E segue la strada normale di un processo. Dipende da come si muovono i postulatori. Questo è molto importante, di farlo in fretta. Io, quello che vorrei, è che si chiarisca: quando c’è il martirio in odium fidei, sia per aver confessato il Credo, sia per aver fatto le opere che Gesù ci comanda, con il prossimo. E questo è un lavoro dei teologi, che lo stanno studiando. Perché dietro di lui [Romero], c’è Rutilio Grande e ci sono altri; ci sono altri che sono stati uccisi, ma che non sono alla stessa altezza di Romero. Si deve distinguere teologicamente, questo. Per me Romero è un uomo di Dio, ma si deve fare il processo, e anche il Signore deve dare il suo segno … Se Lui vuole, lo farà. Ma adesso i postulatori devono muoversi perché non ci sono impedimenti”. Conferenza stampa durante il volo di ritorno dalla Corea, 18 agosto 2014 46


Carità senza limiti “Padre Franco” cardinale dell’amore di Dio nelle periferie del mondo da Agrigento

EMANUELA BAMBARA GIORNALISTA

“Caritas sine modo”. È il motto dello stemma cardinalizio di Padre Franco, Sua Eminenza il Cardinale Francesco Montenegro. Papa Francesco lo ha nominato membro del Pontificio Consiglio per i Migranti e “Cor Unum” per la Solidarietà e gli ha assegnato la Chiesa di Sant’Andrea e San Gregorio al Celio, a Roma, mantenendolo Arcivescovo di Agrigento. «Questa nomina mi fa piacere - ha commentato il porporato - perché mi fa continuare nel cammino che avevo iniziato da sacerdote e poi da Vescovo, interessandomi di carità e di migranti. Ora il Papa mi chiede di continuare da Cardinale questo servizio». Il lavoro del Cardinale Francesco Montenegro è da sempre la carità, l’amore senza limiti. Fin dai primi anni di sacerdozio, a Messina, sua città natale, tra i rifugiati di guerra nelle zone periferiche della città, come parroco a San Clemente, poi come direttore della Caritas diocesana, quindi regionale e nazionale, dal 2013 come Presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni e della Fondazione Migrantes. All’uscita del suo primo Concistoro, il 14 febbraio 2015, il cardinale Francesco Montenegro aveva chiarito: «La carità non è l’elemosina, ma è guardare l’altro negli occhi, dargli la mano per aiutarlo ad alzarsi e abbracciarlo, aprire le braccia del cuore e della vita, sull’esempio del buon Samaritano». Alla domanda quale fosse l’emozione più grande, nel giorno più bello, vestito di porpora, aveva risposto con la semplicità evangelica e l’umiltà che lo contraddistinguono, Sua Eminenza Francesco Montenegro, padre Franco, come lo chiamano i fedeli della sua diocesi agrigentina, i messinesi e tutti coloro che hanno avuto la grazia, più che l’occasione, di conoscerlo: «Essere lì. Non lo avrei mai immaginato». Essere lì, insieme agli altri diciannove nuovi cardinali, per il “Vescovo dei migranti” è stata una sorpresa. Oltre duemila siciliani sono venuti ad abbracciare il “loro” cardinale, il nostro cardinale, in quel giorno di gioia del cuore e dello spirito, per la Chiesa agrigentina, per la Chiesa messinese, per la Chiesa siciliana, per la Chiesa universale, per i migranti di tutta la Terra. “Con don Franco”, si leggeva sui fazzoletti indossati dai pellegrini ospiti festosi. Lui resterà don Franco. Perché, dice: «Il cardinalato non è un’onorificenza, come ha detto Papa Francesco. Siamo chiamati ad essere cardini nella carità, punti di riferimento dell’amore di Dio senza confini». Ecco, questo è il nostro cardinale, Sua Eminenza don Franco. Scelto dal

Papa venuto dalla periferia della Terra e dai confini del mondo come cardine dell’amore di Dio alla periferia dell’Europa e nel mondo senza confini. Così don Franco aveva definito Lampedusa, l’isola di maggiore approdo dai Paesi del Sud del Mediterraneo nella sua Arcidiocesi di Agrigento, in occasione del primo viaggio “fuori porta” di Papa Francesco, l'8 luglio 2013. Si era detto «commosso e felice» che il Papa avesse scelto come prima tappa del suo pontificato «questa periferia del mondo, da sempre crocevia di popoli e porta dell’Europa sul Mediterraneo». E aveva aggiunto: «Papa Francesco ha detto che la vita si comprende meglio nelle periferie ed è lì che bisogna essere e impegnarsi con l’amore di Cristo». Qui, nelle periferie, tra gli ultimi delle nostre città agli angoli della Terra, servono cardini, punti di riferimento forti e solidi e, insieme, teneri e magnanimi. «Continueremo a lavorare, con amore e con coraggio. Se il Papa mi chiede di intensificare il mio lavoro, guardando al mondo, significa che lavorerò di più», è stato il primo commento da porporato agli amici in fila per salutarlo nell’Aula Paolo VI, in Vaticano. Papa Francesco ha rivolto l’invito ai nuovi cardinali a dare risposta alle domande di giustizia di tanta gente che soffre. Ed è questo che risponde il porporato della periferia Sud dell’Europa, il “Cardinale dei migranti”, a chi gli chiede come affrontare il problema e le tragedie della migrazione: «Non si può ignorare il grido di dolore e la domanda di giustizia di tanti figli di Dio. Servono politiche di solidarietà e l’impegno di ogni cristiano nella carità. Non si possono chiudere le porte e le finestre al vento di sofferenza di milioni di persone che si muovono nel mondo. Il vento non si può fermare». Il vento dell’umanità non si può fermare. Come non si ferma il vento dello Spirito Santo, che soffia dove vuole. Il vento che ha colorato di porpora la carità di un pastore di periferia, di un padre per tutti i poveri di umanità e dell’umanità, che, da segretario particolare degli arcivescovi metropoliti di Messina Monsignor Francesco Fasola e poi Monsignor Ignazio Cannavò, quindi Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela con l’Arcivescovo Giovanni Marra e, dal 2008, Arcivescovo metropolita di Agrigento, è dal 14 febbraio 2015, un cardinale della Chiesa universale. La famiglia di Dio ha celebrato così il suo San Valentino, la festa dell’amore.

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E uro Dossier 2015 pa/ 3 Sguardi sul mondo 1915-1919-1997 La seconda guerra mondiale e l’“apax” del nazismo e il processo di pace da ROMA

FRANCESCO DANTE STORICO, UNIVERSITÀ LA SAPIENZA ROMA

Ha una contabilità assurda la seconda gurdda mondiale: 46 milioni di morti: la maggior parte di questi morti erano del tutto sconosciuti, nel nome e nel volto, tranne che per quei pochi parenti ed amici. Ad essere cancellati non furono soltanto 46 milioni di donne ed uomini, la gran parte civili indifesi, ma la calda vita, la vitalità di un mondo di cui erano parte, una eredità di una generazione intera venne cancellata: un’eredità di lavoro, di affetti, di lotta, di creatività, di amore, di cultura, di speranze di felicità che, all’alba della primavera del 1945 nessuno avrebbe potuto più trasmettere. C’era un motivo che fa della seconda guerra mondiale, purtroppo, un apax nella storia dell’umanità: il nazismo. Le regole in base alle quali i nazisti agivano erano del tutto diverse da quelle che si erano andate evolvendo nel corso del secolo precedente. L’avanzata tedesca in Polonia il 1° settembre 1939 non fu una ripetizione delle tattiche della prima guerra mondiale: il metodo di Hitler, l’uomo più sanguinario della storia dell’uomo, fu quello della Blitzkrieg, della guerra lampo. Il mattino del 2 settembre aerei tedeschi bombardarono la stazione ferroviaria della città polacca Kolo. Vi era in sosta un treno di profughi : 111 di loro vennero uccisi. Misure di “ordine e polizia” vennero prese dalle SS dietro le linee tedesche. Le SS avrebbero dovuto imprigionare o, meglio, eliminare ogni nemico del nazismo: entro una settimana dal 1° settembre quasi 24.000 ufficiali e soldati dei reggimenti delle SS erano pronti ad assolvere

al loro compito: interi villaggi vennero rasi al suolo. A Truskolasy il 3 settembre 55 contadini polacchi vennero circondati e fucilati, tra loro c’era un bambino di due anni. La Shoà L’antisemitismo ha radici profonde nella storia dell’Europa; Clemente VI nel 1348 dovette emettere un editto in difesa degli ebrei in Francia, ritenuti i responsabili della diffusione della peste nera e fatti oggetto di terribili persecuzioni. Questa mentalità che si fonda sul pregiudizio nei confronti degli ebrei ha reso possibile lo stravolgimento dell’uomo dentro il continente più “civile” del mondo. E’ vero però che ancora nei primi decenni del Novecento gli ebrei vivevano come i loro concittadini non ebrei, gli uni accanto agli altri. Non aveva senso distinguerli in una società come quella europea dove si viveva insieme, senza distinzioni. L’essere ebreo era legato alla vita privata, all’associazionismo e al rispetto delle principali festività. Nel 1848 il Regno di Sardegna aveva concesso, con lo Statuto Albertino, la piena emancipazione civile e politica agli ebrei piemontesi e dopo il 1861 essa veniva estesa a tutta la Penisola. Fino alle leggi razziali del 1938 – che sarebbe più corretto chiamare “leggi razziste” – non esistette una vera e proprio questione “ebraica”: la bella e monumentale sinagoga di Roma, costruita nei primi anni del Novecento, ne è un esempio concreto. Con le leggi razziste del ’38, il primo atto della legislazione era la definizione di ebreo. L’impostazione bio48


logica del fascismo comportò che fosse il sangue a stabilire chi era ebreo. Particolarmente delicato era dunque il caso dei figli di matrimoni misti. In settembre furono emanati i primi decreti che allontanarono studenti e insegnanti dalle scuole e dalle università e imposero agli ebrei stranieri giunti in Italia dopo il 1918 di lasciare la penisola entro sei mesi. Il 17 novembre un nuovo decreto legge vietò agli ebrei di contrarre matrimoni misti; di possedere aziende di rilievo, perché ritenute strategiche per la difesa nazionale o con più di 99 dipendenti e di avere terreni o fabbricati che superassero i limiti stabiliti; di avere al proprio servizio domestici non ebrei; di prestare servizio alla dipendenza di amministrazioni pubbliche civili e militari. Nel giugno successivo la normativa sul lavoro dispose la loro cancellazione dall’albo per la maggior parte delle professioni. Nei mesi e negli anni successivi moltissimi altri divieti vennero imposti spesso attraverso atti amministrativi. Non fu nemmeno possibile vivere secondo i precetti mosaici dal momento che venne vietata la macellazione rituale kasher (ottobre 1938); entro la fine dell’anno fu sospesa la pubblicazione di tutta la stampa ebraica. L’applicazione delle leggi fu capillare grazie anche alla meticolosità con cui un’intera catena burocratica si impegnò per rispondere alle circolari con prontezza, per schedare e informare. Gli ebrei vennero allontanati da tutti i settori pubblici e privati: esercito, impieghi statali, gran parte dei posti di lavoro privati, il partito fascista e le sue organizzazioni, le associazioni culturali e per il tempo libero. Si volle cancellare la presenza degli ebrei nella vita nazionale il cui contributo doveva sparire in ogni manifestazione: non dovevano più essere pubblicati e diffusi libri di autore ebreo e allo stesso tempo vennero vietate le opere teatrali, le musiche, i film e, infine, vennero sostituiti persino i nomi delle strade intitolate ad ebrei.

di nascita: dalle pagelle, ai libretti di lavoro. I passaporti non riportarono tale dicitura allo scopo di favorire l’emigrazione. Le leggi razziste del’ 38 I nazisti concepirono e condussero il secondo conflitto mondiale come guerra razzista e di sterminio e come crociata contro il nemico bolscevico. La guerra, iniziata nel settembre 1939, avrebbe dovuto ridisegnare la carta geografica dell’Europa creando un immenso “spazio vitale” che garantisse alla Germania le risorse necessarie e fosse abitato da una gerarchia di popoli su base razziale. In questo contesto fu reso possibile lo sterminio degli ebrei, conseguenza di un complesso processo decisionale in cui Hitler ebbe un ruolo fondamentale. Mentre gli ebrei polacchi vennero rinchiusi nei ghetti, quelli dei paesi occupati ad ovest furono vittime di misure legislative sempre più radicali. L’aggressione all’Unione Sovietica nell’estate del 1941 segnò l’avvio di massacri in massa di ebrei. Nell’autunno 1941, con la deportazione degli ebrei dalla Germania, ebbe inizio lo sterminio sistematico: l’eliminazione di milioni di ebrei europei in appositi centri di morte. La maggior parte delle vittime dell’Europa occidentale e - dopo l’8 settembre 1943, dell’Italia - fu destinata al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, ma furono attivi nella Polonia occupata molti altri campi di sterminio. Il genocidio ebbe come centro motore e massimo responsabile la Germania nazista. Lo sterminio degli ebrei d’Europa avrebbe dovuto realizzarsi, nelle intenzioni del governo nazista, nel più assoluto segreto. Ciò non avvenne poiché troppo ampio e complesso era il meccanismo di distruzione che era stato messo in atto.

Il divieto di matrimoni fra ebrei e non ebrei costituì la più profonda violazione di una integrazione che passava attraverso i vincoli familiari, ma i divieti relativi alle occasioni di incontro arrivarono fino a proibire partite comuni sui campi da tennis. Gli ebrei dovevano poter essere individuati come tali e la dicitura "di razza ebraica" comparve su quasi tutti i documenti dagli atti

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venne trasformato in campo di polizia e di transito dal quale vennero fatti partire i convogli di deportazione per Auschwitz e altri campi. In marzo a Fossoli venne aggiunto un settore per i prigionieri politici. Nell’agosto del 1944, di fronte all’avanzata degli Alleati, i tedeschi trasferirono il campo da Fossoli a Bolzano, nella zona di operazione Prealpi. Gli arrestati nella zona di operazione del Litorale Adriatico erano invece APPELLO Genocidio e Germania nazista condotti dapprima nel carcere Anche il governo fascista era infor- DI PAPA FRANCESCO del Coroneo e poi nel campo Dagli orrori del passato mato, pur se in modo parziale, di della Risiera di San Sabba a Triela società umana impari quanto stava accadendo, soprat- la cultura della pace ste, in attesa di deportazione. A tutto grazie ai contatti diplomatici “Nei prossimi giorni sarà comSan Sabba furono internati anche e alle informazioni della stampa. memorato in alcune capitali il migliaia di prigionieri politici (so70.mo anniversario della fine Nell’agosto 1942 un diplomatico prattutto partigiani slavi), poi dedella Seconda Guerra Mondiale tedesco che lavorava a Roma portati o uccisi e cremati in Europa. In tale occasione afaveva fatto capire ai colleghi itaall’interno del campo stesso. fido al Signore, per intercessione liani che deportazione significava, Auschwitz è stato il più grande di Maria Regina della Pace, l’auspicio che la società umana imin pratica, eliminazione. In tale centro di concentramento e di sterpari dagli errori del passato e occasione Mussolini aveva dato il minio nazista. Il primo campo, Auche di fronte anche ai conflitti suo "nulla osta" alla consegna ai schwitz I, fu allestito nel 1940. Il attuali, che stanno lacerando altedeschi degli ebrei jugoslavi dei campo Auschwitz II, Birkenau, fu cune regioni del mondo, tutti i territori sotto occupazione itaaperto nel 1942 a tre chilometri di responsabili civili si impegnino nella ricerca del bene comune e liana, ma le autorità diplomatidistanza da Auschwitz I e venne connella promozione della cultura che e militari non la misero in tinuamente ampliato sino a raggiundella pace”. atto. gere un’estensione di quasi 200 ettari. UDIENZA GENERALE Tali conoscenze non riguarda6 MAGGIO 2015 Esso venne suddiviso in vari settori, vano tanto la strutturazione e fra cui quello destinato agli zingari. la sistematicità dello stermiAuschwitz III, Monowitz, fu conio, quanto alcuni suoi elementi fondamentali come i struito per l’industria chimica IG Farben alla fine del massacri di bambini o l’uso letale dei gas. Notizie più 1941, allo scopo di sfruttare il lavoro coatto per la provaghe circolavano anche in strati più ampi della popo- duzione di materie sintetiche. lazione: le lettere dal fronte orientale e altre testimo- A Birkenau gli ebrei venivano selezionati sulla bannianze lo confermano. Dopo l’ordinanza di polizia del china di arrivo: coloro che erano ritenuti incapaci di la30 novembre 1943, il Ministero dell’Interno della RSI vorare – la maggioranza, fra cui tutti i bambini e gli allestì decine di campi di concentramento provinciali. anziani - erano mandati a morte immediatamente nelle Spesso la prima tappa dopo l’arresto era nelle carceri camere a gas, gli altri venivano immatricolati e fatti enpiù vicine, da cui spesso sono state inviate le ultime let- trare nel campo per essere poi lentamente uccisi da tere dei deportati. Dal dicembre del 1943 a Fossoli, condizioni e ritmi di lavoro disumani. presso Carpi (Modena), fu approntato un grande campo Nel settembre del 1941 cominciarono ad Auschwitz le di concentramento nazionale per ebrei. Dopo un pe- uccisioni sperimentali per gassazione con il Zyklon B. riodo di gestione italiana, il campo passò alla Polizia di All’inizio del 1942 a Birkenau iniziò la costruzione di Sicurezza tedesca in Italia con sede a Verona. Nel 1944, nuove e più grandi camere a gas per attuare l’eliminaa metà febbraio, da campo di concentramento per ebrei zione sistematica degli ebrei d’Europa. Con l’avvicinarsi 50


delle truppe sovietiche, che entrarono nel campo il 27 gennaio 1945, i nazisti evacuarono gran parte degli internati con trasferimenti a piedi verso ovest, noti come “marce della morte”. Durante l’occupazione nazista e la Repubblica sociale italiana circolarono notizie sulle persecuzioni e sulla sorte degli ebrei deportati. In una relazione sugli ebrei nella Repubblica Sociale Italiana indirizzata nel febbraio 1945 a un comitato di soccorso in Svizzera, Giorgina Segre scriveva: “Del deportato in Germania non se ne sa più nulla; muore in qualche oscuro campo di concentramento dopo atroci sofferenze fisiche o morali, ridotto forse ad uno stato di abbrutimento animalesco”.

rico di pericoli e riuscirono a riparare in Svizzera; poco più di 500 fuggirono invece nelle regioni meridionali. Gli ebrei che parteciparono alla lotta partigiana furono un migliaio. Tra questi numerosi furono i caduti e vari partigiani ebrei furono poi insigniti delle più alte onorificenze nazionali. Sono solo alcuni cenni sulla Shoà su cui c’è ormai una consistente e vasta letteratura. Il conflitto fra palestinesi e israeliani Dopo l’Olocausto gli ebrei poterono finalmente tornare nella loro terra d’origine. Quando tornarono in Palestina però, si accorsero che quella che una volta era stata la loro patria ora era occupata da popoli arabi detti palestinesi. Questi ultimi non volevano spartire la loro terra con nessuno, tanto meno con una popolazione di lingua e religione diversa. Da allora nacque la cosiddetta questione palestinese perché - dopo diversi conflitti – rimase senza una sua patria e senza un suo stato il popolo palestinese. Invece gli ebrei costituirono e ingrandirono una loro nazione: Israele. Vediamo le tappe di questa lunga e complicata storia. Il 29 settembre 1947 l’Onu deliberò la divisione della Palestina (che era sotto il controllo della Gran Bretagna) in tre parti: • uno stato arabo (che comprendeva il 43% del territorio palestinese con una popolazione di 800.000 arabi e 10.000 ebrei) uno stato ebraico (che comprendeva il 56% del territorio palestinese con una popolazione di 500.000 ebrei e 400.000 arabi). Gerusalemme (circa 1% del territorio palestinese) passava sotto il controllo internazionale in quanto città simbolo per tre religioni: ebraica, cristiana e musulmana. Il piano Onu fu accettato dagli ebrei ma respinto dai palestinesi e dagli Stati arabi che il 15 maggio 1948 attaccarono Israele. Scoppiò così la prima guerra araboisraeliana che si concluse con la vittoria di Israele. Cosa cambiò dopo la vittoria israeliana? • L’80% del territorio arabo venne occupato dall’esercito israeliano • La Cisgiordania passò sotto il controllo della Giordania • La “striscia di Gaza” passò sotto il controllo dell’Egitto • La Palestina cessava di esistere come stato • Più di 700.000 palestinesi emigrarono nei paesi arabi

In più occasioni i giornali clandestini, come l’organo del Partito d’azione “L’Italia Libera” e “L’Unità” denunciarono gli arresti e informarono che la deportazione degli ebrei nei campi dell’Europa dell’Est significava spesso morte. Gli italiani che portarono soccorso ai perseguitati, così come le autorità fasciste responsabili degli arresti e i singoli autori di delazioni, avevano qualche consapevolezza del destino che incombeva sulle vittime. Gradualmente gli ebrei si resero conto di quanto gravi fossero i pericoli che stavano correndo. Solo con l’intensificarsi degli arresti aumentarono coloro che si allontanarono dalla propria casa, procurandosi documenti falsi e cercando rifugio in luoghi più sicuri. Furono circa 22.000 le persone considerate di ‘razza ebraica’ che riuscirono a sfuggire agli arresti e alle deportazioni, vivendo in clandestinità fino alla Liberazione; alcuni di loro furono vittime di delazioni. Molti di loro si salvarono grazie all’aiuto di concittadini non ebrei. Circa 6.000 persone affrontarono un viaggio ca-

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vicini; rimase in Palestina la parte più povera e svantaggiata della popolazione. Israele, nel 1956 e nel 1967, attaccò l’Egitto, entrò in conflitto con ipaesi arabi confinanti e occupò: • la “striscia di Gaza • la Cisgiordania • il Sinai (dell’Egitto) • le alture del Golan (della Siria) • Gerusalemme per intero. Una nuova guerra scoppiò nel 1973: Egitto e Siria attaccarono Israele per riprendersi i territori occupati da Israele. Ma senza riuscirci. I paesi arabi reagirono bloccando le esportazioni di petrolio verso gli stati occidentali che avevano appoggiato Israele. Nei successivi anni il Sinai venne restituito all’Egitto ma rimase il problema dei palestinesi senza una patria. Il numero dei profughi palestinesi dopo tutte queste guerre era aumentato. Nel 1987 iniziò la fase decisiva della resistenza palestinese all’occupazione israeliana nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, attuata con dimostrazioni, scioperi, rivolte e atti di violenza. Ha caratteristiche di massa e la sua lunga durata nonostante le repressioni, dimostrò definitivamente all’opinione pubblica mondiale l’insostenibilità delle pretese israeliane al controllo dei territori occupati nel 1967 con la guerra dei Sei giorni. L’intifada á°VÉØàfG (in arabo “rivolta”) era una disobbedienza civile di massa che si diffuse rapidamente in tutti i territori occupati. Israele rispose dapprima con metodi

repressivi, utilizzando la polizia e l’esercito, chiudendo le università e deportando i palestinesi, nonché con sanzioni economiche, con l’aumento della pressione fiscale e con un programma di insediamenti israeliani nei territori occupati. Tutto ciò non fece altro che provocare una recrudescenza degli scontri. L’intifada indusse molti israeliani a cercare una soluzione politica. Essa fu perciò uno dei fattori decisivi che portarono agli accordi di Oslo (1993) tra il leader dell’OLP Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e, l’anno seguente, alla costituzione di un’Autorità nazionale palestinese con sovranità limitata a Gaza e a Gerico, dando così una svolta cruciale alla questione palestinese. Verso la pace I primi colloqui di pace tra Israele, le delegazioni palestinesi e i confinanti stati arabi iniziarono nell’ottobre del 1991. Nel 1993 il primo ministro Rabin e il leader dell’OLP Yasser Arafat firmarono a Washington uno storico trattato di pace (frutto di un lungo lavoro preparatorio svoltosi a Oslo). Il leader palestinese riconosceva a Israele il diritto a esistere come stato; Israele si impegnava a concedere l’autogoverno palestinese nei territori occupati, prima nella striscia di Gaza e nella città di Gerico e successivamente in altre aree della Cisgiordania. Nel maggio dello stesso anno, le truppe israeliane si ritirarono da Gerico e dalla striscia di Gaza, che passarono sotto l’autorità palestinese. A luglio, Rabin e Hussein di Giordania firmarono a Washington un accordo di pace che pose fine a 46 anni di guerra tra i due paesi. Lo stallo Le trattative tra Israele e Siria nell’aprile del 1995 furono bloccate dal disaccordo sul possesso delle alture del Golan; nello stesso mese il governo annunciò l’espropriazione delle terre arabe a Gerusalemme orientale. La lentezza nell’applicazione degli accordi di Oslo intanto causava nei territori occupati un grande malcontento verso l’auto-

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rità palestinese e un rafforzamento delle forze ostili all’accordo di pace, in particolare i movimenti integralisti islamici Hamas e Jihad, che intensificarono l’attività terroristica compiendo gravi attentati nelle città israeliane. Anche in Israele si rafforzarono le posizioni di quanti erano ostili all’accordo di pace e furono commessi diversi attentati contro la comunità arabo-israeliana (ad esempio a Hebron, dove un militante della destra integralista ebrea fece un’irruzione armata in una moschea uccidendo 29 persone). Ma malgrado le proteste spesso violente, il processo di pace non si arrestò.

