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SOMMARIO
IL PRESEPIO, LA SUA STORIA E IL CULTO DEI SANTI BAMBINI IN ABRUZZO di Elisabetta Mancinelli
QUEL MANAGER DEL TURISMO CHE INVENTÒ IL “PREMIO TERAMO” di Anna Micheletti
A BORDO DELLA AMERIGO VESPUCCI PER VIVERE UN PO’ DI STORIA MARINARA di Patrizia Manente
QUEL PROFUMATO RAGÙ ABRUZZESE CHE PIACEVA AL GRANDE EDUARDO di Marcello Martelli
SANTA LUCIA: VITA, STORIA E CULTO IN ABRUZZO di Elisabetta Mancinelli
PATRIZIA FRANCHI E LE SUE PITTURE PARLANTI di Patrizia Manente
CHARLIE CHAPLIN NELLA SUA CASA IN SVIZZERA di Marcello Martelli
LE USANZE NATALIZIE TERAMANE A TAVOLA di Patrizia Manente
GELATERIA IL SORRISO, PICCOLO GRANDE ANGOLO DI MONDO E DI SAPORI ECCELLENTI di Patrizia Manente
FORTUNATA LA REGIONE CHE PUNTA SULLA MAGIA DEI TRENI STORICI di Marcello Martelli
SULMONA, CITTÀ DI OVIDIO E DEL CONFETTO TRADIZIONALE di Patrizia Manente
QUANDO ANDAVAMO AL CANTINONE CON PASOLINI E CARLO LEVI di Marcello Martelli
LE TRADIZIONI POPOLARI IN ABRUZZO di Elisabetta Mancinelli
DALLA BOTTE PIÙ GRANDE DEL MONDO, ALLE LEGGENDE DELL’ANTICO BORGO DI MONTEPAGANO di Marco Martini
RIFLESSOLOGIA, TECNICA ANTICA PER UNIRE GENITORI E FIGLI di Roberta Guidi
IL PRESEPIO, LA SUA STORIA E IL CULTO DEI SANTI BAMBINI IN ABRUZZO
di Elisabetta MancinelliLa storia
Il presepio o presepe (= davanti alla siepe che racchiu deva le bestie,quindi “stazzo, stalla) è la figurazione scenica della nascita di Gesù. Questa tradizione ha un’origine antichissima e si rifà alle drammatizzazioni liturgiche come le sequenze e le laudi che già nel Me dioevo arricchivano le celebrazioni natalizie. L’introdu zione del presepe, come tradizione natalizia ufficiale, si fa risalire a San Francesco d’Assisi il quale, dopo es sere stato in Terra Santa e aver visto coi propri occhi la grotta di Betlemme, giunto a Greccio chiese ed ot tenne dal Papa Onorio III l’autorizzazione a celebrare la messa di Natale in una grotta e con l’aiuto del nobile signore di Greccio, Giovanni Velta regalò all’umanità il primo presepe della storia. Era il Natale del 1223. I Frati minori diffusero dovunque per il mondo questa sacra rappresentazione.
Il Presepio in terra
d’Abruzzo
In Abruzzo la figurazione scenica della natività di Cri sto, arricchita da centinaia di figure che si ambien tano in località tipiche, probabilmente trae origine dai culti preromani, soprattutto etruschi, come il culto della “grotta” che rientra nelle “civiltà della madre”. Nelle caratteristiche costruzioni dei presepi che avven
gono non solo nei luoghi religiosi ma anche nelle case singole, i personaggi non sono soltanto il Bambinello, la Vergine, San Giuseppe, i Magi, il bue, l’asino, gli angeli, ma anche quelli che rappresentano il mondo agro-pastorale e gli antichi mestieri della regione è molto importante. È difficile rintracciarne le origini ma i documenti più antichi risalgono al XV secolo. Nella regione questa antica rappresentazione scenica della nascita di Gesù ha messo radici profonde probabilmente per la partico lare conformazione del territorio che, con i suoi monti, le sue valli, le sue tradizioni pastorali e i centri abitati spesso arroccati sulle montagne e sulle colline, appare esso stesso come un presepe.
Dove non si poteva realizzare il presepio con i perso naggi principali, ci si limitava all’immagine del Santo Bambino posta nel punto più visibile. Ogni chiesa anche la più sperduta e povera aveva il suo Bambinello lavo rato in cera o col gesso o scolpito in legno. Un Natale senza l’effigie di Gesù bambino non sarebbe stato più Natale per gli abruzzesi, perciò sull’altare maggiore di ogni chiesa c’era una cuna in cui giaceva tra luci e fiori il Bambino o del tutto ignudo o rivestito di seriche vesti.
l Santo Bambino e la devozione in Abruzzo
Particolarmente legate al culto del Bambino Gesù sono delle statuette che lo raffigurano in fasce, con tessuti pregiati, talvolta disteso, altre volte in piedi e benedicente con la corona. Si tratta di effigi dei Santi Bambini che i missionari in Terra Santa riportavano da lì al ritorno nei luoghi d’origine. Esse divennero subito im magini veneratissime dalla popolazione, alle quali si attri buivano speciali poteri taumaturgici e il ruolo di protettori della comunità, proprio per la loro provenienza Gerusa lemme e Betlemme
Il più famoso è il Bambino della chiesa di Santa Maria d’Aracoeli a Roma del XV secolo, che tuttavia è una copia, essendo stato rubato l’originale nel 1994, il cui legno proverrebbe addirittura dal Getsemani. Molti al tri se ne diffusero nel periodo compreso tra Seicento e Ottocento, e proprio al XVIII secolo si datano i “Santi Bambini” abruzzesi.
Fra i tanti Bambinelli che venivano esposti nel corso degli anni a Natale all’adorazione dei fedeli nelle chiese della regio ne, ne rimangono solo quattro che si distinguo no per origine, fattura e grande valore storico-ar tistico. Essi sono Il Santo Bambino di Calascio con servato nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, il Santo Bambino di Lama
dei Peligni nella chiesa di San Nicola, il Bambino di Pa lena venerato nella Chiesa di Sant’Antonio e il Bambino di Bisenti conservato nella Parrocchiale . Le quattro statuine hanno una caratteristica in comu ne: provengono, secondo antichi documenti, diretta mente dalla Terra Santa.
IL SANTO BAMBINO DI CALASCIO (AQ) venne ripor tato dalla Palestina da Fra Antonio da Roccacalascio il quale vi si recò in pellegrinaggio intorno alla metà del XVIII sec. Osservantissimo della povertà non indossò mai alcun abito nuovo. Dormiva solo tre o quattro ore e digiunava la maggior parte dell’anno e affliggeva il suo corpo con cilici. La statuetta che riportò dalla Terra Santa è conservata nella Chiesa del convento dei Frati Minori posta in un’urna di legno policromo a tutto ve tro. Il bambinello è giacente e avvolto in fasce come si usava nei nostri paesi per i neonati e un corpettino di seta ricamato in oro, un laccetto al collo da cui pende il sigillo in ceralacca del “Guardiano del S. Convento del Monte Sion di Gerusalemme”. Della lunghezza di quat tro palmi è in cera ambrata colorata nelle guance paf fute e nelle labbra ridenti che la rende simile a quello di Aracoeli di Roma.
