Ho consegnato questo documento per l’appello d’esame del 11 Febbraio 2011 del corso Interaction Design Theory (Teorie dell’interazione) tenuto da Gillian Crampton Smith con Philip Tabor alla Facoltà di Design e Arti, Università Iuav di Venezia. Per tutte le sequenze di parole che ho copiato da altri fonti, ho: a) riprodotte in corsivo, inoltre b) messo virgolette di citazione al loro inizio e fine, inoltre c) indicato, per ogni sequenza, il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Per tutte le immagini che ho copiato da altri fonti, ho indicato: a) l’autore e/o proprietario, inoltre b) il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Dichiaro che tutte le altre sequenze e immagini di questo documento sono state scritte o create esclusivamente da me. 04/02/2011
Interaction Design Rendere visibile l’invisibile Rita Petrilli
Indice Introduzione
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L’ambiente intelligente
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Affordance
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Mapping
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Modelli mentali e metafore
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Design centrato sull’utente
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Prototipazione
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Conclusione
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Bibliografia
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Introduzione L’interazione è un’azione, una forma di contatto che ognuno di noi compie in modo istintivo più volte nel corso della giornata. Sin dalle prime ore del mattino compiamo un’interazione quando spegniamo la nostra sveglia cliccando un pulsante o accendiamo il telefonino per mandare un sms. Compiamo un’interazione ogni volta che entriamo in contatto con gli oggetti della nostra vita quotidiana. Lo scopo dell’Interaction Design è quello di progettare e migliorare queste interazioni. L’importanza di questa disciplina è quindi fondamentale in un mondo come il nostro dove gli oggetti che utilizziamo sono apparecchiature tecnologiche sempre più sofisticate ed è forte l’esigenza di poter dialogare con esse in modo facile ed intuitivo. L’interaction design, quindi, non si occupa soltanto di progettare le interfacce e le funzioni di un dispositivo: “Quando progettiamo un sistema informatico, o un dispositivo, non progettiamo solo il suo aspetto esteriore, ma come esso si comporta. Progettiamo la qualità di come noi interagiamo con esso e viceversa.” (Gillian Crampton Smith, prefazione al libro di Bill Moggridge. Designing interactions. 2006, XVI. ) Questa qualità deve essere tradotta in termini di usabilità, utilità e soddisfazione. L’interazione è anche comunicazione: l’interaction design deve supportare la comunicazione tra l’uomo e la macchina, ma non solo. Essendo una disciplina al servizio dell’utente, essa deve anche supportare la comunicazione tra più esseri umani. Dan Saffer, infatti, definisce l’interaction design “l’arte di facilitare le interazioni tra esseri umani attraverso i prodotti e i servizi.” (Saffer. Design dell’interazione. 4) In questo libretto ho cercato di riassumere i concetti e gli strumenti fondamentali necessari a ogni interaction designer, al fine di progettare dispositivi facili, utili e divertenti. Gli esempi riportati sono tratti dalle esercitazioni svolte per il corso di Teorie dell’interazione, tenuto da Gillian Crampton Smith con Philip Tabor.
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L’ambiente intelligente Com’è ormai evidente i dispositivi digitali hanno investito il nostro vivere quotidiano divenendo sempre più pervasivi e condizionando i nostri stili di vita e le abitudini. Molti sostengono che presto la tecnologia sarà naturalmente integrata in ogni aspetto della nostra esistenza e inserita in tutti gli oggetti e gli spazi che ci attorniano. È il concetto dell’Ambiente Intelligente, un luogo idilliaco e confortevole dove sistemi interattivi invisibili lavorano in sintonia con l’uomo e sono in grado di adattarsi e rispondere a esigenze
esistenza e controllare o automatizzare ogni nostro gesto quotidiano. Essa deve servire da supporto ma al tempo stesso deve lasciare gli individui liberi di scelta in ogni azione. “Un problema è che l’affidamento eccessivo sugli automatismi può annullare la capacità di cavarsela in loro assenza e ciò può causare anche dei disastri.” (Norman. La caffettiera del masochista. 249) Oltretutto molto spesso c’è più soddisfazione nello svolgere manualmente alcuni compiti e mantenere il pieno controllo dell’attività. Penso inoltre che sia importante tenere sempre presente il fattore umano e le relazioni interpersonali. Come già accennato in precedenza, la tecnologia e, di conseguenza, l’interaction 1 design hanno il compito di facilitare i rapporti tra gli esseri umani. In un mondo futuro, dove forse gli oggetti saranno in grado di parlare, di sostenerci come farebbero le persone reali, c’è il paradossale rischio di svilire questi rapporti. Come sostiene Dan Saffer, “La funzione dell’Interaction Design è stabilire connessioni fra le persone attraverso questi prodotti, non connettersi al prodotto stesso.” (Saffer. Design dell’interazione. 6) Ritengo,infine, che sia giusto considerare quanta energia sia necessaria per produrre artefatti e dispositivi ad alte prestazioni. Progettare una casa funzionale ed intelligente, significa anche rispettare l’ambiente e ridurre al minimo qualsiasi impatto ecologico.
