Luce serafica 03 2013 web

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Numero 3/2013 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007

Luce Serafica

Camminare assieme per il bene della cittĂ

Un mondo I giovani La crisi La legge Famiglia e Come pregano La gioia di annunciare Cristo senza amore? e la fede in Siria di StabilitĂ vocazione i buddisti?



Numero 3/2013 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007

Editoriale di Edoardo Scognamiglio Finestra sul mondo di Filippo Suppa Il Punto di Michele Giustiniano Politica-Economia di Vienna Iezzi Psicologia di Caterina Crispo Costume-Società di Carmine Vitale Dialogo di Francesco Celestino Voci di Chiesa di Boutros Naaman Famiglia di Gianfranco Grieco Etica di Vincenzo Paglia Bibbia di Giuseppina Costantino Teologia di Pietro De Lucia Liturgia di Giuseppe Falanga Pastorale di Edoardo Scognamiglio Mistica di Raffaele Di Muro Testimonianza di Domenico Sportiello Orizzonte Giovani di Luca Baselice Asterischi francescani di Orlando Todisco Spirito di Assisi di Giambattista Buonamano Cronaca di Angelo Palumbo Arte di Paolo D’Alessandro Milizia dell’Immacolata di Silvia Compassi Provincia-News di Luca Baselice Dal Noviziato di Loreto del Piano In book La Redazione Eventi La Redazione Cinema di Giuseppina Costantino Cucina di Nonna Giovannina

Luce Serafica Camminare assieme per il bene della città

Un mondo I giovani La crisi La legge Famiglia e Come pregano La gioia di annunciare Cristo senza amore? e la fede in Siria di Stabilità vocazione i buddisti?

La gioia di annunciare Cristo

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a gioia di annunciare Cristo in compagnia di Francesco è il titolo del progetto quadriennale che noi Frati Minori Conventuali della Provincia religiosa di Napoli e Basilicata intendiamo portare avanti in seguito alle ultime decisioni del Capitolo provinciale. Mentre organizziamo le nostre comunità e riprendiamo a pieno ritmo le attività pastorali, il mondo va avanti da solo e Dio continua a parlarci attraverso i fatti della storia e le gesta di grandi uomini. Non ultimo, il ciclone papa Francesco che, ad Assisi, lo scorso 4 ottobre, ha parlato ai giovani della vocazione alla famiglia e dell’amore tra i coniugi che non può non essere fedele e per sempre, ossia durare tutta la vita. Abbiamo posto attenzione, in questo numero della Rivista, alla crisi siriana ed europea e al tema della fede, come pure all’impegno socio-politico che deriva dal fatto di prendere sul serio il Vangelo. Il grido di denuncia in Campania per la Terra dei fuochi ha visto in primo piano i giovani e le parrocchie di molte Diocesi dell’hinterland partenopeo e casertano, come altresì dell’Ofs e di alcuni movimenti francescani e dei responsabili dello “Spirito di Assisi”. Una fede adulta e matura non può non tener conto dell’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato a partire dalle città che abitiamo. Salutiamo affettuosamente fra Paolo d’Alessandro che lascia la direzione di Luce Serafica a fra Gianfranco Grieco, la cui esperienza in campo giornalistico ed editoriale è più che trentennale. La foto di copertina è di Raffaele Sardo ed è tratta dalla manifestazione «A TERRA MIA» tenuta ad Aversa il 15 settembre 2013. P. Edoardo Scognamiglio, Ofm Conv.


FINESTRA SUL MONDO di Filippo Suppa

La crisi in Siria: Assad è diventato un partner affidabile?

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n Siria è iniziata da un bel po’ l’operazione di distruzione delle prime armi chimiche dell’arsenale siriano. Il compito affidato agli esperti dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) è partito – secondo l'Onu – nel migliore dei modi. Un funzionario delle Nazioni Unite, sentito dall’Ansa, ha messo in chiaro che si è tratto soltanto di un primo traguardo, in un percorso che sarà necessariamente lungo e che richiederà la cooperazione di tutte le parti interessati, in modo da poter arrivare nei tempi previsti e in modo efficace al traguardo prefissato. I lavori degli esperti in Siria stanno continuando. Il lavoro non ha per ora comportato la distruzione di altro materiale, ma piuttosto la registrazione e la preparazione di rapporti. Le autorità hanno preferito mantenere segreto il sito su cui si sta al momento lavorando. Che fine hanno fatto le perentorie richieste di quasi tutti i leader occidentali per la rimozione di Bashar El

Assad dalla presidenza della Siria? Come mai i vari Obama, Hollande, Cameron, che fino a poco tempo fa apparivano decisi a contribuire all’abbattimento del dittatore e volevano bombardare le sue basi militari per punirlo dell’uso di armi chimiche contro la popolazione sono oggi pronti a trattare con lui per una soluzione politica della guerra civile, che, come ha detto il Segretario di Stato Kerry, «preservi le istituzioni dello Stato»? La risposta è semplice: nelle ultime settimane la situazione in Siria è cambiata e le parti si sono, in un certo senso, invertite: accettando la distruzione del suo arsenale di armi chimiche e mantenendo poi puntualmente gli impegni assunti – al punto di meritarsi un pubblico elogio da parte dello stesso Kerry – Assad è diventato un partner affidabile. Nella prima metà di ottobre, la Mezzaluna rossa siriana ha evacuato almeno 3.500 persone da un quartiere di Damasco, da mesi assediato dall’esercito siriano. Donne e bambine, ha spiegato il portavoce dell’orga-

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nizzazione, Khaled Erksoussi, sono stati portati in luoghi più sicuri. Il luogo teatro dell’assedio è alla periferia di una zona chiamata in arabo Moadamiyet al-Sham. Sul fronte diplomatico non si registrano significativi passi avanti. Anzi, il Consiglio nazionale siriano, il gruppo più importante di opposizione al regime all’interno della Coalizione nazionale siriana, ha deciso di non partecipare alla conferenza di pace Ginevra 2 e minaccia di ritirarsi dalla Coalizione se questa deciderà di aderire alla conferenza. La situazione politica in Siria resta molto precaria. Nelle ultime due settimane ci sono stati scontri tra jihadisti e ribelli, ad Aleppo, e si sono registrati almeno 70 combattenti morti, riferisce l’Osservatorio siriano dei diritti umani. A fronteggiarsii sono stati i miliziani dello Stato islamico di Iraq e Siria (Isis), affiliato ad Al Qaeda e formato soprattutto da jihadisti stranieri, e un battaglione dell’Esercito siriano libero (Esl) sostenuto dalla Coalizione delle opposizioni.


IL PUNTO di Michele Giustiniano

La legge di stabilità in 12 punti

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e lotte tra falchi e colombe nei cieli del Pdl, i guizzi di delfini irrequieti, i soliti attriti tra capi e giannizzeri nel firmamento pentastellato. Questi gli argomenti che hanno tenuto maggiormente banco nel dibattito politico italiano delle ultime settimane. Così, tra ornitologia, ittica e astrologia partitiche, si è rischiato di far passare in secondo piano la questione da cui fortemente dipendono i destini futuri degli italiani e soprattutto dei loro portafogli: il varo della legge di stabilità 2014-2017. I testi sono stati continuamente rimaneggiati – talvolta più volte nell’arco di una sola giornata – e per qualcuno sono addirittura un mistero (Brunetta ha dichiarato giorni fa di non aver mai visto alcun testo). Intanto, però, tra “paletti” europei, pressioni dei sindacati, di Confindustria e di Berlusconi, che non vuol sentir parlare neanche per scherzo di qualsivoglia aumento di tasse, al Consiglio dei Ministri del 15 ottobre un testo è comunque stato presentato. Il premier Letta giura e grida ai quattro venti che quello architettato finora e presentato al Cdm è soltanto l’impianto di base: il resto lo costruirà in parlamento l’ampia e variegata maggioranza.Ma intanto, cosa prevede questo testo? Che no-

vità apporta? Proviamo a fare un po’ di chiarezza, enucleandone i punti salienti. DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Il blocco della contrattazione nel pubblico impiego viene confermato fino al 31 dicembre 2014. Gli straordinari vengono ridotti. Il turnover viene bloccato fino al 2018. DIPENDENTI DELLE IMPRESE Le imprese che aumenteranno il numero di dipendenti con contratto a tempo indeterminato potranno dedurre ogni anno fino a 15 mila euro per ogni dipendente dal costo del personale. Inoltre, la contribuzione aggiuntiva dell'1,4% sarà restituita a tutti i datori di lavoro che trasformeranno contratti a tempo determinato in assunzioni a tempo indeterminato. ENTI LOCALI Per Province e Comuni è prevista una deroga al patto di stabilità di un miliardo di euro nel 2014: in questo modo i sindaci potranno spendere parte dei soldi che hanno in cassa. PENSIONI Sulle pensioni è previsto un doppio intervento: 1) Per le pensioni che superano i 100mila euro è previsto un contributo di solidarietà pari al 5% applicato sulla parte eccedente i 100mila

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euro e fino ai 150mila euro, mentre il contributo sale al 10% sulle pensioni che superano i 150mila euro e al 15% su quelle che superano i 200mila euro 2) Per il solo 2014, gli assegni pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo Inps (ovvero le pensioni superiori ai 3000 euro mensili) non saranno rivalutati. BUSTA PAGA Sono previsti sconti sulle tasse in busta paga per i redditi bassi e medio-bassi (ovvero tutti quelli inferiori ai 55mila euro lordi annui). A beneficiarne saranno soprattutto coloro che percepiscono un reddito imponibile non superiore ai 15mila euro all’anno: per tutti costoro è prevista una diminuzione dell’Irpef di circa 170 euro all’anno, vale a dire meno di 15 euro al mese. IMMOBILI DELLO STATO Dal 2014 al 2017 si prevede di raccogliere un miliardo e mezzo di euro attraverso la vendita di immobili dello Stato. Si comincerà a dicembre con la vendita di un pacchetto di circa 50-60 immobili alla Cassa depositi e prestiti. CASSA INTEGRAZIONE La cassa integrazione in deroga viene rifinanziata con 330 milioni di euro per il 2013. Continua a pagina 44


POLITICA-ECONOMIA di Iezzi Vienna

A che punto siamo con la crisi economica in Europa?

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a crisi economica del 20082013 (chiamata anche grande recessione) ha avuto avvio nel 2008 in tutto il mondo in seguito a una crisi di natura finanziaria (originatasi negli Stati Uniti con la crisi dei subprime). Tra i principali fattori della crisi figurano gli alti prezzi delle materie prime (petrolio in primis), una crisi alimentare mondiale, un’elevata inflazione globale, la minaccia di una recessione in tutto il mondo e per finire una crisi creditizia con conseguente crollo di fiducia dei mercati borsistici. Viene considerata da molti economisti come una delle peggiori crisi economiche della storia, seconda solo alla Grande depressione iniziata nel 1929. Alla crisi finanziaria scoppiata nell’agosto del 2007 sono seguite una recessione, iniziata nel secondo trimestre del 2008 e una grave crisi industriale (seguita al fallimento di Lehman Brothers il 15 settembre per la crisi dei subprime) scoppiata nell’autunno dello stesso anno – di proporzioni più ampie che nella Grande crisi – con una forte contrazione della produzione e degli ordinativi. L’anno 2009 ha poi visto una crisi economica generalizzata, pesanti recessioni e vertiginosi crolli di Pil in numerosi paesi del mondo e in spe-

cial modo nel mondo occidentale. Terminata la recessione nel terzo trimestre 2009, tra la fine dello stesso anno e il 2010 si è verificata una parziale ripresa economica. Tra il 2010 e il 2011 si è conosciuto l’allargamento della crisi ai debiti sovrani e alle finanze pubbliche di molti paesi (in larga misura gravati dalle spese affrontate nel sostegno ai sistemi bancari), soprattutto ai paesi dell'eurozona (impossibilitati a operare manovre sul tasso di cambio o ad attuare politiche di credito espansive e di monetizzazione), che in alcuni casi hanno evitato l'insolvenza sovrana (Portogallo, Irlanda, Grecia), grazie all’erogazione di ingenti prestiti (da parte di FMI e UE), denominati “piani di salvataggio”, volti a scongiurare possibili default, a prezzo però di politiche di bilancio fortemente restrittive sui conti pubblici (austerità) con freno a consumi e produzione e alimentazione della spirale recessiva. La crisi non è finita. La situazione migliora, ma il livello di guardia deve restare alto, soprattutto oggi che siamo verso la fine del 2013. Olli Rehn, vicepresidente della Commissione Ue responsabile degli Affari economici, ammonisce dai facili entusiasmi e durante un’audizione in 6

Italia, alla Camera, ha detto: «La situazione sta migliorando, l’area dell’euro sta arrivando al punto di svolta che attendevamo da tempo. È in corso un inizio di graduale ripresa che speriamo si consolidi anzi acquisti slancio nei prossimi mesi dove dovremmo vedere un miglioramento dell’occupazione, ma dichiarare che la crisi è finita sarebbe prematuro». Il commissario europeo ha poi paragonato l’Italia alla Ferrari, entrambe incarnano «una grande tradizione di stile e capacità anche tecnica ma per poter vincere bisogna avere un motore competitivo, bisogna essere pronti a cambiare, adeguarsi. L’Italia è la terza economia per grandezza in Europa e il suo motore di crescita non può andare a basso regime, il motore ha bisogno di un’urgente revisione, non si può perdere tempo a pit stop, spero che l’Italia guidi con due mani sul volante e rimanga fermamente in pista». Al paragone tra economia e Formula 1 replica Luca Cordero di Montezemolo: «L’Italia è un Paese, come la Ferrari, forte e competitivo. Ma l’Europa, che detta le regole, non deve coltivare il mito del rigore quando è fine a se stesso. Perché di troppo rigore si muore, come hanno ben capito tra gli altri Giappone e Stati Uniti».


PSICOLOGIA di Caterina Crispo

Come gestire i conflitti familiari?

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e nostre relazioni interpersonali ci richiedono sempre più la capacità di accettare e gestire ciò che è diverso da noi stessi: persone, valori, pensieri, culture. Questo inevitabilmente porta il conflitto in una posizione centrale nella nostra esistenza. Che cos’è un conflitto? Ma cosa s’intende per conflitto? Il conflitto è una crisi della relazione tra le parti in cui sono presenti una contraddizione di scopi e un disagio, una sofferenza. Esso è diverso dal contrasto che è una crisi nell’ambito del contenuto di ciò che viene detto. Alla base del conflitto vi è non solo una comunicazione non efficace ma anche una non gestione delle emozioni e dei propri bisogni. Spesso si pensa al conflitto sempre in termini negativi, ma esso può avere anche una valenza positiva in facilità la costruzione dell’identità e la maturazione psicosociale degli individui. Gli effetti del conflitto di solito non dipendono dalla natura del conflitto (ovvero dai perché dei conflitti) ma dalla qualità della relazione entro cui hanno luogo. Questo vale in ogni ambito della vita sociale. Non è l’assenza di conflitto a determinare il benessere. Anzi l’assenza totale di conflitto di solito segnala appiattimento, paura reciproca, rancori nascosti, immaturità. Molto raramente l’assenza totale di conflitto è indice di totale accordo. Chi può dire di essere sempre d’accordo con qualcuno? Quando non c’è conflitto (nel senso di visioni alternative) non c’è crescita nelle relazioni. Gli esiti del conflitto sono di vario tipo. Un esito possibile è la completa sottomissione all’autorità di qualcuno (uno cede ad un altro), un altro è il compromesso (tutti concedono qualcosa agli altri). Spesso, quando le persone non riescono a trovare in sé la capacità di risolvere conflitti, si affidano alla mediazione di un terzo. Altre volte la strategia è il disimpegno, una vera e propria fuga dall’ambito conflittuale (quieto vivere) che di solito porta ad esplosioni di conflitto ancora più ampio in un secondo momento. Numerose ricerche indicano come gli adolescenti preferiscano il compromesso come soluzione ai conflitti coi genitori mentre la sottomissione è ancora l’esito più frequente (soprattutto nella prima e media adolescenza). L’arte del compromesso Apprendere l’arte del compromesso è qualcosa di possibile. Innanzitutto va detto che il compromesso si attua attraverso la concessione reciproca; tutti lasciano qualcosa

ma tutti guadagnano qualcosa. È proprio la sensazione piacevole di aver vinto tutti che fa sentire le persone bene e che permette di affrontare successivi conflitti senza eccessivi patemi. Ogni esito positivo a un conflitto accresce le capacità di tutti di far fronte alle difficoltà della vita, aumenta la comprensione e l’accettazione reciproca, facilita la comunicazione ed aumenta l’intimità, l’interdipendenza e l’autostima. Il compromesso è un trovare quelle soluzioni intermedie che gratificano tutti sufficientemente. Di solito è più facile trovare la semplice metà (o imporsi) ed infatti non tutte le persone imparano a gestire bene i conflitti per cui tendono a risolverli in fretta perché i conflitti vengono considerati pericolosi. Per questo si alimentano nuovi e più aspri conflitti. I conflitti in famiglia Questo è quello che succede in vari contesti e situazioni ma è sempre più frequente in ambito familiare e nella relazione di coppia. Di questi continui conflitti chi ne fa le spese sono proprio i figli. La conseguenza di tutto questo è molto spesso la separazione che rappresenta un evento destabilizzante per l’intero nucleo familiare ed in misura maggiore per un minore. Essa è un’esperienza dolorosa per il bambino, perché attacca la sicurezza del suo nido, e proprio per questo quando è possibile, è meglio evitargli tale esperienza. Però questo non significa vivere insieme per il suo bene, facendogli poi pagare la cosa in modo diverso: non più affettuosità tra i genitori, silenzi, indifferenze, letti o camere separate…. La cosa più importante è rimuovere le difficoltà che sono all’interno della coppia, magari anche con un intervento psicologico, quando è possibile, per il proprio benessere e per quello dei propri figli. In questa situazione di cambiamento i figli possono attraversare un momento di confusione e di disordine emotivo dovuto alla diminuzione del senso di stabilità e di sicurezza