IL SANTO BAMBINO DI LAMA DEI PELIGNI (CH) viene ritenuta l’immagine sacra più celebre di tutto l’Abruz zo. Fra’ Pietro Silvestri lo riportò dalla Palestina nel 1760 e lo donò ai suoi concittadini munito di sigillo e di bolla di autentica. Il Bambino è custodito nella par rocchiale dei Santi Nicola e Clemente, in cera e avvol to in seriche fasce ricamate d’oro, con il capo coperto da una preziosa cuffia, l’immagine costituisce anche un valido documento di costume ed è oggetto di culto non solo in paese, ma anche in tutto il territorio circo stante. Il Bambinello è conservato in una artistica urna d’argento, schermata di cristalli che ne permettono la visione. La sera dell’Epifania tutti gli abitanti del pae se e soprattutto i bambini, si recano in chiesa a baciare
l’immagine del loro piccolo Protettore e a salutarlo a conclusione del ciclo natalizio.
IL SANTO BAMBINO DI PALENA (CH)
La terza statuetta, nota in tutto l’Abruzzo e proveniente dalla Terra Santa, è conservata a Palena nella chiesa di S. Antonio nel locale Convento sull’altare di San Francesco. È di legno dipinto di 35 cm. di lunghezza giacente in una piccola urna vetrata molto semplice alla cui base è scritto:
“A divozione di Fra Serafino da Roccascalegna. Palena - S. Antonio. Anno domini 1850”.
Questa data secondo dei documenti reperiti, non è certamente quella della venuta del S. Bambino dalla Palestina in Abruzzo che deve risalire intorno al 1770; purtroppo il documento di autenticazione è andato per duto nel corso dei barbari bombardamenti della secon da guerra mondiale.
IL SANTO BAMBINO DI BISENTI (TE)
Sia la leggenda che la storia di questa sacra effigie sono molto simili a quelle di Lama. Il documento di autentica col suo sigillo del 6 gennaio 1792 dichiara in latino che “la presente immagine rappresentante il divino Bambino Gesù avvolto in fasce benedetta coi riti sacri riti nella Grotta di Betlemme e nello stesso luogo esposto alla pubblica venerazione dalla sacra Notte della Natività fino al terzo giorno dopo l’Epifania affinchè tutti i Cristiani abbiano in sommo onore questa santa Immagine”. A differenza degli altri santi bambini d’Abruzzo a cui veniva data la semplice benedizione e deposizione sui luoghi santi, a questo veniva dedicato un servizio liturgico di oltre 15 giorni a pubblica adorazione nella S. Grotta. La leggenda parla anche di segni miracolo si sul mare in tempesta e di un approdo miracoloso e infine del felice ritorno del P. Anacleto Catitti nella sua Bisenti dove tornava dopo aver dimorato a Gerusalem me circa sette anni. Questa sacra effigie conservata nella Parrocchiale del paese, ha le braccia serrate sui fianchi e il corpicino stretto dagli omeri ai piedini, da una fascia di seta bianca finemente ricamata in oro, un visetto d’angelo con grandi occhi neri e capelli neri ricciuti, la piccola bocca atteggiata al sorriso.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email: mancinellielisabetta@gmail.com
QUEL MANAGER DEL TURISMO CHE INVENTÒ IL “PREMIO TERAMO”
di Anna MichelettiIl “Premio Teramo” appartiene al passato e si con ferma indubbiamente una “chicca” del tempo che fu. Una iniziativa varata più di 50 anni fa, quando in cit tà c’erano un progetto e anche un bravo manager per il turismo. Con nuovi arrivi e ritocchini vari, giudicate voi se il vecchio Premio si adatta al nostro presente. Neanche un genio come Shakespeare saprebbe com piere il miracolo per restituire un ruolo a una iniziativa obsoleta e invisibile, con nessun supporto al “marke ting territoriale”. Il Premio voluto e promosso da Pietro Arturo Favazzi, siciliano colto e raffinato, venuto in città negli anni ’60 con idee mirate ed innovative, per prendersi cura dell’Ente Provinciale per il Turismo, dopo importanti esperienze professionali in Emi lia Romagna. Il manager (ma allora non si chiamava così) aveva subito impresso una spinta vigorosa alla stagnante realtà locale con una serie di felici intuizioni e il coinvolgimento delle altre tre province abruzzesi. Oltre al Premio per un racconto inedito (allora una novità assoluta, in particolare per il livello altissimo della giuria), Favazzi volle una società del teatro e della musica, a lungo importante e fiorente istituzione locale. Da grande esperto della materia qual era, il
tecnico-gentiluomo seppe fare di più e meglio, racco gliendo attorno a sé e all’Ente un gruppo di validi per sonaggi e collaboratori. A cominciare da Giammario Sgattoni, Francesco Campanella e altri, che dettero una svolta vigorosa allo sviluppo della provincia e non solo. Con l’Ept di Teramo a indicare la rotta anche al resto dell’Abruzzo. Altri tempi, certo. Proprio per que sto, più che su un Premio con limiti evidenti, adesso urge puntare sulla cultura; meglio, sulla strategia di una politica culturale. Su un progetto di evidente spessore, che non esaurisca il percorso fra una giuria dei nostri tempi e una pletora di sedicen ti scrittori. In tempi di sacrifici e tasse, meglio risparmiare agl’in colpevoli giudici del “Teramo” quella massa di racconti (spesso illeggibili), che annualmente si abbatte come una valanga. Formi dabile sforzo creativo di romantici sognatori della gloria letteraria, da restituire a più promettenti e sicure occupazioni. Spiace rinun ciare alla illusoria passerella d’una serata, con stretta di mano di “Amici delle Lettere”, ma i giovani han no bisogno di ben altro e il territorio anche. La strada del futuro ormai segue un tracciato diverso e non è quello di Premio. Neppure dei più grandi e celebra ti, figuriamoci di uno piccolo e fuori moda, che pure gode dell’incondizionata fiducia del sindaco contem poraneo. La cultura serve, ma come strategia. Come “nuova filosofia della produzione, per valorizzare il capitale umano”, sottolinea i neo-ministro per i Beni culturali, ricordandoci che cultura e turismo compongono il settore che meglio ha retto alla crisi. “Per essere lungimiranti bisognerebbe immaginare e favorire un’emulsione di praticità e sapienza capace di sollevarci dalla decadenza e di condurci all’oraziana aurea mediocritas”. Cultura come difesa del paesag gio e del territorio, nella città che spiana le colline, per valorizzare beni artistici e sapori, tradizioni e antichi mestieri. “Soltanto il patrimonio culturale sfugge alla micidiale concorrenza mondiale e soltanto il terziario ha possibilità di espandersi…”. Se questa è la direzione per fare meglio e di più, meglio iniziare ad approfondi re e a capire, spegnendo le luci delle inutili passerelle.
A BORDO DELLA AMERIGO VESPUCCI PER VIVERE UN PO’ DI STORIA MARINARA
di Patrizia ManenteMagnifica esperienza a bordo della nave Scuola Amerigo Vespucci, l’Unità più anziana in ser vizio nella Marina Militare in sosta nel porto di Ancona, che ho avuto il piacere di visitare e anche fo tografare. Consegnata alla Regia Marina il 26 maggio 1931, entrò in servizio come Nave Scuola il successivo 6 giugno, aggiungendosi alla gemella Cristoforo Co lombo (in realtà leggermente più piccola), di tre anni più anziana, e costituendo con essa la “Divisione Navi Scuola”. Al rientro dalla prima Campagna di Istruzio ne, il 15 ottobre 1931, ricevette a Genova la Bandiera di Combattimento, offerta dal locale Gruppo UNU CI (Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia). Il motto della nave è “Non chi comincia ma quel che persevera”, assegnato nel 1978. Molto ospitali il co mandante e i rappresentanti dell’equipaggio, che ci hanno guidato nella visita davvero istruttiva.
