PETER VOGEL
RITMI CIBERNETICI
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SAME INPUT, DIFFERENT OUTPUT Alberto Zanchetta
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ella vita di un artista si possono rintracciare circostanze che ne hanno condizionato il percorso e che ne chiariscono le inclinazioni. Nel caso di Peter Vogel non possiamo prescindere da tre momenti distinti, e altrettanto salienti, che suggellano la sua formazione artistica. Il primo episodio risale agli anni Cinquanta, allorquando Vogel vede un registratore magnetico all’interno di uno studio radiofonico, “epifania” che lo induce a costruirne uno tutto per sé (all’epoca i registratori erano ancora rari e il loro costo risultava alquanto esoso). Il registratore gli permette di catturare la musica e manipolarla a piacimento, isolando, ripetendo, permutando o associando i suoni. L’artista inizia così a prendere confidenza con la tecnologia, grazie alla quale può cimentarsi con la frantumazione della sequenza temporale, metodo che si ricollega al collage cubista così come al cut-up dadaista, in analogia con le permutazioni fatte da William Seward Burroughs e Brion Gysin in ambito letterario. Vogel intuisce queste possibilità durante l’adolescenza e – sullo slancio entusiastico tipico di ogni autodidatta – inizia a destreggiarsi con i dispositivi elettronici, assemblando adattatori, amplificatori, mixer e oscillatori che gli permettono di sperimentare le proprietà e le potenzialità sonore. Vogel nutre l’ambizione di fare l’artista sin da piccolo. Malgrado questa sua vocazione, decide di studiare fisica all’università, competenze che in un secondo momento gli consentono di trovare impiego presso la casa farmaceutica Hoffmann-La Roche. In questo periodo continua a sviluppare le sue passioni, che spaziano dalla musica alla danza, ma acquisisce anche conoscenze sul sistema neuronale che saranno fondamentali nello sviluppo della sua ricerca artistica. Nel frattempo la ditta Hoffmann-La Roche incarica Vogel di seguire il progetto Status moriendi che intende determinare l’esatto instante del decesso mediante elettrodi cerebrali (seguiranno alcuni anni di infruttuose indagini che invalideranno ogni diagnosi), dopodiché, e siamo nel 1975, Vogel prende congedo dalle ricerche neurofisiologiche per dedicarsi esclusivamente all’arte, segnando un importante punto di svolta – il secondo – nell’arco della sua vita. Dopo un esordio all’insegna della pittura informale, Vogel si avvede degli enormi limiti di una tendenza che sembra ormai esausta e in declino. Benché nei quadri egli avesse cercato di creare un ritmo di tocchi e colori simile a uno spartito musicale, le persone non tenevano mai in debita considerazione il senso della partitura pittorica, si limitavano semmai
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a coglierne l’impressione generale, di tipo paesaggistico. La carriera di Vogel giunge perciò al suo terzo, fondamentale, snodo professionale. Nel 1967 resta infatti colpito da un esperimento condotto da William Grey Walter, pioniere della robotica, il quale riesce ad applicare i princìpi guida delle scienze cognitive nell’invenzione di una Machina Speculatrix che recepisce gli impulsi provenienti dall’ambiente circostante. Nello stesso periodo Marshall McLuhan e Quentin Fiore paragonano i circuiti elettrici a «un’estensione del sistema nervoso centrale»1, suggestione che inizia ad attecchire nell’immaginario collettivo, preconizzato un sistema venoso in cui scorre l’elettricità. Due anni più tardi Vogel realizza i suoi primi quadri cibernetici, che vengono realizzati per diletto e non per fini espositivi. Camuffate tra il colore del dipinto, l’artista inserisce delle fotocellule che producono suoni, luci o movimenti che destabilizzano lo spettatore. Poiché nessuno si aspettava una “reazione” dalla pittura, alla fine Vogel decide di mettere in evidenza le parti elettroniche, svelandone il funzionamento. Nascono così i suoi Interaktive Objekte [“oggetti cibernetici”] che si distingueranno in sottocategorie, di cui le più importanti comprendono i Klang-Objekte [“oggetti sonori”], i Lichtobjekte [“oggetti luminosi”] e i Bewegungs-Objekte [“oggetti in movimento”]. La corrispondenza tra musica e arti plastiche è imprescindibile nel caso di Vogel, aspetto che lo differenzia in modo evidente da artisti come Yaacov Agam; benché i quadri contrappuntistici e polifonici dell’israeliano possano essere