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di fondamentale importanza durante il percorso di crescita. Il quadro si complica quando la relazione tra gli adulti di riferimento è quotidianamente attraversata da un’elevata conflittualità, che purtroppo, in non pochi casi, si esplica in rivendicazioni continue ed aggressioni non solo verbali. Spesso si sentono ragazzi parlare dei genitori che vivono insieme ma dormono in camere separate. I cosiddetti “separati in casa”, che restano insieme per amore del figlio, ma anche per una loro difficoltà a prendere una decisione dolorosa e difficile. In queste situazioni i bambini, o meglio i figli, si sentono compressi, in più in quanto non appartengono al problema. Sarebbe, quindi, meglio che i genitori, in queste condizioni, si separino in quanto non esiste più Quali conseguenze? Quali possono essere le conseguenze di una conflittualità non risolta e di una separazione? un legame affettivo tra loro e sono emotivamente distanti. È preferibile una chiarezza, soprattutto per i figli, che si può esplicare con la separazione ma mantenendo una alleanza in quanto coppia di genitori. Il tutto varia in base alla fase evolutiva che i figli stanno attraversando, in quanto essa influisce sul modo di percepire gli eventi. Per un neonato la presenza o l’assenza del genitore è vissuta come totale: tutto o niente. In un bambino piccolo possiamo osservare una regressione in alcune funzioni già acquisite: bagnare il letto o balbettare, fare incubi notturni e difficoltà a dormire. Se il bambino è molto piccolo e la violenza si protrae nel tempo la sua personalità viene rovinata dall’incapacità della mente del bambino di comprendere i motivi delle crisi e degli attacchi, per cui il più delle volte il piccolo pensa di essere lui a provocare i diverbi. Il bambino in età scolare potrebbe rifiutare la scuola o manifestare problemi nell’apprendimento e nel profitto scolastico, o manifestare ag-

gressività verso i coetanei, o ancora manifestare sintomi psicosomatici (mal di pancia, mal di testa, ansia). In questa fase, poiché i bambini hanno difficoltà a comprendere il concetto di passato e di futuro, in quanto vivono il presente, bisogna presentare la separazione in modo più ovattato in modo che non la vivano come turbamento insanabile e definitivo. L’adolescente potrebbe invece chiudersi a riccio con fasi alterne di abbassamento del tono dell’umore e momenti di aggressività. Potrebbe inoltre ostentare autonomia ed indipendenza o richiedere attenzione attraverso comportamenti antisociali (fughe da casa, piccoli furti, atti vandalici). In questa fase dello sviluppo il gruppo dei pari può acquistare grande importanza, sostituendo addirittura la famiglia. La comprensione delle ragioni e delle emozioni alla base della conflittualità e della separazione dei genitori arriverà lentamente. I danni sui figli, in ambienti familiari fortemente conflittuali, riguardano le sensazioni di insicurezza e di impotenza. Il danno è sul piano della formazione della personalità, che viene segnata dall’esposizione a minacce, intimidazioni, dalla sensazione di mancata protezione e di allarme continuo: questi bambini si sentono come sempre seduti su di una polveriera che può esplodere improvvisamente. La situazione dannosa peggiora se il contenuto dei conflitti tra i genitori riguardano il figlio, la sua educazione, le scelte che lo riguardano, poiché questi comportamenti acuiscono in lui il senso di colpa. I bambini che sono coinvolti nei conflitti di lealtà tra i genitori, che gli chiedono di schierarsi contro l’altro o che vengono chiamati in causa quando un genitore minaccia di abbandonare il partner, vedono compromesso il loro benessere emotivo. In questi minori si può osservare aspetti di eccessiva responsabilizzazione, adultizzazione e inversione di ruolo, cioè il bambino che assume il ruolo di 8

confidente e di protettore dell’adulto. Quando c’è un forte conflitto interpersonale in famiglia, tra amici, sul lavoro, si può anche arrivare a distruggere la relazione o a logorare il rapporto; ma talvolta, per risolvere controversie e dissapori non sempre serve la forza, può bastare essere persuasivi, perché è meglio un reciproco vantaggio piuttosto che eliminare l’avversario del tutto. La gestione del conflitto La gestione del conflitto vede entrambe le parti uscire con un vantaggio, una vittoria, senza combattere ma collaborando. Per fare ciò sono fondamentali cinque momenti fondamentali. 1) Analizzare il contesto, ovvero capire da dove nasce il conflitto e quali sarebbero le conseguenze positive e negative, sullo stato di entrambe le parti in seguito alla vittoria di uno dei due. 2) Essere creativi, e non fermarsi alla prima soluzione evidente, ma sforzarsi di immaginare scenari alternati vidi compromesso e collaborazione. Ovvero se io ottengo questo, lui potrebbe ottenere quest’altro e saremmo entrambi soddisfatti. 3) Non sprecare energie in inutili battaglie: fare un elenco dei risultati prioritari e quelli a cui si è disposti a rinunciare può permettere di vedere chiaramente le carte in nostro possesso che posiamo giocare nel corso della trattativa. 4) Saper comunicare, non chiudersi ma aprire un canale di comunicazione verbale e non verbale che riuscirà a creare una trattativa. La chiusura inasprisce il conflitto. 5) Sfruttare punti di forza e di debolezza della controparte; attraverso un ascolto profondo si possono prevedere e aspettare i comportamenti dell’altro. Nei conflitti interpersonali significa sapere prima dove l’argomentazione della controparte si farà più accesa e avere già previsto la replica che la trasformerà in un boomerang per l’avversario.


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TUME OCIETÀ

di Carmine Vitale

Il cellulare a scuola Istruzioni per l’uso

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l telefono cellulare è ormai un oggetto d’uso presente tra i giovani e i giovanissimi. Come tutti i genitori sanno, il cellulare non è solamente un telefono, ma è uno strumento dotato di altre valenze tecnologiche che ne rendono l’uso ampiamente vario e ricco (fotocamere, video, messaggistica, internet, ecc.) È facile, quindi, che i ragazzi, abituati a farne un uso continuo, se ne avvalgano anche durante le ore di lezione, con effetti negativi per se stessi e per gli altri. Come avviene ormai in quasi tutti i Paesi europei, anche in Italia l’uso del cellulare a scuola è vietato. Lo ha disposto il Ministro dell’istruzione con una direttiva (cf. direttiva 15 marzo 2007), impegnando tutte le istituzioni scolastiche a regolamentare l’uso a scuola, con esplicito divieto durante le lezioni. Il divieto di utilizzo del cellulare durante le ore di lezione risponde ad una generale norma di correttezza, perché l’uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici rappresenta un elemento di distrazione sia per chi lo

usa sia per i compagni. Ma l’uso, come ha precisato la direttiva ministeriale, oltre che una grave mancanza di rispetto verso l’insegnante, costituisce un’infrazione disciplinare. Nei regolamenti di istituto sono previste norme e regole relative al divieto di uso del cellulare, compresa quella del ritiro temporaneo del telefono, in caso di uso scorretto o senza controllo in mano a minori. Riguardo al sequestro, è bene precisare che la scuola non può trattenere il cellulare sequestrato oltre il termine dell’attività didattica, ma, in casi di scorretto comportamento dell’alunno, può anche decidere di restituirlo direttamente ed esclusivamente nelle mani dei genitori. In sede di iscrizione i genitori sono invitati a informarsi presso la segreteria della scuola sulle regole che il Consiglio di istituto ha disposto per l’uso corretto del telefono cellulare a scuola. Resta inteso, come ha precisato anche la direttiva ministeriale, che nel caso in cui, durante lo svolgimento delle lezioni, vi siano eventuali esigenze di comunicazione tra

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gli studenti e le famiglie, dettate da ragioni di particolare urgenza o gravità, può esservi l’autorizzazione del docente. La scuola deve, in ogni caso, garantire, come è sempre avvenuto, la possibilità di una comunicazione reciproca tra le famiglie ed i propri figli, per gravi ed urgenti motivi, mediante gli uffici di presidenza e di segreteria amministrativa. Nei casi di particolare ed estrema gravità, in cui vi siano fatti di rilevanza penale o situazioni di pericolo per l’incolumità delle persone, anche riconducibili ad episodi di violenza fisica o psichica o a gravi fenomeni di “bullismo” – ha precisato la direttiva ministeriale – sarà possibile applicare sanzioni più rigorose che potranno condurre anche alla non ammissione allo scrutinio finale o all’esame di Stato conclusivo del corso di studi. Il divieto di utilizzare il telefono cellulare, durante le lezioni, vale anche per il personale docente, come già previsto da una circolare ministeriale (cfr. Circolare n. 362 del 25 agosto 1998).


DIALOGO di Francesco Celestino

Come pregano i buddisti?

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he cos’è la preghiera per i buddisti? Come pregano i buddisti? Il desiderio celeste è preghiera. La preghiera terrena proviene dal desiderio egoistico. Ma, quando preghiamo per la pace e la felicità di tutti gli esseri senzienti, desiderio e preghiera sono una cosa sola, e questo desiderio è la base della nostra vita. Senza desiderio, la vita terrena non ha nessun significato; la preghiera è la base della nostra vita religiosa. La nostra prima vera preghiera è quella di eliminare la nostra natura egoistica. L’oggi è il risultato della preghiera di ieri, e l’oggi è la causa delle preghiere di domani. Offriamo la nostra preghiera al futuro, e questa preghiera viene ascoltata ed esaudita oggi. Pregando che ogni preghiera sia ascoltata ed esaudita, continuiamo la grande preghiera. Ma ora dobbiamo chiederci: chi preghiamo, a chi offriamo la nostra preghiera? La risposta è evidente per un buddista.

della preghiera buddista è, dunque, quello di risvegliare le innate capacità interiori di forza, coraggio e saggezza e non invocare forze o divinità esterne. Inoltre, come in molte pratiche spirituali orientali, è anche importante un’espressione “fisica” della preghiera che, per i praticanti del Buddismo di Nichiren, si concretizza nella lettura – mattina e sera – di due parti del Sutra del Loto e nella recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, il nome della Legge mistica che sta alla base della vita stessa e che Nichiren ha preso dal titolo del Sutra del Loto. Il fatto che la recitazione sia intonata sonoramente esprime il concetto che nel Buddismo di Nichiren Daishonin la preghiera non è puramente una meditazione rivolta all’interno della propria vita, ma un atto che rende manifeste delle qualità interiori potenziali, facendole apparire nel mondo reale. I buddisti rivolgono la recitazione di Nammyoho-renge-kyo a un oggetto di culto, il Gohonzon: questo è un mandala, cioè una rappresentazione simbolica dello stato ideale di Buddità, o Illuminazione, in cui tutte le tendenze e gli impulsi della vita – dai più bassi o degradati ai più alti o nobili – agiscono in armonia per realizzare felicità, creatività e saggezza. Il Gohonzon non è un “idolo” o un “dio” da supplicare o da ingraziarsi, ma uno strumento per riflettere e un catalizzatore per un positivo cambiamento interiore. I buddisti della Soka Gakkai vengono incoraggiati a esprimere le proprie preghiere in forma specifica e concreta, focalizzata su problemi, speranze o preoccupazioni che essi affrontano nella vita quotidiana. Il Buddismo del Daishonin – in particolare – evidenzia l’inseparabilità dei “desideri terreni” dall’Illuminazione. Nichiren ha affermato infatti che “bruciando” la “legna” dei nostri desideri attraverso l’azione della preghiera, riusciamo a sviluppare la “fiamma” di una rinnovata energia e la “luce” della nostra saggezza.

Guardandoci attorno Se andate in Giappone o in Cina, vedrete uomini e donne inginocchiati davanti a un’immagine del Buddha o di un bodhisattva (un essere illuminato), pregando per il bene di una madre ammalata o un padre morente. Alcuni pregano Avolokitesvara, il bodhisattva della misericordia. Una mia conoscente pregava ogni mattina Avolokitesvara battendo sul gong di legno a forma di pesce. Non si fermava mai, qualsiasi cosa accadesse. Il giorno del grande terremoto, questa mia amica si mise sulle spalle la sua grande immagine di Avolokitesvara e cercò di correre attraverso la grande conflagrazione che infuriava su Tokyo. Tutti le gridavano “Gettala via!”, ma lei rifiutava. Un amico trovò il suo corpo con la statua ancora sulle spalle. Egli parlò della sua fede in Avolokitesvara: “Bene, certamente è in paradiso”. Io non riuscii a dire una parola, ma la compativo, pensando: “Questa non è vera preghiera”. Il suo zelo era patetico. Ovviamente, potete non portare sulle spalle un’immagine di Avalokitesvara. Ma riuscirete a non portare nella mente qualche immagine mentale che non vorreste abbandonare nemmeno se foste in pericolo di morte? È lo stesso, questo attaccamento a un’idea che non potete abbandonare mentre morite in una conflagrazione mentale. La vera preghiera La vera preghiera è: “Non avrò in mente nessuna idea, non proverò attaccamento per nessuna idea. La mia mente è pura vacuità”. La vacuità è pura realtà che non ha in sé nessuna nozione - come l'acqua pura. Lo scopo fondamentale 10


Compassione e saggezza La preghiera buddista rappresenta il processo attraverso il quale i desideri e le sofferenze vengono trasformati in compassione e saggezza. Questo percorso implica una riflessione su di sé, e passa necessariamente attraverso il confronto – talvolta doloroso – con le proprie tendenze negative più radicate. La pratica degli insegnamenti buddisti non ti solleverà affatto dalle sofferenze di nascita e morte a meno che tu non percepisca la vera natura della tua vita. Se cerchi l’Illuminazione al di fuori di te, anche eseguire diecimila pratiche e diecimila buone azioni sarà inutile, come se un povero stesse giorno e notte a contare le ricchezze del suo vicino, senza guadagnare nemmeno un centesimo. I praticanti, inoltre, sono incoraggiati a legare strettamente la preghiera con le azioni e il comportamento nella vita quotidiana. La preghiera è sincera solo se coerente con l’azione. Per trasformare concretamente la propria vita è necessario quindi attivare determinazione e preghiera, impegno e sincerità. Secondo l’insegnamento del Daishonin, attraverso la recitazione di Nam-myo-renge-kyo, si può attivare la condizione vitale più elevata: la “natura di Budda”. Questo potenziale – presente in ogni forma di vita – è la stessa Legge mistica che permea l’intero infinito universo. La preghiera è il costante processo di riallineare le nostre singole vite (“piccolo io”) con tutti i loro impulsi e desideri, con il ritmo dell’universo vivente (“il grande io”). Durante questo percorso, definito anche “rivoluzione umana”, vengono attivate pienamente capacità – fino ad allora poco utilizzate o del tutto inespresse – quali conoscenza di sé, saggezza, vitalità e perseveranza. E poiché nella filosofia buddista non esiste separazione tra il mondo interiore degli esseri umani e il loro ambiente, i cambiamenti che avvengono dentro di noi si riflettono anche fuori di noi, nelle si-

tuazioni esterne. Sperimentare una “risposta” alle preghiere è il risultato concreto e visibile di questo processo. Daisaku Ikeda ha scritto che la forma più alta di preghiera è il voto di contribuire alla felicità degli altri e allo sviluppo di una convivenza pacifica sul pianeta. Questo voto, e le azioni che ne conseguono, armonizzano profondamente le nostre vite con l’infinita vita dell’universo e fanno emergere il nostro io più elevato e nobile.

La preghiera L’esperienza spirituale buddhista germoglia nel variegato panorama dell’India brāhmanica che trova nei Veda il proprio fondamento rivelativo, nel sacrificio la caratteristica religiosa e filosofica portante, nei sacerdoti, detti brāhmani, la casta più autorevole ed esclusiva. Di quest’antichissima esperienza religiosa l’iniziatore del buddhismo, il principe Siddhartha Gauthama, conosceva il linguaggio, la fisionomia, ne aveva respirato l’influsso. Aveva praticato alcune importanti forme di ascesi, che però non soddisfacevano completamente la sua sete di vita. La meditazione priva di un orientamento chiaro, di un obiettivo di fondo, è in grado di rispondere all’esigenza più profonda dell’uomo? La rigida separazione in caste e i privilegi appannaggio di quella sacerdotale facilitano o complicano la soluzione dei problemi che si agitano nell’animo umano? Il desiderio di liberazione così universale si può delegare alla pratica del sacrificio o all’intervento di una divinità? La ricerca di risposte più appaganti segna l’inizio di una storia nuova, sebbene radicata nell’universo simbolico indiano.

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VOCI DI CHIESA di Boutros Naaman

La famiglia è una vera vocazione

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apa Francesco, ad Assisi, il 4 ottobre, nel pomeriggio ha incontrato i giovani dell’Umbria nel piazzale della Basilica S. Maria degli Angeli e ha risposto a 4 domande molto semplici che toccavano questi argomenti: la famiglia, il lavoro, la vocazione e la missione. La famiglia Alla domanda sulla famiglia, posta da una giovane coppia (Nicola e Chiara Volpi di Perugia-Città della Pieve), papa Francesco ha così risposto: «Sono contento che la prima domanda sia stata da una giovane coppia. Una bella testimonianza! Due giovani che hanno scelto, hanno deciso, con gioia e con coraggio di formare una famiglia. Sì, perché è proprio vero, ci vuole coraggio per formare una famiglia! Ci vuole coraggio! E la domanda di voi, giovani sposi, si collega a quella sulla vocazione. Che cos’è il matrimonio? È una vera e propria vocazione, come lo sono il sacerdozio e la vita religiosa. Due cristiani che si sposano hanno riconosciuto nella loro storia di amore la chiamata del Signore, la vocazione a formare di due, maschio e femmina, una sola carne, una sola vita. E il Sacramento del matrimonio avvolge questo amore con la grazia di Dio, lo radica in Dio stesso. Con questo dono, con la certezza di questa chiamata, si può partire sicuri, non si ha paura di nulla, si può affrontare tutto, insieme!».

