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Al-Jaber capo della Cop28: allarmismo tra gli ambientalisti

le che guida dal 2016, il Sultano è infatti anche a capo anche di Masdar, la compagnia di energia rinnovabile degli Emirati, che sta sviluppando una nuova eco-città in costruzione nel deserto e la cui energia dovrà provenire unicamente da fonti rinnovabili.

Ahmed Al-Jaber, ministro dell’Industria e delle Tecnologie negli Emirati Arabi Uniti, è stato designato presidente della Cop-28, la Conferenza delle Parti (riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici), che si svolgerà a novembre, a Expo City a Dubai. Una scelta controversa per il fatto che Al-Jaber non soltanto è ministro di uno dei principali stati estrattori di petrolio, ma soprattutto è amministratore delegato della compagnia petrolifera di Stato, la Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc). Scelta, quindi, che ha suscitato feroci critiche e allarmismo tra gli attivisti del Clima e tra le organizzazioni non governative.

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Greenpeace si è dichiarata “profondamente allarmata”, sostenendo che l’evento “deve concludersi con un impegno senza compromessi per una giusta eliminazione di tutti i combustibili fossili: carbone, petrolio e gas”. Tuttavia, la nomina dell'amministratore delegato di una delle maggiori industrie petrolifere alla guida dei prossimi negoziati globali sul clima rappresenta un grave “rischio di perdita di credibilità” nei confronti della stessa Cop28. Anche Harjeet Singh, capo della Strategia politica globale presso il Climate Action Network International, si è espresso, definendo la questione quale "un conflitto di interessi senza precedenti e allarmante".

Durante le Cop il ruolo della presidenza può infatti risultare decisivo; pertanto, vi è già il forte sospetto che la Cop-28, attraverso la sua presidenza, favorirà gli interessi dell’industria fossile. Dal punto di vista degli Emirati Arabi Uniti, tuttavia, la scelta del numero uno della Adnoc è funzionale al buon andamento della stessa Cop28. Oltre alla compagnia petrolifera naziona-

Ciò che ha suscitato maggiori polemiche è in ogni caso la posizione del ministro circa l’industria fossile: Al-Jaber ha proposto di aumentare i fondi a sostegno delle fonti fossili fino al 2027, passando dagli attuali 3,5 a circa 5 milioni di barili. Ciò in quanto, a suo avviso, la transizione ecologica dovrebbe essere effettuata “ con pragmatismo e prudenza”. Parole che purtroppo paiono stantie in un’epoca in cui dovrebbe vigere una sola parola, purtroppo perennemente inascoltata: URGENZA. Spaventosamente piccolo, infatti, è il limite fissato dagli scienziati circa il tempo che ci rimane per assumere comportamenti sostenibili, riducendo drasticamente il nostro impatto sul clima e sulla biodiversità, evitando in tal modo un vero e proprio tracollo ambientale. Si parla di poco più di 6 anni per riuscire a rientrare entro limiti accettabili. Tali promesse di riduzione, ad oggi, risultano largamente insufficienti: è previsto un aumento della temperatura media pari a 2,4-2,6 gradi centigradi, di qui al 2100, rispetto ai livelli preindustriali, un valore lontanissimo rispetto a quanto stabilito con l’Accordo di Parigi, che fissava la soglia più estrema ai 2 gradi, cercando di rimanersi il più possibile vicini agli 1,5. Una differenza tra queste di soli 0,5 gradi, ma che, stando al Gruppo intergovernativo di esperti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC), segna la differenza tra una crisi e una catastrofe climatica

