LUCE SERAFICA 4 2011

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Numero 4/2011 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007

Luce Serafica La “celebrazione pasquale” del Natale

Le primavere arabe e la giustizia

Il nuovo Governo Monti

Lo “spirito di Assisi” e la profezia della pace

Speciale sulla famiglia: sfide e cambiamenti

Il terzo centenario del b. Bonaventura da Potenza



Editoriale

Sommario 4/2011 3 4 6 8 9 10 12 14 20

Editoriale di Edoardo Scognamiglio Finestra sul mondo di Boutros Naaman Politica-Economia di Filippo Suppa Il Fatto di Felice Autieri Costume-Società di Carmine Vitale Dialogo di Pietro De Lucia Voci di Chiesa La Redazione Speciale Famiglia

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Dal Postulato

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Arte di Paolo D’Alessandro Eventi La Redazione Cinema di Giuseppina Costantino In book La Redazione Fumetti La Redazione

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Rinno va il t per l’ uo abbo name anno 2012 nto

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Orizzonte Giovani di Luca Baselice Missioni di Lidia Tetta Cassano Liturgia di Giuseppe Falanga Dabar di Cyrille Kpalafio Pastorale di Antonio Vetrano Credere oggi di Caterina Cirma Spiritualità di Raffaele di Muro Asterischi francescani di Orlando Todisco Speciale Beato

Luce Serafica Periodico francescano del Mezzogiorno d’Italia dei Frati Minori Conventuali della Provincia Napoletana. Autorizzazione del Tribunale di Benevento n. 3 del 24/04/2006. Anno VII – n. 4/2011 Responsabile Raffaele Di Muro Direttore Paolo D’Alessandro – e-mail: pdart@libero.it

Abbonamento annuale 20 euro CCP: 11298809, intestato a E. Scognamiglio, Convento S. Lorenzo Maggiore – Via Tribunali, 316 – 80138 Napoli Clausola: abbonamento Luce Serafica 3

Le luci di speranza che ci portiamo nel cuore

A

vvento. Tempo di attesa, di fiduciosa speranza nel Signore che viene al salvare il mondo e a rivelare all’umanità il progetto del Padre: essere per sempre il Dio-con-noi. La gioia per il Natale che celebreremo è capace di illuminare le piccole ombre della vita quotidiana e di sostenere le tantissime luci di speranza che ognuno di noi si porta nel cuore. Se penso a Gesù, al suo amore, a quello che ha fatto per ciascuno di noi, allora il mio cuore s’allarga e divento capace di vedere le cose, i fatti della vita, le vicende dell’umanità, con uno spirito nuovo, nell’ottica della fede. Sì, è questo che ci dobbiamo augurare, cari lettori, per il prossimo Natale. La venuta del Figlio di Dio nella carne rivela la solidarietà dell’Eterno con ciascuno di noi, finanche con il creato, l’universo, i popoli, le fedi, le culture, i dolori, le gioie, le speranze di tutti... Intravedo nelle primavere arabe del Medio Oriente e dell’Egitto un principio di vita nuova, la forza della Vita che vince e abbatte finalmente le ombre della morte e i soprusi dei potenti e dei delinquenti. Le luci di speranza si sono accese anche con lo “Spirito di Assisi”: insieme per la pace, per cercare la verità, per praticare la giustizia… Si tratta di leggere con attenzione i segni di Dio nella nostra storia. D’altronde, è questo il significato più vivo e forte che Gesù ci ha rivolto nella prima domenica d’Avvento: “Vegliate”. Vuol dire scrutare con attenzione, osservare con partecipazione profonda, i modi con i quali Dio si lascia vedere nelle vicende dell’umanità. Ci sono piccole e grandi storie che ci raccontano dell’amore di Dio, della sua benevolenza. In tale prospettiva presentiamo lo speciale dedicato al Terzo Centenario del beato Bonaventura da Potenza e il dossier sulla famiglia. Guardiamo con attenzione anche l’evolversi del nuovo governo in Italia, nella certezza che la salvezza non verrà semplicemente da scelte intelligenti in campo economico, cioè da risoluzioni tecniche, bensì dalla capacità di praticare la giustizia e il diritto, di scegliere ciò che è bene per noi, per le persone, per la Nazione, per le famiglie, per i figli, nel pieno rispetto della dignità di ogni cittadino. Buon Natale! Buon cammino verso la grotta di Betlemme! Padre Edoardo Scognamiglio, Ofm conv.


FINESTRA SUL MONDO di Boutros Naaman

Le primavere arabe e il bisogno di giustizia L

e primavere arabe, ovvero l’insorgere di giovani manifestanti e di intere popolazioni in Siria, Egitto, Iran, Libia, Tunisia, Arabia Saudita, per chiedere l’instaurazione di un regime governativo democratico, hanno avuto un’eco mondiale. Fiumi di sangue sono stati versati in nome della libertà e della fraternità. Le primavere arabe del 2011 sono state definite l’equivalente per l’Africa del nord e il Medio Oriente di ciò che fu la caduta del muro di Berlino per l’Europa nel 1989. Se questo paragone vale almeno un po’, la nuova dinamica cambia tutte le carte in tavola non solo per questi paesi, i loro regimi in crisi e le loro società, ma anche per l’intero Occidente. Le proteste hanno in comune l’uso di tecniche di resistenza civile, comprendente scioperi, manifestazioni, marce e cortei, talvolta anche atti estremi come suicidi (divenuti noti tra i media come auto-immolazioni) e l’autolesionismo, così come l’uso di social network come Facebook e Twitter per organizzare, comunicare e divulgare gli eventi a dispetto dei tentativi di repressione statale. I social network, tuttavia, non sarebbero il vero motore della rivolta, secondo alcuni osservatori, per i quali il network della moschea, o del bazar, conta assai più di Facebook, Google o delle email. Alcuni di questi moti, in particolare in Tunisia ed Egitto, hanno portato a un cambiamento di governo, e sono stati denominati rivoluzioni. I fattori che hanno portato alle proteste sono numerosi e comprendono, tra le maggiori cause, la corruzione, l’assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e le condizioni di vita molto dure, che in molti casi riguardano o rasentano la povertà estrema. Il crescere del prezzo dei generi alimentari e della fame sono anche considerati una delle ragioni principali del malcontento, che hanno comportato minacce all’equilibrio mondiale in ordine all’alimentazione di larghe fasce della popolazione nei paesi più poveri nei quali si sono svolte le proteste, ai limiti di una crisi paragonabile a quella osservata nella crisi alimentare mondiale nel 2007-2008. Tra le cause dell’aumento dei costi, secondo Abdolreza Abbassian, capo economista alla FAO, la siccità in Russia e

Kazakistan accompagnata dalle inondazioni in Europa, Canada e Australia, associate a incertezza sulla produzione in Argentina, a causa di cui i governi dei paesi del Maghreb, costretti a importare i generi commestibili, hanno scelto l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di largo consumo. Altri analisti hanno messo in risalto il ruolo della speculazione finanziaria nel determinare la crescita del prezzo dei generi alimentari in tutto il mondo. Prezzi più alti si sono registrati anche in Asia: in India dove ci sono stati rialzi nell’ordine del 18%, mentre in Cina dell’11,7% in un anno. Le proteste sono cominciate il 18 dicembre 2010 in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed Bouazizi che si è dato fuoco in seguito a maltrattamenti da parte della polizia, il cui gesto è servito da scintilla per l'intero moto di rivolta che si è poi tramutato nella cosiddetta rivoluzione dei gelsomini. Per le stesse ragioni, un effetto domino si è propagato ad altri paesi del mondo arabo e della regione del Nordafrica, in seguito alla protesta tunisina. In molti casi, i giorni più accesi, o quelli dai quali ha preso avvio la rivolta, sono stati chiamati giorno della rabbia o con nomi simili. A oggi, tre capi di stato sono stati costretti alle dimissioni o alla fuga: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali il 14 gennaio, in Egitto Hosni Mubarak l’11 febbraio e il 20 ottobre in Libia Muammar Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, è stato catturato e ucciso dai ribelli. I sommovimenti in Tunisia hanno portato il presidente Ben Ali, alla fine di 12 anni di dittatura, alla fuga in Arabia Saudita. In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio, dopo 18 giorni di continue dimostrazioni accompagnate da vari episodi di violenza, hanno costretto alle dimissioni, complici anche le pressioni esercitate da Washington, il presidente Mubarak dopo trent’anni di potere. Nello stesso periodo, il re di Giordania Abdullah attua un rimpasto ministeriale e nomina un nuovo primo ministro, con l’incarico di preparare un piano di vere riforme politiche. Sia l’instabilità portata dalle proteste nella regione mediorien4


tale e nordafricana che le loro profonde implicazioni geopolitiche hanno attirato grande attenzione e preoccupazione in tutto il mondo. Le sommosse popolari in Siria del 2011 sono un moto di contestazione, simile a quelli che si svolgono nel resto mondo arabo nello stesso periodo, che interessa numerose città della Siria dal mese di febbraio del 2011. Le proteste, che hanno assunto connotati violenti sfociando in sanguinosi scontri tra polizia e manifestanti, hanno l’obiettivo di spingere il presidente siriano Bashar al-Asad ad attuare le riforme necessarie a dare un’impronta democratica allo stato. In virtù di una legge del 1963 che impedisce le manifestazioni di piazza (solo dopo di diverse settimane di scontri formalmente revocata), il regime ha proceduto a sopprimere, anche ricorrendo alla violenza, le dimostrazioni messe in atto dalla popolazione, provocando un numero fin ora imprecisato di vittime. Bashar, che parla francese e inglese e che è sposato con una moglie di origini siriane nata in Inghilterra, venne definito come “ispiratore di speranza” per le riforme e la “Primavera di Damasco” ebbe inizio nel gennaio 2000 con intensi dibattiti sociali e politici. Le rivolte curde hanno portato a un aumento della tensione dal 2004. L’anno delle rivolte di al-Qamishli contro il governo, cominciarono nella città del nord-est curdo di al-Qamishli. Durante una caotica partita di calcio, alcune persone cominciarono a sventolare bandiere curde e la partita si trasformò in un conflitto politico. Ci furono al-

meno 30 morti (alcune fonti parlano di 100 caduti) a causa della brutale reazione della polizia siriana e degli scontri non meno brutali tra curdi e arabi. Successivamente, ci furono altre proteste minori e le reazioni del governo furono improntate alla medesima durezza. La famiglia al-Asad fa parte della minoranza degli alauiti, una propaggine dell’islam sciita che le statistiche indicano costituire tra il 6 e il 12% della popolazione siriana. Essa governa il Paese dal 1970 e controlla strettamente i servizi di sicurezza siriani, generando un profondo risentimento tra i musulmani sunniti (che sono i ¾ della popolazione) e la minoranza curda. Bashar al-Asad dichiarò che il suo Stato era immune dalle proteste di massa che si stavano manifestando in Egitto. Bouthaina Shaaban, un consigliere presidenziale, diede la colpa al chierici sunniti e alle loro prediche che incitavano alla rivolta, cosi come aveva fatto lo shaykh informatico Youssef al-Qaradawi in un suo sermone da Doha il 25 marzo 2011. Secondo il New York Times, il governo siriano ha chiamato solamente le unità dei servizi segreti in mano agli alauiti per reprimere la rivolta. Sarà utile ricordare che il fratello minore del Presidente, Maher al-Asad, comanda la IV Divisione mentre il cognato Assef Shawkat, è Capo di Stato Maggiore dell’esercito. Si dice che la sua famiglia abbia paura di un fallimento dell’uso della linea dura sui manifestanti perché potrebbe incoraggiare le opposizioni e far scendere molta più gente nelle strade.

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POLITICA-ECONOMIA di Filippo Suppa

È tempo di un governo tecnico... Alla prova senza preconcetti... ma con molta trepidazione

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l Governo presieduto dall’economista e accademico Mario Monti ha incassato fiducie bulgare al Senato e alla Camera dei Deputati. L’unico partito che ha espresso contrarietà al nuovo Governo tecnico è stato il Carroccio di Umberto Bossi. Secondo la Lega Nord, il Governo Monti favorirà le banche e colpirà le fasce deboli della popolazione oltre ai piccoli risparmiatori. Per di più, per i leghisti, la nascita del Ministero per la Coesione territoriale e l’abrogazione del Ministero per il Federalismo è stato un colpo troppo duro da digerire. Il segretario politico del Popolo della libertà, Angelino Alfano, in un messaggio di saluto fatto pervenire a conclusione del convegno “I socialisti riformisti nel Popolo della libertà”, a Milano, ha ribadito che gli esiti di questo Governo sono “del tutto imprevedibili”. Berlusconi riconosce la “bontà” del governo Monti e i suoi membri, che definisce “tecnici di elevata competenza”. Un messaggio che l’ex premier ha rilasciato a un’intervista al Corriere della Sera. Ed è sempre Berlusconi a dire che questo nuovo governo “deve arrivare al 2013” con l’appoggio di un Pdl pronto a promuovere “tutte le iniziative per promuovere lo sviluppo” ma anche pronto a dire no “ad eventuali misure recessive”. Berlusconi ha anche aggiunto di essere d’accordo con la tassazione degli immobili che Monti intende riportare in linea con la media europea, dato che ora è al di sotto. «Saremo leali ma non subalterni e, quindi, se ci saranno deviazioni e forzature, non avremo esitazioni a negare il nostro sostegno. In sostanza saremo leali con chi sarà leale con

noi». Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, invia un saluto con convegno dei socialisti riformisti nel Pdl. Parole meno concilianti rispetto al discorso di Montecitorio che aveva introdotto la fiducia del suo partito al governo Monti. Nel Pdl, però, i mal di pancia sono tutt’altro che spariti. Il segretario deve fare i conti in particolare con il fronte degli ex An, Matteoli e La Russa, che non hanno affatto digerito la nascita del governo tecnico e non vedono l’ora di tornare alle urne. E allora Alfano pianta i primi paletti: «Di-

serio in Parlamento sul terreno dei contenuti». Chiara anche la posizione su ministri e sottosegretari: «Devono essere tecnici». Dentro il Pdl, però, le acque restano agitate. E uno dei bersagli è Giulio Tremonti. Che l’ex ministro dell’Economia non fosse simpatico a tanti all’interno del partito cosa nota, certificata da anni di battibecchi in consiglio dei ministri, di tensioni, di veleni dietro le quinte. Ma

ciamolo chiaramente – continua il messaggio –, se è nato il governo Monti ciò è stato consentito da Berlusconi. Se Berlusconi non fosse stato d’accordo, il governo Monti non si sarebbe fatto. Di conseguenza, noi daremo un sostegno leale al nuovo governo confrontandoci in modo

ora che non c’è più la mission di un governo da tenere in piedi, c’è chi si toglie qualche sassolino dalla scarpa. A dare il fuoco alle polveri di quella che sembra una vera e propria resa dei conti sono il capogruppo del partito alla Camera, Fabrizio Cicchitto, e soprattutto l’ex ministro Renato Bru-

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netta. I due giungono dopo accuse pesanti di molti colleghi di partito dell’ex superministro dell’economia tra i quali (i più duri) i colleghi di governo Romani e Galan che, senza mezzi termini, hanno imputato «all’istinto di conservazione di Tremonti» e alla sua «ossessione dei conti pubblici» la vera causa del freno allo sviluppo del Paese e con essa la lenta ma inesorabile erosione di consenso nel governo e nel

invece non dovevano essere colpiti. E poi la mancata ricerca di una politica di crescita che ha pesato sul governo». Dello stesso parere Brunetta: le cose che Berlusconi non è riuscito a fare, sono imputabili «a un errore della politica economica del professor Tremonti, che purtroppo si è imposto a tutto il governo: dovevamo affiancare agli antibiotici le vitamine». Cosa, accusa Brunetta, resa impossibile da Tremonti perché «con il suo ministero “monstre” non era possibile condizionarlo». E se dentro casa volano gli stracci, anche all’esterno, con il mondo dell’impresa, sembra essere l’ora delle recriminazioni: Cicchitto era entrato in polemica con Confindustria, accusata di avere «inondato» il precedente governo di «richieste di assistenzialismo». Una posizione su cui Cicchitto ha tenuto il punto: «Gli aiuti diretti e indiretti chiesti allo

strepitoso successo. Le necessità dell’ora hanno imposto e impongono scelte obbligate, ma non sappiamo quanto alla lunga condivise. Conterà lo smarcamento della Lega – che punta a un recupero degli scontenti – mentre il vero nodo ci sarà nel momento in cui dai programmi verbali si passerà alla pratica, ovvero a votare in Parlamento e applicare nel Paese le misure di risparmio e di inasprimento fiscale che sono state ventilate dal nuovo premier e accolte con sostanziale sorriso da tutti. Al concreto vedremo se l’equità si coniugherà davvero con il rigore e quale sarà l’impatto della gente davanti a nuove tassazioni Ici sulla prima casa, all’annunciato aumento dell’iva e della necessità di nuovi “tagli” della spesa pubblica. L’Italia ha un gran bisogno di un governo “normale” anche se tutti sappiamo che quanto è avve-

Pdl. E anche al convegno dei socialisti riformisti nel Pdl a Milano si rinnovano le accuse. Secondo Cicchitto, sono stati due gli errori dell’ex ministro e cioè «i tagli lineari, che sono la negazione del riformismo, perché se tagli tutto del 10% vai a toccare settori come la scuola e le forze armate che

Stato sono una realtà che dura da tanti anni e che nessuno può negare». Qualcuno – scherzando ma non troppo – ha scritto che le cose in Italia miglioreranno visto, che da Tre (monti) si è scesi a un Monti solo; certo che mai un debutto di governo ha avuto sulla carta un così ampio e

nuto è stato una specie di appalto temporaneo con “locazione a terzi” della gestione dello Stato. La politica, insomma, inanellando l’ennesima sconfitta, ha votato di passare la mano ai “tecnici”: vediamoli alla prova senza preconcetti, ma sicuramente con molta trepidazione.