La situazione non migliorò nel 1997, quando il continuo rinvio dell’applicazione degli accordi di Oslo e ulteriori concessioni alla destra religiosa da parte del governo israeliano (come l’approvazione di un’altra colonia, la sesta, a Gerusalemme Est) cacciarono il processo di pace in un vicolo cieco. Fino ad arrivare alla situazione attuale. Alla base della attuale tensione tra israeliani e palestinesi c’è la mancata attuazione dell’accordo di Oslo che aveva portato nel 1993 alla storica stretta di mano fra Arafat e Begin di fronte a Clinton a Washington. Quell’accordo prevedeva che entro 5 anni (quindi nel 1998) l’esercito israeliano dovesse ritirarsi e fossero raggiunti nuovi accordi per delineare la nascita dello stato palestinese. Invece di questi accordi il governo israeliano ha consentito che avvenissero nei territori occupati e a Gerusalemme nuovi insediamenti di coloni israeliani. 3. continua

L’assassinio di Rabin e la crisi del processo di pace Il 4 novembre 1995 il primo ministro Rabin fu assassinato da Yigal Amir, un estremista ebreo; l’episodio suscitò una profonda emozione. Si scoprì che i servizi segreti, pur a conoscenza del tentativo terroristico, non avevano preso le misure di sicurezza necessarie. Dal 1996 il governo israeliano ribadì più volte la necessità di rivedere gli accordi di Oslo, sia per quanto riguardava l’autonomia palestinese, sia, e soprattutto, per quanto riguardava la possibilità di insediare nuove colonie ebraiche nei territori occupati. Le crisi nelle relazioni israelo-palestinesi da allora si susseguirono, arrivando nel settembre allo scontro armato tra esercito israeliano e polizia dell’autorità palestinese, che causò 76 morti e centinaia di feriti.

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Reportage

Quel mostro “nascosto” del terrorismo da PARIGI

ANNAMARIA ESPOSITO GIORNALISTA INVIATA RAINEWS24

La paura di “essere Charlie”. Un’eredità scomoda come la vita che conducono i suoi redattori, quelli che sono sopravvissuti. Mi volto indietro e metto in fila i racconti di Copenaghen, Verviers, Parigi. “Una volta che ti sei esposto ti sei esposto”, mi ha detto al telefono rassegnato e consapevole Lars Vilks, scampato all’attacco al caffè Krudttønden , dove è rimasto ucciso un noto documentarista danese Finn Nooregard, 55 anni. Da intellettuale laico partecipava all’incontro su Islamofobia, blasfemia e libertà d’espressione con Vilks. Quel Lars Vilks che nel 2007 aveva ritratto la testa di Maometto su un corpo di cane. Minacciato e perseguitato da allora, viveva già sotto scorta e ora è di nuovo vagante, da un posto segreto all’altro. Scortati in una vita blindata si ritrovano adesso anche i sopravvissuti di rue Nicholas Appert. Tornano a lavorare nelle stanze del massacro nella sede parigina di Charlie Hebdo per il nuovo numero in edicola il 25 febbraio, dopo oltre un mese di pausa. Una eredità scomoda Con quale eredità? La testata si è risollevata dallo stato di crisi nel quale versava con le vendite straordinarie dopo l’attentato. Il numero 1178, con Maometto che piange in copertina, uscito il 14 gennaio, era stato stampato in 7 milioni di copie (la tiratura normale del settimanale è di 60 mila copie) Gli abbonamenti balzati a 120mila. Chi ha vinto? Per ora il 53% dei francesi si ritiene in guerra. Una guerra che fino al 7 gennaio si combatteva altrove, con i raid della coalizione. Poi improvvisamente è piombata nelle strade della “capitale della laicità” e ha contagiato il cuore dell’Europa, con l’emersione prepotente dei “foreign fighters” anche nel vicino Belgio e nella pacifica e democratica Danimarca. A Copenaghen la strage poteva essere ancora più sanguinosa degli attacchi di Parigi, con la comunità ebraica ancora una volta vittima predestinata ed esposta più di tutte. Attraverso l’Islam cosiddetto radicale i seguaci del Califfo nero si mimetizzano per reclutare, guadagnando migliaia di euro, giovani problematici che vivono

spesso ai margini, senza lavoro, in aree difficili. Spesso vengono fatti convertire prima della partenza per Iraq e Siria. Per questo è un conflitto che lacera al suo interno il mondo musulmano che si sente ingiustamente sotto accusa e che chiede al mondo laico di non offrire il pretesto della provocazione e dell’irriverenza per il Profeta. Pretesto che serve ad innescare bombe a tempo. Come in Israele gli attentatori militanti di Hamas si attivano in modo autonomo ed estemporaneo e colpiscono in solitudine e all’improvviso. Con qualunque mezzo. Così a Parigi si è prima innescata la bomba a tempo dei fratelli Kouachi e ha decapitato un’intera redazione, innescando il panico nel mondo occidentale, l’Europa intera e la Francia hanno vissuto di nuovo l'11 settembre. Dopo Londra e Madrid. Poi Amedi Coulibaly nel supermercato Cacher di Port de Vincennes. Quando la redazione fu incendiata nel 2011 Quando la redazione di Charlie Hebdo fu incendiata, dopo la prima pubblicazione delle vignette nel 2011 Stephane Charbonniers, Charb, l’ex direttore assassinato nella strage, scese in strada a mostrare il suo giornale e a rilasciare interviste. Andare avanti sempre, in nome della libertà d’espressione. Ora sembra di assistere ad un effetto “rebound”, per quei lutti atroci e indelebili, che hanno segnato per sempre le coscienze. La libertà ad ogni costo, o la vita prima di tutto? Nel secondo caso la si da vinta al terrore. Nel primo caso fin dove si può arrivare? C’è un filo che lega Parigi, Verviers e Copenaghen. Il retroterra degli attentatori, il loro profilo psicologico. Disperazione, solitudine, emarginazione, mancanza di prospettive. In Danimarca, come in Belgio sembra vincere la linea “morbida” che lavora sulla riabilitazione, 54


Nel cuore del quartiere Con il mio operatore ci siamo arrivati dopo aver attraversato un parco nel cuore del quartiere. Eravamo accompagnati da Marie-Odile, una giornalista in pensione che si occupa di un mensile di quartiere molto letto che conta circa 200mila abitanti, in pratica una piccola città. Avevo notato un gruppo di ragazzi di origine africana subsahariana, come la maggioranza degli abitanti di Goutte d’Or. Come Ahmedi Koulibali l’attentatore dell’Yper caher e il commesso eroe Lassana Bathily che ha salvato molti degli ebrei che erano nel negozio nascondendoli. Entrambi erano originari del Mali. Negli anni '20 la Goutte d’or sono arrivati anche molti immigrati maghrebini in particolare dall’Algeria. I ragazzi nel parco avevano occhiali a specchio, cappelli con la visiera rivolta all’indietro, sembravano dei cantanti rap. Continuiamo a camminare verso il centro culturale islamico. Entriamo, facciamo un’intervista, usciamo di nuovo in strada. Erano sul marciapiede di fronte. Ci avevano seguiti. Avevamo avuto gli occhi addosso per tutto il tempo. In ogni via che abbiamo percorso a piedi abbiamo visto uomini a presidio delle strade, che controllavano ogni angolo e si tenevano in contatto con il cellulare. Ad un tratto uno del gruppo che ci aveva seguito ci raggiunge, era alto, atletico, sui 25 anni. Con toni duri comincia a chiedere cosa stavamo facendo con la telecamera, che in quel momento il mio operatore aveva poggiato su un paletto del marciapiede. Gli avevo chiesto di riprendere immagini “clandestinamente”, poiché la diffidenza nel quartiere si era palesata da subito. All’improvviso sferra un calcio violento sulla telecamera, senza neanche aspettare la risposta. Voleva vedere, controllare il girato mentre i suoi compagni aspettavano e osservavano sul marciapiede di fronte. A difenderci un uomo che avevamo incontrato nel centro islamico e la nostra amica giornalista di 68 anni. Ho temuto il peggio, in particolare per il mio operatore che è stato bravo, non ha reagito e soprattutto ha sostituito con una rapidità da prestigiatore la scheda con le immagini “incriminate”. Ma in quei momenti poteva accadere di tutto. Potevano avvicinarsi i suoi compagni, si poteva scatenare una rissa con coltelli nella migliore delle ipotesi. Nessun agente a cui chiedere aiuto. In sintesi, in uno dei quartieri a maggioranza islamica più popolati e affascinanti di Parigi non abbiamo trovato traccia o quasi di forze dell’ordine, e neanche di estremisti islamici. Piuttosto una criminalità ben organizzata e mercenaria che può, questa si, alimentare ovunque qualunque mostro. Compreso quello del terrorismo.

il sostegno psicologico, per evitare il carcere e reinserire nella società elementi che si radicalizzano in alcune moschee o in carcere. Far recuperare il valore della vita ad individui che sentono di non avere nulla da perdere e dunque sono pronti ad uccidere e a farsi uccidere, ad esaltarsi in gesti estremi in cui sembrano trovare il senso delle loro esistenze. L’oppio del sacrificio. O il denaro e le promesse di un ordine nuovo nel sedicente Stato Islamico, dove rimescolare il proprio ruolo. Dai Sans papiers ad oggi L’allucinazione di una vita diversa, che ha ben poco di musulmano. A Parigi, attraversando le strade di Barbès, il quartiere della Goutte d’or nel 18.mo arrondissment, la nostra telecamera è stata presa a calci. La cupola di Montmartre si intravede tra i tetti a poche centinaia di metri, siamo vicini ad una zona, per definizione, brulicante di turisti. Un quartiere affascinante e unico quello della Goutte d’Or, che finì sulle pagine di Emile Zola, e in tempi più recenti su giornali e telegiornali per la chiesa di San Bernard de la Chapelle, quando nel 1996 fu occupata da 300 sans papiers sgomberati a forza dalla polizia un mese dopo. La chiesa ha un cordiale e attivo parroco italiano, e continua la sua attività di aiuto e accoglienza per le persone bisognose, restando un riferimento per tutta la comunità. Nell’ordinato giardino della piazza su cui si affaccia la chiesa, ci sono mamme con passeggini e verso sera anche spacciatori. Goutte d’or rientra nelle circa 80 aree cosiddette ad “alta priorità di sicurezza”, varate progressivamente dall’agosto 2012 dal governo francese per le quali era stato previsto uno spiegamento straordinario di poliziotti, agenti antisommossa, e la mobilitazione di intelligence e servizi sociali.

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Reportage

Mont Saint-Michel come una nave ancorata sulle acque

da Mont Saint-Michel

ROSELYNE DE FERAUDY NOSTRA INVIATA SPECIALE

Ero piccola, quando scoprii per la prima volta la bellezza di questo luogo insolito carico di storia e di leggenda. Imparai che il Monte, all’epoca dei Druidi era un santuario dedicato al sole, e che nel secolo VIII l’arcangelo Michele apparve per due volte al vescovo di Avranches, pregandolo di costruire una chiesa sulla rocca. Mi dissero che qui il mare saliva come un cavallo al galoppo, che le sabbie muoventi inghiottivano in un istante chi osava avventurarcisi. Tutte queste dicerie mi rendevano paurosa. Poiché qui il mare è tanto potente e che l’Arcangelo e le altezze del Monte vegliano come un guerriero, un difensore, uccidendo il drago delle onde.

andata e di ritorno, sparisce e riappare, seppellendo sabbie e rocce. Marzo 2015 ha visto affluire una marea umana in attesa di quella che avrebbe ricoperto tutto, alla velocità del vento! Lo spettacolo è stato accattivante: il Monte è divenuto un’isola, come una nave imponente ancorata sulle acque. Era grandioso e avrebbe fatto dire a Victor Hugo: “Ero stupito, ansimando, stupido, spaventato”! Spaventato: questa dinamica marina ha da fare paura a chi vede per la prima volta il mare. Il poeta scopriva il mare nel 1834 nel Morbihan. Avevo un’amica italiana che amava la nostra terra bretone lavorata dal mare! Il fenomeno delle maree la stupiva: dove andava quella massa acquatica? Sarebbe tornata?

Mi piaceva questo luogo che le folle all’epoca non avevano ancora invaso. Bretone da parte di mia madre, ritornava sempre questo enigma: eravamo in Bretagna,o in Normandia? Ma un detto aveva definitivamente risolto la questione: una corrente d’acqua, il Cuesnon, aveva messo il Monte in Normandia ...

Il Monte San Michele rimane un alto luogo monastico, fondato dai benedettini di San Wandrille e oggi animato dalle fraternità di Gerusalemme. Questo luogo alto rimane un Axio Mundi, un centro del mondo dove veglia la presenza dell’Arcangelo. Ci sono due altri santuari, consacrati all’Arcangelo san Michele: nella valle di Susa e al Monte Gargano. Si dice che tutti e tre sono distanti 1000 km l’uno dall’altro e che in linea dritta, portano tutti e tre a Gerusalemme.

Il 20 marzo 2015 è stato un giorno memorabile: la marea del secolo! Le maree del canale hanno sempre incuriosito e affascinato i residenti del Mediterraneo; e il mare , in un ciclo imperturbabile di

Questi siti ci insegnano e ci invitano a prendere l’altezza, a prendere il largo, a guardare il mare, ad amare la creazione e a stupirci, in un mondo che bisogna dirlo - ha perso il gusto dell’infinito. 56


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e Mont saint-Michel, ce mot a pour moi comme une saveur d’enfance. J’étais petite, quand je découvrais pour la première fois la beauté de ce lieu insolite, chargé d’histoire et de légende. J’apprenais que le Mont, à l’époque des Druides était un sanctuaire dédié au soleil, et qu’au VIIIe siècle, l’archange saint Michel était apparu à deux reprises à l’évêque d’Avranches, le priant de construire une église sur le rocher. Ici me disait-on la mer monte comme un cheval au galop, ici des sables mouvants engloutissent en un instant qui ose s’y aventurer. Toutes ces rumeurs me rendaient craintive. Car ici la mer est toute puissante et l’Archange des hauteurs du Mont veille tel un guerrier, un défenseur, terrassant le dragon des flots. J’aimais ce lieu que les foules à l’époque n’avaient pas encore envahi. Bretonne par ma mère, revenait toujours cet énigme: étions-nous en Bretagne ou en Normandie ? Mais un dicton avait définitivement résolu la question : un cours d’eau, le Couesnon, avait mis le Mont en Normandie... Le 20 mars 2015 fut un jour mémorable : la marée du siècle ! Les marées de la Manche ont toujours intrigué, fasciné les riverains de la Méditerranée, la mer dans un cycle imperturbable d’aller et retour, disparaît et repa-

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raît, ensevelissant sables et rochers. Mars 2015 vit donc affluer une marée humaine, à l’attente de celle qui allait tout recouvrir, à la vitesse du vent. !! Le spectacle fut saisissant : le Mont devint alors une île, tel un imposant navire ancré sur les eaux. C’était grandiose et aurait fait dire à Victor Hugo : » J’étais ébloui, haletant, stupide, épouvanté ». Epouvanté, cette dynamique marine a de quoi faire peur à celui qui voit la mer pour la première fois. Le poète découvrit la mer en 1834 dans le Morbihan. J’avais une amie italienne qui aimait notre terre bretonne travaillée par la mer ! le phénomène des marées la stupéfiait: où s’en allait ainsi cette masse aquatique, reviendrait-elle ? Le Mont saint Michel demeure un haut lieu monastique fondé par les bénédictins de saint Wandrille et aujourd’hui animé par les Fraternités de Jérusalem. Ce haut lieu demeure un Axio Mundi, un Centre du monde où veille la présence de l’Archange. Il existe deux autres sanctuaires, consacrés à l’Archange saint Michel : dans le val de Susa et au Monte Gargano. On dit que tous trois sont à une distance de 1000 km l’un de l’autre et qu’en ligne droite, ils mènent tous trois à Jérusalem. Ces sites nous enseignent, nous invitent à prendre de la hauteur, à gagner le large, à regarder la mer, à aimer la Création, à s’émerveiller, dans un monde, qui a il faut le dire perdu le goût de l’Infini.


5 1 20 ricaUn piano per f A

rigenerare il continente

da Roma

includeva nel suo piano tutte le forze, sia gli uomini e le donne sia riguardo a consacrati e laici: europei e africani che, insieme, avrebbero potuto portare avanti quel sogno di salvare l’Africa con l’Africa”. Un continente in movimento, ha ricordato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, è anche quello auspicato dal secondo Sinodo per l’Africa, il cui messaggio finale esortava: “Africa, alzati e cammina!”. A chiarire la portata di questo invito è il prof. Martin Nkafu, titolare della cattedra ‘Cardinal Bernardin Gantin’ della Pontificia Università Lateranense: “Adesso tu, africano, sei ormai cristiano e devi essere evangelizzatore: devi portare la Buona Novella anche tu, alzandoti e andando e camminando anche verso l’Europa, questa volta. L’Africa ha il dovere di mettere a frutto la sua missionarietà. Senza vivere l’aspetto missionario, la Chiesa africana non sarà matura”. Un protagonismo rinnovato dell’Africa, stavolta in campo politico, economico e sociale, è anche l’obiettivo che emerge dalle parole di Samia Nkrumah, figlia del primo presidente del Ghana indipendente, intervenuta al convegno: “La soluzione dei nostri problemi – economici e sociali – deve nascere da dentro. Sì, ascoltiamo il consiglio di tutto il mondo, perché è un mondo globale; ma l’Africa deve compiere una scelta indipendente. E certo, adesso per cambiare velocemente è necessario l’apporto di un numero maggiore di donne e di giovani che entrino nell’ambito politico. Ogni cambiamento forte è stato accompagnato dalla partecipazione delle donne e dei giovani”.

NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE

Un continente che cambia, 150 anni dopo l’intuizione di San Daniele Comboni, autore del “Piano per la rigenerazione dell’Africa” e fondatore della Congregazione dei missionari comboniani. Se ne è discusso nell’incontro di tre giorni al Seraphicum di Roma, dedicato all’ “Africa in cammino”. “Salvare l’Africa con l’Africa”, questa fu l’intuizione di Comboni e questo, centocinquant’anni dopo, è ancora il compito che i suoi eredi spirituali s’impegnano a portare a termine. Lo fanno, però, in un contesto che muta rapidamente, come sottolinea lo stesso titolo dell’incontro romano: “Africa in cammino”. Su questo elemento si sofferma il superiore generale dei missionari comboniani, padre Enrique Sánchez González: “L’esperienza che noi, come missionari e missionarie, stiamo facendo nel Continente ci parla proprio di questo: è un continente con un dinamismo e una ricchezza di risorse – non soltanto materiali, ma soprattutto umane – che mostra che è un continente in crescita, che cambia enormemente, che cambia costantemente in questo momento della storia dell’Africa. Questa immagine ci mostra anche che, nella nostra esperienza come famiglia comboniana, abbiamo fatto il cammino insieme a tante persone continuando il sogno di Daniele Comboni”. Uno dei motivi per cui il progetto di San Daniele Comboni conserva la sua attualità, ha spiegato a questo proposito la superiora delle suore missionarie comboniane, suor Luzìa Premoli, è il suo carattere inclusivo e partecipativo: “Dall’inizio, Comboni aveva pensato una équipe di persone nella quali erano compresi gli uomini – sacerdoti, fratelli laici – e suore. Noi parlava di questa partecipazione di tutti per riuscire nella missione e 58


Sudafrica: sondaggio per il Sinodo sulla famiglia Anche la Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc) ha lanciato un sondaggio tra i fedeli sulla famiglia in vista del 14.mo Sinodo generale ordinario del prossimo ottobre sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. L’indagine, per la quale la Sacbc si servirà del software di sondaggi online SurveyMonkey, è articolata in 42 domande basate sul questionario contenuto nei Lineamenta, il documento preparatorio dell’Assemblea sinodale inviato a tutte le Chiese locali. Per un quadro più preciso della situazione della famiglia in Sudafrica L’obiettivo del sondaggio – spiega la Sacbc – è sentire le opinioni dei fedeli per aiutare i vescovi a fornire un quadro più preciso della situazione della famiglia in Sudafrica. Tra i quesiti proposti anche alcuni riguardanti problematiche specifiche della società sudafricana, come il diffuso fenomeno delle famiglie guidate da minori. L’indagine, terminerà il 27 marzo, poco più di due settimane prima della scadenza del 15 aprile, entro la quale il questionario inviato dalla Santa Sede dovrà essere compilato e rispedito alla Segreteria generale del Sinodo per preparare l’Instrumentum Laboris, il documento di lavoro dell’assise sinodale. Diverse le Conferenze episcopali che hanno optato per il sondaggio Diverse Conferenze episcopali nel mondo hanno deciso di coinvolgere i fedeli in questa fase di riflessione e preparazione del Sinodo per sentire i loro punti di vista sulle questioni che saranno esaminate dall’Assemblea. Tra queste quella degli Stati Uniti (Usccb), anche se ogni diocesi sta procedendo con modalità diverse. Secondo un’indagine compiuta dal National Catholic Reporter su un campione di 21 diocesi americane, 19 hanno deciso di interpellare direttamente i fedeli, di cui 15 con sondaggi on-line. Due diocesi hanno invece deciso di non intraprendere questa strada coinvolgendo solo i parroci. Come per il Sinodo straordinario sulla famiglia dell’ottobre scorso, anche quest’anno – rileva il Ncr – la partecipazione a questi sondaggi stata finora è relativamente bassa.

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Progetto Benin: promuovere l’istruzione dei giovani da Cotonou NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE

Papa Giovanni Paolo II, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2005, augurava ai popoli africani di diventare protagonisti del proprio futuro: questa idea è alla base del “Progetto Benin: priorità all’educazione” promosso dalla onlus “Il Cedro”. Si tratta di un progetto che vuole offrire ai giovani, locali e non, un centro di educazione alla cultura dello sviluppo, denominato CeDReS (Centre de Documentacion et de Recherche en Art et en Sciences Sociales), strumento per sconfiggere la povertà e la discriminazione sociale. Claudia Minici ha incontrato il nostro collaboratore Jean-Baptiste Sourou, professore in Scienze Sociali e ideatore del progetto: Il CeDReS è un Centro di documentazione e di ricerca sull’arte e le scienze sociali. È un progetto che è una via alternativa all’immigrazione selvaggia dall’Africa verso l’Europa, nel senso che vogliamo dare simbolicamente ai giovani la possibilità di sognare il loro futuro nel loro Paese. E io parto dal Paese dal quale provengo, che è la Repubblica del Benin in Africa occidentale. Da tanti anni lavoro sull’immigrazione e con gli immigrati, e mi rendo conto, stando a contatto con queste persone, che c’è una cosa che manca: l’educazione. La persona parte senza sapere per quale motivo parte; quando però hai l’educazione puoi discernere quello che è vero da quello che è falso. Ma la cosa che personalmente mi ha molto colpito, è che come giovane docente sono stato chiamato a insegnare in un Paese in Africa, di cui non faccio il nome per rispetto, e una delle prime sere ho trovato una studentessa che stava studiando sotto i lampioni. Ho chiesto alla studentessa: “Ma lei cosa sta facendo qua?”. Mi ha risposto: “Sto studiando”. È una realtà diffusa! Molti studenti sono costretti a studiare, la sera, sotto i lampioni perché a casa non c’è la corrente. E un’altra cosa ancora che mi ha colpito è stato che tanti dei miei studenti non riuscivano a fare i compiti la sera

perché c’era un black-out. I black-out sono molto frequenti e durano 8-10 ore … ma come fai a studiare quando non hai nemmeno il minimo? E poi, la mancanza anche di infrastrutture, come i libri. Questo progetto, noi lo chiamiamo: “Priorità all’educazione: diamo la possibilità ai giovani”. San Giovanni Paolo II lo ha detto, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2005, che io chiamo il suo “Testamento per l’Africa”: lui augurava che i popoli africani potessero diventare protagonisti del proprio futuro. Volete attivare delle convenzioni con altre università estere? Ovviamente questa è già una tappa successiva; il mio primo intento è mettere su una biblioteca moderna, collegata con altre biblioteche nel mondo. Poi, delle camere semplici, una mensa; nel progetto ho previsto anche a una cappella: non è un centro soltanto per cattolici, è un centro per tutti, però c’è questa impronta cattolica, perché parte da un cattolico. E non è soltanto per ragazzi del Benin! Il centro sarà anche aperto a giovani di altri Continenti che desiderano conoscere veramente le culture africane vivendo a contatto con le popolazioni. La struttura si trova al centro di collegamenti interessanti: siamo molto vicini all’aeroporto internazionale di Cotonou, non siamo lontani da Abomey, uno dei più potenti regni dell’Africa occidentale … È una finestra aperta. Qual è il progetto di finanziamento? Io, nel Progetto ci ho creduto sin dall’inizio. Con i miei mezzi ho comprato il terreno sul quale sorgerà questo centro. E in questo momento noi stiamo cercando dei finanziamenti, per poter presto iniziare a costruire questa struttura: servono circa 600mila euro. Questo progetto è partito. Pensa che possa essere un modello a cui le altre regioni dell’Africa potranno attingere in futuro? Quello che noi vogliamo fare è una cosa simbolica: avvieremo la formazione al bene comune, perché nell’Africa di oggi non basta l’educazione, bisogna 60


anche formare le persone a rispettare il bene comune. Il bene attira sempre. Lo punto su questo. È un progetto-pilota. Iniziamo lì e spero tanto che possa andare avanti, in modo da poter proporre que-

sto progetto anche in altre zone dell’Africa. Mi preme di vedere nascere le prime costruzioni del CeDReS, e nello stesso tempo di veder molti progetti di questo tipo in altre parti dell’Africa.

Vescovi del Kenya: al nord del Paese violenze a causa del petrolio 20 vescovi del Kenya hanno indetto una conferenza stampa nella capitale Nairobi per lanciare l’allarme sulle violenze nel Nord del Paese. “La vita di una persona in Turkana – ha spiegato mons. Philip Arnold Subira Anyolo, vescovo di Homa Bay - vale quanto quella di una che vive a Nairobi. Avvertiamo di continuo che il conflitto nel North Rift si sta aggravando, specialmente a causa delle risorse minerali e del petrolio. In questi conflitti, che vengono definiti ‘razzie di bestiame', perdono la vita molte persone. La zona di Turkana la più esposta alle violenze Una situazione che desta molta preoccupazione, soprattutto dopo che il 4 maggio più di 70 persone sono state uccise a Nadome, al confine tra le contee di Turkana e Baringo, da 400 uomini armati che sono scappati con oltre mille bovini e più di 5.000 capre. E la zona colpita, ricordano i vescovi, è un’area profondamente emarginata dove il 60% della popolazione è nomade e solo il 30% dei bambini va a scuola. Ma le razzie di bestiame nascondono un conflitto più profondo relativo alle riserve di petrolio. “Il petrolio - ha affermato mons. Dominic Kimengich, vescovo di Lodwar - si trova nella contea di Turkana, ma si è creata una disputa di confine tra i Turkana e la popolazione del West Pokot, che pretende di spostare le linee di delimitazione tra le due contee in modo che le riserve di petrolio ricadano nella propria”. Con i programmi di sviluppo potrebbe finire la lottaalleisorse E la lotta per le risorse potrebbe finire solo qualora il governo avvierà programmi di sviluppo nelle aree interessate. “Diversi leader della regione parlano molto – ha sottolineato mons. Cornelius Kipng’eno Arap Korir, vescovo di Eldoret - fanno promesse, ma non presentano modalità per far cessare le violenze”. I vescovi hanno chiesto di procedere al disarmo della popolazione e di affrontare il problema dei leader locali e di altri che continuano ad armare e a incitare le popolazioni a lottare le une contro le altre.

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5 1 20SIA A

Iran: perché è importante la soluzione nucleare da Tehran

MOHAMMAD DJAFARZADEH NOSTRO INVIATO

L’Iran, per la sua posizione geografica, da sempre è ritenuto particolarmente importante sia dal punto di vista strategico che quello politico nella scacchiera mondiale. Sono passati oltre quaranta anni dalla rivoluzione in Iran che aveva determinato la rottura degli equilibri strategici e politici nella zona del golfo Persico e nei territori limitrofi. La guerra scatenata tra l’Iraq di Saddam Hussein e l’Iran, e la successiva guerra del golfo a seguito dell’occupazione del Kuwait sempre da parte dell’Iraq, l’ulteriore inasprimento della lotta dei palestinesi contro l’occupazione dei loro territori da parte di Israele, l’occupazione dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti e ancora quella dell’Iraq, hanno segnato circa 20 anni di totale instabilità. Le minacce d’intervento militare in Iran, poi seguito dagli embarghi non solo non hanno contributo ad un cambiamento della situazione bensì hanno reso più complicati i rapporti dell’Iran con l’occidente. Infatti tutto ciò ha determinato un significativo avvicinamento dell’Iran alla Russia e alla Cina, che, a seguito degli embarghi, sono diventati i suoi maggiori sostenitori nonché i primi partner commerciali. Questa situazione che si è venuta a creare è diventata motivo di ulteriore preoccupazione per l’occidente che credeva di potere costringere l’Iran

a cedere sul suo programma nucleare. Altri motivi che hanno costretto l’occidente ad intavolare in modo costruttivo il negoziato con l’Iran sono stati determinati dallo sconvolgimento della situazione in quell’area, provocato dalle attività militari delle frange sunnite, sostenute indirettamente dall’Arabia Saudita che tende ad una supremazia politica in quella area. Questa volontà dell’ Arabia Saudita si è manifestata prima in Siria e successivamente con il sostegno all’Isis nell’Iraq, quest’ultimo ritenuto come una forte minaccia per gli interessi dell’occidente nei paesi del golfo Persico. L’altro paese importante come Israele giudica l’Arabia saudita come paese moderato nei suoi confronti, mentre ritiene da sempre l’Iran come suo nemico e perciò è assolutamente contrario ai negoziati tra l’occidente e l’Iran. La soluzione diplomatica con l’Iran, l’unica nazione in maggioranza Shiita in quella zona, tende a coinvolgere questo paese alla ricerca delle vie d’uscita dagli altri problemi: l’Iran con la sua forte influenza sul governo di Bashir Assad di Siria, con Hamas nei territori occupati palestinesi, con il suo ottimo rapporto con il governo iracheno e ancora con la sua importanza per una soluzione dell’Afganistan sarebbe un valido partner. L’Italia non fa parte dei paesi che partecipano nelle trattative con l’Iran. Né, purtroppo, anche indirettamente tende ad aprirsi un canale politico con questo paese. L’assenza di una politica estera dell’Italia in questo 62


momento è molto evidente anche nel caso dell’Iran mentre potrebbe ottenere importanti profitti soprattutto economici con Tehran. A causa degli embarghi, le industrie italiane hanno dovuto abbandonare numerosi contratti in vari settori con l’Iran, dall’ estrazione del petrolio nel Mar Caspio, all’estrazione e lavorazione del rame; dalla costruzione di centrali elettriche all’esportazione di prodotti ecc. Simili danni hanno subìto anche altri paesi europei ma quelli italiani sono stati maggiori. La crisi economica dilagante in occidente è stata provocata anche grazie alla condivisione della politica fallimentare “dell’esportazione della democrazia” voluta da George Bush, che ha costretto i

paesi europei in particolare l’Italia, a sostenere notevoli spese militari prima in Afghanistan e poi in Iraq, senza nessun risultato. Con i cambiamenti voluti da Obama, solo negli ultimi due anni, c’é stata un’altra rotta nella politica dei paesi occidentali nei confronti dell’Iran nel tentativo di aprire un dialogo costruttivo. Raggiungere un accordo sul nucleare iraniano conviene a tutti. All’Iran che vede una apertura politica e economica con l’occidente ed all’occidente sia per la ripresa degli affari, che per mantenere maggiore stabilità nel golfo Persico, forse, attraverso l’unica nazione, che malgrado tutto,ha una stabilità politica ed economica

Pakistan: il fondamentalismo islamico uccide I cristiani del Pakistan sono sotto attacco da alcuni anni. Chiese cristiane distrutte; oltre 14 le vittime dell’attacco del 14 marzo, tra cui anche bambini; 80 i feriti in gravi condizioni. I miliziani di Jamaatul-Ahrar, un gruppo scissionista dei talebani, ha rivendicato l’attaco di marzo. Sulle notizie che giungono dal Pakistan padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, ha così risposto al giornalista Sergio Centofanti: Le notizie sono terribili: sembra che siano due talebani che volevano entrare in chiesa. Hanno cercato di sparare per entrare in chiesa, ma delle guardie di sicurezza alla chiesa fortunatamente li hanno fermati, perché le due chiese erano stracolme di gente che pregava: almeno mille persone. Per cui, se fossero entrati in chiesa sarebbe stato un massacro enorme. È stata una cosa terribile, perché la gente era in chiesa a pregare, perché è domenica! L’altra notizia che abbiamo è che cattolici e protestanti hanno fatto delle manifestazioni e continuano a farle perché criticano la mancanza di sicurezza da parte del governo – del governo del Punjab – che si trova sempre a dover combattere contro attacchi contro le chiese, contro moschee, violenze continue da parte – appunto – di talebani. Sembra poi – così dicono alcune testimonianze – che alcuni dei poliziotti che avrebbero dovuto essere a guardia di queste chiese, invece fossero in un bar a guardare una partita di cricket.

confronti dei talebani: da una parte li ha sempre protetti e ha dato loro ospitalità e rifugio, soprattutto nel Nord del Pakistan; nello stesso tempo, è alleato della comunità internazionale per combattere il terrorismo. E questo gioco continuo adesso è nel periodo in cui sta cercando di combattere il terrorismo. Purtroppo, i talebani sono diffusi ovunque nel Paese perché in tutti questi anni sono riusciti a fondare qualcosa come 20-25 mila scuole coraniche nelle quali si insegna l’islam fondamentalista e quindi ci sono fondamentalisti ovunque che combattono sia i cristiani, sia gli sciiti. Non dimentichiamo che – appunto – ci sono tantissimi attacchi anche a moschee sciite: praticamente, ogni settimana. E poi c’è anche un gruppo, dei cosiddetti “ahmadi” che si ispira un po’ a Maometto, un po’ all’islam, ma che è considerato eretico. Quindi, mi sembra che questi talebani pakistani, ormai – stiano emulando le azioni del sedicente Stato islamico.

Quindi c’è un rischio di estensione di questo Stato Perché questi attentati, proprio adesso? islamico? Il governo pakistano è stato sempre ambiguo nei Un rischio di estensione ma soprattutto di alleanze: 63


infatti, lo Stato islamico è molto finanziato da alcuni Paesi del Golfo e quindi ha soldi a non finire, e questo porta tanti gruppi terroristi, tanti gruppi di fondamentalisti islamici a proclamare l’alleanza con loro per avere anche fondi, armi e così via. La situazione dei cristiani in Pakistan appare sempre più difficile: pensiamo anche i tanti che sono nelle carceri, accusati ingiustamente di blasfemia. Questa ventata di fondamentalismo non permette mai una situazione tranquilla, per cui molti cristiani per una sciocchezza o con falsa testimonianza, vengono accusati di blasfemia contro il Corano, contro il Profeta, e subiscono il carcere. Non solo: spesso subiscono anche una esecuzione sommaria all’interno delle carceri, perché molte

volte le stesse guardie carcerarie sono pagate per farli fuori. Il caso più noto è Asia Bibi: come sta? Di Asia Bibi si sa che per proteggerla da una possibile esecuzione extragiudiziaria è controllata giorno e notte. Sta in carcere: questa donna eccezionale prega, ogni tanto è visitata da parenti o da ong cristiane che la sostengono … Però non si trova un modo per risolvere il suo caso. Probabilmente, se si potesse fare questo processo di appello, la sua condanna a morte sarebbe cancellata. Il punto è che quando i giudici fissano l’appello, si formano subito manifestazioni di gruppi fondamentalisti che chiedono la sua morte. E spesso i giudici hanno paura e quindi aggiornano, rimandano continuamente questo processo d’appello.

GIAPPONE: 150 ANNI DALLA SCOPERTA DEI “CRISTIANI NASCOSTI” da Tokyo nostro servizio La Chiesa giapponese ricorda il 150.mo anniversario della scoperta dei “cristiani nascosti” che, dopo una feroce e lunga persecuzione iniziata nel 1600, uscirono dalle catacombe riacquistando la libertà religiosa. Dopo l’espulsione di tutti i sacerdoti dal Paese, furono i laici a trasmettere in modo clandestino la fede, battezzando i propri figli a rischio della vita. Per l’occasione Papa Francesco ha inviato a Nagasaki, come suo inviato speciale alle celebrazioni, il cardinale filippino Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato. Sull’evento, padre Mario Bianchin, missionario del "Pime" in Giappone, ha parlato così ai microfoni di radio vaticana: È un appuntamento che si celebra soprattutto a Nagasaki, dove è avvenuta questa scoperta degli antichi cristiani. Il giorno esatto sarebbe il 17 marzo. La Chiesa in Giappone ricorda ogni anno questa scoperta. È un segno di come le radici della fede cristiane siano profonde in Giappone. Come vivono i giapponesi cristiani? I giapponesi prendono sul serio la fede. Qui in Giappone sono pochi quelli che provengono da famiglie cristiane e perciò i cristiani generalmente si sentono impegnati nella fede che hanno scelto. Le comunità si sentono impegnate con la loro identità

di Chiesa cattolica. Ma c’è ancora un grande cammino da fare. Si tratta, comunque, di una popolazione cattolica di una certa qualità. Ci sono due tradizioni in Giappone per quanto riguarda la Chiesa cattolica: una tradizione che si rifà alla prima evangelizzazione del Paese ai tempi di San Francesco Saverio e fa riferimento alla scoperta degli antichi cristiani e l’altra, invece, che è successiva, risale al periodo della modernizzazione, quando il Paese iniziò e cercò di imitare i Paesi sviluppati dell’Europa e dell’America. In quel periodo iniziò la seconda evangelizzazione del Giappone, circa 150 anni fa. Queste due correnti sono ancora visibili e costruiscono un po’ la base dell’identità della Chiesa in Giappone. 64


Quali sono i rapporti tra i giapponesi cristiani e quelli delle altre religioni attualmente? Buoni. I cattolici in Giappone non hanno difficoltà di nessun tipo nei confronti delle altre religioni. Forse non c’è ancora un grande entusiasmo nel far crescere queste relazioni, questo dialogo. Si sente che manca la preparazione per questo. Le varie comunità, soprattutto buddiste, sono coinvolte nel dialogo che la Chiesa auspica e promuove. Sono

presenti delle attività della Chiesa durante tutto l’anno. Come arriva in Giappone il messaggio di Papa Francesco? Si sentono provocati dallo stile di Papa Francesco. Io penso che tutti desidererebbero vederlo. Speriamo che trovi il modo di venirci a trovare in Giappone.

FILIPPINE: PLAUSO DEI VESCOVI PER TRASFERIMENTO IMPIANTO PETROLIFERO

da Manila nostro servizio La Conferenza episcopale filippina (Cbcp) ha accolto con gioia la decisione della Corte suprema che ha imposto con sentenza definitiva il sequestro del centro di stoccaggio del petrolio nel distretto di Pandacan, a Manila. In precedenza i vescovi avevano definito la struttura una bomba ad orologeria, un “disastro annunciato”. La Chiesa chiede che la sentenza abbia effetto immediato In un’intervista all’emittente cattolica Radio Veritas ripresa dall’agenzia AsiaNews, il vescovo ausiliare di Manila Broderick S. Pabillo, presidente del Comitato permanente sugli affari pubblici e della conferenza episcopale dei vescovi filippini, ha espresso l’auspicio che la decisione dei giudici abbia effetto immediato. Il prelato ha spiegato che “è nell’interesse

della salute pubblica” che ciò avvenga il prima possibile. L’ausiliare della capitale aggiunge che una volta trasferiti i 33 ettari del polo industriale petrolifero, utilizzato dalle più importanti compagnie del settore, in una località in cui crei il minor danno possibile, esso non costituirà più una minaccia per gli abitanti di Pandacan. L’impianto ha un impatto devastante sulla salute pubblica Il deposito di petrolio di Pandacan è un terminal per lo stoccaggio e lo smaltimento usato da tre giganti dell’industria petrolifera: Caltex (Chevron Corporation), Petron e Shell. Esso sorge in un’area della capitale ad alta densità abitativa e ha un impatto devastante sulla salute pubblica. Inoltre, negli anni si sono verificati numerosi incidenti, fra cui esplosioni e versamenti di carburante nell’adiacente fiume Pasig, l’ultimo dei quali avvenuto lo scorso anno; in molti hanno dovuto ricorrere a ospedali e cure mediche, per gravi problemi respiratori. Il pericolo di un impianto petrolifero in pieno centro di Manila Il prelato ricorda che la Chiesa filippina esercita da tempo pressioni sulle istituzioni, per il trasferi65

mento di un impianto che è fonte di gravi danni per la salute dell’uomo e l’ambiente. Una potenziale bomba, in caso di danni derivanti da terremoti o incendi, oppure attacchi terroristi, in grado di causare un numero elevato di vittime. "Non aspettiamo che accada qualcosa di grave - avverte prima di agire". Alle compagnie petrolifere e all’amministrazione della capitale, conclude l’ausiliare, non resta altro da fare che ottemperare alla decisione dei giudici. “È inaccettabile che vi sia un deposito di petrolio nel pieno centro di Manila”. La Chiesa filippina sempre molto attenta alle tematiche ambientali L’attenzione della Chiesa per la vicenda non deve stupire, perché anche in passato i vertici cattolici filippini, e soprattutto l’arcidiocesi di Manila, hanno prestato molta attenzione ai temi inerenti l’ambiente. Nel febbraio dello scorso anno le parrocchie della capitale hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione per la raccolta e lo smaltimento di rifiuti elettronico. A Luzon vertici cattolici e Ong hanno promosso una battaglia comune pr la bonifica di terreni contaminati da scavi ed esplorazioni.