“Nel migliore dei mondi possibili dovremmo poter scegliere fra l’automatismo e il controllo manuale.” e a individui diversi. Ciascuno di noi sarebbe circondato da uno scenario completamente personalizzabile e da impianti o elettrodomestici intelligenti capaci di soddisfare o addirittura anticipare tutti i nostri bisogni e desideri. Questo scenario offre sicuramente grandi opportunità e aspettative, ma al tempo stesso può sembrare spaventoso. Come in tutte le cose, infatti, ogni abuso può generare complicazioni o problemi non previsti. Personalmente sono una forte sostenitrice dell’era digitale e apprezzo qualsiasi progresso tecnico che agevoli compiti faticosi o ripetitivi. Ritengo, però, che sia giusto domandarsi fino a che punto la tecnologia debba intervenire nella nostra
1. Norman 1990, 246. 8
Rappresentazione di una tipica mattina nel “mio” ambiente intelligente. Il fumetto mostra il percorso da casa all’università e le interazioni con un sistema immaginario fatto di tanti dispositivi interconnessi capaci di anticipare e soddisfare bisogni e desideri.
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Affordance Quando veniamo a contatto con degli oggetti nuovi o insoliti, la prima cosa che facciamo è quella di porci delle domande: a cosa serve? come funziona? come lo si usa? Le risposte a questi interrogativi dovrebbero derivare dell’artefatto stesso. Questa proprietà intrinseca dell’oggetto viene definita affordance. Essa può essere tradotta come l’ “eloquenza” di un oggetto, in quanto denota la proprietà che esso possiede di poter “parlare” al suo utilizzatore soltanto attraverso la sua apparenza visiva e fornirgli indicazioni circa il suo possibile uso. Fornire affordance significa quindi fornire
è quindi strettamente collegata al concetto di visibilità. Però attenzione: l’aspetto visivo in questo caso non deve essere inteso come bell’aspetto. Molti oggetti esteticamente “brutti” comunicano immediatamente le informazioni riguardo al loro utilizzo, a differenza di molti altri, che, in favore di un design pulito e sobrio, le nascondono. Allo stesso tempo esistono moltissimi oggetti che, pur non godendo di una buona affordance, funzionano perfettamente e svolgono in modo efficace tutti i compiti per cui essi sono destinati. Non è detto, infatti, che la forma di un oggetto, pur seguendo la sua funzione, riesca a suggerirla. Un esempio lampante, a mio avviso, è quello del tagliaunghie. Esso è un oggetto molto utile, che ritengo ormai indispensabile e di cui però ho scoperto il corretto utilizzo solo pochi mesi fa. Il problema nasce dal fatto che tutte le operazioni che esso è in grado di compiere non sono immediatamente percepite, soprattutto quando è chiuso, probabilmente perché richiede due movimenti in direzioni opposte per poter essere aperto. Una buona progettazione dovrebbe quindi cercare di far coincidere tutte le operazioni che un artefatto è in grado di compiere (affordance reali) con tutte le azioni possibili che l’utente è in grado di cogliere in anticipo (affordance percepite); in altre parole è importante rendere visibili le cose. Sfida estremamente difficile per un designer, molto più di quanto si possa pensare, soprattutto quando è necessario far convivere una buona affordance con l’estetica. È importante però che questa proprietà non venga trascurata, come spesso accade, perché è fondamentale nel determinare il successo di un prodotto, in quanto influenza la sua usabilità.