QUEL PROFUMATO RAGÙ ABRUZZESE CHE PIACEVA AL GRANDE EDUARDO
di Marcello MartelliSono diversi i condimenti spesso in disuso e che distinguono i vari territori, a cominciare da quel lo dedicato a Cavour. Senza dimenticare il tipi co ragù abruzzese, che spesso si accompagna con la pasta fatta in casa e un profumo intenso che avvolge tutta la casa. Il ragù può considerarsi, in Abruzzo e non solo, il simbolo della tavola nei giorni di festa. Quando varcando la porta di casa, tocca al seduttivo profumo del ragù fare la prima accoglienza, conquistando naso e gola. Ormai diffuso in ogni parte d’Italia, si pone come solido baluardo della tradizione gastronomica italiana, spesso messa sotto assedio da chef troppo innovativi e, fra i fornelli, anche rivoluzionari. Persino il napoletano Eduardo De Filippo era innamorato della cucina abruz zese e del suo ragù. Merito della cuoca di famiglia, Isa bella Quarantotti De Filippo, sua moglie, nata a Chieti e
per oltre trent’anni vissuta a fianco del grande uomo di teatro. In realtà il vero cuoco, in casa e anche sulla scena, era proprio Eduardo, come confermò il premio Nobel Dario Fo: “Per Eduardo il cibo ha sempre avuto un grande valore: un modo per apprezzare la vita e per celebrarla”. Ammiratrice del marito in teatro, la moglie Isabella ne apprezzava le qualità anche tra i fornelli e, da conterranea dei fa mosi cuochi di Villa S. Maria, aveva trovato il modo di suggerire all’attore qualche ricetta della cucina povera abruzzese, spesso simile alla napoletana. Eduardo e Isabella, uniti in una lunga e bellissima storia d’amore, si intendevano alla perfezione pure in cucina, grazie anche ai profumi e ai sapori del ragù abruzzese.
Nella foto: il grande Eduardo con la moglie abruzzese Isabella Quarantotti
SANTA LUCIA: VITA, STORIA E CULTO IN ABRUZZO
di Elisabetta MancinelliSanta Lucia nasce a Siracusa tra il 280 e il 290 d.C. da una ricca famiglia. Orfana di padre da giovane viene promessa in matrimonio ad un patrizio. La madre Eutichia, gravemente ammalata, nonostante le costose cure, non riesce a guarire. Essendo molto credenti compiono un pellegrinaggio al sepolcro di Sant’Agata e la invocano affinché le aiuti a sconfiggere la malattia. Mentre Lucia prega, le appare Sant’Agata dicendole che lei stessa porterà la madre alla guari gione e le preannuncia che un giorno sarà la Patrona della città di Siracusa
Al ritorno dal pellegrinaggio Eutichia guarisce, e Lucia decide di dedicare la sua vita al Signore. Comincia così a distribuire le ricchezze che possiede ai poveri e ai bi sognosi che incontra.
La persecuzione
Il suo promesso sposo, deluso per il rifiuto, si vendica e la denuncia come appartenente alla religione cri stiana. L’imperatore Diocleziano intanto emana i de
creti che autorizzano la persecuzione dei cristiani, così Lucia, scoperta, viene catturata e processata. Davanti ai suoi accusatori sostiene con orgoglio di essere cristiana. Il proconsole minaccia la donna di mandarla tra le prostitute, ma Lucia gli tiene testa con le parole senza alcun cedimento. La donna è così decisa che riesce a mettere in difficoltà l’Arconte di Siracusa Pascasio.
La morte di Santa Lucia
Per piegarla non resta che sottoporla a tortura . Nella sorpresa generale Lucia esce indenne da ogni ferita. Riesce a sopravvivere anche alle fiam me, ma muore il 13 dicembre dell’anno 304 per de capitazione
Secondo documenti tratti dagli “Atti Latini” Lucia muore con un coltello conficcato in gola e non per decapitazione. Quest’ultima ipotesi è piuttosto diffusa nell’iconografia tradizionale di Santa Lucia.
La devozione per Santa Lucia in Abruzzo
Santa Lucia, protettrice della vista, viene venera ta in molti paesi d’Abruzzo e celebrata con fuochi notturni rituali chiamati “faugni” che simboleg giano il bisogno umano di illuminare il giorno tradizio nalmente considerato il più corto dell’anno prima del solstizio d’inverno.
In passato si accendevano i fuochi non solo per festeg giare la santa, ma anche il 4 dicembre per Santa Barbara, protettrice dei minatori, artificieri… oltre che per l’Immacolata
Concezione
La festa si celebra il 13 Dicembre, giorno della morte della beata, probabilmente per la volontà di sostituire antiche feste popolari che celebravano la luce.
Quindi sarebbe privo di fondamento l’episodio di Lucia che si strappa gli occhi; l’emblema degli occhi sarebbe invece da collegare con la devozione popolare che l’ha sempre invocata come protettrice della vista dall’eti mologia del suo nome, Lucia, da lux, luce.
In Abruzzo particolarmente significative sono le cele brazioni che si svolgono a Prezza paesino della conca Peligna, in cui stazionò per un certo periodo il corpo di Santa Lucia in viaggio verso Venezia per ordine del Doge Enrico Dandolo, subito dopo la fine delle crocia te, per dare ad essa la definitiva sepoltura.
Le spoglie della santa vennero affidate al Vescovo di Corfinio il quale decise di custodirle nella fortezza prezzana. In paese si diffuse quindi il culto per Lucia e venne edificata nel 1200 una cappella votiva per i tanti pellegrini che vi si recavano. Nel corso degli anni essa fu circondata da mura e venne costruita una parrocchia a lei dedicata.
Oggi la chiesa si trova nel centro del paese e all’interno, in una nicchia, è collocata una preziosa statua lignea della fine del 1400 raffigurante la santa.
Al mattino di ogni anno, il 13 dicembre al suono delle campane, i prezzani si recano prima in chiesa per la messa solenne e poi sfilano in processione per le viuz ze del borgo; le donne portano grandi ceste di ciambel le a forma di occhi da donare ai portatori della statua e ai partecipanti al rito.
Anche Torre de Passeri (Pe) il 13 dicembre venera da secoli in modo suggestivo la santa, martire siracusana delle origini del Cristianesimo.
In questo giorno ogni anno il paese si anima di una serie di appuntamenti religiosi e civili che richiamano gli abitanti dei paesi limitrofi e di molti torresi emigrati all’estero che anticipano il ritorno in paese per le feste
natalizie. Sin dalle cinque del mattino i botti di mor taretti e la musica della banda “Città d’Introdac qua” danno la sveglia a tutti i torresi.
Nel pomeriggio una solen ne Processione, preceduta dalla Santa Messa, sfila tra le vie dell’antico centro e la statua della Santa viene portata a spalla da quattro portatori, in un singolare corteo religioso, guidato dal parroco di Torre de’ Passeri, dal sindaco e numerosi fedeli.
Intorno alle 19, la tradizio nale “Pupa”, grande ma nufatto di cartapesta con le sembianze di donna, viene fatta danzare da un ballerino che si cela nel suo interno, e in un valzer di fuochi pirotecnici, si concludono i festeggiamenti. A Rocca di Cambio (Aq) si trova l’Abbazia di Santa Lucia luogo di culto simbolo del paese risalente al XII secolo, probabilmente edificata sul ramo della via ro mana Claudia che congiungeva Alba Fucens a Fossa. All’interno sono custoditi bellissimi affreschi che ri salgono al XII-XIII secolo, simili a quelli delle chiese di Fossa e Bominaco, rappresentanti scene della vita di S. Lucia.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email: mancinellielisabetta@gmail.com
PATRIZIA FRANCHI E LE SUE PITTURE PARLANTI
di Patrizia ManenteLa pittura è stato sempre il mezzo per esprimere le sue emozioni. Da piccola, a Natale, riceveva con gioia nuovi colori e pennelli, per sperimentare tecniche e materiali diversi, dando forma alla sua creatività. Patrizia racconta: “Trasferivo su carta, stoffa, ceramica, specchi, vetro con la mia gestualità esistenziale, tesa a svelare sensazioni celate”. Calde o fredde, le tonalità dell’artista si coniugano per comporre un universo sempre nuovo. La pittura diventa così “una cattedrale con la porta sempre aperta, un rifugio, un’opportunità, un vocabolario nascosto che emerge nella forma, nel segno e nell’infinita pigmen tazione”. I colori diventano sentimenti. Con il pennello nella materia vibrante che crea luce o ombra che conduce in un viaggio non solo tecnico, soprattutto introspettivo.