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La parrocchia di san Juan Diego a Buenos Aires

Il sogno di Papa Francesco divenuto realtà Card. Poli e Card. Rivera nell’inaugurazione del Tempio di San Juan Diego a Buenos Aires

da Buenos Aires

JOSÉ GUILLERMO GUTIÉRREZ FERNÀNDEZ NOSTRO SERVIZIO SPECIALE

Primo maggio speciale a Buenos Aires. Il cardinale Norberto Rivera Carrera, arcivescovo di Città del Messico, custode della “tilma” del indigena Juan Diego Cuauthlatoatzin, al qaule la Madonna di Guadalupe si rivelava lasciando la sua sacra immagine stampata miracolosamente sul suo mantello, ha presieduto l’Eucaristia a Buenos Aires e vedeva realizzato un sogno di Papa Francesco. La consacrazione del tempio parrocchiale di “Villa Lugano” al sud della città, intitolato a questo veggente della Madonna, canonizzato da san Giovanni Paolo II, il 31 luglio 2002 a Città del Messico. Infatti questo tempio era stato voluto dall’allora vescovo ausiliare della zona Flores, Monsignor Bergoglio nel 1992, poco tempo dopo della beatificazione di San Juan Diego. Poi lo stesso Bergoglio divenuto cardinale arcivescovo di Buenos Aires, creò formalmente la parrocchia il 9 dicembre 2007. Questa storia, iniziata più di venti anni fa, nasce dal vivo desiderio dei fedeli di avere un tempio parrocchiale nel loro quartiere. Il luogo dove doveva sorgere questa nuova chiesa si trova di fronte al parco comunale chiamato “Indoamericano”, che fa riferimento ai popoli originari del continente, il vescovo Bergoglio grande devoto della Madonna di Guadalupe, suggeriva di intitolarlo al Beato Juan Diego, che nel frattempo diveniva santo della Chiesa universale. Si tratta di un moderno tempio semicircolare che riprende in qualche modo la struttura circolare della Basilica di Guadalupe a Città del Messico. L’opera di costruzione del tempio è cominciata il 1° agosto di 2013,

pochi messi dopo la elezione del cardinale Bergoglio a Papa. Con il cardinale Rivera Carrera, hanno concelebrato l’arcivescovo di Buenos Aires, Mons. Mario Aurelio Poli, il nunzio apostolico in Argentina, Mons. Paul Tschering, altri quattro vescovi e più di trenta sacerdoti, tra cui il rettore della Basilica di Guadalupe a Città del Messico, Mons. Enrique Glennie. Erano presenti anche diverse autorità civili e oltre duemila festosi fedeli. Il Papa ha inviato un messaggio quanto mai eloquente della sua gioia per la realizzazione del progetto: “Cari fratelli, mediante queste righe voglio farmi vicino e pregare insieme con voi. Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto, per tutto il cammino compiuto, con tanta pazienza e con tanti sacrifici. Ricordo con gioia le sante Messe celebrate all’aperto nei mesi di dicembre. Oggi mi vengono in mente tanti volti, tanti nomi da ringraziare, meglio non comincio a fare l’elenco perché c’è il rischio che poi mi dimentico di qualcuno … Prego per voi e vi chiedo, per favore di farlo anche per me”. In sintonia con questo messaggio del Papa, il Cardinale Rivera nella sua omelia ha detto: “Cari fratelli, quanto 66


avrebbe voluto Papa Francesco essere qui con noi oggi, per vedere come va crescendo questa comunità! Io vengo dal Tepeyac, dove Dio si è mostrato a ciascuno di noi, mediante la sua santissima madre di Guadalupe, che scelse un umile indigeno, Juan Diego, per essere il suo messaggero. In lui ripose tutta la sua fiducia, tutto il suo amore, tutta la sua tenerezza e misericordia..”. Da parte sua il Cardinale Poli, nel congratularsi con la comunità, ha detto: “Cari fratelli, abbiamo la gioia che Papa Francesco avrà oggi una grande gioia per la consacrazione di questo tempio. Sicuramente gli faranno avere delle fotografie e vedrà con gioia l’inaugurazione

di questo tempio, di questa parrocchia che egli iniziava. Questo tempio senza dubbio unirà di più il popolo messicano e i devoti della Madonna di Guadalupe qui in Argentina. San Juan Diego farà di ponte di fratellanza tra i due emisferi del Continente”.

INCONTRO IN VATICANO

TRA PAPA FRANCESCO E RAÚL CASTRO Domenica mattina 10 maggio Papa Francesco ha ricevuto in udienza il Presidente della Repubblica di Cuba, Raúl Castro Ruz. L’incontro si è svolto nello Studio papale presso l’Aula Paolo VI. All’arrivo presso il “Fungo”, all’ingresso posteriore dell’Aula Paolo VI, alle 9.30, il Presidente è stato accolto dal Prefetto della Casa Pontificia, S.E. Mons. Gaenswein, e salutato dal Sostituto, S.E. Mons. Becciu, e dal Segretario per i Rapporti con gli Stati, S.E. Mons. Gallagher. Quindi ha avuto luogo l’incontro personale con il Papa, nello Studiolo. L’incontro, durato oltre 50 minuti, è stato molto cordiale. Il Presidente – come ha dichiarato egli stesso ai giornalisti prima di lasciare il Vaticano – ha voluto ringraziare il Santo Padre per il ruolo attivo da lui svolto in favore del miglioramento delle relazioni fra Cuba e gli Stati Uniti d’America; inoltre ha presentato al Papa i sentimenti del popolo cubano nell’attesa e preparazione della sua prossima visita nell’Isola nel mese di settembre. Il Papa e il Presidente si sono spostati nella vicina Auletta, per la presentazione della delegazione che accompagnava il Presidente, composta da una decina di personalità fra cui il Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro degli Esteri e l’Ambasciatore presso la Santa Sede. Significativo lo scambio dei doni. Il Presidente ha offerto al Papa una preziosa medaglia commemorativa della Cattedrale dell’Avana e un quadro di arte contemporanea, che rappresenta una grande croce composta di relitti di barconi sovrapposti, davanti alla quale vi è un migrante in preghiera. L’artista cubano Kcho, che era presente, ha spiegato al Papa di essere stato ispirato dal suo grande impegno nel portare all’attenzione mondiale i problemi dei migranti e dei profughi, a partire dal suo famoso viaggio a Lampedusa. Il Papa ha donato al Presidente la sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium e un grande medaglione che rappresenta San Martino in atto di coprire il povero con il suo mantello. Il Papa ha osservato esplicitamente che questo è un dono che fa particolarmente volentieri, perché ricorda non solo l’impegno per aiutare e proteggere i poveri, ma anche per promuoverne attivamente la dignità.

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Nella città della libertà religiosa per celebrare il dono della famiglia da Philadelphia

BILL DONOVAN NOSTRO SERVIZIO

Per la prima volta da quando è stato istituito da San Giovanni Paolo II, l’Incontro Mondiale delle Famiglie arriva negli stati Uniti. Dal 22 al 27 settembre 2015 centinaia di migliaia di famiglie si raduneranno a Philadelphia, patria della indipendenza americana e della libertà religiosa, per celebrare il grande dono che Dio ci ha fatto nella famiglia. Come sempre l’evento si comporrà di due grandi parti. Da martedì 22 settembre a venerdì 25 si celebrerà il Congresso teologico pastorale, presso lo spettacolare Pennsylvania Convention Center. Esso sarà un raduno internazionale di esperti e relatori – i migliori pensatori dei mondo – che presenteranno relazioni e attività sul matrimonio e sulla famiglia. Anche i bambini e i ragazzi, accanto alle sessioni degli adulti, avranno momenti loro dedicati, dove potranno approfondire con i loro linguaggi i temi toccati dai genitori. L’incontro culminerà poi con il duplice appuntamento con il Papa: la festa del sabato sera, cui parteciperanno e daranno la loro testimonianza famiglie da tutto il mondo dentro la cornice di un grande spettacolo, e la S. Messa papale di domenica pomeriggio, dove è prevista la partecipazione di più di un milione di persone che si raduneranno nel centro della città, sulla grandiosa Philadelphia’s Benjamin Franklin Parkway. A Philadelphia saranno presenti alcune centinaia di famiglie italiane, ma sarà possibile seguire l’appunta-

mento anche da casa, attraverso le dirette televisive, i social media e i materiali già ora disponibili sul sito ufficiale dell’incontro www.worldmeeting2015.org. Il titolo di questo incontro, scelto da Papa Francesco è “L’amore è la nostra missione, la famiglia pienamente viva”; un tema di grande respiro che permetterà di affrontare tutte le grandi questione contemporanee relative alla famiglia da un punto di vista positivo ed entusiasmante: il mistero dell’amore e della vita. Per riflettere sul tema sono state predisposte (anche in italiano) dieci catechesi preparatorie, acquistabili online sui amazon.com.

Il francescano conventuale padre John Stowe vescovo di Lexington Papa Francesco ha nominato vescovo di Lexington (USA) padre John Stowe, dei Frati Minori Conventuali, finora vicario provinciale della Provincia francescana conventuale “Our Lady of Consolation” e rettore della “Basilica and National Shrine of Our Lady of Consolation” in Carey, nell’Ohio. Padre Stowe è nato il 15 aprile 1966 ad Amherst (Ohio). Dopo aver frequentato la “Lorain Catholic High School” ha ottenuto il Baccalaureato in Filosofia presso la “Saint Louis University” (1990). Poi, il “Masters in Divinity” e la Licenza in Storia della Chiesa presso la “Jesuit School of Theology” a Berkeley (California).

Ha emesso i voti solenni il 1° agosto 1992 ed ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 16 settembre 1995 . Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vice Parroco (1995-1997), Amministratore (1997-2000) e, poi, Parroco (2000-2003) dell’“Our Lady of Mount Carmel Parish” ad El Paso (Texas); Vicario Generale della diocesi di El Paso (2003-2010); Amministratore dell’“Our Lady of the Valley Parish” ad El Paso (2006-2010); Cancelliere della diocesi di El Paso (2008-2010); Vicario Provinciale della Provincia Francescana Conventuale “Our Lady of Consolation” e Rettore della “Basilica and National Shrine of Our Lady of Consolation” a Carey (Ohio) (2010 ad oggi).

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Compie i 90 anni LS 19 UâÉÇ vÉÅÑÄxtÇÇÉ4

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a Giornata di studio sui 90 anni di LUCE SERAFICA dobbiamo trasferirla dal 27 giugno a sabato 24 ottobre 2015. Il 27 giungo, infatti, l’arcidiocesi di Amalfi - Cava de’ Tirreni celebra le festa esterna dell’apostolo Andrea e diventava impossibile programmare un incontro che ha in Costiera già altri richiami religiosi e culturali. Trasferire quindi la Giornata qualche giorno prima della festa liturgica del Beato Bonaventura ci è sembrato opportuno e doveroso. Stiamo preparando nei dettagli il programma della Giornata che pubblicheremo ai primi di settembre.

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francescanesimo

Cibo e spiritualità francescana da Roma

FRA MARCO TASCA MINISTRO GENERALE OFM CONV.

Si intitola Cibo che nutre. Per una vita sana e santa la lettera che il Ministro Generale dei Frati Minori Conventuali ha indirizzato agli oltre quattromila francescani conventuali sparsi nel mondo in vista dell’ Expo di Milano, appuntamento che intende mettere a fuoco la questione riguardante il cibo per tutti in relazione alla sostenibilità del pianeta. Il documento, redatto in quattro lingue - italiano, inglese, spagnolo, polacco – è stato pubblicato integralmente sulla rivista «Vita Consacrata». Pubblichiamo ampi stralci. A tavola si cambia il mondo La gente considera i francescani persone frugali, anche nella tavola, e soprattutto fratelli universali attenti alle necessità di tutti, in particolare dei poveri. Siamo noi all’altezza di questa fama? Possiamo in qualche modo ripensare in modo creativo i nostri stili di vita, di alimentazione, i criteri con cui usiamo dei beni della terra? L’idealità che ci spinge a voler cambiare il mondo comincia da gesti semplici e quotidiani, condivisi e fraterni, assunti come segni della benedizione che Dio riversa su di noi e attraverso di noi sul mondo intero. Questa mia lettera vuole essere la prima di una serie dedicata alla solidarietà e agli stili di vita. Non solo per testimoniare al mondo che la sequela profetica trasforma l’esistenza e la apre al dono di sé, ma anche perché tra di noi, a ogni livello - singolo frate, convento, provincia, circoscrizione, ordine - vi sia la dovuta attenzione alle necessità dei più “piccoli”, singoli e collettività. Mai, nella storia dell’umanità, si è prodotto tanto cibo come ai nostri giorni e mai come oggi i problemi in rapporto al cibo sono stati così critici: mentre più di 800 milioni di persone patiscono ancora la fame, circa 1,5 miliardi di persone sono sovrappeso e di queste più di 500 milioni soffrono

di obesità. La fame e l’obesità globali - alle quali non si intende assolutamente attribuire pari drammaticità - sono però sintomi di un unico problema, di un rapporto negato e negativo con il cibo, di privazione o di sopravvalutazione dello stesso. Riflettere sulla complessità di questi intrecci, impedisce di mettere noi stessi dalla parte della soluzione del problema, che sarebbe in altro luogo, lontano o limitato ad alcuni Paesi o situazioni marginali. L’occasione di una riflessione di questo genere è offerta da un evento internazionale quale l’Expo di Milano 2015, dal titolo suggestivo: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. L’evento, che si svolgerà dal 1° maggio al 31 ottobre 2015, intende mettere a fuoco le importanti questioni del cibo e del nutrimento per tutti in rapporto alla sostenibilità del pianeta. Nella doppia prospettiva della Food safety, o garanzia della genuinità dei prodotti alimentari consumati, e della Food security, vale a dire l’accesso di tutti al cibo e all’acqua necessari per il proprio bisogno, in modo da sconfiggere definitivamente la piaga della fame nel mondo. Nutrirsi e nutrire, sono due gesti che fanno l’intelaiatura della vita e nel loro ripetersi garantiscono la sua sussistenza. Anche se la routine ci ha sottratto questo senso profondo, il cibo è ciò che ci strappa alla morte, rivelandoci la limitatezza dell’esistenza umana, il fatto di essere creature bisognose e dipendenti. Il cibo, poi, non nutre solo il corpo, ma consolida e custodisce le relazioni, le arricchisce e le qualifica. Anche per questo il pane non è mai solo pane, ma rimanda al rapporto buono o malato che noi intratteniamo con il mondo, le cose, gli altri vicini e lontani, con il nostro e l’altrui corpo. Nutrirsi e nutrire esprime anche una separazione dei tempi, a seconda della densità di significato e di importanza che questi hanno in rapporto alla vita personale e comunitaria. Vi sono i pasti quotidiani, quelli festivi e i tempi di digiuno, che consistono in una privazione temporanea del cibo o in una diminuzione nell’assunzione dello stesso. Se il cibo della festa, 70


in abbondanza e quasi in eccesso, è una intensificazione dell’ offerta di alimenti e di bevande che ha come obiettivo il “fare festa”, il digiuno rimanda al vero nutrimento, quello fraterno e spirituale, mentre normalmente il cibo è realtà quotidiana la cui verità è il percepirlo, tanto o poco che sia, come dono. In tutte le nostre comunità, prima di sedersi a tavola il guardiano intona una preghiera alla quale tutti si uniscono. Si tratta, in genere, di una preghiera breve, anche perché il momento della mensa comune è in molti luoghi preceduto dalla recita dell’ora media o dei vespri. Non va però sottovalutata l’importanza di questa orazione prima dei pasti, che ha la funzione di mettere in atto, innanzitutto, un salutare - anche se momentaneo distacco dal cibo già presente e non ancora condiviso. Attraverso il distanziamento della benedizione viene simbolicamente superata ogni avidità, ogni ingordigia, ogni aggressività: esso, infatti, collega a Dio e ai fratelli la realtà del cibo, leggendone la provenienza (da Dio, appunto) e la destinazione (per tutti i presenti e non solo) insieme alla bontà: «Infatti ogni creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato, se lo si prende con animo grato, poiché esso viene reso santo dalla parola di Dio e dalla preghiera» (1Tm 4, 4-5). Il cibo è così identificato nella sua qualità profonda di dono del tutto positivo ricevuto e da ridonare, di cui non ci si può appropriare a scapito degli altri. Orientandoci oltre l’ingratitudine, quella superficialità che ci fa considerare quanto riceviamo come scontato; oltre l’autosufficienza, che ci illude di bastare a noi stessi; ma anche oltre l’indifferenza, che neutralizza l’altro poiché giudica la sua presenza troppo ingombrante e al limite competitiva. «Egli dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre». Così il Salmo 136, 25 descrive la premura di Dio verso ogni creatura, non solo

umana. Ogni vivente ha diritto a ricevere la sua parte di cibo, e Dio stesso è impegnato affinché a nessuno manchi il necessario. Non a caso il miracolo più raccontato nei Vangeli - per ben sei volte - è quello della moltiplicazione dei pani, in seguito al quale Gesù offre cibo a gente affamata. Oggi il pane per tutti, il cibo necessario al sostentamento garantito per ogni uomo, non è ancora realtà. Nel nostro mondo la tragedia della fame è purtroppo di casa, per cui «una delle sfide più serie dell’umanità è la tragica condizione nella quale vivono ancora milioni di affamati e malnutriti» (Papa Francesco, messaggio per la giornata mondiale dell’alimentazione, 16 ottobre 2013). Resta di attualità la parabola del ricco epulone (cfr. Lc, 16, 19-31) che «indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti». L’inclusione sociale, la qualità delle relazioni, il riconoscimento della pari dignità e degli stessi diritti è il fine ultimo della solidarietà e della condivisione dei beni. Se non si risolveranno i problemi dei poveri - sostiene Papa Francesco - non si potranno risolvere i problemi del mondo, anzi, di più, nessun problema globale potrà essere davvero risolto (cfr. Evangelii gaudium, n. 202). Come? Con una «Chiesa povera per i poveri», è la risposta dei cristiani insieme con Papa Francesco: e se il secondo aspetto - per i poveri - è stato sempre praticato con grande generosità, il primo - Chiesa povera - è stato poco considerato fino a oggi, sia teologicamente che pastoralmente. Per i francescani vale la stessa prospettiva, nel senso che va superata la lettura della povertà intesa solo come virtù personale, per recuperarne il fondamentale aggancio cristologico e la sua esplicitazione ecclesiale (cfr. Lumen gentium, n. 8), così come la sua carica di umanizzazione personale in vista della solidarietà con ogni fratello. 71


francescanesimo

Il tesoro di padre Léon I francescani di Parigi ricordano Veuthey L’École franciscaine de Paris ha dedicato il 27 febbraio 2015 una giornata di studio al servo di Dio Léon Veuthey (1896-1974), francescano conventuale svizzero. Di padre Léon (al secolo Clodovis) si ricordano soprattutto i lunghi anni come professore presso la facoltà di San Bonaventura a Roma e come direttore spirituale degli studenti. Ma bisogna ricordare anche il suo insegnamento prima a Friburgo, poi all’università Urbaniana a Roma (1932-1942), il suo servizio come assistente generale dell’Ordine (1945-1954), la direzione spirituale di tanti fedeli collegati al movimento Crociata di Carità e poi del Focolare, e anche il suo lavoro pastorale in una parrocchia di periferia a Bordeaux, in Francia (1954-1965). Successivamente, tornò a insegnare filosofia francescana al Seraphicum, la facoltà teologica di San Bonaventura, e visse a Roma sino alla morte, avvenuta il 7 giugno 1974 al Policlinico Gemelli. Di lui restano i ventitré volumi dell’ opera omnia - che include saggi di filosofia, pedagogia, teologia e spiritualità francescana - e un ricchissimo epistolario. A ricordare Veuthey il 27 febbraio scorso a Parigi è stato padre Gianfranco Grieco, che, insieme ad altri studiosi francescani conventuali, ha collaborato con il padre Ernesto Piacentini alla pubblicazione dell’ opera omnia. Durante la giornata, sono stati riletti e riproposti i nodi fondamentali del pensiero del frate svizzero: l’ itinerario spirituale francescano, le otto riflessioni mistiche che commentano le Beatitudini di Matteo - definite da padre Léon «poesia soprannaturale del Vangelo» l’ascensione spirituale e la contemplazione francescana. Alla giornata di studio hanno partecipato studiosi laici legati alla storia e alla spiritualità del Poverello di Assisi, i frati delle tre famiglie francescane, e , in particolare, i frati minori di rue Marie Rose 7, dove hanno sede le Éditions franciscaines che nei giorni scorsi hanno pubblicato il volume La Vie retrouvée de François d’ Assise (Paris, 2015, pagine 166, euro 14,90) annunciato dall’ «Osservatore Romano» il 26 gennaio scorso in un’ intervista all’ autore, Jacques Dalarun.

