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IL
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esercizi di disegno a mano liBera aPPlicati al design
Tesi di Laurea di Luigi Pirina Relatore Prof. Vincenzo Bagnolo Università degli Studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura A.A. 2016/2017
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esercizi di disegno a mano liBera aPPlicati al design
Tesi di Laurea di Luigi Pirina Relatore Prof. Vincenzo Bagnolo Università degli Studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura A.A. 2016/2017
I ndice Introduzione
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1. Disegno e Comunicazione
10
1.1 Processo di comunicazione visuale
11
1.2 Elementi di attrazione visiva
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1.3 Metodi di rappresentazione
29
2. La Costruzione dell’Immagine
42
2.1 Mimesis
43
2.2 Disegno come strumento di studio e
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approccio alla conoscenza
2.3 Disegno come espressione della
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creativitĂ e traccia del pensiero progettuale
3. Esercizi di Sketching
64
Conclusioni
88
Bibliografia
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Introduzione
Durante il mio curriculum universitario non ho potuto fare a meno di notare come il filo conduttore del percorso di molte materie fosse il disegno, in alcuni casi esercizio per affinare diverse capacità, quali la comprensione e la formalizzazione di fenomeni della realtà architettonica e urbana, in altri ancora come strumento di ideazione e comunicazione e, infine, come strumento necessario all’esecuzione dell’opera. Il presente lavoro di tesi si propone di analizzare i rapporti che il disegno e i metodi di rappresentazione hanno come mezzo di conoscenza nel processo di “forma-percezione della forma-trasmissione della percezione della forma”1, come strumento di ideazione e prefigurazione e come mezzo di comunicazione. Parlando di progettazione si è direttamente portati a pensare al lavoro di rappresentazione necessaria allo sviluppo di un qualsiasi oggetto o edificio. Risulta infatti impossibile, ora come in passato, poter anche solo immaginare il concepimento un oggetto senza un ausilio grafico adatto alle necessità. Infatti sin dall’antichità si ha testimonianza dell’utilizzo del disegno per la progettazione delle opere, poiché sarebbe stato impossibile costruirle senza una preventiva ideazione degli spazi o forme. Questo perché disegnare significa sia pensare che descrivere dettagliatamente, sia come prefigurazione di un manufatto che esiste solo nella mente del progettista, sia come traduzione del reale al virtuale di un oggetto già esistente. Dalla necessità funzionale, ovvero l’avere memoria degli spazi da creare, soddisfatta dal mezzo grafico, poi nasce la necessità del rappresentare anche per il concepire, di cui i progettisti moderni e contemporanei si servono per sviluppare un’idea progettuale che 7
caratterizzerà il concept e successivamente per comunicare forma e funzioni di esso. Qualunque giovane progettista, infatti, ricerca il proprio segno, che si tradurrà in una espressione grafica personale senza perdere efficacia nel descrivere, informare e comunicare, spesso passando per le tecniche della rappresentazione dei grandi architetti e designer del passato.2 Questo lavoro di tesi intende analizzare l’importanza del disegno partendo dal tratto grafico, simbolo e mezzo di comunicazione e le relative tecniche, passando per il disegno come strumento speculativo di conoscenza ed esplorazione, poi inteso come strumento di ideazione comunicazione e esortazione.
Disegno di progetto Terme di Vals, Peter Zumthor.
1 Fra disegno e design: temi, forme, codici, esperienze, Cocchiarella L., Novara 2009 2 Disegnare il Design, G. De Ferrari, M. Gaiani, L. Galloni, E. Guida, M. Maiocchi, P. Pizzoccheri, Hoepli, 2001 8
1. dIsegno e ComunICazIone 1.1 Processo di comunicazione visuale Percezione, comunicazione e partecipazione dell’uomo al mondo esterno derivano, in gran parte, dal ruolo di mediazione che svolge il nostro organo visivo1. E’ con la vista, infatti, che l’uomo può osservare il mondo e avere cognizione dei fenomeni attorno a lui. Fenomeni che tuttavia hanno un valore diverso secondo il contesto nel quale sono inserite, dando informazioni differenti. Tra tutti questi messaggi che passano attraverso i nostri occhi si può comunque procedere a delle distinzioni, due delle quali fondamentali: la comunicazione può essere casuale oppure intenzionale. Comunicazione visiva casuale è la nuvola che passa nel cielo non
Comunicazione intenzionale 10
certo con l’intenzione di avvertirmi che sta per sopraggiungere un temporale, comunicazione intenzionale è invece la serie di nuvolette di fumo utilizzate dagli indiani d’America per comunicare, attraverso un preciso codice. Una comunicazione casuale può essere liberamente interpretata da chi la riceve, sia come messaggio scientifico, estetico o altro. Una comunicazione intenzionale dovrebbe invece essere ricevuta nel pieno del significato voluto 11
nell’intenzione dell’emittente. La comunicazione visiva intenzionale può, a sua volta, essere esaminata sotto due aspetti: quello dell’informazione estetica e quello dell’informazione pratica. Per informazione pratica, senza la componente estetica, si intende per esempio un disegno tecnico, la foto di attualità, le notizie visive della TV, un segnale stradale, ecc. Per informazione estetica si intende un messaggio che ci informi, per esempio delle linee armoniche che compongono una forma, dei rapporti volumetrici di una costruzione tridimensionale, dei rapporti temporali visibili della trasformazione di una forma in un’altra (la nuvola che si disfa e cambia forma). Ma l’estetica non è uguale per tutti, vi sono tante estetiche quanti popoli e forse anche quanti individui ci sono al mondo. Si può infatti trovare una estetica particolare in un disegno tecnico o in una foto di attualità, è dunque necessario che l’operatore visuale ce la sappia rivelare con dati oggettivi comprensibili. Occorre stabilire queste regole per facilità di indagine, pronti però a modificarle o a infrangerle di fronte a una dimostrazione più efficace del problema. Si presume che un emittente emetta i messaggi e un ricevente li riceva. Il ricevente è però immerso in un ambiente pieno di disturbi i quali possono anche alterare o addirittura annullare certi messaggi. Per esempio, un segnale rosso in un ambiente nel quale predomini una luce rossa verrà quasi annullato; oppure un manifesto stradale a colori banali, affisso assieme ad altri manifesti altrettanto banali si mescolerà con loro annullandosi nell’uniformità; come l’indiano potrà essere disturbato da un temporale mentre trasmette il suo messaggio con le nuvole. Supponiamo, quindi, che il messaggio visivo sia progettato bene, in modo che non venga deformato durante l’emissione: esso arriverà al ricevente, ma qui incontrerà altri ostacoli. Ogni ricevente e ognuno in modo diverso, ha qualcosa che potremmo definire “filtri”, attraverso i quali il messaggio dovrà passare per essere ricevuto. 12
Uno di questi filtri è di carattere sensoriale. Esempio: un daltonico non vede determinati colori, quindi i messaggi basati esclusivamente sul linguaggio cromatico saranno alterati o addirittura annullati. Un altro filtro lo potremmo definire operativo, e dipende dalle caratteristiche psico-fisiologiche costituenti il ricevente. Esempio: è chiaro che un bambino di tre anni analizzerà un certo messaggio in modo molto diverso da un individuo più maturo. Un terzo filtro si può definire “culturale”, lascerà passare solo quei messaggi che il ricevente riconosce, cioè quelli che fanno parte del suo universo culturale. Esempio: molti occidentali non riconoscono la musica orientale come musica, perché essa non corrisponde alle loro nor-
Schema sulla comunicazione, B. Munari
me culturali; per loro la musica “deve essere” quella che hanno sempre conosciuto fin da bambini e non un’altra cosa. Questi tre filtri non sono rigorosamente distinti e non si susseguono nell’ordine dato, ma ci possono essere inversioni o contaminazioni reciproche. Supponiamo infine che il messaggio, attraversata la zona dei disturbi e dei filtri, arrivi a una zona interna del ricevente che chiamiamo “zona emittente del ricevente”. Questa zona può emettere due tipi di risposte al messaggio ricevuto: una interna e una esterna. Esempio: se il messaggio visivo dice “qui c’è un bar”, la 13