E le opere propagano un sentire che è come un’eco, fa cendo emergere carnalità e spiritualità. Non solo le tele, anche le installazioni e le fotografie tentano di afferrare quel tempo sfuggente, immobile e silenzioso. Nella valigia culturale di Patrizia Franchi ci sono la maturità artistica all’Istituto Statale d’Arte di Pescara, il diploma dell’Accademia di Belle Arti di Macerata e la specialistica in Beni Storico-Artistici dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila. “Nell’ultima personale del 2019 all’Aurum di Pescara - ricorda la maestra dei colori - è stato un incon tro straordinario far fruire ai visitatori visioni emozionali. Ha partecipato a numerose mostre collettive, a Venezia, Amsterdam, Pescara, Foggia, L’Aquila, Sulmona, Macerata, Castel di Sangro, Atri, Ascoli, Urbino e in altre città italiane. In ognuna la mia pittura ha rivelato un messag gio, per non guardare le mie opere, ma ascoltarle!
CHARLIE CHAPLIN NELLA SUA CASA IN SVIZZERA
In Svizzera, a Vevey, incontro straordinario con Charlie Chaplin, grande protagonista entrato nel la storia come tra i più importanti personaggi della ribalta. Nella sua casa-museo si diventa spettatore privilegiato della vita di un genio immortale. Dalle ori gini molto umili di ragazzo con una vita di insicurezze e miseria al sommo Charlot con bombetta e bastone Insuperabile interprete di scene emotive e comiche che evocano e rappresentano, con sensibilità semplice ed efficace, i grandi temi della povertà, della vanità, dell’a lienazione, del narcisismo, dell’ingiustizia. Siamo nella casa dove il grande attore visse gli ultimi suoi 25 anni di vita, dal 1952 al 1977, circondato dalla sua ultima moglie Oona e dagli otto figli nati tutti in questo posto incantevole. Nella casa completamente ristrutturata e sullo splendido parco, tutto evoca il celebre artista. Siamo completamente coinvolti nell’osservare arredi, cimeli, immagini, filmati, sonori e ricordi dell’artista, con Charlot che ci accompagna in un suggestivo viaggio che, indietro nel tempo, racconta la storia del cinema mondiale. Grazie anche alle tecnologie di oggi nel rap presentare eventi di una vita unica e per trasmettere emozioni. Attraverso oggetti personali ed esperienze
multimediali che si mescolano ad immagini ad alta de finizione ed in 3D, acustica avanzata, effetti speciali e realtà virtuali. Chaplin visse in questa casa durante il Maccartismo, quando all’artista fu negato il permesso di rientrare negli USA. A Vevey trascorse il resto della sua esistenza, dove il giorno di Natale del 1977 morì nel sonno in questa stanza arredata come allora. “Riabilitato” dall’opinione pubblica americana solo all’inizio degli anni Settanta Chaplin era tornato nella sua patria per ritirare l’Oscar alla carriera. Dico grazie agli amici de “Il Giornale” di Milano, con in testa il collega Matteo Sacchi, che hanno promosso questo magnifico “incontro con il genio”. Davvero nella lista degli itinerari “da non perdere”.
Nela foto a sinistra: l’autore dell’articolo fra le cere di Chaplin e sua moglie Oona O’Neill.
Quel genio immortale che affrontava con la risata i problemi del mondo
di Marcello Martelli
NATALIZIE TERAMANE A TAVOLA
di Patrizia ManenteDal punto di vista ga stronomico, il Natale è la festività magica che maggiormente ha conservato i legami con le tradizioni e con il passato. Bisogna però riconoscere che molto, attualmente, si è ridotto a mera consuetu dine e anche ciò che sem bra rimasto immutato nel tempo, in realtà si è svuo tato del suo significato più profondo. La differenza quindi è sostanziale, se si pensa che una volta, dietro il rispetto assoluto di certe “regole” alimentari (la par tecipazione di tutta la famiglia alla cena della vigilia, l’asti nenza dai piatti di carne, ecc.), si nascondeva una profonda devo zione sia verso i valori di spiritualità e fratellanza infusi dal messaggio cristiano, sia verso le usanze del la propria zona di appartenenza.
“Chi nën dijunë la viggilië dë Natalë, duvendë o lupë o canë” dice un proverbio popolare. Era impensabile mangiare il giorno del 24 dicembre e nessuna cir costanza poteva impedire a ciascun componente della famiglia di partecipare alla cena della vigilia. Nessuno, inoltre, poteva rompere il digiuno senza il consenso delle stelle: non si poteva iniziare a mangiare prima della loro apparizione in cielo.
“Primë dë Natalë ne freddë ne famë - Dapù Natalë freddë e famë”. Dai ricordi della tradizione di famiglia, da nonna Giulietta a mia madre Adele, discende lo stesso menu di un tempo, mai abbastanza rimpianto. Trovo perciò importante conservare la tradizione culinaria teramana, anche per non rischiare che molti piatti (un po’ dimenticati) rischino di andare perduti per sempre.
Èun piatto completo e gustosissimo, che non man cherà sulla tavola il giorno di Natale. Il cardo, or taggio delizioso e leggero, una volta lessato, sarà unito al brodo rigorosamente di gallina o gallotta, in sieme alle polpettine di carne (preparate con carne di vitello, parmigiano, sale, noce moscata), alla straccia tella (uova sbattute), ai fegatini, ai durelli e alla carne già bollita. Una spruzzata di parmigiano completerà questa prelibatezza.
Brodo con il Cardo Il Timballo
Patrizia Manente
Li Sfujatelle
Le sfogliatelle costituiscono il dolce natalizio più raffinato e più difficile da preparare, perché richiede tempo, tanta dedizione e soprattutto ingredienti genuini. A tutt’oggi è fortissima usanza nel territorio abruzzese sia delle massaie più esperte che quelle più giovani.
Principe delle nostre tavole, da sempre preparato per allie tare i pranzi delle ricorrenze più importanti. Realizzato da numerosi strati di “scrippelle” teramane condite con ragù fatto in casa, polpettine di manzo, petto di pollo tagliuzzato minutamente, moz zarella fresca a dadini, piselli, uova sbattute e parmigiano grattugiato.
LE PIETANZE SONO STATE PREPARATE DA MIA MADRE Adele Di Franco FOTO DI:GELATERIA IL SORRISO, PICCOLO GRANDE ANGOLO DI MONDO E DI SAPORI ECCELLENTI
di Patrizia ManenteSono Claudio, chef che ha lavorato in tanti luoghi del mondo, anche in Ameri ca, e alla fine ho realiz zato il grande desiderio di avere una mia gela teria. La GELATERIA IL SORRISO è un’attività artigianale a condu zione familiare. Nata precisamente 22 anni fa, al termine di uno dei miei viaggi di lavoro. Con l’appoggio dei miei familiari, ho deciso di iniziare questa grande avventura, che è riuscita a darmi tante soddisfazioni. Negli anni ho frequentato corsi di specializzazione sulla gelateria e ho partecipato anche a concorsi internazionali dove alcune delle mie creazioni sono state premiate. In questi 22 anni ho avu to modo di capire che anche il mondo della gelateria, come ogni altro comparto, è sempre in evoluzione. Per questo, rimanendo ben ancorato alla tradizione gelataia, ho sempre considerato importante ascoltare il mercato, le richieste dei clienti e le tendenze per poter migliorare e cresce re. La mia famiglia ha sempre avuto un ruolo fondamentale, sia mo tivando il mio lavoro e la mia formazione, sia come un vero e proprio sostegno nella gestione della gelateria. Senza la mia famiglia forse non sarei riuscito a creare questo piccolo grande angolo di mondo che si chiama GELATERIA IL SORRISO.