Un approfondimento sull’attualità del pensiero filosofico e teologico di padre Léon è stato inserito nel ciclo delle otto giornate di studio (tra il 24 ottobre 2014 e il 29 maggio 2015) che l’École franciscaine de Paris ha proposto per l’anno accademico 2014-2015, dal titolo «I frati cappuccini, conventuali e minori nella società della loro epoca». Significative anche le altre giornate di studio dedicate all’ attualità del pensiero di Guglielmo da Ockham; al pensatore e storico della filosofia francescana Paul Vignaux; all’influenza di Duns Scoto sul pensiero contemporaneo; alla presenza francescana in Vietnam dal 1975 a oggi e in Giappone nel Cinquecento e nel Seicento; e ai frati minori e cappuccini in Francia dopo la grande guerra (1915-1918) e dopo la seconda guerra mondiale sino al 1960.

I frati di Assisi in pellegrinaggio a piedi verso Roma

Una decina di frati francescani, appartenenti ai diversi rami maschili dell’unico Ordine nato da Francesco d’Assisi (Frati Minori, Frati Minori Conventuali, Frati Minori Cappuccini e Frati del Terz’Ordine regolare), hanno iniziato il 6 marzo un pellegrinaggio a piedi verso Roma. Un pellegrinaggio che parte, nell’intuito e nel desiderio, prima ancora che geograficamente, dalla città serafica che 800 anni fa vide nascere la numerosa famiglia francescana. “È un pellegrinaggio - si leggeva in una nota degli organizzatori ripresa dall’agenzia Sir - che si colloca in tempo quaresimale, per cui intende esprimere una prima dimensione penitenziale, all’interno dell’Anno della Vita consacrata. È stato un cammino verso Roma, con il desiderio riconfermare la fedeltà già promessa dal Poverello al ‘Signor Papa ‘ proprio il 13 marzo, giorno anniversario dell’elezione al soglio pontificio”. Incontri, preghiere e testimonianze di fraternità han no segnato le sette tappe dei sette giorni, raccontati ogni giorno sui siti delle quattro famiglie francescane. 72


La Vita ritorovata di Francesco d’Assisi La scoperta di Jacques Dalarun Medievista e specialista della “questione francescana” che sarebbe potuto essere interessante. E anche grazie all’accurato e intelligente lavoro di Laura Light, la studiosa che ha preparato la descrizione del manoscritto per la casa d’aste americana che lo ha messo in commercio, l’anno scorso. Stavo cercando questo testo da sette anni: nel corso dei miei studi avevo trovato frammenti e tracce sparse e tutto faceva pensare all’esistenza di una sorta di Legenda intermedia di Tommaso da Celano, successiva alla prima stesura e precedente rispetto alla seconda Vita che conosciamo, un’opera composta sotto il generalato di frate Elia. Trovare questo testo è stata una conferma molto, molto preziosa, e, ovviamente, una grande gioia. Diciamo che questa scoperta è piovuta in un terreno pronto a raccoglierla”. Dalarun ha capito subito che il testo latino che aveva davanti sullo schermo del suo pc non era solo un florilegio umbro di fine Duecento sulla vita di Francesco, ma un’opera inedita di Tommaso da Celano. Infatti, decifrando il prologo; sul sito c’erano anche delle immagini del manoscritto, non di qualità eccelsa ma comunque leggibili, anche se con un po’ di difficoltà; la stessa Laura Light nella sua descrizione del codice citava i miei studi accennando alla possibilità che potesse trattarsi di una tessera importante di un mosaico ancora tutto da completare. A quel punto la mia preoccupazione è stata rendere disponibile il testo agli studiosi; se fosse stato comprato da un privato questo non sarebbe stato automaticamente garantito. Per questo mi sono rivolto alla direttrice del dipartimento Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Francia, che, dopo una trattativa con la casa d’aste, ha comprato il libro. Nel frattempo, dal settembre scorso ad oggi, ho potuto studiare in modo più approfondito il testo e preparare l’edizione latina e la traduzione francese, avviando anche le traduzioni in italiano e inglese. La notizia è uscita solo il 16 gennaio scorso sulla stampa francese; non era oppor-

da Roma

GIANFRANCO GRIECO

Frère Cloude Coulot, francescano di Strasburgo era lieto di donarmi, a Parigi, una delle prime copia del volume: La Vie retrouvé de François d’Assise di Jacqeus Dalarun, storico del Medio Evo, direttore di ricerca al CNRS (Institut de recherche et d’histroire des testes), membro de l’Institut (Académie des Inscriptions et Belles-Lettres), specialista della questione francescana. Il volume (p. 166, 14,90 euro) era ancora fresco di tipografia. Infatti era stato stampato il 13 febbraio e il 17stava già nella libreria delle Éditions franciscanes di 9, rue Marie- Rose di Parigi.. Il racconto della vita di frate Francesco è sempre pieno di sorprese. Riemergono, dal passato, non solo frammenti, o citazioni indirette tratte da opere coeve, ma , come stavolta, si tratta proprio della seconda più antica Vita del santo di Assisi, sconosciuta fino a oggi, contenuta in un manoscritto apparentemente insignificante e assente dai cataloghi delle biblioteche perché fa parte di una collezione privata. Nella Prémise (7- 30 pagine), il racconto. Si tratta di un codicetto ( formato di dodici per otto centimetri) che è al centro di una questione storiografica complessa. Un testo, questo, passato inosservato per molto tempo e arrivato indenne fino ad oggi, proprio per la sua povertà. Si tratta di un piccolo codice «francescano in senso letterale, umile e povero, senza decorazioni o miniature» spiega Delarun, autore della scoperta. Questo il suo racconto riportato nella Prémise. Il manoscritto è stato trovato grazie alla mail del collega, Sean Field, che insegna all’ università del Vermont. Sean, “sapendo che mi occupo da molto tempo delle testimonianze biografiche su Francesco, mi ha segnalato l’imminente vendita all’asta di un manoscritto

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tuno renderlo noto prima per non interferire con una negoziazione commerciale in corso, e ci tenevo anche ad avere un’ idea precisa della collocazione cronologica e del contenuto del manoscritto”. Nell’intervista a Silvia Guidi apparsa su L’Osservatore Romano, prima della pubblicazione del libro ( 26-27 gennaio 2015, p.4) Dalarun rivela di aver trovato interessanti elementi nel testo. Infatti – sottolinea – “È un riassunto, scritto in un lasso di tempo che va dal 1232 al 1239, della prima versione della Legenda, considerata troppo lunga dai contemporanei, ma non solo: vengono aggiunti nuovi elementi e leggendo con attenzione risulta evidente che anche la riflessione dell’ autore si è notevolmente approfondita nel tempo, soprattutto sui temi della povertà e dell’ amore per le creature. Tommaso da Celano era un uomo molto profondo e non ha mai smesso di riflettere sull’ insegnamento di Francesco. In un certo senso si potrebbe dire che il biografo, col passare degli anni, capisce... di non aver davvero capito il messaggio di Francesco. Di averlo raccontato, ma non realmente capito. Ed è un testo ampio: l’edizione latina è lunga circa sessanta cartelle. Molti commenti contenuti nella prima versione sono stati eliminati, e ci sono alcuni punti nuovi. Si sottolinea molto di più la concretezza dell’ esperienza della povertà, dell’experiri paupertatem non in senso simbolico, allegorico o solo spirituale, ma reale: significa indossare gli stessi vestiti e mangiare lo stesso cibo dei poveri. E

si approfondisce il tema della fraternità con l’ intera creazione. All’ inizio Tommaso parlava di questo come di qualcosa di mirabile, strano e stupefacente, ma sostanzialmente estraneo alla sua esperienza. Ben scritto, ma distante. Nella riscrittura invece riflette sul fatto che la fraternità con la creazione riguarda anche gli esseri privi di ragione, non solo gli esseri umani; è un discorso antiidentitario. Siamo diversi ma fratelli, perché tutti discendono dalla paternità del Creatore. Per questo non sono d’ accordo quando sento dire "Francesco amava la

natura: “è un concetto pagano. Francesco amava i suoi fratelli uomini e animali perché figli di uno stesso Creatore”. Un episodio ha colpito in modo particolare il medievista Dalarun. Si tratta di un fatto che già “conoscevamo – sottolinea ancora – ma che viene raccontato in un modo un po’ diverso nella cosiddetta legenda trium sociorum. Questa che possiamo leggere adesso è probabilmente la versione più autentica e più antica. Si parla di un viaggio di Francesco a Roma, ma non come il pellegrinaggio di una persona già convertita, che ha abbracciato la vita religiosa. In questo caso viene raccontato un viaggio d’ affari di un mercante che resta colpito dalla povertà dei mendicanti che vede vicino a san Pietro e si chiede se sarebbe in grado di vivere un’esperienza simile. Niente a che vedere con la versione edulcorata che si diffonde successivamente: Francesco, già frate, che si china sul dolore di chi incrocia sulla sua strada. Qui il contrasto è molto più forte, non un graduale cambiamento ma un vero e proprio shock. Tommaso aggiunge altri dettagli molto concreti e realistici: spiega che Francesco riparava i buchi nella sua tonaca usando fibre tratte dalla corteccia degli alberi e dalle erbe che trovava nei campi, proprio come faceva chi non aveva assolutamente nulla, neanche gli strumenti per cucire”.. “Il giallo è solo all’ inizio” – spiega ancora Jacques Dalarum –. Che si chiede: “Chi aveva in tasca questo libro? Per chi è stato fatto? Probabilmente per un frate minore, vicino ad Assisi. Chi poteva avere conoscenza di questi testi? Frate Leone, o forse frate Luigi Pellegrini, tenendo conto anche del fatto che la Vita è solo quindici fogli, un ottavo del volume; nel manoscritto ci sono anche le Ammonizioni di Francesco e molto altro. Ma c’è ancora tanto da capire. È interessante anche il momento storico in cui è riaffiorata dal passato questa testimonianza, in uno scorcio di secolo che ha tanti punti in comune con la grande espansione economica e le grandi sacche di povertà del Duecento. È un bel patrocinio da parte del primo Francesco per Papa Francesco che proprio adesso sta mettendo a punto un’enciclica sull’amore e sulla custodia del creato”. Il volume, mi hanno assicurato a Parigi, sarà pubblicato in lingua italiana della edizioni Antonianum di Roma. 74


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GIOTTO Affreschi a rischio? «Montatura ad Arte» MASSIMILIANO CASTELLANI UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

Ad Assisi non c’è pace tra gli ulivi, anzi tra gli affreschi della basilica di San Francesco. La direzione generale per le Belle arti del ministero per i Beni culturali, presieduta dall’architetto Francesco Scoppola, avrebbe tuonato «allarmatissima» sul quotidiano La Repubblica – edizione 19-20 febbraio 2015, p.25 – che sugli affreschi di Pietro Lorenzetti la manutenzione in corso da parte dei restauratori ha creato un imbarazzante «effetto pizzeria», secondo l’autore dell’articolo, Tomaso Montanari. La stessa direzione generale, poi, sarebbe ancora più preoccupata per il restauro effettuato dall’altra parte del transetto della basilica e nella cappella di San Nicola, dove mise mano (nella Crocifissione sicuramente) – intorno al 1315 – Giotto. In quella zona le mezze figure, opera di Simone Martini, sarebbero state alterate dal restauro con «appiattimenti e prive di alcuni dettagli della decorazione» (ancora da Repubblica). Critiche e giudizi piuttosto forti, che hanno indotto il soprintendente dell’Umbria Fabio De Chirico a sospendere cautelativamente gli interventi alla Basilica, e chiamano in causa un’istituzione come il professor Sergio Fusetti. Salentino di Galatina, dal 1974 ad Assisi, Fusetti è il responsabile delle attività di restauro della reverenda fabbrica di San Francesco.

trent’anni. La Basilica – dice con orgoglio – è la mia seconda casa, la custodisco con amore da quarant’anni. Chi mi conosce, sa bene che ero qui a fare il sopralluogo anche il giorno dell’ultimo terremoto, il 27 settembre del 1997, quando sotto il crollo della vela di Cimabue [Basilica superiore, ndr] la scampai per miracolo, mentre i miei due cari amici, i geometri Bruno Brunacci e Claudio Bugiantella, sono morti sotto le macerie...». Chi l’accusa però le rivolge delle specifiche lacune e responsabilità di natura tecnica riguardo alle ultime operazioni di restauro. «Innanzitutto in questo momento non si sta facendo restauro, ma della normalissima attività di manutenzione (come hanno potuto appurare i due tecnici del ministero nel recente sopralluogo). Essendo zona sismica, il rischio di crolli di pezzi di affreschi è all’ordine del giorno. Mi attaccano sulla cappella di San Nicola dove due anni fa alla chiusura dei lavori espressero il loro be-

Parole grosse come macigni, professor Fusetti: ma cosa ha provato leggendo queste critiche feroci? «Trovare sul giornale e in Rete certe accuse, più che critiche, confesso che è stato un autentico siluro alla mia persona, ma anche a tutti quelli che qui hanno operato in passato nella Basilica e, adesso, ai miei cinque collaboratori, alcuni dei quali lavorano con me da venti-

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nestare entusiasta soprintendenti, storici dell’arte e l’allora ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi, che presenziò alla cerimonia di presentazione degli affreschi restaurati». Ieri Fusetti “eroe nazionale” e salvatore del tesoro pittorico della basilica di San Francesco – come nei giorni della terremoto –, ora unico responsabile del presunto “scempio”. «Nessuno scempio, non scherziamo. E poi voglio precisare che per i restauri seguiti al terremoto abbiamo lavorato assieme a diciotto ditte provenienti da tutta Italia. Per la cappella di san Nicola i fondi utilizzati erano privati e tutto è stato concordato, come sempre, con l’Istituto superiore di conservazione e restauro. Così come l’attuale manutenzione del transetto è stata fatta con regolare progetto presentato alla soprintendenza che lo ha prima vagliato e poi approvato. Questo è da sempre un cantiere trasparente e visibile a tutti, e nessuno, neppure il Sacro Convento, ha mosso mai un dito senza previa autorizzazione degli organi di controllo preposti». Al restauro della Basilica superiore, ha lavorato anche Bruno Zanardi – docente di Storia del restauro all’Università di Urbino – che di recente portando in visita ad Assisi dei suoi allievi avrebbe notato delle anomalie e lanciato l’allarme sulla scarsa qualità degli interventi attuali. «Resto ancora più allibito: il collega Zanardi sarà venuto almeno sette -otto volte a verificare il nostro lavoro alla cappella di San Nicola. Ci ha pubblicamente elogiati in un articolo pubblicato sul Giornale dell’arte[numero del 19 novembre 2012, ndr] in cui affermava: “Restauro molto complesso – cito testuale –, benissimo eseguito da Sergio Fusetti e i suoi direttori, da Vittoria Garibaldi, soprintendente ai Beni culturali dell’Umbria fino a lu-

glio 2011, inaugurato dall’attuale soprintendente, Fabio De Chirico”». Zanardi parla di “aura mediatica” dei restauri, con la cantante americana Patti Smith messa addirittura a lavoro da lei come “restauratrice”. «Questa ormai è diventata una barzelletta. Patti Smith è passata in visita alla basilica e a lei come a tante altre persone consentivamo delle visite guidate sui ponteggi del cantiere. Alla signora Patti Smith ho semplicemente mostrato come si fa una stuccatura su un pannello bianco, dove il tratto del restauratore si cancella come e quando si vuole senza arrecare alcun danno o alterazione all’affresco». E la presunta scritta “GB” che, sempre secondo Zanardi, avrebbe fatto passare come la firma del pittore: le iniziali di “Giotto Bondone ” ... «Quella sigla l’ho trovata, ma non mi sono mai permesso di dire che si trattava della firma di “Giotto Bondone”. L’ho mandata in visione agli esperti, perché da quarant’anni in qua so bene che il mio compito è esclusivamente tutelare lo stato di salute della Basilica e dei suoi oltre diecimila metri quadrati di affreschi. Tutto il resto sono chiacchiere». Chiacchiere che fanno male a lei e forse anche all’immagine della basilica? «Personalmente mi tengo la mia “croce” e attendo una smentita da tutti coloro che hanno preso parte a questo chiacchiericcio inutile e pretestuoso nel quale scorgo un attacco politico, più che a me a qualche dirigente della soprintendenza dell’Umbria. Sa, siamo in periodo di nuove nomine... Mi confortano i tanti messaggi di stima che mi stanno arrivando in queste ore da tutte le parti e anche dalla mia Assisi, di cui sono cittadino onorario». Avvenire/Agorà - Cultura/ 20 febbraio 2015, p. 11 76


Mons. Francesco Nolè nuovo arcivescovo metropolita di Cosenza - Bisignano

Volti di casa nostra

Mons. Francesco Nolè, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, religioso della provincia francescana conventuale di Campania e di Basilicata finora vescovo di Tursi-Lagonegro, succede a mons. Salvatore Nunnari, che rinuncia per raggiunti limiti di età. La nomina è stata resa nota venerdì 15 maggio, poco dopo mezzogiorno, in Vaticano, a Tursi e a Cosenza. Mons. Nolè prenderà possesso della sua nova sede episcopale il 4 luglio prossimo. Nato a Potenza il 9 giugno 1948, Mons. Nolé e èntrato nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali a Ravello, culla della prima formazione francescana di tutti i religiosi francescani conventuali della provincia di Napoli, nel 1959. Ha frequentato la scuola media nei seminario dell’Ordine serafico prima a Ravello e poi a Nocera Inferiore e gli studi ginnasiali a Portici. Dopo l’anno di Noviziato ha proseguito gli studi liceali a Santa Anastasia. È stato poi inviato a Roma al Collegio internazionale “Seraphicum” per gli studi filosofico - teologici, conseguendone il Baccalaureato. Nella Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale, Sezione S. Luigi – Posillipo, ha ottenuto la Licenza in Teologia Morale. Infine ha conseguito la Laurea in Pedagogia all’Università di Cassino. Ha emesso la professione solenne il 1° novembre 1971. È stato ordinato sacerdote il 2 settembre 1973. In seno all’Ordine ha ricoperto i seguenti uffici e ministeri: Rettore del Seminario minore dei Frati Minori Conventuali di Nocera Inferiore (1973-1976); Rettore del Seminario Minore di Benevento (1976-1982 e 1991-1992); Parroco e Cappellano della Scuola Agenti di Custodia a Portici (1983-1991); Direttore del Centro Missionario Nazionale dei Frati Minori Conventuali (1992-1994); Ministro Provinciale della Provincia religiosa di Napoli (1994-2000). È stato inoltre: Assistente ecclesiastico della FUCI di Benevento; Assistente ecclesiastico della Gioventù francescana, dei Gruppi famiglia e dei Medici Cattolici di Nocera-Sarno; Docente di Lettere e di Psicologia della Vita religiosa nel Seminario di Benevento; Docente di Teologia Morale negli Istituti Superiori di Scienze Religiose di Napoli e Capua; Docente di Religione nell’Istituto Magistrale di Benevento. Ha tenuto conferenze, esercizi spirituali e missioni, oltre ad aver collaborato a varie pubblicazioni e riviste. Il 4 novembre 2000 è stato eletto alla sede vescovile di Tursi - Lagonegro e ordinato vescovo il 10 dicembre successivo nella Basilica del Santo Rosario di Pompei, dall’allora arcivescovo Giovanni Basttista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. “In esplicitate et laetitia” era e resta il suo motto episcopale. In seno alla Conferenza Episcopale Italiana è Membro della Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata. Al caro nuovo Arcivescovo Nolè gli auguri e la preghiera di tutti i religiosi della provincia di Napoli e di tutti i lettori di LUCE SERAFICA.

