METAFISICA. CHIAROVEGGENZA DELL’ASTRAZIONE
La fotografia, strumento legato alla materialità dell’esistente, può confrontarsi con l’ipotesi di una Metafisica intesa come dimensione superiore ed estranea alla fisicità delle cose. Accade quando sei fotografi danno vita a sei visioni che colgono lo “spettrale metafisico” visibile solo a “rari individui in momenti di chiaroveggenza” (De Chirico). Un aspetto che si traduce in narrazioni potenziali, ovvero libere da rigidi e imposti significati; in una fotografia sospesa, in cui emerge il concetto del tempo metafisico. Perché la fotografia è vincolata da precise coordinate spazio-temporali, ma l’immagine metafisica che offre ha un potenziale di soluzioni spaziali e temporali che sono infinite. Ogni visione metafisica ha un chiaro rimando: alla tradizione pittorica italiana, alle radici della filosofia metafisica – Aristotele, che la definì “filosofia prima”; la Critica che ne fece Kant – alla metafisica della luce, quest’ultima intesa, e materialmente trattata, come sostanza. Nella particolarità delle visioni e delle individualità dei sei fotografi, la mostra può dirsi Metafisica non per coincidenza formale, ma per le poetiche, per la loro possibilità di confluire su un unitario piano di situazione: la contemplazione del mondo che pone l’uomo di fronte alla verità, all’equilibrio tra forma e sostanza, alla necessità “di cercare nell’immagine quella scintilla con cui la realtà ha folgorato il carattere dell’immagine, il bisogno di cercare il luogo invisibile in cui si annida ancora oggi il futuro” (W. Benjamin).
Testi a cura di Silvia Moretta.
SIMONA DE MARCHIS
POTENZIALE UMANO
Il punto di partenza della visione metafisica di Simona De Marchis si trova in una definizione aristotelica: “e sostanza è il sostrato, il quale, in un senso, significa la materia (dico materia ciò che non è un alcunché di determinato in atto, ma un solo in potenza), in un secondo senso significa l’essenza e la forma (la quale, essendo un alcunché di determinato, può essere superata con il pensiero), e in un terzo senso, significa il composto di materia e di forma” (Aristotele, Metafisica, VII, 1042a). Per Aristotele l’essere è l’insieme dell’essere dell’essenza – il sinolo (l’unione indissolubile) di forma e materia (l’individuo) – e dell’essenza dell’essere, ovvero la forma, che fa sì che il sinolo sia quel che è. La riflessione sui concetti basilari della metafisica aristotelica diviene un bacino cui attingere per dar vita ad una prova fotografica incentrata sulla risoluzione di alcuni interrogativi. Quale risultato si otterrebbe se l’essere (inteso nel senso aristotelico del termine), posto in un determinato ambiente, venisse osservato nel piano metafisico? Come sarebbero percepiti visivamente questi corpi? Che tipo di forma avrebbero e di quale sostanza sarebbero composti? Nella fotografia di Simona De Marchis la natura, e la materia di cui è composta, ha un ruolo preponderante: i suoi ritratti sono completamente immersi nell’ambiente naturale. In alcune prove respirano con esso, in altre ne sono quasi inglobati; oppure la figura umana diviene un elemento attraversabile, che permette a una sostanza “altra” di esplodere oltrepassandola. Un horror vacui fatto di legno, foglie, pietre, acqua, abitato da sculture momentanee che rimangono impresse solo nella fotografia, capace di divenire spazio filosofico, metafisico. Simona De Marchis conduce il suo lavoro in totale armonia con la natura, luogo privilegiato e fonte inesauribile di creazione artistica, non condizionato dal valore, a volte asettico, dello spazio urbano. È il luogo in cui si compie l’enigma metafisico, dove i ricordi di bambina la accolgono e proteggono come in un nido. Tra i boschi, vicino ai laghi, percepisce i tre stadi evolutivi dell’apice, della maturità e della decadenza insiti nell’ambiente vivo della natura, ma li interpreta come sostanza non deteriorabile per il tramite del mezzo fotografico, in una visione a tratti onirica della realtà. Simona De Marchis. Principalmente scrittrice, vive a Velletri, nel Lazio, dove nasce nel 1977. Scopre il suo amore per la fotografia grazie all’incontro con la sua reflex digitale. Frequenta corsi di fotografia, ma lascia che sia l’osservazione diretta dell’esperienza dei fotografi da lei amati a guidare il suo percorso artistico, oltre all’ispirazione derivatale dall’attività onirica e dalla capacità mnemonica. Cura e fa scouting per “Helter Skelter”, blog collettivo che raccoglie opere di fotografia, scrittura, illustrazione. Alcune sue fotografie sono pubblicate su riviste on line, 3:2 tre:mezzi (numero 1), Organiconcrete, Frizzifrizzi.