Che significa “ge lato artigianale”?
Tutto nasce nel nostro laboratorio. Ogni mattina viene prepara ta la crema base con
cui vengono fatti buona parte dei gusti, così come vie ne sbucciata la frutta per i sorbetti. Insomma, il gelato viene preparato fresco tutti i giorni. Non solo, poniamo tantissima attenzione nella scelta delle materie prime. Prediligiamo prodotti a km zero o comunque made in Italy. Utilizziamo prodotti esteri solo quando non sono coltivati in Italia. La nostra ricerca ci ha portato a speri mentare anche il gelato “Benessere Light” senza zucchero, senza latte e senza glutine, indicato anche per chi segue regimi alimentari particolari o per chi ha scel to l’alimentazione vegana o vegetariana. Ma non solo gelato, un’altra importante produzione della nostra gelateria sono le crepes. L’impasto è una nostra ricetta fatta sempre con prodotti freschi e poi il segreto è la cottura. Abbiamo sperimentato diverse tipologie e così, ogni cliente, può scegliere quella che preferisce di più. Il nostro menù ha moltissime varietà di crepes per soddi sfare tutti i veri golosi, anche i più esigenti. Da quest’anno sono entrato a far parte degli Accademici Italiani Gelatieri Artigiani, una realtà importante che ha come scopo quello di promuovere e tutelare la qualità del Gelato Artigianale Italiano attraverso l’ap profondimento delle tematiche produttive, come l’im piego degli ingredienti e delle attrezzature ritenute più idonee al perfezionamento dei processi di lavorazione. Essere un Accademico dimostra anche la volontà di mi gliorare ancor di più il proprio gelato artigianale grazie al supporto reciproco e alla condivisione di sapienza ed esperienza con gli altri grandi mastri gelatieri dell’asso ciazione. Infatti una delle iniziative più importanti degli Accademici Italiani Gelatieri Artigiani è “Contaminazioni Stellate”. Si tratta di una manifestazione che si è svolta durante l’anno, e che si ripeterà anche nel 2023, in cui la sinergia degli Accademici ha dato vita alla creazione di un gusto unico e irripetibile ogni secondo weekend del mese presso tutte le gelaterie degli associati e quindi anche alla Gelateria il Sorriso.
FORTUNATA LA REGIONE CHE PUNTA SULLA MAGIA DEI TRENI STORICI
di Marcello MartelliMagra consolazione scoprire su “il Corriere della Sera” che il ministro della Cultura, traccia l’apoteosi dei treni locali che, con la loro “magia antica e sempre nuova”, sono “il fulcro di una precisa strategia per promuovere un modo di viaggiare lento e sostenibile, un’autentica esperien za culturale”. Fortunata la Puglia, dove persino la popstar Ma donna, viaggiando su un treno storico, può cogliere “la potenza evocativa” di un mezzo di trasporto che rappresenta “un bene culturale”. Poi c’è un altro Sud, il nostro, dove un patrimonio così prezioso non viene considerato ed è anche dimenticato. Parlo di un’Italia che non trova ascolto e confermata nel suo isolamento anche dai massici investimenti dell’Alta Velocità. Mentre è già penalizzata dall’assenza d’una seria difesa e va lorizzazione del patrimonio ereditato, come la storica tratta ferroviaria Teramo-Giulianova inaugurata il 15 luglio 1884 con previsione di collegamenti con Roma e L’Aquila. Nel do poguerra l’ex “ramo secco” si è salvato con l’elettrificazione come linea di collegamento verso l’Adriatico, rimasta però sempre “una incompiuta”. Specie per il progetto mai realizza to e con studio di fattibilità della Regione Abruzzo, per portare il binario verso il centro storico di Teramo e la popolazione della sua Università, avvicinandosi ai borghi e alle aree interne della montagna, dove la desertificazione e l’abbandono avanzano.
Qui il rilancio dei treni storici è più che mai necessario, non solo per aprire al turismo nuovi panorami e itinerari, anche per con sentire a questa parte ignorata della montagna di avviare una concreta valorizzazione, attingendo anche agli incentivi previsti dal progetto “Binari senza tempo”, per l’istituzione “di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico”. Normativa perfettamen te su misura, visto che un binario arrugginito c’è anche dalla parte de L’Aquila. A Capitignano dove, fin dagli anni ’20, lungimiranti cultori della “magia del treno” progettarono una linea per Teramo di 58 km, turisticamente molto attrattiva e realizzata anche la prima parte di un’opera strategica, poi la sciata in abbandono. L’auspicio è che arrivino fondi dal nuovo governo e si prepari subito un progetto per arricchire la fitta rete dei cammini e per dare una scossa anche ai borghi mo renti del Gran Sasso.
SULMONA, CITTÀ DI OVIDIO E DEL CONFETTO TRADIZIONALE
di Patrizia ManenteSulmona, città storica di Ovidio e dei confetti. Gustati dall’ imperatore Tiberio, elogiati da Boccaccio, re galati da Goethe, i confetti di Sulmona da sempre vengono utilizzati per scandire le tappe più importanti della vita di un chiunque. Come simbolo di augurio e buon auspicio. Dalle diverse testimonianze storiche, l’uso dei confetti sembra inserirsi soprattutto in contesti elitari nelle famiglie di nobili origini, con la funzione di omaggio durante le feste o le ricorrenze. Nell’ambito del patriziato romano, ad esempio, si usavano per celebrare nascite e matrimoni ma con una piccola variante: il cuore di man dorla era ricoperto da miele e farina, al posto dello zuc chero. Il confetto, nella sua forma originaria, è costituito da un nucleo centrale di mandorla ricoperto da uno strato di zucchero bianco. La varietà più pregiata è la mandorla di Avola (tipica della Sicilia) che, grazie alla sua forma ovale ed appiattita, permette allo zucchero (finemente lavorato) di avvolgere al meglio la mandorla, dando vita
a confetti raffinati e dal sapore caratteristico e tradi zionale. Solitamente vengono distribuiti al termine delle cerimonie all’interno di sacchetti decorati, le bomboniere (dal francese “bonbonnière”), come dono per gli invitati che, con la loro presenza, rendono omaggio al festeg giato. Nella tradizione dei confetti è importante anche la numerologia. Normalmente, il numero inserito nelle bomboniere è dispari e può variare da cinque a tre, fino ad uno. Il numero cinque si riferisce all’augurio di fertilità, lunga vita, salute, ricchezza e felicità; il tre simboleggia la coppia ed il figlio, un confetto rappresenta, invece, l’uni cità dell’evento.Quando si parla di confetti anche il colore riveste la sua importanza. Esistono, infatti, più di cinquan ta tipologie diverse per festeggiare le varie ricorrenze. Il bianco è il colore tradizionale dei confetti. Simbolo per ec cellenza della purezza, risulta essere adatto per festeg giare un momento particolare della vita di un uomo come la ricezione dei sacramenti.