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20 anni di presenza francescana a Salerno Mentre Roma chiama a raccolta con papa Francesco che indice il 2015, “Anno della Vita consacrata”, la parrocchia di San Gaetano di Salerno risponde, per fortuita coincidenza, chiamando a raccolta i suoi per festeggiare il ventennale della presenza dei frati francescani conventuali. I fedeli accorrono, ma nessuno immagina di vivere momenti di così intensa vita spirituale. È un grigio, freddo 26 febbraio. In chiesa alle 18.30 sfilano silenziosi i frati e sacerdoti concelebranti che precedono mons. Francesco Nolé, vescovo di Tursi Lagonegro. Ha inizio una solenne e toccante celebrazione eucaristica. Anche questa volta, il nostro parroco padre Paolo D’Alessandro, non ha perso occasione per dimostrarci con quanta attenzione e affetto curi le nostre anime... è riuscito ad ottenere dalla Penitenzeria Apostolica, l’Indulgenza Plenaria per i vivi ed i defunti fino al 1° marzo 2015, in concomitanza alla Solenne Adorazione Eucaristica (Le Quarantore) che vede una profonda meditazione sul tema: “L’Eucaristia al centro della famiglia”. La nostra chiesa, che, già, fa dell’accoglienza la sua priorità, rimane aperta ancora più del solito per consentire di accostarci più facilmente ai sacramenti della Confessione e Comunione. Per noi fedeli, sono giorni di vera grazia, di profonda riflessione: l’alternarsi dei ragazzi del catechismo, comincia con i più piccoli che insieme con i genitori pregano davanti a Gesù Eucaristia, per concludersi con i cresimandi che danno vita ad una gioiosa preghiera di adorazione. Sono attimi molto suggestivi. I gruppi parrocchiali presenti, e non sono pochi, vogliono tutti dare testimonianza del forte senso di appartenenza e di collaborazione che li lega al loro parroco. Non solo intensa preghiera, ma ascolto della Sacra Parola, meditazione e riflessione. Ci sono proprio tutti, lupetti, araldini e gifra, si uniscono in un abbraccio ideale agli adulti dell’Ofs, Scout, Catechiste, Apostolato della preghiera e ai Ministri straordinari dell’Eucaristia. Un’unica melodia avvolge le Giovani Voci di San Gaetano e quelle del Coro Madre della Provvidenza. Altamente emozionante le eccelse vocalità della Schola Cantorum San Gaetano, vero sublime ponte tra la Chiesa terrena e la Chiesa ce-

leste. Che gioia rivedere i sacerdoti e i frati che si sono avvicendati in questi 20 anni! Gli stessi sorrisi! Gli stessi entusiasmi! I loro capelli non sono più neri, il loro passo non è più spedito, ma il loro cuore è quello di sempre, cuore grande, capace di amare senza misura, senza interesse... Senza pretendere mai nulla... Don Cesare Pellegrino, Padre Luigi Casillo, Padre Emanuele Iovannella, grazie! Grazie! Tra i tanti momenti di profonda vita interiore, trova spazio anche “l’Arte liturgica”. Il Signore ci ha donato una guida spirituale che già apprezzato compositore per l’Inno a san Gaetano e pittore per la decorazione della parete absidale, questa volta si cimenta nella progettazione di un originalissimo Fonte Battesimale. È l’arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno mons. Luigi Moretti a benedirlo durante la S. Messa solenne delle 18.30 del 1° marzo. Il fonte in pietra di Trani si erge candido a mo’ di fiore che sboccia. L’angolo che lo accoglie vicino al presbiterio, diventa il fulcro per i catecumeni, un posto sacro, benedetto. Gli otto petali che lo compongono ondeggiano e si sfiorano come per seguire all’unisono una dolce melodia. La pietra si offre alla luce, ora a finitura liscia, ora bucciardata creando dei delicati effetti chiaroscurali. Il numero dei petali risponde ad una precisa simbologia cristiana. L’otto è Risurrezione di Cristo. Vita dell’uomo che sboccia per mezzo dell’acqua e dello Spirito Santo. Il bimbo che viene battezzato riceverà qui la nuova vita. Il fiore-vasca mostra una copertura in lega metallica dorata, divisa in otto spicchi che armonicamente si raccordano in una piccola sfera centrale sormontata dalla croce, chiaro emblema della vittoria di Cristo sulla morte. Al di sopra del fonte, sul pilastro di appoggio la Colomba-Spirito Santo si protende con il biancore tipico della materia che la compone, quasi a voler staccarsi dal fondo oro della mandorla che la circonda. Agli occhi di un osservatore attento riserva un effetto strano, da’ la netta impressione di muovere il capo... Si... piega il capo!, è un movimento stupendamente dolce. Ma forse non è un’impressione!! Vuol dirci veramente qualcosa!... Vuol dirci di piegare un po’ più spesso anche il nostro capo! CARLA LAZZARINI 78


Dal postulato di Benevento Valigia in mano. Interrogativi nella mente. Cristo nel cuore. Sono i tratti che accomunano i giovani partecipanti ai weekend vocazionali organizzati presso il Convento di San Francesco a Benevento. Ben 11 le presenze nel fine settimana dal 24 al 26 aprile: una tre giorni intensa, edificante. Un altro mattoncino sulla strada del discernimento: costruzione che costa fatica, che mette faccia a faccia con i propri limiti, le proprie imperfezioni e paure, che impone l’onestà (anzitutto con se stessi) come unica via per poter presen-

liturgia delle ore e alla Santa Messa. Filo conduttore del weekend è la carità, tema approfondito nella giornata di sabato: dal significato stravolto o quantomeno limitante con cui la società etichetta questo termine, alla profondità e centralità che ne dà invece San Paolo. La carità come esperienza dell’incontro con Cristo attraverso il fratello; come amore disinteressato che “tutto sopporta”. Il commento dell’“Inno alla carità” è per i partecipanti l’occasione giusta per confrontarsi e scoprire magari quanto possa essere arduo attuare nel concreto il monito di San Paolo. Pomeriggio condito dalla Lectio Divina che anticipa il Vangelo della domenica: il buon pastore che guida le pecore del suo gregge, che le conosce ad una ad una, che le mette al riparo dai lupi per evitarne la dispersione, apre all’incontro con un Dio/pastore che ci considera preziosi ai suoi occhi a tal punto da dare la vita per le sue pecore. Domenica impreziosita dalla Santa Messa e da prove di vita comunitaria, che sia in una piacevole passeggiata nella Benevento storica o nel gioioso stare insieme intorno ad una tavola imbandita. Il senso degli incontri vocazionali sta forse proprio nel prendersi del tempo per “fare esperienza” di Dio nella propria vita: domandarsi per cosa o per Chi viverla, mentre si sperimenta a piccole dosi il significato concreto di una fraternità. Che gran dono è già il discernere la volontà del Signore nella vita di ognuno: che sia in una consacrazione religiosa, in una vocazione laica, nell’unione in Cristo di un legame matrimoniale. Se ogni vita è vocazione, possa il Signore dare ad ogni sua pecorella la capacità di ascoltare la voce del Padrone per non disperdersi; possa il Signore donare la pace di discernere nella libertà e nella verità la vocazione – qualunque essa sia – alla quale ciascuno è chiamato. MARCO TUCCILLO

tare ed offrire al Signore un cuore puro e sincero. Un edificio a volte - ancor più in un giovane - traballante, più o meno esposto alle “intemperie”, un terreno amorevolmente seminato nel presente per poter dare un raccolto abbondante nel futuro. “Duc in altum” nella verità ed autenticità di un rapporto che non va dato per scontato ma alimentato con fede nella quotidianità. Sotto l’egida di Frà Antonino Carillo, guardiano del convento e formatore dei postulanti, prosegue la semina nel cuore delle giovani anime: un venerdì introduttivo del programma, tempo per approfondire la conoscenza reciproca, per riallacciare un legame in realtà mai interrotto e partecipare comunitariamente alla

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Padre Lanfranco Serrini Maestro di vita È morto ad Osimo il 12 marzo 2015 dove era nato il 4 aprile 1924, padre Lanfranco Serrini, dal 5 luglio 1983 al 3 giugno 1995, Ministro Generale dell’Ordine dei Franti Minori Conventuali. Con la sua morte è venuto a mancare un religioso”grande” sotto tutti gli aspetti. Paternità, cordialità, autorità, semplicità, familiarità, erano i grandi doni che il Signore gli aveva donato e che aveva sempre messo al servizio dell’Ordine Serafico: prima come rettore del Franciscanun di Assisi, poi come segretario e provinciale delle marche; inoltre come segretario e ministro generale dell’Ordine. Circa 30 anni fa – era l’8 dicembre 1985 solennità dell’Immacolata concezione – padre Serrini, inviava a tutti i frati sparsi nel mondo la Lettera del Natale (sono state 13 nel corso dei dodici anni di generalato) in cui proponeva ai religiosi un tema – quello della povertà evangelica e francescana – che precedeva nel linguaggio e nei contenuti lo stile di Papa Francesco che solo alcuni giorni or sono – 12 marzo – raccomandava ai vescovi della Corea di stare attenti al “benessere religioso” il quale toglie la forza della fede e della profezia. Le tredici Lettere, che prossimamente saranno raccolti in un volume, sono tredicii messaggi del padre Serrini che “vivono” anche dopo la sua morte. In cielo è stato accolto dai due martiri francescani conventuali polacchi Michał e Zbigniew barbaramente uccisi il 9 agosto 1991 a Pariacoto, nordovest del Perù. Quando la mattina del giorno 10 agosto tra le lacrime mi comunicava la tragica notizia per portarla a conoscenza di Giovanni Paolo II che alcuni giorni dopo incontrava a Cracovia i parenti dei due frati polacchi, avvertivo il vero e grande amore di padre Serrini per i suoi frati sparsi nel mondo che tutti conosceva e chiamava per nome. Padre Serrini è stato un ministro generale della stagione del rinnovamento scaturita dal Concilio. Lui, come pochi, ha saputo interpetrare lo spirito del Vaticano II, deponendolo nel cuore di quanti avevano il dono di sentirlo padre, fratello e amico. G.G.

Le tredici lettere che parlano al cuore 1983: La prima lettera: Solliciti servare unitatem Spiritus in vinculo pacis (Ef. 4,3) 1984: La seconda lettera: Dopo che il Signore nacque per noi, cominciò la nostra salvezza (FF. 1814) 1985: La terza lettera: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil. 2,5) 1986: La quarta lettera: Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.. Dio con noi (Is. 7,14; 8,10) 1987: La quinta lettera: E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2,52) 1988: La sesta lettera: Ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb. 1,1-2) 1989: La settima lettera: Avere fede nell’ideale 1990: L’ottava lettera del 1990: Presenza e testimonianza francescana conventuale verso il Duemila 1991: La nona lettera: Riflessione su alcuni fatti di famiglia 1992: La decima lettera: Giustizia e pace all’interno della nostra famiglia 1993: L’undicesima lettera: Segni di speranza 1994: La dodicesima lettera: Aprire gli spazi e guardare la Chiesa e il Mondo. 1986: Una lettera straordinaria sulla Eredità Kolbiana

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da Roma

EMANUELA VINAI GIORNALISTA SCIENTIFICA

Era ora che le femministe si ricordassero che la difesa del corpo femminile da ogni tipo di abuso riguardi anche lo sfruttamento riproduttivo. Nella fattispecie, in un mondo occidentale e ricco dove vendere i propri figli è giustamente considerato non solo un reato, ma anche un comportamento moralmente riprovevole, ecco che l’atteggiamento diventa decisamente più lassista quando è possibile “affittare” il grembo di una donna. Una specie di noleggio a termine in cui coppie benestanti acquistano il bene più prezioso che una giovane povera possa ancora vendersi: la sua capacità di avere figli. E così, mentre nei Paesi in via di sviluppo prosperano cliniche specializzate nel mettere in contatto la domanda con l’offerta, nel Primo Mondo si cerca solo il modo più sicuro di legalizzare la pratica. Sulla pelle delle donne e dei bambini.

Come si fa a parlare di contratti firmati consapevolmente? Come non pensare che nell’accettare tutte le gravosissime condizioni-capestro dei contratti, le madri surrogate in realtà stanno rinunciando al rispetto dei diritti delle donne sulla maternità? Anche nei Paesi dove la disponibilità delle donne è “libera”, come ad esempio gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, nei fatti non è possibile dimostrare se dietro questa scelta ci siano pressioni di natura sociale o economica. I dati rivelano comunque che è sempre previsto un compenso per questo tipo di contratto e, non a caso, come per le aziende, la tendenza è a delocalizzare dove la manodopera costa meno. Anche se andare in luoghi dove la sanità è piuttosto precaria comporta rischi per la consegna del “prodotto” finale. Per questo non si può più tacere che esista un vero e proprio mercato globale che gira intorno alla maternità surrogata, innescando un vortice economico che nel giro di pochi anni (dal 2006 al 2010) ha visto aumentare esponenzialmente il proprio volume d’affari.

Un figlio su commissione Per chi vuole un figlio su commissione, dopo avere procurato sperma e ovocita e provveduto alla fertilizzazione, occorre individuare chi potrà fungere da incubatrice. La tecnologia permette infatti lo sdoppiamento della maternità fisica in due momenti separati: la fornitura di «materiale genetico» e la gestazione. Ma poiché c’è una certa propensione delle gestanti ad attaccarsi al nascituro, generando conflitti nella consegna del bambino da parte della partoriente ai genitori committenti ecco che è più sicuro rivolgersi dove le donne non hanno diritti. Il mercato occidentale si rivolge così principalmente alle donne di paesi più poveri per effettuare queste pratiche. Un recente studio evidenzia come il 50% delle donne usate come “portatrici” sia completamente analfabeta e si affidi a mediatori pronti ad interpretare per loro i termini legali del contratto.

Ma ora qualcosa si muove Ai tempi della tecnoriproduzione le femministe storiche si sono accorte che qualcosa non quadra nella promozione di quelle che sembrano conquiste scientifiche

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scienza & vita

Donne “libere” e sfruttamento riproduttivo


scienza & vita

o pseudodiritti e così, sono tornate nelle piazze, reali e online, per dire no all’utero in affitto. Poco tempo fa un coordinamento di associazioni femministe europee, tra cui diverse sigle che rappresentano collettivi lesbici, ha elaborato per la Conferenza dell’Aia sui diritti umani un contributo molto dettagliato e altrettanto critico sulla maternità surrogata. 24 pagine fitte in cui le associazioni mettono in evidenza come l’utero in affitto sia una pratica contraria agli obiettivi della convenzione internazionale sull’adozione e, soprattutto, risulti incompatibile con numerosi altre norme internazionali. I riferimenti sono precisi: la Convenzione delle Nazioni Unite contro la schiavitù, la Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia, la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle donne (Cedaw). In questo contesto, conclude il gruppo firmatario, è quindi “urgente sviluppare, nel quadro delle Nazioni Unite, una convenzione internazionale per l’abolizione dell’utero in affitto sul modello del lavoro in schiavitù e pratiche analoghe alla schiavitù”. Utero in affitto: con il denaro si può acquistare tutti Nel dossier presentato all’Aia le associazioni femministe rifiutano senza sconti l’idea alla base del concetto di utero in affitto: con il denaro si può acquistare tutto e quindi anche le donne possono essere utilizzate come incubatori viventi. Come è possibile, condannando a gran voce la schiavitù, pensare poi di stipulare un contratto illegale che sfrutta il corpo femminile e la sua capacità riproduttiva a vantaggio di altri? Come è possibile valutare questo tipo di commercio come normale solo perché normabile (nel senso di suscettibile di essere sottoposto a norme, a leggi) e porre condizioni sulle decisioni da prendere nel caso in cui la madre in affitto decidesse di recedere dal contratto? Un appello a più voci per fermare quella che, a tutti gli effetti, è una “reificazione” - cioè la riduzione a cosa della donna e del bambino: c’è un contratto, una remunerazione, uno scambio di merci. Anche se sembra offensivo, quest’ultimo termine non è affatto improprio e lo evidenzia con efficacia Margaret J. Radin, giurista e docente all’Università del Michigan: “Le cose che possono essere possedute e liberamente scambiate sul mercato attraverso transazioni di compravendita sono

merci”. Intervenendo alla VII edizione del Festival dell’economia di Trento, la Radin sottolineò come “nella retorica del mercato tutti i valori sono considerati ‘commensurabili’, ovvero riducibili ad un’unica misura di valore (ad esempio la moneta) in modo da consentire scambi commerciali. Se vogliamo difendere ‘l’incommensurabilità’ di alcuni valori, non possiamo ritenere ammissibili gli scambi ad essi relativi”. “Avere un approccio femminista alla maternità surrogata” – scrive la lobby femminista “Sveriges Kvinnolobby” – “significa rifiutare l’idea che le donne possano essere utilizzate come contenitori e che le loro capacità riproduttive possano essere comprate”. E’ un problema di diritti calpestati: “Non importa il regolamento o la natura del contratto, rimane ancora uno scambio con i corpi delle donne e con i bambini. I diritti delle donne e bambini, non l’interesse del compratore, devono essere al centro del dibattito intorno alla maternità surrogata”. Julie Bindel, nota femminista inglese e fondatrice di Justice for Women, dopo il caso di Gammy, (il bambino thailandese nato da utero in affitto rifiutato dalla coppia committente perché Down), ha scritto un durissimo intervento: “La maternità surrogata commerciale favorisce sfruttamento, abuso e povertà. Come femminista e attivista per i diritti umani, io auspico la fine della maternità surrogata e una discussione seria ed onesta sull’eticità di tutte le forme di ricerca di gravidanza surrogata, in particolare in un mondo pieno di neonati e bambini indesiderati e trascurati”. Oggi più che mai è necessario “lottare contro la disinformazione e l’enorme propaganda sulle madri surrogate, che una nuova pratica sociale vorrebbe far diventare le schiave del mondo moderno” ha detto la filosofa femminista francese Sylviane Agacinski. Una battaglia culturale e di solidarietà che deve partire proprio dalle donne. 82


Quando un amore finisce ma non fallisce L’emergenza delle separazioni coniugali al primo posto tra le nuove povertà da Roma

EMANUELA BAMBARA GIORNALISTA

«Essere un genitore single è una immensa fatica. Una fatica fisica, emotiva, morale, sociale, economica. Essere madre senza un marito, senza il padre dei propri figli per crescerli insieme, con valori condivisi, con l’esempio di entrambi e la testimonianza di un amore che vince sulle difficoltà della vita, è una prova che talvolta sembra insuperabile e getta nello sconforto. E poi, c’è la sensazione di avere fallito il progetto di tutta la propria vita».

I figli sono le principali vittime

pagni i figli a scuola, a lezione di sport o di musica, e chi li vada a prendere. C’è il problema di chi resti a casa ad aiutarli nello studio, ad accudirli quando stanno male, se hanno la febbre o una malattia organica o d’amore, e di come sostenere i costi di babysitter o di collaboratrici domestiche. C’è il problema delle spese che non raddoppiano ma triplicano, o si quadruplicano, si quintuplicano, a seconda del numero dei figli. Per le donne che non lavorano, c’è la fatica di arrivare a fine mese senza la dolorosa sensazione di aver privato i figli del necessario, di averli lasciati con le scarpe rotte o non averli potuti mandare alla gita della scuola, vincendo la paura sempre vigile di perdere l’affidamento. Per gli uomini, c’è sempre più la fatica di conciliare il mantenimento dell’ex famiglia con la propria sopravvivenza personale, con gli stipendi miseri e insufficienti a garantire finanche il necessario alla sussistenza di una persona singola.

La storia di Annamaria Annamaria è un’anestesista, ha 45 anni, vive in Sicilia, ha due figli – Alessandro, 13 anni, e Andrea, 9 anni – ed è separata da cinque anni, divorziata da uno, dopo dodici anni di matrimonio; l’ex marito l’ha lasciata per un’altra donna, con cui ha già avuto due figli, un maschio e una femmina. «Senti che la tua famiglia è come menomata, e questa sensazione non è solo mia, ma anche di amiche e amici che hanno avuto la stessa esperienza di fine del matrimonio, che io chiamo disgrazia», continua Annamaria. «Anche le donne che hanno trovato poi un compagno che sia loro vicino e le sostenga nell’educazione dei figli, non smettono di sentire questa sensazione, di un incidente esistenziale che lascia il segno per tutta la vita. Certo, questa è la condizione soprattutto del coniuge che, come me, ha subito la scelta della separazione e la fine di un matrimonio che credeva sarebbe stato per tutta la vita, e oltre». I problemi sono anche concreti, non soltanto spirituali o affettivi. C’è il problema di dividere il tempo da passare con i figli, secondo un calendario che deve essere conciliato con le esigenze dell’altro e con i reciproci appuntamenti della vita, la difficoltà di concordare le date delle vacanze, i giorni dell’affidamento, di chi accom-

Il Rapporto Caritas sulla povertà Il Rapporto annuale sulla povertà della Caritas 2014 parla di «gravi e crescenti difficoltà derivanti dalla rottura dei rapporti coniugali, sia a livello occupazionale sia abitativo». Oltre il 20 per cento dei “nuovi poveri”, persone con serie difficoltà economiche, che cercano alloggio nei dormitori o si recano alle mense dei volontari, sono separati, oltre la metà (circa il 54 per cento)

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scienza & vita

sono donne. Secondo i dati della Caritas, sono oltre il 66 per cento i separati privi dei beni di prima necessità, oltre il 46 per cento hanno perso il lavoro per la difficoltà di gestire la situazione familiare o sono comunque in cerca di occupazione. Con il progetto “Ancòra papà”, in alcune diocesi italiane, la Caritas offre un appartamento gratuito “a tempo”, per qualche notte, non più di quattro successive, per permettere a genitori in difficoltà economica, perlopiù i padri, di trascorrere le ore e i giorni stabiliti con i propri figli in un ambiente confortevole. La Caritas Ambrosiana, a Milano, ha attivato un servizio di accoglienza per uomini separati dal 2011, ed esperienze simili sono state attivate nelle Marche, in Liguria, in Sardegna. Gli equilibristi Il regista Ivano De Matteo, nel 2012, ha dedicato un film, dal titolo significativo “Gli equilibristi”, al dramma di queste storie di dolore e di povertà di genitori separati, in qualche caso precipitati nei ghetti della società da condizioni di vita medio -borghese, alcuni costretti perfino a mendicare, a dormire in auto e lavarsi nei bagni pubblici. In molti casi, insomma, il divorzio è un destino di degrado, materiale e della dignità. «Il divorzio è per ricchi», dice un personaggio del film, che interpreta un ospite alla mensa dei poveri della Comunità di Sant’Egidio. «Un divorzio può trasformare una persona normale in un rifiuto della società. Per non diventare barboni, un numero sempre più tragicamente importante di persone torna a vivere con coinquilini con cui non va d’accordo, ospiti di amici o nel migliore dei casi con i genitori, perché il lavoro precario o mal pagato non consente di sopravvivere dignitosamente. È una situazione inaccettabile per una società civile», afferma De Matteo. I figli di Annamaria Alessandro, il figlio maggiore di Annamaria, è giudizioso. Lo è sempre stato, da piccolissimo, ma lo è diventato maggiormente a causa della separazione dei genitori, quando aveva soltanto sette anni e un fratellino di quattro cui doveva dare l’esempio. È un ometto, Alessandro, un piccolo uomo, piccolo soltanto per l’età. «Per me, essere figlio di separati vuol dire soprattutto non poter stare con l’uno e con l’altro insieme, nella stessa casa, non essere più una famiglia. Il dolore è sapere che non sarà mai più come prima e non avere il papà e la mamma insieme, vicini. Vivo la sofferenza di sentire mia madre parlare male di mio padre e mio padre mettere in cattiva luce mia madre. Mi sono sentito presto adulto, con molti più compiti in casa di

prima, perché in parte noi figli di genitori separati dobbiamo fare ciò che farebbe l’altro genitore; per esempio, aiutare la mamma a portate i pacchi della spesa e mettere in ordine, in casa di papà fare attenzione a non fare rumore e rispettare i suoi impegni di lavoro, che a volte significano non potersi vedere e stare insieme». Quando era più piccolo – ricorda Annamaria –, Alessandro le chiedeva spesso di sentire il padre al telefono, e quando era a letto con l’influenza chiamava il papà varie volte. Andrea, il figlio minore, ancora oggi si chiede il perché della separazione dei genitori. Nei primi mesi, aveva preso a fare la pipì a letto, la notte, quando i freni inibitori cedevano alla verità della sua sofferenza quotidiana, tenuta repressa alla luce del sole. Alessandro, invece, aveva rifiutato, per qualche tempo, la propria mascolinità, temendo che fosse questo il motivo per cui il padre non l’amasse abbastanza e, allo stesso tempo, così esprimendo il proprio dissenso rispetto alla decisione unilaterale del papà di abbandonare la famiglia. Entrambi i figli si sono sentiti a lungo in colpa, come se fossero loro la causa della rottura del rapporto tra i genitori. I bambini, vittime sacrificali del divorzio Questo sentimento di colpa è ricorrente nei figli di separati. Paola Farinacci, mediatrice familiare, ricercatrice dell’Osservatorio nazionale sui gruppi di parola dell’Università Cattolica di Milano, conferma che sono soprattutto i bambini tra i 6 e gli 11 anni a sviluppare questo senso di colpa e di inadeguatezza a risolvere i problemi di coppia tra padre e madre, con la differenza che le bambine esprimono più facilmente le loro sensazioni, mentre i maschi mantengono una riservatezza che a volte eccede nel silenzio. «La cosa più difficile, per i figli di coppie in via di separazione o divorziati, è proprio esternare i sentimenti e condividere le emozioni», afferma Farinacci. 84


qualche caso, anche con il/la partner che i figli avranno in età adulta». La fine di un amore La fine di un amore è, sempre, un percorso di sofferenza, per chi non si ama più e per il frutto dell’amore che è finito. Dalla ricerca della Caritas risulta che quasi il 67 per cento dei coniugi separati sviluppa disturbi psicosomatici, oltre il 58 per cento peggiora il proprio rapporto con i figli e ben il 68 per cento dei padri ha rapporti difficili o perfino rompe i rapporti con i figli. Invece, la relazione e la responsabilità genitoriale non dovrebbero cambiare con la fine del legame coniugale tra i genitori. I numeri della statistica delle separazioni, in Italia, ci parlano di una vera e propria emergenza sociale. Sono circa 90mila l’anno, e in crescita, circa i due terzi con figli minorenni. In alcune regioni, come il Trentino, hanno toccato la soglia del 70 per cento delle coppie sposate. I figli minori di 11 anni coinvolti sono oltre 45mila. In una intervista sul periodico dei Gesuiti “La Civiltà Cattolica”, Papa Bergoglio ha affermato: «La percentuale di ragazzi con genitori separati è elevatissima. Le situazioni che viviamo oggi pongono, dunque, sfide nuove, per noi a volte pure difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e a queste ragazze? Come annunciare Cristo ad una generazione che cambia?». E, nell’Omelia della Santa Messa quotidiana a Santa Marta, nel mese di febbraio 2014, Papa Francesco ha detto: «Dobbiamo accompagnare, non condannare quanti sperimentano il fallimento del proprio amore, dobbiamo sentire il dolore del fallimento». Sulla questione della Comunione ai divorziati risposati e l’ammissione ai Sacramenti, più volte il pontefice ha ricordato la scelta prioritaria per la misericordia, dichiarando che «l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli», facendo intendere che la sua posizione è in linea con quanto previsto nella disciplina della Chiesa ortodossa, che prevede una dispensa per il secondo matrimonio cosiddetto “ecumenico” per il coniuge che sia vittima della separazione e in alcuni casi particolari, quando il vincolo matrimoniale sia stato rotto per colpa dell’altro coniuge. Si deciderà sulla questione nel Sinodo straordinario sulla famiglia nel 2015. In ogni caso, il compito educativo, anche di educazione sentimentale, all’amore, con amore, è la missione chiave, ha ribadito più volte il Papa. È questa la sfida, non soltanto per la Chiesa, ma per una società degna di essere chiamata civile. Ed è anche la sfida per un amore che finisce ma non fallisce.