risposta esterna manda l’individuo a bere; la risposta interna dice “non ho sete”.2 Artisti, architetti e designer, si sono col tempo avvicinati sempre di più al campo della percezione visiva e ai loro fenomeni, soprattutto grazie al legame di questi con la fruizione delle opere da essi progettate, questo perché la percezione è il primo passo alla comprensione. Infatti, nella sequenza di progettazione, realizzazione e fruizione di un’opera, la percezione ha un ruolo fondamentale, coinvolgendo diverse categorie di persone nelle diverse fasi, dal collaboratore al committente. E’ quindi necessario che un progettista conosca le basi del processo percettivo e di comunicazione visiva, al fine di comprenderli e successivamente utilizzarli correttamente. E’ necessario, per avere chiara la relazione visione-percezione-disegno, fare riferimento alle principali leggi percettive messe a punto dagli studiosi. La teoria indubbiamente più importante prende il nome di “Gestalttheorie”, derivata dalla “Gestaltpsychologie” (in tedesco, psicologia della forma e rappresentazione). La teoria gestaltica sostiene che la percezione dello spazio fisico deriva da determinate organizzazioni, elaborate dal nostro cervello, in relazione agli stimoli esterni. Ciò significa che percepita una sensazione, prodotta dall’esterno, si produce nel cervello uno specifico processo di reazione. In base allo studio delle relazioni sensazione-reazione, furono elaborate varie leggi. I due precetti base della teoria gestaltica, dai quali dipendono le leggi sulla forma sono: a) il significato di un elemento muta in relazione al contesto in cui è inserito b) la percezione è un fatto globale, dipende dal contesto, prima di essere un processo analitico di dettaglio. Fattori entrambi fondamentali nel campo della progettazione. Le principali leggi sulla forma, su base delle formulazioni gestaltiche sono: 14
Legge della vicinanza
Legge della chiusura
Legge del destino comune
1) “la legge della vicinanza”, per cui elementi prossimi tendono a costituire figure tra loro, piuttosto che configurazioni con elementi più lontani. 2) “la legge della chiusura”, secondo la quale elementi distanti, ma perimetrati, costituiscono figure che trasformano gli spazi minori in sfondo. 3) “la legge dell’uguaglianza”, in base alla quale, elementi uguali, entro altri, diversi tra loro e dai primi, creano una figura prevalente. 4) “la legge del destino comune”, per la quale gli elementi similmente orientati, in presenza di altri uguali,ma diversamente disposti, si costituiscono in figura autonoma. 5) “la legge della buona forma”, per cui si percepiscono più facilmente le figure che richiedono un minor numero di informazioni per essere identificate. 6) “la legge della simmetria”, secondo la quale gli elementi simmetrici si percepiscono come dominanti, in presenza di altri non simmetrici. 7) “la legge della stratificazione semplice”, per la quale una composizione di elementi piani viene percepita come sovrapposizione di elementi semplici, piuttosto che come figura 15
piana composta. Queste leggi gestaltiche sono effettivamente di carattere generale, ma in parte possono risultare soggettive, implicando il bagaglio di esperienze e la memoria del soggetto a percepente.3
Legge della buona forma
Legge della simmetria
1. Scienza del Disegno, M. Docci, D. Maestri, UTET, 2000 2. Design e Comunicazione Visiva, B. Munari, Edizioni Laterza, 1996 3. Scienza del Disegno, M. Docci, D. Maestri, UTET, 2000 16
1.2 elementi di attrazione visiva Sia che si tratti di produzione architettonica o che si tratti di oggettistica e design è necessario adoperare strumenti grafici. Praticamente ogni attività di progettazione passa attraverso la realizzazione di un disegno, cioè attraverso il tracciare dei segni su una superficie, in tempi più recenti i segni tracciati avvengono tramite calcolatore, giungendo al disegno tridimensionale, ma queste operazioni non hanno cessato di essere disegno. La base della ricerca grafica sta nella natura socievole dell’uomo, che l’ha portato a sviluppare capacità comunicative, ovvero di traduzione di sentimenti e idee in segni oggettivamente comprensibili dai suoi simili. Un atto di comunicazione avviene ogni qual volta un “emittente” produce un segno al fine di raggiungere un “ricevente”, in possesso di un uguale “codice di lettura” che gli permette di comprendere l’informazione. La comunicazione verbale è costituita da un insieme di segni e parole che associano a un determinato suono (significante) una specifica nozione (significato), come sappiamo però la diversità delle lingue porta ad avere diversi suoni per una stessa nozione, ovvero diversi significanti per un uguale significato, ad esempio le parole “matita”, “bleistift” e “pencil” sono tre diversi significanti per uno stesso significato. Nel linguaggio grafico la differenza comunicativa data dal significante non si verifica, poiché i segni grafici hanno un rapporto di somiglianza con la realtà che intendono significare. Infatti quasi la totalità delle persone al mondo sarebbe capace di riconoscere il disegno qui a fianco, riconoscendolo col significato di “matita”. 19
Questo perché fra le linee del disegno (il significante del segno grafico) e la forma della matita vi è un legame non arbitrario, perché il disegno oggettiva un’immagine soggettiva e la traduce in una situazione spaziale, assegnandole un limite ed una forma.1 “Un disegno vale mille parole” sosteneva Confucio nell’analizzare le capacità del segno grafico di sintetizzare e spiegare realtà anche molto complesse.2 La suddetta capacità di sintesi del linguaggio grafico deriva probabilmente dal rapporto che intercorre tra disegno e percezione visiva. Infatti le immagini che il nostro cervello tende ad immagazzinare non sono una riproduzione fedele e dettagliata di ciò che abbiamo visto, ma il frutto di un processo di selezione e astrazione, il quale ci permette di identificare un oggetto attraverso i suoi tratti salienti e particolarità. Allo stesso modo, quando ci troviamo a dover tradurre graficamente un oggetto, la cui immagine è depositata nella nostra mente, non andremo a riprodurre la realtà nella molteplicità di componenti e dettagli, ma ne evidenzieremo gli aspetti significativi (ad esempio il contorno o i tratti caratteristici), in modo da poter mettere il ricevente in grado di riconoscere la realtà che il disegno rappresenta anche se questo è schematico e parziale. Una caratteristica comune a entrambi i linguaggi è la scomponibilità dei loro segni in unità più piccole, caratteristica che garantisce di esprimere concetti sia semplici che complessi con un registro limitato di segni, la cui combinazione è governata da regole. Quello che è l’alfabeto per la lingua scritta e parlata, per il linguaggio grafico sono “punto” e “linea”. Combinando questi due elementi possiamo realizzare le “parole” del vocabolario grafico: superficie, texture e sfondo. Il punto è la più piccola unità percettiva del linguaggio grafico che il nostro occhio può cogliere. A differenza del punto geometrico, il punto visuale non è adimensionale, in quanto le sue dimensioni e il contorno sono determinate da colui che lo traccia o che iden20
tifica con un punto una determinata forma (ad esempio il sole o una stella ecc), e possono far trasparire una determinata volontà di significati, lo strumento con cui viene disegnato e la pressione che è stata effettuata. Ma ciò che definisce il significato di un punto non sono tanto le sue dimensioni o la forma, ma come determinati punti si relazionano con elementi simili o diversi nella loro immobilità.2 Come abbiamo visto nella Gestalt, l’aggregazione di punti genera immagini definite, infatti come l’allineamento di punti va a definire una linea, differenti concentrazioni di punti creano zone con valori cromatici differenti, dando la possibilità di generare imagini anche molto complesse, come dimostra la tecnica del puntinato. Se il punto è l’unità grafica statica, la linea è definibile come la traccia di movimento del punto a cui è applicato una forza, o una successione di punti vicini. Come per il punto, la linea grafica si differenzia da quella geometrica, poiché possiede uno spessore, sempre soggetto alla volontà di chi lo traccia o allo strumento utilizzato. La combinazione di volontà del tracciante, strumenti utilizzati e carte genera una infinità di linee di diverse forme, rettilinee, spezzate, curve, ondulate, annodate ecc. La linea, grazie alle sue caratteristiche, ha un grandissimo valore espressivo, oggetto di studio grafico e teorico di numerosi artisti, tra i quali Kandinskij, il quale elaborò una vera e propria “teoria della linea”, analizzandone le varie possibilità di composizione e ripetizione, che genera significati che possono essere di tipo costante, progressivo, rafforzativo ecc. 2 La combinazione dei due elementi fondamentali e le loro declinazioni, da origine ad altri elementi con cui opera il linguaggio grafico: la superficie, la forma, la texture e lo sfondo, i quali insieme alla profondità sono direttamente legati alla percezione visiva. 21
Nel disegno, invece, la forma è definita dal contorno, il quale ci permette di definire la porzione occupata da un corpo e quella non occupata. Nell’atto di percezione, il margine dell’oggetto analizzato svolge un ruolo di fondamentale importanza. Di conseguenza il contorno, trascrizione grafica del margine, è uno degli indizi maggiormente significativi, essendo questo il modo più semplice e diretto per raffigurare la realtà. L’elemento lineare reso contorno cessa di essere percepito come mero elemento grafico della composizione, ma diviene forma conclusa che emerge dal piano di quadro, diventa parte integrante della figura che crea. Infatti forme anche semplicemente delineate dal contorno apparente sono percepite come oggetti realmente esistente, dando la possibilità di rappresentare realtà anche molto complesse.