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IL FATTO di Felice Autieri

Il nuovo governo Monti e la concezione della politica oggi

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e dimissioni di Silvio Berlusconi e il governo Monti con una serie di nuovi ministri di area cattolica, ci inducono a una seria riflessione sull’impegno dei cattolici in politica. La fine della “prima repubblica” con i suoi partiti storici, non ha impedito a laici cattolici di continuare il proprio impegno sociale secondo la tradizione dell’impegno politico dei cattolici che affonda le sue radici nell’Opera dei congressi alla fine del XIX secolo ed è continuato con la nascita del Partito popolare nel 1919. Si badi bene che non è questo un ritorno al passato, indietro non si torna mai, sebbene sia presente il desiderio di poter far nascere, non risorgere, un partito di orientamento cattolico che tenga conto delle mutate condizioni storiche, politiche e sociali del nostro paese. Chi nel passato recente si è accanito contro un modo di fare politica degli “antichi” partiti della prima repubblica, non è che si è poi comportato molto diversamente quando

ha avuto la possibilità di mettersi in gioco e governare. L’esperienza ci ha insegnato che la logica delle “tessere” di partito, o l’appartenenza a una corrente politica ben precisa poteva garantire un’ascesa più o meno significativa, garantirsi a tutti i livelli posizioni di prestigio, insomma un aspetto deleterio che in negativo unirebbe la prima repubblica a questa nostra Italia del 2011. Se è vero che il governo Monti ha il compito di accompagnarci fino alle prossime elezioni politiche del 2013, è altrettanto vero che non possiamo aspettarci delle riforme radicali, perché la sua maggioranza si regge su un fragile equilibrio tra PDL e PD, pertanto delle leggi che potrebbero intaccare gli interessi o i piani politici di una delle due compagini che compongono la maggioranza, potrebbe creare l’imbarazzante situazione di un governo da subito in minoranza in Parlamento. Infine, mi si consenta una riflessione personale; chi scrive della prima repubblica ha una sola no8

stalgia, ovvero la certezza ideologica dei vecchi partiti dove chi era democristiano era tale, chi era comunista, socialista, radicale o missino lo era altrettanto. Pertanto se partecipavi ad un comizio elettorale di quel partito sapevi bene le chiavi di lettura ideologiche di quegli uomini e di quel partito. Le stesse battaglie ideologiche che si verificavano alle elezioni politiche esternavano, pur con i fisiologici limiti umani, un progetto politico frutto di una concezione della società e dello Stato ben definito. Questo oggi manca, pertanto un progetto politico sembra costruito sulle idee della persona, non su una concezione della vita che diventa conseguenza inevitabile di chi presenta questo progetto politico. È il forte limite della politica di oggi con pochi uomini di spessore ai vertici e un sistema di sostegno politico che a conti fatti, ci fa rimpiangere il sistema partitico su cui è nata e sviluppata l’Italia repubblicana.


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TUME OCIETÀ

di Carmine Vitale

Il cibo biologico in Italia: aumentano i consumi I

l 2010 è stato un anno da incorniciare per il consumo di alimenti biologici in Italia. Secondo un’analisi di Coldiretti-Swg, infatti, il mercato ha fatto registrare un aumento in percentuale del 23% e sono ormai quasi 8 milioni i consumatori abituali, mentre ben 7 italiani su 10 hanno inserito prodotti Bio nel carrello della spesa almeno occasionalmente. Inoltre, l’Italia ha conquistato la leadership produttiva a livello europeo, con oltre un milione di ettari coltivati e circa cinquantamila imprese agricole coinvolte. Si tratta di un settore di punta del Made in Italy agroalimentare poiché in Italia si trovano un terzo delle imprese biologiche europee e un quarto della superficie Bio dell’Unione, superando il milione di ettari (1.067.102 ettari) con 49.859 imprese agricole. A sostenere il consumo di prodotti biologici è la ricerca della sicurezza alimentare, ma anche il diffondersi di stili di vita più attenti all’ambiente. Inoltre, diversi consumatori sembrano aver capito il plus valore dell’alimento biologico, che è meno inquinante, ma anche più nutriente. I dati Ismea riferiti ai primi sei mesi del 2008, dicono che

a trainare la crescita del Bio sono i prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati (+18,4%), i prodotti per l’infanzia (+17,6%) e i lattiero-caseari (+ 5,7%), che sono stati più recentemente oggetto di scandali alimentari. Un vero boom, con aumento del 18% nel 2008, si verifica per gli acquisti effettuati direttamente dal produttore, grazie a 1.645 aziende agricole, ma vanno segnalati anche 208 mercatini, 1.114 negozi e 110 siti specializzati per l’acquisto on line, tutti in aumento, secondo i dati Bio-Bank. “Per quanti non amano cucinare - precisa la Coldiretti ci sono ben 360 ristoranti (+20%) e 1178 agriturismi (+ 18%) con menù Bio”, mentre si è registrato un aumento del 6% nel numero di pasti biologici serviti dalle mense scolastiche, tanto da arrivare a una quota vicina al milione (983.243), secondo Bio-Bank. Consumo e produzione di prodotti biologici sono in crescita in tutto il mondo dove, secondo il rapporto Ifoam, si stima un valore di mercato di 26 miliardi di euro e ben 30,4 milioni di ettari certificati, con l’Italia che si colloca al quinto posto in una classifica che vede l’Australia in testa con 11,8 milioni di ettari coltivati.

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DIALOGO di Pietro De Lucia

Lo “spirito di Assisi” e la profezia della pace I

l 23 ottobre, a Napoli, presso il Pala Argine di Ponticelli, si è svolta la giornata di riflessione, di preghiera e di dialogo sullo “spirito di Assisi” e la “profezia della pace”. Si sono dati appuntamento più di milleduecento persone impegnate a diverso titolo nei movimenti francescani: giovani della Gi.fra (gioventù francescana), terziari dell’Ofs (Ordine francescano secolare), religiosi francescani (frati, suore, consacrati) e laici impegnati per l’ecumenismo. Significativa la presenza di alcuni esponenti del mondo cristiano ortodosso, riformato, come anche dell’islam, della comunità internazionale Bahai, del cattolicesimo. L’evento è stato voluto in preparazione all’incontro mondiale per la pace che si è svolto a livello mondiale il 27 ottobre ad Assisi, con la presenza di tutti i leadership delle singole religioni e dei non credenti. A moderare l’incontro

al palazzetto dello sport di Ponticelli è stato p. Edoardo Scognamiglio, direttore del Centro Studi Francescani per il Dialogo interreligioso e le Culture di Maddaloni, nonché Ministro Provinciale dei Frati minori conventuali di Napoli e Basilicata, e docente di Teologia e Dialogo interreligioso a Napoli e a Roma in diversi centri accademici. Lo “spirito di Assisi” e la “profezia della pace” si ispirano al viaggio di san Francesco in Egitto e al suo incontro con il Sultano (Melik alKamel) e all’amicizia che nacque tra i due. I giovani hanno molto apprezzato la relazione della professoressa Giuliana Martiriani (docente di Geografia economica e politica alla Univerisià degli Studi di Napoli Federico II) che da lungo tempo lavora per la creazione di laboratori di pace a livello nazionale, dedicando un particolare impegno per la creazione di centri di

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ascolto e di dialogo soprattutto in Campania. Nella sua bella relazione, la professoressa Martirani, illustrando il significato della pace, ha messo in evidenza quattro ambiti o aspetti in cui occorre lavorare per la pace: in rapporto a se stessi, nelle relazioni con gli altri, in rapporto con il mondo e l’ambiente, tra i popoli. Spesso, avviene uno squilibrio dentro di noi nel momento in cui viviamo divisi, cioè quando mente, cuore, anima e corpo non trovano armonia. Ciò avviene anche quando perdiamo il senso delle relazioni interpersonali: da qui il bisogno di riscoprire un certo spirito meridionale che ha sempre favorito, in ogni epoca, le relazioni e il dialogo tra persone e comunità diverse. L’attenzione, poi, al senso della giustizia e al rispetto dell’ambiente è stato fortemente richiamato dalla professoressa di Geografia economica e politica: la


terra è la nostra vera dispensa e, quindi, non possiamo sciupare i suoi prodotti attraverso un consumo insostenibile. Da qui la necessità di riscoprire un nuovo stile di vita che tenga conto della semplicità e della sobrietà. Per fare questo è urgente riscoprire un Sud del mondo e dell’Europa più protagonista del proprio destino, del proprio futuro. Come francescani, è possibile praticare un’economia creativa e respingere quel modello nordamericano o puramente occidentale che non tiene conto delle realtà locali del Sud del mondo. Più volte, la professoressa Maritirani ha invitato i partecipanti a uscire dal modello economico americano che non è in grado di gestire la globalizzazione e le crisi econimiche e politiche che coinvolgono gli Stati più poveri o in via di sviluppo degli ultimi trent’anni. Il modello americano e nord-europeo non tiene conto delle risorse del Mediterraneo e non ci rende protagonisti del nostro futuro. Da segnalare, all’incontro, la presenza del presidente della Coreis (Comunità religiosa italiana islamica), l’imam di Milano Yahya Pallavicini che ha reso

una bella testimonianza sulla fratellanza universale e sull’amicizia tra cristiani e musulmani. La comunità Bahai di Caserta è stata rappresentata dalla signora Cirma Caterina, il cui messaggio è stato molto forte: la terra è abitata da tutti e costruire la pace è dono e compito di tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Erano presenti alcuni esponenti della Chiesa ortodossa che è a Napoli e che appartiene al patriarcato di Costantinopoli. Il messaggio della portavoce di questa Chiesa, la signora Elisabetta Kalambouka, è stato molto apprezzato: “Una piccola goccia può scavare una montagna”. Così, l’impegno della pace di ognuno di noi può creare molta comunione tra le nazioni e i popoli e le religioni. In questa prospettiva si sono mantenute le testimonianze della Chiesa apostolica italiana e della Chiesa libera (rappresentate dal sig. Giuseppe Verrillo) e del ben noto Gruppo ecumenico interconfessionale per le attività ecumeniche di Napoli (Giaen) il cui esponente è stato il signore Domenico Iacomino. Per questa occasione, il car-

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dinale Crescenzio Sepe, arcivescovo metropolita di Napoli, ha donato all’assemblea francescana un messaggio in cui invita tutti a lavorare per la pace e la giustizia in famiglia, in comunità, in città, sul posto di lavoro, rendendosi disponibili a rispondere sempre con il bene al male. Dopo un momento di festa, di musica e di danza, a ogni partecipante è stato consegnato il messaggio per la Giornata regionale sullo “spirito di Assisi”. Si afferma, in questo messaggio, che i francescani della Campania si impegnano a essere strumenti di pace e di riconciliazione tra i popoli e le nazioni, e a favorire il dialogo e il rispetto dell’altro nelle famiglie e nelle comunità, come anche nelle nostre città. Si sa, d’altronde, che al tema della pace è strettamente legato quello della giustizia e dell’accoglienza degli ultimi. Il rispetto e la cura degli stranieri rientra anche in questo messaggio. D’altronde, la presenza di immigrati è forte in Campania, soprattutto nel casertano e nel napoletano. Quasi certamente, questa giornata diventerà un appuntamento annuale per il futuro e si celebrerà la domenica prima del 27 ottobre.


VOCI

CHIESA La redazione

DI

Pellegrini della verità... pellegrini della pace... R

iportiamo una parte del messaggio di Benedetto XVI, letto ad Assisi il 27 ottobre 2011 a Santa Maria degli Angeli, in occasione della giornata di riflessione e di preghiera per la pace e la giustizia nel mondo Pellegrini della verità, pellegrini della pace. «Cari fratelli e sorelle, distinti Capi e rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali e delle religioni del mondo, cari amici, sono passati venticinque anni da quando il beato papa Giovanni Paolo II invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni del mondo ad Assisi per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenuto da allora? A che punto è oggi la causa della pace? Allora la grande minaccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta in due blocchi contrastanti tra loro. Il simbolo vistoso di questa divisione era il muro di Berlino che, passando in mezzo alla città, tracciava il confine tra due mondi. Nel 1989, tre anni dopo Assisi, il muro cadde – senza spargimento di sangue. All’improvviso, gli enormi arsenali, che stavano dietro al muro, non avevano più alcun significato. Avevano perso la loro capacità di terrorizzare. La volontà dei popoli di essere liberi era più forte degli arsenali della violenza. La questione delle cause di tale rovesciamento è complessa e non può trovare una risposta in semplici formule. Ma accanto ai fattori economici e politici, la causa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale. La volontà di essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenza che non aveva più alcuna copertura spirituale… Ma che cosa è avvenuto in seguito? Purtroppo non possiamo dire che da

allora la situazione sia caratterizzata da libertà e pace. Anche se la minaccia della grande guerra non è in vista, tuttavia il mondo, purtroppo, è pieno di discordia. Non è soltanto il fatto che qua e là ripetutamente si combattono guerre – la violenza come tale è potenzialmente sempre presente e caratterizza la condizione del nostro mondo. La libertà è un grande bene. Ma il mondo della libertà si è rivelato in gran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene fraintesa anche come libertà per la violenza. La discordia assume nuovi e spaventosi volti e la lotta per la pace deve stimolare in modo nuovo tutti noi. Cerchiamo di identificare un po’ più da vicino i nuovi volti della violenza e della discordia. A grandi linee – a mio parere – si possono individuare due differenti tipologie di nuove forme di violenza che sono diametralmente opposte nella loro motivazione e manifestano poi nei particolari molte varianti. Anzitutto c’è il terrorismo, nel quale, al posto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devono colpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza alcun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudelmente uccise o ferite. Agli occhi dei responsabili, la grande causa del danneggiamento del nemico giustifica ogni forma di crudeltà. Viene messo fuori gioco tutto ciò che nel diritto internazionale era comunemente riconosciuto e sanzionato come limite alla violenza. Sappiamo che spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il carattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la crudeltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto a motivo del “bene” 12

perseguito. La religione qui non è a servizio della pace, ma della giustificazione della violenza. La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione… Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in


nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è “Dio dell’amore e della pace” (2Cor 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo. Se una tipologia fondamen-

tale di violenza viene oggi motivata religiosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circa la loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una seconda tipologia di violenza, dall’aspetto certamente multiforme, ha una motivazione esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò. I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa una fonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quindi la scomparsa della religione. Ma il “no” a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio. Qui non vorrei però soffermarmi sull’ateismo prescritto dallo Stato; vorrei piuttosto parlare della “decadenza” dell’uomo, in conseguenza della quale si realizza in modo silenzioso, e quindi più pericoloso, un cambiamento del clima spirituale. L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l’uomo, ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degenera, ad esempio, in una brama sfrenata e disumana quale si manifesta nel dominio della droga con le sue diverse forme. Vi sono i grandi, che con essa fanno i loro affari, e poi i tanti che da essa vengono sedotti e rovinati sia nel

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corpo che nell’animo. La violenza diventa una cosa normale e minaccia di distruggere in alcune parti del mondo la nostra gioventù. Poiché la violenza diventa cosa normale, la pace è distrutta e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso… Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: “Non esiste alcun Dio”. Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio…».