Il lavoro La domanda sul lavoro e sulle condizioni precarie in cui molte famiglie versano, è stata posta da due giovani. Papa Francesco ha affermato quanto segue: «Pensiamo ai nostri genitori, ai nostri nonni o bisnonni: si sono sposati in condizioni molto più povere delle nostre, alcuni in tempo di guerra, o di dopoguerra; alcuni sono emigrati, come i miei genitori. Dove trovavano la forza? La trovavano nella certezza che il Signore era con loro, che la famiglia è benedetta da Dio col Sacramento del matrimonio, e che benedetta è la missione di mettere al mondo i figli e di educarli. Con queste certezze hanno superato anche le prove più dure. Erano certezze semplici, ma vere, formavano delle colonne che sostenevano il loro amore. Non è stata facile, la vita loro; c’erano problemi, tanti problemi. Ma queste certezze semplici li aiutavano ad andare avanti. E sono riusciti a fare una bella famiglia, a dare vita, a fare crescere i figli». La vocazione Sul significato della vocazione cristiana, papa Francesco ha affermato: «La famiglia è la vocazione che Dio ha scritto nella natura dell’uomo e della donna, ma c’è un’altra vocazione complementare al matrimonio: la chiamata al celibato e alla verginità 12


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per il Regno dei cieli. È la vocazione che Gesù stesso ha vissuto. Come riconoscerla? Come seguirla? È la terza domanda che mi avete fatto. Ma qualcuno di voi può pensare: ma questo vescovo, che bravo! Abbiamo fatto la domanda e ha le risposte tutte pronte, scritte! Io ho ricevuto le domande alcuni giorni fa. Per questo le conosco. E vi rispondo con due elementi essenziali su come riconoscere questa vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata. Pregare e camminare nella Chiesa. Queste due cose vanno insieme, sono intrecciate. All’origine di ogni vocazione alla vita consacrata c’è sempre un’esperienza forte di Dio, un’esperienza che non si dimentica, la si ricorda per tutta la vita! È quella che ha avuto Francesco. E questo noi non lo possiamo calcolare o programmare. Dio ci sorprende sempre! È Dio che chiama; però è importante avere un rapporto quotidiano con Lui, ascoltarlo in silenzio davanti al Taberna-

colo e nell’intimo di noi stessi, parlargli, accostarsi ai Sacramenti. Avere questo rapporto familiare con il Signore è come tenere aperta la finestra della nostra vita perché Lui ci faccia sentire la sua voce, che cosa vuole da noi. Sarebbe bello sentire voi, sentire qui i preti presenti, le suore… Sarebbe bellissimo, perché ogni storia è unica, ma tutte partono da un incontro che illumina nel profondo, che tocca il cuore e coinvolge tutta la persona: affetto, intelletto, sensi, tutto. Il rapporto con Dio non riguarda solo una parte di noi stessi, riguarda tutto. E’ un amore così grande, così bello, così vero, che merita tutto e merita tutta la nostra fiducia. E una cosa vorrei dirla con forza, specialmente oggi: la verginità per il Regno di Dio non è un “no”, è un “sì”! Certo, comporta la rinuncia a un legame coniugale e ad una propria famiglia, ma alla base c’è il “sì”, come risposta al “sì” totale di Cristo verso di noi, e questo “sì” rende fecondi. 14

Ma qui ad Assisi non c’è bisogno di parole! C’è Francesco, c’è Chiara, parlano loro! Il loro carisma continua a parlare a tanti giovani nel mondo intero: ragazzi e ragazze che lasciano tutto per seguire Gesù sulla via del Vangelo». La missione Per rispondere alla quarta domanda, papa Francesco ha approfondito il significato del Vangelo che ha anche un messaggio di natura sociale.


«Qui ad Assisi, qui vicino alla Porziuncola, mi sembra di sentire la voce di san Francesco che ci ripete: “Vangelo, Vangelo!”. Lo dice anche a me, anzi, prima a me: Papa Francesco, sii servitore del Vangelo! Se io non riesco ad essere un servitore del Vangelo, la mia vita non vale niente! Ma il Vangelo, cari amici, non riguarda solo la religione, riguarda l’uomo, tutto l’uomo, riguarda il mondo, la società, la civiltà umana. Il

Vangelo è il messaggio di salvezza di Dio per l’umanità. Ma quando diciamo “messaggio di salvezza”, non è un modo di dire, non sono semplici parole o parole vuote come ce ne sono tante oggi! L’umanità ha veramente bisogno di essere salvata! Lo vediamo ogni giorno quando sfogliamo il giornale, o sentiamo le notizie alla televisione; ma lo vediamo anche intorno a noi, nelle persone, nelle situazioni; e lo vediamo in noi stessi! Ognuno di noi ha bisogno di salvezza! Soli non ce la facciamo! Abbiamo bisogno di salvezza! Salvezza da che cosa? Dal male. Il male opera, fa il suo lavoro. Ma il male non è invincibile e il cristiano non si rassegna di fronte al male. E voi giovani, volete rassegnarvi di fronte al male, alle ingiustizie, alle difficoltà? Volete o non volete? [I giovani rispondono: No!] Ah, va bene. Questo piace! Il nostro segreto è che Dio è più grande del male: ma questo è vero! Dio è più grande del male. Dio è amore infinito, misericordia senza

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limiti, e questo Amore ha vinto il male alla radice nella morte e risurrezione di Cristo. Questo è il Vangelo, la Buona Notizia: l’amore di Dio ha vinto! Cristo è morto sulla croce per i nostri peccati ed è risorto. Con Lui noi possiamo lottare contro il male e vincerlo ogni giorno. Ci crediamo o no? [I giovani rispondono: Sì!] Ma questo ‘sì’ deve andare nella vita! Se io credo che Gesù ha vinto il male e mi salva, devo seguire Gesù, devo andare sulla strada di Gesù per tutta la vita. Allora il Vangelo, questo messaggio di salvezza, ha due destinazioni che sono legate: la prima, suscitare la fede, e questa è l’evangelizzazione; la seconda, trasformare il mondo secondo il disegno di Dio, e questa è l’animazione cristiana della società. Ma non sono due cose separate, sono un’unica missione: portare il Vangelo con la testimonianza della nostra vita trasforma il mondo! Questa è la via: portare il Vangelo con la testimonianza della nostra vita».


FAMIGLIA di Gianfranco Grieco

Giovanni Paolo II sarà santo Papa della famiglia e della vita

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a notizia, attesa già da qualche anno, ha fatto subito il giro del mondo. Papa Francesco, nel corso del concistoro di lunedì 30 settembre, ha decretato che i beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, siano iscritti nell’albo dei santi, domenica 27 aprile 2014, II di Pasqua, dedicata alla divina misericordia. Dopo appena otto anni dalla morte (2 aprile 2005) e tre dalla beatificazione (1° maggio 2011) Papa Giovanni Paolo II ritorna a riprendere il suo posto nel cuore della santità della chiesa. La gioia è grande; la gratitudine è immensa. Il papa che ha guidato la barca di Pietro per ben 27 anni (19782005) dalla terra sale al cielo e indica agli uomini e alle donne di buona volontà la strada della santità di vita, tormento e passione della sua attività di padre e di pastore della chiesa universale.

«Dopo la mia morte vorrei essere ricordato come il papa della famiglia e della vita», confidava a un suo stretto collaboratore che gli aveva portato alcuni testi da rivedere proprio su questi temi che da anni scuotono il presente ed il futuro del mondo. La famiglia e la vita erano temi che ap-

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passionavano questo papa dal cuore forte e gentile e dall’animo tenero come quello di un bimbo. Aveva avuto il giovane Karol una famiglia segnata dal dolore. Prima, la morte all’età di 45 anni, di mamma Emilia (1929); poi quella del fratello, Edmund (1932), uno sportivo che ama il football; inoltre quella del padre, Karol (1941): Per tutta la vita, porterà nel cuore e nell’anima, il segno di una famiglia che ha versato le lacrime: Per questo, partendo dal vuoto dell’affetto umano che nasce e cresce nel nucleo familiare, avvertiva sempre più l’urgenza di allargare il suo cuore a quella grande famiglia dei popoli raccolta nella chiesa e nella comunità politica mondiale. Guardava, Giovanni Paolo II alla famiglia, con particolare predilezione. Nei suoi viaggi internazionali e nazionali; nelle udienze, nelle visite alle parrocchie, negli incontri di gruppo, non si stancava mai di posare il suo sguardo sulla famiglia delle nazioni e sulla comunità familiare. Aveva per la famiglia, parole di amore e di comprensione, di tenerezza e di speranza. Aveva, a volte, anche parole dure e forti, quando riaffermava che i valori della vita dal momento del concepimento sino alla morte naturale, la gioia della fedeltà e del dono di sé, come “ valori non negoziabili”. Chiedeva ai suoi fedeli un eroismo senza deleghe e senza ritorno. Il 13 maggio 1981, giorno dell’attentato in piazza san Pietro, creava il Pontificio Consiglio per la Famiglia con il moto proprio Familia a Deo instituta. Indicava , in quel documento, i compiti della famiglia cristiana nel mondo contem-

poraneo con l’esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio, firmata il 22 novembre 1981. Ritornava il papa “venuto da lontano” sulla dignità e sulla vocazione della donna con la lettera apostolica Mulieris dignitatem del 15 agosto 1988. E poi, l’anno della famiglia - 1994 - con il primo incontro mondiale delle famiglie (6-9 ottobre 1994) che apriva la serie dei raduni mondiali: da Rio a Manila, da Roma a Valencia, da Città del Messico a Milano, sino a Philadelphia 2015: tante tappe di un unico e lungo percorso di amore per la famiglia e per la vita nei vari continenti, feriti da “conquiste” fallimentari e da leggi inique contro il progetto creativo di Dio. La sua azione pastorale sulla famiglia e sulla vita trovava i grandi e costanti punti di riferimento su alcuni documenti che hanno già segnato la storia di questi nostri giorni inquieti e violenti: la carta dei diritti della famiglia (1983); l’istruzione donum vitae (1987); la lettera alle famiglie del mondo (1994); la lettera natalizia a tutti i bambini (1994); la lettera alle donne di tutto il mondo (1995); la lettera agli anziani (1999). Tutto e tutti portava sempre nel cuore. Famiglia “santuario della vita”; il “vangelo della famiglia e della vita”, “procreazione responsabile”, la vita come “dono di Dio” erano parole ed espressioni che più amava. Sono parole ed espressioni che ora, un santo della chiesa dei nostri giorni, continua a raccomandare agli uomini e alle donne che per oltre 27 anni hanno camminato anche con lui per le strade del mondo.

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ETICA di Mons. Vincenzo Paglia

Può esistere un mondo senza amore?

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orrei partire da una affermazione di Madre Teresa di Calcutta: «La peggiore malattia dell’Occidente oggi non è la tubercolosi o la lebbra, ma il non sentirsi amati e desiderati, il sentirsi abbandonati. La medicina può guarire le malattie del corpo, ma l’unica cura per la solitudine, la disperazione e la mancanza di prospettive, è l’amore. Vi sono numerose persone al mondo che muoiono perché non hanno neppure un pezzo di pane, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza di amore». Per mancanza d’amore si muore e si arriva anche a programmare la morte (non è forse questo il senso dell’eutanasia? E non è questo il motivo per cui in alcuni paesi del Nord Europa il suicidio è la prima causa delle morti dei giovani?). La persona umana, quando è sola, sta sul baratro della morte. La sua vocazione infatti non è la solitudine, ma l’amore con l’altro, con l’altra, con gli altri. Quando Dio stesso, dopo aver creato Adamo, che pure era il vertice della sua opera, afferma: “non è bene che l’uomo sia solo”, tocca un nodo fondamentale dell’intera esistenza umana. Senza l’altro, quindi senza l’amore, la vita diviene un inferno. Lo sanno bene i milioni di bambini che sono preda della malattia, della fame, della crudeltà di chi li ingaggia persino nelle guerre; lo sanno i giovani privi di ideali e di futuro; lo sanno le donne che vengono eliminate dalla violenza degli uomini che magari dicono pure di amarle; lo sanno gli adulti, uomini e donne, costretti a una durissima concorrenza per sopravvivere e non essere schiacciati dal clima competitivo che si insinua ovunque; lo sanno gli anziani scartati e messi nei cronicari dopo una vita di lavoro (è incredibile: si allunga l’esistenza ma si approfondisce l’abbandono!); lo sanno popoli interi esclusi dallo sviluppo e sempre dipendenti. La lista potrebbe continuare ancora, basti pensare all’incalcolabile numero di poveri e di disperati che riempiono le strade del Nord e del Sud del mondo La globalizzazione, senza una forte visione solidaristica della vita, ha acuito ancor più il senso di solitudine e di spaesamento dell’uomo contemporaneo di

fronte ad un mondo che appare troppo grande. Ci troviamo di fronte ad un incredibile paradosso: siamo nello stesso tempo più vicini gli uni agli altri, ma tutti ugualmente più soli, più insicuri, più preoccupati, più ansiosi per i pericoli che l’oggi o il domani può riservare. Ripartire dall’amore In un mondo segnato così profondamente dalla paura e dalla solitudine, e lacerato da conflitti bellici o di civiltà, l’amore resta l’unica via per immaginare un nuovo futuro. Si potrebbe dire: è il tempo dell’ “agàpe”, il tempo dell’amore per gli altri e non solo per se stessi. Appunto, un amore “agapico”. Agàpe, una parola greca, fu scelta dagli autori del Nuovo Testamento per descrivere l’amore di Gesù. In quel tempo non era quasi per nulla usata poiché la cultura greca per dire l’amore preferiva i termini eros e philia. Gli autori sacri con il termine agape introducevano una nuova e impensata concezione dell’amore: un amore che non si nutre della mancanza dell’altro (eros) e che nemmeno semplicemente si rallegra della presenza dell’altro (philia), ma un amore, appena concepibile dalla ragione umana, che trova il suo modello culminante in Gesù: un amore per gli altri totalmente disinteressato, gratuito, perfino ingiustificato, perché continua ad agire – ed è il meno che si possa dire – al di fuori d’ogni reciprocità. E’ davvero un amore fuori regola, fuori norma. L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani afferma: «A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore per noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5, 7-8). Con il termine agàpe si esprime quindi un amore impensabile per la ragione se Dio stesso non lo avesse rivelato. L’agàpe è infatti l’essere stesso di Dio. Quindi è l’essere stesso Dio a spingerlo ad uscire da sé per scendere in mezzo agli uomini. L’incarnazione è un mistero centrale nella fede cristiana. Essa si differenzia da tutte le altre fedi perché, più che una religione 18


che divinizza l’uomo, è la religione di un Dio che per amore si fa uomo. Non solo, quest’uomo accetta anche di essere crocifisso, e per amore. Nella “croce” appare il culmine dell’amore con la sua vittoria definitiva sull’egoismo. Semiòn Frank, un filoso russo, scrive: «L’idea di un Dio disceso nel mondo, che soffre volontariamente e prende parte alle sofferenze umane e cosmiche, l’idea di un Dio-uomo che soffre, è la sola teodicea possibile, la sola ‘giustificazione’ convincente di Dio». Qui vi è tutta l’originalità dell’agàpe, tutta la sua paradossalità, e soprattutto la sua forza irresistibile: l’agàpe è la risorsa più forte per edificare un mondo nuovo liberato dalla legge inesorabile dell’amore per sé. Sono significative a tale proposito le parole che don Andrea Santoro, prete italiano – mio compagno di studi e di sacerdozio – ucciso a Trebisonda, in Turchia, scrisse nella sua ultima lettera (scritta il 22 gennaio 2006) pochi giorni prima che venisse ucciso. Ragionando sulla fede islamica e sui tratti di violenza che talora mostra, don Andrea rivendicava il “vantaggio” della fede cristiana: «Il vantaggio di noi cristiani nel credere in un Dio inerme, in un Cristo che invita ad amare i nemici, a servire per essere “signori” della casa, a farsi ultimo per risultare il primo, in un vangelo che proibisce l’odio, l’ira, il giudizio, il dominio, in un Dio che si fa agnello e si lascia colpire per uccidere in sé l’orgoglio e l’odio, in un Dio che attira con l’amore e non domina con il potere, è un vantaggio da non perdere. È un “vantaggio” che può sembrare “svantaggioso” e perdente e lo è, agli occhi del mondo, ma è vittorioso agli occhi di Dio e capace di conqui-

stare il cuore del mondo». Diceva san Giovanni Crisostomo: Cristo pasce agnelli, non lupi. Se ci faremo agnelli vinceremo, se diventeremo lupi perderemo. Non è facile, come non è facile la croce di Cristo sempre tentata dal fascino della spada… Ci sarà chi voglia essere presente in questo mondo mediorientale semplicemente come “cristiano”, “sale” nella minestra, “lievito nella pasta, “luce” nella stanza, “finestra” tra muri innalzati, “ponte” tra rive opposte, “offerta” di riconciliazione?». Don Andrea ci richiama alla realtà dell’amore evangelico che è per sua natura eroico. L’eroicità è connaturale a questo amore. Se la si attenua, se si sbiadisce l’ “eccesso di amore”, si intacca lo stesso Vangelo. Ecco perché l’agàpe è superiore a tutte le virtù. Non c’è nulla al disopra: né la profezia della tradizione ebraico-cristiana; né l’ineffabile lingua degli angeli; e nemmeno la speranza; e neppure la conoscenza, la quale in questo mondo è così misera sì che conosciamo Dio solo confusamente, come attraverso uno specchio, dentro enigmi, come afferma l’apostolo Paolo. Il bellissimo “canto all’agàpe” della prima Lettera ai Corinzi è tra le pagine più alte della letteratura cristiana. L’agàpe – canta l’apostolo - è superiore persino alla fede. Se nel Vangelo di Matteo, Gesù dice: «Se avrete fede quanto un granellino di senape potrete dire a questo monte spostati da qui a lì, ed esso si sposterà. Niente vi sarà impossibile» (Mt 17,20), l’apostolo Paolo, con un incredibile capovolgimento, afferma: «Se avessi tutta la fede tanto da poter trasportare i monti, ma non avessi l'amore, non sarei nulla» (1Cor 13,1).