Linea di Wassily Kandinsky
La superficie, nel senso geometrico del termine, di figura bidimensionale, è graficamente generata dall’utilizzo della linea o del punto. Infatti tracciando una linea sul piano lo percepiremo come diviso in due superfici, invece tracciandone una che descrive un cerchio avremo definito una superficie autonoma chiusa, come succede anche con un insieme di punti distribuiti omogeneamente sul piano. 22
Superfici definite attraverso punti
Figura maschile di solo contorno, Egon Schiele 23
Esercizi di texture, Bruno Munari Col termine inglese “texture”, si indica l’aspetto superficiale di un oggetto. Essendo ogni superficie differente al tatto (liscia, ruvida ecc) e alla vista (lucida opaca ecc), è necessario trasporre graficamente queste caratteristiche. La rappresentazione grafica dell’aspetto di una superficie aiuta alla comprensione della stessa. Inoltre assume un significato più ristretto quando indica la percezione visiva uniforme di una superficie che presenta una ripetizione di segni uguali. La texture è uno degli aspetti fondamentali della caratterizzazione di una immagine, ed è realizzabile con vari strumenti e tecniche, tra le più comuni vi sono il puntinato e il tratteggio, con le quali è tra l’altro possibile studiare i fenomeni di rarefazione e addensamento che possono generare immagini, punti di ombra e luce, o definire le caratteristiche tattili della superficie di un oggetto. 24
Vaso di Rubin L’elemento dello sfondo viene percepito in funzione della presenza di un oggetto in primo piano. Quando concentriamo la nostra attenzione visiva su un oggetto disegnato, questo lo percepiamo come elemento emergente del disegno, mentre il resto assume la funzione e connotazione di sfondo. L’importanza di questo elemento è percepibile dagli studi della gestalt sulla multistabilità percettiva, che ci mostrano come è possibile che alcuni disegni siano soggetti all’imprevedibile sequenza di spontanei cambiamenti soggettivi. Ovvero la soggettiva interpretazione di un disegno dal significato ambivalente, come nel caso del vaso di Rubin, il quale cambia significato in base a quale dei due colori viene percepito come sfondo. Nel linguaggio grafico il rapporto primo piano-sfondo può essere realizzando modificando la definizione dei due elementi, scegliendo una maggiore definizione e sicurezza di tratto per gli elementi più importanti e un tratto accennato o 25
meno definito per le parti in secondo piano. La combinazione degli elementi sopra citati, ci permette di rappresentare in piano la dimensione spaziale della profondità. L’illusione di questo elemento nel piano può essere raggiunta giocando sulla grandezza degli elementi. Logicamente, più un oggetto è distante più noi lo vediamo piccolo, quindi una rappresentazione grafica più piccola di questo potrà aiutare alla percezione della profondità, come la disposizione degli oggetti in modo che uno copra parzialmente l’altro, quello sopra verrà naturalmente percepito come più vicino, anche se più piccolo, un ultimo metodo è la disposizione degli oggetti nel piano, più in alto lo poniamo, più ci apparirà lontano.3
Percezione della profondità attraverso la disposizione degli elementi 1. Disegnare il Design, G. De Ferrari, M. Gaiani, L. Galloni, E. Guida, M. Maiocchi, P. Pizzoccheri, Hoepli, 2001 2. Design e Comunicazione Visiva, B. Munari, Edizioni Laterza, 1996 3. Scienza del Disegno, M. Docci, D. Maestri, UTET, 2000 26
1.3 Metodi di rappresentazione Le Proiezioni Ortogonali Fin dai tempi antichi, gli addetti alla progettazione ebbero la necessità di adottare un metodo di rappresentazione, al fine di trasmettere le proprie idee agli esecutori in modo semplice e di facile attuazione. Già i Sumeri, e successivamente gli Egizi, utilizzarono nelle loro raffigurazioni elementi riscontrabili come “pianta” e “alzato”, concetti ripresi poi da Vitruvio nel De Architettura, il quale descrive un sistema basato su due piani di rappresentazione, uno orizzontale (rappresentazione iconografica) e uno verticale (rappresentazione ortografica), che appare assai simile alla nostra doppia proiezione ortogonale. Con l’avvento della prima industrializzazione in Europa si fa l’argo l’esigenza di adottare un metodo basato su procedimenti matematici e principi, in modo da giungere a una rappresentazione oggettiva e normata da regole, che eliminasse il rischio di interpretazione personale da parte dell’esecutore dell’oggetto. Il merito del raggiungimento di questo obbiettivo va dato a Gaspard Monge, matematico francese di fine ‘700, il quale nel trattato Géométrie descriptive. Leçon donnés aux Ecols Normales, codifica il metodo della doppia proiezione ortogonale. Lo stesso Monge, considerabile padre della geometria descrittiva, si occupò anche di dimostrare la perfetta definizione di un oggetto tridimensionale attraverso la doppia proiezione ortogonale, a testimonianza dell’efficacia scientifica del metodo. Il metodo della doppia proiezione ortogonale è, nel corso dei secoli, diventato il più usato tra quelli della geometria descrittiva, il motivo della larga diffusione è la possibilità che questo metodo offre di ricavare direttamente dalla rappresentazione le misure dell’oggetto, utile per la realizzazione di grandi edifici, sia di piccoli oggetti. Il 29
metodo permette infatti di conservare inalterate le condizioni di parallelismo. Cnseguentemente, una figura disposta parallelamente al piano di quadro, viene proiettata su questo senza subire alcuna deformazione. Ogni metodo rappresentativo necessita di una serie di elementi di riferimento (piani di proiezione dell’oggeto, centri di proiezione ecc.), per essere definito. Il primo elemento di riferimento sono due piani ortogonali tra loro, π1 e π2, i quali dividono lo spazio in quattro parti, intendendo come “piano” l’ente geometrico esteso illimitatamente. Il secondo elemento di riferimento sono i due centri di proiezione,
Schema Proiezione Ortogonale 30
posti all’infinito, con direzione ortogonale ai piani di proiezione nominati C∞ e C’∞. I due piani di proiezione vengono generalmente disposti uno orizzontalmente (π1) e l’altro verticalmente (π2), e la proiezione generata sul piano orizzontale viene definita prima proiezione o più comunemente pianta, quella effettuata sul piano verticale è denominata seconda proiezione o alzato, mentre la retta generata dall’intersezione tra i due piani è definita linea di terra, o linea di riferimento. I due piani intersecati vanno quindi a dividere lo spazio in quattro parti, chiamati diedri. Gli oggetti possono essere disposti all’interno di uno dei quattro diedri in modo arbitrario, ma nella pratica viene comunemente utilizzato il primo. Il metodo della doppia proiezione quindi comporta inizialmente il posizionamento di un oggetto nello spazio e nel proiettarlo, una volta sul piano orizzontale e una nel piano verticale, dai due centri C∞ e C’∞, i quali sono posti all’infinito in posizione ortogonale ai piani di proiezione. Le due proiezioni non solo rappresentano l’oggetto, ma ne permettono anche la sua ricostruzione e misurazione, definendone la posizione spaziale. Immaginando infatti di effettuare uno spostamento sull’asse verticale dell’oggetto vedremo che la proiezione sul piano di proiezione π1 rimarrà uguale, mentre quella sul piano π2 risulterà inalterata nella forma ma traslata secondo lo spostamento effettuato, testimoniando appunto la diversa posizione nello spazio.1
1. Manuale di Disegno Architettonico, M. Docci, Edizioni Laterza, 2007 31
Le Proiezioni Assonometriche I primi studi teorici della rappresentazione assonometrica furono effettuati dal matematico francese G. Désargues intorno al 1630. Tuttavia i suoi studi non furono pienamente compresi dai suoi contemporanei, ciò condannò il suo lavoro all’oblio per più di un secolo, fino a quando alla fine del XVII sec. Monge lo riprenderà per ulteriori approfondimenti. L’opera di Monge, per quanto fondamentale per tutti i metodi di rappresentazione non giungerà alla codifica del metodo della assonometria. Dopo alcuni apporti giunti dall’abate inglese W. Farish a inizio dell’800, la definitiva e completa codificazione giungerà alcuni anni più tardi, il merito spetta ai tedeschi L. J. Weisbach e K. Pohlke, i quali la teorizzarono nel 1853. La rappresentazione assonometrica si basa sulla proiezione di un oggetto tridimensionale da un centro di proiezione posto all’infinito (centro improprio) sopra un piano di rappresentazione (quadro). Anche questo metodo, come la proiezione ortogonale, deve soddisfare la condizione di corrispondenza biunivoca tra i punti nello spazio e i punti sul piano di rappresentazione, ciò vuol dire che la rappresentazione non solo riproduce l’oggetto, ma consente anche di risalire alla sua posizione nello spazio. Data la direzione assonometrica S (la quale rappresenta la posizione dell’osservatore posto a distanza infinita) e il piano di quadro π, il punto A viene proiettato sul piano di quadro nel punto A’, definito dall’intersezione tra il quadro e il raggio proiettante passante per A, parallelo alla direzione assonometrica. Fissato il punto A, è univocamente definita la sua rappresentazione A’; viceversa, data l’immagine A’ non è possibile stabilire la posizione nello spazio del punto A. Occorre dunque ampliare gli elementi forniti dalla rappresentazione, associando all’oggetto da rappresentare una terna di piani ortogonali, ortogonali a due a due. L’oggetto da rappresentare viene quindi correlato con essi attraverso tre proiezioni ortogonali effettuate sui tre piani. 32