Il ruolo della famiglia nella società e nella vita politica Sfide e cambiamenti... L

a famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti». La famiglia è, per l’uomo, il luogo delle forme primarie delle relazioni umane: quelle tra uomo e donna e tra genitori e figli. In queste relazioni ed esperienze primarie si danno i significati e i legami fondamentali e si fanno gli apprendimenti decisivi: la differenza fondatrice di ogni alleanza e la promessa che dischiude la vita alla speranza. Queste esperienze fondatrici di un senso buono della vita e di un legame fiducioso con l’avventura umana comune, che hanno la loro radice nei legami familiari, dovrebbero poi essere confermate dalla cultura e dai processi di socializzazione. In realtà, la cultura post-moderna – segnata dal relativismo –, per le sue caratteristiche di funzionalità e complessità dei rapporti e di esaltazione dell’individuo, nasconde e rende fragili i rapporti umani e le relazioni interpersonali a ogni livello. È una cultura che indebolisce i legami e la durata, l’istituzione

e la forza del gruppo, e affida la solidità della famiglia quasi esclusivamente al desiderio di felicità del singolo e al suo sentimento. I compiti difficili della famiglia Una società “liquida”, in cui le relazioni si fanno sempre più fragili, le diverse forme del sociale, tra questi anche la famiglia, si frammentano, si scompongono, si trasformano in continuazione. Società in cui le forme del consumo hanno contaminato profondamente le stesse relazioni, dove gli oggetti hanno sostituito il piacere dell’incontro, la vicinanza con l’altro. Un mondo in cui tutto appare e si spende attraverso i mass media. I sentimenti durano quanto il battito d’ala di una farfalla, le emozioni effimere trovano legittimità solo se sono forti, se inebriano, se “sballano”. Uomini e donne viaggiano con bagaglio leggero, sempre pronti a cogliere al meglio le occasioni che possono dare la felicità; sempre pronti a disfarsi d ei vincoli di qualsiasi genere. Viviamo il tempo dell’amore liquido: ciò che conta è adeguarsi ai sentimenti e alle voglie del momento. La situazione in cui versa la famiglia presenta aspetti positivi e aspetti negativi: segno, gli uni, della salvezza di Cristo operante nel mondo; segno, gli altri, del rifiuto che l’uomo oppone all’amore di Dio. Da una parte, infatti, vi è una coscienza più viva della libertà personale, e una maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla 14

promozione della dignità della donna, alla procreazione responsabile, alla educazione dei figli; vi è inoltre la coscienza della necessità che si sviluppino relazioni tra le famiglie per un reciproco aiuto spirituale e materiale, la riscoperta della missione ecclesiale propria della famiglia e della sua responsabilità per la costruzione di una società più giusta. Dall’altra parte, tuttavia, non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: un’errata concezione teorica e pratica dell’indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi; la piaga dell’aborto; il ricorso sempre più frequente alla sterilizzazione; l’instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva. Alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell’idea e dell’esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere. La famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta troverà il suo componimento nel Regno di Dio. In una prospettiva poi che giunge alle radici stesse della realtà, si deve dire che l’essenza e i


compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall’amore. Per questo la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa. Ogni compito particolare della famiglia è l’espressione e l’attuazione concreta di tale missione fondamentale.

torialità. Questa denatalità è in aumento in tutt’Europa. c) Instabilità coniugale. C’è un impetuoso incremento del numero di separazioni e divorzi. E se la durata media del matrimonio – in caso di separazione – è di 13 anni, il picco delle separazioni è al quarto anno di matrimonio. Occorre tener conto di tre variabili: la trasmissione “ereditaria” dell’instabilità coniugale, dato che i figli di divorziati tendono a divorziare di più; la sempre minore tenuta offerta dai valori etico-religiosi circa l’indissolubilità del matrimonio cristiano; il lavoro femminile. d) Verso nuovi modelli di famiglia. È il fenomeno della pluralizzazione delle forme familiari, in cui cioè non vi è più un modello unico di famiglia, ma più modelli, fino al punto di arrivare a innumerevoli modalità di vita comune, in funzione delle preferenze e dei progetti dei partner. Insomma, tante famiglie “al plurale”, come dicono i francesi, o “di scelta”, come invece dicono gli inglesi. Per l’Italia, c’è chi ha cominciato a presentare e a qualificare queste “nuove famiglie”, certamente eccentriche rispetto al modello familiare “classico”: le famiglie di fatto, quelle monogenitoriali, le famiglie ricostituite e quelle unipersonali. Se ne ricava l’immagine di una famiglia dalla trama porosa, fragile e bisognosa di un surplus di mediazioni per fronteggiare una notevole complessità strutturale: ad esempio, non tutti i membri vivono sempre sotto lo stesso tetto, non tutti i figli sono consanguinei, non tutti hanno lo stesso cognome e non tutti hanno nella stessa casa chi esercita la potestà su di loro e chi deve mantenerli. CARDINALE CRESCENZIO SEPE

Sfide e cambiamenti La famiglia, inserita in una rete sociale, deve confrontarsi con questi cambiamenti epocali. a) Nuzialità e démariage. Da una recente ricerca sui giovani (2009) appare che famiglia e amore sono decisamente al vertice della scala valoriale giovanile, ma ciò non comporta una reale ricaduta matrimonial-familiare; così si configura come la società del démariage in cui il matrimonio non è più la scelta tipica dell’età adulta, ma solo una possibile scelta di vita. Si riscontra una forte resistenza a instaurare relazioni stabili, sancite o meno da vincolo matrimoniale. Le convivenze sono ormai assai diffuse: sono, dice l’Istat, tre milioni gli italiani che le hanno sperimentate, il 6% della popolazione con più di 15 anni. Tuttavia, il più delle volte, a differenza del Nord Europa, sono semplicemente l’anticamera del matrimonio. Al Centro-Nord del Paese sono ormai quasi un quinto i matrimoni preceduti da queste “prove tecniche di coniugio”. b) Denatalità tra famiglia e demografia. l’Italia è un Paeselaboratorio dal punto di vista della natalità, che denota un’insicurezza e una relativizzazione profonda della geni-

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Accogliere e accompagnare le famiglie in difficoltà: la pastorale per i cristiani separati D

urante il Convegno nazionale dei parroci francescani conventuali si è discusso della pastorale per i cristiani separati. Questa settimana di formazione si è svolta a Vietri sul Mare (Sa). Per l’occasione, il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, ha presieduto il 13 ottobre u.s. l’Eucaristia nella stupenda Basilica di S. Lorenzo Maggiore a Napoli. Riportiamo parte della sua omelia che costituisce un’ottima riflessione per rivolgere la giusta attenzione all’accoglienza e all’accompagnamento dei separati e dei divorziati. Spesso ci sono situazioni di crisi e di sofferenza umana che non risparmiano nessuna famiglia. «A dire la verità, io ripeto spesso, soprattutto ai vescovi, che la prima preoccupazione deve essere quella di fare il possibile (seria preparazione al matrimonio, incontri periodici di famiglie, ecc.) per formare in ogni parrocchia un nucleo di famiglie cristiane esemplari, che hanno un rapporto vivo con il Signore Gesù Cristo e da lui attingono un di più di amore e unità, generosità e coraggio, gioia e bellezza. A riguardo bisogna ricordare che Giovanni Paolo II in Novo millennio ineunte ha raccomandato come prioritario l’impegno pastorale per “una pedagogia della santità”, intesa “come misura alta della vita cristiana ordinaria”, che eviti di “accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale” (n. 31). Non bisogna certo dimenticare le tante famiglie mediocri o disgregate. Ma, per arrivare ad esse, l’apostolato più efficace è quello della testimonianza e della vicinanza attiva delle famiglie cristiane esemplari. Per illuminare e riscaldare, la prima cosa da fare è accendere il fuoco. Attraverso i pochi si va ai molti. La minoranza impegnata è la risorsa più efficace per evangelizzare e raggiungere i cosidetti “lontani”… Ai divorziati risposati si può applicare uno splendido detto di Giovanni Paolo: non si deve abbassare la montagna; ma bisogna aiutare le persone a salirla, ognuna con il proprio

passo. Ciò significa: no alla gradualità della legge morale; sì alla legge della gradualità, perché l’uomo “conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita” (Familiaris consortio 34). È compito dei pastori e delle comunità cristiane additare la montagna in tutta la sua altezza, cioè insegnare gradualmente (senza sconti) la verità oggettiva sul bene morale, sui valori e le norme che si manifestano nella divina rivelazione e nella natura spirituale, corporea e sociale dell’uomo. Nello stesso tempo è compito dei pastori e delle comunità cristiane accompagnare premurosamente nella faticosa salita i passi delle persone, cioè aiutarle a vivere la verità secondo la loro capacità di comprendere e met-

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tere in pratica. Le norme morali sono uguali per tutti, ma la responsabilità davanti a Dio è propria di ciascuno. In Reconciliatio et poenitentia, Giovanni Paolo II ha dichiarato che la Chiesa si attiene a “due principi complementari”, quello della misericordia e quello della verità (n. 34)… L’autentica pedagogia ecclesiale esige che si mettano insieme l’insegnamento della verità, l’educazione delle coscienze e l’incoraggiamento fiducioso e paziente. A tutti si possono raccomandare alcuni atteggiamenti: umiltà (la coscienza non può stabilire ciò che è bene e ciò che è male, può solo riconoscerlo); preghiera (chiedere di poter conoscere sempre meglio la volontà di Dio e di avere la grazia e la forza di compierla); impegno (fare subito il

bene che si è capaci di fare, anche se costa sacrificio, a casa, nel lavoro, nella società, nella comunità ecclesiale, a cominciare dalla partecipazione alla messa della domenica); ricerca (ascoltare, studiare e riflettere, per capire il senso delle norme morali e il loro valore per la nostra vita e felicità); fiducia (confidare sempre nella misericordia di Dio che può condurre alla salvezza “per altre vie”, oltre i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia… Dare testimonianza a Cristo Salvatore è la missione della Chiesa. Perciò, essa deve attuare simultaneamente una pastorale della verità, della santità e della misericordia. Scrive Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio: “Esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli, affinché aiutino i divorziati, procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza. La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio” (n. 84)». VINCENZO PICAZIO

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Sacerdote e famiglia attorno all’Eucaristia Dal Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona 2011

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rdine sacro e matrimonio si abbeverano all’unica sorgente che è l’Eucarista. È stata questa la consegna che papa Benedetto XVI ha deposto nel cuore di presbiteri e delle coppie cristiane nel giorno conclusivo del Congresso Eucaristico Nazionale svoltosi nella città dell’Adriatico dal 3 all’11 settembre 2011. Ricordava il papa teologo: «Entrambi questi stati di vita hanno nell’amore di Cristo, che dona se stesso per la salvezza dell’umanità, la medesima radice; sono chiamati ad una missione comune: quella di testimoniare e rendere presente questo amore a servizio della comunità, per l’edificazione del Popolo di Dio». E ancora: la famiglia è «la mi-

gliore alleata del ministero sacerdotale; essa è un dono prezioso per l’edificazione della comunità. La vicinanza del sacerdote alla famiglia, a sua volta, l’aiuta a prendere coscienza della propria realtà profonda e della propria missione, favorendo lo sviluppo di una forte sensibilità ecclesiale». Nessuna vocazione è privata, tanto meno quella al matrimonio. L’orizzonte è la Chiesa universale. Si tratta di saper integrare e armonizzare, nell’azione pastorale, il ministero sacerdotale con l’autentico Vangelo del matrimonio e della famiglia per una comunione fattiva e fraterna. E l’Eucaristia è il centro e la sorgente di questa unità che anima tutta l’azione della Chiesa.

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Per il dono ricevuto nell’ordinazione, il presbitero è chiamato a servire come Pastore la comunità ecclesiale, che è “famiglia di famiglie”, e quindi ad amare ciascuno con cuore paterno, con autentico distacco da se stesso, con dedizione piena, continua e fedele. Il ministro di Cristo è il segno vivo che rimanda a Gesù, unico buon Pastore. Anche il sacerdote, ricordava il papa teologo, «ha una dimensione sponsale; è immedesimarsi con il cuore di Cristo Sposo, che dà la vita per la Chiesa sua sposa». Incoraggiare i coniugi, condividere le responsabilità educative, aiutare a rinnovare continuamente la grazia del matrimonio, rendere protagonista la famiglia nell’azione pasto-


rale, essere accoglienti e misericordiosi, anche con quanti fanno più fatica ad adempiere gli impegni assunti con il vincolo matrimoniale e con quanti, purtroppo, vi sono venuti meno: questo è il campo comune dove poter lavorare insieme. Sacerdoti e sposi, devono trovare nella partecipazione all’Eucaristia la forza per vivere l’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, nel perdono, nella gratuità del dono di sé e nella gratitudine. L’educazione alla fede delle nuove generazioni passa attraverso la coerenza del sacerdote e della coppia cristiana. Nei momenti in cui s’insinuasse la tentazione che ogni impegno educativo sia vano – ha raccomandato il Papa Benedetto XVI – «attingete dall’Eucaristia la luce per rafforzare la fede, sicuri che la grazia e la potenza di Gesù Cristo possono raggiungere l’uomo in ogni situazione, anche la più difficile». Gianfranco Grieco

Preghiera per la famiglia! Dio, dal quale proviene ogni paternità in cielo e in terra, Padre, che sei Amore e Vita, fa che ogni famiglia umana sulla terra diventi, mediante il tuo Figlio, Gesù Cristo, “nato da Donna”, e mediante lo Spirito Santo, sorgente di divina carità, un vero santuario della vita e dell’amore per le generazioni che sempre si rinnovano. Fa’ che la tua grazia guidi i pensieri e le pene dei coniugi verso il bene delle loro famiglie e di tutte le famiglie del mondo. Fa’ che le giovani generazioni trovino nella famiglia un forte sostegno per la loro umanità e la loro crescita nella verità e nell’amore. Fa’ che l'amore, rafforzato dalla grazia del sacramento del matrimonio, si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi, attraverso le quali, a volte, passano le nostre famiglie. Fa’ infine, te lo chiediamo per intercessione della Sacra Famiglia di Nazareth, che la Chiesa in mezzo a tutte le nazioni della terra possa compiere fruttuosamente la sua missione nella famiglia e mediante la famiglia. Tu che sei la Vita, la Verità e l’Amore, nell’unità del Figlio e dello Spisito Santo. Amen JOANNES PAULUS PPII

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ORIZZONTE GIOVANI di Luca Baselice

Una gioia che contagia… Insieme ad Assisi appassionatamente

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he bella esperienza ragazzi! Siamo rimasti a bocca aperta quando insieme agli animatori e agli assistenti li abbiamo visti tutti insieme. Che spettacolo! Quattrocento adolescenti della gioventù francescana ad Assisi! Infatti, dal 27 al 31 di Luglio, abbiamo vissuto un’esperienza bellissima. Ci siamo trovati coinvolti e avvolti da questo mare di ragazzi, che con la loro presenza ci hanno detto il loro bisogno di Dio e il loro desiderio di attingere direttamente dall’esperienza di Francesco di Assisi! La gioia di questi ragazzi è diventata contagiosa per tutti noi. Essi desiderano scoprire e andare alla ricerca del mistero di Dio, che vive non soltanto nel Creato, ma soprattutto nelle creature create a “Sua immagine e somiglianza”.

Hanno invaso e pervaso i luoghi francescani di Assisi e dintorni con decorosa riverenza, attingendo dalla preghiera e dai momenti di formazione la forza per rifornire di gioia e di letizia francescana le loro riserve. Ed è stato bello vedere, come i frati delle tre obbedienze, si sono stretti attorno a loro per lasciarsi coinvolgere e avvolgere dal loro entusiasmo e dalla loro voglia di pregare e di vivere il mistero di Dio che vive in noi e attorno a noi. Con le loro magliette verdi, tutti insieme, sembravano un grande prato verde, dove la speranza diventa certezza attraverso la testimonianza della loro giovane vita. Questi ragazzi, hanno dimostrato di adattarsi al tempo e alle stagioni. Infatti, nonostante che il sole in quei giorni facesse i capricci, hanno

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detto con la vita e il l’ entusiasmo che il sole più importante era quello che viveva e si muoveva dentro di loro. Quel sole era Francesco d’Assisi, che ancora oggi a distanza di secoli è attuale e che in fonde gioia e speranza all’uomo scoraggiato e abbandonato a se stesso. Che bella questa esperienza! Guardare questi ragazzi pregare, giocare, cantare, è stato per tutti noi fondamentale per cercare ancora una volta dentro di noi le motivazioni che ci spingono ad essere cristiani e seguaci di Francesco e Chiara d’Assisi. Infatti, risuonano dentro di noi, le parole di Gesù che dice: “A chi è come loro, appartiene il Regno di Dio”. Sia ringraziato il Signore. Lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.


MISSIONI di Lidia Tetta Cassano

La mia India 2 C

arissimi amici di Luce Serafica, come promesso, continuo a raccontarvi la mia esperienza vissuta in India. Alcuni mesi fa vi ho parlato di una grande necessità al centro di Coibatur dove sono ospiti tanti bambini e adulti malati di Aids. Qui c’era un urgente bisogno di un generatore di corrente elettrica. Nel mese di aprile questo è stato realizzato, attraverso i piccoli contributi donati da tante persone sensibili, tra cui una coppia di coniugi che festeggiando il loro sessantesimo anno di matrimonio, ha devoluto i soldi dei regali per tale progetto. Da molti anni avevo anche un altro sogno, e anche questo con l’aiuto del Signore si è avverato: un autobus per i frati chierici studenti del seminario maggiore “San Massimiliano Kolbe”. Esso è stato donato dalla Fondazione “Insieme Per...” che ogni sera nel mese di agosto ha eseguito uno spettacolo sul lago di San Pietro in Monteverde (Avellino) con effetti di luci e giochi di acqua, raccontando la vita di san Gerardo Maiella. L’enorme incasso, dovuto ai numerosi spettatori, è stato devoluto in beneficenza, proprio per questo progetto, grazie anche alla presenza di padre Angelo Palumbo. Per noi questo può sembrare un piccolo progetto, invece per loro è essenziale. Sono immensamente colma di gratitudine al Signore, e ringrazio

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tanti amici che mi aiutano. Nella mia vita la presenza e la provvidenza di Dio non è mancata, soprattutto negli anni passati, che sono stati tristi e pieni di sofferenza. Ritornando al ricordo dei bambini e dei frati in India non vedo l’ora che io ritorni da loro, e anche loro so che mi aspettano. Forse chissà nel 2012 sarò presente all'ordinazione dell'altro mio figlio spirituale Pactrik. In questi giorni ho ricevuto un altro dono speciale dal Signore. Il mio padre spirituale mi ha chiamata a svolgere il servizio di ministro straordinario dell’Eucarestia e portare così la comunione ai miei confratelli terziari ammalati. Anche questo è lavorare per la missione. Un ringraziamento speciale va, oltre al Signore, a tutti i frati della Provincia di Napoli che mi aiutano e mi sostengono nel mio cammino missionario.