Simona De Marchis - Senza titolo - 45X30 - digitale 2014
Simona De Marchis - Senza titolo - 45X30 - esposizione multipla digitale - 2014
Simona De Marchis - Senza titolo - 45X30 - esposizione multipla digitale -2014
GRACE GARZONE
RIVELAZIONE
La visione metafisica di Grace Garzone nasce dalla passione verso la luce, intesa quale presenza effettiva o metaforica, e in particolare dalla volontà di trattare la luce come materia, di catturarne l’idea fisica tramite il mezzo fotografico. Si accosta quindi alla dottrina della “Metafisica della luce”. Coniata nel 1916 da Clemens Baeumker, la definizione indica un contesto speculativo della cultura filosofica e teologica medievale innestatosi sotto la spinta di influssi neoplatonici, teologici e arabi. Non un sistema filosofico coerentemente strutturato, ma un pensiero composito e variamente declinato. Grace Garzone si avvicina in particolare al pensiero di Roberto Grossatesta ed attinge al principio ontologico basilare della Metafisica della luce: essa costituisce la componente strutturale essenziale di ogni essere fisico, animato o inanimato. È corporeità. In quanto priva di dimensioni, la luce non è corporeità in se stessa, ma lo diviene al momento in cui si unisce alla materia, anch’essa indeterminata. È anzi la luce che genera il corpo: moltiplicandosi all’infinito a partire da un punto adimensionale, il corpo è determinato dalla luce, in quanto si manifesta, “appare”. La luce è sostanza da catturare: poiché non è sottomessa alla materia, non è utilizzata per far emergere l’immagine, ma diviene primo elemento da fotografare. Nata in un contesto teologico, la Metafisica della luce è tradizionalmente legata al concetto cristiano della rivelazione divina. La luce come simbolo, manifestazione e rivelazione di Dio. Per Grace Garzone, invece, la luce è la consapevolezza della coscienza, che conduce alla rivelazione del sé, strumento per il raggiungimento, tramite la meditazione, dell’illuminazione e del massimo livello di coscienza. L’importanza della meditazione la invita ad una reinterpretazione della “Metafisica della luce” tramite un punto di vista appartenente alla tradizione orientale. Partendo dal suo interesse per la luce, in “Rivelazione” utilizza, suddividendola e rendendola totemica, l’immagine iconografica tradizionalmente legata alla rappresentazione dei sette chakra: una figura femminile seduta in posizione yoga e illuminata, con luce colorata, su sette punti del corpo, ognuno dei quali corrispondente a un colore. Sono i sette livelli di energia (i sette chakra, “ruota o disco” in sanscrito), fulcri connessi fra loro per canali che conducono a centri energetici che consentono all’uomo di avere un’attività intellettuale, emotiva e spirituale, ma soprattutto di attivare un flusso che dalla zona pelvica ascende fino alla testa per sprigionarsi nella forma più elevata di energia: l’autoconsapevolezza e la rivelazione del sé. Dal basso verso l’alto, in sintesi, le corrispondenze: rosso/stabilità psichica; arancio/piacere; giallo/volontà, autostima e autonomia; verde/capacità di amare emotivamente; azzurro/creatività, comunicazione e percezione artistica; indaco/mente tattica, razionale; viola/capacità di pensare strategicamente, autorealizzazione. Grace Garzone nasce a Campobasso nel 1984. Psicologa alla ricerca di un mezzo per esprimersi, inizia a fotografare nel 2011 seguendo corsi di tecnica fotografica base e postproduzione. Nel 2013 la partecipazione alla mostra fotografica "Lente ad Astra" allo Spazio Espositivo BR1 di Montesilvano (Pe), successivamente allestita all’Aurum. La fabbrica delle idee di Pescara. Nel 2014 la felice partecipazione al premio fotografico “Art in the Dunes 2014”: presso le sale del Palazzo Mattioli a Vasto (dal 27 settembre al 2 ottobre 2014), Grace riceve il primo premio. Venera i fotografi Luigi Ghirri, Francesca Woodman, Mario Giacomelli.