“Quando una cosa semplice esige figure, scritte o istruzioni, vuol dire che il design è sbagliato.” 2 un indizio visivo e invitare l’utente a interagire con l’oggetto nell’unico modo corretto. “Una piastra liscia è fatta per spingere. Manopole e maniglie sono da girare. Le fessure sono fatte apposta per infilarci dentro qualcosa.” (Norman. La caffettiera del masochista. 26-28) Un indizio fornito può anche essere un vincolo, cioè mostra chiaramente che un tipo di azione è impraticabile. Quando questi indizi vengono a mancare non vengono suggeriti possibili utilizzi e ciò può essere spesso causa di una forte frustrazione. Ciò avviene perché molte difficoltà nel rapporto con l’ambiente esterno si creano non soltanto con gli oggetti di alta tecnologia; possiamo incontrare molti problemi soprattutto con dispositivi che usiamo quotidianamente e che dovrebbero essere semplici ed intuitivi: l’interruttore della luce, una penna, le manopole del forno. Le difficoltà nascono perché le caratteristiche principali che indicano il funzionamento non sono visibili. L’affordance 2. Norman 1990, 28.
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Bad affordance
Nelle pagina precedente lo schizzo mostra la porta di un negozio di Treviso dove un gancio invita ad entrare tirandolo. La porta però non si apre, perciò è stata aggiunta in seguito la scritta “spingere”. Qui sopra altri due esempi: un orologio a cui non è apparentemente possibile cambiare l’ora. La rotellina
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è nascosta sotto un rivestimento di plastica rigida, difficile da spostare. Inoltre ci sono due parti concave, la cui funzione mi è ancora sconosciuta. Il tagliaunghie, come già detto, è un oggetto funzionale, ma all’inizio non è molto chiaro come aprirlo. L’apertura richiede due rotazioni contrapposte.
Good affordance
L’interruttore in alto è chiarissimo: la forma concava del pulsante invita a poggiarvi il dito e a spingere. La gruccia è molto eloquente: la forma rimanda chiaramente a quella delle spalle umane. Inoltre il gancio ad uncino indica ulteriormente che questo oggetto è fatto per potervi appendere i vestiti.
Anche nel caso del rubinetto della vasca la forma concava del dispositivo per direzionare l’acqua invita a poggiare il dito. È anche un esempio di buon mapping: spingendo verso il basso si fa scorrere l’acqua all’interno della vasca; tirando verso l’alto si aziona l’acqua della doccia (posta in alto).
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Mapping Un problema cruciale ancora presente nei dispositivi attuali è quello di non riuscire a trovare le funzionalità che stiamo cercando, anche se queste esistono già nel sistema. Tra le cause principali, come nel caso delle cattive affondance, la mancanza di visibilità. Più sono visibili le cose e le azioni che si possono compiere, tanto più un dispositivo o un oggetto sarà facile da usare. Molte volte la mancata visibilità dipende da un mapping errato, dove per mapping si intende in questo
Inoltre, per far capire all’utente cosa sta succedendo e se sta compiendo le azioni giuste, un sistema dovrebbe fornire un feedback, ossia un’adeguata informazione di ritorno per confermare che una certa attività abbia avuto un effetto. Il feedback può essere un’indicazione visiva o sonora e deve essere facilmente interpretabile da qualsiasi utente. Accade spesso però di interagire con sistemi che presentano interfacce sbagliate in cui non ci sono scelte ovvie. È il caso di molti distributori automatici di bevande: una sequenza di compiti così semplici crea ancora confusione tra le persone. Le azioni proposte non corrispondo alle nostre intenzioni, l’ordine non rispecchia la logica consequenzialità che ci creiamo nella nostra testa. 3 Quante volte ci viene chiesto quanto zucchero vogliamo, prima ancora di scegliere la bevanda o si aspettano attimi interminabili mentre il caffè è in preparazione, senza però ricevere segni di vita da parte della macchina. E se hai sbagliato non puoi tornare indietro!
“Quando sono visibili, le cose tendono ad essere più facili da usare. Inoltre, dev’esserci una relazione stretta, naturale, fra il comando e la sua funzione: una corrispondenza naturale.” caso la relazione logico-spaziale tra i comandi, le funzioni e i risultati che si vogliono ottenere nell’ambiente esterno. Questa corrispondenza, come afferma Norman, dovrebbe essere il più naturale possibile e dovrebbe sfruttare analogie fisiche con il mondo reale e con i modelli culturali di cui abbiamo già esperienza; questo ci aiuta a comprendere immediatamente il funzionamento di un sistema e ad impararne il meccanismo. Un esempio di mapping naturale è lo scroll del mouse: per andare in alto nello schermo del nostro computer muoviamo la rotellina del mouse verso l’alto, viceversa la muoviamo verso il basso.