Schema Assonometria La rappresentazione assonometrica consiste, quindi, nel proiettare sul piano di quadro non solo l’oggetto ma anche le sue proiezioni ortogonali. La terna di piani nello spazio prende anche il nome di “piani di riferimento”, i quali si intersecano secondo una terna di rette ortogonali aventi un punto in comune detto “origine”. Attraverso le coordinate cartesiane, le tre rette x, y e z ci consentono di determinare la posizione spaziale di un punto o oggetto. Nella figura si sono proiettati il punto A e le sue proiezioni ortogonali N, E e B, sui piani di riferimento, nella direzione S, sul piano di quadro π, nel quale si è ottenuto A’, N’, E’ e B’. Con l’utilizzo di questo metodo è possibile raffigurare un punto nel piano attraverso quattro diverse immagini, dalle quali è possibile risalire alla posizione di questo nello spazio. Al variare della direzione assonometrica S rispetto al quadro, o al variare nello spazio della terna di assi cartesiani, si ottengono sul piano di quadro π diverse terne 33
di rette, costituenti l’immagine della terna spaziale di riferimento. Nella proiezione, gli angoli retti degli assi della terna cartesiana subiscono una deformazione; solo quando due di essi risultano paralleli al piano di quadro, le loro proiezioni mantengono la condizione di ortogonalità. Ciò vuol dire che un segmento, costituente un’indicativa unità di misura, disposto su uno degli assi cartesiani e proiettato sul piano π darà luogo a un segmento di dimensione modificata; solo nel caso in cui un asse è disposto parallelamente al piano di quadro, il segmento-unità risulterà inalterato, nella proiezione, nella propria lunghezza. Tra le infinite posizioni che può assumere nello spazio la direzione assonometria S occorre distinguere il caso particolare della “assonometria ortogonale”, definita quando la direzione assonometria è perpendicolare al piano di quadro π, e la più generica “assonometria obliqua”, in cui la direzione assonometrica inclinata rispetto al piano. In relazione al variare delle unità metriche, l’assonometria può avere la stessa unità di misura su tutti e tre gli assi: in questo caso prenderà il nome di “isometrica” (o monometrica). Quando l’unità di misura si mantiene uguale su due assi e varia sul terzo verrà definita “dimetrica”; quando le unità di misura differiscono sui tre assi, prende il nome di trimetrica.1
1. Manuale di Disegno Architettonico, M. Docci, Edizioni Laterza, 2007 34
La Prospettiva La prospettiva è il primo dei metodi di rappresentazione della Geometria ad essere codificato, anche se per la sua definitiva sistemazione sono stati necessari ben due secoli. Essa nasce a Firenze, nei primi anni del XV secolo, per iniziativa dell’architetto Filippo Brunelleschi. Tuttavia è impossibile trascurare i contributi di altri artisti contemporanei di Brunelleschi, tra i quali Leon Battista Alberti. Non a caso infatti, questo metodo si afferma in seguito all’apporto dato a questo da personalità impegnati in diversi campi scientifici, quali l’ottica, la geometria e il disegno, che arriva a concepire il concetto di intersezione dei raggi visuali con un piano di quadro sul quale si forma l’immagine. L’intuizione di Brunelleschi fu quella del proiettare da un centro, posto a distanza finita, la pianta e l’alzato di un oggetto, ottenendo, per intersezione dei raggi proiettanti con un piano, l’immagine prospettica. Ovviamente non fu solo da questa intuizione che deriva la codifica definitiva di questo metodo, ma certamente fece da base di partenza sulla quale poterono lavorare il già citato Alberti, il pittore Piero della Francesca, Leonardo da Vinci, l’architetto Sebastiano Serlio e l’architetto e trattatista Iacopo Barozzi, noto come il Vignola. L’apporto di questi grandi artisti consenti all’italiano Guidobaldo del Monte e al fiammingo Simon Stevin di giungere alla definitiva teorizzazione della rappresentazione prospettica tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Si può infatti ritenere che nei primi decenni del XVII sec. la prospettiva come metodo rigoroso e scientifico della rappresentazione sia ormai un concetto acquisito. La genesi spaziale della prospettiva si può comprendere osservando la figura a pagina 36: per rappresentare sul piano verticale π (detto “piano del disegno”), un cubo appoggiato su un piano orizzontale π1, si immagini che il piano π sia costituito da una lastra di vetro; quindi si traccino i raggi proiettanti che passano per il centro di proiezione 35
Composizione Immagine Prospettica
(ovvero l’occhio dell’osservatore), e per i punti caratteristici del cubo. I raggi proiettati incontrano il piano del disegno, determinando una serie di punti che costituiscono l’immagine dei punti omologhi appartenenti al cubo stesso. Perciò il segmento verticale AB avrà il suo corrispettivo l’immagine sul piano del disegno il segmento verticale A’B’. La diversa posizione dell’osservatore, del quadro e dell’oggetto da rappresentare danno origine a diversi modelli di prospettiva, come si può vedere nella immagine sopra. Disponendo, infatti, il riquadro in posizione parallela a uno dei lati dell’oggetto da rappresentare, si ottiene un modello prospettico chiamato “prospettiva centrale” fig. a. Quando il quadro, pur rimanendo verticale, assume una posizione generica rispetto all’oggetto, si ottiene invece il modello prospettico detto “accidentale”, il più comunemente utilizzato fig. b. Il piano di quadro può anche trovarsi in posizioni diverse da quella 36
I tre tipi di rappresentazione prospettica
verticale, ad esempio disponendosi con una determinata inclinazione rispetto alla verticale, si ottiene il modello prospettico detto “a quadro inclinato” fig. c.1
1. Manuale di Disegno Architettonico, M. Docci, Edizioni Laterza, 2007 37
La Teoria delle Ombre I primi studi effettuati sulla costruzione geometrica delle ombre in prospettiva si devono all’opera del matematico italiano Guidobaldo del Monte, affrontati nel suo trattato Perspectivae libri sex, pubblicato nel 1600. Nel quinto libro egli affronta il problema della rappresentazione delle ombre in prospettiva generate da una sorgente luminosa posta a distanza finita. Dopo questo fondamentale lavoro la teoria delle ombre porterà allo studio dei problemi di chiaroscuro e della illuminazione delle superfici. L’impiego delle ombre nella rappresentazione prospettica, assonometria e ortogonale non solo migliora la qualità dell’immagine, conferendole risalto, profondità e realismo, ma può diventare un vero e proprio mezzo di controllo e comunicazione progettuale, essendo queste agenti che influiscono nei prospetti degli edifici e degli oggetti. Definendo la luce come un fenomeno ondulatorio, e ogni serie di onde luminose che percorre una linea retta viene detto “raggio di luce”, il quale è assunto come ente geometrico fondamentale. In questa accezione il raggio di luce è inteso come retta orientata, individuata quindi oltre che da una direzione anche da un verso; il verso del raggio di luce è quello individuato dal moto delle onde luminose che si allontanano dalla sorgente. Quando la sorgente luminosa S è posta a distanza infinita rispetto all’oggetto i raggi luminosi costituiscono un fascio di rette parallele; quando invece la sorgente S è posta a distanza finita rispetto all’oggetto, i raggi che lo colpiscono definiscono un cono che ha per vertice la sorgente luminosa. La più comune sorgente luminosa è il sole, il quale nelle rappresentazioni viene immaginato come elemento puntiforme a una distanza infinita, il che permette di eseguire alcune necessarie semplificazio38
Sorgenti luminose: luce naturale e artificiale
ni. Come è noto, però, il sole oltre non essere una sorgente puntiforme si trova anche a una distanza finita. Ciò causa numerose conseguenze che possono essere osservate guardando con attenzione l’ombra di un oggetto proiettata sul piano. Si nota infatti che sul piano su cui si genera l’ombra portata, il passaggio dalla zona di luce a quella in ombra è mediato da una fascia in penombra, la quale va ad aumentare allontanando l’oggetto dal piano di proiezione, poiché l’oggetto è illuminato da raggi diversi della stessa sorgente luminosa, determinando lo sfaldamento della proiezione dell’ombra nella fascia sopra nominata di penombra. Se si osserva un parallelepipedo posto nello spazio a una certa distanza da un piano α, colpito dai raggi del sole, si può notare che, essendo opaco, i raggi numerosi che lo investono interrompono il loro percorso, e vanno a illuminare le facce che colpiscono, mentre altre risultano rimanere in ombra; le facce in ombra dell’oggetto prendono il nome di “ombra propria”. Gli spigoli, che vanno a separare le facce illuminate da quelle in 39
ombra del parallelepipedo, vengono colpiti in modo radente dai raggi luminosi. Quelli passanti, ad esempio, per lo spigolo DC proseguono la loro corsa e vanno ad arrestarsi sul piano α, dove proiettano un segmento che divide il piano in due parti, una in ombra e una in luce. Gli spigoli che separano la parte in luce da quella in ombra costituiscono la “separatrice d’ombra propria”, la cui proiezione dalla sorgente luminosa determina il contorno dell’”ombra portata”. E’ quindi possibile dire che il contorno dell’ombra propria di un oggetto è il luogo geometrico dei punti illuminati dalla precedentemente definita luce radente, ovvero è il luogo di contatto delle tangenti condotte dalla sorgente luminosa alla superficie dell’oggetto stesso.1
