Classe IV Tecnico dei Servizi d’Impresa
Dispensa di Diritto
Il lavoro
Anno Formativo 2015/16
Il lavoro nella Costituzione Alla persona che presta il lavoro la Repubblica italiana riconosce e garantisce diritti inviolabili, anche e soprattutto nella dimensione lavorativa (art. 2 Cost.). Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il lavoro è considerato valore fondativo della Repubblica (art. 1 Cost.), nonché status attraverso il quale si realizza la partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2 Cost.). Art.1: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro… La carta costituzionale riconosce inoltre nel lavoro un «diritto», da un lato, e un «dovere», dall’altro; la Repubblica si impegna, infatti, a promuovere le condizioni di effettività del «diritto al lavoro», che riconosce a tutti i cittadini (art. 4, co. 1, Cost.), ma al contempo, cristallizza il lavoro come un «dovere», di scegliere e svolgere un’attività o una funzione, concorrendo così al progresso materiale e spirituale della società secondo le proprie possibilità (art. 4, 2° co., Cost.). Art. 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. La Costituzione contiene altresì un gruppo di norme dei rapporti economici, collocate nel titolo III, concernenti la disciplina di interessi ed esigenze dei lavoratori ritenuti di particolare rilevanza. L’art. 35 attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, di curare la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, di promuovere gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Art. 35: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero. L’art. 36 stabilisce una norma di importanza fondamentale nella disciplina lavoristica in genere, fissando i principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione, e riconosce altresì al lavoratore il diritto irrinunciabile al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite. Art. 36: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. L’art. 37 accorda alle lavoratrici gli stessi diritti dei lavoratori dell’altro sesso – sottolineando anche l’esigenza di far sì che possano attendere alle funzioni famigliari, di mogli e di madri – e rinvia alla legge la fissazione dell’età minima per il lavoro salariato, nonché il compito di tutelare «il lavoro dei minori con speciali norme e garantire ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».
Art. 37: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione. L’art. 38 concerne gli istituti e i diritti all’assistenza e alla previdenza dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti di mezzi e in particolare dei lavoratori colpiti da eventi che fanno cessare la possibilità di svolgere attività retribuita. Art. 38: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Di importanza particolare in materia lavoristica e ancor più sindacale, sono gli art. 39 e 40, che fissano i principi della libertà sindacale e del diritto allo sciopero. Art. 39: L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali,secondo le norme stabilite dalla legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Art. 40: Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.
Le fonti del Diritto del Lavoro Costituzione della Repubblica Italiana Il lavoro è uno dei principi fondamentali fissati dalla Costituzione della Repubblica Italiana, valore addirittura fondante della Repubblica stessa (art.1) e criterio ispiratore dell'emancipazione sociale, oltre che oggetto di forte tutela. L'art.35 «tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni», mentre gli art. successivi dettano precisi criteri di determinazione per materie delicate come retribuzione, orari di lavoro e ferie. Legge e atti aventi pari forza Fonte centrale dell'ordinamento giuridico italiano è la legge ordinaria (e gli atti con forza di legge), che raresenta lo strumento principale col quale lo Stato cerca di equilibrare i delicati equilibri delle parti coinvolte nei rapporti di lavoro. La contrattazione collettiva La funzione primaria del contratto collettivo è quella di integrare e, se possibile, migliorare le tutele offerte al lavoratore dalla legge, adattandole ai vari tipi di contesti (professionale, merceologico, geografico..). La stessa legge spesso rimanda al contratto collettivo, fissando solo determinati principi e lasciando a quest'ultimo la peculiare disciplina. Gli attuali contratti collettivi (cd di diritto comune) non hanno efficacia generale obbligatoria in quanto contratti di diritto privato stipulati tra soggetti privati (le organizzazioni dei datori e dei lavoratori). Essi trovano applicazione soltanto per i soggetti (datore di lavoro e lavoratore) che siano membri di dette associazioni sindacali o che vi abbiano fatto espresso rinvio nel contratto individuale di lavoro. Usi, equità e autonomia individuale La disciplina del rapporto di lavoro può essere affidata agli usi normativi, nel caso in cui non ci siano disposizioni di legge o contratti collettivi relativi. Gli usi possono prevalere anche in caso di disposizione di legge se prevedono una tutela più efficiente, ma non prevalere sul contratto di lavoro. L'autonomia individuale costituisce fonte di diritto nel senso limitato che il contratto che ne è espressione ha "forza di legge tra le parti" (art. 1372 c.c.). Il contratto individuale (volgarmente "lettera di assunzione") è il contratto stipulato dal singolo lavoratore con il datore; tale contratto non può derogare alla legge, e, oltre alle condizioni minime di trattamento economico e normativo contenute nel contratto collettivo, il contratto individuale può stabilire ulteriori condizioni, ma solo a patto che siano più favorevoli per il lavoratore).