3. Norman 1990, 47. 14
In quest’esercitazione ci è stato quindi chiesto di migliorare il mapping e la qualità del dialogo con un distributore di caffè, pensando anche al tono emozionale dell’interazione. Essa ci è servita anche per utilizzare alcuni strumenti molto utili per studiare i flussi di compiti: i flowchart e gli storyboard.
At coffee dispenser...
Questo storyboard mostra la sequenza di azioni e interazioni che ho scelto per un distributore di caffè. Gli studenti hanno una chiave elettronica, in modo da non dover portarsi troppi spiccioli per prendere un caffè. Una faccina simpatica interagisce con noi. Ogni bevanda mostra il livello di ingredienti all’interno del distributore: se un ingrendiente è finito il distributore ci avvisa e non si può
correre il rischio di ordinare una cioccolata e ritrovarsi con il bicchiere pieno di acqua calda come spesso succede. Attraverso l’uso di uno schermo touchscreen è possibile scegliere velocemente le opzioni, tornare indietro e avere l’impressione di versare noi stessi gli ingredienti all’interno della tazza. Dato l’avvio, il riempimento progressivo della tazza mostra quanto tempo manca alla fine del processo.
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Flowcharts
Storyboards
I flowchart, conosciuti anche come diagrammi di flusso, sono dei diagrammi che contengono dei blocchi elementari e permettono di visualizzare tutte le operazioni necessarie per poter portare a termine un compito. È un linguaggio grafico sviluppato per rappresentare gli algoritmi, utilizzato soprattutto in campi come l’informatica e la programmazione. Nell’interaction design l’uso dei flowchart aiuta il progettista a organizzare in modo razionale tutti i flussi di compiti. Ponendo le informazioni sotto forma di schema, i flowchart sono un ottimo strumento di verifica per valutare il corretto ordine delle interazioni e per trovare eventuali errori.
L’aspetto freddo e distaccato dei flowchart può essere supportato dagli storyboard. Lo storyboard consente di presentare le stesse sequenze di azioni di un dispositivo avvicinandoci però al punto di vista dell’utente. Essi infatti raccontano la storia dell’interazione dell’utente con un prodotto o servizio, attraverso l’uso di schizzi, immagini e testo di accompagnamento. La tecnica dello storyboard deriva dal settore cinematografico e pubblicitario, quindi più che una visualizzazione tecnica del flusso dei compiti, si tratta della rappresentazione dello scenario che racconta l’esperienza d’uso con il prodotto. In questo modo è possibile studiare anche il tono emozionale delle interazioni. Proprio come un fumetto, si può focalizzare l’attenzione su diversi aspetti, come l’ambiente in cui avviene l’interazione o lo schermo del dispositivo che l’utente sta utilizzando. La presenza di input e output sonori può essere sostituita con l’uso di onomatopee.
Ogni flowchart inizia con un box ovale contenente la parola “START” e finisce con un altro contenente la parola “STOP”. I box rettangolari contengono le semplici azioni, mentre il box a losanga definisce le condizioni. Se una condizione non si verifica si torna alla fase precedente. Tutti i box sono collegati da frecce che definiscono la cronologia e la sequenzialità. Durante il corso di teoria dell’interazione abbiamo sviluppato diversi flowchart per testare la sequenza delle azioni e migliorare il comportamento di un dispositivo. Un trucchetto molto utile è stato quello di scrivere le istruzioni sui post-it, infatti è sempre possibile staccare e riattaccare i foglietti nel caso ci fosse la necessità di cambiare l’ordine della sequenza.
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Lo storyboard è anche utile per preparare un videoprototipo, in quanto ci aiuta a prestabilire le scene e le inquadrature migliori per spiegare al meglio il funzionamento di un prodotto.
START
insert your key
choose a drink
NO
are there enough ingredients?
do you want milk?
YES
YES
choose the level of milk
YES
choose sugar quantity
NO
drink selected
do you want sugar? NO
do you confirm the choise?
