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La lotta di classe dopo la lotta di
Politica
La lotta di classe dopo la lotta diclasse
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Aldo AVALLONE
Mentre a Davos, nel cuore delle Alpi svizzere, al “World Economic Forum”, i grandi del mondo discutono di “capitalismo etico”, un evidente ossimoro, e varano un nuovo Manifesto per guidare le aziende nell’era della quarta rivoluzione industriale, l’Oxfam apre una finestra drammatica sulle diseguaglianze. Oxfam International, un’organizzazione non governativa attiva nella lotta alla povertà, proprio in questi giorni ha diffuso un rapporto dal titolo “Bene pubblico o ricchezza privata?” con il quale fotografa drammaticamente la ripartizione della ricchezza sia a livello7
globale sia a livello nazionale. Ebbene, i dati che vi si leggono sono impressionanti: nel 2019, 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale. Una concentrazione della ricchezza in continua crescita, visto che nel 2017 questa ricchezza era concentrata nelle mani di 46 individui e nel 2016 nelle tasche di 61 miliardari. Sempre secondo il rapporto Oxfam, negli ultimi dieci anni in cui l’economia mondiale ha vissuto una crisi diffusa, a fronte di un impoverimento generalizzato, il numero dei miliardari è quasi raddoppiato. E anche nel nostro Paese la situazione non è diversa: a giugno 2018, il 20% degli italiani deteneva il 72% della ricchezza netta nazionale, il successivo 20% ne controllava il 15,6%, lasciando al restante 60% appena il 12,4%. Leggendo questi dati mi torna alla mente un saggio di Luciano Gallino e Paolo Borgna letto qualche anno fa, “La lotta di classe dopo la lotta di classe”. La tesi degli autori è che, nella nostra epoca, la classe dei più ricchi sta conducendo, e vincendo, una tenace lotta di classe contro i più poveri. Dagli anni Ottanta del secolo scorso in poi la lotta che era stata portata dal basso per migliorare le proprie condizioni di vita ha ceduto il posto a una lotta condotta dall’alto per recuperare i privilegi che erano stati erosi in una certa misura nel trentennio precedente. Stiamo parlando dell’ideologia neoliberista che ha avuto i massimi rappresentanti in Ronald Reagan e Margaret Thatcher e, in Italia, in Craxi con la “Milano da bere” cui ha fatto seguito Berlusconi. Questa lotta di classe “al contrario” ha fatto leva, soprattutto, sul potere della televisione e dei mezzi di comunicazione, che hanno diffuso un modello di società nella quale il denaro e il possesso dei beni di consumo fossero gli unici parametri per misurare il successo personale, in cui l’individuo sia in una perenne competizione con gli altri, costretto a mettere da parte ogni forma di solidarietà sociale, pur di portare avanti la sua affermazione personale. Il modello, banalmente, è quello di Silvio Berlusconi, l’imprenditore che dal nulla riesce a di-
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venire dapprima una potenza economica e poi, addirittura, Presidente del Consiglio. Nessuno si domanda come sia arrivato al potere, da dove gli sia pervenuto l’iniziale patrimonio per la sua scalata e gli appoggi politici che lo hanno favorito. L’unico metro di giudizio è che lui sia un vincitore. Questo concetto di società, di cui il neoliberismo si è fatto interprete, ha depauperato a poco a poco tutte le conquiste sociali acquisite in anni di dure lotte da parte dei lavoratori. La competitività che tale teoria invoca e i costi che la competitività impone ai lavoratori costituiscono una delle forme assunte dalla lotta di classe ai giorni nostri. Le conseguenze sono quelle evidenziate in maniera drammatica dal rapporto Oxfam: aumento delle disuguaglianze, marcata redistribuzione del reddito dal basso verso l'alto, politiche di austerità che minano alla base il modello sociale europeo. Di fronte a questo scenario non propriamente positivo è lecito porsi la domanda se oggi sia possibile fare qualcosa per invertire la rotta. E, nonostante tutto, la risposta è affermativa. Occorre lavorare per cambiare il contesto. Nella società esistono realtà quali associazioni, ong, chiesa cattolica e di altre confessioni, che giorno per giorno s’impegnano in un lavoro oscuro che mette al centro del loro interesse i ceti sociali più disagiati. Si tratta di un’attività preziosa, ancor più perché svolta in larga parte senza aiuti economici, senza riconoscimento e senza che l’opinione pubblica ne venga a conoscenza. A livello diverso agiscono i movimenti per l’ambiente, di cui Greta Thumberg è la testimonial più importante, e le Sardine che costituiscono la vera novità che in appena due mesi sta cambiando il modo di approccio di milioni di italiani nei confronti della politica. Ecco, sotto queste spinte ormai non più sotterranee, la politica deve tornare pienamente a fare la sua parte. Per troppi lunghi anni, la sinistra nel nostro Paese si è illusa di poter governare inseguendo politiche neoliberiste. Il fallimento di questa scelta scellerata è sotto gli occhi di tutti. Se la sinistra offre soluzioni ai problemi dei più deboli simili a quelle
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offerte dalla destra, perché mai gli elettori dovrebbero scegliere la brutta copia piuttosto che l’originale? Da qui, la disaffezione alla politica da parte di sempre più cittadini che si sono rifugiati nell’astensione. Da qui, la nascita di movimenti populisti e sovranisti. La sinistra torni a fare la sinistra, a occuparsi realmente di quell’80 per cento degli italiani che detiene appena il 28 per cento di tutta la ricchezza nazionale. Deve farlo perché la sinistra è nata per questo, per difendere gli interessi dei più deboli, dei lavoratori salariati a 1.200 euro al mese, dei pensionati che sopravvivono con la pensione minima e non riescono nemmeno a pagarsi le cure mediche, dei ragazzi che accettano lavori al nero per paghe di due euro all’ora, per tutti i cinquantenni che hanno perso occupazione e, terminata la cassa integrazione, non riescono a reinserirsi nel mercato del lavoro, per i tanti giovani, laureati e no, costretti a emigrare all’estero per provare a costruirsi un’esistenza decente. E perché è eticamente inaccettabile questa mostruosa diseguaglianza. Se sarà capace di farlo, senza dubbi né tatticismi, tornerà alla vittoria. Non sarà facile ma è importante iniziare: riappropriamoci dell’antico strumento della lotta di classe, e ricominciamo a utilizzarlo come storicamente è stato sempre inteso. Una giusta ridistribuzione della ricchezza nazionale, da attuare attraverso una fiscalità più equa, consentirà una crescita complessiva del Paese maggiormente equilibrata e un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita dei più disagiati. Se la sinistra non sarà capace di percorre questa via, nessuno potrà impedire alla destra peggiore di sempre di guidare la nazione per i prossimi vent’anni.
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