ricondotti alle tradizionali strutture melodiche, lo stesso Agam negava l’origine musicale della sua “pittura trasformabile”, ravvisandovi una coincidenza soltanto a posteriori. Pur differendo nelle premesse, le opere dell’uno e dell’altro si basano su uno slancio vitale e imprevedibile che avvera la profezia di Boccioni: «Verrà un tempo in cui il quadro non basterà più: la sua immobilità sarà un anacronismo col movimento vertiginoso della vita umana»2. Nella lingua tedesca esiste una parola che descrive chi è sempre in movimento o ha la smania di fare qualcosa: Hibbelig, aggettivo che potremmo parafrasare con l’italiano “ipercinetico”, definizione che ci riporta alla mente una buona 1 M. McLuhan, Q. Fiore, Il medium è il massaggio, Corraini Edizioni, Mantova 2011, p.40 2 U. Boccioni, Altri inediti e apparati critici, Feltrinelli, Milano 1972, p.34
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parte degli artisti attivi nella decade degli anni Sessanta. Nelle cronache dell’arte vengono indicati come la generazione dei cinetici, anche detti programmati, ma nel gergo di quegli anni sono conosciuti soprattutto come Quelli delle macchinette, epiteto che allude ai motorini e ai diversi congegni elettrici che venivano inseriti nelle opere. Anche gli oggetti di Vogel sono provvisti di prese di corrente, è però interessante notare che essi si attivano in base al movimento ma assai di rado lo producono; gli unici che trasgrediscono tale casistica sono i Flügel-Objekte [“oggetti con le ali”] della serie Hommage à Panamarenko, cui si rifà anche l’installazione Schwerelos [“Senza peso”] composta da oggetti muniti di ali che si innalzano e si abbassano in relazione a un suono che cresce o decresce di intensità. Il turbinare delle eliche determina uno sforzo inane giacché l’oggetto è incapace di generare una forza propulsiva che gli consenta di involarsi per davvero. Anche se i meccanismi di Vogel si attivano ogni qual volta rilevano un movimento, un’ombra oppure un rumore, sarebbe altrettanto lecito immaginare che siano stimolati dallo sguardo dello spettatore. Avvicinandosi all’opera le persone finiscono per “proiettare” il proprio sguardo sull’oggetto che, risvegliato dal suo torpore, si sente in obbligo di replicare alla curiosità degli astanti. Questo indissociabile legame tra soggetto e oggetto permette a Vogel di commutare il solipsismo dell’arte in un sincretismo che si basa su un rapporto dinamico tra ente ed emittente. Il fruitore, che per scelta o per negligenza finisce per ricusare il “confronto-contatto” con l’opera, rischia di defraudare se stesso come pure l’oggetto di un’esperienza estetica incentrata proprio sull’interdipendenza e l’interazione. La distanza è per Vogel sinonimo di separazione, una lontananza che necessita di essere colmata, persino sanata rispetto ai tanti divieti imposti dall’arte tradizionale (“non toccare”, “non avvicinarsi”, etc). Parlando di Giacometti, Jean-Paul Sartre ha scritto che la distanza appartiene alla natura intima dell’oggetto; senza temere di violarne l’intimità, il fruitore è invitato ad avvicinarsi e a instaurare un dialogo con queste opere, prendendo parte attiva allo scambio che intercorre tra le risposte comportamentali dell’oggetto cibernetico e le reazioni situazionali del soggetto umano. Poc’anzi, e non per caso, si è accennato a Alberto Giacometti, artista che potrebbe essere messo in relazione con Peter Vogel, per più di un motivo. Innanzitutto per le affinità dei loro disegni. Entrambi si affidano a
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un segno rapido, essenziale, non lineare, che guizza sulla carta, quasi a volerla incidere. Le sdutte figure di Giacometti e le strutture filamentose di Vogel ci appaiono come geroglifici, aguzzi e intricati, in cui il fitto tratteggio si frammenta, conferendo alle forme una leggerezza che potrebbe dissolversi da un momento all’altro, tanto più perché disancorate dal peso del bronzo e dalla zavorra ferrosa. A tutt’oggi non è mai stato svolto un lavoro di approfondimento dell’opera grafica di Vogel, incombenza che va ben oltre le qualità estetiche dei disegni, permetterebbe anzi di comprendere più a fondo gli schemi tecnici e il funzionamento delle singole opere. La mole di fogli accumulati da Vogel comprende appunti, spiegazioni, abbozzi di ambienti, varianti tecniche, partiture musicali e progetti irrealizzati che necessiterebbero uno studio sistematico, utile a inquadrare