Grace Garzone - Senza titolo - 58,7X19,5 - digitale - 2014
PIERO GEMINELLI
VERTIGINOSA PRECISIONE
Il titolo della visione metafisica di Piero Geminelli si àncora alle parole con cui Luigi Ghirri definisce la fotografia di architettura di Aldo Rossi: <<abbiamo una specie di stereotipo dell'immagine architettonica, molto simile ad uno "still-life" mai eseguito nel mondo esterno. Anche se spesso queste "nature morte" sembrano imbrigliare e catturare lo sguardo per la singolare e vertiginosa precisione, mi ricordano però anche un po' la fotografia di un plastico dell'edificio, più che l'architettura realizzata; cieli quasi sempre limpidi ed immobili, la macchina in asse e in bolla, il decentrabile o basculaggio per evitare distorsioni, la messa a fuoco più precisa per ottenere il massimo di nitidezza>> (L. Ghirri, Per Aldo Rossi, in "Fotologia", n.10. febbraio 1988). L’opera di Piero Geminelli è dominata da una “singolare e vertiginosa precisione”, ma le immagini che ne derivano non sono seccamente fisse come quelle definite da Ghirri: presentano evidenti vibrazioni, tanto da far tornare alla mente, in modo puntuale, quel “miracoloso equilibrio” tra ciò che già conosciamo di un’architettura e il “senso di spaesamento” che si prova di fronte a qualcosa di nuovo. Quella << sensazione di meraviglia, perché ogni suo punto, spostamento nello spazio che sia, movimento della luce, diventa come il propagarsi e la moltiplicazione di un’eco che si disperde tra memoria ed invenzioni.>> (L. Ghirri, cit.) La “vertiginosa precisione” di Piero Geminelli sottomette l’architettura contemporanea ai concetti dello spazio e del tempo propri della metafisica dechirichiana. Il richiamo alla pittura di De Chirico è evidente nello spazio prospettico; nelle ombre taglienti, a lama di coltello; nella sapiente scelta dei punti di vista; nelle assenze di agganci temporali e a volte spaziali, data da inquadrature decontestualizzanti; nelle presenze umane che abitano gli ambienti come farebbero i fantasmi degli uomini, lontani spettri ripresi di spalle, o dall’alto. Luoghi talmente reali da divenire architetture di una yper-realtà che alla fine si impossessa della rappresentazione, diviene lo spazio dell’enigma, della sospensione, nella volontà dell’eterno, della trascendenza del reale. Potente l’elevazione verso l’alto, i tagli alle architetture che, in una vertiginosa ripresa dal basso, divengono obelischi, altamente simbolici, al pari delle Piramidi di Carrà. Il colore che risalta violentemente, senza passaggi chiaroscurali, in campiture piatte e uniformi, o la scelta del b/n, danno entrambi forza all’astrazione, o meglio alla detrazione, necessaria per suscitare nell’osservatore impressioni potentemente metafisiche. Con il metodo della sottrazione, derivatogli dall’osservazione del lavoro dell’amico Vanni Macchiagodena, Piero Geminelli rende visibile uno degli elementi fondamentali della metafisica pittorica italiana: il ruolo dello straniamento, corrispondente al “senso di spaesamento” di cui parla Ghirri. Osservando la visione di Piero Geminelli tornano alla mente le parole dello stesso De Chirico, quando segnalava come la chiusura dell’immagine dentro uno spazio rigido e definito (l’inquadratura, nella tela) costituisse uno dei punti qualificanti della sua poetica, anche nel passaggio dall’inquadratura generale ad ulteriori inquadrature interne: <<Il paesaggio, chiuso nell’arcata del portico, come nel quadrato o nel rettangolo della finestra, acquista maggior valore metafisico, poiché si