Costruzione dell’Ombra di un Parallelepipedo da sorgente luminosa naturale
1. Manuale di Disegno Architettonico, M. Docci, Edizioni Laterza, 2007 40
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2. La Costruzione dell’Immagine 2.1 Mimesis “Imitare è gesto connaturato agli uomini fin dalla puerizia, e in ciò l’uomo si distingue dagli altri animali, nell’essere più portato ad imitare e nel procurarsi per mezzo dell’imitazione le nozioni fondamentali, e tutti gli uomini traggono piacere dalle imitazioni” scrive Aristotele nel 330 a.C.1 Concetto espresso anche dal suo maestro Platone, la cui filosofia estetica sottolinea come per molti secoli la mimesi è fondamentale negli aspetti teorici dell’arte e della poesia (teorizzazione che risulterà valida per molti secoli dopo la sua formulazione).2 Originariamente infatti l’arte si identificava nell’imitazione, solo nell’estetica moderna la creatività dell’uomo entra in collisione con una comprensione della mimesi come pura imitazione. Nonostante ciò il suo lato rappresentativo resta legato a una “realtà” data, che tuttavia non viene solo riprodotta, ma viene anche modificata nella cosiddetta “trasformazione artistica”, definendo l’arte non sdoppiamento della realtà, ma unicamente la sua rappresentazione simulata.3 Ma le linee somigliano alle cose? Statua iper-realista dell’Imperatore Augusto, I sec. d.C. A metà del ‘900 Ryan e Schwar42
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Esperimento Ryan-Schwartz 4 tz condussero un esperimento, sottoposero a delle persone delle immagini di una mano in quattro diversi stili raffigurativi: fotografico, disegno illusionistico, disegno al tratto, stilizzazione fumettistica. Il disegno a fumetti veniva riconosciuto nel minor tempo di tutti, seguito subito dopo dal disegno al tratto. Questo perché i disegni lineari son più facili da riconoscere di una foto perché sopprimono tutte le informazioni tonali e danno alla retina un’immagine pre-digerita, e in più nel caso del fumetto, è l’altissimo grado di convenzionalità a rendere il riconoscimento immediato: la mano col guanto di Topolino si coglie al volo, come cogliamo la lettera A; è una convenzione memorizzata. A questo proposito, è utile citare un altro esperimento, condotto da Julian Hochberg e Virginia Brooks su loro figlio, il quale fin dalla nascita fu cresciuto in un ambiente privo di immagini raffigurative: niente disegni, niente pubblicità o giornali. Quando verso i tre anni gli sottoposero dei disegni “al tratto” di oggetti a lui noti li riconobbe senza problemi. Ciò prova che il riconoscimento del disegno a contorno può avvenire anche in elementi poco educati alle convenzioni figurative. Però rintracciare i contorni è un elemento fondamentale, ma non completa la comunicatività dell’immagine. Porre una somiglianza basata sull’isomorfismo è sufficiente per informazioni geometriche o figurative, ma come distinguere la pazzia in un quadro di Goya o la potere in un quadro di Ingres? 44
Dettaglio, Saturno che divora i suoi figli, Francisco Goya, 1821
Dettaglio, Napoleone I sul Trono Imperiale, J. Ingres 1806 45
I linguaggi possono stabilire elementi di analogia o di somiglianza con le cose, ma è sempre necessario conoscere il codice culturale a cui ci si riferisce.4 Ernst Gombrich in uno studio divenuto ormai classico sul concetto di illusionismo nell’arte, ribadiva che la somiglianza figurativa è solo una questione di grado, e in generale possiamo vedere solo quello che abbiamo imparato a vedere, “un occhio innocente non vede nulla”.5 Sembrerebbe quindi che alcuni segni vengano rintracciati senza alcuna mediazione nella realtà, altri invece vanno imparati. Per quanto riguarda le arti non esistono linguaggi figurativi che non comportino un grado di convenzione, giacché senza un accordo tra le parti non ci può essere comunicazione. Ad esempio la prospettiva di un dipinto rinascimentale è un codice culturale preciso, infatti l’immediatezza figurativa della pittura europea è solo presunta, osservando e confrontando la pittura col reale ci si accorge che il grado di convenzionalità è altissimo, attraverso una selezione attentissima su come le cose vadano raffigurate. La pittura europea predilige la vista di tre quarti, soprattutto mani e piedi sono sempre disegnati in modo che si vedano bene tutte le dita. Se però ci sof46
Tipo cognitivo del gatto
Creazione d’Adamo, Michelangelo. Dama con l’ermellino, Leonardo da Vinci. Madonna di Senigallia, Piero della Francesca. Assunta, Tiziano. Nascita di Venere, Botticelli.
fermiamo sulla vista del reale, delle foto che ci facciamo a vicenda, o di un film, potremmo notare che le mani raramente sono riprese nella loro interezza e con tutte le dita in vista, la maggior parte delle volte alcune dita risulteranno nascoste o piegate, in altri casi l’intera mano, trovandosi sulla linea ottica del braccio sarà invisibile. La naturalità della vista rinascimentale di tre quarti è un codice non dissimile dal gusto egizio che prediligeva il punto profilo. In ogni caso entrambi i modi di rappresentazione sono una scelta frutto di una precisa idea del mondo; ad esempio i tre quarti sono la forma simbolica della certezza di uno spazio concreto, misurabile e percorribile nella sua profondità. Frutto di valori tangibili e scientifici, non spirituali.4 Ma la conoscenza non può essere esclusivamente visuale, un oggetto, animale o un’altra persona non viene da noi definita solo nei suoi aspetti estetici, gli elementi conoscitivi definiti “tipi cognitivi” devono essere fatti di tratti sia visuali che non visuali. Il tipo cognitivo del gatto non può essere solo la linea che ne definisce il contorno, ma anche le caratteristiche di agilità, eleganza, caratteriali e di movimento, le qualità morali che gli attribuiamo ecc. Sarà poi per somiglianze incrociate che riconosceremo il gatto in uno scarabocchio atto a raffigurare lo scatto felino dell’animale.6 47
Ma come il contorno di un oggetto conosciuto non è sufficiente a fare comunicazione, allo stesso tempo il sistema iconico delle immagini va appreso attraverso i filtri culturali. La sintesi dei due concetti avviene in immagini definite Isotype (un acronimo di International System of Typographic Picture Education), un sistema di pittogrammi messo a punto per la prima volta da Otto Neurath per comunicare le informazioni in modo semplice e visuale, senza l’utilizzo (o con un uso limitato) della lingua scritta e parlata.7 Un esempio è l’immagine qui di fianco, la quale è apparentemente scollegata dal significato, che tutti riconosciamo immediatamente come la presenza di servizi igienici, pur non essendoci raffigurato nessun elemento di essi.
Isotype servizi igienici, Cook & Shanosky, 1974 1 Retorica, Aristotele, Mondadori, 1996 2 Repubblica, Platone, Laterza, 1997 3 L’arte e i Suoi Modelli, Christopf Wulf, i Cabiri, 1989. 4 Guardare Pensare Progettare, Riccardo Falcinelli, Stampa Alternativa & Graffiti, 2011. 5 Arte e Illusione, Ernst Gombrich, Phaidon, 2009. 6 Kant e L’Ornitorinco, Umberto Eco, Bompiani, 1997. 7 International picture language; the first rules of Isotype, Otto Neurath, 1936 48
2.2 Disegno come strumento di studio e approccio alla conoscenza Comunemente quando ci si riferisce alle qualità di disegno si intende la capacità di disegnare “figurativamente”, ma questo tipo di rappresentazione è solo un aspetto di una attività molto più vasta e articolata. Il disegno è una delle prime attività ricreative insegnate a un bambino, questo perché i bambini traggono piacere sia dal gesto motorio che dalla possibilità di lasciare delle tracce (chiunque si stancherebbe di disegnare nell’aria o con un pennarello non funzionante), modificare una superficie, che sia essa un foglio o, perché no, un muro. Quelli che a due anni sono scarabocchi a quattro si evolveranno in elementi più definiti; a questa età il confine tra disegno e scrittura è estremamente permeabile, essendo la rappresentazione una forma di descrizione dell’esistente, attraverso una operazione di simulazione, la quale avveniva anche agli albori della civiltà, si è infatti potuto notare come i simboli antichi vengono re-inventati da ogni generazione di bambini, appunto come rappresentazione di ciò che si conosce.1 Nei disegni dei bambini, tutto è raffigurato dal punto vista più informativo dell’immagine, ed è possibile riscontrare una serie di codici coincidenti a quelli presenti in molta arte preistorica.2 Una adulto che vuole imparare a disegnare invece farà generalmente riferimento alla raffigurazione mimetica, ma anche in questo caso il disegno è fatto da numerose altre attività. Possiamo disegnare guardando la realtà, oppure ciò che ricordiamo della realtà, l’impressione en plein air di Monet o l’espressione di Munch, o ancora utilizzando un repertorio fumettistico mentale. Le varie attività vengono spesso combinate, il disegno a memoria spesso segue studi di anatomia e prospettiva, o la pratica della copiatura di altri disegni. Poiché disegnare a memoria vuol dire imparare 51
Disegno infantile
Incisione preistorica, Ossimo, Lombardia, 2400/2600 a.C.