Il lavoro subordinato L'art. 2094, c.c., riferendosi al rapporto di lavoro alle dipendenze di un'impresa, definisce il prestatore di lavoro subordinato come colui che " si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore ". Per i rapporti di lavoro con datori non imprenditori provvede l'art. 2239, c.c., che dispone l'applicabilità anche a questi ultimi della normativa del lavoro nell'impresa, in quanto compatibile con la specialità del rapporto. Sulla base del dettato dell'art. 2094, c.c., gli elementi di qualificazione del lavoro subordinato vengono individuati nella subordinazione e nella collaborazione del prestatore. La subordinazione La subordinazione rappresenta l'elemento qualificante del rapporto di lavoro in oggetto, indipendentemente dal luogo in cui questo si svolge, e ciò in quanto esso implica per definizione una prestazione non autonoma, ma svolta alle dipendenze e sotto la direzione del datore o di chi per lui. Il grado di subordinazione effettiva varia, riducendosi via via che si passa dal lavoro meno qualificato alle prestazioni di alta specializzazione: questa, però, è solo un'implicazione di fatto, non conferente sul piano giuridicoformale. La subordinazione del lavoratore presenta i seguenti caratteri: è tecnica e funzionale, cioè determinata dalla prestazione ed a questa collegata; è personale, in quanto investe la personalità stessa del prestatore, assoggettato perciò al potere direttivo e disciplinare del datore e dei collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende; è patrimoniale, avendo origine contrattuale e ricollegandosi alla retribuzione; è costante, poiché variano solo, in relazione alle mansioni a ciascuno attribuite, i limiti della subordinazione. Come osserva la dottrina prevalente, la subordinazione è una notazione propriamente giuridica imposta cioè dalla normativa del codice. Essa comporta, infatti, che l'osservanza delle disposizioni a cui è tenuto il prestatore sia garantita dalle sanzioni che colpiscono le infrazioni del lavoratore, così come anche gli abusi del datore. Proprio perché nel rapporto di lavoro di cui trattasi il prestatore si mette a disposizione del datore per svolgere l'attività dedotta nel contratto, i rischi connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa gravano sul datore. Più precisamente, su quest'ultimo gravano il rischio economico e la responsabilità verso i terzi per i danni causati dai dipendenti, mentre è coperto per legge da assicurazioni sociali obbligatorie il rischio dell'inabilità al lavoro e ricadono sugli istituti di assistenza e previdenza obbligatori e solo indirettamente sul datore i rischi per gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali. La collaborazione Si può ritenere che la collaborazione si specifichi: nella continuità ideale della disponibilità delle energie lavorative, intellettuali o manuali, poste al servizio del datore; nell'inserimento del lavoratore all'interno dell'organizzazione produttiva.