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BIBBIA di Giuseppina Costantino

Leggere e ascoltare la Parola di Dio nelle nostre famiglie

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e è vero che la fede nasce dall’ascolto della Parola (cf. Rm 10,17), allora le Sante Scritture rappresentano un elemento vitale per le nostre famiglie affinché ognuno di noi possa fare un’esperienza autentica di Gesù Cristo e testimoniarla al mondo. Leggere la Parola di Dio in famiglia significa educarsi all’ascolto sincero e riscoprire quella dimensione propria del Verbo che il Silenzio eterno del Padre da cui il Figlio stesso è generato. Da sempre nella storia cristiana la lettura della Bibbia nella famiglia è stata uno dei cardini della vita pastorale. Basti pensare a quanto diceva Giovanni Crisostomo, il grande vescovo di Costantinopoli, ai suoi fedeli che talora mal sopportavano le sue indicazioni: «Si dirà da parte di qualcuno: Io non sono né monaco, né anacoreta, ho moglie e figli e mi prendo cura della mia famiglia. Ecco la grande piaga dei nostri tempi, credere che la lettura del Vangelo sia riservata soltanto ai religiosi e ai monaci […]. È un grande male non leggere i libri che recano la parola di Dio, ma ve n’è uno peggiore, credere che questa lettura sia inutile […]. Non ascoltare la parola di Dio è causa di fame e di morte» (Giovanni Crisostomo). E un altro grande vescovo, Cesario di Arles, ammoniva: «La luce dell’anima e il cibo eterno altro non è infatti se non la Parola di Dio, senza la quale l’anima non può né vedere né vivere: giacché, come la nostra carne muore se non assume cibo, così anche la nostra anima si spegne se non riceve la arola di Dio. Ma qualcuno dice: “Io sono un contadino e sono continuamente impegnato nei lavori dei campi: non posso né stare ad ascoltare, né leggere la Scrittura divina”. Quanti uomini e quante donne dei campi ricordano a memoria e cantano canti diabolici lascivi e sconci! Possono ricordare e imparare queste cose che insegna il diavolo, e non possono ricordare ciò che rivela Cristo?». È lodevole l’impegno che le Società Bibliche insieme alle Chiesa cattolica hanno posto per le traduzioni. Ma resta molto da fare. La Bibbia è stata già tradotta in 2454 lingue diverse (interamente in 438, il solo Nuovo Testamento in 1168, e solo alcuni libri, ad esempio i Vangeli o i Salmi, in altre 848); restano ancora altre 4500 lingue in attesa di essere confrontate con le Sante Scritture. Se poi si calcola che le Società Bibliche hanno distribuito nel 2006 circa 26 milioni di Bibbie, vuol dire che si è raggiunto solo l’1% o il 2% dei 2 miliardi di cristiani. Che la Bibbia giunga in ogni

casa e nella propria lingua dovrebbe essere una utopia possibile. Soprattutto oggi che l’alfabetizzazione è davvero globalizzata. Guardando alla famiglia di Nazaret Se pensiamo alla famiglia di Nazaret, appare evidente quanto sia stato importante anche per Gesù il rapporto con le Sante Scritture attraverso i genitori. Maria e Giuseppe pregavano assieme recitando i salmi e le preghiere e Gesù sin da bambino le apprendeva. Viveva poi il ritmo settimanale in sinagoga, ove si ascoltava e meditava la Parola di Dio e insieme pregavano. I rabbini dicevano: «Il mondo riposa su tre colonne: la legge di Dio, la sacra Scrittura, la celebrazione e la carità». Giuseppe insegnava a Gesù ad apprendere i salmi a memoria e alcuni i brani biblici. Nella pia famiglia ebrea si pregava tre volte al giorno: mattino, mezzogiorno e sera. Luca ci dice che Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini» (Lc 2,52) e che partecipava ai pellegrinaggi annuali «nella casa del Padre» (Lc 2,42). La Scrittura nella vita della famiglia di Nazaret educa all’ascolto di Dio e alimenta la fede nella vita quotidiana dei suoi stessi membri. Il Vangelo ci presenta Gesù al tempio che ascolta e spiega le Scrit20


parola di Dio non è l’anima della vita spirituale dei cristiani contemporanei, come invece l’intera tradizione della Chiesa testimonia. Benedetto XVI, parlando ai giovani diceva: è urgente «insegnare a leggere la Sacra Scrittura non come un qualunque libro storico, ma per quello che è realmente, come parola di Dio ponendosi in colloquio con Dio», imparando cioè a pregare proprio a partire dal testo ascoltato, letto, meditato. E la famiglia deve diventare il luogo privilegiato ove questo avviene. Ogni cristiano dovrebbe avere la “sua” propria Bibbia, quella che legge ogni giorno e che porta con sé dovunque vada, nelle vacanze o nei viaggi. Mai dovrebbe mancare la propria piccola Bibbia nel “bagaglio” del credente. Il Sinodo ha fatto suo questo obiettivo pastorale. È del resto la condizione indispensabile perché il primato della Parola possa essere vissuto concretamente da tutti. Sia i pastori che i semplici credenti debbono sentire la responsabilità per sé e per gli altri della diffusione capillare della Bibbia. In una inchiesta di qualche anno fa i dati mostrano, con l’eccezione degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, che raramente si regala la Bibbia; è un piccolo segno che manifesta la poca considerazione che si ha della Bibbia e di conseguenza la scarsa incidenza che ha sui comportamenti dei credenti. Normalmente, anche nel fare il bene, la maggioranza dei credenti si regola sulla base di buone abitudini, di alcuni principi di buon senso, magari ci si riferisce ad un contesto tradizionale di credenze religiose e di norme morali ricevute, ma poco alle Sante Scritture. Di conseguenza si sperimenta poco la Parola di Dio come sostegno e conforto della propria esistenza. Per di più è davvero difficile, senza la familiarità con la Bibbia, comprendere il “vero Dio” o, se si vuole, il Suo “vero volto”.

ture. Gesù adulto prega spesso con i salmi; anche le sue ultime parole sulla croce richiamano l’antica preghiera d’Israele. E lungo i tre anni della vita pubblica i Vangeli mostrano Gesù orientare la sua missione interpretando le Scritture. Egli è morto e risorto “secondo le Scritture”.

Leggere e ascoltare per obbedire Soffermarsi sul rapporto Bibbia e famiglia vuol dire riflettere sui fondamenti stessi dell’essere cristiano e sui sensi della Scrittura per l’oggi della nostra storia. Perché volgere l’occhio alle Sacre Scritture significa nient’altro che compiere la volontà di Dio nella vita di tutti i giorni. Solamente dall’obbedienza alla Parola dell’Eterno può nascere un rinnovamento della vita cristiana sia in Oriente che in Occidente. Perciò, l’incontro con la Sacra Scrittura è da intendere sempre come evento spirituale e, dunque, quale vero incontro con la Trinità, il Dio vivente. Non vi può essere, quindi, alcuna spiritualità e condotta di vita cristiana vera e autentica che non sia fondata sulla Parola di Dio e che non sia da essa ispirata. La Sacra Scrittura è chiaramente la fonte, il principio e il fondamento della spiritualità cristiana. Veramente, in tal senso, la Sacra Scrittura può essere considerata come una lettera personale inviata da Dio a ciascun cristiano. È Parola di Dio salvifica e redentrice. Il Dio che tutto ama si piega sull’orecchio del credente e gli rivela i propri segreti.

La Bibbia finalmente tra le nostre mani Questi brevi cenni – non possiamo percorrere la lunga storia della presenza della Bibbia nella vita dei fedeli e in particolare nelle famiglie cristiane – ci mostrano l’indispensabilità del rapporto dei fedeli con la Bibbia. Nella Chiesa cattolica, con il Concilio Vaticano II, la Bibbia è tornata nelle mani dei fedeli, e oggi è davvero straordinario l’impegno perché i fedeli ascoltino le Scritture. Il penultimo Sinodo straordinario dei Vescovi è stato proprio sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa. Anche alcuni rappresentanti delle Società Bibliche vi hanno partecipato e potuto portare il loro contributo. In quell’occasione è stato firmato un documento di collaborazione tra La Federazione Biblica e le Società Bibliche con l’impegno a espandere il più possibile la conoscenza e il rapporto dei fedeli con le Sante Scritture. È da questo incontro che può ravvivarsi la vita cristiana. Purtroppo talora appare che la

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TEOLOGIA di Pietro De Lucia

Educare alla fede come Gesù

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esù ci ha mostrato innanzitutto una necessità: chi inizia alla fede o a essa vuole generare, deve essere credibile, affidabile. Del resto – lo sappiamo per esperienza – anche i genitori che vogliono educare un figlio possono farlo solo se sono credibili, affidabili. La credibilità di Gesù nasceva principalmente dal suo avere convinzioni e dalla sua coerenza tra ciò che pensava e diceva e ciò che viveva e operava. Non erano solo le sue parole che, raggiungendo l’altro, riuscivano a vincere le sue resistenze a credere; non era un metodo o una strategia pastorale a suscitare la fede: era la sua umanità contrassegnata – secondo il quarto vangelo – da una pienezza di grazia e di verità (cf. Gv 1,14). Grazia e verità che dicevano l’autenticità e la coerenza di Gesù, non lasciando alcuno spazio tra le sue convinzioni e ciò che egli diceva e viveva. Incontrando Gesù, tutti percepivano che non c’era frattura tra le sue parole e i suoi gesti, i suoi sentimenti, il suo comportamento. Ed è proprio da questa sua integrità che nasceva la sua exousía, la sua autorevolezza, che spingeva gli uomini a esclamare con stupore: «Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorevolezza!» (Mc 1,27); e a constatare che egli non insegnava come gli scribi (cf. Mc 1,22), come chi lo fa per mestiere, come chi ha solo una competenza tecnica. Essere affidabili Nella pedagogia, nell’educazione alla fede, l’iniziatore deve dunque essere affidabile. Certo, per noi non

è possibile raggiungere la coerenza vissuta da Gesù, quest’uomo in cui traspariva Dio; ma anche per noi l’essere affidabili dipende dalla nostra coerenza, e la nostra affidabilità è decisiva nell’educare alla fede e nel trasmetterla. E se è vero che la nostra fede è sempre fragile, basta metterla nella fede di Gesù Cristo, lui che è «la fede perfetta», secondo la bella definizione di Ignazio di Antiochia (Agli smirnesi 10,2). Un’altra caratteristica di Gesù, che emerge dai suoi incontri, è la sua capacità di accoglienza verso tutti. Gesù sapeva incontrare veramente tutti: in primo luogo i poveri, i primi clienti di diritto della buona notizia, del Vangelo; poi i ricchi come Zaccheo (cf. Lc 19,1-10) e Giuseppe di Arimatea (cf. Mc 15,4243 e par.; Gv 19,38); gli stranieri come il centurione (cf. Mt 8,5-13; Lc 7,1-10) e la donna siro-fenicia (cf. Mc 7,24-30; Mt 15,21-28); gli uomini giusti come Natanaele (cf. Gv 1,45-51), o i peccatori pubblici e le prostitute presso i quali alloggiava e con i quali condivideva la tavola (cf. Mc 2,15-17). Com’era possibile questo? Perché Gesù sapeva non nutrire prevenzioni, sapeva creare uno spazio di fiducia e di libertà in cui l’altro potesse entrare senza provare paura e senza sentirsi giudicato. Sulle strade, lungo le spiagge, nelle case, nelle sinagoghe, Gesù creava uno spazio accogliente tra se stesso e l’altro che veniva a lui o che lui andava a cercare; si metteva sempre innanzitutto in ascolto dell’altro, cercando di percepire cosa gli stava a cuore, qual era il suo bisogno. 22

Senza giudicare nessuno Mi si permetta di dire: Gesù non incontrava il povero in quanto povero, il peccatore in quanto peccatore, l’escluso in quanto escluso. Ciò avrebbe significato porsi in una condizione in cui l’altro veniva rinchiuso in una categoria, avrebbe significato ridurre l’altro a ciò che era solo un aspetto della sua persona. No, Gesù incontrava l’altro in quanto uomo come lui, membro dell’umanità, uguale in dignità a ogni altro uomo. E nell’incontrare e ascoltare un uomo Gesù sapeva coglierlo, questo sì, come una persona segnata da povertà, da malattia, da peccato… Quando Gesù incontrava l’altro, cercava di creare un clima relazionale, consentiva all’altro di emergere come persona e soggetto, non


lo giudicava mai, ma sapeva accogliere il linguaggio di cui l’altro era capace: il linguaggio corporeo della prostituta (cf. Lc 7,37-38.44-47), il linguaggio espresso dalla donna emorroissa con il fugace tocco del suo mantello (cf. Mc 5,25-44; Lc 8,43-48), il linguaggio sconnesso di tanti malati di mente. Più in generale, quando incontrava l’altro colpito da ogni sorta di malattia, Gesù si prendeva cura di tutto l’uomo – nella sua unità di corpo, psiche e anima –, fino ad «assumere le nostre debolezze e ad addossarsi le nostre malattie» (cf. Mt 8,17; citazione di Is 53,4). Sì, Gesù era veramente un uomo di compassione, capace di sentire-con fino a patire-con, dunque un uomo per il quale ogni relazione era aperta alla comunione. Solo avvicinandoci all’altro nel

modo insegnatoci da Gesù, anche noi possiamo vivere un incontro ospitale, un incontro all’insegna della gratuità e teso alla comunione. E così possiamo giungere a fare spazio non solo all’altro che vediamo davanti a noi, ma all’Altro per eccellenza, Dio, che allora ci può veramente parlare. Gesù era capace di compiere un terzo passo per iniziare, per educare alla fede. Risvegliare e suscitare… Nel rispondere a chi incontrava, Gesù cercava la fede presente nell’altro, come se volesse risvegliare e far emergere la sua fede. Egli sapeva infatti che la fede è un atto personale, che ciascuno deve compiere in libertà: nessuno può credere al posto di un altro! Gesù sapeva che a volte

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negli uomini c’è l’assenza di fede, atteggiamento che lo stupiva e lo rendeva impotente a operare in loro favore (cf. Mc 6,6); era anche consapevole che ci può essere una fede non affidabile nel suo Nome, suscitata dal suo compiere segni, miracoli, come annota il quarto vangelo: «Molti, vedendo i segni che faceva, mettevano fede nel suo Nome; ma Gesù non metteva fede in loro» (Gv 2,23-24), perché l’uomo diventa rapidamente religioso, ma è lento a credere… Gesù cercava invece in chi incontrava la fede autentica, e quando essa era presente poteva dire: «La tua fede ti ha salvato». Si noti che Gesù non ha mai detto: «Io ti ho salvato», bensì: «La tua fede ti ha salvato» (Mc 5,34 e par.; 10,52; Lc 7,50; 17,19; 18,42); «Va’, e sia fatto secondo la tua


fede» (Mt 8,13); «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri» (Mt 15,28). Ecco come Gesù rendeva possibile la fede, ecco come faceva emergere la fede già presente nell’altro: attraverso la sua presenza di uomo affidabile e ospitale, che non dice di essere lui a guarire e a salvare, ma la fede di chi a lui si rivolge. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.

Purtroppo noi dimentichiamo questa verità e rischiamo così di rendere sterile la nostra missione e il nostro sforzo per comunicare il Vangelo. Proprio perché il Vangelo è buona notizia, esso vuole raggiungere l’uomo nel suo cuore e suscitare in lui in primo luogo la fede nella bontà della vita umana, in modo che egli possa intraprendere l’avventura dell’esistenza credendo all’amore. È in questo senso che Gesù insegnava che nulla resiste alla fede, anche quando essa è nella misura di un granello di senape (cf. Mt 17,20; Lc

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17,6), «il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra» (Mc 4,31); che occorre non dubitare (cf. Mc 11,23; Mt 21,21), perché «tutto è possibile a colui che crede» (Mc 9,23); e si diceva addirittura impegnato a pregare affinché la fede di uno dei suoi discepoli, Simone, non venisse meno (cf. Lc 22,32). Per annunciare il Regno Infine, va messo in rilievo come l’educazione alla fede da parte di Gesù tenda all’annuncio del Regno di Dio, alla buona notizia che Dio regna. Gesù non faceva riferimento a se stesso, ma nell’opera di evangelizzazione appariva sempre decentrato rispetto a Dio, al Padre che, con fiducia assoluta, chiamava: «Abba, Papà» (Mc 14,36). Gesù è l’evento in cui Dio ha potuto parlare in un uomo senza alcun ostacolo! Di più, con l’intera sua vita, fatta di azioni e di parole, Gesù cercava di raccontare Dio, di rendere il Dio dei padri un euanghélion, una buona notizia, distruggendo tutte le immagini perverse di Dio elaborate dagli uomini. Gesù parlava di Dio soprattutto nelle parabole, narrando vicende umane, mostrando come il Regno di Dio sia buona notizia per uomini e donne, buona notizia nelle loro storie quotidiane, reali. Attraverso la sua vita umanissima, da vero uomo, l’autentico adam voluto da Dio (cf. Col 1,15-16), Gesù ha raccontato e annunciato Dio; ha mostrato come Dio regnava su di lui e, regnando, combatteva e vinceva la malattia, il male, la sofferenza, la morte. È per averlo visto vivere in questo modo che Giovanni ha potuto scrivere alla fine del prologo del quarto vangelo: «Dio nessuno l’ha mai visto, ma proprio lui, Gesù, ce ne ha fatto il racconto (exeghésato)» (cf. Gv 1,18). Gesù ha, per così dire, «evangelizzato» Dio, e ha mostrato l’uomo autentico, chiamato a essere a sua immagine e somiglianza.