solidifica e viene isolato dallo spazio che lo circonda>> (G. De Chirico, in “Valori Plastici”, aprile-maggio 1919). Le fotografie sono state scattate tra Pescara, Milano (Quartiere gallaratese - Architetti Aldo Rossi e Carlo Aymonino; Maciachini center - Studio Sauerbruch Hutton), Roma (Auditorium - architetto Renzo Piano; Maxxi - architetto Zaha Hadid) e Berlino (Edificio in Stresemannstrasse - architetto Zaha Hadid; Memoriale dell'Olocausto - architetto Peter Eisenman; Altes Museum). Piero Geminelli. Architetto, vive e lavora a Vasto, dove nasce nel 1969. Si occupa principalmente di Architettura di interni e di design. È membro dell’associazione Eikòn e ha curato la parte fotografica del catalogo del premio artistico “Art in the dunes” (2014). Al suo attivo ha due mostre personali di fotografia e la partecipazione a diverse collettive , tra cui “Fotografi per Art in the dunes” (polo museale Santo Spirito) nel 2013 e “(Con)fusioni” nel 2014.
Piero Geminelli - #19 - 80X53 - digitale - 2013
Piero Geminelli - #35 - 46X31 - digitale - 2014
Piero Geminelli - #05 - 31X46 - digitale - 2010
LUCIO INSERRA
FILOSOFIA PRIMA L’origine è Aristotele. L’ispirazione, le categorie aristoteliche. Accostandosi alla complessa tematica della Metafisica, Lucio Inserra decide di compiere una precisa operazione: dare una lettura fotografica delle categorie aristoteliche attraverso la rappresentazione della realtà, della visione, e del sogno metafisico della realtà. Aristotele non usava il termine “Metafisica”. Quest’ultimo è entrato nell’uso in epoca tardo-antica e medievale, dapprima per designare i trattati di Aristotele che seguono quelli di fisica, e successivamente per indicare la “scienza prima” o “delle cose prime”, logicamente e ontologicamente collocata in rapporto fondante e subordinante rispetto alle altre scienze. Aristotele designa la “metafisica” come “filosofia prima”, concernente le “sostanze separate”, distinta e fondante rispetto alla “filosofia seconda ”, o fisica, come anche rispetto alle conoscenze etiche e produttive. L’atteggiamento di Lucio Inserra è altamente filologico. Il valore estetico della fotografia, per quanto di indubbia valenza, è addirittura subordinato alla rappresentazione stringente del significato di ogni categoria. Per categorie Aristotele intende le caratteristiche fondamentali e strutturali dell’essere, che ha e che ha necessariamente. Sono: la sostanza; la qualità; la quantità; la relazione, il luogo, il tempo, la situazione, l’avere, l’agire, il subire. Osservando la visione metafisica “Filosofia prima” si compie, fotografia per fotografia, un percorso cognitivo che gioca sull’equivalenza tra categoria ed immagine, un’esperienza dell’intelletto che alla fine diviene sensoriale: per ammirare una delle fotografie esposte in mostra, infatti, occorre disvelarla; una gestualità necessaria, richiesta ed indotta. L’autore riesce magistralmente a catturare quel perfetto, quanto raro, equilibrio tra forma e sostanza, in cui si annida l’esperienza della pura verità. In una logica serrata, si incatenano, come in un viaggio onirico, tutti gli elementi. Dal bianco, equivalente alla sostanza, che è la prima categoria aristotelica, ai 5 litri di sangue contenuti dalla figura umana per rappresentare la categoria dell’avere. Ogni immagine è sapientemente calibrata in funzione di un progressivo accrescimento della costruzione, al fine del raggiungimento del punto apicale: l’astrazione. L’ultima fotografia, infatti, rappresentando l’uomo che è immerso nel