Anche il grado di collaborazione effettiva, come quello di subordinazione, varia col variare dell'intensità del vincolo che lega il prestatore al datore. Gli indici della sussistenza della subordinazione L'elemento della subordinazione non sempre può agevolmente apprezzarsi. Tale difficoltà ha dato vita ad un nutrito contenzioso che ha portato la giurisprudenza ad individuare determinate circostanze di fatto, ricavate per massima d'esperienza dalla realtà sociale, da considerarsi come indici o spie della sussistenza dell'elemento della subordinazione. Se ne menzionano alcune, e cioè: il luogo della prestazione, sempre che il lavoratore si rechi a lavorare nei locali apprestati dal datore; la predeterminazione dell'orario di lavoro; l'inserimento del prestatore nell'organizzazione produttiva; l'incidenza del rischio sul datore di lavoro. Il rapporto di lavoro autonomo Ai sensi dell'art. 2222, c.c., si ha lavoro autonomo o contratto d'opera " quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente ". Come si evince dalla lettura di tale norma, nel rapporto di lavoro autonomo, l'oggetto della prestazione è rappresentato dal risultato finale dell'attività organizzata dallo stesso prestatore; risultato che potrà essere ovviamente assai diverso a seconda della specifica natura dell'opera o del servizio il cui compimento è dedotto in obbligazione. Dunque, il lavoratore autonomo si trova in una posizione di autonomia, essendo rimessa alla sua piena discrezionalità la scelta circa le modalità, il luogo ed il tempo di organizzazione della propria attività e ricadendo completamente su di lui il rischio inerente all'esercizio dell'attività lavorativa (salva l'ipotesi di cui all'art. 2228, c.c.). Tale posizione di autonomia rappresenta l'elemento che differenzia il lavoratore autonomo dal lavoratore dipendente, che si trova, al contrario, in una posizione di subordinazione, dovendo prestare il proprio lavoro secondo le direttive, la vigilanza ed il controllo del datore sul quale incide il rischio connesso allo svolgimento dell'attività lavorativa. Il rapporto di lavoro parasubordinato Il rapporto di lavoro parasubordinato può essere definito come quel rapporto che, a prescindere dalla sua formale ed incontestata autonomia, si caratterizza, oltre che per la continuità, per il carattere strettamente personale della prestazione, integrata dall'impresa e da questa coordinata. Quindi, tale rapporto di lavoro è caratterizzato dalla: continuatività , nel senso che esso se pure eventualmente fondato su più contratti deve avere stabilità e durata nel tempo (restano escluse le prestazioni uniche ed occasionali); coordinazione , che comporta l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione predisposta dal datore, il collegamento con i fini da questo perseguiti e compatibilmente con l'autonomia professionale del lavoratore la sottoposizione all'ingerenza ed alle direttive del datore stesso; personalità della prestazione, che deve prevalere sull'aspetto imprenditoriale, tenuto conto del numero dei collaboratori, dell'entità dei capitali impiegati e del giro d'affari del lavoratore parasubordinato. Del rapporto di lavoro in oggetto manca, allo stato attuale, una regolamentazione sostanziale diretta e protettiva. Tuttavia, la considerazione della posizione di inferiorità socioeconomica in cui versa il lavoratore rispetto al committente, ha indotto il legislatore ad estendere, con la L. 118873,
n. 533, la disciplina delle controversie individuali di lavoro anche ai "rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato". Le forme tipiche di rapporto parasubordinato sono dunque: l'agenzia, che, ai sensi dell'art. 1742, c.c., è il contratto con il quale "una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti di una zona determinata"; la rappresentanza, che, in conformità con l'art. 1752, c.c., ricorre quando all'agente è conferita dal preponente la rappresentanza per la conclusione dei contratti. I diritti del lavoratore Il lavoratore subordinato si obbliga a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Il più importante diritto del lavoratore consiste nella corresponsione della retribuzione, che, in mancanza di contratto collettivo applicabile o di contratto individuale, viene determinata dal giudice, anche tenendo conto di quanto stabilito al riguardo dalla contrattazione collettiva. La retribuzione deve essere proporzionata al lavoro svolto e sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La donna lavoratrice e i minori hanno gli stessi diritti degli altri lavoratori e, a parità di