I governi, prima della Cop28, dovranno rivedere i loro impegni sul clima

I Paesi di tutti il mondo sono stati chiamati dalle Nazioni Unite a rivedere le loro promesse di riduzione delle emissioni di CO2, che avrebbero dovuto essere già modificati entro il mese di settembre del 2022, ma soltanto poche decine di Stati lo hanno fatto. Il timore è che i passi avanti (in larga parte insufficienti) faticosamente effettuati nel corso degli ultimi anni possano subire una nuova battuta d’arresto. Prendendo in considerazione l’Italia, la nostra posizione è tutt’altro che brillante. A dirlo è una nuova ricerca pubblicata da Oil change international e Friends of the Earth Usa, a cui hanno collaborato Legambiente e ReCommon. Tra il 2019 e il 2021, infatti, il nostro paese ha fornito 2,8 miliardi di dollari all’anno per finanziare l’industria fossile. Una cifra enorme che posiziona l’Italia al sesto posto nella classifica mondiale dei paesi investitori, davanti ad Arabia Saudita e Russia, rispettivamente all’ottavo e nono posto.

Per contro, soltanto 112 milioni dei finanziamenti energetici internazionali va alle rinnovabili. Ciò significa che su un totale di 3,2 miliardi di dollari investiti per il finanziamento dell’energia tra il 2019 e il 2022, solo il 3,5 % sono andati per sostenere progetti di energia pulita, e oltre il 90% nelle tasche dell’industria fossile. A questo si aggiunge il supporto italiano a molti progetti controversi, tra cui quello di estrazione di gas in Mozambico, che sta esacerbando un conflitto interno al paese africano causando migliaia di morti; e il sostegno per le fonti fossili in Russia nei sette anni trascorsi dall’an-

Hanno Scritto Per Lunarfollie

AZAMI HASSANI YAHYA, 1°AAFM

BAJENARU VANESSA, 4°FL

BALANZINO VALENTINA, 4°BAFM

BARUCCO AGATA, 5°CL

BUCATEENI, 5°DR

CAENARO SOFIA, 5°EL

CHIARINI SARA, 4°AAFM

COMINCIOLI CAMILLA, 4°AL

D’ANGELO LINDA, 4°AT

DI MARI GIULIA MARTINA, 1°AAFM

DOGARU CRISTINA, 5°EL

FRANZONI MARTINA, 5°EL

GAMBA ALESSANDRO, 5°EL

GREGORIO ANNACHIARA, 5°GL

HILUKU JENNY, 1°AAFM nessione della Crimea, azioni che hanno aiutato la Russia ad arricchirsi prima di invadere l’Ucraina.

L’Italia, quindi, risulta essere in ritardo nell’impegno adottato alla Cop26 di Glasgow di mettere fine al finanziamento pubblico per progetti internazionali sui combustibili fossili entro il 2022. Mentre agli altri paesi, che hanno aderito al gruppo “Export finance for future”, tra cui Regno Unito, Francia, Belgio, Danimarca, Svezia e Finlandia, hanno già avviato nuove politiche per attuare l’impegno, all’Italia restano meno di due mesi per rispettare la scadenza. Come se non bastasse, l’Italia si è inoltre distinta per la sua intenzione di indebolire l’impegno assuntosi per l’interruzione dei finanziamenti nell’industria del fossile. Tra i paesi sopracitati, vi è soltanto un paese che si è opposto al documento elaborato per tale impegno, il nostro, allontanandoci sempre di più dall’obiettivo globale di riduzione delle emissioni di CO2 e di un avvio serio della transizione ecologica. Non è quindi un caso che, negli ultimi anni in particolare, ondate di proteste si siano accese in tutti gli angoli del pianeta, movimenti non violenti che chiedono giustizia climatica si siano riversati nelle strade delle città di tutto il mondo, e siano stati compiuti persino numerosi atti di disobbedienza civile volti a sensibilizzare la popolazione, ma soprattutto, la politica.

Irene Reboldi, 5°DL

LIN IVANA, 5°AAFM

MASSAROTTO GIULIA, 5°EL

MORI NICOLE, 4°ER

PICENI ILARIA, 4°DL

PITURRO LORENZO, 4°AT

RAGNOLI REBECCA, 1°AAFM

REBOLDI IRENE, 5°DL

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Prof.ssa Laura Vavassori

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