LITURGIA di Giuseppe Falanga

La Celebrazione “pasquale” del Natale del Signore D

a qualche tempo è invalsa la denominazione di “tempi forti” per alcuni periodi dell’anno liturgico, ma con un malinteso che ingenera, spesso, non poche contraddizioni nella celebrazione e nella prassi pastorale. Il primo rischio è quello di misconoscere il valore unitario dell’anno liturgico, che è un unico percorso celebrativo del mistero della salvezza. In secondo luogo, quest’espressione rischia di emarginare il tempo per annum, come meno rilevante, quando esso, invece, è tutto strutturato attorno alla festa primordiale della fede cristiana che è la Domenica. C’è un altro equivoco: quello di identificare i cosiddetti “tempi forti”, con la Quaresima e l’Avvento. La nostra pastorale vive di “itinerari di preparazione”: quanto più una ricorrenza (ad esempio, una festa parrocchiale, una celebrazione sacramentale) è importante per la comunità, per un gruppo o per una persona, tanto più si strutturano lodevolmente degli itinerari formativi. L’anno liturgico possiede, certo, il valore di itinerario propedeutico, ma, in realtà, l’attenzione e l’enfasi è posta sulla celebrazione del mistero della salvezza e sulla relativa mistagogia, cioè l’introduzione liturgica ed esistenziale al mistero celebrato. In effetti, se vogliamo parlare di “tempi forti”, li dobbiamo identificare, nell’ordine, con il Triduo Pasquale e con il Natale del Signore: questi sono a loro volta preparati dalla Quaresima e dall’Avvento, e celebrati con ampiezza e solennità nel tempo che ne segue. La cinquantina pasquale e il tempo natalizio hanno un rilievo liturgico e una solennità maggiore, rispetto alla Quaresima e all’Avvento! Su questo punto sarebbe necessario riflettere. Il tempo di Natale, ad esempio, è diventato nei fatti un “tempo di vacanza”, mentre il rilievo delle solennità celebrate, dovrebbe paradossalmente farne uno dei tempi più intensi dell’anno.

luce pasquale del Signore risorto, è attratta dal mistero della persona divino-umana del Figlio di Dio. Ogni singolo elemento della storia della redenzione, così come ogni singolo mistero celebrato nel corso dell’anno liturgico, richiama e, in qualche modo, contiene tutti gli altri. L’orizzonte pasquale delle celebrazioni della manifestazione di Cristo è evidente: la Chiesa, nel Natale e nell’Epifania, riconosce che colui che è morto e risorto per noi è il Verbo eterno del Padre fatto uomo. La separazione del mistero dell’incarnazione dalla globalità del mistero della redenzione ha effetti devastanti sulla vita cristiana. Ad esempio, una certa predicazione enfatizza la cosiddetta “logica dell’incarnazione”, indicando nella prospettiva dell’incarnazione del Figlio di Dio, l’orizzonte della vita e della missione della Chiesa. Abbondano esortazioni a farsi carne (una vera assurdità tranne che per Dio e per gli angeli!), ad assumere un atteggiamento solidale, compassionevole e, conseguentemente, a rifuggire la deriva spiritualistica, per sua natura “disincarnata”… Una simile prospettiva è semplicemente una caricatura del cristianesimo, ridotto a un puro messaggio etico. Il Verbo di Dio, infatti, si è fatto carne per comunicare agli uomini la sua vita divina. Nell’autentica “logica dell’incarnazione”, hanno senso tanto la nascita del Verbo divino nella carne umana quanto la sua glorificazione pasquale e ascensione al cielo: questo è il percorso completo compiuto da Cristo, a cui ogni uomo è chiamato per grazia. La carenza cronica della prospettiva escatologica nella predicazione e nella catechesi è un segnale evidente di questa deriva. Proprio per l’analogia con la celebrazione pasquale, anche il ciclo liturgico natalizio si è costituito storicamente sul modello di quello pasquale (Quaresima, solennità, ottava, cinquantina, Pentecoste). Per cui abbiamo: – un tempo propedeutico: l’Avvento. È innegabile che la sua origine storica sia legata al parallelismo con la Quaresima. Curiosamente, oggi si tende a sminuirne il valore ascetico. Invece, il carattere ascetico dell’Avvento (astinenza, preghiera vigilante, sobrietà), sul modello di quello più marcato della Quaresima, dovrebbe essere proposto con maggiore forza.

Incarnazione e redenzione Natale e Pasqua «Quando celebriamo il Mistero della Nascita di Cristo e la sua manifestazione nel mondo, gli chiediamo di essere rinnovati nello spirito per mezzo di lui che esteriormente riconosciamo simile a noi» (Paolo VI, Mysterii Paschalis, I). L’attenzione della Chiesa, sempre illuminata dalla 22


Nessun documento liturgico ha mai inteso eliminare quest’aspetto, come impropriamente viene continuamente ripetuto, come se si dovesse estirpare un difetto nella prassi ecclesiale. Oltretutto, questo tempo liturgico, con i richiami fortissimi alla conversione, espressa in concrete scelte di vita, viene a coincidere con il periodo più sfacciatamente commerciale dell’anno. – La celebrazione della solennità: la festa di Natale, con la sua straordinaria ricchezza liturgica (ben quattro Messe proprie per un unico giorno liturgico, un unicum assoluto!). – L’ottava: è l’anello di congiunzione tra il mistero celebrato e il tempo che passa. Dilatando negli otto giorni successivi l’oggi liturgico, la Chiesa impara che il Natale, come la Pasqua, non è una semplice ricorrenza del calendario, ma un evento di salvezza, che è reso sempre attuale nella celebrazione sacramentale. – Il tempo della celebrazione: l’evento entra nella vita. Il mistero a cui ci siamo preparati e che celebriamo deve plasmare la nostra esistenza in una vita nuova, attraverso la partecipazione fruttuosa alla celebrazione, la sempre più consapevole professione di fede e la testimonianza della carità fraterna. – La conclusione solenne: la festa della Epifania (che comprende il Battesimo del Signore), è in evidente parallelo con l’Ascensione e la Pentecoste. Se la festa principale riguarda la persona di Cristo, la festa conclusiva celebra il dilatarsi della grazia a tutta la Chiesa e, potenzialmente, a tutta l’umanità. Se il Natale celebra la nascita di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria, l’Epifania mostra come la grazia di questa Nascita raggiunge e illumina ogni popolo e ogni uomo. Dunque, la solennità della Natività del Signore è celebrata e vissuta dalla Chiesa in fortissima connessione con la Pasqua. Tra i segni più evidenti, oltre lo strutturarsi di un itinerario propedeutico e di uno sviluppo successivo parallelo (Avvento con Quaresima, Natale con Pasqua, Epifania con Pentecoste), il carattere notturno della celebrazione culminante, ma soprattutto la dinamica tipicamente pasquale del “passaggio”: dall’Antica alla Nuova Alleanza, dall’attesa al compimento, dall’ignoranza alla rivelazione, dalla notte alla luce. Per questo in molti paesi di lingua ispanica il Natale viene chiamato “Pascua de Navidad”.

La relazione tra Natale e Pasqua riguarda, anzitutto, il contenuto della fede che viene professata e celebrata nel sacramento: colui che è morto ed è risorto per noi è il Dio fatto uomo; l’identità di Gesù Cristo è fondamentale per comprendere la portata universale e autenticamente umana della redenzione. Celebrare e vivere la manifestazione del Signore Vivere l’Avvento-Natale-Epifania è per la Chiesa lasciarsi condurre dallo Spirito nel deserto per fare una rinnovata esperienza dell’amore di Dio. Il dono ricevuto, e che ci si prepara a ricevere, possa risplendere nel cuore e nei volti di coloro che nel Figlio sono diventati figli e fratelli, chiamati a essere, con la propria vita, testimoni di quel Dio che «ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio» (Gv 3,16). Il dinamismo dell’incarnazione trova la sua pienezza nell’accoglienza di quanti – “vicini o lontani” – si apriranno, in questo nuovo anno liturgico, alla dimensione della fede, che passa attraverso le vie inedite dell’azione dello Spirito nel cuore di ogni uomo: dall’irruzione dell’evento alla ricerca attenta e fiduciosa, dall’abbandono senza condizioni alle tormentate e fallimentari esperienze. Solo così la nostra gioia potrà essere perfetta! Il Cristo vivente non è solo una persona ma un evento: nella liturgia della Chiesa viene reso visibile il mistero dell’evento Cristo. La liturgia è la celebrazione nella quale il popolo di Dio vive la manifestazione di ciò che è avvenuto realmente nella storia umana, cioè Cristo che viene e che nasce in noi; vive, soffre, muore e risorge in noi; egli manda il suo Spirito, mettendoci in comunione gli uni con gli altri. Le celebrazioni del Natale, dell’Epifania, di Pasqua, di Pentecoste, i periodi della loro preparazione e meditazione, manifestano la pienezza dell’evento Cristo di cui siamo diventati partecipi e nel quale veniamo di anno in anno sempre più immedesimati. Ci aiutino a viverle queste parole di sant’Agostino: «Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo, prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti» (Omelia 202 sull’Epifania).

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DABAR Di Cyrille Kpalafio

Parlami: pregare sempre con cuore puro snoda dall’alef alla tau, dall’A alla Z, il fedele deve lasciarsi conquistare da questo filo orante continuo, e deve professare la sua gioia di essere sempre con Dio in tutte le sue ore e le sue scelte di vita. Il salmo offre una serie di 22 esercizi dello spirito per una vita impostata secondo la parola e la volontà del Signore. Il cuore del salmo sta nella devozione alla parola. Essa è presentata come il mezzo con il quale Dio si relaziona con

“Parlami”, è la richiesta di chi vuole ascoltare, di chi è alla ricerca di qualcosa di importante, di chi ha sete di ascoltare la Parola di vita, è l’esperienza di Francesco. Per la Rivelazione ebraico-cristiana, la parola è la radice della creazione dove espleta una funzione “ontologica”. Infatti, si può quasi affermare che entrambi i Testamenti si aprono con la Parola divina che squarcia il silenzio del nulla. Bereshît… wajjômer 'elohîm; jehî 'ôr, Wajjehî 'ôr, “In principio, Dio disse: Sia la luce! E la luce fu” (Gen 1,1.3). Così si schiude la prima pagina dell’Antico Testamento. Nel Nuovo Testamento, l’ideale apertura potrebbe essere quella del celebre inno che funge da prologo al Vangelo di Giovanni: “In principio era la Parola” (1,1). Parlami. Perché: “Lampada ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105). Ho preso questo versetto dal salmo 119; il salmo più lungo del salterio con i suoi 176 versetti, ricco di sfumature e particolarità di cui voglio condividere con voi. Questo salmo è un monumentale alfabeto della parola di Dio, espressa in modo eminente dalla Torah, come legge biblica, anzi come Parola nel senso di insegnamenti; è simile a un canto orientale che sgrana le sue cellule sonore su cerchi che a spirale salgono al cielo in ripetizioni infinite. In questa specie di moto perpetuo della fedeltà alla parola divina, lampada per i passi (v. 105), più dolce del miele (v. 103) e più preziosa dell’oro fino (v. 127). La sua straordinaria bellezza e profondità proviene dal fatto che il salmista dedica a ogni lettera dell’alfabeto ebraico (22 lettere) in sequenza progressiva, otto versi di seguito, che iniziano con alef e otto con beth e così via fino a taw facendo così capire quanto la parola di Dio ingloba tutto e che dovrebbe anche inglobare tutto il parlare umano e il suo stile di vita. E il risultato del lavoro del salmista è una composizione di 22 strofe di otto versi ciascuna. In esso sono presenti tutti i generi letterari dei salmi e di preghiera: supplica individuale, la confessione di fiducia, la lode, il rendimento di grazie. In esso si impara l’arte dell’ascolto della Parola, della preghiera e della retta condotta. Fa impressione la sofisticata tecnica stilistica per cui, con le progressive lettere dell'alfabeto ebraico, e la ripetizione di otto termini sinonimi, il salmista esprime la globalità della tradizione legislativa dove ogni versetto contiene almeno una delle otto parole ebraiche con cui si definisce la legge: torah (legge), dabar (parola), 'edût (testimonianza), mishpat (giudizio), 'imrah (detto), hôq (decreto), piqqudîm (precetti), miswah (ordine). Come in un rosario, che si

l’uomo (parlami) e questi con Dio (l’ascolto). Ma non dobbiamo dimenticare che siamo in un tempo di crisi della parola, in cui ciò che si affaccia è il silenzio rinunciatario, dal momento che le parole ci hanno tanto ingannato. Pensate al dramma della incomunicabilità come segnale della crisi della parola, quindi occorre recuperare prima il senso della parola per poter scoprire che la parola crea, che squarcia il silenzio del nulla. Ma ciò è possibile solo quando recupereremo prima il silenzio dell’ascolto, silenzio, non come la non voglia di comunicare che sor24


prendentemente all’era del boom tecnologico che dovrebbe facilitare la comunicabilità, ne è diventato la chiusura. E poi riscoprire la Parola in un tempo stanco di parole. Ecco, allora, la domanda: come dire la Parola a una cultura che non ha più certezze forti, legate alla parola, a una cultura tentata dalla rinuncia ad ogni forza del dire, in cui tutto sembra risolversi nella comunicazione volgare e ras-

l’ascolto dell’altro; imparare a tacere non nel senso di chiudersi nella prigionia delle nostre solitudini, ma di lasciarsi raggiungere dalla parola che evoca, che abita, che attira, che trasforma. Ma come posso chiedervi di permettermi una parola in un tempo di declino della parola? Come posso darvi un annuncio di salvezza con la Parola? L’itinerario che io vi vorrei proporre è quello di scoprire che al centro della parola della rivelazione c’è in realtà il silenzio. Un autore ebreo, André Neher, ha scritto l’esilio della parola, in cui dimostra anzitutto che la Bibbia non è il libro della parola, ma del silenzio. Il Dio biblico sin dall’inizio ci viene presentato Dio nel silenzio. Dio è silenzio nella scrittura dei cieli. Il Salmo 19 dice: «I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento». Dio parla attraverso il silenzio delle sue opere. Questa è una prima dimensione del silenzio di Dio. I cieli narrano la gloria di Dio, dunque non c’è bisogno di parole. È ciò che esiste, è questa natura, è questa terra, è questo cielo, che ci sta parlando e tacendo del loro Creatore. Ecco un primo aspetto della fenomenologia del silenzio: la silenziosa scrittura dei cieli, quella che ci lascia stupiti di fronte alla bellezza del creato. Quindi è la natura che comunica nel silenzio Dio stesso. Il secondo aspetto si trova nell’esperienza straordinario del profeta Elia, sul monte Horeb-Sinai. Dio non appare nel “vento impetuoso e gagliardo da spaccare le rocce”, né si configura nel terremoto o nel fulmine di una tempesta assordante. Ma, come dice l'originale ebraico, il Signore si nasconde in una qôl demamah daqqah, cioè in “una voce di sottile silenzio” (1Re 19, 11-12). È quasi il punto zero dell’annientamento della Parola, eppure quel silenzio è “bianco”, cioè racchiude in sé tutti i suoni, le lettere, le sillabe, le parole. È il “mistero”, termine che nella sua radicale greca (myein) suppone il tacere, il chiudere le labbra, non per un’assenza di significati ma per una presenza di vita e di persona. Ma che cosa significa questo? Che Dio non parla nei segni della potenza e della grandezza del mondo. Dio parla laddove la tua intelligenza e il tuo cuore non gli danno appuntamento, Dio parla sorprendentemente laddove è il “silenzio a parlarti di Lui”, voce del silenzio. Ecco allora che la Parola che crea e che nello stesso momento è silenzio deve diventare lampada ai nostri passi e luce che illumina il nostro cammino nella notte, in mezzo al buio delle prove. Non mi resta che augurarvi buon cammino in questo tempo di Avvento.