lavoro, hanno diritto alla parità della retribuzione. Il lavoratore ha inoltre diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali garantite, cui non può rinunziare. ln caso di continuo e ripetuto mancato godimento del riposo settimanale e delle ferie il lavoratore può chiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno alla salute così subito. Il lavoratore studente ha diritto a turni di lavoro che gli consentano di partecipare ai corsi e di prepararsi agli esami; non può essere obbligato a svolgere lavoro straordinario, tanto meno durante i riposi settimanali. ln coincidenza con gli esami da sostenere, ha diritto a ottenere permessi giornalieri retribuiti. Hanno diritto a permessi retribuiti i lavoratori donatori di sangue e i componenti i seggi elettorali. Il lavoratore ha inoltre diritto di svolgere attività sindacale all’interno dell’ azienda e di aderire agli scioperi regolarmente indetti.. Gli obblighi del lavoratore Il lavoratore è, d’altra parte, tenuto a usare, nell’espletamento delle sue mansioni, la diligenza richiesta dalla natura delle prestazioni da svolgere e deve osservare le direttive dell’imprenditore e dei propri superiori. Oltre al suddetto obbligo di diligenza, grava sul lavoratore l’obbligo di fedeltà: il dipendente non può trattare affari in concorrenza con il suo datore di lavoro, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e alla produzione aziendale, o farne uso in maniera da recare danno all’azienda stessa. In caso di violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà da parte del lavoratore, il datore di lavoro può comminargli sanzioni disciplinari, che vanno dalla multa alla sospensione dal lavoro fino al licenziamento. Il patto di non concorrenza Abbiamo visto che l’obbligo di fedeltà che grava sul lavoratore comporta che quest’ultimo non possa svolgere attività in concorrenza con il suo datore di lavoro. Ciò vale naturalmente solo finché quel determinato rapporto di lavoro continua. Nel momento in cui il rapporto viene a cessare, il divieto di concorrenza viene anch’esso meno e il dipendente è naturalmente libero di cercarsi un altro lavoro e di trovarlo presso la concorrenza.
Anzi è normale che ciò avvenga, soprattutto quando il lavoratore è in possesso di specializzazioni tali da far sì che le sue capacità e le sue conoscenze siano richieste soprattutto da aziende che operano nello stesso settore economico del precedente datore di lavoro. Ad esempio, è normale che un tecnico specializzato nel riparare televisori, una volta risolto il rapporto con la ditta che lo aveva assunto, passi alle dipendenze di un’azienda che svolga analoga attività. Il datore di lavoro può pretendere che il suo ex dipendente non svolga attività in concorrenza solo in forza di un apposito patto di non concorrenza. Il patto di non concorrenza, per essere valido, deve: – risultare da accordo scritto; – prevedere un corrispettivo, cioè un compenso, adeguato a favore del prestatore di lavoro; – esplicitare esattamente quali sono le attività che il lavoratore non deve svolgere e specificare in quale settore economico non deve essere esercitata la concorrenza; – prevedere un vincolo contenuto entro determinati limiti territoriali (ad esempio, entro un determinato Comune); – prevedere una durata non superiore a 3 anni (5 per i dirigenti). I diritti del datore di lavoro Il datore di lavoro è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente tutti i collaboratori della stessa. Gli è riconosciuto un potere disciplinare. Gli obblighi e i diritti del datore di lavoro sono speculari a quelli del lavoratore. In correlazione al diritto del lavoratore a ricevere un compenso adeguato sussiste, quindi, l’obbligo del datore di lavoro a corrispondere la retribuzione. Di contro, il dovere di fedeltà del lavoratore coincide con il diritto del datore di lavoro a pretendere dal lavoratore un comportamento improntato a diligenza e lealtà. Gli obblighi del datore di lavoro Il principale obbligo del datore di lavoro consiste naturalmente nel corrispondere le retribuzioni dovute al lavoratore. L’imprenditore è tenuto a porre in essere tutte le misure che possano garantire l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. La legislazione relativa alla sicurezza del lavoro prevede una serie di misure e adempimenti che il datore di lavoro deve adottare a garanzia della sicurezza e della salute dei lavoratori. Il datore di lavoro deve inoltre provvedere al versamento delle contribuzioni relative alle forme di previdenza e assistenza previste obbligatoriamente dalla legge.