LITURGIA di Giuseppe Falanga

La solennità di Cristo, Re dell’universo «

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ingraziamo con gioia il Padre...». Così scrive san Paolo nel brano della Lettera ai Colossesi, proclamato nella Liturgia della Solennità di Cristo, Re dell’universo. «Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È Lui, infatti, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel Regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati» (Col 1, 12-13). La Chiesa rende oggi grazie al Padre per la regalità di Cristo e per il suo Regno, nel quale l’uomo sperimenta i frutti della redenzione; Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace (cf. Prefazio). La Liturgia della Solennità odierna si ricollega all’Antico Testamento. Nella prima Lettura, tratta dal secondo Libro di Samuele, ci viene presentata la figura del re Davide, eletto per regnare dopo Saul su Israele. Il Signore gli aveva detto: «Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele» (2Sam 5,2). Questa particolare investitura vede radunati gli anziani di Israele e tutto il popolo intorno a Davide, che stringe con essi un’alleanza davanti al Signore in Ebron e qui viene unto come loro re. Questo evento dell’Antico Testamento è importante anche per l’odierna celebrazione. Lo evocano le parole udite da Maria di Nazaret all’Annunciazione, quando il messaggero celeste a proposito di Colui che sarebbe stato concepito nel suo grembo e che sarebbe nato da Lei preannunzia: «Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Gia-

cobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33). Queste ultime espressioni stanno ad indicare quale differenza esista tra Cristo Re e il re Davide. Mentre il regno di Davide era temporaneo, passeggero, il Regno di Cristo non ha fine, è eterno, poiché ha origine dall’eternità e ad essa conduce. Ciò viene spiegato in modo più ampio nella Lettera di san Paolo ai Colossesi: «Egli (Cristo) è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili... Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui» (Col 1,15-17). Dunque, il Regno di Cristo è eterno. Egli è Re a motivo della sua divinità. È Re perché è consostanziale al Padre; è Re perché si è fatto uomo e come tale ha conquistato il Regno mediante la Croce. Il brano del Vangelo di san Luca ci conduce a tale verità, facendoci testimoni della crocifissione di Gesù. La sua agonia sul Calvario è accompagnata dallo scherno dei 26

rappresentanti del Sinedrio che lo apostrofano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto» (Lc 23,35). Lo deridono anche i soldati, che assecondano i membri del Sinedrio: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso» (Lc 23,37). Le loro parole fanno eco a quelle di uno dei due malfattori crocifissi con Lui: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi» (Lc 23, 39). Infine, la sentenza iscritta sulla croce in lingua greca, latina ed ebraica: «Questi è il re dei Giudei» (Lc 23,38). Ma di fronte a tali oltraggi e maledizioni si alza un’altra voce, quella di uno dei crocifissi con Lui, conosciuto dalla tradizione come “il buon ladrone”. Egli rimprovera il suo compagno e si rivolge a Gesù: «Ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno» (Lc 23, 42). Questo Regno da un lato è oggetto di scherno, mentre dall’altro diventa il contenuto di una professione di fede e di speranza. Ed è significativo che a questa confessione Cristo risponda: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). Continua a pagina 44


PASTORALE

Camminare assieme per il bene della città con fede matura

di Edoardo Scognamiglio

La Lettera pastorale del card. Crescenzio Sepe

cardinale Crescenzio Sepe ci consegna, interpretata alla luce delle parole di sant’Agostino, è un invito a antiamo da viandanti. progredire nel bene, nella santità, viCanta, ma cammina. Canta vendo lo sforzo di avanzare nella per alleviare le asprezze retta fede, divenendo protagonisti della marcia, ma cantando non indul- del nostro battesimo come cristiani gere alla pigrizia. Canta e cammina. adulti, cioè maturi nella fede. Il leitChe significa camminare? Andare motiv di questa lettera – “canta e avanti nel bene, progredire nella san- cammina” – ci fa riflettere sull’impetità. Vi sono infatti, secondo l`Apo- gno concreto del nostro agire da crestolo, alcuni che progrediscono si, ma denti e, in particolar modo, sullo nel male. Se progredisci è segno che stretto legame tra fede e giustizia, cammini, ma devi camminare nel verità e libertà, culto e testimonianza bene, devi avanzare nella retta fede, di vita. È come se il nostro Vescovo devi avanzare nella retta fede, devi volesse tracciare una geografia dello progredire nella santità. Canta e cam- Spirito che ha come protagonista il mina» (AGOSTINO D’IPPONA, Discorso cristiano adulto, maturo nelle sue 256,3: PL 38,1193). scelte di fede, impegnato quotidianaCome pellegrino dell’Assoluto, all’in- mente ad annunciare Gesù Cristo segna di un’Origine da ritrovare, di con il suo modo d’essere, d’agire e di una Patria che è al tempo stesso dietro pensare. Si sa: chi si mette in camdi noi ed eternamente davanti a noi, mino ha una meta ben precisa che il vescovo della nostra bella città di vuole raggiungere e si prepara al Napoli, il card. Crescenzio Sepe, ci viaggio predisponendosi al camesorta, con le parole del grande Ago- mino, ossia al sacrificio, al confronto stino, a camminare nel bene, in mezzo con la realtà che incontra lungo la alla gente, con una fede vissuta ogni strada e, pieno di determinazione, giorno, irrimediabilmente innamorati cerca di percorre il sentiero più sidi Cristo e del suo Vangelo, pieni di curo e di proseguire in compagnia di speranza e con la gioia nel cuore. altri pellegrini, calibrando di volta in volta i passi da compiere e calcoLa metafora del pellegrinaggio lando le giuste distanze, affinché le Questa Lettera pastorale è scritta da soste non risultino troppo distanti o un credente che pensa e che dà se- molto vicine le une alle altre. Ocriamente a pensare, a partire dal cen- corre tenere il giusto passo, cammitro e dal cuore di tutto il suo essere, nando tutti assieme, in armonia… di tutto l’umano cantare e camminare come pellegrini verso il Mi- Una nuova tappa all’interno di un stero, alla scuola di Cristo, Figlio di itinerario più lungo Dio e nostro fratello. Il percorso che è qui tracciato per la La metafora del pellegrinaggio che il Chiesa di Napoli, per il prossimo

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anno pastorale, è una tappa importante che s’inserisce in un itinerario più lungo già intrapreso qualche anno fa, quando il cardinale Sepe arrivò a Napoli (allora si usò la metafora dei tre pilastri: comunicare la fede, educare alla fede, vivere la fede), e risente di un’altra tappa appena conclusa: il Giubileo per la città di Napoli, il cui spirito celebrativo da solo non è sufficiente per ravviare la fede nelle nostre comunità e famiglie senza un sincero e profondo sforzo di conversione pastorale. Dove vuole condurci il nostro Vescovo? La tappa che egli ci propone è molto ambiziosa: si tratta di andare verso il mondo per annunciare il Vangelo di Gesù Cristo con la nostra vita, secondo le splendide e profetiche indicazioni del Vaticano II, un Concilio che resta ancora davanti a noi – “l’inizio di un inizio” (Karl Rahner) – sia per le sue felici intuizioni che per la sua piena e concreta applicazione pastorale. Il cardinale Sepe ha da sempre preso a cuore l’impegno per la missione e la nuova evangelizzazione. Più volte ci ha invitati a uscire dalle sacrestie e a fare delle piazze e degli spazi pubblici le nuove agorà in cui la fede può in tutta tranquillità confrontarsi con le attese e le speranze della gente e altresì con le ragioni di chi non crede e di chi professa altre fedi. Questa nuova tappa ha un significato profondamente pedagogico e segue gli orientamenti della Cei per il de-


cennio 2010-2020: Educare alla via buona del Vangelo. Dunque, la scelta metodologica per il prossimo anno pastorale non poteva non tener conto della rilevanza sociale, etica, politica e culturale della fede, ossia del nostro impegno di credenti adulti. Si tratta di ripartire dalla nostra città, dai bisogni della gente comune, dalle sofferenze dei cittadini, di quanti, tra mille problemi (di lavoro, di giustizia sociale, di salute, di emarginazione e delinquenza), credono in una città migliore e si vogliono impegnare concretamente per dare un futuro ai propri figli, sapendo che Dio abita in mezzo a noi e si rende presente nell’uomo, in ciascuno di noi, soprattutto nei poveri, negli immigrati, negli emarginati, in chi è senza dimora e senza speranza. Ci si vuole impegnare in quanto Chiesa – comunità di credenti – e non come una Ong, affinché il nostro territorio recuperi la sua bellezza sfiorita, perché sia la casa comune di tutti e non una coabitazione di interessi individualistici e discriminatori. L’invito è a non piangerci addosso e a vivere la speranza cristiana non come rassegnazione dinanzi al male e alle prove della vita, bensì come impegno comune nel promuovere e cercare il bene e la giustizia! Una fede che orienta Il cardinale Sepe sembra dirci che la fede cambia le condizioni (sociali, politiche, economiche e culturali) di una città. Perché la fede ci orienta verso il bene più grande e ci responsabilizza nell’amore verso il prossimo. Una prova concreta ed evidente sopraggiunge dalla testimonianza di santità e di carità di tanti nostri fratelli e sorelle che hanno speso la loro vita per servire il Vangelo di Gesù Cristo negli ultimi e nei poveri a Napoli e nei dintorni della città: Gennaro, Vincenzo, Gaetano, Alfonso, Pasquale, Caterina… La fede ha un risvolto socio-politico

che spesso noi cristiani sottovalutiamo e non riusciamo neanche a comprendere. La fede in Cristo, infatti, ci impone di vivere in un certo modo e ci orienta a scelte coraggiose che spesso vanno controcorrente e che non possono non tutelare la vita e la dignità della persona umana e i suoi diritti fondamentali (al lavoro, all’educazione, alla felicità, alla salute, alla libertà religiosa, etc…). L’obiettivo è quello di formare coscienze responsabili e attente alla vita sociale, educando alla dimensione collettiva del credere e dell’agire da credenti, sapendo che il culto reso a Dio si esprime nell’amore per il prossimo e passa per il principio veritativo della giustizia. In tal senso, è proprio vero che si può essere un cristiano praticante ma non credente. Inoltre, è altrettanto vero che il cristiano “praticante” non è chi celebra il culto, ma chi “pratica” gli insegnamenti del Maestro. Il monito che il cardinale Sepe presenta è chiaro e forte: non si può essere cristiani senza vivere il Vangelo, senza preoccuparsi e impegnarsi per la giustizia, per il rispetto della vita, per il bene della famiglia. Il nostro vescovo ci mette in guardia da una sorta di gnosticismo cristiano, ossia da una fede disincarnata che si esprime semplicemente nelle celebrazioni e che non trova invece riscontro nella vita quotidiana. Detto altrimenti: non ci dobbiamo spiritualizzare, bensì incarnare. La fede ha senso solo se è radicata nella vita di ogni giorno, nella storia dell’uomo del nostro tempo. Il pericolo della spiritualizzazione e del disimpegno sono sempre in agguato. Incarnarsi significa prendersi cura del fratello, come altresì di chi è solo e non ha più speranza. Una domanda che sorge spontanea La domanda che sorge in me spontanea, dopo aver letto più volte questa lettera pastorale, è la seguente: “Che cosa significa essere cristiani a Na28

poli?”. O anche: “Come vivere la fede in Gesù Cristo a Napoli?”. È chiaro che dobbiamo dare delle indicazioni concretissime alle nostre comunità non solo parrocchiali. Se ho fede in Gesù Cristo non posso non vivere e praticare la giustizia e impegnarmi per la legalità. Se sono un cristiano adulto avrò cura della mia città, dei più poveri, dei fratelli e delle sorelle che sono in difficoltà. Se sono un testimone di Gesù a Napoli allora mi impegnerò affinché l’ambiente sia rispettato e cercherò in ogni modo di aiutare i giovani a stare lontano dalla camorra, dalla vita facile, dalla violenza, cercando di diffondere sempre di più la cultura della responsabilità, della legalità e della solidarietà. Mi impegnerò altresì a non piangermi addosso, a denunciare ogni forma di male e di violenza, come pure ad essere sensibile ai problemi legati all’inquinamento dell’ambiente e al degrado delle nostre piazze. Il vero tempio è l’uomo Invitandoci a “cantare e a camminare”, in realtà il nostro Vescovo ci chiede concretamente di “uscire dal tempio” per andare incontro alla gente che vive in situazioni di marginalità morale e materiale, senza la preoccupazione e la paura di “gettarci nella mischia” e di “sporcarci le


mani”. È come se ci dicesse che il vero tempio è l’uomo: Cristo, infatti, si è inchinato davanti alle nostre sofferenze e povertà. Un nuovo decalogo Da questa Lettera pastorale emerge anche un nuovo decalogo con il quale le nostre coscienze si devono confrontare: «Sotterrare rifiuti tossici è una colpa più grave di tante altre, enfatizzate da una certa tradizione morale, perché causa l’insorgenza di malattie mortali per innumerevoli cittadini. Chi non paga le tasse o è un falso invalido o chi marca il cartellino per colleghi latitanti, si macchia di una colpa grave perché coscientemente e continuamente si appropria di risorse destinate al bene comune». C’è l’invito a riscoprire il senso civico, ad avere rispetto per la nostra città e a bandire quella condotta passiva con cui ognuno – più che essere interprete del proprio futuro – si rassegna aspettando dalla sorte la soluzione dei propri problemi. Senza una crescita della coscienza civica e della volontà di partecipazione, non si potrà mai sperare in un recupero decisivo della città. Dunque, per il nostro Vescovo, “Responsabilità” sarà un termine chiave nell’auspicata conversione ecclesiale e deve diventare una sorta di grammatica pastorale, una categoria tra-

sversale utile ad articolare le molteplici iniziative nei diversi ambiti della nostra progettualità. L’assenza d’interesse verso il bene comune, il ripiegamento su se stessi, l’autoreferenzialità sono all’origine del degrado del tessuto civico e religioso non solo di Napoli, ma di ogni città del mondo. Da qui il bisogno di coinvolgere tutti i credenti a ogni livello. È quanto ci ha ricordato anche papa Francesco ultimamente quando ha affermato che ««La Chiesa non è un’associazione assistenziale, culturale o politica, ma è un corpo vivente, che cammina e agisce nella storia» e che «nella Chiesa […] c’è una varietà, una diversità di compiti e di funzioni; non c’è la piatta uniformità, ma la ricchezza dei doni che distribuisce lo Spirito Santo» (PAPA FRANCESCO, Discorso 19-6-2013). Sempre papa Francesco, nel discorso tenuto per l’udienza del 26 giugno 2013, ha detto che «Nessuno è inutile nella Chiesa, tutti siamo necessari per costruire questo Tempio! Nessuno è secondario. Nessuno è il più importante nella Chiesa, tutti siamo uguali agli occhi di Dio». Ognuno di noi ha una missione da compiere: in casa, in famiglia, sul posto di lavoro, nelle città, nelle comunità... Vivere e sentire cum ecclesia Il cardinale Crescenzio Sepe sembra dirci, allo stesso modo che, per ogni battezzato – per coloro cioè che si sono lasciati plasmare e mettere in movimento dalla potente azione dello Spirito Santo –, non esiste lo stato di pensionamento: nella Chiesa c’è sempre da lavorare affinché il Vangelo raggiunga tutti i popoli della terra. Il nostro presule vuole, giorno per giorno, sempre di più, contagiare tutti i fedeli della nostra cara Diocesi a vivere e a sentire “cum ecclesia”, visto che facciamo parte del corpo di Cristo. Innanzi alle prove della vita, alle delusioni che ciascuno di noi vive dentro e fuori la

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Chiesa, come altresì in tanti organismi a carattere sociale, culturale e associazionistico, ai dialoghi interrotti in tante nostre relazioni, alle violenze sul territorio partenopeo, un vero cristiano non può tirarsi indietro, anzi, non deve rinunciare al suo contributo, non può non denunciare il male e riconoscere i segni di speranza che il Signore ha messo in mezzo a noi. Quali sono i primi spazi educativi? A Napoli, i primi spazi educativi per la formazione al senso civico e alla dimensione pubblica e sociale della fede saranno le parrocchie, le famiglie e le scuole; e gli ambiti da privilegiare non possono non essere che la catechesi, la caritas, la liturgia, la pietà popolare, come altresì la vita del clero e dei consacrati, l’impegno del laicato e la cultura. Un’attenzione particolare sarà posta alla catechesi (per rendere ragione della speranza che è in noi, cf. 1Pt 3,14) e alla funzione pedagogica e aggregativa degli oratori, luoghi privilegiati in cui si formano e maturano le coscienze. Chi educa i giovani deve educare alla speranza! Non a una vaga speranza, non a una sorta di buonismo sterile. Chi educa deve credere che l’amore vince la morte, deve infondere la certezza che solo la vita donata per gli altri conduce alla felicità autentica. Si tratta di camminare assieme nel bene per testimoniare la fede nella vita di ogni giorno. Ovviamente, non illudiamoci, questo sforzo educativo – e la conseguente conversione pastorale che ci viene richiesta – non è questione di un anno, bensì di tutta l’esistenza. Ed è per questo, forse, che noi restiamo in cammino per tutto il nostro esistere, pieni di fiducia nell’azione potente del Signore crocifisso e risorto che fa nuove tutte le cose e che ci chiama a costruire i sentieri della pace e della giustizia già ora nel nostro tempo e nella nostra bella città di Napoli.


MISTICA di Raffaele Di Muro

Maria, maestra nella fede

sui suoi figli che possono sperimentare la sua benefica protezione. Maria è colei che si attesta quale meravigliosa cooperatrice di Dio-Trinità e mediatrice di grazia in favore dei credenti. È dall’analisi della Scrittura, letta ovviamente con un filtro mariano, a far comprendere a Massimiliano il ruolo dell’Immacolata nella sua esistenza ed in quella di ogni Milite. In questa linea si pone la stessa consacrazione a Maria che trae fondamento proprio dalla meditazione dei brani biblici espressi precedentemente. Ciò conferma, anche in chiave mariana, il ruolo fondamentale del dato scritturistico nell’esperienza di fede del santo polacco. Massimiliano nei suoi scritti ripercorre le tappe della vita di Maria soprattutto in riferimento al mistero di Cristo. Si nota, anzitutto, che egli pone l’accento sulla disponibilità costante della Vergine a vivere secondo il progetto divino, accogliendo e custodendo Gesù prima e seguendolo in tutta la sua missione poi. Il martire polacco evidenzia soprattutto la povertà dell’Immacolata che è condivisione di quella del Figlio e che rappresenta soprattutto la capacità di essere uniti a Lui nel momento della prova, del dolore e della fatica. L’Immacolata è sul Calvario a partecipare alla sofferenza del Signore, ma vive con amore e pazienza altre situazioni di prova terribile. Padre Kolbe fa riferimento alla fuga in Egitto che sconvolge non poco la vita della Vergine Maria che, tuttavia, non esita ad ascoltare la voce di Dio per custodire la vita del piccolo Gesù. Egli riporta l’episodio del ritrovamento del Signore nel tempio: anche questo episodio coinvolge la madre di Gesù che mostra ancora tutta la sua umiltà e la sua disponibilità ad accogliere quanto Gesù vive. In tutti questi eventi l’Immacolata rivela la sua fede e la totale adesione al progetto divino anche quando questo comporta raggiungere le più grandi sofferenze. San Massimiliano guarda all’Immacolata come modello di fede e di sequela pure nei tempi di croce e grazie alla contemplazione di lei riesce a morire pregando nel bunker di Auschwitz ed a fare di tutta la sua vita un dono d’amore anche mediante l’offerta delle prove che sperimenta lungo il suo percorso spirituale. L’esemplarità di Maria costituisce un elemento importante della mariologia francescana e Massimiliano dimostra di essere uno splendido interprete di questa scuola teologica.