sogno metafisico, raggiunge il livello più alto di astrazione del progetto. Lucio Inserra. Fotografo, video-maker, montaggista, nasce a Benevento nel 1977. Appassionato fin da piccolo alla fotografia, entra da subito nel mondo della fotografia professionale, conservando una spiccata passione per la pellicola. Dal 2006 organizza corsi di fotografia di base ed avanzati. Nel 2013 fonda il circolo fotografico “Officine della Luce”, allo scopo di diffondere la cultura fotografica. Nel 2014 vince l’edizione 2014 del Premio “Art in the dunes” nella sezione Videomakers, con il video Lights of change.
Lucio Inserra - Costrutto #1 (spazio) - fotomontaggio digitale - 40X60 - 2014
Lucio Inserra - Sogno metafisico #1 (avere) - digitale - 40X60 - 2014
Lucio Inserra - Nel sogno metafisico (agire) - digitale - 70X100 - 2014
PAMELA PISCICELLI
IDENTITA’ PARALLELE (?)
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me (Immanuel Kant, conclusione alla Critica della Ragion Pratica). Gli scatti di Pamela Piscicelli sono una mescolanza di cieli stellati, paesaggi lunari e dettagli del corpo umano. Si offre alla vista un progetto fotografico complesso, stratificato, contaminato, a tratti iperbolico. Una visione profondamente legata all’ispirazione kantiana: secondo il filosofo tedesco, la metafisica è immanente alla ragione umana, in quanto costiuisce una sua “disposizione naturale”. Mancante di un univoco punto di vista o di una lettura indotta, la visione metafisica “Identità parallele (?)” pone su un lucido piano di sospensione l’impossibilità di separare le categorie dell’Ordo e del Caos. In un rapporto inscindibile dell’intero creato – l’uomo in relazione con l’universo, la legge di attrazione dei corpi, il perpetuo movimento del macro e del microcosmo – l’uomo non si inserisce come uno spettatore, ma partecipa delle stesse forze e leggi che dominano il sistema solare; è formato degli stessi elementi che compongono i pianeti e le stelle; è necessariamente e in continuo dialogo con loro. Alcuni dettagli potrebbero addirittura appartenere indifferentemente all’una o all’altra categoria: il particolare della pupilla di un occhio, ad esempio, quasi confonde l’osservatore, per l’identità con la materia di un corpo celeste. Il parallelismo dei rimandi si traduce anche nella contemporaneità dei punti di vista: l’occhio umano fotografato è come un pianeta che vigila, veglia, guarda; a sua volta, l’occhio umano dello spettatore, guarda e domina con un unico colpo d’occhio uno “spettacolo di una quantità innumerevole di mondi” (Kant). Pamela Piscitelli rende visibile quella connessione con la coscienza dell’esistenza, di cui parla Kant, in cui l’uomo si trova “a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata”. Appare dunque evidente l’interpretazione fotografica dei concetti kantiani espressi nella conclusione della Critica della Ragion Pratica. Per Kant la forma della morale risiede nella specificità dell’essere umano (l’io indivisibile) in contrapposizione alla finitezza umana, che invece, è restituita allo spettacolo dell’universo. Rispetto all’universo l’uomo è una creatura animale finita, ma dentro di sé, nella connessione necessaria con la legge morale, autoevidente proprio come le stelle, egli supera la mortalità animale, sperimenta un’esistenza indipendente dal mondo sensibile che, scrive Kant, “non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito”. Le immagini dei pianeti, dei cieli e dei paesaggi lunari sono rielaborate dal sito della NASA, i particolari della