I confetti bianchi sono utilizzati per il matrimonio e le due metà della mandorla simboleggiano l’unione indis solubile della coppia, tenute insieme dal sottile, ma forte strato di zucchero che le avvolge saldandole insieme.Tra più comuni ci sono i confetti rosa e celesti, utilizzati per festeggiare la Nascita, il Battesimo e la Prima Comunio ne. I confetti rosa possono essere i protagonisti anche del primo anniversario di matrimonio, ideali per giovani sposi che vogliono rinnovare e consolidare il loro legame, con l’auspicio di una lunga e solida vita insieme.I confetti rossi sono particolarmente indicati per il raggiungimento del traguardo di laurea. Il rosso, infatti, è un colore dai significati molteplici, forza e coraggio, ma anche simbolo della passione e dell’amore, per questo, vengono utilizzati anche per le Nozze di Rubino, con le quali si suggellano 40 anni di vita matri moniale insieme.
I confetti non sono presenti soltanto nel la forma tradiziona le, esiste una grande quantità di varianti che utilizzano, in luo
go della usuale mandorla, nuclei di pistacchi, nocciole, frutta o cioccolato. In questo caso avremo un gran mix di confetti allegri e colorati particolarmente adatti per fe steggiare i compleanni. I confetti verdi vengono utilizzati per ricorrenze speciali come un fidanzamento, con la promessa di appartenersi l’un l’altro o per festeggiare le Nozze di smeraldo, con le quali si rinnovano 55 anni di vita insieme. Accanto ai canonici ed importanti traguardi di festeggiamento, come il 25° anniversario, le Nozze d’Argento (confetti di colore argento) o il 50° anniversario, le Nozze d’oro (confetti dorati), è invalso l’uso di festeggiare anche altri traguardi del cammino matrimoniale. Per chi volesse festeggiare il 20° anniversario di matrimonio, le Nozze di porcellana, può farlo con delle bomboniere contenenti confetti di colore beige, il 15° anniversario ha come colore il giallo, con le Nozze di cristallo.Il 14° anniversario, Nozze d’avorio, richiede raffinati confetti dal color avorio; le nozze di perle suggellano il 30° anniversario con suggestivi confetti Acquamarina; le Nozze di zaffiro, per il 45°, prevedono confetti blu; ed infine, nelle Nozze di diamante si utilizzano confetti dal tradizionale colore bianco per sancire 60 anni di matrimonio insieme. I confetti di Sulmona, oltre che per riem pire bomboniere nuziali, possono essere i protagonisti di un’antica tradizione popolare, diffusa in tutta Italia, il lan cio dei confetti. All’uscita della chiesa gli invitati aspetta no trepidanti i novelli sposi che, nell’istante in cui varcano la soglia dell’edificio sacro, si vedono lanciarsi addosso riso e confetti, come augurio e partecipazione nei con fronti della nuova unione. In alcuni comuni abruzzesi, a Campo di Giove, ad esempio, la tradizione vuole che le rispettive mamme degli sposi gettino dalla finestra, prima del rito nuziale, riso, confetti e soldi. Al termine della ceri monia, invece, sono gli sposi ad ottemperare al rito. Durante que sta lieta usanza tutti i ragazzi del paese accorrono aspettando trepidanti di raccoglie re il più gran numero
di soldi possibile! La storia dei confetti è antica: lo zuc chero fa la sua comparsa in Europa importato dagli arabi. Nel 1400 inizia ad essere utilizzato costantemente nella produzione di questi dolci, favorendo lo sviluppo di con fetterie, centri specializzati nella lavorazione artistica. Si dà impulso ad una lunga tradizione confettiera che vede in Sulmona uno dei massimi centri di produzione. La lavorazione avveniva presso il Monastero di Santa Chiara dove, tramite una tecnica particolare, i confetti erano utilizzati per dare vita a motivi decorativi quali fiori, spighe, grappoli, rosari.
QUANDO ANDAVAMO AL CANTINONE CON PASOLINI E CARLO LEVI
di Marcello MartelliNon basta pensare al centro cittadino senza pro grammare un piano per dare prospettiva turi stica all’intero territorio, intercettando il flusso dei vacanzieri che ora ci ignora. Il discorso è vecchio e complesso, più volte portato al centro dell’attenzione e mai abbastanza considerato ieri e oggi. Ora si punta su personaggi noti della gastronomia stellata, chiamati in città per promuovere specialità e professionalità lo cali. O sé medesimi? Qui le idee sono un po’ confuse e vanno chiarite, per non spendere soldi pubblici in pas serelle inutili. Forse non è questa la strada per valo rizzare la cucina tipica locale. Se non ci mobiliteremo tutti per fermare gl’innovatori ad oltranza e, ancora di più, i dilettanti dei fornelli allo sbaraglio, molto presto i piatti della tradizione abruzzese li ritroveremo solo nei vecchi libri della nonna, con il kebab e i kebabari, con tutto il rispetto, disponibili in ogni angolo delle strade, e in qualche piccola osteria di buo na volontà. In genere, l’immaginario del tu rista è alla ricerca di novità anche a tavo la e non si coniuga con l’alta cucina. Non tutti hanno capito e intanto avanza la metastasi che colpisce pa esini e intere zone dell’interno e della montagna. Un tempo ristoranti e trattorie erano una forte attrattiva nel centro storico della città di Teramo. Quando c’e ra anche l’Antico Cantinone, locale chiuso e riaperto con una proposta tutta diversa per i clienti, archivian do una lunga tradizione culinaria rinomata e attrattiva. Era un piacevolissimo punto-d’incontro della migliore convivialità cittadina, arma segreta di Pasquale Limoncelli, promotore culturale amico dei famosi
dell’arte e della cultura. Nella felice stagione degli anni ’60 e ‘80 vi trovarono degna ospitalità grandi personaggi come Moravia, Ungaretti, Guttuso, Levi, Pasolini, Zurlini, Mazzacurati e altri, che nell’Antico Cantinone trascorsero momenti ricordati in alcuni loro scritti letterari, con testimonianze ormai storiche, che della Teramo del passato documentano e tramandano i valori della tavola, dell’ospitalità e dei sapori. Un filo conduttore che, purtroppo, si è spezzato con l’incalzare delle nuove mode e della crisi. Ricordo una delle ulti me serate con l’Accademia Italiana della Cucina e la Fondazione de Victoriis Medori de Leone, che fu quasi l’addio e il testamento del vecchio “Cantinone” nelle parole di Paolo C. Conti, noto giornalista e scrittore, per la presentazione del suo libro: “La leggenda del buon cibo italiano” (Fazi Editore). Un’inchiesta gior nalistica durata due anni, in stile “anglosassone”, sulla natura nascosta di ciò che finisce nei nostri piatti. Con una conclusione che, con il passare degli anni, si è con fermata inquietante: raramente quello che mangiamo è davvero ciò che sembra. L’indagine insegnava ad andare “oltre l’etichetta” perché il buon cibo italiano torni ad essere tale, in nome della vecchia tradizione. E il “Cantinone” aveva fatto suo quell’appello estre mo. Inascoltato.
LE TRADIZIONI POPOLARI IN ABRUZZO
L’etimologia del termine “folklore” deriva dall’unione
di due parole di antica origine sassone: “folk” popolo e “lore” sapere, sapere del popolo.
di Elisabetta Mancinelli
Lo studio e l’interpretazione delle tradizioni popolari in Abruzzo sono iniziati ad opera di studiosi che ne avevano intuito l’importanza molto tempo prima che Gramsci così definisse il folclore: “non una bizzarria, una stranezza, una cosa ridicola ma una cosa molto se ria.
Finora il folclore è stato studiato prevalentemente come elemento pittoresco, occorrerebbe studiarlo invece come concezione del mondo e della vita”.