Il licenziamento Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro risolve il rapporto di lavoro. Esistono diverse motivazioni che possono dare origine al licenziamento: giusta causa giustificato motivo soggettivo giustificato motivo oggettivo licenziamento orale (o verbale) licenziamento in maternità o in conseguenza del matrimonio GIUSTA CAUSA Comportamento del lavoratore che costituisca grave violazione ai propri obblighi contrattuali, tale da ledere in modo insanabile il necessario rapporto di fiducia tra le parti e che non consente la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (c.c. 2119). La giusta causa pertanto, rappresenta nei fatti il licenziamento disciplinare per eccellenza; tale da troncare immediatamente il rapporto di lavoro senza neppure erogazione dell’indennità di preavviso . In quanto sanzione disciplinare dovrà essere necessariamente preceduta dall’attivazione dell’obbligatorio procedimento disciplinare ed in particolare dalla preventiva comunicazione delle “contestazioni di addebito” al fine di consentire al dipendente una adeguata difesa da accuse eventualmente infondate. I contratti collettivi elencano normalmente le ipotesi ed i fatti ritenuti tali da costituire giusta causa di licenziamento. GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO E’ rappresentato da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, e cioè senza preavviso. Anche il giustificato motivo soggettivo pertanto rientra nell’ambito dei licenziamenti di tipo disciplinare , costituendo pur sempre una sanzione a comportamenti ritenuti tali da incidere in modo insanabile nel regolare proseguimento del rapporto di lavoro . Ricordiamo che il licenziamento di tipo disciplinare è soggetto ad una specifica procedura , la cui violazione rende nullo il licenziamento stesso. Vengono fatte rientrare nell’ambito del giustificato motivo soggettivo anche le figure dello scarso rendimento e/o del comportamento negligente del dipendente. Trattandosi comunque di valutazioni sul comportamento del dipendente, anche nelle ipotesi di “scarso rendimento”, costituisce condizione di legittimità del recesso la preventiva contestazione degli addebiti con diritto del dipendente a svolgere adeguatamente le proprie difese. GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO E’ rappresentato da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro dell’ impresa . Costituisce pertanto G.M.O. la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo “ripescaggio”, ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento . Vengono ricondotti alla figura del giustificato motivo oggettivo anche le ipotesi in cui il lavoratore perda, non per propria colpa, le capacità necessarie a svolgere le mansioni per cui venne assunto.
Tale ipotesi tuttavia è stata più volte oggetto controversie giudiziarie e la giurisprudenza ha delimitato tale fattispecie. E' quindi estremamente importante che sia un esperto (ufficio vertenze sindacale o studio legale specializzato in diritto del lavoro) a considerare nel merito le motivazioni addotte, così da verificarne l'attendibilità. LICENZIAMENTO ORALE (O VERBALE) E’ il caso in cui il lavoratore viene allontanato dal luogo di lavoro senza alcun atto formale da parte del datore di lavoro (lettera o altro). Solitamente il datore di lavoro dice al lavoratore “non ho più bisogno di te”, “stai a casa, ti richiamo quando ho del lavoro da farti fare” ecc. o a seguito di un diverbio. In questi casi è quantomeno necessario che il lavoratore faccia pervenire immediatamente una raccomandata A/R (di cui si tiene copia) nella quale lo stesso si mette a disposizione per la ripresa immediata dell’attività dando conto del fatto di essere stato allontanato dal datore di lavoro. Anche in questo caso è opportuno un coinvolgimento immediato di un esperto (ufficio vertenze sindacale o studio legale specializzato in diritto del lavoro). LICENZIAMENTO IN MATERNITA' O IN CONSEGUENZA DI MATRIMONIO Il licenziamento è nullo, in quanto la legge stabilisce precise norme a tutela della lavoratrice madre , tra cui appunto il divieto di licenziamento. Ovviamente occorre procedere comunque all’ impugnazione dello stesso con l’ausilio di un ufficio vertenze sindacale o di uno studio legale specializzato in diritto del lavoro.