NO go
YES choose the size of the cup
do you want a hot drink?
NO
wait 10 seconds
YES
choose the level of temeperature
NO
is it ready?
YES take your drink
remove the key
STOP
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Modelli mentali e metafore Quando interagiamo con oggetti o dispositivi più o meno nuovi, spesso non ne conosciamo il reale funzionamento e non siamo interessati, perché il meccanismo risulta troppo complesso. Cerchiamo,quindi, di capire come un oggetto funziona semplificandone l’idea, dandoci delle possibili spiegazioni e formulando una nostra rappresentazione del sistema: un modello mentale. Ad esempio il “rimettere in ordine” una stanza dimostra l’esistenza del modello mentale di “stanza ordinata”, da cui far guidare le azioni. Questo perché i modelli mentali che abbiamo si basano
proprio modello progettuale del sistema, spesso più complicato rispetto al modello mentale dell’utente. L’arduo compito del designer è quindi quello di far coincidere il più possibile i due modelli attraverso un’immagine chiara dell’oggetto e permettere all’utente di utilizzarlo intuitivamente e di prevedere gli effetti delle sue azioni. Spesso bastano modelli semplici per spiegare meccanismi anche molto complessi. Non è necessario, infatti, che l’utente veda e capisca tutto, ma solo ciò che gli serve per usare bene il sistema e raggiungere lo scopo per cui lo usa. Per far questo, il designer può usare dei modelli mentali presi da altri contesti, ma che l’utente già conosce e sa utilizzare. Una strategia efficace è l’utilizzo di metafore: un modo per descrivere o rappresentare 4 qualcosa di poco familiare attraverso un trasferimento di significato da un altro concetto più familiare. L’uso di metafore non è arbitrario, ma si basa su un rapporto di somiglianze ed analogie con il funzionamento che si intende spiegare. La metafora più famosa nel mondo delle interfacce è quella del desktop dei computer: attraverso l’utilizzo di file, cartelle, cestino, blocco degli appunti, riusciamo ad operare all’interno di un sistema complesso sfruttando le analogie con il modello mentale che abbiamo della reale scrivania. Una metafora adeguata darà quindi all’utente una comprensione immediata dell’intero sistema, perché attraverso le analogie egli sarà in grado di ricostruire tutti i rapporti di connessione tra gli elementi, anche quelli più complessi. È necessario effettuare ripetuti test sugli utenti per verificare l’efficacia della metafora utilizzata.
“L’interaction design riguarda per lo più il significato che le persone assegnano alle cose e agli eventi e come le persone provano a esprimere dei significati.” sulla nostra conoscenza e su concetti già costruiti in passato, che man mano vengono ridefiniti in base alle esperienze che si accumulano. “La potenza dei modelli mentali è che permettono di indovinare cosa può succedere in situazioni nuove e insolite.” (Norman. La caffettiera del masochista. 82) Usiamo modelli mentali per risolvere problemi reali, determinare rapporti di causa-effetto degli eventi osservati, spiegare tutto ciò che è invisibile ed è interno alla realtà con cui si interagisce. Molti dispositivi odierni, come i computer e i cellulari, infatti, sono oggetti che nascondono molto del loro funzionamento. La comprensione e l’utilizzo di questi artefatti avviene attraverso la “parte visibile” che comunemente definiamo interfaccia e che Norman chiama “immagine di sistema”. Essa è l’elemento con cui il progettista comunica il
4. Marc Retting, intervista tratta dal libro di Dan Saffer. Design dell’interazione. 2007, 16. 18
Money Metaphor Incomes
Outgoins
Fixed
salary
Fixed
parents
Extra
grandparents
rent
university taxes
Extra
other gifts
shopping/free-time
gym fee
Visualizzazione del sistema economico di uno studente che vive da solo. La metafora utilizzata è quella del consumo di energia. Le entrate sono rappresentate dai cibi ingeriti, dove dolci e pizza rappresentano le entrate extra. Le uscite sono rappresentate dal consumo di energia nelle varie attività giornaliere.
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Incomes
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Outgoins
Incomes
Outgoins
La corporatura della ragazza dipende da quanto cibo (denaro) entra. Il peso riportato sulla bilancia indica se si è in equilibrio (le entrate sono pari alle uscite), se si è in sovrappeso (molto denaro in entrata) o se si è in sottopeso (deficit).