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l culto mariano di san Massimiliano è interamente ispirato al dato biblico. La sua considerazione per la Vergine prende spunto da quanto Bibbia, Liturgia e Magistero affermano. In particolare, egli si lascia illuminare dal ruolo centrale dell’Immacolata nella storia della salvezza e dalla sua funzione di mediatrice che da sempre compie verso gli uomini. Il santo è consapevole dell’importanza dell’Immacolata nel piano salvifico e cerca di applicare al suo vissuto quanto la Chiesa propone circa la Madre di Dio. La stessa formula della consacrazione si ispira proprio alla funzione che Dio le assegna per la salvezza dell’umanità. La piena fiducia nell’Immacolata, punto di riferimento per chi aspira a una vita santa, è evidenziata dal brano che segue, vergato negli ultimi tempi della sua vita, in prossimità dell’arresto e del martirio del santo: «Lasciamoci condurre sempre più perfettamente dall’Immacolata in qualunque posto e in qualsiasi modo Ella vuole collocarci, affinché adempiendo bene i nostri doveri, contribuiamo a far si che tutte le anime siano conquistate al Suo amore» (Scritti Kolbe 960). L’amore per l’Immacolata non è rappresentato solo da qualche formula di preghiera. Si tratta di esprimere la massima fiducia in lei con la certezza che la sua materna protezione e la sua guida benevola condurranno il credente al compimento della volontà Dio. Il fedele deve porre la massima attenzione a svolgere quanto gli è proprio, offrendo una splendida testimonianza di impegno e buona volontà al servizio del Signore e del Regno seguendo l’augusto esempio dell’Immacolata. La meditazione dei testi evangelici mariani hanno un ruolo importante nel cammino di fede del martire francescano. Nei brani dell’Annunciazione (cf. Lc 1,28) e della Visitazione (cf. Lc 1,43) egli ammira la Vergine Maria quale piena di Grazia ed esalta l’opera di Dio in lei che è il capolavoro divino per eccellenza. L’uomo, nella sua debolezza, ha bisogno di considerare Maria come esempio nel suo agire: l’Immacolata gli insegna la totale e generosa disponibilità al compimento della volontà dell’Altissimo. Circa il Vangelo di Giovanni, padre Kolbe si sofferma in modo particolare sulla presenza della Vergine negli eventi della passione e della morte del Redentore (cf. Gv 19,25-27). È lui a indicarcela quale madre: è un dono meraviglioso di Cristo per tutta l’umanità. Maria è presente sul Calvario come in ogni evento della vicenda terrena del Signore ed ella insegna al credente ad una costante e fruttuosa comunione con Gesù. Inoltre, la sua presenza materna si effonde 30


TESTIMONIANZA di Domenico Sportiello

Tu es sacerdos in aeternum La testimonianza di un prete novello

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l giorno 10 agosto, nei primi vespri della solennità di santa Chiara, presso la Basilica Cattedrale, S. Maria Assunta, in Melfi, sono stato ordinato presbitero per l’imposizione della mani e la preghiera consacratoria di S.E. Rev.ma Mons. Gianfranco Todisco, Vescovo della Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa e con concelebrazione del rev.do ministro provinciale, p. Edoardo Scognamiglio, dei confratelli e sacerdoti diocesani che con gioia hanno preso parte a questo mio grande evento, che mi ha segnato per tutta la vita. Per questo rendo grazie al Signore per tutto le opere belle che ha compiuto e che sta compiendo nella mia vita di frate e sacerdote. Grazie anche a tutte le persone che mi hanno voluto bene e che hanno creduto nella mia vocazione e che mi sono state sempre vicine e attente al mio cammino. È stato un evento solenne, che ha coinvolto proprio tutti: la mia famiglia di sangue, la mia famiglia adottiva dei frati, parenti, amici, un evento emozionante e difficile per me da descrivere a parole. Posso solo dirvi che ho il cuore gonfio di gratitudine e che mai tornerei indietro! Sì, è una via dura, ma ogni strada ha le sue difficoltà. Ogni vocazione è una rosa con spine. Ogni chiamata o stato di vita ha i suoi lati meravigliosi del Progetto di Dio su ciascuno e le salite di un sentiero per la santità che Dio può costruire attimo dopo attimo in noi. Sono grato a tutti coloro che Dio ha messo sul mio cammino fino ad oggi, per chi è stato strumento di Dio nella mia vita, per chi è stato strumento di crescita, per gli amici e coloro che magari non mi vogliono bene, ma che in fondo sono fratelli e sorelle di cammino comunque. Amo dire “siamo tutti sulla stessa barca”. Oggi vorrei dire: vi auguro di salire su questa Barca che mi ha donato di vivere una gioia che mai ho sperimentato nella mia vita, una grande emozione che già mi accompagnava da alcuni giorni prima dell’ordinazione, da quando una sera, facendo un po’ di prove con un mio confratello, in

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chiesa, singhiozzando e con le lacrime agli occhi, presi piena coscienza di ciò che di grande e meraviglioso stava per accadere nella mia vita. E un altro momento emozionante dell’ordinazione è stato sicuramente la prostrazione durante le litanie dei Santi: il ricordo di tutti quei Santi che hanno testimoniato l’amore del Signore con tutto loro stessi. Hanno donato tutto al Signore non lasciando nulla per sé. Il prostrarsi a terra e il rialzarsi poi, per me, ha proprio quel significato di essere rigenerati dalla terra e rialzandomi lasciavo tutto me stesso per essere tutto di Cristo. Quel momento ha segnato profondamente la mia esistenza sacerdotale. Pensavo sia a Pietro che a tutta la realtà del sacerdozio ministeriale, cercando di sottolineare il profondo significato di questa prostrazione liturgica. In quel giacere per terra prima dell’Ordinazione ho accolto nella mia vita la croce di Cristo e con l’Apostolo mi sono fatto «pavi¬mento» per i fratelli: lì sta il senso più profondo di ogni spiritualità sacerdotale. L’unica certezza che ho è l’amore del Signore. Ora ho iniziato una nuova e bella esperienza nella comunità di S. Lorenzo Maggiore a Napoli, dove sono stato accolto dai frati con grande gioia e lì cercherò di prestare servizio con tutto me stesso, in umiltà e con entusiasmo francescano. Questo spero di riuscire a fare: lasciare che il Signore operi attraverso di me sperando di potergli essere utile in qualche modo e in ogni modo. E alla Chiesa che in questo tempo sta attraversando un momento difficile, dico, soprattutto ai giovani che vivono con molta sofferenza la ricerca di senso e di verità, usando le parole di Giovanni Paolo II: “Aprite le porte a Cristo”. Questo secondo me resta l’augurio più bello che si possa fare a tutta la Chiesa. Con Cristo nel cuore tutto trova un senso, è il suo amore che ci fa comprendere veramente ciò che siamo, è il suo Spirito che rende veramente liberi perché ci fa essere noi stessi.


ORIZZONTE GIOVANI di Luca Baselice

I GIOVANI E LA FEDE

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artiamo da una costatazione: oggi non si diventa più cristiani attraverso le modalità di socializzazione religiosa che erano state valide per tanti secoli; sono saltati i canali di trasmissione intergenerazionale, e la fede è diventata una scelta soggettiva, frutto di una scoperta e decisione personale. Il problema, anche se marcatamente europeo o meglio dire occidentale, non è esclusivo. Questa situazione di secolarizzazione, indifferenza e diffidenza è presente soprattutto nel mondo occidentale, ma purtroppo si sta estendendo rapidamente anche ad altri continenti o contesti attraverso una cultura globalizzata, marcata da una visione materialista e individualista della vita. Le inchieste sui giovani mettono in evidenza che tra loro non esiste una vera crisi della religiosità e della ricerca di senso; esiste anzi un gruppo notevole di giovani che avvertono il bisogno di scavare nella dimensione della spiritualità per trovare l’equilibrio e l’armonia personale in questo mondo frenetico, frammentato e in rapida evoluzione. Ecco il loro desiderio di vedere Gesù. Certo, la dimensione religiosa tende ad essere relegata nella sfera del privato e ad essere assorbita dentro la logica della soddisfazione dei bisogni individuali. Si tratta di una religiosità ad uso individuale, per il conforto personale; una religione di consolazione e non di responsabilità, che coinvolge l’aspetto emotivo e quello psicologico e agisce come una sorta di solletico spirituale perché mette in gioco i sentimenti, la passionalità, il coinvolgimento emozionale, ma trascura i valori che servono a sostenerla nel tempo, come la fedeltà, la costanza, la coerenza delle scelte, l’assunzione di responsabilità, i progetti di vita. È una religiosità non istituzionale, ma privata, con presenza di credenze eterogenee e talvolta formalmente incompatibili (tipo New Age). I giovani percorrono così una continua migrazione spirituale da un’esperienza ad un’altra, nel ripetuto tentativo di abbeverarsi di nuove emozioni, più o meno mistiche, che li soddisfano individualmente ma non placano mai la sete, perché ogni scelta viene presto abbandonata nel momento in cui arriva il peso da sostenere, la comunità

da incontrare o con cui confrontarsi. Una religiosità, inoltre, distaccata dall’etica: se in epoche precedenti la fede religiosa era collegata all’etica e all’impegno per la trasformazione del mondo, oggi è collegata all’estetica e allo spirito di convivenza e comunione. In questo senso l’identità religiosa dei giovani (identità che in molti conserva ancora il riferimento alla fede cattolica) diviene un’identità-rifugio, senza un vero approfondimento interiore, spirituale ed etico. In tutte le ricerche si sottolinea l’efficacia della partecipazione associativa per la costruzione di un’identità religiosa personale, favorendo la formazione e l’adesione di fede, il cammino religioso personale e anche la pratica sacramentale. Resta fermo il dato della larga fascia di giovani che manifesta una rilevante disponibilità ad un discorso religioso, che tuttavia deve evolvere verso forme più mature di identificazione e di appartenenza. Per questo è urgente rinnovare l’offerta religiosa delle Chiese: superare una razionalità strumentale, sviluppando la dimensione estetica e mistica della fede, spezzare una burocratizzazione alienante, promuovendo la dimensione di comunità e d’incontro personale, affrontare l’assenza di cuore e di esperienza con un maggiore sviluppo del linguaggio simbolico e affettivo, e una maggiore presenza di esperienze di vita condivise. Ecco la sfida del dire Dio ai giovani oggi. Il giovane è sempre aperto alla fede perché è aperto al futuro, alla ricerca della propria identità, alla vita e ai valori. Ma sovente quest’apertura è offuscata da un eccesso di cose e di soddisfazioni immediate e superficiali. Capita a molti giovani come alla “Samaritana” del racconto evangelico di Giovanni: hanno bisogno che qualcuno in nome di Gesù risvegli in loro quel desiderio profondo di salvezza e di felicità che si trova nascosto dalle attese immediate di piacere. Le domande di senso, se sono sincere, sono sempre spiragli che aprono alla trascendenza, soprattutto quando sono accolte con sincerità e sviluppate attraverso percorsi pazienti di profondità. Continua a pagina 44 32


ASTERISCHI FRANCESCANI

Alla fonte della pedagogia francescana

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onostante il canone 13 del Concilio lateranense IV del 2015 proibisse nuove regole monastiche e dunque la fondazione di nuovi ordini religiosi, Francesco ne volle una, non riconducibile a quelle già in atto, perché non si riconosceva in alcuna, né in quella benedettina, né in quella dei Canonici regolari di sant’Agostino, né nella forma vitae romana, ovvero sacerdotale. Questa consapevolezza dell’originalità, l’ha accompagnato fino alla fine. Francesco alla ricerca di una Regola In occasione del dibattito del 1222 nel capitolo delle stuoie circa la regola da sottoporre all’approvazione del Papa, rivolto ai frati radunati in capitolo, con tono accurato, dice: «Fratres mei! Fratres mei! Deus vocavit me per viam simplicitatis et ostendit mihi viam simplicitatis. Nolo quod nominetis michi regulam aliquam neque sancti Augustini, nec sancti Bernardi, nec sancti Benedicti. Et dixit Dominus michi quod volebat quod ego essem unus novellus pazzus in mundo; et noluit nos ducere Deus per aliam viam quam per istam scientiam» (Scripta Leonis, Rufini et Angeli sociorum s. Francisci, a cura di R. B. Brooke, Oxford 1970, p. 288). Egli non intendeva creare un’ultima comunità monastica o diventare un’appendice della vita romana. Egli sognava la prima comunità moderna, persuaso che occorresse mettere in moto qualcos’altro rispetto a quanto detto e fatto nei secoli precedenti e, ai suoi tempi, dalla Chiesa e dagli Ordini monastici. È la vita che egli vuole recuperare nella sua profondità, senza orpelli e contrazioni. Innocenzo III, con Del disprezzo del mondo, aveva confermato l’impressione che la Chiesa, nonostante la veste sfolgorante di ottimismo, fosse segnata da un fondo di malcelato pessimismo, ben lontano dalle forme di vita sociale in atto. Siamo nell’età dei comuni e dunque oltre l’immobilismo feudale. Tale privilegio dello spirituale sul temporale portava con sé inevitabili distorsioni, a causa del predominio dell’idea della gerarchizzazione del reale, cui corrisponde l’idea dell’ubbidienza. Lo scettro nelle mani della Chiesa, regina dello spirito, prevaleva su ogni altro, sottomesso o da sottomettere, perché proprio del regno della materia. Con la gerarchizzazione viene al primo posto l’ubbidienza, non la libertà creativa, perché ogni uomo, prima che civis è fidelis, e cioè appartiene alla Chiesa di Dio, entro cui devono trovar posto tutte le altre forme di vita.

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di Orlando Todisco

La fecondità del bene Francesco si oppone a questa lettura pessimistica del mondo come a ogni forma di subordinazione. È l’armonia l’idea chiave di Francesco. Come è possibile esitare intorno alla positività del mondo e della storia, se è vero che il mondo è creato da Dio e nella storia scorre il sangue redentivo di Cristo? Il pessimista è un miscredente. Francesco non è un sognatore, ma un ottimista che attinge luce e coraggio alla fonte inesauribile della creazione e della redenzione. Se la società è in difficoltà, occorre chiedersi cosa impedisca all’occhio di vedere e dove la forza redentiva si sia inceppata, e dunque come illimpidire l’occhio e come liberare il flusso di vita, perché scorra nuovamente attraverso le vene dell’umanità. Il male non si combatte. Ne L’ideologia tedesca, Marx cita un passo da un libro di Georg Kuhlmann – Il regno dello spirito – pertinente alla pedagogia francescana: «Voi non dovete abbattere e distruggere ciò che vi attraversa la strada, ma scansarlo e lasciarlo stare. E quando lo avete scansato e lasciato stare, esso cesserà da sé, perché non troverà più alimento» (cit. da G. Agamben, Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani, Torino 2000, p. 36). Francesco soffre per il male che affligge la società e sfigura il volto della Chiesa. Ne è contrariato più di quanto ne sarà Lutero. Egli però non sfida l’iniquità, non vuole opporsi frontalmente. Egli ha preferito accendere nuove luci, gettandosi nella povertà, come nella sorgente di ogni purificazione, deciso a far defluire nuovamente la linfa divina per i canali sotterranei della storia. Il male è chiusura, pigrizia, viltà, cristallizzazione, nei passaggi oscuri del tempo. Come espungerlo? Accrescendo la vita, purificando lo sguardo, lasciandosi investire dalla bellezza del mondo, non semplice materiale da utilizzare o miniera di risorse da sfruttare, ma casa da abitare, apportando tutte le modifiche necessarie, purché sia lo spazio, caldo e accogliente, di tutti. I nemici sono là dove si annida l’apatia spirituale, propria di chi non sente il fascino della vita, o di chi coltiva il piacere di vedere gli altri ai propri piedi. La lotta deve aver luogo tra l’uomo esteriore, possessivo e concupiscente, e l’uomo interiore, finalmente libero e liberante, capace di attingere alla sorgente della vita, al Vangelo, regola senza regole, perché le consuma tutte, trascendendole, in nome della libertà. Più che un luogo di dottrine, il Vangelo è forma suprema di vita – haec est vita evangelii Jesu Christi, esordisce la Regola non bollata.


SPIRITO DI ASSISI di Giambattista Buonamano

Quale futuro per la terra dei fuochi?

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ei giorni 17 e 18 ottobre si è svolto, presso il Santuario San Salvatore di Orta di Atella (CE), il convegno promosso e patrocinato dall’Ordine Francescano Secolare sul tema Quale futuro per la Terra dei Fuochi?, per continuare a mantenere alta l’attenzione sui problemi che affliggono questa parte del nostro territorio regionale e della popolazione che vi risiede. Hanno portato la loro testimonianza padre Alex Zanotelli e l’Onorevole Pina Picierno, insieme a Mariano Alliegro (Consigliere Regionale OFS Delegato per Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato), l’Onorevole Stefano Graziano, l’Onorevole Marco di Lello, la Senatrice Rosaria Capacchione, don Maurizio Patriciello. Gli interventi sono stati moderati da Angelo Cervone (Consigliere regionale OFS - Delegato per la Pastorale Familiare). La Terra dei Fuochi è, in sintesi, la denominazione del dramma sociale rappresentato dall’incendio criminale di rifiuti speciali. Come testimoniano le migliaia di fotografie e gli oltre cento video raccolti su diversi siti da parte di associazioni di volontari, questa è una pratica criminale ormai consolidata da molti anni. Nonostante ciò, resta taciuta dai maggiori media e declassata nella lista delle priorità dei vari governi, delle amministrazioni e delle forze dell’ordine. Il record dei tumori appartiene alla terra dei fuochi situata tra il casertano, il nord di Napoli e l’agro aversano. Si muore a sei anni, a vent’anni, e si calcola che i bambini nati nel 2000 non arriveranno ai trenta! Sì, nella

terra dei fuochi non si ha diritto alla vita: lo sanno le migliaia di uomini e donne, di bambini, onesti cittadini che grazie anche al sostegno di diverse diocesi campane e di alcuni sindaci coraggiosi del casertano stanno partecipando a più cortei e manifestazioni contro la costruzione dell’inceneritore, l’ultimo atto di uno scempio che continua a consumarsi in questa terra martoriata dalla camorra. L’incidenza di tumori è più alta nelle campagne di Acerra, dove chiunque versa di tutto, senza alcun controllo da parte delle autorità: vernici, legno, ferro, amianto e materiale di ogni genere e per finire appicca il fuoco! La commissione sanità al Parlamento indaga, il ministro per l’ambiente promette esercito e controlli, ma per ora le scorte servono ai politici in giacca e cravatta e in macchina blu con vetri oscurati! Nel rispetto dell’uomo e del suo ambiente, dobbiamo fermare la mente criminale di chi, senza una vera presa di coscienza, coltiva frutti, piante, fiori e cereali su terreni inquinati e destinati ai rifiuti tossici. Bisogna poi educare la nostra gente a prendere consapevolezza che ogni forma di inquinamento è un abuso nei confronti della società civile e dello stesso pianeta che noi abitiamo. Senza il rispetto dell’ambiente non ci sarà mai futuro per l’uomo. Allo stesso tempo, però, politici e amministratori del bene comune devono agire con tempestività, denunciando il male e confiscando i beni della camorra e di quanti, se pur agricoltori, continuano a produrre merce inquinata dai rifiuti tossici.