sicurante della persuasione mediatica? Noi viviamo in un tempo di mediocrazia, formula che ormai ha sostituito quella di democrazia. Non è più il consenso del popolo, ma è la persuasione del popolo attraverso il sistema mediatico a vincere. Allora, la soluzione è la riscoperta del silenzio e della parola nel loro reciproco fecondo rapporto, è un'urgenza assoluta del nostro tempo. Abbiamo bisogno di imparare nuovamente a parlare, ma a parlare nel senso di dire parole che vengano dal silenzio e che dimorino nel silenzio del-

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PASTORALE di Antonio Vetrano

Ma quali pani e pesci? C’è la crisi! La certezza della Parola di Dio... A

luglio abbiamo ripreso la proclamazione domenicale del vangelo di Matteo. Ci accompagna nel tempo ordinario. Abbiamo, così, modo di “conoscere meglio” lo scriba diventato discepolo, di cogliere la sua personale esperienza di sequela: lui, convinto delle sue scelte, ricco e temuto, e che ha lasciato tutto per trovare Tutto. Estate ormai finita: avrebbe dovuto essere tempo di riposo per molti. Ma non per tutti. Solo metà degli italiani in vacanza: colpa della crisi economica, che continua a mietere vittime innocenti, i detriti umani, mentre la nostra classe dirigente divaga su temi sempre meno coinvolgenti per il mondo reale. Le giornate battute dal sole, le città che si svuotano, la politica che abbandona (temporaneamente) la pugnace e irrisolta polemica, e che si è data appuntamento a settembre… Un tempo in cui non mandare in vacanza la fede, un tempo per ritrovarla… magari sotto l’ombrellone, in un sentiero di montagna, nella penombra del proprio appartamento in città. La moltiplicazione dei pani e dei pesci… Segna l’inizio della sua sconfitta! Il discorso del pane di vita ha messo in luce il progetto, per molti incomprensibile, del Maestro. La folla non lo trova più molto simpatico, e dubita della sua sanità mentale. Ma, quel che è peggio, molti fra i suoi discepoli se ne vanno. Anche i suoi familiari sono preoccupati, per la piega che hanno preso gli eventi. E cercano di portarlo via, per riportarlo alla ragione. È un momento difficile, per Gesù. Il mondo premia i ricchi e i buoni, gli intelligenti e i sapienti. La spietata concorrenza, culturale ed economica, prodotta dalla nostra società, emargina milioni di persone. Li mette ai confini della storia. Gli Stati Uniti possiedono il 25% della ricchezza mondiale, l’Africa l’1%. I paesi emergenti, ex-terzo mondo, producono con tassi di crescita a due cifre, e la Cina – udite, udite! – sostiene con i suoi capitali gli stati in quasi bancarotta (per evitar loro il fallimento, e così, traballanti, possano continuare a pagare i debiti… l’espressione massima della modalità del capitalismo… la Cina?). Mentre la vecchia Europa arranca sui decimali… Ma tutto questo ha un costo impressionante. È la nuova ideologia globale, accelerata dalla setta degli illuminati del Bilderberg (la spinta sulla globalizzazione)… Insomma, l’economia liberista accumula detriti umani. Peggio: nem-

meno il merito serve. Giovani preparati, volenterosi, capaci, sono marginalizzati, precarizzati, vivono nel limbo lavorativo, per colpa di una classe dirigente e politica arroccata, autoreferenziale, miope ed arrogante. E di un gruppo di oligarchi speculatori… Metà dei giovani avvocati e architetti d’Italia lavora gratis in grandi studi, con l’illusione di trovare una sistemazione decente. Agli sconfitti, ai perdenti, a quanti non hanno nulla, se non il loro desiderio, ad essi si rivolge Dio. E ai tanti altri che vivono momenti di fatica, che hanno l’impressione di avere perso un treno (senza che nessuno dicesse loro l’orario del suo passaggio…). All’apice della crisi della sua missione, Gesù scopre che proprio gli sconfitti incrociano lo sguardo di Dio! E Cristo stesso sperimenta il fallimento, la precarietà. E Cristo stesso deve ridisegnare i suoi progetti, assecondare gli eventi. E illuminarli dal di dentro con la fede. Egli ci invita a prendere il suo giogo su di noi. Un giogo leggero, un peso che condivide con noi. La crisi può diventare opportunità, perché nel dolore la verità si fa più chiara. E allora parliamo della Parola. Parola che riempie. Che scuote. Che converte. Che rianima. Che scrolla. Che consola. Parola che penetra, come una spada a doppio taglio, fino nelle profondità di noi stessi, fino negli abissi dei cuori, per giudicare e illuminare. Per svelarci il vero volto di Dio. Per svelarci a noi stessi. Parola che ascoltiamo tutte le domeniche. Parola solennemente riconsegnata al popolo di Dio dopo il Concilio. Ma che, purtroppo, ancora resta sconosciuta ai più. Anche ai credenti, anche ai cristiani. Sconforta vedere così tante persone ignorare i vangeli, e seguire la profezia dell’ultimo veggente di turno; rattrista ascoltare tante prediche che parlano di tutto, fuorché commentare la Parola solennemente proclamata; inquieta vedere la Chiesa citata per le sue impopolari posizioni etiche, e, invece, non leggerla mai quando, fedele al mandato ricevuto dal Signore, proclama la Buona Notizia. Dunque, la Parola riflette sulla Parola. Per ricordarci che Dio non si stanca di noi. Per ricordarci, che l’efficacia delle sue parole non è determinata dalla nostra capacità di ripeterle. Ma di accoglierle. Certo: i tempi di Dio non sono i nostri… ma l’efficacia delle sue promesse è indiscutibile! avvenuto, diamoci da fare! 26


CREDERE OGGI di Caterina Cirma

Il Natale Baha’i L

’11 novembre 2011, presso l’Hotel dei Cavalieri di Caserta, è stato celebrato il Natale baha’i, alla presenza di un cospicuo numero di partecipanti, Baha’i e non. La serata si è svolta in un’atmosfera di amicizia e di unità, tra persone con credi e culture diverse, ispirate dalla ricerca della spiritualità. Infatti, Baha’u’llah , il fondatore della fede baha’i, nacque a Teheran il 12 novembre 1817. Egli era figlio di un importante ministro presso la corte del re e, sin da fanciullo, era famoso per la sua saggezza e conoscenza. Aveva ventidue anni quando suo padre morì e il governo gli offrì la stessa alta posizione. Ma Baha’ullah non accettò, poiché desiderava impiegare il suo tempo ad aiutare gli oppressi, i malati e i poveri; per questo fu conosciuto come difensore della causa della giustizia. A ventisette

anni, Baha’u’llah ricevette, attraverso uno speciale messaggero, alcuni degli scritti del Bab che stava proclamando la vicinanza del giorno di Dio, il giorno in cui la nuova manifestazione di Dio avrebbe portato al mondo la pace, l’unità e la giustizia a lungo attesa dall’umanità. Baha’u’llah immediatamente accettò il messaggio del Bab e divenne uno dei suoi seguaci più entusiasti. La nuova religione suscitò le ire del clero musulmano che perseguitò i seguaci del Bab con grande crudeltà. Poco più di otto anni dopo la dichiarazione del Bab e due anni dopo che il Bab stesso era stato martirizzato, Baha’u’llah fu gettato in una prigione chiamata il buco nero e fu incatenato. Eppure fu in quella stessa prigione che lo spirito di Dio riempì la sua anima e gli rivelò che egli era il promesso di tutte le ere. Dopo quattro mesi nel

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buco nero, Baha’u’llah fu privato dei suoi possedimenti e insieme alla sua famiglia fu spedito in esilio. Nel più freddo inverno, Baha’u’llah e la sua famiglia viaggiarono per le montagne occidentali della Persia, verso Baghdad, allora città dell’impero Ottomano e oggi capitale dell’Iraq. Questa espulsione segnò l’inizio di quarant’anni di esili, prigionie e dure persecuzioni. Negli anni immediatamente successivi alla partenza dalla Persia, Baha’u’llah dette la precedenza ai bisogni della comunità Babì raccoltasi a Baghdad, dopo la morte del Bab. Ma i suoi sforzi per tenere uniti quelli che erano fuggiti in Iraq suscitarono gelosie e dissensi; egli seguì la strada presa da tutti i messaggeri di Dio prima di lui e si ritirò in solitudine, scegliendo a questo scopo la regione montana del Kurdistan. (continua a pagina 44)


SPIRITUALITÀ di Raffaele Di Muro

San Massimiliano modello d’amore per l’uomo di oggi I

n Polonia si sono tenute le celebrazioni in ricordo del settantesimo anniversario del martirio di san Massimiliano Kolbe. Preghiera, visite ai luoghi del martirio e approfondimento scientifico hanno contribuito a presentare il santo polacco quale esempio nel dono di sé fino a offrire la vita per un fratello. Soprattutto nell’attuale condizione dell’uomo, caratterizzata sovente da odio, materialismo ed egoismo, la testimonianza di san Massimiliano Kolbe emerge in modo netto e indica un percorso basato sull’amore, un itinerario percorso da Cristo e dal Poverello di Assisi. In Polonia, prima ad Auschwitz e poi a Niepokalanów, si sono ritrovate le autorità della Chiesa polacca, dei frati minori conventuali, della Milizia dell’Immacolata e tanti consacrati e fedeli da ogni parte del mondo. Tutti si sono “stretti” attorno al “loro” padre Kolbe per attingere al suo meraviglioso e attualissimo esempio, per trarre impulsi per il proprio vissuto cristiano che, nella capacità di donarsi generosamente ed illimitatamente a Cristo e ai fratelli del martire francescano, ha un punto di riferimento di primissimo piano. I convenuti hanno compiuto un suggestivo cammino, caratterizzato dal pellegrinaggio nel campo di concentramento e nella Città dell’Immacolata, una delle opere più rilevanti realizzate da san Massimiliano. Essi hanno pregato in quei luoghi, hanno meditato, hanno “sognato” una nuova umanità che esprime il dono di sé mostrato e testimoniato dal martire polacco. Inoltre, c’è stato spazio anche per una condivisione di carattere scientifico con relazioni, approfondimenti e testimonianze di teologi, vescovi, giornalisti, politici e artisti che, partendo

dal martirio di padre Kolbe, hanno evidenziato l’attualità e la pregnanza del messaggio del francescano polacco. Preghiera e riflessione hanno costituito un armonico “quadro” nel quale è stato san Massimiliano il protagonista indiscusso con la sua splendida scia da amare e seguire proprio perché essa possiede i crismi dell’attualità e della significatività. Considerando tutti gli interventi, le riflessioni e le omelie, l’apostolo dell’Immacolata è stato descritto come colui che ha saputo conformarsi a Cristo perfettamente spendendo per amore la sua vita, ha preso in seria considerazione la presenza di Maria al punto che l’affidamento a lei è stato una dominante in questo processo di generosa donazione, il missionario senza frontiere in grado di seminare ovunque carità. L’uomo di oggi, particolarmente quello che crede in Cristo, ha assoluto bisogno di attingere all’esempio di padre Kolbe per ricostruire o rafforzare la propria capacità di amare. Le inumane condizioni del campo di concentramento, la barbarie che in esso avveniva è stata illuminata dalla insolita ed eroica proposta di donare la vita per un padre di famiglia da

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parte del Kolbe. La scelta d’amore del francescano polacco indica che la medesima luce i credenti di oggi sono chiamati a “gettare” sul mondo di oggi, nel quale troppo spesso prevale l’odio e la voglia di sopraffazione. San Massimiliano indica che l’amore e la vera essenza dell’uomo, ciò che lo nobilita, lo impreziosisce e lo rende più dignitoso. La carità era per padre Kolbe ed è per noi la dimensione più rilevante dell’esistenza. Egli afferma la bellezza della sua umanità e l’amore di Dio contro l’odio e la distruzione del fratello. Egli conferma ai cristiani ed agli uomini di oggi che è fondamentale testimoniare l’amore fino al dono di sé: in questo senso tutti siamo chiamati ad essere “kolbiani”, convinti e determinati assertori e testimoni della carità che prevale su ogni genere di cattiveria e di intolleranza. L’umanità trova piena realizzazione nell’essere riflesso dell’amore di Dio: è quanto il martire di Auschwitz “grida” anche ai fratelli di oggi.


La potenza senza potere

ASTERISCHI FRANCESCANI di Orlando Todisco

L’affascinante lezione di Assisi A

l cospetto di sofferenze e angustie della sua gente, Gesù Cristo dimostra potenza e potere, al punto da suscitare in tutti meraviglia e ammirazione: «Non è costui il figlio di Maria e di Giuseppe il carpentiere, si dicevano l’un l’altro?» (Mc 6, 3). Nell’ora decisiva della morte, però, quando ha voluto svelare il senso ultimo del suo messaggio, egli non dimostra alcun potere. S’impone la Croce. E l’immagine della Croce è quella della potenza senza potere. Ebbene, è questa la chiave del mistero cristiano. Non è forse il crocifisso che ricorda nel tempo la divinità di Cristo? Il centurione esclama – «costui è veramente Figlio di Dio! (Mc 15, 39)» – quando è in croce, non quando moltiplica i pani o risuscita Lazzaro, e dunque quando non ha più alcun potere. Non è solo il Crocifisso la cifra della potenza senza potere. Anche il Padre, l’Onnipotente, lo è, poiché non soccorre il Figlio nel momento più alto della Passione – «Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). Cosa, dunque, rivela la religione cristiana? La religione rivela il non potere della potenza, offrendoci il Dio in croce. È facile intenderne il significato? «Vi manderò lo Spirito” (Gv 14,16; 16,7) – dice Gesù agli apostoli sconcertati, perché ancora legati al potere. È lo Spirito che vi farà comprendere quanto ho detto e fatto – ribadisce loro Gesù – e cioè il senso della potenza senza potere. Come esprimerlo? In mille modi, dicendolo dai tetti, senza timore – ecco la sua potenza – ma senza imporre alcunché ad alcuno – assenza di potere. È la libertà creativa della Croce, dove Cristo “espone” il suo corpo, immobilizzato dai chiodi, autentico scenario della potenza senza potere. Ora, di cosa Francesco è testimone? Della potenza senza potere. È bene ricordare il 29 settembre 1220 quando, in occasione dell’assise generale dei frati, Francesco rinuncia al ruolo di superiore della famiglia, che pure aveva faticosamente partorito, affidando la responsabilità del comando a frate Elia. Egli vuole che il potere carismatico, che egli incarna, non prevalga sull’istituzione, ma ne sia l’anima ispiratrice, in maniera che la povertà, che la caratterizza, abbia la sua vera fonte e ne sia la luce. Infatti, o è carismatica o la povertà è solo miseria. E che dire della scelta di Francesco a favore dei poveri? Costoro, nell’ottica dell’ideologia sociale, non hanno alcun potere, mentre agli

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occhi dell’Assisiate si impongono come i privilegiati di Dio. La scelta dei poveri, dunque, è motivata dal fatto che sono l’immagine della potenza senza potere. Dopo aver rinunciato sulla piazza d’Assisi al diritto d’eredità paterna, Francesco rinuncia anche al diritto di fondatore, perché la libertà cristiana risplenda nel tempo come una potenza senza potere. E di cos’altro la famiglia francescana è chiamata a farsi testimone e interprete? Questa la kenosis cristiana nella versione francescana. Il suo tratto caratterizzante è la disponibilità, non il potere, come in famiglia, dove ognuno è superiore e suddito a un tempo. E in cos’altro consiste il valore universale del messaggio francescano? Nell’ottobre del 1986, in Assisi, le religioni non erano una accanto all’altra, immagini di mondi estranei. Ammirando quello scenario, non fu difficile percepire che le religioni, convocate da Giovanni Paolo II, erano legate tra loro da un filo invisibile di matrice francescana o anche, erano tutte entro lo stesso spazio teologico, inteso come potenza senza potere. È la concezione del Dio francescano che s’impone e tiene insieme tutte le religioni. Pur essendo fonte dell’essere, Dio non si propone come fondamento d’alcunché – matrice remota dei fondamentalismi – ma come sorgente del nuovo, da progettare e costruire, con fiducia e con fatica. Secondo quale stile? Lo stile della Croce, ispirato alla potenza senza potere, e cioè offrendo, dispiegando, esponendo tutto ciò che si è e si ha, come il sole, la cui luce ti illumina, ma solo se apri la finestra, o come la rosa che espone la sua bellezza, anche se non le doni uno sguardo. E ora, quelle stesse religioni, convocate per il 27 ottobre da Benedetto XVI, di cosa saranno l’immagine se non della potenza senza potere? E di cos’altro ha bisogno l’umanità? È l’affascinante lezione di Assisi!