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Design centrato sull’utente Da quanto è emerso finora si evince che la cosa fondamentale per un progettista è quella di creare un design centrato sull’utente perché è lui la persona cui il prodotto è destinato; un design semplice ed intuitivo e che riesca a far capire all’utente come interagire con esso. È l’interazione dell’utente con il prodotto/servizio il fattore primario da cui partire ed è ciò che deve influenzare la progettazione. Ci si deve concentrare, quindi, sugli aspetti visibili del prodotto e non troppo sulle questioni tecniche del funzionamento interno. Gli utenti però non sanno esattamente cosa
designer tendono a progettare per se stessi e a considerare i propri bisogni, ma questo è un errore, in quanto le loro idee non sempre coincidono con i reali bisogni della maggior parte degli utenti. È necessario consultare utenti reali per potersi calare nei loro panni; effettuare indagini sul campo per ricavare più informazioni possibili sulle loro abitudini, sui comportamenti e per scoprire come e dove agire affinché il nostro prodotto possa aiutarli nel raggiungere i loro obiettivi. Un metodo efficace per dialogare con gli utenti è quello di condurre delle interviste in cui preparare domande specifiche e mirate, senza però suggerire eventuali risposte: bisogna saper condurre la conversazione in modo naturale per lasciare le persone libere di esprimersi e bisogna saper captare le loro reali necessità ed emozioni, anche attraverso la gestualità. Altri modi per osservare e capire gli utenti sono la richiesta di stesura di un diario o di creare dei collage e il coinvolgimento in giochi di ruolo. Le informazioni raccolte durante la ricerca vanno poi analizzate ed interpretate per creare dei requisiti consolidati che saranno il punto di partenza per il progetto. Le proposte progettuali vanno in seguito valutate per verificare il rispetto dei requisiti dell’utente: l’utente va quindi coinvolto non soltanto all’inizio, ma anche nelle fasi intermedie del processo progettuale, per testare e provare il prodotto prima della messa sul mercato. Permettendo agli utenti di partecipare in modo attivo durante queste fasi sarà utile per trarre ulteriore ispirazioni e ottenere proposte e suggerimenti di miglioramento del prodotto.
“Un sistema non è completo senza le persone che lo utilizzano. Le persone e i loro obiettivi sono al centro dei nostri dispositivi, e abbiamo il dovere di progettare per loro.” 5 vogliono o di cosa hanno bisogno. “Se aveste chiesto a qualcuno per la strada alla fine degli anni Novanta di che cosa avesse bisogno, dubito che la risposta sarebbe stata la televisione interattiva o una giacca cablata per la comunicazione o un frigorifero intelligente.” (Preece, Sharp, Rogers. Interaction Design. 191.) Il primo compito del designer è quindi quello di scoprire i bisogni nascosti o latenti e creare le “opportunità”. L’opportunità è un sinonimo ottimista di problema: è necessario identificare i problemi prima di poterne progettare la soluzione. Spesso è difficile individuare opportunità e spunti per nuove idee, soprattutto quando il prodotto che si intende progettare è del tutto innovativo; molti
5. Gillian Crampton Smith, prefazione al libro di Bill Moggridge. Designing interactions. 2006, XII 22
Define a design opportunity: decide to go to a restaurant / book a table Problems
What do people want to know?
decite to go to a restaurant: - decide what to eat and where
- what kind of restaurant?
- no idea if the restaurant is full
- are there special offers? - is the restaurant near to a particular space? ( lake, sea, etc)
drive to the restaurant: - no idea where the restaurant is
- how do I get there?
- too much time to get there
- how long does it takes? is it near?
- no parking space ( car, bicycle)
- is there a parking space? bus stop?
arrive to the restaurant: - it is closed
- opening/closing times?
- table not ready yet
- how long do I have to wait?
in the restaurant: - the food isn’t good
- are there great food/drinks?
- no variety of food, drinks - the portions are small - too many people
- what is the age range?
- no music
- are there special events?
- no smoking area
- is there a garden/open space?
- the bill is steep
- prices?