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CRONACA di Angelo Palumbo

Lettere tra cielo e terra

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questo il titolo del bel libro di don Ricardo Castillo che si è presentato a Napoli, in S. Lorenzo Maggiore, lunedì 21 ottobre, alla presenza del cardinale di Napoli Crescenzio Sepe e del prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, mons. Antonio Cañizares Llovera. Il libro non è un saggio di teologia: si compone di dodici lettere scritte in un linguaggio accessibile, nelle quali, attraverso episodi personali e passi della Bibbia, si cerca di spiegare la Messa, un atto di culto ancora e sempre presente, ma del quale si è finito per dimenticare il senso e che troppo spesso è vissuto solo come un rito scollato dalla vita quotidiana. Ricardo Reyes si rivolge a credenti e non, in un percorso sorprendente e di facile lettura, per aiutarli a riscoprire l'esperienza eucaristica della Messa e la bellezza di Dio. Il testo è edito da Cantagalli. Il cardinale Crescenzio Sepe, dopo il saluto iniziale, si è soffermato soprattutto sulla liturgia come luogo educativo per la fede, mettendo in evidenza l’importanza del linguaggio simbolico e dei gesti in ogni celebrazione eucaristica, e di come svolga un ruolo fondamentale l’educazione dei giovani e dei bambini attraverso la catechesi liturgica. Mons. Llovera, invece, si è soffermato sul carattere di Mistero che assume ogni celebrazione eucaristica e ci ha invitati a riscoprire il rinnovamento liturgico operato dal Concilio Vaticano II che, per molti aspetti, resta davanti a noi, cioè inattuato. «Da qui la necessità di approfondire il rinnovamento liturgico voluto dal Vaticano II, un segno chiaro dello stato in cui si

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trova la liturgia cattolica nel mondo. Non attraversa il suo miglior momento. Chiaramente c’è la necessità di ravvivare il vero senso della liturgia nella vita cristiana e nella vita della Chiesa. Si è fatto molto, senza dubbio, però risulta insufficiente e bisogna fare molto di più, soprattutto nel far sì che gli insegnamenti del Vaticano II entrino nella coscienza di noi che formiamo la Chiesa perché la liturgia sia centro della Chiesa, sia fonte e culmine della vita cristiana. Disgraziatamente, oltre a una certa superficialità, esteriorità e rischio della routine, ci sono anche abbondanti abusi. Gli abusi sono espressione di errori nella fede, che al tempo stesso conducono a sfigurare la fede stessa. Bisogna porre il massimo impegno nel correggere gli abusi e lavorare in favore della fede. Una responsabilità che tutti abbiamo sempre, ma soprattutto in quest’Anno della fede e in modo particolare i vescovi». Se di certo quello che è più visibile nel rinnovamento liturgico appare nella riforma liturgica, è anche certo che la verità della liturgia e gli insegnamenti

di “Sacrosanctum Concilium” sono entrati sufficientemente, non sono stati calati con la necessaria profondità nella mente e nella vita del popolo di Dio. Per questo abbiamo bisogno di approfondirla maggiormente e così ci sarà una nuova rinascita nella Chiesa, un nuovo vigore per l’evangelizzazione, un grande rinnovamento della Chiesa. Che non sta nel cambiare le forme, ma nell’entrare, per viverla, nell’interiorità della liturgia sacra. Per questo io non parlo di “riforma” ma di approfondimento del rinnovamento liturgico voluto dal Vaticano II.


ARTE di Paolo D’Alessandro

Un san Francesco “mistico” a Ferrara

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er l’amante della pittura europea della prima metà del Seicento vi è un’occasione unica: la mostra, per la prima volta in Italia, dei capolavori dello spagnolo Francisco de Zurbarán esposta nelle sale del Palazzo dei Diamanti a Ferrara fino al 6 gennaio 2014. Nato nel 1598 a Fuente de Cantos, in Estremadura, Zurbarán visse e lavorò soprattutto a Siviglia e solo negli ultimi anni della sua vita si stabilì a Madrid dove morì nel 1664. Egli rappresenta uno delle massime espressioni pittoriche del fervore religioso in Europa negli anni postridentini. Benché non compì mai nessun viaggio in Italia per conoscerne l’arte, fu soprannominato “il Caravaggio Spagnolo“ per la sua abilità di costruire i soggetti e le scene attraverso la luce, che assume così nelle tele una funzione plastica. Fu contemporaneo di Diego Velázquez (1599-1660), Bartolomé Esteban Murillo (1618-1682) e del centese Guercino (1591-1666) così come dei fiamminghi Rembrandt (1606-1669) e Frans Hals (1582-1666). I dipinti di Francisco de Zurbarán sono quasi sempre raffigurazioni sacre: Gesù Cristo, la Vergine, molti monaci e santi. Nella mostra ferrarese possiamo ammirare, tra gli altri, il “San Francesco d’Assisi nella sua tomba” (cm 204,8 x 113,4), un olio su tela del 1630-34, oggi al Milwaukee Art Museum. È un quadro di raro fascino, dalla luce drammatica e contrastata della corrente del tenebrismo ispirata a Caravaggio e Ribera. In questo dipinto il serafico padre san Francesco appare da solo, in piedi, con la tonaca fatta di forme Corso Ercole I D'Este, 21 44121 Ferrara

geometriche chiare. Egli avanza dal buio verso la luce, con il volto completamente nascosto dall’ombra del cappuccio cilindrico che gli copre la testa. Procede verso l’osservatore con lo sguardo rivolto a un cranio che tiene nel cavo delle mani, intento a meditare sulla fugacità della vita. Zurbarán ci presenta così un san Francesco “mistico”, mediato dalla spiritualità postridentina, senza alcun rapporto con la realtà che lo circonda né tantomeno con l’osservatore, chiuso com’è nel suo mondo di spiritualità e di contemplazione. Questo san Francesco dal volto in ombra, non definito, ci inquieta ma allo stesso tempo ci attrae in quanto può assumere il volto di ognuno di noi. È come un invito a ogni uomo di buona volontà a ritrovare la vera chiamata: rientrare in se stessi per meditare sulla morte come unico momento di superamento dei limiti terreni e dare così il giusto posto a Dio, Uno e Trino, e al suo amore “viscerale” per noi, nella vocazione sanfrancescana di seguire finalmente non più il servo ma il Padrone. 36


MILIZIA DELL’IMMACOLATA di Silvia Compassi

Fede, fiducia e fedeltà: la MI ad Assisi

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na terra mistica, ricca di una grande energia sentita in ogni angolo, scaturita dalla terra dov’è nato e vissuto san Francesco. Questa energia si percepisce chiaramente ad Assisi, la città che ha ospitato il convegno Fede, Fiducia e Fedeltà in san Francesco e san Massimiliano Kolbe, organizzato dal Centro MI Nazionale (nei giorni 18 e 19 ottobre) come momento di comunione e di conclusione del cammino di riscoperta delle nostre radici francescane nell’Anno della Fede. Il convegno è iniziato con una veglia di preghiera nella Basilica inferiore di S. Francesco venerdì 18 ottobre alle ore 21,00 ed è continuato nel giorno successivo, sabato 19 ottobre dalle ore 9,00 alle 16,00, nel teatro Lyrick di S. Maria degli Angeli, per terminare con la celebrazione eucaristica presso il santuario di Rivotorto. Il relatore del convegno, fra Edoardo Scognamiglio OFM Conv. Ministro Provinciale della Campania-Basilicata, come sempre, è riuscito ad aiutare tutti i partecipanti – circa 600 ospiti in sala provenienti da tutta Italia – a riflettere sui tre punti cardini del tema per dare una svolta al nostro cammino spirituale e applicarli alla nostra vita reale. La relazione di padre Edoardo è stata seguita molto attentamente colpendo e coinvolgendo la gente e infiammando gli animi. Non ci può essere fede, ha detto il relatore, se prima non proviamo a creare un senso di fiducia in tutto quello che siamo, pensiamo e operiamo. La fiducia è la premessa affinché possa nascere nell’altro la fede. Questa poi si nutre della preghiera che è come il respiro dell’anima. Il tema della fiducia è stato brillantemente affrontato ponendo in evidenza il dato biblico: credere, nelle Scritture, vuol dire affidarsi a Dio e trovare in lui stabilità. La radice ebraica di

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Amen, infatti, significa proprio “stare saldo”, “mettere il piede ben saldo a terra, senza vacillare”. Il tema della fedeltà richiama l’alleanza che Dio ha stipulato con il suo popolo Israele. Cristo svolge, in tal senso, un ruolo unico, visto che egli imparò l’obbedienza dalle cose che patì. San Francesco, poi, diviene un modello di fede perché è riuscito a vedere Cristo in ogni fratello che Dio gli poneva accanto e in qualsiasi creatura vivente. In san Massimiliano, invece, la fede si è fatta amore concreto per i nemici, fino al dono estremo della vita. Si è notato in questo convegno molte più persone e molta più energia del solito. Lo spirito di Francesco ispira ancora altre anime al risveglio… Educare alla fede è per la chiesa, per noi, il compito primario; ma nel tentativo di riuscirvi possiamo imboccare molte strade, alcune decisamente sbagliate, altre poco efficaci. Tutto dipende in verità, e non può essere diversamente, dalla nostra capacità di assumere la stessa pedagogia vissuta da Gesù nell’incontrare gli uomini e le donne. Anche oggi la fede può essere generata, destata, fatta emergere da chi, volendosi testimone ed evangelizzatore di Cristo, sa incontrare gli uomini in modo umanissimo; sa essere una persona affidabile, la cui umanità è credibile; sa essere presente all’altro, sa fare il dono della propria presenza; sa, in un decentramento di sé, fare segno a Gesù e, attraverso di lui, indicare Dio, il Dio che è amore. Può darsi – come molti affermano – che oggi il discorso su Dio lasci gli uomini indifferenti: io stesso penso che questa osservazione contenga del vero. Può darsi che oggi «la chiesa» – come scriveva quarant’anni fa il teologo Joseph Ratzinger – «sia divenuta per molti l’ostacolo principale alla fede».


PROVINCIA-NEWS di Luca Baselice

La gioia di annunciare Cristo in compagnia di Francesco

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fraterna e la natura della nostra consacrazione attraverso il dono pieno e gioioso di noi stessi. Questo significa che dobbiamo concentrarci sull’annuncio del Vangelo in un mondo che è già cambiato e che pone ai margini la buona novella del Cristo. Lo stesso papa Francesco, in più occasioni, ci ha detto che evangelizzare ci porta su, ci dà gioia. Il nostro progetto quadriennale riguarda proprio la gioia di annunciare Cristo in compagnia di Francesco. Si tratta di tenere assieme l’elemento essenziale della vita cristiana – l’annuncio – e quello proprio della nostra consacrazione che è la fraternità. Quando ci amiamo gli uni gli altri allora diveniamo testimoni credibili del Vangelo. Tuttavia, una comunità che non si apre al mondo e agli altri non è cristiana né francescana, perché vive solo per se stessa. Essere missionari, essere francescani, vuol dire vivere per gli altri.

o scorso 20 giugno 2011, fra Edoardo Scognamiglio è stato riconfermato Ministro Provinciale di Napoli e Basilicata durante lo svolgimento del Capitolo provinciale ordinario. Ho rivolto alcune domande al nostro Ministro per farci comprendere il progetto che i Frati Minori Conventuali di Napoli e Basilicata intendono portare avanti per i prossimi 4 anni.

Che cosa si prova a stare a capo di una grande fraternità come quella della Provincia di Napoli? Io credo che ognuno di noi sia chiamato a svolgere con umiltà, competenza e spirito di sacrificio la missione che il Signore gli affida attraverso la volontà dei fratelli. Sono consapevole che in questo momento il servizio dell’autorità, nella Chiesa, è sempre di più un compito delicato. Stare a capo di una grande fraternità come quella della Provincia di Napoli significa, concretamente, ascoltare tutti e servire i fratelli, operando scelte coraggiose e a volte controcorrente.

Come si annuncia Gesù? Quali sono gli spazi della missione? Innanzitutto curando la propria vita spirituale e il primato di Dio. Che cosa possiamo annunciare agli altri se non facciamo un’esperienza concreta di Gesù Cristo? Se manca il legame con il Signore non possiamo essere sale della terra e luce del mondo. La preghiera diventa il punto di partenza di ogni forma di annuncio e di missione. Poi è indispensabile conoscere i luoghi della nuova evangelizzazione: le

Qual è il progetto più importante della nostra Provincia? È indispensabile, in questo momento, concentrarci sulla missione e sull’apostolato. Per troppo tempo ci siamo soffermati a riflettere esclusivamente sul senso della vita religiosa e della vita fraterna. Dobbiamo riscoprire la vita

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piazze, le città, i quartieri, i centri commerciali… Occorre uscire dalle sacrestie per andare incontro alle gente lì dove le persone vivono, lavorano, operano, si confrontano. Ci sono spazi della nuova evangelizzazione che attendono ancora di essere esplorati: il cinema, l’arte, il teatro, la radio, internet, la musica… In questo momento, guardando anche alla Campania, non possiamo esimerci dal confronto con la salvaguardia del creato, con il problema dell’ambiente. La crisi ecologica ci tocca molto da vicino. In tal senso ci può aiutare molto lo Spirito di Assisi: diventa una vera scuola di formazione ai nuovi stili di vita. Guardando poi più da vicino l’ubicazione dei nostri conventi, credo che l’attenzione all’altro, agli immigrati, non possa essere disattesa. La tragedia di Lampedusa è sotto gli occhi di tutti. Una vera fraternità deve saper accogliere e ascoltare il grido dei poveri e dei sofferenti. Quali sono le proposte concrete per l’animazione missionaria oggi? In realtà siamo tutti missionari e testimoni del Vangelo. Ogni comunità è chiamata ad annunciare il Vangelo. Ciò è possibile se sappiamo fare del dialogo e dell’amicizia fraterna il nostro stile di vita. L’accoglienza è la prima forma di evangelizzazione e di apostolato. Una comunità chiusa in se stessa, nelle problematiche interne, incapace di far una chiara lettura del territorio, non serve a nulla. Accogliere vuol dire anche curare la vita degli altri che tante volte è messa nelle nostre mani, vuoi per la formazione, vuoi per l’educazione, vuoi per aiuti concreti e molto pratici. Proveremo, in diverse comunità, ad animare alcuni spazi cittadini, invitando i giovani a pregare con noi e a confrontarsi con la Parola di Dio. Sono convinto che i giovani, oggi, hanno sete della Parola di Dio e sono attenti alle problematiche della giustizia sociale e dell’ambiente, come altresì al tema della pace e del dialogo interreligioso. Nel nostro Capitolo provinciale abbiamo deciso di superare una pastorale esclusivamente sacramentale per dedicarci alla predicazione itinerante, all’animazione missionaria e giovanile, all’accoglienza dei migranti. Ci sono sfide a carattere sociale che non possiamo disattendere. I frati devono ritornare a stare in mezzo alla gente, alle famiglie, ai giovani. Abbiamo il dovere di ascoltare le persone e di saperle accogliere. Si parla spesso di crisi religiosa e vocazionale, com’è la situazione per la nostra Provincia? Grazie a Dio, non ci mancano le vocazioni. Nonostante un certo calo numerico, alle porte dei nostri conventi bussano giovani motivati, che hanno già fatto un’esperienza concreta di vita e che sono molto più esigenti e critici rispetto a un modello vocazionale oramai superato. Ci sono giovani che hanno già fatto esperienze lavorative e sentimentali e

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che vogliono confrontarsi con la proposta di vita di Francesco d’Assisi. L’età media dei giovani che entrano in convento è cresciuta. La formazione deve, in tal senso, adeguarsi alle nuove situazioni che i giovani in discernimento vocazionale vivono. Il ridimensionamento delle nostre presenze non deve abbatterci: diventa un’occasione per essere più uniti e per guardare con gli occhi della fede il nostro percorso francescano. Senza lo sguardo di fede non andiamo da nessuna parte. Ci siamo convinti che la diffusione del Vangelo non dipende né dal numero di persone coinvolte, né dal prestigio dell’istituzione e nemmeno dalla qualità di risorse disponibili, ma soltanto dall’amore di Cristo. C’è un’immagine o un motto con cui indicare il percorso del prossimo quadriennio? Vogliamo iniziare il prossimo quadriennio ponendo attenzione alle quattro A: Accogliere la Parola per Ascoltare Dio che ci parla; Amare i fratelli per Annunciare al mondo la bellezza del Vangelo e della vita nuova in Cristo e nello Spirito! Esiste uno stile missionario tipicamente meridionale per annunciare il Vangelo tra la nostra gente con semplicità e familiarità. La missione e la consacrazione s’incarnano sempre in un determinato territorio e, di conseguenza, nella Chiesa locale.


DAL NOVIZIATO di fra Loreto del Piano

Sulle orme di Francesco I nostri novizi ad Assisi

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fondire il carisma francescano, la Regola, i Voti, la preghiera, la stessa liturgia.

o scorso 17 settembre, qui ad Assisi, sulla tomba del Sacro Convento di Assisi, alcuni giovani hanno iniziato il cammino del noviziato e indossato i panni della prova. Tra questi ragazzi ce ne sono tre iscritti alla Provincia religiosa di Napoli e Basilicata. Essi sono: Bruno Giordano, originario di Salerno; Mario Ravanni, di Maddaloni (Ce), Domenico Di Nardo, originario di Napoli. La celebrazione, molto semplice, presieduta dal Custode di Assisi, p. Mauro Gambetti, si è svolta durante il Vespro. Indossando i panni della prova, il novizio si impegna a compiere un cammino di piena spogliazione, consegnandosi completamente al Signore, certo che la via della Croce è quella che porta alla salvezza e alla morte di sé. Hanno partecipato alla celebrazione solo i frati: il tutto si è svolto con semplicità e nel nascondimento. I giovani novizi erano emozionati, entusiasti, col volto pieno di gioia, sorridenti. Ho qui raccolto qualche loro pensiero.

Quale messaggio vorreste inviare ai giovani di oggi? Bruno: Beh, che servire il Signore nei fratelli è molto bello e che c’è per tutti una chiamata divina: scoprirlo vuol dire trovare delle risposte concrete al senso della vita e alla propria felicità. Mario: Vorrei dire ai giovani di non avere paura di ascoltare la voce del Signore che ci parla dentro, soprattutto attraverso le nostre inquietudini. Perché dove c’è il Signore lì c’è veramente la nostra gioia. Domenico: Credo che sia molto importante dire ai giovani di oggi di fidarsi di Gesù e di mettersi in ascolto sincero del Vangelo, perché, come Francesco e Chiara, Dio possa anche parlare ai loro cuori. Cosa hanno pensato le vostre famiglie di questa scelta? Bruno: Io sono figlio unico e non ho più il papà. Mia madre non fa altro che pregare per me e accompagnarmi con il suo affetto, condividendo appieno la mia scelta. Mario: I miei genitori mi sostengono con il loro amore, anche se sono anziani. Ho visto molto emozionati gli altri componenti della mia famiglia, specialmente mio fratello più grande. Nessuno mi ha ostacolato: la mia famiglia cammina con me. Domenico: Anche io credo che la mia famiglia sia felice per me. Con i miei genitori ho sempre avuto un dialogo aperto e sereno. Questo è per noi un tempo di prova e di verifica. Certamente, se ascoltiamo la voce del Signore ci troveremo sempre bene.