Dossier Beato Bonaventura da PotenzaDos

Beato Bonaventura da Potenza Una storia di santità I

l 26 ottobre di 300 anni fa, a Ravello, il beato Bonaventura, alzando gli occhi al cielo e accennando un sorriso esclamò a gran voce “Ave Maria, Ave Maria, Ave Maria” e fece ritorno alla casa del Padre. Nella ricorrenza del centenario della sua morte, il comitato Pro Centenario e tutta la comunità francescana della parrocchia a lui intitolata, ha voluto ricordare questa eccellente figura a cui la città di Potenza ha dato i natali. Come ogni anno ormai, il 16 ottobre scorso numerosi fedeli si sono recati sulla sua tomba, a Ravello, per donare l’olio che alimenta la lampada votiva. Presenti i due sindaci delle città di Ravello e di Potenza che, avendo stretto una sorta di gemellaggio, hanno rimarcato come il Beato Bonavenura è l’artefice del grande legame che si è instaurato tra le due realtà, sia a livello amministrativo che religioso. Le iniziative promosse dal parroco e guardiano, padre Cosimo Antonino e dal Comitato Pro Centenario beato Bonaventura hanno visto ricchi momenti intensi di preghiera. Molto suggestiva la veglia di preghiera che come tema ha voluto sottolineare la figura del frate potentino come “modello di vita cristiana”. Tra letture e canti alternati da musiche di sottofondo si è respirato “aria di santità”. Numerosi i fedeli che hanno partecipato con interesse e grande emozione. La corale del beato Bonaventura ha impreziosito le celebrazioni eucaristiche rendendo più solenne la santa messa, presenti anche due frati domenicani che hanno concelebrato insieme al parroco. La significativa fiaccolata per le vie del quartiere, con la statua ornata di fiori, ha sigillato l’importanza dell’evento e chiuso i festeggiamenti.

La gigantografia, che resterà affissa per tutto l’anno, raffigurante il santo lucano posta sulla facciata della chiesa ha reso il clima più festoso, riportando i tanti devoti indietro di qualche mese, quando, nelle iniziative del “Maggio potentino”, promosse dal Comune di Potenza, per una settimana, il centro storico e la chiesa di San Francesco hanno visto nuovamente protagonista il beato Bonaventura da Potenza. Sì, da Potenza, “da Potentia” come recita la frase sulla lapide posta sulla sua tomba. È importante menzionarlo ogni volta perché sono ancora in tanti a non conoscere la storia di Carlo Antonio Gerardo Lavanga, nato in un vicoletto di via Pretoria e che, alla tenera età, si innamora di Cristo prima e dei frati francescani in seguito lasciando la famiglia e i suoi affetti per intraprendere una vita claustrale. Via Pretoria dopo tantissimi anni è stata lo scenario d’una processione gremita di fedeli. Potenza ha visto il suo Santo nuovamente portato a spalle dai devoti, alcuni potentini lo hanno ricordato con emozione ritornando indietro di quasi 50 anni, altri hanno capito che quella statua non era il sant’Antonio o il san Francesco, ma semplicemente un frate minore conventuale nato nel capoluogo di regione che prese il nome di Bonaventura in quanto devoto a san Bonaventura da Bagnoregio. Meravigliosa la sua storia per chi ha avuto modo di conoscerla tramite libri e biografie, sicuramente raccontarlo e farlo conoscere in un film o un documentario avrebbe reso ed incuriosito molta più gente. Prova ne sono stati i tanti film realizzati sulla storia dei santi come Francesco d’Assisi, padre Pio, Karol Woitjla. Oggi l’uomo ha bi30

sogno di vedere, di ascoltare… ha bisogno di esempi. E il beato Bonaventura è stato proprio questo, l’uomo dell’esempio, l’uomo che ha visto Cristo negli altri, l’uomo che ha ascoltato la voce di Dio. Spesso si organizzano viaggi, pellegrinaggi, visite alle tante Madonne e ai tanti santuari della “speranza” e dimentichiamo di pregare, di rivolgerci a chi ci sta più vicino, a colui che “che gioca in casa”. Eppure il frate potentino ha un ottimo curriculum, uomo di esemplari virtù, di umiltà, di obbedienza, di carità, ripeteva spesso che “chi ha fede è onnipotente e ottiene da Dio ciò che vuole”. Nelle tante iniziative del centenario, la parrocchia del beato Bonaventura da Potenza organizza ogni 26 del mese, alle ore 20, una veglia di preghiera presso la casa del beato Bonaventura, sita in via Pretoria, a partire dal mese di novembre fino a giugno prossimo.


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Beato Bonaventura da Potenza

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ntonio Carlo Gerardo Lavanga, nato nei primi giorni di gennaio del 1651 (fu battezzato il 4 gennaio) ebbe, adolescente, l’occasione di conoscere e capire lo stile della vita dei frati nel convento di san Francesco di Potenza. Egli sentì, la chiamata di Dio a quella vita interiore, una vita povera per scelta, d’ubbi dienza al superiore, di abnegazione altruista. A 15 anni entrò fra i Minori Conventuali di Nocera Inferiore, sede del Noviziato francescano. Cambiò poi il nome in fra’ Bonaventura da Potenza, quale simbolo di cambiamento totale di vita. Superate le iniziali prove, fu inviato ad Aversa e Maddaloni per approfondire gli studi in vista del sacerdozio, ma qui l’ambiente era dissimile da quello iniziale potentino che l’aveva affascinato nella sua spontanea povertà, cosicché gli si creò un disagio interiore che portò i superiori a spostarlo in un paesetto irpino e poi ad Amalfi. Qui incontrò un suo conterraneo padre Domenico Gi-

Preghiera al Beato O beato Bonaventura da Potenza, discepolo fedele del Signore nostro Gesù Cristo, sei per noi e per tutta la Chiesa un modello umile e semplice di obbedienza al Padre e di amore verso i fratelli e il prossimo: aiutaci a camminare secondo la verità del Vangelo e a cercare, come il Poverello di Assisi, Dio negli ultimi e negli ammalati. Tu, instancabile messaggero di pace e di gioia, sacerdote innamorato del Crocifisso e dell’Eucaristia, fa’ che le nostre famiglie e le comunità religiose riscoprano la fede, la via della sapienza e della perfezione evangelica. Chiedi al Signore, per noi, il dono della guarigione e della conversione: perché gli infermi ritrovino la salute e i peccatori sperimentino la gioia del perdono. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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rardelli, il quale divenne sua guida spirituale e da quello spirito ribelle e scalpitante qual’era divenne il cosciente ubbidiente e l’esecutore entusiasta di ogni parola di Dio attraverso i suoi vicari. Nel convento amalfitano cominciarono a verificarsi episodi quasi miracolosi che testimoniavano la completa fiducia in chi gli comandava qualcosa anche la più assurda. Tale semplicità d’animo gli meritò la gioia di diventare sacerdote nel 1675. Rimase ad Amalfi otto anni, vivendo in una simbiosi spirituale con l’ormai vecchio frate Domenico Girardelli; destinato a Napoli, si lasciarono in lacrime con il presentimento di non rivedersi più. Andò in vari conventi passando come un esempio vivente della povertà francescana più stretta, edificando i confratelli con la sua vita dedita tutta all’ubbidienza; era solito dire: “Signore, sono un servo inutile nelle tue mani”. Per la santità che emanava, fu incaricato di formare i nuovi frati nel Noviziato di Nocera Inferiore, dove fu maestro di un rigore di vita aspro, impegnativo, di una stima profonda della povertà. A Napoli, Ravello, Ischia, Sorrento fu tutto un susseguirsi di episodi di premonizioni che padre Bonaventura faceva a tanti conoscenti anche vescovi, nobili, confratelli, che poi con il tempo si avveravano. Vide l’anima della sorella volare al cielo mentre lui era in viaggio per raggiungerla moribonda a Potenza, così da poter invertire il viaggio di saluto ormai non più necessario. A Ravello abbracciò un lebbroso e questi guarì all’istante, ad Ischia rimase nove anni disseminando prodigi, il popolo ischitano si raccolse tutto sulla spiaggia a salutarlo quando dovette imbarcarsi per una nuova destinazione. Nel convento di S. Antonio a Porta Medina a Napoli la sua ascetica si evidenziava anche con elevazioni da terra durante le intense preghiere; la sua predicazione pur non essendo lui titolato con dottorato, era così profonda e teologica da lasciare interdetti i suoi dotti confratelli di S. Lorenzo Maggiore. La peste a Napoli scoppiata nel XVII secolo, lo vide in primo piano nell’assistenza personale degli appestati. All’inizio del 1710, ormai vecchio e malato, con i postumi di una cruenta operazione chirurgica per una cancrena ad una gamba, subita a Napoli, fu inviato al convento di Ravello e se lui non poteva scendere fra gli abitanti della Costiera, erano questi che salivano al convento per ricevere conforto, attratti dagli innumerevoli prodigi che operava. A Ravello morì il 26 ottobre del 1711, fra il pianto popolare e con il suono delle campane sciolte in un concerto di gloria. Fu Beatificato da papa Pio VI il 26 novembre 1775.


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Attingere al tesoro della Chiesa... Il significato dell’indulgenza plenaria L

a Penitenzieria Apostolica, su richiesta di fra Edoardo Scognamiglio, Ministro Provinciale dei Frati Minori Conventuali di Campania e Basilicata e per esplicito volere del Santo Padre, il Romano Pontefice Benedetto XVI, in data 10 Giugno 2011, ha concesso l’indulgenza plenaria a chi visita la chiesa conventuale di Ravello, che da trecento anni ha il prezioso privilegio di custodire le spoglie mortali del beato Bonaventura da Potenza, servo fedele del Signore e autentico discepolo del Serafico Padre san Francesco. Tale indulgenza ha validità dal giorno 26 ottobre 2011 al giorno 26 ottobre 2012.

sonale o privato, ma un fatto ecclesiale! Qualche distinzione In ogni peccato – secondo l’insegnamento classico della dottrina cristiana – dobbiamo distinguere due cose: la colpa e la pena. La colpa è la cattiva azione che offende Dio e consiste nella perdita live o grave della comunione di vita con lui; la pena è il castigo meritato a causa del peccato. Con il sacramento della Penitenza è possibile rimette la colpa e la pena eterna, se il dolore dei peccati è perfetto; altrimenti, esso rimette la colpa e cam-

Cerchiamo di capire Che cosa è l’Indulgenza? Secondo l’insegnamento della Chiesa cattolica, l’indulgenza è «la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi» (CCC, n. 1471). Dall’enunciazione della norma si evince con chiarezza che l’indulgenza è la remissione di penitenze temporali per peccati già perdonati, concessa dall’autorità ecclesiastica a chi, sinceramente pentito del male compiuto e desideroso di camminare nella luce attraverso un itinerario di conversione, compie nel quotidiano e non in maniera occasionale opere di carità e di pietà. Un altro elemento importante che è messo in luce stupendamente è la comunione dei santi, in quanto l’indulgenza non è mai solo un caso per32

bia la pena eterna in temporanea, che dovrà comunque essere scontata in Purgatorio. Ricapitolando: con l’assoluzione sacramentale della Riconciliazione è possibile rimettere la colpa e la pena eterna, ma non sempre del tutto la pena temporale dovuta ai peccati sia mortali, già rimessi, sia veniali. Qualora la pena temporale non sia scontata nella vita presente con la penitenza e le opere buone, la giustizia divina esige che sia espiata nell’altra vita, cioè in Purgatorio. Le indulgenze sia parziali che plenarie sono un mezzo assai efficace e alla portata di tutti per evitare, come dicono alcuni,


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i castighi di Dio e le pene del Purgatorio. L’impegno del penitente Lo studioso padre Giuseppe da Corlo afferma che bisogna fare il possibile per riparare le proprie colpe. La semplice giustizia lo esige. L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Il peccatore dunque deve fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve soddisfare in maniera adeguata o espiare i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche “penitenza”. Può consistere in una pre-

ghiera, in un’offerta, nel servizio del prossimo, in sacrifici e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare. La soddisfazione o penitenza è l’opera buona che il confessore impone al penitente a castigo e a correzione del peccatore ed a sconto della pena temporanea meritata peccando. La penitenza è opportuno farla al più presto, se il confessore non ha assegnato il tempo. Poiché poi la penitenza sacramentale non basta ordinariamente a liberare da tutta la pena temporanea, conviene supplire con opere di carità, di pietà e con le indulgenze.

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La mediazione della Chiesa L’indulgenza può essere parziale o plenaria secondo che liberi in parte o del tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati. Questo lo sa Dio solo. Tutto si compie comunque non in modo magico, ma come preghiera e come suffragio. Tant’è vero che si preferisce parlare di indulgenza e non di indulgenze. La si ottiene mediante la Chiesa che, in virtù del potere di legare e di sciogliere accordatole da Gesù Cristo, interviene a favore di un cristiano e gli dischiude il tesoro dei meriti di Cristo e dei santi perché ottenga dal Padre delle misericordie la remissione delle pene temporali dovute per i suoi peccati. Così la Chiesa non vuole soltanto venire in aiuto a questo cristiano, ma anche spingerlo a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità. L’opera di riconciliazione avviene con la mediazione della Chiesa. Con l’indulgenza, quindi, noi beneficiamo di un preziosissimo tesoro di grazia – e siamo chiamati a mettere a frutto, nella santità della vita, quello che riceviamo. L’indulgenza ci ricorda che Dio è sempre pronto, come attesta la Scrittura, a tenderci la mano, ad usarci misericordia, a condonare tutto e subito, quando, sinceramente pentiti per il male compiuto, decidiamo di aprire il nostro cuore a Lui. Il beato Bonaventura da Potenza, che si è nutrito quotidianamente del pane della vita e che è stato, nel fecondo esercizio del suo ministero sacerdotale, penitente e confessore, ci congeda di vivere questo anno di grazia compiendo la volontà di Dio e di essere persone riconciliate con sé, con Dio e con gli altri.


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“Santo di nostra terra...” Il beato Bonaventura in arte e musica F

iore all’occhiello dello speciale evento vissuto a Potenza, è stata la realizzazione della mostra fotografica multimediale “Santo di nostra terra” che ha voluto raccontare con immagini e video multimediali la vita del beato Bonaventura da Potenza. La mostra, ben allestita nel salone parrocchiale, tra profumo d’incenso e sottofondi musicali, è stata curata dal Comitato Pro Centenario beato Bonaventura ed è stata divisa in quattro sezioni. Di particolare interesse la prima sezione contenente sedici immagini con didascalia che raccontano la vita del frate lucano e il legame con il nostro territorio. Uno spazio è stato dedicato anche alla visione di numerosi articoli di giornale. Infatti, si può ammirare una ricca rassegna stampa a partire dal 1950 a oggi. All’interno dello spazio espositivo si può ammirare anche un’area emozionale in cui potersi soffermare a riflettere sull’uomo santo. Belle le foto riguardanti la peregrinatio del 1962 e quella del 2006, le uniche date in cui il corpo del beato Bonaventura è stato rimosso dall’altare di Ravello per far tappa a Potenza. Di notevole apprezzamento anche l’illustrazione pittorica, realizzata appositamente per il trecentenario da un’artista napoletana, Lucia Fiore che ha raccontato passo per passo, la vita del frate francescano. Un esempio di arte votiva che parte dalla semplice e profonda fede la quale segna ogni singola pennellata di quella che è stata la vita, la vocazione, l’apostolato, l’opera e la devozione riguardante il “Pellegrino della costiera”. Venticinque anni di ricordi e di emozioni, tra documenti e registri gelosamente custoditi in appositi contenitori che ripercor34


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rono la storia della giovane comunità francescana a rione Malvaccaro. Unica chiesa al mondo, intitolata al frate potentino, voluta nel 1986, in un quartiere nato per i terremotati dell’Ottanta del secolo scorso, dall’allora parroco padre Giovanni Ricciardi. Negli anni i fedeli diventavano sempre più numerosi tanto da dover costruire una parrocchia più grande e più funzionale per la comunità parrocchiale e non solo. “Dal sogno al segno”, la realizzazione di un luogo di culto più capiente, di stile moderno che per tanti era un sogno divenuto realtà. Una casa del Signore degna di portare il nome del beato Bonaventura, uomo innamorato di Dio che ha riconosciuto nell’indossare il saio francescano il vero amore, quello che “fa vedere”, quello che “fa agire”. Da sottolineare anche il meraviglioso concerto “Canto, musica e risonanza francescana” tenutosi in chiesa. L’amore e la semplicità con cui sono stati eseguiti i canti hanno reso il clima intenso di emozioni grazie all’esecuzione spettacolare di Vittorio Vitelli voce e chitarra, Chiara Vitelli al violino, Nunzio Quero al piano e Raffaele Bifulco al flauto. Un gruppo di Pisticci che, per la semplice passione alla musica, hanno pensato bene di lodare Dio cantando alla maniera di Francesco d’Assisi. Come dei veri “Giullari del Signore” hanno trasmesso e donato ad una platea numerosa un’ora di pura e perfetta letizia. Insomma il parroco, la comunità e tutta la famiglia francescana hanno vissuto una quattro giorni intensi di preghiera e di ascolto, fiduciosi che nel libro dei Santi in cielo venga presto annoverato il Beato Bonaventura da Potenza. ANGELA PECORA