Uno dei padri delle tradizioni popolari si deve ritenere il medico siciliano Giuseppe Pitrè che iniziò il lavoro di raccolta, studio ed interpretazione del folclore con la cre azione della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Egli uscì dai confini della sua isola e si relazionò con altri studiosi tra cui l’eminente antropologo. Gennaro Fina more (Gessopalena 1836-1923) che per primo sistemò organicamente la cultura popolare abruzzese; anch’egli medico, proprio dall’esercizio della sua professione ebbe il primo impulso a raccogliere i documenti della vita po polare della nostra regione. I suoi due volumi “Curiosità e credenze“ costituiscono il corpus più completo delle tradizioni regionali: materiale relativo a credenze, con suetudini, superstizioni, norme di medicina popolare. Suo contemporaneo e altro studioso del folclore abruzzese fu Antonio De Nino (Pratola Peligna 1832- 1907) che si de dicò agli studi demiologici e linguistici contenuti nella sua raccolta “Tradizioni popolari abruzzesi” che fu definita letteraria in contrapposizione a quella dello scientifico Finamore. Un saggio di questa tipologia di studi è il racconto “La gallina nera” ispirato alla credenza popolare secondo cui la cresta della gallina nera guarisce dal mal di testa. Anche il sulmonese Giovanni Pansa (1865-1929)
legò il suo nome ad importanti ricerche relative a super stizioni e miti abruzzesi. I suoi due volumi “Miti e leggen de e superstizioni d’Abruzzo” sono ritenuti fondamentali per gli studi etnografici regionali. Il Pansa si è dedicato nello specifico al culto delle grotte, delle pietre miraco lose e alle usanze devozionali nei pellegrinaggi in parti colare agli ‘strofinamenti rituali’ nei confronti dei quali lo studioso mostra uno spirito interpretativo all’avanguar dia ritenendo queste antiche pratiche, ancora esercitate in qualche santuario, finalizzate ad ottenere un contatto completo con la divinità dalla quale ci si aspetta di riceve re guarigioni e grazie.
Domenico Ciampoli (Atessa 1852-Roma 1926) narratore e saggista fu un fecondo scrittore di fiabe e racconti in stile verista ispirati alla tradizione folcloristica abruzzese e, anche se non fu un vero e proprio studioso, trascris se leggende e credenze della vita popolare del proprio tempo. Nella sua raccolta “Fiabe abruzzesi” descrive il mondo agropastorale, le celebrazioni votive del mese di maggio in onore della Madonna e le consuetudini magi co-sacrali legate al matrimonio.
CREDENZE POPOLARI, RITI E PRATICHE MAGICHE
Dalle ricerche e da gli studi compiuti da questi padri del folklore e delle tradizio ni popolari sono venuti alla luce tutta una serie di documenti riguardanti i riti di magia, le super stizioni e le terapie na turali dei tempi passati. Tante erano le pratiche magiche che avevano lo scopo di scongiurare gli eventi da ogni influsso negativo pro veniente dal soprannaturale. Queste riguardavano tutti gli aspetti e le tappe della vita umana secondo un ritmo cadenzato del tempo: la nascita, il fidanzamento, il matri monio, la morte.
Numerose erano le credenze popolari che accompagna vano la nascita di un bimbo e i suoi primi anni di vita, si tratta in genere di una serie di precauzioni miranti a te nere lontano i mali, da quelli reali a quelli “magici”. La necessità di protezione da quanto può provocare danno anche da un’occhiata invidiosa, causa di malocchio, si spiega con il fatto che la venuta dei figli era considerato segno della benevolenza divina in Abruzzo come in tutto il centro Sud. Antiche usanze al riguardo erano il divieto di baciare il bambino prima del battesimo e quella di ap pendere alla camicina del neonato cornetti, oggetti d’oro e d’argento a forma di cuore. Molti erano gli scongiuri per i mali dell’infanzia dalle forme di incantesimo per la verminara e il Fuoco di Sant’Antonio ai riti per la propiziazione del buon afflusso del latte materno con il ricorso all’acqua “terapeutica” di alcune fontane considerate miracolose, dedicate alla Madonna a Santa Scolastica e Santa Eufemia. Riguardo il fidanzamento e gli usi nuziali vi erano norme particolari nella scelta del la sposa, la richiesta ai genitori, il trasporto della dote, il canto della partenza, il pianto rituale della madre per il
distacco dalla figlia. Ma un momento importante era rappresentato dal tra sporto della dote nuziale: venivano scritti veri e propri contratti tra i genitori degli sposi nel corso di lunghe ri unioni alla presenza di testimoni. Il trasporto avveniva in un lungo corteo di carri addobbati in cui la biancheria veniva esposta in modo che tutti ne potessero ammira re merletti e ricami. In alcuni paesi vi era l’usanza di seguire gli sposi in corteo dopo il rito religioso e creare barriere di nastri colorati con cui i partecipanti sbarra vano il cammino al seguito nuziale che potevano venire tagliati dallo sposo solo dopo il pagamento di un meta forico pedaggio in dolci, confetti e denaro. La festa com portava la partecipazione di tutto il paese e le più antiche costumanze vogliono che il banchetto nuziale considerato un vero e proprio rito di aggregazione, si tenesse a casa della sposa e durasse molte ore. Esso era rallegrato da canti e brindisi che inneggiavano alla bellezze della spo sa, auguravano ricchezza e abbondanza soprattutto di fi gli e tessevano complimenti per il cibo e il vino. Le usanze legate alla morte secondo arcaiche tradizioni comportavano tutta una serie di rituali dopo la constata zione del decesso. I familiari del defunto interrompevano il lavoro, non dovevano pulire la casa e stare in silenzio. Al trapassato venivano fatti indossare gli abiti migliori, le mani gli venivano giunte sul petto e gli si metteva una moneta in bocca o in tasca che gli doveva servire perché si potesse pagare il tragitto verso l’aldilà. La bara veniva corredata di tutti quegli oggetti che furono in vita cari all’estinto, cappello, pipa, bastone, attrezzi per la barba… Largamente in uso era il pranzo funebre, chiamato “consolo” preparato da parenti ed amici della famiglia dell’estinto a scopo consolatorio.
rarla. L’acqua del fiore di sambuco era considerata un rinfrescante, l’infuso di rosmarino misto a vino fermentato era usato per purificare le gengive e profumare l’alito, il succo delle rose veniva ritenuto un ottimo aperitivo, mentre quello delle viole un efficace purgativo. I distillati di fiori di sambuco, di finocchi e di salvia servivano per lenire il male agli occhi, mentre il mal d’orecchi si curava con succo di zucca unito ad olio di miglio, mentre l’impasto di farina di fave serviva a curare le piaghe. Per lenire gli arrossamenti dei lattanti si spalmava olio d’oliva talvolta mescolato con cipria. Il male alle ginocchia si curava applicando stoppa imbevuta di vino nero. Il singhiozzo si debellava sorseggiando lentamente uno sciroppo di papaveri misto ad orzo, il succo di ciclamino serviva invece ad arrestare un’emorragia nasale, infine le piume di pioppo, raccolte a suo tempo, sostituivano il cotone idrofilo.