I bambini, insomma, sono le vittime sacrificali in un divorzio. Spesso, purtroppo, madri e padri che si ricostituiscono altri nuclei familiari, e specialmente i padri, con nuove compagne e altri figli, riducono la loro presenza genitoriale, non soltanto fisica, ma anche affettiva. La fatica della separazione è principalmente dei figli, il prezzo da pagare è quasi tutto il loro, per scelte che subiscono, ma che li riguardano in prima linea, e il più delle volte per tutta la vita, come testimonia Virginia, romana, 36 anni. Aveva tre anni quando il padre lasciò la famiglia per un’altra donna. «Non credo nell’amore, nei rapporti di coppia, nel matrimonio, nella famiglia. Con la separazione dei miei genitori ho perso ogni fiducia e sicurezza, ho provato un forte sentimento di abbandono da parte di entrambi, e lo provo ancora oggi, che sono una donna adulta». E così, ha sviluppato un rancore nei confronti di entrambi misto ad affetto. «Quando ero a casa di papà, due finesettimana al mese, ero felice, mi sentivo libera dai problemi con la mamma, benché la sua compagna fosse gelosa di me. Oggi. mi accorgo di quanto sia stato superficiale ed egoista anche lui nel lasciarci. Mia madre, con cui vivevo regolarmente, era depressa e, quindi, nervosa, malata, auto-centrata. Si sfogava con noi del suo dolore e non capiva che il nostro era ben maggiore, che eravamo noi ad avere bisogno di lei, di aiuto, di amore. Ho imparato ad essere presto autonoma e contare solo su me stessa». Nella maggior parte dei casi, la separazione, per almeno uno dei due coniugi, quello tra i due che la subisce come scelta dell’altro, è come un lutto, dal quale non ci si riprende, il più delle volte, per tutta la vita, in un funerale continuo, che sembra non avere fine. Si cerca la complicità dei figli, il loro conforto, come una supplenza all’amore dell’altro che se n’è andato. Per Vittoria, «è questo l’errore più grande che commettono i genitori separati, che rovina la vita dei figli e il rapporto con i genitori stessi e, in

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terra dei fuochi

I vescovi della Campania: “Il nostro popolo non può tollerare ulteriori e irresponsabili ritardi” “Il nostro popolo tanto martoriato non può tollerare ulteriori e irresponsabili ritardi”. Lo hanno sottolineato con forza i Vescovi della Conferenza Episcopale della Campania nel corso della loro assemblea a Capri presieduta dal Card. Crescenzio Sepe, auspicando che il disegno di legge sui reati ambientali, in discussione in questi giorni alla Camera dei Deputati, venga approvato con la necessaria rapidità. Troppo grave è la situazione perché si possa continuare a non dotare lo Stato italiano di una valida legislazione sui reati ambientali. Reati da considerare a pieno contro la persona e la comunità. Non è la prima volta che i Vescovi campani intervengono sulla delicata e grave questione dello scorretto smaltimento dei rifiuti – in particolare quelli industriali- che ha provocato, in questi anni, danni enormi al territorio, all’economia e alla salute dei cittadini, generando un incredibile scempio che da tempo è sotto gli occhi di tutti .

I Vescovi della Campania, infatti, in diversi modi e in molte occasioni hanno pubblicamente espresso le loro preoccupazioni. Solo negli ultimi due anni sono stati emanati, a riguardo, due importanti documenti. La loro voce è di ferma condanna verso i criminali – chiunque essi siano camorristi, faccendieri o industriali disonesti – che per sete di denaro non si sono fatti scrupolo di avvelenare la terra, l’aria, l’acqua. Una voce di conforto per chi sta soffrendo per malattie legate all’inquinamento e per chi ha pianto e piange i propri cari morti in tenera età sempre per gli stessi motivi. Una voce di incoraggiamento e di speranza verso tutte quelle persone di buona volontà – e sono veramente tantissime- perché il faticoso ed estenuante cammino intrapreso per la rinascita della nostra terra vada avanti. 23 aprile 2015

Vescovi della Calabria: amarezza per le parole del procuratore antimafia “Stupore” e “amarezza”: questi i sentimenti con i quali i vescovi calabresi hanno appreso dai mezzi di comunicazione sociale le parole del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti: “La Chiesa potrebbe moltissimo contro le mafie” e “ha una grande responsabilità per i silenzi”. Queste parole “fanno male”, scrivono i vescovi al termine di un incontro tenuto ieri a Catanzaro, perché “denotano una lettura superficiale e una conoscenza approssimativa del pur faticoso forse a tratti lento ma in ogni caso ininterrotto cammino che proprio la Chiesa ha compiuto dal secondo dopoguerra a oggi, nella comprensione e nella trattazione del fenomeno mafioso e di cui proprio don Puglisi e, con lui tante altre figure di sacerdoti, sono testimonianza viva”. No ad accuse di immobilismo, silenzi, omissioni o larvata connivenza Per i presuli un conto è parlare di ritardi, che pure “ci so no stati”, un altro è “farli passare per immobilismo, silenzi, omissioni e talvolta larvata connivenza. La Calabria e in genere il meridione - si legge nella nota diffusa ieri sera e ripresa dall’agenzia Sir - è terra segnata dalla crisi economica, dalle deficienze della classe dirigente, dalle dimenticanze dei governi di ogni livello, a volte dall’incapacità della politica. Non per questo riteniamo che l’errore di qualcuno possa tradursi affrettatamente e strumentalmente, in errore di tutti”. Accanto alla gramigna cresce il campo del bene

I vescovi calabresi ricordano la Lettera pastorale del 1948 dei vescovi meridionali, cui seguì il 30 novembre 1975 una lettera dei vescovi calabresi dal titolo “L’episcopato Calabro contro la mafia, disonorante piaga della società” e la recente Nota pastorale della Chiesa calabrese sulla “ndrangheta” intitolata “Testimoniare la verità del vangelo” nella quale si legge che “non sono mancate irresponsabili connivenze di pochi, nonché silenzi omertosi: e di questo i credenti sanno e vogliono chiedere perdono. Ma accanto alla gramigna, silenziosamente cresce il campo del bene che si distingue, senza mezzi termini, per la sua luminosità e la sua coerenza”. Tanti sacerdoti seguono l’esempio del Beato don Puglisi “Noi - spiegano i vescovi calabresi - crediamo che per sconfiggere il male ciascuno deve fare il proprio dovere, fino in fondo. Siamo convinti che alla Chiesa si debba chiedere di essere Chiesa, nello spirito e nell’insegnamento del Vangelo e non altro. Ce lo insegna il Beato Puglisi, figura straordinariamente semplice che combatteva le cosche da prete: innanzitutto con la coerenza della vita e poi amministrando i sacramenti, strappando i giovani alla strada, spingendo e stimolando le istituzioni ad essere presenti, sempre e comunque. Cosa che fanno silenziosamente, ogni giorno, tanti sacerdoti e laici nelle parrocchie che in alcuni casi sono l’unico presidio sociale nel territorio”. 86


Perché il nostro paese è il paradiso dei petrolieri

CHI È

da Val d’Agri

PIETRO DOMMARCO

Pietro Dommarco, lucano, giornalista freelance e scrittore è spcializzato in tematiche ambientali. Collabora al mensile Altreconomia e cura il blog www.pietrodommarco.it . È autore del volume Trivelle d’Italia edito da Altreconomia edizioni, (Milano 2012, p. 104,12.00 euro). Significativa la dedica al genitore che vive già in cielo: “A mio padre, che non potrà leggermi. Lo avrebbe fatto con il suo straordinario rigore”.

GIORNALISTA E SCRITTORE

“La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero Creato, la bellezza del Creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo”. Papa Francesco - a marzo 2013 - nel pronunciare queste parole nel corso dell’Omelia per l’inizio del ministero petrino, ha aperto una lunga riflessione sull’ambiente e tracciato la strada di una enciclica “verde”, di imminente uscita. Un pensiero forte, che è anche ammonimento, sulla tutela e sul rispetto del creato, del suolo, dell’aria e dell’acqua. Ed è percorrendo - lungo tutta la Penisola - la storia, i simboli, le tracce che il creato e l’acqua hanno lasciato e lasciano sulla terra - e dentro di essa - che si scoprono mondi sommersi, intatti e al tempo stesso minacciati. Come quello della Basilicata, il cuore verde del Sud. Una regione che, con i suoi 576 mila abitanti, è al penultimo posto in Italia per densità di popolazione. Ma al primo posto in Europa per il giacimento in terraferma di greggio che scorre nelle sue viscere. Una contraddizione in termini che ne fa un caso unico nel Continente. Perché, quella che doveva essere l’opportunità di sviluppo economico di un territorio tra i più depressi del Meridione, si è rivelata esclusiva fonte di ricchezza per l’indotto petrolifero e sfruttamento mas-

sivo per le comunità locali. Con un picco produttivo di 85 mila barili di greggio estratti ogni giorno nella valle dell’Agri, la Basilicata contribuisce alla copertura di circa l'8 per cento del fabbisogno energetico nazionale. Una percentuale destinata a crescere - a raddoppiarsi grazie a nuove norme dello Stato, varate di recente dal governo Renzi, sulla falsa riga della Strategia energetica nazionale voluta dal governo Monti nel 2012. Infatti, il punto di svolta per il destino della Basilicata quello che i comitati cittadini e le associazioni attive sul territorio definiscono il “punto di non ritorno” ed “il sacrificio finale” - andrebbe collocato nella stesura del decreto n.133 del 12 settembre 2014, meglio conosciuto come “Sblocca Italia”, riconvertito poi in legge - la

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reportage

Trivelle di Basilicata


n.164 dell’11 novembre 2014 - con doppio voto di fiducia, sia alla Camera sia al Senato. La legge “Sblocca Italia” - che attribuisce “carattere di interesse strategico […] di pubblica utilità, urgenti e indifferibili” a tutti i progetti di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e greggio in terraferma ed in mare, per la realizzazione di gasdotti di importazione di gas dall’estero, di terminali di rigassificazione, di stoccaggi sotterranei di gas naturale ubicati in Pianura Padana ed infrastrutture della rete nazionale di trasporto gassifero - ha aperto scenari inquietanti per il territorio della Basilicata, a breve e medio termine. Si prospetta, infatti, il rischio di una vera e propria occupazione per gran parte della superficie regionale, che si estende per 9.992 chilometri quadrati. Se le 20 concessioni di coltivazione di idrocarburi già operanti in Basilicata “impegnano” una superficie di 1.993,99 chilometri quadrati, altre 18 istanze di permesso di ricerca interessano una superficie territoriale “petrolizzabile” pari a 3.856,63 chilometri quadrati, che interesserebbero il territorio di 95 Comuni lucani. Progetti sui quali a decidere sarà lo Stato, per mezzo dei ministeri competenti, e non più gli Enti locali. In questo modo la Regione - che a differenza di altre 7 Giunte regionali (Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia, Lombardia, Marche, Veneto) ha ritenuto di non dover impugnare dinanzi la Corte Costituzionale l’articolo 38 della legge “Sblocca Italia” e degli emendamenti alla stessa introdotti dalla legge di “Stabilità” vedrebbe il proprio territorio sacrificato ad hub dell’energia, in un ruolo cruciale per la programmazione energetica del nostro Paese, sbilanciato verso il continuo sfruttamento delle fonti fossili, a scapito della valorizzazione del paesaggio, dell’agricoltura e della tutela delle risorse idriche locali. La soglia di barili estraibili ogni giorno alla quale puntano le compagnie petrolifere - Eni e Total in primis - sono di 104 mila barili da estrarre nella Valle dell’Agri ad opera della prima e di 50 mila barili da estrarre nella Valle del Sauro, ad opera della seconda. Tutto entro il 2016.

gli ettari di superficie in meno coltivata che hanno lasciato spazio - come sta venendo in questi mesi - per garantire la crescita e l’espansione del Centro olio, vitale per il raddoppio delle estrazioni petrolifere. Secondo l’Istat, le dinamiche demografiche nei Comuni interessati dall’indotto del petrolio sono state peggiori che nel resto della regione: un calo della popolazione del 6,5% contro il 3,4 dei restanti comuni lucani tracciano un quadro desolante di un territorio in cui il 25% delle famiglie rasenta la povertà. Questo, nonostante le royalties incassate da Regione e Comuni tra il 2001 e il 2012 siano state pari a circa un miliardo di euro, destinate però per spese correnti e “non per sviluppo e lavoro”, come certificato dalla Corte dei Conti nell’aprile 2014. Royalties che continuano ad essere al centro della contrattazione tra Stato e Regione, trascurando quelli che potrebbero essere i costi ambientali e della salute.

Dall’agricoltura all’industria. Un territorio arido La storia del petrolio in Basilicata, fin dall’inaugurazione del Centro olio dell’Eni di Viggiano, in provincia di Potenza - avvenuta nel 1996 - è la storia di piccole e diffuse economie locali, molte a conduzione familiare, come ad esempio l’agricoltura e l’allevamento, che hanno ceduto il passo all’attività industriale, spezzando quella distribuzione della ricchezza che ha rappresentano fino a 10 anni fa la vita per intere famiglie. Nell’ultimo decennio quasi 24 mila aziende agricole lucane hanno chiuso. Ovvero il 32% del totale. 26 mila, invece,

Il polso delle comunità Come già documentato sul portale Qualenergia.it - ad ottobre 2014 - l’ultima indagine epidemiologica che ha fotografato lo stato di salute delle popolazioni residenti nelle aree interessate dalle estrazioni petrolifere risale all’anno 2000. Un progetto di supporto tecnico-scientifico e formativo allo sviluppo dell’Osservatorio epidemiologico regionale, frutto di una convenzione tra la Regione Basilicata e il Consorzio Mario Negri Sud, con l’obiettivo di implementare sistemi informativi orientati al monitoraggio sanitario delle comunità partico88


larmente esposte a rischi di inquinamento industriale. Le indagini, basate sulla valutazione delle schede di dimissione ospedaliera del triennio 1996-1998, utilizzabili per l’analisi epidemiologica degli eventi sentinella mediamente più gravi, riguardarono un territorio della Val d’Agri che all’epoca faceva registrare poco più di 11mila residenti. “L’analisi condotta – come è possibile leggere nella Relazione sanitaria regionale del 2000 – mostra […] tassi di ospedalizzazione urgente per eventi sentinella cardio-respiratori mediamente più elevati rispetto all’insieme regionale”. In particolare, nell’area della Val d’Agri furono registrati tassi di incidenza da 2 a 2,5 volte superiori alla media regionale di “asma, altre condizioni respiratorie acute, ischemie cardiache e scompenso”. Risultati preoccupanti se si considera che l’aumento significativo di alcune patologie cardio-respiratorie si è verificato dopo nemmeno 3 anni dall’entrata in funzione del Centro olio Eni di Viggiano, inaugurato nel 1996. Poi nulla più. Un vuoto epidemiologico che Giambattista Mele, medico e coordinatore dell’associazione “Laboratorio per Viggiano”, ha cercato di colmare con la Commissione di “Valutazione d’impatto sanitario” (Vis). Un progetto di vigilanza sanitaria e controllo dal costo complessivo stimato di 1.170.000 euro - che coinvolge i comuni di Viggiano e Grumento Nova, tra quelli maggiormente interessati dagli effetti pluridecennali dell’industria estrattiva - attuato dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa, in collaborazione anche con l’Istituto Superiore di Sanità e la

Regione Basilicata. Ma la Commissione Vis - ufficialmente istituita nel 2009 - è ancora alla fase di screening, la prima delle 5 previste. Le cause del ritardo andrebbero attribuite a numerose opposizioni di carattere politico che hanno portato all’esclusione di alcuni membri di quello che dovrebbe essere un organismo indipendente, fortemente orientato a far emergere l’impatto delle attività estrattive sulle comunità locali. Invece, la Regione Basilicata con una delibera di giunta dell’11 novembre 2009 (la n.1984) approva il più costoso (2 milioni e mezzo di euro, ndr) progetto quinquennale “Salute e Ambiente”, naufragato dopo appena 2 anni e fortemente voluto dall’ex governatore Vito De Filippo, oggi sottosegretario alla Sanità del governo Renzi. Il progetto “Salute e Ambiente” nelle competenze dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) risulta essere in perfetta sovrapposizione con quello di “Valutazione d’impatto sanitario” dei Comuni di Viggiano e Grumento Nova, anche se dal Dipartimento ambiente dell’ISS ne sottolineano invece la complementarietà, rilanciando su una possibile istituzione di un “Tavolo permanente di interscambio tecnico-scientifico”. Ad oggi, uno stato di salute aggiornato della sola Val d’Agri non c’è. Gli ultimi dati disponibili - del 2011 - rappresentano, in forma aggregata, solo il confronto epidemiologico tra le macro-aree Basilicata e Italia. Lo stesso vale per il Registro regionale dei Tumori, istituito solo nel 2011 e non ancora accreditato. Consumare l’oro blu per sfruttare l’oro nero Con l’aumento delle estrazioni petrolifere nelle Valli dell’Agri e del Sauro a farne le spese è l’acqua. Infatti oltre all’elevato rischio di contaminazione dei bacini idrici strategici che attraversano la Basilicata e che alimentano anche altre regioni come la Puglia, tra i più importanti del Mediterraneo - i numeri del consumo di acqua è impressionante. Per estrarre 1 barile di petrolio sono necessari 8 barili di acqua, equivalenti a più di 1200 litri di acqua. Per estrarre, invece, i 154 mila barili di greggio ogni giorno si stimano 1.232.000 barili di acqua, ovvero 195.888.000 di litri al giorno. Che in un anno fanno 71.499.120.000 di litri di oro blu. E con l’aumento dei consumi di acqua, aumentano in proporzione i rifiuti di estrazioni e le acque di strato da smaltire. Attualmente le acque di strato smaltite, secondo il Local Report 2013 redatto dall’Eni, sono pari a 2.500 metri cubi al giorno, per un totale annuo di 90 milioni di metri cubi. Ancora miliardi i metri cubi di reflui reiniettati in 12 anni di attività nel sottosuolo. Da dove sono venuti, per la chiusura di un ciclo vitale per l’industria e mortale per il territorio.