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PENITENZERIA APOSTOLICA Prot. N. 1274/10/I BEATISSIMO PADRE, Edoardo Scognamiglio, Ministro Provinciale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali di Napoli e della Basilicata, esprime alla Tua Santità con tutto l’animo i sentimenti della dovuta obbedienza e filiale venerazione e umilmente espone: il giorno 26 ottobre del 1711, a Ravello presso Amalfi, nella pace del Signore moriva Bonaventura da Potenza, presbitero dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali che eccelse su tutti per obbedienza e carità; a lui il 26 novembre 1775 dal Sommo Pontefice Pio VI furono resi gli onori dei Beati del cielo. Per celebrare santamente questa terza secolare felice memoria, dal giorno 26 ottobre 2011 fino al 26 ottobre 2012 nella chiesa conventuale di san Francesco in Ravello, dove le spoglie del Beato sono devotamente custodite, si terranno specifiche sacre funzioni e varie iniziative spirituali, con l’intento di promuovere nei fedeli una utile (salutare) devozione verso il celeste Patrono e, con il suo aiuto, conformare i loro costumi più intensamente al divino Vangelo. Perché si apra più abbondantemente il tesoro della divina grazia ai fedeli che parteciperanno alle sopra dette celebrazioni, l’Eccellentissimo predetto richiedente implora dalla Tua Santità il dono dell’Indulgenza. Il giorno 9 giugno 2011 La Penitenzeria Apostolica, per speciale mandato del Sommo Pontefice, confermando assai volentieri la Sua paterna benevolenza, concede l’Anno Giubilare in onore del Beato Bonaventura da Potenza con annessa Indulgenza plenaria, alle solite condizioni (Confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice) da lucrarsi dai fedeli veramente pentiti, che possono anche applicarla a modo di suffragio per le anime dei fedeli trattenute in Purgatorio, se dal giorno 26 ottobre 2011, nel quale si apriranno le celebrazioni, fino al giorno 26 ottobre 2012, nel quale solennemente si chiuderanno, visiteranno devotamente in forma di pellegrinaggio la chiesa conventuale di san Francesco in Ravello e ivi parteciperanno ad una sacra funzione giubilare, o almeno per un congruo spazio di tempo si dedicheranno a pie meditazioni, da concludersi con il Padre Nostro, il Credo e le invocazioni della Beata Vergine Maria e del Beato Bonaventura da Potenza. Gli anziani, i malati e tutti coloro che per grave causa (legittimi motivi) non possono uscire di casa, parimenti potranno acquistare l’Indulgenza Plenaria, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato e con l’intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni, se si uniranno spiritualmente alle celebrazioni giubilari o ai pellegrinaggi, offrendo a Dio misericordioso per mezzo di Maria le loro preghiere e i loro dolori, o gli stessi incomodi della propria vita. Perché l’accesso al perdono divino attraverso le chiavi della Chiesa diventi più facile per la carità pastorale, questa Penitenzieria vivamente prega i sacerdoti, forniti delle opportune facoltà per ricevere le confessioni, di rendersi disponibili con animo pronto e generoso alla celebrazione della Penitenza. Il presente decreto ha validità per l’Anno Giubilare in onore del Beato Bonaventura da Potenza. Nonostante qualsiasi altra disposizione in contrario. Fortunato S.R.E. Cardinal Baldelli Penitenziere Maggiore + Giovanni Francesco Girotti, O. F. M. Conv. Reggente 36


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PENITENZERIA APOSTOLICA Prot. N. 1275/10/I DECRETO La Penitenzeria Apostolica, in forza delle facoltà ad essa concesse in modo specialissimo dal santissimo Padre in Cristo e Signore Nostro, Papa per Divina Provvidenza Benedetto XVI, all’Eccellentissimo e Reverendissimo Mons. Orazio Soricelli, Arcivescovo di Amalfi – Cava de’ Tirreni, o per suo consenso ad un altro Prelato insignito della dignità episcopale, benignamente concede che, in occasione del Giubileo del Beato Bonaventura da Potenza, nella Chiesa conventuale di San Francesco in Ravello, in un giorno stabilito per l’utilità dei fedeli, dopo la celebrazione del divin Sacrificio, imparta a tutti i fedeli presenti che, con animo completamente distaccato da ogni affetto peccaminoso, hanno partecipato ai sacri riti, la papale Benedizione con annessa Indulgenza Plenaria da lucrare alle solite condizioni (Confessione sacramentale, Comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice). I fedeli che devotamente avranno ricevuto la Benedizione papale, anche se, per un ragionevole motivo, non sono stati presenti di persona ai sacri riti, purché abbiano seguito con pia attenzione gli stessi riti, mentre si svolgevano, attraverso la televisione o la radio, potranno ottenere l’Indulgenza plenaria secondo la norma del diritto. Nonostante alcuna disposizione in contrario. Dato a Roma, dal Palazzo della Penitenzeria Apostolica, il 10 giugno dell’anno dell’Incarnazione del Signore 2011. Fortunato S.R.E. Cardinal Baldelli Penitenziere Maggiore + Giovanni Francesco Girotti, O. F. M. Conv. Reggente

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Omelia di Sua Eminenza il Cardina La memoria liturgica del beato Bon C

arissimi fratelli e sorelle, il Signore vi doni la sua pace! È un momento di grazia quello che stiamo vivendo. Celebrare, infatti, la nascita al Cielo di fra Bonaventura da Potenza, frate minore conventuale della Provincia religiosa di Napoli e Basilicata, significa, anzitutto, ritornare alle cose che contano, all’essenziale, cioè a Dio e al primato della vita spirituale. Saluto particolarmente il Ministro Provinciale di Napoli e Basilicata, fra Edoardo Scognamiglio, i confratelli, i presbiteri concelebranti e tutti i fedeli devoti del beato Bonaventura. Il povero fraticello di Potenza è un modello singolare di obbedienza e di operosa carità verso i fratelli e un degno figlio del serafico padre san Francesco che si fece in tutto simile a Cristo. È proprio vero che il Signore ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, e ciò che è debole per turbare i forti, e ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e nulla per ridurre a niente le cose che sono. Fra Bonaventura da Potenza, uomo dell’ascolto della Parola di Dio e pellegrino del Vangelo, sembra dirci dal silenzio di questa sua dimora che nessuno può gloriarsi davanti a Dio e alla forza del suo amore. Per questo testimone della fede e della carità, il Signore è stato veramente il suo unico bene: in Dio, infatti, il beato Bonaventura trovava rifugio, conforto, gioia, speranza, aiuto, sostegno. Il suo cuore e la sua mente erano sempre inclini a compiere la volontà del Signore come del ministro provinciale e dei suoi superiori. Fra Bonaventura ha considerato sul serio, per tutta la sua esistenza, le parole di Gesù: «Non chiunque dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del

Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Cristo è la roccia sulla quale anche noi dobbiamo fondare la nostra casa, cioè la nostra vita, come anche le nostre comunità, famiglie, Chiese. Abbiamo bisogno di fare, come il Beato Bonaventura da Potenza, un’esperienza viva dell’amore di Gesù e di cantare la misericordia del Padre con la nostra vita, con il buon esempio. Lo stesso serafico padre san Francesco si è sempre posto in atteggiamento contemplativo e sapienziale di fronte al Vangelo vivo, Gesù Cristo crocifisso e risorto, e ha fatto propria l’immagine del pellegrino e del forestiero in questo mondo. D’altronde, si sa, l’ascolto è, nella concezione biblica dell’uomo e dello stesso rapporto tra Dio e Israele, questione di vita o di morte. Chi apre il cuore e la mente alla parola di Dio è salvo. Chi, invece, è ostinato e indurito nel cuore, ha vita breve. Così è per la categoria biblica dell’esodo: chi si rifiuta di camminare, di attraversare il deserto, allora è perduto, considerato morto. Il non muoversi, il non incedere con il passo, è segno di vuoto spirituale, di aridità che non lascia scampo. C’è, allora, un significato positivo dell’appellativo “martire dell’obbedienza” con il quale è invocato il beato Bonaventura da Potenza: egli è tale perché testimone-segno di chi sa aprirsi alla rivelazione di Dio e camminare secondo i dettami della coscienza e della stessa volontà dell’Onnipotente. In lui c’era veramente un cuore nuovo, segnato dall’amore dello Spirito di Cristo. In una società come la nostra, malata di parole, di visioni, di edonismo, di ostentazione del potere e della ricchezza – ove ciò che conta è apparire e raggiungere una postazione media38

tica su blog e internet –, la lezione umile del beato Bonaventura da Potenza, pellegrino di Dio e viandante dell’Amore, è senz’altro contro testimonianza, un valore efficace del Vangelo vivo praticato dagli umili e dai semplici. Educare le famiglie, i giovani, ma anche noi stessi alla vita buona del Vangelo, al significato autentico della felicità e della gioia, significa riscoprire con una certa urgenza la categoria dell’ascolto, quella dimensione del silenzio che biblicamente ci è data nell’immagine del deserto. Il deserto è lo spazio che Jhwh dona a Israele per parlare al suo cuore, per sedurre la sua gente, per liberarla dal male, dall’idolatria, dalla prostituzione: «Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). È attraverso la condizione esodale del deserto che Dio ci parla e si rivela a noi nei piccoli segni ed eventi della nostra storia. È nel deserto che comprendiamo che tutto è grazia, dono. Carlo Antonio Gerardo Lavanga, è questo il nome di battesimo del frate francescano lucano, è un anawim, cioè un povero di Jhwh – letteralmente “un curvato” –, che ripone nell’Onnipotente ogni attesa e speranza. La pratica dell’obbedienza, della povertà, della castità, dell’umiltà, dell’amore verso gli ultimi, trova la radice in quell’Amore sconfinato del divino che allarga le ristrettezze di ogni cuore sensibile Parola che procede dall’Eterno Silenzio, il Padre. Chi si apre a Dio ne risulta trasformato, cambiato. Dio è al centro della vita del Beato. Educare alla vita buona del Vangelo le nuove generazioni significa riscoprire chiaramente la differenza tra il biso-


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ale Crescenzio Sepe navaentura da Potenza gno d’essere, di Dio, della sua ricchezza-dono come causa, fonte, origine della nostra esistenza, e l’essere di bisogno, di contingenza, che emerge di volta in volta nella nostra vita e che soddisfiamo nel vuoto dei piccoli bisogni, del consumismo, come anche nella ricerca di un Dio tappabuchi che soddisfi tutte le nostre richieste e risolva tutti i nostri malesseri. Chi si mette in ascolto della Parola, prima o poi compierà un itinerario di conversione e di trasformazione che gli permetterà di entrare in intimità con Cristo. Se i santi sono una luce che l’Onnipotente pone sul nostro cammino, allora, il Beato rappresenta un faro che orienta la grande nave che è la Chiesa. Certamente, l’unica Luce di cui risplendono i santi è il Cristo stesso, agnello senza macchia, risorto per la nostra salvezza. Egli, luce della vita, risplende nella storia di santità dei suoi discepoli e fedeli testimoni. Il vissuto di santità del nostro Beato ha come punto di riferimenti tre grandi amori: l’Eucaristia, il Crocifisso e la devozione alla Vergine Maria. Si tratta di una fede vissuta nell’amore verso i poveri e i fratelli. Il Beato è stato un personaggio scomodo per il suo tempo: ha superato la mediocrità di una società religiosa malata e opulente, borghese e accomodante, come altresì dialogato con il potere della ragione e della cultura che si affacciava all’inizio della piena modernità, destinata poi a creare un forte divario tra fede e ragione, fino alla deriva della post-modernità. L’attenzione del Beato verso i poveri e i derelitti è nient’altro che una risposta all’Amore che sana e libera. La cura dei peccatori e delle anime, degli infermi e degli appestati, è il tentativo di

ricambiare il dono dell’amore crocifisso per noi. Dunque, il modo d’essere e d’agire del Beato mi seducono: perché testimoniano un altro stile di vita che è fondato sul nascondimento, sull’essenziale. Educare alla vita buona del Vangelo, oggi, in un mondo che è già cambiato, significa scoprire le radici dell’Amore, il suo significato più profondo. L’Amore, ci direbbe il Beato oggi, “fa vedere” e “fa agire”. Chi si sente amato da Dio non può non ricambiare questo amore nei fratelli, nel prossimo, nell’uomo della strada come nel ricco. L’Amore, in quanto Agape, ci direbbe oggi fra Bonaventura da Potenza, è la risposta al problema dell’uomo e al significato dell’esistenza. L’Amore ci personalizza, di fa esistere, ci riempie di gioia, colora la nostra vita. Chi ama si dona completamente e non si ripete, mai. Chi ama vede in profondità i bisogni dell’altro e vede lo stesso Dio e Signore nostro Gesù Cristo nel povero, nell’infermo, negli ultimi… L’amore che ci sospinge verso il prossimo non è liquido, instabile, eterno finché dura, bensì segno della fedeltà di Dio a noi, all’uomo, alla storia. Si tratta di amare come Gesù, fino alla fine, proprio tutti. È qui il segreto della vera gioia, della libertà. Si è liberi nella misura in cui ci si dona completamente agli altri, a Dio, ai fratelli, senza calcoli, senza riserve, senza salvarsi. Il beato Bonaventura aveva una profonda conoscenza del senso del peccato; suo fu, infatti, il dono delle lacrime per la sua povertà rispetto all’amore di Dio. Celebrare in questo tempo il terzo centenario della nascita al cielo del beato Bonaventura da Potenza significa per me – e spero anche per i frati della Provincia religiosa di Napoli e Basilicata e per quanti sono

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amici e devoti del Beato – ritornare alle cose che contano, cioè a Dio e al suo amore per noi. È il primato di Dio che sempre deve emergere nella nostra vita. Mi seduce, del Beato, la sua capacità d’intessere legami veri, relazioni profonde. Lo immagino per i viottoli della costiera e i vicoli di Ravello svolgere il suo apostolato, fermandosi con tutti. Lo vedo nella Napoli indaffarata e già chiassosa della modernità mentre tende la mano ad appestati e mendicanti, travolti dalla folla che s’agita a porta medina o nei quartieri spagnoli. Lo intravedo a dialogare con dotti e sapienti, uomini di scienza e di cultura, dell’antico borgo potentino, senza celare il messaggio di Cristo. No, quelle del Beato non sono state relazioni virtuali, bensì reali. I suoi propositi di santità e di conversione non sono apparsi lettera morta, ma Vangelo vivo! Fra Bonaventura vedeva nell’uomo la via per arrivare a Dio. Il convento era, per lui, il luogo per ritrovarsi intimamente con il Signore e i fratelli, ma poi diventava centro d’irraggiamento del Vangelo, cioè un punto di partenza. La sua cella non era una tana dove rifugiarsi per isolarsi dal mondo, bensì dimora per incontrare Dio e nutrirsi del suo amore. Guardando al vissuto di fra Bonaventura da Potenza è facile riconoscere che la vita consacrata, come altresì l’annuncio del Vangelo, ha ancora senso oggi ed è vera profezia per il mondo, segno forte del Regno che avviene nella storia per la salvezza di tutti. Possa questo nostro fratello, innamorato di Gesù crocifisso e della Vergine Maria, ottenere per noi dal Signore, il dono della santificazione e del rinnovamento spirituale! Ravello, 26 ottobre 2011


DAL POSTULATO

Riprende il cammino formativo dei giovani postulanti R

iportiamo una parte dell’intervista rilasciata dai giovani postulanti di Benevento che provengono da diverse zone del Meridione d’Italia. A questi giovani, insieme alla comunità dei frati di Benevento, auguriamo, di vero cuore, un buon cammino formativo e spirituale. Sia in loro la gioia di Francesco e la stessa fiducia che il beato Bonaventura da Potenza manifestò innanzi alla volontà dei superiori. Ci siamo incontrati per formare una famiglia, avendo come fondamento Gesù Vangelo vivente, sull’esempio del Serafico Padre San Francesco! Riprendono il cammino formativo

come postulanti del secondo anno: Massimiliano Volante (Enna), Davide Ferdico (Palermo), Salvatore Lentini (Villarosa, Enna). Per il primo anno, dalla Sicilia sono giunti: Filippo Scarcella (Xitta, provincia di Trapani), Giacomo Mangano (Palermo). Dalla Campania e dalla Calabria, invece, sono arrivati per il primo anno: Bruno Giordano (Salerno), Carmine Pipiciello (Pannarano, Benevento), Domenico Di Nardo (Napoli), Mario Ravanni (Maddaloni), Eugenio Cimino (Catanzaro) e Renato Aliotta (di Roma, ma proveniente da Gela). Siamo pronti per iniziare un cammino che ci vede attenti a formare

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una fraternità, che si appresta a vivere in totale abbandono tra le braccia amorose di Maria Madre di Dio e Madre nostra. La comunità che ci accoglie e ci accompagna è costituita da: fra Antonino, rettore e guardiano; fra Ireneo, vice rettore e collaboratore del centro missionario di Benevento; fra Antonio “la colonna portante della nostra comunità”; fra Stephen, responsabile del centro missionario di Benevento; fra Luciano, economo della casa. Con il loro esempio e la loro esperienza, ci aiuteranno a intraprendere il cammino per realizzare il progetto di Dio in noi. Sosteneteci con la vostra preghiera!