a ruotare mentalmente corpi e oggetti e rappresentarli sulla carta, mischiando l’esercizio del guardare la realtà con le competenze sviluppate tramite l’osservazione o il ri-disegno di altri oggetti e stili. Al di là dei risultati e della tecnica utilizzata, disegnare insegna a vedere il mondo in maniera accurata, capacità da allenare e spesso ardua anche per i disegnatori più esperti. La difficoltà consiste nell’opporsi a ciò che al cervello viene naturale, ovvero la costanza delle forme e la concettualizzazione di esse. Alcuni esercizi utili ad astrarsi dai meccanismi di riconoscimento concettuale del cervello sono ad esempio il ricopiare una fotografia capovolta, in modo da attenuare il meccanismo di riconoscimento arrivando a rappresentare chiaroscuri astratti, poiché disegnare figurativamente significa concentrarsi sulle forme in sé, sui passaggi tonali, sulle linee, a prescindere da quello che significano o rappresentano per noi. Per questo spesso risulta difficile disegnare degli scorci urbani, poiché il cervello si è evoluto per ignorare la specificità del punto di vista, costruendo una visione stabile e costante dell’ambiente in cui siamo immersi.3 52
Claude Monet, Impressione, levar del sole, 1872
Edvard Munch, L’urlo, 1893
Una volta fatta abitudine al disegno aconcettuale possiamo notare come veniamo a conoscenza di maggiori informazioni riguardo quello che guardiamo. Dopo aver disegnato diverse finestre prenderemo atto delle varie differenze che esse possiedono, i vari infissi da cui sono incorniciate, come sono partizionati i vetri e la riflessione che essi generano o se lascia trasparire la presenza di tende all’interno. Tutte queste informazioni non solo ci permettono di creare un disegno più realistico, ma sono caratteri formali 53
Astrazione grafica di Frank Gehry, Bubble Chair, 1987 che ci aiutano a comprendere gli oggetti e la natura, contribuendo all’esperienza mnemonica. Oltre ciò possiamo aggiungere ai nostri disegni delle note, appunti scritti e diagrammi, in modo da immagazzinare nella nostra memoria un dato più preciso e accurato. L’aspetto complementare all’aumento di percezione è la discriminazione. Sebbene possiamo aumentare la nostra velocità e accuratezza nella raffigurazione del reale, è irreale pensare di spendere diverse ore per prendere un appunto visuale, aggiungendo una infinità di dettagli spesso inutili. E’ perciò necessario concentrarsi su specifiche informazioni, fondamentali, nel nostro disegno, trascurandone altre. Alcuni tipi di discriminazione possono riguardare la tecnica utilizzata, architetti e designer spesso fanno uso di un alto livello di astrazione, il che rende i disegni utili solo a loro stessi, viceversa quasi incomprensibili agli altri. Particolarmente efficaci sono le tecniche usate dai cartonisti, i quali si dedicano alla massima ricerca dell’economia dei significati.4 54
Discriminazione dei dettagli nel fumetto, Guido Crepax, 1965
Ricerca forma originale di un flacone di profumo 5
Nelle operazioni di ridisegno del reale trova particolare importanza il percorso a ritroso, ovvero il partire dalla forma percepibile fino a giungere a delle forme primitive, ciò sortisce l’effetto di far riconoscere il percorso stesso dell’oggetto che stiamo rappresentando, aspetto fondamentale nel processo formativo di architetti e designer, che hanno l’opportunità di capire attraverso lo studio di oggetti reali le fasi e le trappole del cammino di sviluppo del prodotto, che poi l’allievo, durante gli studi di progettazione 55
o una volta progettista, compirà nella direzione opposta, dal pensiero al prodotto. Rilevare per conoscere, per comprendere come linee e forme plastiche contribuiscono alla suddivisione delle superfici e degli spazi, e come elementi pittorici quali luce, colore e materia contribuiscono alla variazione dell’aspetto dei volumi, oltre che al loro rapporto con l’ambiente circostante. Il disegno è quindi strumento per scoprire le strutture formali dell’oggetto, attivando una analisi interpretativa che sveli le varie dimensioni e i differenti valori che correttamente interfacciati tra loro danno vita a ciò che è l’oggetto, aprendo alla comprensione di eventuali costruzioni modulari o proporzionali.5
Analisi modulare e proporzionale 56
1 Guardare Pensare Progettare, Riccardo Falcinelli, Stampa Alternativa & Graffiti, 2011. 2 Analyzing Children’s Art, Rhoda Kellogg, Girard & Stewart, 2015 3 Disegnare con la parte destra del cervello, Betty Edwards, Longanesi, 2002 4 Visual Notes for Architects and Designers, Norman Crowe, Paul Laseau, Wiley, 2012 5 Il Disegno per il Design, Sergio Coradeschi, Hoepli, 1986
2.3 disegno come esPressione della creatività e traccia del Pensiero Progettuale Il disegno è uno strumento allenabile, la pratica di ridisegno come già detto porta a una maggiore comprensione dei problemi della composizione utile alla costruzione di nuove forme. La pratica costruisce quindi un lessico di base che accompagna il designer (architetto o disegnatore) nel relazionarsi alle difficoltà delle nuove elaborazioni, attraverso l’utilizzo di un linguaggio personale ricavato dalle esperienze passate. Non è inusuale, infatti, che un designer parta da bozze minimali o pattern per richiamare alla memoria le idee, per poi costruire sopra gli sketch di base esplorando le possibilità inerenti al progetto, creando un processo ciclico di disegno-osservazione-riformulazione-disegno il quale si trova alla base del processo creativo.1 Il disegno analitico è sicuramente lo strumento più utile alla composizione formale, a differenza del disegno figurativo dove procediamo linearmente, possiamo effettuare una costruzione definendo prima una volumetria generale e poi scendendo nella subordinazione delle parti, giungendo infine al disegno dei dettagli. Si inizierà con delle linee legLinee di costruzione 59
gere, tracciando una cornice, una sorta di scatola trasparente per la forma, le cui superfici sono tangenti agli estremi dell’oggetto che andremo a rappresentare. Ciò è necessario non solo per spiegare l’apparenza delle superfici esterne, ma anche le geometrie sottostanti e strutture dell’oggetto, definendo delle linee ordinatrici di grandezze, forme e proporzioni, utilizzando le tracce grafiche per collocare punti, nodi, distanze, centri ed esprimere relazioni di perpendicolarità e tangenza, allineamenti e offstets, utili alla comprensione spaziale dell’oggetto, per averne una coscienza dimensionale e riconoscerlo nella sua volumetria, a differenza di un disegno della sola superficie che porterebbe a una analisi basata più sulla matericità e apparenza. Disegnare una sovrastruttura ap-
do comunque intatto il processo costruttivo da cui è generato attraverso le linee di costruzione. Procedendo con lo sviluppo del disegno non dobbiamo comunque perdere di vista la totalità dell’immagine. Nessun elemento è indipendente nella composizione, ogni parte dipende da un’altra per il loro impatto visuale, funzione e significato. Per assicurare ciò dobbiamo curare con particolare attenzione le proporzioni. La proporzione è definibile come un elemento comparativo delle relazioni di una parte con un’altra o con l’intero, regolando la nostra percezione di grandezza e forma, perciò può essere usata per promuovere unità formale e armonia. Ciò che è stato descritto sopra può essere riassunto nel concetto di costruzione dell’immagine attraverso la geometria. Infatti come possiamo ricondurre numerosi oggetti d’uso comune a forme geometriche di base, con queste ultime possiamo anche concepirne di nuove, giungendo a una cornice costruttiva per sviluppare le for-
Definizione e caratterizzazione
prossimativa di linee aiuta l’occhio a concentrarsi su quelle che risulteranno le più importanti attraverso il giudizio visuale e saranno poi confermate o aggiustante, per questo è importante non cancellare le linee di costruzione, le quali aiutano a capire il processo evolutivo e la proporzionalità del disegno. Attraverso un continuo processo di selezione, eliminazione (non grafica) e intensificazione delle linee, andremo a sottolineare quelle che giudicheremo più importanti fino a giungere alla forma finale, comprensiva di intersezioni, connessioni e transizioni, mantenen60
Solidi derivabili dal cubo 61
me, intervenire nello spazio e successivamente rifinire gli elementi. Il cubo è indubbiamente una delle strutture tridimensionali più convenienti da cui partire, esso può infatti essere facilmente declinato in altri volumi elementari come il cilindro, la piramide o il cono. Un cubo può essere esteso verticalmente, orizzontalmente, diagonalmente o in ogni direzione spaziale da noi scelta. Operando quindi per addizione di elementi possiamo esplorare le relazioni tra forme e grandezze,
Le discipline della rappresentazione in assistenza alla progettazione hanno infatti portato il disegno da schema a tecnica di simulazione e prototipizzazione dell’oggetto, definendo la disciplina come strumento di indagine verifica e scoperta, trattando il disegno come “scienza sperimentale”. Il “modello grafico” diviene così elemento di integrazione delle diverse componenti (corrispondenti ad aspetti o fasi differenti), in quanto unico in grado di contenere tutti i tipi di informazione relativi al progetto in essere.