SAPONI E DETERSIVI DI UN TEMPO
Le casalinghe di un tempo portavano a lavare lenzuo la, federe e tovaglie al fiume, le sbattevano contro i sassi e poi le stendevano al sole sui prati finchè non acquistavano il candore ed il profumo caratteristico del bucato di un tempo. Il sapone per lavare la biancheria si ricavava da lunghi e pazienti procedimenti. Si mettevano, in un sacco appeso ad un chiodo della cucina o del fonda co, cenere, legna e calce miste ad acqua che si aggiun geva di tanto in tanto. Il liquido che da esso gocciolava, che aveva forti proprietà detergenti, veniva raccolto in un recipiente e poi, mescolato ad olio d’oliva di scarto ed a grassi di maiale, veniva fatto bollire fino ad ottenerne un miscuglio pastoso e sodo. Una volta raffreddato veniva ta gliato in pezzi di sapone. La liscivia veniva ricavata dalla decantazione della cenere di legna nell’acqua bollente e poi usata in dosi misurate per mettere in ammollo la biancheria sporca. Un altro lavoro che richiedeva fatica e pazienza alle massaie di un tempo, era la lucidatura dei recipienti di rame: conche, pentole, tegami, bracie ri e scaldini. Specialmente in prossimità delle feste le donne di casa toglievano a questi recipienti la patina scura strofinandoli con sabbia bagnata e poi con aceto e sale risciacquando alla fine con acqua e sapone. La sab bia, il sale e l’aceto erano usati quotidianamente dopo ogni pasto nel lavaggio di pentole e posate per farle tor nare nitide e terse.
TERAPIE NATURALI DEI NOSTRI NONNI
Gli abruzzesi per secoli per curarsi hanno ricorso alla cosiddetta “farmacia del buon Dio” cioè alle erbe e ad altri prodotti naturali . Si trattava di ricette molto diffuse tra il popolo e alla portata di tutti a base di sambuco, rosmarino, salvia, menta, camomilla, vino che venivano usati come veri e propri medicamenti. Per ogni malattia c’erano almeno cinque erbe a cu-
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email: mancinellielisabetta@gmail.com
I documenti sono tratti dall’Archivio di Stato, da “Il carnevale tradi zionale abruzzese” di Francesco Stoppa; da “Folklore abruzzese” Lia Giancristofaro e da “Abruzzo” di Luciano Verdone. Le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci che ne autorizza la pubblicazione. Indirizzo: Via Veneto 10 Montesilvano tel 085 834879 email: tuccifotografia@libero.it
DALLA BOTTE PIÙ GRANDE DEL MONDO, ALLE LEGGENDE DELL’ANTICO BORGO DI MONTEPAGANO
di Marco MartiniForse non tutti sanno che Roseto degli Abruzzi contende alla città di Heidelberg il primato della botte più grande del mondo. La prima, nella sua imponente grandiosità, può contenere mille ettolitri, cioè un milione di bottiglie da un litro per un vino che nel 1905 servì da assaggio - come ricorda l’ospitale marchese Antonio Mazzarosa - alla mostra itineran te che si tenne a Parigi, Bordeaux e Torino. La Grande Botte della città tedesca, sotto il regno di Carlo Teodo ro, portò la sua attuale capacità a oltre 220.000 litri.
Ottima l’idea di una visita alla storica Cantina Mazzaro sa di Roseto, sorta per volontà del senatore Giuseppe Devincenzi, prestigioso politico “del fare” d’altri tempi, che dedicò la sua vita alla “cosa pubblica” con nume rosi incarichi parlamentari nel Regno delle Due Sicilie e poi nel Regno d’Italia. Lavorò con successo per la rinascita regionale postunitaria e la cantina Devincenzi vide la luce in armonia con gli eventi migliori del Regno d’Italia. Non solo per i vini pregiati che ora più di ieri si fanno onore sui mercati anche all’estero, l‘incontro si rivela interessante anche per approfondire la sin golare figura di un politico-innovatore e creativo, che in Abruzzo riuscì ad importare vitigni sconosciuti, do tando le sue terre di ricchi vigneti che dettero vita ad un’azienda enologica d’avanguardia nel territorio allo ra comune di Montepagano. Naturalmente, il tour non poteva non includere una passeggiata a piedi per le antiche strade della vicina Montepagano, scortati dalla sapiente guida turistica Giancarlo Rapagnà. Alla sco perta di un borgo antico, ricco di storia e sorprese, con sosta finale tutta dedicata alle eccellenze enogastro nomiche locali.
RIFLESSOLOGIA, TECNICA ANTICA PER UNIRE GENITORI E FIGLI
di Roberta GuidiLa riflessologia plantare è un’antichissima tecnica manuale orientale dall’effetto preventivo e curativo. Essa stimola l’omeostasi, ossia la capacità di un or ganismo di autoregolarsi mantenendo costante l’ambiente interno, pur nel cangiare delle condizioni dell’ambiente esterno. Questa tecnica è adatta a tutti, in particolar modo può essere utilizzata sin dalla prima infanzia, per instaura re il rapporto di contatto e relazione genitore-figlio. Infatti, il modo di curare attraverso l’uso delle mani, è naturale ed istintivo, un istinto primordiale in quanto il bisogno di con tatto fisico di cui necessita il bambino è fondamentale per il suo futuro equilibrio, il suo sviluppo ed apprendimento. La riflessologia può essere applicata fin dai primi giorni di vita ed accompagnare la crescita del bambino. È consigliabile iniziare con piccoli sfioramenti leggeri e delicati soprattutto nei primi sette mesi di vita con una frequenza giornaliera e con una durata di pochi minuti. Le tempistiche e la dinamicità del massaggio aumenteranno con la crescita del bimbo. Ovviamente affidarsi ad un professionista per una prima seduta, sarebbe sicuramente più opportuno e consigliato, in quanto potrà mostrarvi i punti più benefici e le posizioni più comode. Il genitore che impara ad applica re questa tecnica, riuscirà ad ascoltare, stimolare ed atti vare una comunicazione d’amore che indurrà il processo di autostima del bambino e di consapevolezza corporea. Inol tre, rispondere al suo bisogno di amore aiuterà la sua cre scita e ne preserverà la sua salute, soprattutto grazie alla potenza preventiva di questo massaggio. In questo modo la riflessologia diverrà uno strumento di conoscenza, di re ciprocità, di nutrimento che accompagnerà la crescita del bambino con maggiore consapevolezza. Essa creerà un collegamento diretto, un legame energetico tra genitore e figlio in quanto, quest’ultimo, imparerà ad abbandonarsi al contatto ed a fidarsi della persona che si prende cura di lui. Si potrebbe incorrere in resistenze da parte del bambino ma, una volta conquistata la sua fiducia e la sua attenzio ne nei confronti del contatto, sarà lui a chiederlo. I piedi
sono lo specchio delle nostre strutture interne, del nostro organismo, ed abituare i nostri bambini, sin dalla nascita, a questo massaggio può apportare dei grandi benefici, so prattutto quando si incorre nei sintomi tipici dei primi mesi come: coliche gassose, stipsi, difficoltà digestive. Questa tecnica risulta utilissima per tonificare ed attivare il lavoro dell’intero organismo, per favorire lo stato di benessere psicofisico generale in quanto aiuta a stimolare le funzioni vitali come ad esempio la circolazione, il sistema nervoso, la respirazione e a promuovere l’aumento delle difese im munitarie. Un massaggio diffuso in tutta la pianta del piede, aiutandosi se necessario, con qualche goccia di olio d’oliva, di calendula o mandorla, puro e possibilmente biologico, stimola le funzionalità interne e aiuta il rilassamento del bambino. Bisogna sempre assicurarsi che il bambino sia predisposto al massaggio, in tal caso, prima di operare sul piede, cercheremo un primo contatto a mano ferma sul torace per poi, delicatamente, arrivare ai piedini. Un massaggio intuitivo da parte del genitore, empatico e spontaneo, tenero e soffice, praticato con disponibilità da parte di entrambi, diverrà un’occasione unica di scam bio affettivo, di conoscenza e di reciprocità. L’evoluzione dell’essere umano si basa sulla moltitudine di esperienze relazionali. Se il clima emotivo ed emozionale intorno a lui è intriso d’amore, rispetto e coerenza, diverrà il terreno di nutrimento per la sua futura maturazione.