ARTE di Paolo D’Alessandro

Le figure presepiali dei magi a S. Lorenzo Maggiore D

ei magi ci parla il vangelo di Matteo (2,1-12). Sono “sapienti”, “esperti” in astrologia, persone che sanno vedere e riconoscere in Gesù Bambino il “re dei Giudei”. Matteo li ricorda al plurale ma non specifica il loro numero. In base ai tre doni: oro, incenso e mirra che i magi offrono a Gesù s’impose il numero di tre. Essi sono stati indicati come “re” per la ricchezza di questi doni e il richiamo ad alcuni testi dell’Antico Testamento (Sal 72,10-11; Is 60,6.10). L’evangelista Matteo vuole indicare che i pagani, qui rappresentati dai magi, cercano Dio e per trovarlo non misurano la strada né il pericolo che possono incontrare durante il percorso. Vengono da Oriente, come da Oriente era partito anche il patriarca Abramo per seguire le indicazioni di Dio. Mentre il popolo non riconosce Gesù e il re Erode ne decide la morte, i magi si muovono stimolati da una stella. Essa ricorda che Dio si serve di cose e di avvenimenti per farsi conoscere e per rivolgere la sua Parola. Matteo li presenta come persone umili che vanno a chiedere spiegazioni al re Erode, il quale non conoscendo la risposta, interpella gli esperti della Sacra Scrittura. In questo modo, l’evangelista insinua che la risposta alle nostre domande profonde può giungere solo dalla parola di Dio. I magi, ricevute le informazioni, vanno a Betlemme, e “entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11). Essi percorrono tanta strada per venire a vedere un bambino, come tanti altri. Sono allora persone che sanno vedere con “occhi interiori”, i soli che mostrano che quel bambino non è un bimbo qualsiasi, ma il ‘re del Giudei’. E lo adorano. Trovato il bambino, ritornano gioiosi alla vita normale. Per un’altra strada, perché la loro vita è ormai cambiata. Oltre al Vangelo di Matteo dei magi ne parlano anche i vangeli apocrifi. Il Protovangelo di Giacomo, probabilmente anteriore al IV secolo (capp. 21-23); il Libro dell’infanzia del Salvatore, circa IX secolo (capp. 89-91); il Vangelo dello Pseudo Matteo, verso il VI secolo (capp. 16-17); il Vangelo Arabo dell’infanzia del Salvatore, circa la metà del VI secolo (capp. 7-9); il Vangelo Armeno dell’infanzia, fine VI secolo (cap. V, 10), che ci riferisce anche i nomi, accettati poi normalmente nella tradizione: “I re magi erano tre fratelli: Melchiorre, che regnava sui persiani, poi Baldassare che regnava sugli indiani, ed il terzo Gaspare che dominava sul paese degli

arabi”. È anche interessante che il “Libro della Caverna dei Tesori”, scritto nel V secolo d.C., ma riferentesi a un testo siriaco più antico, descrive i magi come Caldei, re e figli di re, in numero di tre. Nell’iconografia delle origini, i magi sono presentati con gli abiti dei loro paesi. Dal XV secolo vengono gradualmente raffigurati con gli abiti del tempo fino a raggiungere il massimo splendore nel presepe napoletano del XVIII secolo con straordinari costumi ricamati con rifiniture in filo d’oro e d’argento. Uno di questi esempi lo troviamo anche nella collezione delle figure presepiali del XVIII secolo del Museo dell’Opera di S. Lorenzo Maggiore di Napoli. Qui i tre re magi, come le altre figure presepiali presenti, hanno il corpo in fil di ferro e stoppa, testa, mani e piedi in terracotta o legno policromo e occhi di vetro. Il re magio anziano, Melchiorre, è alto 50 centimetri, ha un viso ovale di carnagione rosea, capelli e barba lunghi, ondulati, di color grigio. Indossa un abito sontuoso: un ricco panciotto e brache di seta bianca con ricami in oro e perle; una cintura di seta dello stesso colore azzurro dei manicotti; indossa poi una giubba di seta rossa ricamata ancora con oro e perle e un lungo mantello in broccato verde chiaro, bordato d’oro. Calza inoltre dei lunghi stivali neri a punta. Il re magio moro, Baldassarre, è alto 60 centimetri e ha, come vuole la tradizione, sembianze somale: labbra carnose, carnagione scura e capelli ricci. Egli è presentato in tutta la magnificenza del portamento consono al ruolo rivestito, sottolineato dall’abito indossato. Sotto porta una camicia bianca di cotone con sopra un panciotto giallo laminato in argento. Indossa delle brache di seta azzurra. Porta poi un lungo cappotto di seta bianca. Il manto è in damascato azzurro con galloni in oro lungo i bordi e sulle spalle è arricchito anche con frange d’oro. Il tutto è foderato con seta rossa. Le gambe sono dipinte di azzurro per indicare le calze di questo colore. Calza inoltre stivaletti rossi. Nella mano sinistra regge un turbante di cotone bianco raccolto in cima da una stoffa di seta rossa laminata in oro. Il re magio giovane, Gaspare, è alto 60 centimetri. Ha il viso chiaro, acceso dalle gote rosse, i capelli castani e una barba corta. Indossa uno straordinario costume composto da un cappotto in raso bianco con due maniche a punta frangiate d’oro. Sotto ha un panciotto blu ricamato in oro con sopra una cintura di seta.

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EVENTI

Aversa, Convento S. Anton Professione temporanea O

Vietri sul mare (Sa)rroci Cimp Convegno dei pa mp Convegno dei parroci Ci li S. Lorenzo M. - Napo

Aversa, Convento S. An Incontro di formazione tonio per gu

ardiani e parroci

Napoli, Libreria Paoline Ministro Provinciale Lectia divina tenuta dal

Assemblea Regionale Ofs Pietrelcina (Bn)

Celebrazione eucaristica della comunitĂ conventuale di Salerno a Ravello (Sa)

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Due momenti celebrativi della comunitĂ conventuale di Salerno


nio Ofs

Maddaloni (Ce), incontro formativo e promessa araldini

Montella (Av), ritrovamento della tela di S. Francesco

Portici, Convento S. Antonio Incontro per i giubilei della Provincia

Pala Argine di Ponticelli (Na) Celebrazione dello Spirito di Assisi

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Portici, Convento S. Antonio IVisita fraterna dei postulanti


(continua da pagina 27) In questo periodo risalgono due dei suoi scritti più importanti: il primo è un libretto che intitolò Le parole celate. Scritto in forma di compilazione di aforismi morali, il volume contiene il nucleo etico del messaggio di Baha’u’llah; la seconda delle grandi opere fu il Libro della certezza, un’ampia trattazione sulla natura e sullo scopo della religione. In passi che si rifanno non solo al Corano, ma con altrettanta facilità e penetrazione al Vecchio e al Nuovo Testamento, i messaggeri di Dio sono descritti come agenti di un unico processo ininterrotto: il risveglio di una razza umana alle proprie potenzialità spirituali e morali. Un’umanità divenuta maggiorenne ha la capacità di rispondere a un tipo di linguaggio che va al di là delle parabole e delle allegorie. La fede non è solo una questione di ceca credulità, ma di conoscenza consapevole. Il fanatico clero musulmano si lamentò più volte con le autorità finché il governo di Persia si unì con alcuni funzionari dell’impero Ottomano per far spostare ulteriormente Baha’u’llah dalla sua terra natia nella città di Costantinopoli. Pochi giorni prima della sua partenza, Baha’u’llah si trasferì per dodici giorni, dal 21 aprile al 2 maggio del 1863, ove dichiarò di essere il promesso di tutte le ere, colui che era stato predetto dal Bab. Baha’u’llah fu trasferito a Costantinopoli e, successivamente, ad Adrianopoli, ove scrisse le Tavole ai re e governanti del mondo richiamandoli ad abbandonare i metodi oppressivi e a dedicarsi al benessere del loro popolo. Poi fu esiliato ad Akka, in una cella dove nemmeno ai suoi figli era permesso vederlo. Ma le condizioni di imprigiona-

mento gradualmente cambiarono. Dopo qualche anno le porte della città-prigione furono aperte a Baha’u’llah e ai suoi seguaci. Gli fu finalmente permesso di vivere in un ambiente relativamente più confortevole in quella che oggi noi conosciamo come la prigione di Bahji. Oggi i suoi insegnamenti continuano a diffondersi in tutto il mondo. Sebbene sia stata fondata un secolo e mezzo fa in Iran, la fede baha’i è oggi tra le religioni del mondo che stanno crescendo più rapidamente. Con oltre 5 milioni di seguaci, residenti in tutte le parti del pianeta, la sua diffusione geografica è seconda solo al cristianesimo. I baha’i vivono oggi in oltre 100mila località del mondo, un’espansione che rispecchia la loro dedizione all’ideale della cittadinanza mondiale. I baha’i provengono da tutte le nazioni, da vari gruppi etnici, da diverse culture e classi sociali. I membri sono accumunati dal desiderio di vivere una vita ispirata ai principi di Baha’u’llah, che affermò di essere il messaggero di Dio per questa epoca. Egli affermò che esiste un solo Dio, che c’è una sola razza umana e che ciascuna delle religioni del mondo rappresenta uno stadio diverso della rivelazione della volontà e dello scopo di Dio per l’umanità. Come tutte le sacre scritture del mondo hanno predetto, è giunto il momento dell’unione di tutti i popoli in una società globale pacifica e integrata: “La terra è un solo Paese e l’umanità i suoi cittadini”. Per realizzare l’unità del genere umano è necessaria la cooperazione tra i popoli, al di là dei pregiudizi di razza, di sesso ed etnia. È fondamentale una mente aperta e ricettiva in grado di ricercare la verità in modo libero e indipendente. Perché la verità è una al di là dei modi in cui si manifesta.

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CINEMA di Giuseppina Costantino

Scialla! (Stai sereno)

originale nel panorama del cinema italiano contemporaneo. Perché Francesco Bruni non vuole proporci l’ennesima commedia generazionale, non vuole spacciarci volgarità a buon mercato ma nemmeno propinarci un’opera prima autoriale. Vuole qualcosa di più e di diverso. Ci vuole innanzitutto ricordare che una sceneggiatura che funzioni ha bisogno di un costante ancoramento alla realtà. Bruni racconta un adolescente vero, non un ragazzo immaginato al chiuso di una stanza e poi riversato sulla tastiera di un iPad. Così come nell’inedia di Beltrame ritrae una parte di questa nostra società italiana che si è ormai ritratta, per perdita di fiducia anche nelle proprie capacità, dall’interazione. L’incontro tra Bruno e Luca cambia entrambi ma senza che sia necessario spingere sull’acceleratore della commozione che la relazione padre non conosciuto/figlio avrebbe potuto suggerire. Molto più semplicemente ed efficacemente, Scialla! ci dimostra che anche l’adolescente più recalcitrante e apparentemente impermeabile a ogni stimolo che vada al di là dei bisogni primari è alla ricerca (molto spesso inconsapevole) di una guida. Nel film non c’è mai un momento in cui si possa individuare il benché minimo sentore di un atteggiamento predicatorio. Eppure riesce a ricordarci quanto famiglia e scuola debbano trovare una convergenza d’intenti che abbia al centro i ragazzi. Sempre più difficili da comprendere ma forse proprio per questo più bisognosi di sostegno. Lo fa con il romanesco brillante di Luca e con il veneto (meglio ancora:il padovano) sornione di Bruno. Facendoci ridere e sorridere ma con i neuroni in attività.

Il felice esordio alla regia di uno sceneggiatore di qualità Regia: Francesco Bruni. Attori: Fabrizio Bentivoglio, Barbora Bobulova, Filippo Scicchitano, Giuseppe Guarino, Prince Manujibeya. Genere: Commedia, Produzione: Italia, 2011. Durata: 95 minuti circa. Bruno Beltrame ha tirato i remi in barca, e da un bel po’. Del suo antico talento di scrittore è rimasto quel poco che gli basta per scrivere su commissione “i libri degli altri”, le biografie di calciatori e personaggi della televisione; la sua passione per l’insegnamento ha lasciato il posto a uno svogliato tran-tran di ripetizioni a domicilio a studenti altrettanto svogliati, fra i quali spicca il quindicenne Luca, ignorante come gli altri, ma vitale e irriverente. Un bel giorno la madre del ragazzo si fa viva, come un fantasma dal passato, con una rivelazione che butta all’aria la vita di Bruno: Luca è suo figlio, un figlio di cui ignorava l’esistenza. Non solo: la donna è in procinto di partire per un lavoro di sei mesi da cooperante in Africa, e il ragazzo non può e non vuole certo seguirla laggiù. La donna chiede a Bruno di ospitare a casa sua il ragazzo, e di prendersi cura di lui, ma senza rivelargli la sua vera identità. Inizia così la vicenda del film di un ottimo sceneggiatore che un produttore illuminato come Beppe Baschetto ha finalmente fatto alzare dalla sedia collocata davanti al computer per metterlo al comando di quella ciurma (che immaginiamo divertente e divertita) che ha realizzato un film che trova una sua collocazione

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IN BOOK La Redazione U. SARTORIO, Fare la differenza. Un cristianesimo per la vita buona, Collana Teologia-Saggi, Cittadella Editrice, Assisi (Perugia) 2011, pp. 249, Euro 15,80.

E

ducare alla vita buona del Vangelo nel tempo della post-modernità non è cosa facile. Il Tutto cede il posto al Frammento: non c’è più la ricerca della Verità e si determina soltanto la propria visione delle cose e del mondo. Nell’era globale e del dominio della tecnica e delle scienze, la proposta cristiana appare quasi impossibile o, comunque, si presenta come una missione difficile. La risposta può venire dalla categoria della “differenza” che costituisce la vita cristiana quale esistenza ricevuta in dono e da restituire liberamente al Signore per il bene dei fratelli e del mondo. L’efficacia dell’annuncio di quella vita buona che sgorga dal Vangelo di Gesù dipenderà sempre di più dalla capacità del pensiero e della testimonianza dei cristiani di farsi pazientemente e criticamente carichi di ciò che oggi possiamo e dobbiamo nominare la fatica postmoderna del credere.

P. GISEL, Che cosa è una religione?, Collana Gdt 351, Queriniana, Brescia 2011, pp. 173, euro 14. ttraverso un approccio storico-critico, filosofico, teologico e sociologico, l’autore di questo breve saggio, se pur non in maniera sistematica, indaga i contenuti e le definizioni del fatto religioso e dell’esperienza del sacro dal punto di vista non solo oggettivo (i contenuti della fede) ma anche e soprattutto soggettivo (il vissuto del credente). Sono fluttuanti i confini del termine “religione”; la stessa domanda “Che cosa è una religione?” resta un interrogativo aperto. In questa indagine sul fatto religioso, l’autore considera tre ordini di dati che sono irriducibili: il polo dell’individuo come soggetto sociale e di diritto; la società nei suoi rapporti con il mondo religioso (istituito e diffuso); le organizzazioni religiose e le loro regolamentazioni. La religione risponde, essenzialmente, della propensione e della necessità che l’uomo ha di simbolizzare il proprio rapporto con il mondo, gli altri, con se stesso.

A

E. SCOGNAMIGLIO, Gesù Cristo il Rivelatore Celeste. Qui videt me videt et Patrem, Collana Universo Teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2011, pp. 320, euro 30. ’ultimo volto che la Parola eterna di Dio ha assunto nel tempo è quello giovane del Nazareno. Guardare il volto umano di Gesù è come essere visti dalla Trinità. Lo sguardo di Cristo è attraversato dalla potenza vitale dello Spirito del Padre; e la sua faccia è segnata dall’essere generato del Figlio da tutta l’eternità. A partire dall’esegesi di Gv 14,9, dal senso letterale del testo, l’Autore rilegge i commenti più importanti del cristianesimo antico, moderno e contemporaneo. In Cristo, Rivelatore del Padre, abbiamo la possibilità di accedere alla Realtà ultima. Gesù è la reale autocomunicazione del Padre per mezzo della forza dello Spirito Santo. La Trinità diviene il proprium e il caso serio della fede cristiana: non se ne può parlare a prescindere dal volto di Gesù Cristo. Chi contempla la bellezza del volto del Figlio, ammira e adora la bellezza del volto del Padre; e questa contemplazione è opera dello Spirito Santo che dona ai credenti la fede.

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E. SCOGNAMIGLIO, Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra. Lectio divina per il tempo di Avvento Natale-Epifania battesimo del Signore, LDC, Leumann (Torino) 2011, pp. 160, euro 10. uesto volume raccoglie brevi meditazioni in forma di lectio divina per il ciclo liturgico festivo del tempo di Avvento, Natale, Epifania e Battesimo del Signore dell’anno B. Il richiamo ad alcuni testimoni e gli approfondimenti hanno lo scopo di mettere in discussione la nostra fede, il modo con il quale viviamo i valori del Vangelo e facciamo nostro il realismo dell'incarnazione. Completano le meditazioni alcuni suggerimenti per la preghiera dei fedeli e proposte per attualizzare il Vangelo nella vita di ogni giorno.

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VOCIFUMETTI DI CHIESA

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