Solidi derivabili dal cubo
creando una griglia di elementi di regolazione spaziale, attraverso la quale si può giungere anche a risultati molto articolati. L’operazione inversa è ovviamente quella sottrattiva, in cui selettivamente si rimuovono o “scavano” porzioni per generare nuove forme, creando una procedura simile a quelle di uno scultore, il quale progetta mentalmente l’immagine in un blocco di marmo e elimina il materiale fino a quando la scultura non è realizzata. Le due operazioni, additiva e sottrattiva, possono ovviamente essere combinate per studiare infinite possibilità formali e compositive.2 Successivamente alla fase compositiva si può far uso di elementi caratterizzanti come il colore, la texture e le ombre, per accrescere il bagaglio di conoscenze che quello che ormai è definibile come metaprogetto, ovvero la composizione grafica facente da ponte tra una iniziale prefigurazione formale e definizione di essa.3 62
1 Visual Notes for Architects and Designers, Norman Crowe, Paul Laseau, Wiley, 2012 2 Design Drawing, Francis D. K. Ching, Wiley, 2010 3 Il Disegno per il Design, Sergio Coradeschi, Hoepli, 1986 63
3. Esercizi di Sketching Nell’ultima parte del lavoro, attraverso la realizzazione di alcuni esercizi, si son voluti applicare alcuni concetti teorici propri del linguaggio grafico dello sketching per il design. la scelta degli oggetti è stata condotta basandosi sul rapporto tra forza iconica e forma. La tecnica utilizzata è stata quella della penna a china, con caratterizzazione attraverso marker ad acqua. L’utilizzo di questi strumenti nasce dalla ricerca di una immediatezza espressiva, trovata nell’uso della penna a china, le cui linee definiscono lo spazio, e la comprensibilità del marker, utilizzato per far emergere le volumetrie attraverso le ombre. La tecnica adottata non ha previsto l’uso di disegni preparatori, focalizzandosi sulla dinamicità della linea, effettuandola più volte se necessario. Il disegno, anche se impreciso comunica una confidenziale fluidità, in cui l’occhio umano può ritrovare la linea corretta e a lui nota autonomamente tra quelle effettuate.
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le corBusier
Charles-Edouard Jeanneret (1887-1965) in arte Le Corbusier, fu il più importante architetto del movimento moderno, iniziò a interessarsi del design di interni nel 1928, dopo aver aggiunto ai membri del suo studio Charlotte Perriand, specializzata nel campo. La sua linea di prodotti fu esposta per la prima volta al Salon d’Automne 1929, e comprendeva la sedia LC1, la poltrona LC2, il divano LC3 e la chaise longue LC4. Per Le Corbusier i prodotti di sua concezione erano strumenti per la vita quotidiana in cui però non veniva dimenticata la componente artistica e il buon gusto manifestato dalle scelte, finezza, proporzioni e armonia. 66
Poltrona lc2, 1928
Un semplice parallelepipedo a cui è sottratta una parte, questa è la poltrona LC3, risposta modernista alle poltrone in pelle con braccioli della prima metà del ‘900. Commercializzata come Petit Comfort, nella sua versione a posto singolo e Grand Comfort come divano, fa intuire che la ricerca della comodità non è stata trascurata dalla ricerca estetica modernista. Al disegno minimale segue la composizione, essendo 4 cuscini di pelle indipendenti racchiusi in due elementi tubolari d’acciaio, interrotti solo nel punto della seduta.
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alvar aalto
Alvar Aalto (1898-1976) fu un architetto e designer finlandese, ricordato come uno dei maestri del movimento moderno. Discostandosi dal razionalismo che caratterizzò la prima metà del ‘900 Aalto abbracciò uno stile ricercato fatto di superfici e linee curve, superando lo schematismo formale, utilizzando materiali naturali coniugati a quelli moderni come il cemento e l’acciaio. Spinto dall’esperienza della progettazine del Sanatorio di Paimio, dove Aalto si occupò anche del design degli elementi di arredo, l’architetto fondò, nel 1935, l’azienda di mobili Artek, fusione delle parole “arte” e “tecnologia”, per sottolineare gli intenti dell’azienda e dei suoi designer. 68
Poltrona Paimio, 1930
La poltrona faceva parte del progetto per la costruzione dell’ospedale di Paimio, Finlandia, commissionato ad Alvar Aalto nel 1929 dopo la vincita del bando di gara. Invece di utilizzare i tradizionali tubi metallici, Aalto desiderava qualcosa di più caldo e umano per i mobile, realizzando la poltrona in compensato curvato e legno laminato. Aalto intendeva creare per l’ospedale dei mobili che promuovessero con il loro funzionalismo, ma anche con la loro bellezza, il benessere dei pazienti. Oltre che per motive estetici, la poltrona Paimio fu realizzata anche per rendere più facile ai pazienti respirare. La progettazione dell’ospedale di Paimio rese Alvar Aalto famoso nel mondo come architetto, ma significò anche l’inizio della sua carriera come designer di pezzi di arredamento. 69
alFonso Bialetti
moKa, 1933
Alfonso Bialetti (1888-1970) emigrò in Francia giovanissimo per lavorare come operaio fonditore, esperienza che gli fu utile al suo ritorno in Italia, nel 1918, quando aprì la sua fonderia, attrezzandola in modo da sfruttare le moderne tecniche di fusione dell’alluminio imparate oltralpe. Il 1933 fu l’anno dell’invenzione della Moka, la quale soppiantò la tradizionale caffettiera napoletana e fino al termine del secondo conflitto mondiale poté vantare una produzione artigianale di 70mila pezzi l’anno. Icona del made in Italy da più di 80 anni, è rimasta pressocché invariata, e può vantare qualità ergonomiche, economia di produzione, praticità d’uso e contenimento degli spazi. E’ composta da 4 solo quattro elementi metallici, a cui si aggiungono una guarnizione e il manico di materiale sintetico. La base ottagonale del prodotto è uno degli elementi distintivi e riconoscibili, che ha portato a numerose imitazioni; nonostante ciò la Moka Bialetti ha venduto più di 105 milioni di esemplari.
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gerrit rietveld
Gerrit Thomas Rietveld (1888-1964) fu un artigiano, architetto e designer olandese. Ispirato dal connazionale Piet Mondrian, Rietveld baserà il suo lavoro sullo sfalzamento geometrico e asimmetrico di superfici e volumi nelle tre dimensioni, basi del pensiero neoplasticista (che in olanda prese il nome di De Stijl). Essendo stato un falegname si occupò anche della produzione manuale dei prototipi di arredo da lui disegnati, dando particolare attenzione ai giunti a incastro del legno, materiale con cui era solito lavorare.
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sedia zig zag, 1934 Il profilo e il nome di questa sedia illustre fanno pensare a una linea spezzata. In realtà, l’idea del suo geniale autore era quella di ottenere una forma senza soluzione di continuità tra le varie componenti. Per Rietveld, ricercatore instancabile di forme e materiali, uno dei temi più importanti era la piegabilità: ovvero, come ottenere strutture tridimensionali da elementi piani o lineari. Infatti, il punto di partenza della Zig Zag, celebre icona del Novecento, era un modello in tubolare metallico con un profilo a S, in grado di uniformare seduta, schienale e gambe in una linea continua. Poi il progetto è evoluto in una versione curvilinea in compensato ligneo e infine in questa, la più famosa, con una connessione di quattro tavolette incernierate tra loro con semplici denti a incastro e un paio di rinforzi. Più di questo, in termini di continuità tra gli elementi, hanno potuto solo le tecniche di stampaggio plastico.
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lino saltini
sit-siemens s62, 1962
Il Siemens S62, noto come Bigrigio Emblema della telefonia domestica è stato protagonista del boom di richieste di nuove utenze telefoniche che si sono registrate negli anni ‘60. Scelto dalla SIP (SocietĂ Italiana per l’esercizio telefonico) come modello fornito assieme alla sottoscrizione del contratto telefonico e pagabile con una rateizzazione inserita direttamente nella bolletta, venne prodotto in milioni di pezzi. 74
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Bruno munari
Bruno Munari (1907-1998) è stato un artista e designer italiano, riconosciuto come uno dei più importanti protagonisti dell’arte, design e grafica del XX secolo. Le sue ricerche sulla comunicazione visiva, luce e movimento sono stati fondamentali in campi quali la pittura, scultura, il cinema e la grafica. Dopo una breve parentesi futurista fonda, nel 1948, il MAC (Movimento Arte Concreta), dove attraverso la ricerca della sintesi delle arti e dei nuovi strumenti di comunicazione, testimonia una possibile convergenza tra arte e tecnica. Nel 1947 realizza una delle prime installazioni nella storia dell’arte, Concavo-Convesso del 1947, con la quale dimostra che l’arte deve sollecitare il fruitore non solo mentalmente ma multisensorialmente. 76
lamPada FalKland, 1964 La forma della lampada ‘Falkland’ nasce dalla tensione di un tubo di filanca e dal peso di alcuni anelli metallici: è una forma spontanea, generata unicamente dalla tensione delle forze interne che la compongono. Sette anelli di metallo di diametri diversi, un tubo di filanca bianco, una sola lampadina e un riflettore in alluminio che riprende la forma delle curve del tessuto. Questa lampada corrisponde più delle altre ai requisiti che Munari indica come indispensabili per una corretta progettazione: semplicità, efficienza, minimo ingombro di stoccaggio e massima resa formale. Nasce dalla commistione di oggetti lontanissimi tra loro, come le nasse da pesca, le calze da donna e le lampade di carta orientali. Alta più di un metro e sessanta, si compatta nella confezione in pochi centimetri di spazio, la luce filtra dal tubo, utilizzando la texture del tessuto per creare un caratteristico effetto di luminosità morbida e diffusa.
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micHael graves
Michael Graves (1934-2015) architetto e designer, è stato una icona del postmodernismo e neo-tradizionalismo americano. Le linee pulite e la composizione volumetrica tipiche delle sue progettazioni architettoniche si ritrovano anche negli oggetti da lui disegnati per l’azienda italiana Alessi.