Il Jobs Act Nella G.U. n. 54 del 6 marzo 2015, è stato pubblicato il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, il quale contiene disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Dal 7 marzo 2015 è entrata quindi in vigore la disciplina sul nuovo licenziamento per giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento economico), giustificato motivo soggettivo o giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare), nel senso di una riduzione dell’area della tutela reale (ossia della reintegrazione nel posto di lavoro) e, contemporaneamente, di un ampliamento dell’area della tutela obbligatoria (indennità) in caso di licenziamento illegittimo. A seguito dell’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 23/2015 , (c.d. Jobs Act), l’ordinamento applica sanzioni diverse a seconda che il licenziamento riguardi un lavoratore assunto prima o dopo il 7 marzo 2015. In particolare, per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015 valgono le seguenti garanzie: ● se il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa viene intimato da un datore di lavoro che supera le soglie dimensionali previste dall’art. 18 della legge 300/1970 (unità produttiva con più di 15 lavoratori, o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo, o più di 60 dipendenti in totale), si applicano i regimi di tutela previsti dallo stesso art. 18, così come modificato dalla riforma del mercato del lavoro del 2012, regimi che, in due specifiche ipotesi (insussistenza del fatto contestato o licenziamento intimato per un fatto che rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa), contemplano la
possibilità che il datore di lavoro sia condannato a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro; ● al di sotto di tali soglie, trova invece applicazione il più blando regime di tutela previsto dall’art. 8 della legge 604/1966, così come sostituito dall’art. 2 della legge 108/1990, che riconosce al lavoratore illegittimamente licenziato il solo diritto a percepire un indennizzo economico. Ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in avanti si applicano, invece, le tutele previste dal Decreto legislativo n. 23/2015.
Licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo Il licenziamento nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato può avvenire solo per giusta causa o per giustificato motivo (art. 1 della legge n. 604/1966) La giusta causa ricorre allorché siano commessi fatti di particolare gravità i quali, valutati oggettivamente e soggettivamente, sono tali da configurare una grave e irrimediabile negazione degli elementi essenziali del rapporto. Il giustificato motivo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (art. 3 della legge n. 604/1966).
Le regole per i licenziamenti secondo la “legge Fornero” Nel caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo “soggettivo” , rispetto alla disciplina previgente, che prevedeva in ogni caso l’obbligo di reintegrazione del lavoratore nelle imprese oltre i 15 dipendenti (o oltre i 5 se si tratta di imprenditore agricolo), la legge n.90/2012 legge Fornero ha introdotto una distinzione tra: • mancanza di giusta causa o di giustificato motivo connessi a insussistenza del fatto contestato ovvero a fatto che rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti o dei codici disciplinari: in questi casi continua a valere la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (prevista dalla normativa previgente alla legge n.92/2012 nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice riconosce un’indennità risarcitoria pari a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; • mancanza di giusta causa o di giustificato motivo connessi a tutte le restanti ipotesi: in questi casi non opera più la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (sempre prevista nelle imprese sopra i 15 dipendenti prima della legge n.92/2012) e il giudice, dichiarando risolto il rapporto di lavoro, riconosce un’indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale (in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo). Nel caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giustificato motivo “oggettivo” , per effetto della legge 92/2012 (legge Fornero) non trova più applicazione la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (prevista dalla normativa previgente nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice riconosce un’indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale; tuttavia, il giudice, nel caso in cui accerti la manifesta insussistenza
del fatto posto a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo, può disporre la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) e riconoscere un’indennità risarcitoria pari a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Le regole per i licenziamenti dopo il Jobs Act L’art. 3 del D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 , entrato in vigore il 7 marzo 2015, disciplina il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento economico), giustificato motivo soggettivo o giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare), nel senso di una riduzione dell’area della tutela reale (ossia della reintegrazione nel posto di lavoro) e, contemporaneamente, di un ampliamento dell’area della tutela obbligatoria (indennità) in caso di licenziamento illegittimo. Il comma 1 regola la tutela obbligatoria, prevedendo che nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (licenziamento economico) o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa (licenziamento disciplinare), il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. Il comma 2 regola la tutela reale , limitandola alle sole ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare) in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento; in tali casi il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 181/2000. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all’articolo 2, comma 3, ossia di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, non assoggettata a contribuzione previdenziale (c.d. opting out). I lavoratori già assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015, seppur a oggi non interessati dalle novità normative, potranno comunque esserlo in futuro, allorché dovessero cambiare lavoro, transitando nella condizione di “nuovi assunti” presso un diverso datore di lavoro.