Ragazzi, come immaginate quest’anno e cosa vi aspettate da questo nuovo percorso? Bruno: Certamente sarà un anno molto impegnativo in cui studieremo la Regola, ci confronteremo con i voti di povertà, castità e obbedienza e verificheremo meglio la nostra vocazione francescana. Spero di poter conoscere meglio me stesso e di scoprire la gioia di vivere in fraternità. Mario: Spero, sinceramente, di fare un’esperienza forte di Dio e dei fratelli, e di ricevere più luce dal Signore per meglio comprendere il dono della vita religiosa. Domenico: Io credo che sia importante mettersi in ascolto della Parola di Dio e di alimentare con la preghiera, giorno per giorno, la vocazione francescana. Mi aspetto di appro40


IN BOOK La Redazione E. SCOGNAMIGLIO, L’incarnazione del Verbo. Il contributo di Tommaso d’Aquino nella Summa theologiae, prefazione di G.L. Müller, LEV, Città del Vaticano 2013, pp. 252, euro 18. In questo saggio, l’autore studia il contributo che san Tommaso d’Aquino offre nella Summa theologiae sul mistero dell’incarnazione del Verbo, dal Dottore angelico definito come il “mistero più mirabile”. L’incarnazione del Verbo è opera supererogatoria, un eccesso dell’amore di Dio verso le creature. Il contenuto e il metodo teologico proposti da san Tommaso d’Aquino hanno ancora molto da dire al nostro modo di fare teologia oggi e anche per ripensare alla forma definitiva di Dio nella storia, Gesù Cristo crocifisso e risorto, che resta per sempre Parola fatta carne, l’Emmanuele. Il testo è una seria riflessione scientifica sul metodo teologico del Dottore angelico ed è per gli addetti ai lavori in campo teologico-sistematico e filosofico. G. RAGOZZINO, Le preghiere del musulmano, Collana Hiwâr-Dialogo 13, Messaggero, Padova 2013, pp. 128, euro 12. L’autore, già docente di Storia delle religioni in diversi centri accademici nazionali, si è più volte cimentato a scrivere sul mondo islamico, ottenendo un buon successo nel testo dedicato a Maria nel Corano. In questo piccolo saggio, scritto con linguaggio semplice ed essenziale, ci fa scoprire il significato e le diverse forme della preghiera per i musulmani: la preghiera liturgica o preghiera pubblica, da secoli regolata da un rigido rituale; la preghiera privata come la recita del Corano e l’invocazione dei «bei nomi» di Dio; le preghiere e le suppliche del musulmano durante il pellegrinaggio alla Mecca; la preghiera cadenzata delle confraternite musulmane. Come sempre, la serietà scientifica e la precisazione terminologica accompagnano questo scritto e i contenuti sono accessibili a un vasto pubblico di lettori, anche ai meno esperti del mondo islamico. P.P. FRIGOTTO (cur.), Io rispetto le mie radici. IV Comandamento. Onora il padre e la madre, Paoline, Milano 2012, pp. 155, euro 12,50. Questo piccolo saggio raccoglie contributi ad ampio spettro culturale sul IV comandamento: onora il padre e la madre. Sono presentati gli aspetti biblici, teologici, spirituali, sociali, culturali, etici e anche psicologici del rapporto genitori-figli e della famiglia in sé. La piccola bibliografia rende il testo una buona occasione per approfondire i diversi aspetti dei temi trattati di volta in volta. Il libro rientra in un progetto editoriale per la scuola finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e riconosciuto una delle tre eccellenze a livello nazionale. Il padre e la madre, pur con i loro limiti e le loro fragilità, rimangono il riferimento fondamentale per ciascuno, anche quando educativamente assenti o eccessivamente dominanti. Rispettare le proprie radici significa comprendere meglio la propria identità.

M. FORTI - L. MAZAS (curr.), La bellezza. Un dialogo tra credenti e non credenti, Saggine 222, Donzelli, Roma 2013, pp. 107, euro 18,50. Questo saggio è un piccolissimo gioiello sul tema estetico della bellezza: raccoglie, infatti, voci, riflessioni, sentimenti e intuizioni relativi allo splendore della verità e al fascino dell’arte. Voci autorevoli, infatti, si confrontano sul confine della fede e della ragione, su ciò che veramente è il senso della bellezza. Se è vero, come afferma mons. Gianfranco Ravasi, che rara è la capacità di lasciarsi ferire dalla bellezza, quando questa ferita si realizza in noi allora ci introduciamo direttamente nel mistero di Dio, dell’Infinito Mistero che ci attende…

E. LOHSE, Padre nostro, Paideia, Brescia 2013, pp. 150, euro 16. Il Padre nostro è la preghiera più conosciuta e maggiormente diffusa della cultura cristiana. Ancora oggi molti milioni di persone in ogni parte del mondo pregano con queste parole. L’importanza e la peculiarità di questa che è la preghiera dei cristiani consistono soprattutto nel fatto che essa riprende direttamente le parole con cui Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare. Questo saggio spiega la preghiera, la sua tradizione e il suo valore teologico. Qual è il testo originario della preghiera? Quale interpretazione teologica si può dare delle singole richieste? Queste e altre risposte sono qui fornite. L’autore è già note per altre sue famose pubblicazioni a carattere biblico e strettamente esegetico.

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EVENTI La redazione

Melfi, 10 agosto 2013, Ordinazione sacerdotale di fra Domenico Sportiello

Orta di Atella, 17

Assisi, 17 settembre 2013, Vestizione dei novizi

Melfi, 11 agosto 2013, celebrazione

Ravello, 26 ottobre 2013, festa del Beato Bonaventura da Potenza

Cascia, 16 settembre 2013, visita al santuario di santa Rita


7 ottobre 2013, convegno promosso dalla commissione “Spirito di Assisi� per la terra dei fuochi

ldini per la terra dei fuochi , manifestazione degli Ara 13 20 bre otto 23 ni, alo Madd

e eucaristica presieduta da fra Domenico Sportiello

Castellammare, luglio 2013, seconda parte del Capitolo provinciale 43

Napoli, 4 ottobre 2013, festa di S. Francesco d’Assisi


Continua da pagina 5 WELFARE Il fondo per la social card è destinato ad un incremento di 250 milioni per il 2014: la carta acquisti non è più riservata ai soli cittadini italiani, ma potrà essere richiesta anche da cittadini comunitari e non, in possesso del permesso di soggiorno. RENDITE FINANZIARIE A partire dal 2014, l'imposta di bollo sulle comunicazioni relative a prodotti finanziari salirà dall'1,5 al 1,65 per mille. BANCHE Gli istituti di creditopotranno godere di un’anticipazione delle detrazioni fiscali su Ires e Irap, che comporterà una sensibile riduzione del loro carico fiscale. Nell testo della legge di stabilità approvato dal Consiglio dei ministri, infatti, è previsto che le svalutazioni e le perdite sui crediti saranno deducibili nell’esercizio in cui sono state imputate a bilancio e nei quattro anni successivi. IMU E TARES Dopo una breve, tortuosa ed ingloriosa carriera, scompare definitivamente l’Imu sulla prima casa (tranne che per gli immobili di pregio). Abolita anche la Tares. Al loro posto, nasce un nuovo tributo: la TRISE (vedi sotto). TRISE Il nuovo tributo sui servizi comunali sarà composto da una tassa sui rifiuti solidi urbani (denominata “Tari”) e una sui servizi indivisibili dei Comuni (denominata “Tasi”). Il versamento dovrà avvenire in quattro rate trimestrali (ma sarà consentito anche il pagamento in soluzione unica entro il 16 giugno di ogni anno), mentre la disciplina tariffaria e le aliquote di Tari e Tasi spetteranno ai Comuni. La vera novità, però, sta nel fatto che a pagare la Trise non saranno soltanto i proprietari, bensì anche gli inquilini, .ovvero, come recita il testo, «chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo» un immobile. Ma tutto ciò, come sostiene il premier, rappresenta solo l’ossatura di quella che è la ex legge finanziaria. Insomma, c’è ancora molto da scrivere e c’è ancora tanta incertezza sulle sorti di molti singoli provvedimenti. Intanto, però, gli italiani possono consolarsi con quella che, secondo alcune emittenti televisive, sembra essere la notizia del secolo: Albano e Romina cantano di nuovo insieme dopo 19 anni. E allora chissenefrega della legge di stabilità, del cuneo fiscale, dell’Irap e compagnia cantando. A noi basta una notizia del genere ed è subito…..“Felicità”!

Continua da pagina 26 Cristo crocifisso ha, dunque, piena consapevolezza di aprire le porte di quel Regno non soltanto al buon ladrone, ma a tutti gli uomini. È il Regno che Egli si è acquistato a prezzo del sacrificio della Croce. Essendo eternamente Re in quanto “generato prima di ogni creatura”, diventa, allo stesso tempo, in un modo particolare, Re a prezzo del sacrificio offerto sulla Croce. Comprendiamo, perciò, anche le altre parole della Lettera ai Colossesi: «Piacque a Dio di far abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di Lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua Croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,19-20). Cristo è Re, in primo luogo, perché è Figlio consostanziale al Padre; come uomo, poi, è Re mediante la Croce, sulla quale ha redento tutta l’umanità; infine, il suo potere regale ha ottenuto la conferma nella risurrezione dai morti. Dio ha rivelato il suo Regno mediante la vittoria sulla morte: «Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti per ottenere il primato su tutte le cose» (Col 1,18). Rendiamo oggi grazie al Padre perché ci ha introdotti nel Regno del suo dilettissimo Figlio. Cristo è Re d’amore e perciò il giudizio finale sull’uomo e sul mondo sarà un giudizio sull’amore. Dall’aver amato o dal non aver amato dipenderà la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte. Il Regno offertoci da Cristo è, allo stesso tempo, un compito dato a ciascuno di noi. Sta a noi attuarlo mediante quegli atti d’amore descritti con grande realismo dal Vangelo.

Continua da pagina 32 Un impegno dell’evangelizzatore e dell’educatore è di aprire queste vie verso l’interiorità, aiutare i giovani a fare esperienze significative che riempiano il cuore: esperienze di silenzio, di contemplazione della natura, di comunicazione profonda, di accoglienza gratuita dell’altro, di servizio generoso, ecc. Vie tutte che, usate saggiamente, sviluppano l’apertura alla Trascendenza e risvegliano la sete di Dio, anche se non ancora conosciuto. Oggi questo primo passo di un cammino di fede è molto importante e in alcuni casi imprescindibile. Tra le difficoltà dei giovani per vivere la fede e fare una scelta di vita cristiana si possono segnalare: - Uno stile di vita che addormenta o acceca il desiderio profondo di senso, di verità, di Dio: la fretta, il rumore, la molteplicità di rapporti superficiali, la ricerca frenetica di esperienze nuove e sempre più forti che rispondano ai bisogni immediati, la poca capacità di interiorizzazione, ecc. - Ma anche, da parte della Chiesa e delle comunità cristiane, una forma di esprimere e vivere la fede troppo lontana della forma con cui i giovani vedono e vivono la realtà: una certa rottura culturale che fa sentire loro che la fede vissuta, celebrata e proclamata dalla Chiesa è una realtà estranea al loro universo mentale e affettivo. 44


di Giuseppina Costantino

Dark Skies - Oscure presenze Il curriculum di Scott Stewart, autore in precedenza di film come Legion e Priest, e una lunga esperienza nei visual effects alle spalle, lasciava presagire qualcosa di diverso. Invece, Dark Skies – Oscure presenze, è un film che spoglia il genere dagli abiti baracconeschi che troppo spesso recentemente indossa e lo riporta ad un’essenzialità tutta umana che non per questo nega (ma, anzi, amplifica) la spettacolarità. Sospeso tra thriller e horror, e immerso in un côté familiare che ne è scenario e cuore tematico al tempo stesso, Dark Skies colpisce infatti prima di tutto per la linearità narrativa, per la capacità di creare tensione e far fare qualche salto sulla poltrona senza barocchismi o effetti speciali, ma grazie ad una capacità affabulatoria che è diretta conseguenza di un racconto semplice ma curato, e di alcune idee di scrittura e di regia forse non originali ma minimali, precise e ben realizzate. Se una memoria storica e cinematografica non particolarmente ferrea o profonda potrebbe limitarsi a citare esempi recenti come la serie di Paranormal Activity, appare evidente che il film di Stewart ammicchi anche a modelli più felici e più datati come Poltergeist, ma soprattutto – con tutti i dovuti distingui del caso – Incontri ravvicinati del terzo tipo. Nella sua testarda e felice intuizione di sottrarre il più a lungo possibile allo sguardo la minaccia aliena e immanente con cui i Barrett, e nel suo esaminare le conseguenti ossessioni dei singoli membri della famiglia, e l’intrecciarsi dei loro ruoli e delle loro traiettorie, Dark Skies sembra quasi una copia in minore e al negativo del capolavoro spielberghiano, dove non c’è apertura alla speranza e al progressismo ma un destino cupo e oscuro: non ci sono comunicazioni da instaurare a colpi di musica, ma solo presenze da evitare, rapimenti da sventare. Non è solo questione di scelte, non è solo perché Dark Skies, dichiaratamente, vuole essere un film che inquieta e spaventa (con discreto successo): è anche perché, oggi, le presenze immanenti che assediano le famiglie e le comunità sembrano solo e soltanto ansiogene e perturbanti, lasciando ben poco spazio alla speranza di stampo progressista. Gli alieni, allora, come l’altra faccia della crisi economica (e forse sentimentale) che colpisce i Barrett, come il lato oscuro dei turbamenti adolescenziali, dei traumi infantili. Degli egoismi della società suburbana pronta a serrare le scuri e giudicare da lontano. Tutto questo, però, rimane saggiamente sullo sfondo, accennato, non deborda. Perché Dark Skies celebra il genere e le sue potenzialità anche e soprattutto grazie al suo understatement, e alla voglia di mettere comunque in primo piano la sua valenza primaria: quella dell’intrattenimento, possibilmente intelligente, del brivido e della paura. GENERE: Fantascienza, Thriller. NAZIONALITÀ: USA 2013. REGIA: Scott Stewart

L’ultima ruota del carro Attraverso le vicende tragicomiche di Ernesto, un uomo qualunque che tenta di seguire le proprie ambizioni senza mai perdere i valori veri della vita, riviviamo le fasi cruciali della storia d'Italia dagli anni '70 ad oggi. Con il sostegno di Angela, la compagna di una vita, Ernesto impara l'arte di adattarsi ai grandi cambiamenti del Paese, senza tradire se stesso ma partecipando alla strane imprese dell'amico Giacinto e degli stravaganti personaggi che il destino metterà sul suo cammino. USCITA CINEMA: 14/11/2013 - GENERE: Commedia - REGIA: Giovanni Veronesi SCENEGGIATURA: Giovanni Veronesi, Ugo Chiti, Filippo Bologna, Ernesto Fioretti - ATTORI: Elio Germano, Alessandra Mastronardi, Ricky Memphis, Sergio Rubini, Virginia Raffaele, Alessandro Haber, Francesca Antonelli, Maurizio Battista, Francesca D'Aloja, Luis Molteni, Dalila Di Lazzaro, Ubaldo Pantani, Massimo Wertmüller, Elena Di Cioccio FOTOGRAFIA: Fabio Cianchetti - MONTAGGIO: Patrizio Marone - PRODUZIONE: Fandango, Warner Bros. Italia - DISTRIBUZIONE: Warner Bros Pictures Italia - PAESE: Italia 2013 - FORMATO: Colore

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CUCINA di nonna Giovannina

La torta di zucca

torta potete aggiungere all’impasto 2 cucchiai abbondanti di cacao amaro in polvere.

La torta di zucca è un dolce tipicamente autunnale e semplice da preparare. Preparazione: Fate lessare la zucca sbucciata, tagliata e privata dei filamenti (600 gr). Una volta cotta passatela in un passaverdure e mettete il composto in una terrina. A parte preparate un impasto con la farina (300 gr), lo zucchero (200 gr), le uova (n. 3), il latte e il lievito (una bustina) a cui aggiungerete la purea di zucca. Non dimenticate l’olio (due tazzine da caffè). Amalgamate bene il composto con un cucchiaio di legno. Versate il tutto in una tortiera foderata con della carta da forno e infornate in forno preriscaldato ventilato a 200°C per 20 minuti, dopodiché abbassate la temperatura a 180°C e proseguite la cottura per ulteriori 20 minuti. Spegnete il forno e aprite lo sportello, in modo che la torta non si sgonfi. Attendete 15 minuti, dopodiché sfornatela e fatela raffreddare a temperatura ambiente. Spolverate la torta con lo zucchero a velo, tagliatela a fette e servitela. Controllate la cottura della torta infilando uno stuzzicadenti: quando esce asciutto e pulito, vuol dire che è pronta. Qualora l’impasto fosse troppo asciutto, aggiungete ancora un goccio di latte. Idee e varianti: Per dare un miglior gusto alla vostra

La torta di mele La torta di mele si presenta come un dolce tipicamente inglese o americano che è entrato da lungo tempo nelle nostre case con tantissime varianti. Preparazione: Sbattete tre uova intere, aggiungete un bicchiere di zucchero e uno di olio di semi. Dopo aver bene amalgamato, aggiungete tre bicchieri di farina ben setacciata. Grattugiate nell’impasto un limone e aggiungete una tazzina di limoncello o di liquore Strega. Aggiungete una bustina di lievito Pane degli Angeli. A parte pulite e mondate in modo molto sottile n. 6 mele (renette o marlaine): aggiungete tre cucchiai di zucchero. Unite le mele all’impasto. Cuocete in forno riscaldato a 180 gradi per circa 60 minuti. Variante: Si possono aggiungere all’impasto 100 gr di mandorle sbucciate e tritate grossolanamente e dei pinoli. Alcuni aggiungono anche un po’ di cannella.

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Inviate la vostra ricetta alla nostra redazione e sarà pubblicata

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