figura umana sono invece fotografie dell’autrice, realizzate tra Roma, Milano e Parigi. Successivamente riscattate su monitor con flash, tale espediente aggiunge ad ogni figura umana una scintilla di luce, come un corpo celeste che le si affianca, ad accompagnarne il cammino; segno visibile dell’appartenenza al corpo celeste dell’identità morale, altrimenti invisibile. Pamela Piscicelli. Nata ad Atessa (CH) nel 1978, dopo gli studi giuridici all’Università La Sapienza di Roma, cambia strada e si dedica alla fotografia e alla scrittura. Nel 2011 termina il master triennale della Scuola Romana di Fotografia. Nel 2012 segue il corso di 3/3 sull’editing e la costruzione del libro fotografico. Ha frequentato workshops con Rob Hornstra, Gerry Johansson, Rinko Kawauchi, Anouk Kruithof, Joachim Schmid, Donald Weber. Dopo essere stata responsabile della comunicazione per la casa editrice Postcart e redattore del magazine Rearviewmirror, attualmente è ufficio stampa e consulente fotografico per DER LAB, uno studio multidisciplinare con base a Roma specializzato nel campo della fotografia documentaria. Il suo lavoro fotografico è rappresentato dall’Agenzia Luzphoto nella sezione “Avantgarde” dedicata ai giovani talenti.
Pamela Piscicelli - Untitled - 30x40 - digitale - 2014
Pamela Piscicelli - Untitled - 30x40 - digitale - 2014
Pamela Piscicelli - Untitled - 30x40 - digitale - 2014
ENZO FRANCESCO TESTA
LA CAMERA LUMINOSA Con la stessa curiosità di un ragazzino che utilizza una scatola di cartone per trasformarla in un proiettore di diapositive, Enzo Francesco Testa compone un’ immagine metafisica avvalendosi dell’espediente della camera oscura. Dispositivo ottico composto da una scatola oscurata con un foro stenopeico sul fronte e un piano di proiezione dell'immagine sul retro, la camera oscura, anche detta camera obscura, camera ottica o fotocamera stenopeica, è alla base della fotografia ed è precorritrice della fotocamera. Gli apparecchi fotografici vengono ancora oggi chiamati "camere": le prime camere oscure erano infatti delle vere stanze al cui interno i pittori e gli scienziati lavoravano. Da questa antica pratica nasce “La camera luminosa”. Attenendosi alle regole ottiche, Enzo Francesco Testa ha creato una sorta di occhio gigante: oscurata completamente una delle stanze di Villa Armadi, in contrada Bocache a Rocca San Giovanni (Ch), la cucina, ha praticato un foro di pochi millimetri nel pannello oscurante. Quando la luce attraversa un’apertura molto piccola, non proietta i contorni del foro, ma quelli della sorgente di luce: è così che l’immagine dell’esterno della villa si è proiettata, ribaltata, sulle pareti della camera oscurata. Il fotografo, infine, accostandosi il più possibile al piccolo foro, ha scattato la sua fotografia. Come ulteriore espediente, ha scelto di sviluppare la foto capovolta rispetto al vero e di grandi dimensioni (3,20 m x 4,50 m), quasi a voler ricreare lo spazio reale della camera, di modo da far partecipare il più possibile l’osservatore all’esperienza da lui vissuta. Enzo Francesco Testa si è avvalso, dunque, di un ausilio ottico dalle possibilità, di fatto, infinite. Ciò che ne deriva è la proiezione dell’immagine dell’interno della cucina, che appare ribaltata, e sovrapposta sull’immagine del giardino della villa, con il pozzo, gli ulivi, il sentiero brecciato. Per il gioco di luci e ombre createsi all’interno dell’ambiente, risultano poste in evidenza alcune parti dell’interno della cucina, come il camino, le sedie o gli