- cannot pay with credit card
- how can I pay? 23
Personas (who) Dopo aver svolto la ricerca per poter identificare bisogni ed opportunità, il designer deve necessariamente sapere il proprio target di riferimento, ovvero gli utenti principali per cui sta progettando. La parola utente fa però riferimento a una persona del tutto anonima, per la quale non è facile identificare i bisogni primari. Nella maggior parte dei casi può essere molto utile creare dei personas. Persona è un termine coniato dai designer di lingua inglese per indicare un personaggio archetipico che descrive una determinata tipologia di utente, di prodotti o servizi. Un archetipo definisce un range di utenti che hanno in comune obiettivi, comportamenti e motivazioni. Le personas sono personaggi inventati, le cui caratteristiche sono ricavate attraverso un mix di dati anagrafici e personalità degli utenti intervistati nella fase di ricerca. Ogni
profilo ha una propria identità, un lavoro, degli hobbies e tanti altri tratti personali distintivi. Essi devono, infatti, assomigliare il più possibile a delle persone reali per permettere al progettista di immedesimarsi nei loro gusti e desideri e a concentrarsi sullo scopo per cui sta progettando. Scegliere una foto appropriata per i propri personas o associare disegni ed un soprannome aiuta a renderli più realistici e a ricordarli velocemente. Le personas diventano uno strumento utilissimo quando si definiscono possibili scenari e contesti d’uso del prodotto, dal momento che diventeranno gli attori protagonisti di queste storie. Gli scenari raccontano come sarà utilizzato il servizio e ci permettono di immaginare non solo l’interazione, ma anche le reazioni e le emozioni che esso suscita negli utenti.
Elisabetta | the romantic age: 28 profession: art teacher she likes: flowers fantasy candlelight the sanset motivation: share a dream
Personas realizzate per Book ComforTABLE, un dispositivo per prenotare un ristorante.
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in the restaurant she wants: - beautiful place with suggestive view - private/ quite table -medium/high prices - good food - selected clients/ few people
Carlo | the organized age: 31 profession: economist he likes: cars his work good food and good restaurant punctuality motivation: save time in the restaurant he wants: - place with fast and punctual service - medium/high prices - good food - mixed clients
Federico | the sociable age: 20 profession: student he likes: videogames stay with his friends music parties motivation: have fun in the restaurant he wants: - any kind of palce with music/ entertainments - the service quality is not important - medium prices/ medium food - large variety of drinks - young and funny people 25
a mobile devide to find a restaurant and reserve a table
access the service
choose type of place
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choose type of food
choose the distance range
view restaurants
choose the table
reserve the table
request confirmed
view people feedback
view the route
request received
immediate confirmation
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Prototipazione “La prototipazione è il momento in cui, alla fine, tutti i pezzi del design si raggruppano in unità olistica.” (Saffer. Design dell’interazione. 114.) Il prototipo è un modello, una versione preliminare del prodotto/servizio che serve per esplorarne tutte le caratteristiche prima della messa in produzione. Spesso, quando si parla di prototipazione si pensa ad uno stadio conslusivo della progettazione in cui il prodotto mostrato è quasi identico al prodotto finale. In realtà la qualità del prototipo dipende sia dalle risorse a disposizione, sia dall’obiettivo e dal compito da assolvere. In senso più ampio possiamo
permettono di essere modificati velocemente, e soprattutto di essere giudicati: l’utente, non sentendosi inibito dalla “compiutezza” del progetto è libero di esprimere anche pareri negativi e di lasciare liberamente il proprio feedback, scopo principale del test. Nell’ultima fase del nostro percorso abbiamo realizzato un primissimo prototipo, scegliendo tra i servizi interattivi proposti nell’esercitazione precedente. Abbiamo costruito modellini “quick and dirty” (veloci e grezzi) con qualsiasi mezzo: schizzi, disegni, pennarelli, pezzi di cartone, post-it. Ogni foglio o pezzo di carta rappresenta una sequenza 6 dell’interazione. In seguito abbiamo girato un piccolo video in cui il prototipo viene contestualizzato all’interno di uno scenario per mostrarne il funzionamento. Grazie all’uso della carta è stato facile simulare velocemente effetti di transizione da una schermata all’altra e in seguito montare le scene del video per dare un effetto più o meno realistico dell’interazione.