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cultura religiosa

La cresima un dono necessario da ROMA

ANDREA GIUCCI ESPERTO DI CATECHESI

È il secondo sacramento dell’Iniziazione cristiana, la cresima, come ben insegna la lista dei sette sacramenti che abbiamo studiato a catechismo (Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Penitenza …) e come spiegano tutti i testi di teologia. Eppure, se chiediamo ai nostri figli o nipoti qual è il secondo sacramento che hanno ricevuto tutti risponderanno la Confessione, e poi la Comunione e infine, forse, la Cresima. Come mai? Senza perdersi in dettagli complessi, possiamo dire che l’inversione tra Cresima e Eucaristia si è realizzata non per motivi teologici, bensì per questioni di ordine pratico, legate alla presenza saltuaria del Vescovo che doveva amministrare tale sacramento, ed è diventata prassi ordinaria in Italia soltanto nel secondo dopoguerra. Questa inversione tra Comunione e Confermazione ha, di fatto, un po’ snaturato il senso di quest’ultima e ha fatto perdere all’Eucaristia il ruolo di vertice del cammino per diventare cristiani. Cosa non è dunque esattamente la Cresima? Quali sono le sue definizioni riduttive, parziali o addirittura fuorvianti, che spesso ritornano anche nei nostri linguaggi? Ecco tre luoghi comuni da sfatare. La Cresima non è anzitutto il sacramento che specificatamente ci rende testimoni di Cristo o, come si diceva una volta, “soldati di Cristo”. La testimonianza è frutto della vita cristiana intera e non il solo effetto della vita secondo lo Spirito. La Cresima poi non è il sacramento della maturità, ciò che ci rende cristiani adulti. Questa definizione è fuorviante. Il sacramento della maturità cristiana è l’Eucaristia, non la Confermazione! È stata la collocazione posticipata che ha introdotto, di fatto, una idea che, in realtà, non è fondata teologicamente. Infine la Cresima, o Confermazione, non è la con-

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ferma personale della fede ricevuta nel battesimo. Anzitutto perché all’opera, in ogni sacramento, c’è il Signore e dunque è Lui che conferma la nostra fede e non viceversa, e poi perché questa definizione è comprensibile solo a partire dalla nostra prassi che ha separato, incomprensibilmente Battesimo e Confermazione Ma allora cos’è la Cresima e perché ha senso farla? Con un formulazione deal sapore vagamente mate-

e c’è un sacramento mal compreso e, spesso, mal vissuto, questo è esattamente il secondo della iniziazione cristiana matico potremmo dire che il Battesimo sta alla Cresima come la Pasqua sta alla Pentecoste. Tra Pasqua e Pentecoste non c’è una grande diversità: è il medesimo mistero pasquale visto dal lato della risurrezione di Gesù (Battesimo) e da quello del dono dello Spirito, principio di vita nuova (Confermazione). Lo insegna il vangelo di Giovanni che unifica i due momenti parlando dell’emissione dello Spirito durante la morte del Signore. Se dunque il Battesimo segna il passaggio dalla morte alla vita, la Confermazione mostra lo sviluppo della vita nuova donataci da Gesù. La stessa realtà, vista da due punti diversi. Ecco perché è importante fare la Cresima e farla al più presto. Anzi dobbiamo augurarci che prima o poi vadano in porto alcuni tentativi di riforma che prevedono il riordino completo dei cammini con cui si diventa cristiani e, quindi, il corretto ordine dei sacramenti che vede nell’Eucaristia il vertice della vita cristiana, cui si accede nella pienezza del dono dello Spirito che ci è offerto dalla Pasqua di Gesù. 90


CHI SONO ROSALBA LAUDIERO GIUGNI “Se fosse un mare sarebbe il Mediterraneo ..” Una definizione, questa, che le è stata data all’inizio della sua avventura di Marevivo e che le calza a pennello. Napoletana, moglie, mamma e nonna. Una donna antica che porta dentro di sé la trasparenza blu degli abissi e il profumo della Posidonia, il canto delle berte, le rocce calcaree, il mirto, le colonne bianche del Mediterraneo, l’allegria della bella giornata, la spuma del maestrale, le stalattiti e le lagune cristalline. La smania e il fascino irresistibile del mare la hanno praticamente “obbligata” a fondare 30 anni fa Marevivo, l’associazione ambientalista della quale è il presidente.

MARE ULTIMO EDEN. LA VIA BIBLICA ALLA SOSTENIBILITÀ è stato il tema della Lectio Magistralis del Prof. Ferdinando Boero per celebrare i 30 anni di impegno per il mare dell’Associazione Marevivo. L’evento si è svolto nel tardo pomeriggio di mercoledì 4 marzo 2015, presso l ‘Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede in Piazza di Spagna. Per garantire la vita dell’uomo sul pianeta è necessario ed urgente salvare ciò che è rimasto di incontaminato. E’ il messaggio su cui invita alla riflessione l’associazione Marevivo, in occasione dei suoi trent’anni di impegno, con la lectio magistralis del Prof. Ferdinando Boero, biologo marino e ordinario di zoologia all’Università del Salento. In sintonia con l’appello lanciato da Papa Francesco per rafforzare “l’impegno di tutti, affinché sia salvaguardata la vita e la salute delle persone, rispettando l’ambiente e la natura”, l’incontro intende contribuire a risvegliare le coscienze e a rilanciare l’impegno in difesa del mare, il polmone blu della Terra che ricopre il 71% della superficie, assorbe 1/3 dell’anidride carbonica e produce l’80% dell’ossigeno. Ospiti dell’Ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede Eduardo Gutiérrez Sáenz de Buruaga, all’incontro sino intervenuti l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, il Prof. Emmanuele F. M. Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro-Italia e Mediterraneo e Rosalba Giugni, presidente di Marevivo. Al centro degli interventi lo stato di salute del pianeta, l’impegno a mettere in pratica comportamenti più responsabili. Per il relatore Prof. Ferdinando Boero, biologo marino e ordinario di zoologia all’Università del Salento, associato all’Istituto di Scienze Marine del CNR, e coordinatore del progetto europeo CoCoNet, in mare siamo ancora nell’Eden e possiamo raccoglierne le risorse (i frutti) per soddisfare i nostri bisogni, ma senza superare il limite (frutto proibito) che il Creatore ha posto all’uso del Giardino: la sostenibilità. Purtroppo stiamo superando questo limite e la punizione sarà la cacciata dal mare, nostro ultimo Eden. Secondo Monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, “la storia umana ci insegna che andare contro la terra e il mare si può trasformare in scelta di morte. Terra viva quindi e mare vivo“. Mons. Paglia ha sottolineato come la Chiesa non ama parlare di “salvaguardia” del creato, ma di “custodia” in quanto custodire è molto più di salvaguardare “vuol dire essere fedeli al progetto creativo di Dio. Non trasformarlo, non capovolgerlo, non distruggerlo”. Mons. Paglia ha confermato che Papa Francesco sta preparando una Enciclica sulla custodia del creato che sarà pubblicata prossimamente. Il Mare Nostrum è stato al centro dell’intervento del Prof. Emmanuele F. M. Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro-Italia e Mediterraneo: “E’ uno straordinario crogiuolo umano costituito come luogo di

CARMEN PARISIO DI PENTA Un po’ inglese, un po’ napoletana per via di un antico matrimonio speciale dove terra e mare si sono baciati nel golfo più bello del mondo. Solo una parte di lei ha lasciato Napoli quaranta anni fa! A Roma … tre figli meravigliosi, quattro nipoti … in tutti i loro viaggi si fa a … a chi vede prima il mare!! Non c’è stagione che tenga, tutte le occasioni sono buone anche solo per bagnare una mano! Nel 1985, seguendo un’idea della storica amica Rosalba Giugni, entra anima e corpo nell’avventura Marevivo, di cui da sempre è il direttore generale. All’inizio solo un piccolo gruppo, una goccia nel mare per il mare … Poi in tanti ci credono e .. si parte!! incontro di civiltà, ma, talvolta, anche di scontro. Tuttavia è anche un ecosistema ancora ricco di risorse naturalistiche e paesaggistiche che non può essere lasciato in balia del buio della ragione degli uomini, dei governanti e della loro incapacità di guardare lontano”. Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, nell’aprire i lavori, ha tracciato i trent’anni di attività dell’associazione in difesa del Pianeta Blu: “La responsabilità per il futuro del Pianeta deve guidare ogni nostra scelta e azione, dal cittadino alle istituzioni. Oggi il mare è ancora più sotto scacco, nonostante il nostro impegno e una crescente sensibilità della società: inquinamento, mala depurazione, pesca eccessiva, trivellazioni, cambiamento climatico sono i killer che ogni giorno minacciano la salute dei nostri mari. Tuttavia, sempre oggi, ad infonderci nuova energia per continuare la nostra missione c’è la forte azione di Papa Francesco sui temi dell’ambiente. Ecco perché siamo qui ad unire per l’obiettivo comune della salvezza del mare nostrum la scienza, la Chiesa cattolica, il mondo diplomatico, il mondo della cultura e gli ambientalisti.”

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ecologia

Mare vivo Ultimo Eden


Mai stata viva come adesso

da Roma

SIMONA CORSETTI

fotografia

ART DIRECTOR

Ognuno di noi, oggi, ha una macchinetta fotografica digitale, o un telefono cellulare che gli permette di catturare immagini ovunque e in qualsiasi momento. Possiamo affermare di vivere nell’era in cui la fotografia, da attività riservata a pochi eletti in grado di padroneggiare nel corso dell’Ottocento, i segreti della chimica, è diventata una vera e propria pratica di massa. Lo spartiacque è stato l’avvento della tecnologia digitale, che ha rivoluzionato profondamente tempi, modalità e canoni della pratica fotografica. Uno degli aspetti forse più evidenti e alla portata di tutti è quello che coinvolge la produzione fotografica amatoriale, ormai disponibile e facilmente accessibile attraverso la rete e i social network, che arriva spesso a gareggiare con l’opera dei professionisti assumendo un ruolo sempre più rilevante soprattutto all’interno del sistema giornalistico e dell’informazione. Una conferma di questo cambiamento epocale è l’organizzazione di significative manifestazioni come quella promossa dal Mart, il Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto, con il festival Futuro Presente, tenutosi a novembre 2014. Lo scopo: registrare le nuove frontiere artistiche del linguaggio delle immagini. Ed ecco comparire in uno spazio museale fotografie scattate e poi modificate utilizzando le app dei nostri smartphone e tablet, espressione della recentissima corrente artistica della Mobile Art, diffusa globalmente grazie alle infinite potenzialità del Web. Ma è proprio vero che chiunque può diventare fotografo, nel senso più profondo e autoriale del termine? Il moltiplicarsi di scuole e di corsi più o meno specializzati, che

promettono di trasformarci in grandi professionisti, sembra voler affermare proprio questo. Quello della facilità della creazione di un’immagine fotografica dotata di senso e valore artistico, è però un falso mito. È vero, oggi possediamo apparecchi sempre più sofisticati in grado di permettere a qualsiasi amatore con un minimo di conoscenze tecniche di base di produrre un’immagine tecnicamente perfetta, ma l’arte, si sa, ha bisogno di altro. Un’opera non ha alcun valore se resta un contenitore vuoto, deve portare con sé un preciso messaggio ed essere in grado di trasmetterlo in modo efficace al mondo esterno. E la fotografia, figlia del nostro tempo, ben si presta a cavalcare l’onda delle innumerevoli possibilità offerte dal sistema dell’informazione del mondo globalizzato. Forse anche per questo incontra il favore di un popolo di fotoamatori, appassionati e semplici curiosi le cui fila sembrano in costante aumento. Nonostante la crisi, il mondo dell’editoria fotografica, seppur di nicchia, festeggia il segno positivo nelle vendite. Cresce l’offerta di eventi culturali dedicati, come concorsi, fiere e festival anche di ampio respiro internazionale – pensiamo al FotoGrafia Festival di Roma e, per restare in Europa, Les Rencontres d’Arles –, mentre i musei e le istituzioni aprono le porte ai grandi fotografi che vedono ormai il loro nome trascritto accanto a quello degli indiscussi maestri dell’arte di ogni tempo. C’è chi, con la rivoluzione digitale, grida alla fine della fotografia in quanto tale, come l’abbiamo sempre conosciuta. Guardiamoci intorno: la fotografia forse non è mai stata viva quando adesso. 92


dalla CITTÀ DEL VATICANO

Kerygma L’arcivescovo della città in cui si svolge l’evento annuncia la “buona notizia” dell’amore umano immagine dell’amore di Dio.

ANDREA GIUCCI DIRETTORE SITO PCF

Il Pontificio Consiglio per la Famiglia insieme con il maestro Andrea Bocelli ha lanciato un grande progetto internazionale intitolato “Il Grande Mistero”: una serie di eventi nelle principali cattedrali di Europa per riscoprire la buona notizia della famiglia. La proposta si rivolge a tutti gli uomini e le donne in quanto tali, vicini o lontani che siano alla comunità ecclesiale o ad altre confessioni o religioni. Per mantenere questa articolazione e dinamismo, gli eventi del grande mistero hanno un format articolato in quattro momenti che esprimono le diverse dimensioni del progetto.

Benedictio Inclusa tra due brani eseguiti all’organo e cantati dal Maestro Andrea Bocelli, l’Arcivescovo conclude l’evento con un momento di preghiera. È l’invito mite ma deciso a completare l’itinerario cominciato in piazza, nell’incontro con Colui che ha voluto l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza. I temi che nelle diverse serate saranno trattati sono molteplici: la famiglia come scuola di umanità e socialità, la famiglia luogo dove si scopre di essere amati gratuitamente e dovei si impara a vivere le relazioni interpersonali fondamentali, la famiglia simbolo che il Signore Gesù ha scelto come segno del suo amore indissolubile per la Chiesa. L’evento sarà sempre gratuito e sul sito web del progetto (www.ilgrandemistero.com) saranno presentati, per ogni data, alcuni percorsi di approfondimento artistico, culturale e teologico. La prima tappa del progetto è stata Barcellona, nella magnifico e prestigioso tempio della Sagrada Familia, il 28 maggio, con il bel canto di Bocelli e la predicazione dell’arcivescovo card. Sistach. Le altre date sono previste nel 2016. Hanno già confermato Cracovia e Mosca.

Communio Il Presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia accoglie i partecipanti, presentando il senso globale del progetto. Confessio Laudis Il maestro Andrea Bocelli accompagnato da coro e orchestra canta la bellezza del dono dell’amore coniugale nelle sue varie espressioni naturali e simboliche. Qui l’amore e la famiglia sono presentati attraverso un repertorio più ampio per suscitare interesse e immedesimazione anche in chi non si riconosce in nessuna appartenenza religiosa.

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musica

Andrea Bocelli canta il grande Mistero


libri

Interviste impossibili FEDERICO LOMBARDI DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE E DELLA RADIO VATICANA

Una delle caratteristiche della Radio Vaticana è da sempre la varietà. Varietà di lingue (ne vengono usate ogni giorno in trasmissione una trentina), varietà di personale (laici e consacrati), varietà di pubblici (le trasmissioni raggiungono cinque continenti), varietà di proposte. Tante radio in una, con palinsesti vari e articolati, nei quali l’attenzione principale è riservata evidentemente all’attività del Papa e ai contenuti del magistero, oltre che alla vita della Chiesa nel mondo, ma dove trovano spazio anche l’attualità socio-politica, il confronto con altre fedi e il dibattito culturale sui temi più controversi del nostro tempo. In questa ricchezza di proposte va annoverata, particolarmente nella sezione dei programmi in lingua italiana, anche una nutrita produzione di radioteatro, un genere solo apparentemente tramontato nei gusti del pubblico, e che può riservare a chi ascolta stimolanti provocazioni e momenti di autentico godi¬mento estetico. La produzione radioteatrale della Radio Vaticana è stata attiva da sempre, nella storia dell’emittente, anche se non continuativamente, e si è sempre avvalsa del generoso contributo di artisti di grande livello, che hanno messo a disposizione talenti e creatività per dare voce a sacre rappresentazioni, animare testi biblici, vivacizzare storie di santi, dar vita a testi originali. Anche se le produzioni di prosa non sono state tra gli obiettivi prioritari dell’emittente pontificia, possono essere considerate un gioiello di professionalità e uno stimolante campo di sperimentazione e ricerca del linguaggio radiofonico. Lo stesso genere radioteatrale si è infatti evoluto nel tempo, assecondando i gusti del pubblico e offrendosi a contaminazioni con altri aspetti dell’universo della comunicazione. Ecco allora il sottogenere dell’intervista impossibile, una interessante "mutazione genetica" del radioteatro, e insieme un ibrido tra fiction e informazione. Comparsa per la prima volta alla radio italiana negli anni settanta del secolo scorso, grazie all’intuizione di Lidia Motta, l’intervista impossibile ha generato una ricchissima produzione di testi, nei quali prestigiosi autori si sono confrontati con personaggi del passato, immaginando di interrogarli sulla loro vita e sulle loro idee. Anche espor94

LAURA DE LUCA E VITO MAGNO (A CURA Domande e Provocazioni. Interviste impossibili a fondatori e pionieri della vita consacrata, Libreria Editrice Vaticana, 2015, p. 312, 16,00 euro DI),

tata in teatro, e in contesti diversi, l’intervista impossibile ha confermato la sua forte valenza dialettica nonché educativa, originando uno stimolante confronto fra epoche lontane e una inedita e provocatoria circolazione di idee. In questo spirito, grazie a una singolare capacità di unire rigore culturale e genialità creativa, la serie avviata da Laura De Luca nel 2009 nella sezione Pagine e Fogli della Radio Vaticana e tuttora in corso, ha offerto una galleria di personaggi di ogni tempo virtualmente stimolati da autori di oggi. Accanto a sovrani, inventori, pittori e musicisti, non potevano mancare grandi figure di santi ad accendere la curiosità degli intervistatori. Pare perciò particolarmente opportuna, in occasione dell’anno della vita consacrata, la scelta della Libreria Editrice Vaticana, di raccogliere in una antologia le conversazioni immaginarie con questi grandi ispiratori del dialogo con Dio. L’attenzione di tutti gli autori è stata quella di attualizzare la proposta di vita e di fede dei loro grandi interlocutori, nel rigore delle fonti (spesso con citazioni autentiche) e nella fedeltà storica allo spirito del tempo di ciascuno di essi. Ci piace immaginare che, così come i consacrati hanno provocato rivoluzioni epocali i cui frutti sono ancora freschi nella vita della Chiesa nonostante il trascorrere del tempo, volentieri si sarebbero sottoposti alle provocazioni degli uomini e delle donne di oggi.


e mangiare frutta di stagione per aiutare il nostro corpo a resistere. Purtroppo molto spesso non teniamo conto di queste raccomandazioni e ci comportiamo in modo del tutto sbagliato procurandoci dei danni fisici e economici. Ci vestiamo con materiali sintetici invece di cotone, esponiamo maggiormente la nostra pelle ai raggi del sole, beviamo acqua ghiacciata e bevande dolci e gassate. Passiamo dal forte calore esterno al freddo dell’ambiente interno e, peggio ancora, ci svestiamo immediatamente con la conseguenza di prendere raffreddori, mal di gola per non parlare dei danni all’apparato digerente riscaldato, che riceve acqua gelata e colpi dell’aria fredda del condizionamento. Cosa fare? Oltre a come vestirci, cosa bere e cosa mangiare, dobbiamo utilizzare i nuovi sistemi del condizionamento chiamato Inverter che consuma meno energia e produce meno calore sul motore esterno, un danno non indifferente all’ambiente già compromesso dalle emissioni degli impianti di riscaldamento. Non si devono installare split all’ingresso e nei corridoi dei nostri appartamenti che dovrebbero funzionare come filtro tra caldo esterno e fresco interno per dare tempo al nostro corpo di abituarsi al passaggio tra due temperature diverse. È consigliato inoltre di chiudere le persiane o tapparelle per evitare ingresso dei raggi di sole all’interno e soprattutto si deve utilizzare il termostato d’ambiente per regolare la temperatura interna rispetto a quella esterna, nonché usare il suo l’orologio per regolare l’accensione e spegnimento del condizionatore a secondo della maggiore o minore temperatura esterna durante il giorno e la notte. Questi accorgimenti e con l’uso razionale dei condizionatori convengono sotto tutti i punti di vista: per la salute fisica, quella economica e per un aiuto fondamentale al minore danno all’ambiente, spesso trascurato, che appartiene a tutti noi, dal quale dipende la nostra vita.

da Roma

MOHAMMAD DJAFARZADEH ARCHITETTO

L’estate sta alle porte e, come al solito, con l’arrivo del caldo ci troviamo di fronte al problema dell’aria condizionata sia nei luoghi pubblici che nelle nostre abitazioni. Oramai la buona parte delle case sono dotate di impianti di condizionamento con diverse caratteristiche e spesso installati da diversi anni. Come gli impianti di riscaldamento, utilizzati durante l’inverno, anche quelli di condizionamento durante il periodo caldo debbono essere utilizzati con giusto criterio. L’uso corretto ed intelligente darebbe numerosi vantaggi. Il primo vantaggio riguarda la nostra salute fisica e economica. Gli impianti sono di diverse tipologie a secondo della grandezza della casa e quindi la presenza di numeri maggiori o minori di split nei vari ambienti. Gli impianti installati da oltre sette anni hanno un alto consumo elettrico e poca resa, perciò normalmente vengono tenuti accesi con più ore e regolati con alto grado di raffreddamento. Tale condizione, oltre a produrre un consumo elevato e quindi bollenti bollette, danneggiano la nostra salute, in particolare le nostre vie respiratorie e il nostro sistema nervoso. Si deve tener conto della temperatura esterna per avere una temperatura adeguata all’interno delle nostre abitazioni. Nelle giornate con la temperatura tra 30 e 35 gradi di calore la temperatura all’interno della casa non deve essere inferiore a 27 gradi nelle ore di punta. Il nostro corpo con il suo sistema di adeguamento al calore e al freddo tenta di resistere. Infatti nel caso del calore eccessivo produce maggiore umidità sulla superficie in forma di sudore. Ma anche all’interno del nostro corpo i meccanismi di resistenza al calore tendono ad equilibrasi con quella esterna per soffrire il meno possibile. Ecco perche durante il periodo di forte calore si raccomanda di bere più liquidi freschi e non freddi, ovviamente non gassati,

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architettura

Casa e aria condizionata Queste le raccomandazioni


E V E N T I 2015

Amantea, aprile 2015, Elezione del Custode di Calabria fra Francesco Celestino

Frascati, 17 maggio 2015, Centro Studi Francescani - giornata di fraternità

Pacognano, 26 aprile 2015, Capitolo elettivo Ofs-Campania

Filippine, 28 aprile - 7 maggio 2015 Visita fraterna

Nola, 17 maggio 2015 celebrazione delle Prime Comunioni Napoli, Processione di Sant’Antonio da Padova

Ginevra, Visita a Fra Vincenzo Picazio

Maddaloni, 20 maggio 2015, incontro Ofs

Napoli, 15 maggio 2015, Veglia di 96 prehiera Tabor in S. Lorenzo Maggiore

Salerno, 1 marzo 2015 Un momento della celebrazione eucaristica

San Lorenzo - Fraternità


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