I contratti di lavoro Il contratto individuale di lavoro è un accordo tra un datore di lavoro (impresa individuale, società, associazione, studio professionale, etc.) ed un lavoratore, in cui il lavoratore si obbliga a mettere a disposizione del datore la sua attività lavorativa, manuale o intellettuale, e il datore si obbliga a pagare al lavoratore la retribuzione. In questa sezione puoi trovare una breve descrizione delle principali tipologie di contratto di lavoro. ■ Il contratto di lavoro a tempo indeterminato ■ Il contratto di lavoro a tempo determinato ■ Il contratto di apprendistato ■ Il contratto a tempo parziale ■ Il contratto di somministrazione di lavoro ■ Il contratto di lavoro intermittente ■ Il contratto di lavoro a progetto ■ Le collaborazioni organizzate dal committente ■ Il contratto di lavoro accessorio
Il contratto di apprendistato L'apprendistato è un contratto di lavoro caratterizzato da un contenuto formativo: il datore di lavoro, oltre a pagare la retribuzione all’apprendista per il lavoro svolto, è obbligato a garantire all’apprendista la formazione necessaria per acquisire competenze professionali adeguate al ruolo e alle mansioni per cui è stato assunto. L’apprendista ha, a sua volta, l’obbligo di seguire il percorso formativo che può essere svolto internamente o esternamente all’azienda. Ci sono tre tipi di apprendistato: ■ Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore ■ Apprendistato professionalizzante ■ Apprendistato di alta formazione e ricerca 1. Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore E’ un contratto di lavoro che permette di conseguire una qualifica professionale o un diploma professionale alternando lavoro e studio. La durata, che è determinata in considerazione della qualifica o del diploma da conseguire, non può essere superiore a tre anni o quattro nel caso di diploma quadriennale regionale. Possono essere assunti con questa tipologia di apprendistati i giovani dai 15 anni fino al compimento dei 25 anni, senza una qualifica o un diploma professionale. 2. Apprendistato professionalizzante E’ un contratto di lavoro per il conseguimento di una qualifica professionale ai fini contrattuali attraverso una formazione trasversale e professionalizzante. La durata del contratto non può essere inferiore ai 6 mesi e superiore a tre anni o cinque per l’artigianato. Possono essere assunti con questa tipologia di apprendistati i giovani tra i 18 e i 29 anni compiuti (nel caso di possesso di qualifica professionale l’età minima scende a 17 anni), in tutti i settori di attività, privati o pubblici.
3. Apprendistato di alta formazione e ricerca E’ un contratto di lavoro che consente di conseguire diversi livelli di titoli di studio: diploma di scuola secondari superiore, diploma professionale di tecnico superiore, diploma di laurea, master e dottorato di ricerca. Può essere utilizzato anche per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. I percorsi formativi per l’apprendistato di alta formazione sono attualmente in fase di progettazione Possono essere assunti con questa tipologia di apprendistati i giovani tra i 18 e i 29 anni compiuti (nel caso di possesso di qualifica professionale l’età minima scende a 17 anni), in tutti i settori di attività, privati o pubblici. I vantaggi Gli apprendisti possono essere retribuiti meno rispetto agli altri lavoratori adibiti alle stesse mansioni. Infatti, l’apprendista può essere inquadrato fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto. In alternativa, è possibile stabilire la retribuzione dell'apprendista in misura percentuale e in modo graduale all'anzianità di servizio. La retribuzione non può essere a cottimo o a incentivo. Oltre al particolare sistema retributivo, è previsto un trattamento contributivo agevolato. Sono poi previsti incentivi provinciali all’assunzione e conferma di apprendisti. Normativa di riferimento D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81
Il contratto di lavoro a tempo determinato E' il contratto di lavoro che prevede un termine finale , una durata prestabilita. Può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione , per una durata massima di 36 mesi . La durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contatti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria, non può superare i trentasei mesi, salve le seguenti eccezioni: ■ ■
diverse disposizioni dei contratti collettivi; attività stagionali.
Qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma a tempo indeterminato dalla data di tale superamento. Il termine finale del contratto può essere prorogato per un massimo di cinque volte , quando il contratto iniziale ha una durata inferiore a tre anni e con il consenso del lavoratore. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della sesta proroga.