stipi, mentre su altri elementi, quali il frigorifero, si trova impressa in chiaro l’immagine della natura, in una singolare commistione di elementi naturali e non (elettrodomestico moderno rivestito dall’elemento naturale esterno). Si avverte il parallelismo con le teorie del filosofo Locke, secondo cui le fonti della conoscenza sono due: la sensazione e la riflessione. Con la prima si intende il processo che conduce gli oggetti ad entrare in contatto con i sensi, i quali trasmettono all'intelletto tutte le idee chiamate “qualità sensibili”. Con la seconda si intende quel particolare movimento dello spirito che riflette sulle proprie operazioni interne e viene così ad acquisire idee che i sensi non saprebbero trasmettergli: le idee delle proprie operazioni spirituali (del percepire, del pensare, del dubitare, del conoscere). Queste sole, scrive Locke, sono le fonti di tutte le nostre idee, e «l'intera nostra provvista di idee si riduce ad esse». Nel “Libro secondo” del suo Saggio, “Delle idee”, Locke descrive il processo di formazione delle idee di sensazione e di riflessione paragonandolo a ciò che avviene in una camera obscura. Con “La camera luminosa” Testa dimostra che l'intelletto non è dissimile da un ripostiglio interamente chiuso alla luce, avente solo qualche piccola apertura che lasci entrare le similitudini visibili o le idee delle cose esterne. Nella camera oscura le immagini si producono naturalmente in virtù di un principio ottico-fisico; nell'intelletto le idee semplici si producono grazie al funzionamento dei sensi: «L'idea è l'oggetto del pensiero». Enzo Testa. Nato a Lanciano nel 1976 si diploma all'Accademia dell'Immagine dell'Aquila. Frequenta i corsi della scuola romana di fotografia specializzandosi in reportage fotogiornalistico, partecipa al workshop di fotogiornalismo con Stefano Schirato. Lavora pricipalmente a Roma dal 2003 come film maker per società di produzioni cinematografiche e televisive. In collaborazione continuativa con enti socioculturali, realizza proiezioni video per spettacoli teatrali, eventi musicali e mostre d'arte. Partecipa a mostre collettive e personali. Nel 2002 e nel 2007 ha partecipato a due spedizioni scientifiche in Hymalaya e Karakorum come video operatore e in seguito a tali esperienze ha contribuito a realizzare due documentari: "Mondisospesi"del quale ha curato il montaggio e "Uominidipietra" in cui figura come regista e montatore. Direttore tecnico e regista per il canale satellitare UnoSat; regista e montatore per la società di produzione televisiva LDM; insegnate per l'Accademia dell'Immagine dell'Aquila; insegnante per l'Istituro Roberto Rossellini di Roma; regista di video per il programma televisivo Unomattina; videografico per il videomusicale e regista di “Phantomatic fan” e “90 minutes” dei Discofunken. Nel 2013 vince il “premio Aurum per la fotografia” col progetto “Metamorphoseon”. È direttore della fotografia e montatore per i cortometraggi “Falt li le coer” di Rossella di Campli e “Heartbeats”. Ideatore e regista delle campagne video per Movimento difesa del cittadino regione Lazio: “Io acquisto consapevolmente” e “Stop all'azzardo”.
Enzo Francesco Testa
- Senza titolo - Camera Obscura + foto digitale - 4.50X 3.20 metri - 2014
Enzo Francesco Testa
- Senza titolo (particolare 1) - Camera Obscura + foto digitale - 4.50X 3.20 metri - 2014
Enzo Francesco Testa
- Senza titolo (particolare 2) - Camera Obscura + foto digitale - 4.50X 3.20 metri - 2014
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