“I prototipi comunicano il messaggio ‘Questo è come potrebbe essere’. ” dire che stiamo realizzando un prototipo anche quando usiamo carta e matita e schizziamo le nostre idee per renderle chiare a noi stessi e agli altri. Si possono realizzare prototipi per fare dimostrazioni, persuadere un finanziatore ad acquistare il progetto, o per compiere test con gli utenti. Quindi, seconda della fase di progettazione in cui ci si trova si possono avere prototipi con diversi livelli di risoluzione e fedeltà rispetto al prodotto finale. In ognuna di queste fasi il prototipo è uno strumento fondamentale per il design, perché migliora la comunicazione: è molto meglio far vedere direttamente l’idea di progetto che si ha in mente in modo concreto, piuttosto che spiegarla a voce. Inoltre, come già accennato in precedenza, è molto importante testare il design con gli utenti nelle fasi preliminari, per verificare l’usabilità del prodotto ed evitare problemi in fase troppo avanzata. Durante queste sessioni di test è utile usare schizzi e modelli cartacei: il vantaggio è quello di avere un’approssimazione del prodotto in minor tempo, offrendo comunque un’idea chiara e una simulazione delle interazioni principali. Inoltre, non essendo definitivi, i modelli 6. Saffer 2007, 114. 28
È stato pensato un dispositivo che permetta di prenotare un tavolo al ristorante o semplicemente di raggiungere la pizzeria più vicina per mangiare qualcosa al volo. Come nel caso di un obiettivo fotografico, attraverso una ghiera è possibile spostarsi tra le sezioni interne e selezionare la scelta con il pulsantino dell’altra ghiera. La realtà aumentata permette di vedere i ristoranti più vicini (rappresentati dai cibi) e il percorso per raggiungere la destinazione scelta. È possibile lasciare un feedback sulla qualità del ristorante e vedere quello degli altri utenti. (Se il ristorante è buono il cibo è circondato da stelline, altrimenti da mosche).
Alcuni pezzi del prototipo di carta realizzato con i colleghi di corso Paolo Decaro, Silvia Marchesin e Valeria Refratti. Nella pagina successiva sono mostrati i fotogrammi chiave del video-prototipo.
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Conclusione I temi esposti in questo libretto sono solo una piccola parte degli aspetti fondamentali su cui si fonda l’interaction design, una disciplina vastissima e in continua evoluzione. Come abbiamo visto, infatti, essa abbraccia diverse altre discipline, come l’ergonomia, la psicologia, l’informatica, l’ingegneria. L’interaction design non è solo uno strumento per la progettazione, ma un mezzo di profonda analisi della civiltà contemporanea e un campo strategico proiettato al futuro. Grazie a questo corso la mia esperienza è aumentata notevolmente. Ho imparato come utente e come progettista che se riesco ad usare un dispositivo in modo spontaneo ed intuitivo, non è frutto del caso, ma di scelte sapientemente calcolate. Progettare con una maggiore sensibilità nei confronti degli utenti e rendere visibili piccoli dettagli è ciò che fa la differenza in un buon prodotto di design. Creare un buon design, come affermano Norman e Saffer è rendere visibile l’invisibile e può migliorare notevolmente la qualità della nostra vita.
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Bibliografia Norman, Donald A. 1990. La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani. Firenze: Giunti (Trans. of The Psychology of Everyday Things. New York: Basic Books. 1988.) Saffer, Dan. 2007. Design dell’interazione: Creare Applicazioni Intelligenti e Dispositivi Ingegnosi con l’Interaction Design. Berkeley CA: Peachpit. Moggridge, Bill. 2007. Designing Interactions. Cambridge: MIT Press. Preece, Jenny; Sharp, Helen; Rogers, Yvonne. 2004. Interaction Design. Milano: Apogeo Editore. http://webdesign.html.it/articoli/leggi/3046/progettare-un-prototipo/ http://www.ilpalo.com/cervello-coscienza-mente/ modelli-mentali-cervello-memoria.htm
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Composizione tipografica Titolo principale: Auto 1 Bold by Underware, 38pt Titoli: Auto 1 Bold by Underware, 34pt titoli dei paragrafi: Auto 2 Italic by Underware, 18pt testo: Calluna Regular by Exljbris,11pt citazioni: Auto 2 Lt Italic by Underware, 22pt | Calluna Italic by Exljbris, 11pt didascalie: Calluna Bold by Exljbris, 9pt numeri: Auto 1 Lf by Underware, 11pt Software utilizzati: Adobe inDesign CS5 Adobe Photoshop CS5 Adobe Illustrator CS5
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