Il contratto di lavoro a tempo parziale (parttime) E' un contratto di lavoro subordinato, a termine o a tempo indeterminato, caratterizzato da un orario di lavoro inferiore rispetto al tempo pieno. Il contratto di lavoro deve indicare in modo puntuale la durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. Il lavoratore parttime ha diritto allo stesso trattamento dei lavoratori assunti a tempo pieno. Per quanto riguarda la retribuzione, ha diritto alla stessa paga oraria del lavoratore a tempo pieno, ma la sua retribuzione complessiva compreso il trattamento economico per malattia, infortunio e maternità è calcolata in proporzione al numero di ore lavorate (principio di non discriminazione) . Il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova.
l contratto di somministrazione di lavoro Il contratto di somministrazione di lavoro è un particolare contratto di lavoro subordinato che coinvolge tre soggetti: il somministratore (un soggetto autorizzato come le agenzie di somministrazione), l'utilizzatore, il lavoratore. Il lavoratore è assunto dal somministratore, ma viene inviato a svolgere la propria attività presso l'utilizzatore (c.d. missione). Questo tipo di rapporto prevede quindi due contratti: ■ ■
un contratto di somministrazione, di natura commerciale, tra l'utilizzatore e il somministratore; un contratto di lavoro tra il somministratore e il lavoratore.
Il contratto di somministrazione di lavoro deve essere stipulato in forma scritta, altrimenti è considerato nullo ed i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore. Il contratto di somministrazione può essere a tempo determinato oppure a tempo indeterminato e può essere concluso anche come rapporto a tempo parziale.
La Garanzia Giovani La Garanzia Giovani (Youth Guarantee) è il Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile. Con questo obiettivo sono stati previsti dei finanziamenti per i Paesi Membri con tassi di disoccupazione superiori al 25% , che saranno investiti in politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento al lavoro, a sostegno dei giovani che non sono impegnati in un'attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo (Neet Not in Education, Employment or Training). In sinergia con la Raccomandazione europea del 2013, l'Italia dovrà garantire ai giovani al di sotto dei 30 anni un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro 4 mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale. Interessa i giovani tra i 15 e i 29 anni , residente in Italia – cittadino comunitario o straniero extra UE, regolarmente soggiornante – non impegnato in un’attività lavorativa né inserito in un corso scolastico o formativo. Programmi, iniziative, servizi informativi, percorsi personalizzati, incentivi : sono queste le misure previste a livello nazionale e regionale per offrire opportunità di orientamento, formazione e inserimento al lavoro, in un’ottica di collaborazione tra tutti gli attori pubblici e privati coinvolti.
Domande: 1. Quali sono i principi fondamentali contenuti nella Costituzione in tema di lavoro? 2. Quali sono le fonti del diritto del lavoro? 3. Cosa si intende col termine “lavoro subordinato”? 4. Quali sono le differenze con il “lavoro autonomo”? 5. Cosa sono le “collaborazioni”? 6. Cos’è il “lavoro parasubordinato”? 7. Quali sono i principali diritti del lavoratore dipendente? 8. Quali sono i principali doveri del lavoratore dipendente? 9. Quali sono i diritti e gli obblighi del datore di lavoro? 10. Come può avvenire l’estinzione del rapporto di lavoro? 11. Quali sono le diverse motivazioni che possono dare origine al licenziamento? 12. Cos’è il cosiddetto “Jobs Act” e quali modifiche sostanziali ha portato nella disciplina del licenziamento? 13. Quali sono i principali contratti di lavoro? 14. Quali sono le caratteristiche del contratto di apprendistato? 15. Cos’è il contratto di lavoro a tempo determinato? 16. Cos’è il contratto di lavoro a tempo parziale? 17. Cos’è il contratto di somministrazione di lavoro? 18. Cos’è la “Garanzia Giovani”
Bibliografia http://www.agenzialavoro.tn.it/ http://www.garanziagiovani.gov.it http://www.wikilabour.it/lavoro%20subordinato.ashx http://www.treccani.it/enciclopedia/lavorodirittocostituzionale/