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Bollitore 9093, 1985
Questo bollitore è sicuramente uno dei prodotti più famosi presenti nel catalogo Alessi: è il capostipite di una serie di oggetti disegnati da Michael Graves a partire dagli anni 80 ed ha sicuramente ispirato tutta una serie di oggetti “pop” che sono diventati vere e proprie icone del design degli anni 90. Questo bollitore unisce una tecnologia abbastanza elementare ad un design davvero senza tempo.
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micHele de luccHi
Michale De Lucchi (1951) laureatosi a Firenze, diviene assistente al corso di progettazione di Adolfo Natalini nella stessa università, per poi diventare collaboratore di un altro grande nome del design italiano, Ettore Sottsass, nel 1979. Poco dopo avvia una attività autonoma, occupandosi degli arredi del gruppo Olivetti e collaborando con Compaq, Siemens e Philips. Dopo il premio Compasso d’Oro per la Lampada Tolomeo si occuperà di progettazione d’interni per Deutsche Bank, Poste Italiane e Deutsche Bahn. Negli anni ‘90 collaborerà con Enel, Piaggio, Telecom Italia e Intesa Sanpaolo, di cui disegnerà le carte di credito. 80
lamPada tolomeo, 1986
Caratterizzata da linee minimal ed eleganti, la lampada da tavolo Artemide Tolomeo è un oggetto di design attuale e inconfondibilmente italiano. Risultato della collaborazione tra Michele De Lucchi e Giancarlo Fassina, progettata nel 1986 si aggiudica il Premio Compasso d’Oro, prestigioso riconoscimento per il design industriale. De Lucchi parla così a proposito della sua opera: “La lampada Tolomeo ha avuto un grande successo perché ha influenzato altre lampade, ed il pensiero di chi le progetta”.
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PHiliPPe starcK
Philippe Starck (1949) è un designer francese, dopo aver compiuto i suoi studi all’Ecole Camondo a Parigi, ad appena 20 anni venne assunto dal colosso del fashion design Pierre Cardin, come art director della sezione arredamento dell’azienda. Dopo una breve parentesi nella azienda Adidas Starck fonda la propria compagnia di industrial design, iniziando a lavorare su commissione per le aziende Alessi e Kartell. Negli anni ‘80 inizierà ad occuprsi anche di arredo d’interni, essendo stato incaricato del ri-arredo degli appartamenti privati del presidente francese Mitterrand all’Eliseo. L’azienda di Starck attualmente si occupa di innumerevoli branche del design, tra le quali figurano l’arredo urbano, utensili, abiti e veicoli terrestri, acquatici, aerei e spaziali. 82
sPremiagrumi JuicY saliF, 1990 Lo spremiagrumi Juicy Salif è un dispositivo disegnato e progettato da Philippe Starck per l’azienda Alessi. Presenta un design particolarmente originale e grazie alla forma inusuale risulta assolutamente geniale con un design moderno e iconico. Juicy Salif è realizzato in alluminio pressofuso, quindi risulta assolutamente leggero e funzionale, molto semplice da utilizzare grazie anche alle finiture lucidate. Il materiale impiegato è ottimo per entrare a contatto con i cibi, quindi non si altera e non deteriora nemmeno i liquidi. La particolare forma rende lo spremiagrumi ottimo perchè consente di posizionare il bicchiere direttamente sotto la struttura dove cola il liquido spremuto.
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matteo tHun
Matteo Thun (1952) si laurea nel 1975 all’Università di Firenze per poi proseguire i suoi studi a Strasburgo con Oscar Kokoschka. Nel 1980 si trasferisce a Milano per lavorare con Ettore Sottsass. Pochi anni dopo fonda il proprio studio e inizia una collaborazione con Swatch, per la quale è direttore artistico per diversi anni. Tra i suoi clienti figurano Artemide, Flos, Illy, Philips, Porsche, Coca Cola e Lavazza.
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tazzina illY, 1991
Ha cambiato il modo di bere il caffè al bar, divenendo icona di un rito italiano per eccellenza. Originariamente concepita per la distribuzione nei bar successivamente è stata anche venduta, realizzando anche vere e proprie collezioni, utilizzando la ceramica bianca della tazzina come una tela, dipinta da oltre 70 esponenti dell’arte contemporanea. La tazzina Illy va a sostituire gli incerti design dei decenni precedenti garantendo ergonomicità e funzionalità, curando la stabilità dell’impugnatura e la facilità della bevuta e il mantenimento della temperatura della bevanda. 85
JonatHan ive
Jonathan Ive (1967) è un designer e progettista britannico. Dopo gli studi di Industrial Design venne assunto dalla startup londinese Tangerine, per la quale disegnò una vasta gamma di prodotti tra i quali forni a microonde e spazzolini. All’inizio degli anni ‘90 la Apple divenne cliente di Tangerine, e Ive si trovò a fare da consulente per l’azienda di Cupertino. Assunto dall’azienda della mela nel 1992, fu sul punto di rassegnare le dimissioni nel 1997, poco prima della reintegrazione nell’azienda del fondatore Steve Jobs, che portò alla rinascita del marchio. Convinto a rimanere, Ive divenne capo designer dell’azienda sviluppando prodotti quali l’iMac, l’iPod, il MacBook e l’iPhone. 86
imac
g3, 1998
“Sorry, no beige!” era lo slogan della apple per la presentazione dell’iMac G3, che venne commercializzato esclusivamente con colori brillanti e molto vivi, perciò è l’unico disegno che ho deciso di caratterizzare con colori non neutri. Coniugare tecnologia e design è, da sempre, uno degli obiettivi più ambiziosi perseguiti da Apple. Jonathan Ive che appena trentenne divenne capo del reparto di design della Apple arrivò al concept di un prodotto che grazie alla sua estetica e facilità di utilizzo vendette 150mila esemplari a poche ore dal lancio, entrando nel Guinness dei Primati annuale come all-in-one computer più potente sul mercato, più venduto al lancio e col libretto di istruzioni più corto, a testimonianza della facilità d’uso. 87
Conclusioni Lo studio dei principi che governano la comunicazione visuale e la conoscenza degli strumenti e delle tecniche grafiche, hanno consentito di comprendere come, nonostante il costante progredire delle tecnologie digitali, il disegno a mano libera non potrà essere facilmente soppiantato. La libertà di espressione, rapidità e funzionalità sono caratteristiche, difficilmente emulabili dalle macchine, all’interno delle quali ognuno può ricercare il proprio codice personale. Imparare a leggere l’esistente attraverso i propri filtri ed esprimerlo graficamente permette una comprensione delle forme imprescindibile per la formazione di un designer e di un architetto, il quale potrà sempre attingere, durante l’atto creativo, ai propri modelli mentali; esprimendo al meglio le proprie idee attraverso l’uso ci concetti teorici e pratici. Il presente lavoro di tesi partendo dall’analisi dei processi della visione, comunicazione ed espressione grafica studiati nel triennio curricolare, ha portato alla produzione di una serie di disegni di studio attraverso il cosiddetto “sketching”, tecnica basata sull’immediatezza espressiva del tratto a mano libera. Il ridisegno di alcuni oggetti di design ha consentito una rilettura delle forme che ha portato ad una maggiore consapevolezza della struttura dei singoli oggetti. In questi esercizi, viene esaltata la funzione del Disegno come strumento di studio e approccio alla conoscenza, di comprensione della forma e di resa grafica della stessa. Ma oltre la comprensione generata dal disegno del dettaglio è stato possibile la genesi della forma e degli spazi, prefigurando mentalmente il processo produttivo che potesse concepirli, permettendomi di comprendere i problemi e le relative soluzioni. L’esercizio del ridisegno, della decostruzione della realtà, porta verso un costante sviluppo delle proprie capacità di vedere, tradurre e comunicare le forme, nella costante ricerca dell’espressione grafica più congeniale al contesto, al canale e al ricevente cui ci si rivolge. 88
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Bibliografia - Fra disegno e design: temi, forme, codici, esperienze, Cocchiarella L., Novara 2009 - Disegnare il Design, G. De Ferrari, M. Gaiani, L. Galloni, E. Guida, M. Maiocchi, P. Pizzoccheri, Hoepli, 2001 - Design e Comunicazione Visiva, B. Munari, Edizioni Laterza, 1996 - Scienza del Disegno, M. Docci, D. Maestri, UTET, 2000 - Manuale di Disegno Architettonico, M. Docci, Edizioni Laterza, 2007 - Retorica, Aristotele, Mondadori, 1996 - Repubblica, Platone, Laterza, 1997 - L’arte e i Suoi Modelli, Christopf Wulf, i Cabiri, 1989. - Guardare Pensare Progettare, Riccardo Falcinelli, Stampa Alternativa & Graffiti, 2011. - Arte e Illusione, Ernst Gombrich, Phaidon, 2009. - Kant e L’Ornitorinco, Umberto Eco, Bompiani, 1997. - International picture language; the first rules of Isotype, Otto Neurath, 1936 - Analyzing Children’s Art, Rhoda Kellogg, Girard & Stewart, 2015 - Disegnare con la parte destra del cervello, Betty Edwards, Longanesi, 2002 - Visual Notes for Architects and Designers, Norman Crowe, Paul Laseau, Wiley, 2012 - Il Disegno per il Design, Sergio Coradeschi, Hoepli, 1986
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