i diversi aspetti della sua ricerca artistica. Ma il punto di tangenza tra Vogel e Giacometti è sicuramente l’ossessione del movimento. Scriveva il maestro svizzero: «Nonostante i miei sforzi, non riuscivo proprio a tollerare una scultura che si limitasse a dare l’illusione del movimento, una gamba che avanza, un braccio alzato, una testa che guarda di lato. Il movimento potevo concepirlo soltanto se reale ed effettivo, e volevo anche dare la sensazione di poterlo provocare»3. Il rovello connesso al movimento ha impegnato buona parte dell’arte del XX secolo, tracciando una genealogia che con il senno di poi mette in relazione le avanguardie storiche con quella che Lea Vergine ha definito “l’ultima Avanguardia”, ossia l’Arte programmata e cinetica4. Si è spesso avvertita l’esigenza di stilare una cronistoria legata alle opere cinetiche e ottico-dinamiche, di cui i precursori più accreditati sono Gabo, Pevsner, Moholy-Nagy, Rodchenko, Duchamp, Calder e Tinguely, spesso, però, si dimentica di citare l’allestimento che Frederick Kiesler aveva concepito per la galleria Art of This Century. L’architetto austro-ungarico arrivò al punto di confidare a Peggy Guggenheim che lei sarebbe «rimasta nella memoria dei posteri, non tanto per la collezione di quadri, ma per il modo in cui li avrebbe presentati al mondo nel suo allestimento rivoluzionario»5. Su richiesta della mecenate americana, Kiesler aveva 3 A. Giacometti, Scritti, Abscondita, Milano 2001, p.72 4 La definizione è stata coniata in occasione dell’omonima mostra, tenutasi a Milano nel 1983. 5 Il ritrovo degli artisti, catalogo della mostra a cura di Karole Vail e Luca Patocchi, Galleria Gottardo, Lugano, ottobre-novembre 2001, p.76
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brevettato un sistema di luci in grado di illuminare le opere in momenti distinti. Aveva inoltre suddiviso gli spazi in quattro differenti ambienti: una sala dedicata all’astrazione, una riservata al Surrealismo, una terza denominata Cinetica, infine la “Daylight Gallery” deputata alle mostre temporanee. Nelle intenzioni dell’autore, la “Kinetic Gallery” era consacrata a un metodo automatico di fruizione dei quadri di Klee e della Boîte-en-valise di Duchamp (per vederli il pubblico era obbligato a muovere una ruota girevole). Fondendo l’arte con lo spazio circostante, Kiesler era giunto a rendere operativo il metodo del Correalismo, che consiste nella ricerca di relazioni fra uomo, natura e mondo artificiale all’interno di un habitat in cui nulla risulta statico. Il Correalismo può essere applicato anche a Vogel in quanto le sue opere circoscrivono un “campo dinamico” entro il quale il movimento stabilisce una temporalità e una spazialità in cui è possibile immergersi completamente. Anche l’ungherese Nicolas Schöffer era affascinato dalla nozione di tempo e di spazio, coefficienti che lo indurranno a teorizzare la “città cibernetica” e a sviluppare poi la tecnica da lui definita “luminodinamica”. Nel 1954 Schöffer realizzava la sua prima torre spazio-dinamica-sonora, seguirà nel 1961 la famosa Tour spatiodynamiquecybernétique di Liegi: cinquantadue metri di acciaio cromato equipaggiati di assi motorizzati in grado di ruotare degli specchi che riflettevano la luce solare e quella artificiale nelle fasi notturne (musica e movimento cibernetico erano programmati da un calcolatore che Schöffer impiegherà in alcune altre opere della seconda metà degli anni Cinquanta). A seguito della Rivoluzione industriale, la società ha dovuto confrontarsi sempre più spesso con macchine e automi che sono stati di grande ispirazione per alcune avanguardie del primo Novecento. Si pensi all’idolatria dei Futuristi, al periodo meccanicista di Picabia e Duchamp, così come al revival che ne fece la Pop art. A dispetto delle macchine celibi – equivoche, solitarie e deliranti – quelle di Vogel preservano l’equazione uomo-macchina, si sforzano di trovare un equilibrio tra le parti e stabilire un sistema comune, di condivisione e complicità. L’artista cerca di mettere in relazione le cose con i corpi, stabilendo una “forma duale” che ha senso soltanto durante lo scambio dialettico. Solitamente ci ostiniamo a capire il funzionamento di un oggetto per deciderne l’utilizzo, ma nello specifico di Vogel è necessario comprenderne il linguaggio e cogliere il senso della comunicazione in atto. Alla maniera di
un oracolo, ogni opera d’arte deve essere interrogata non tanto sul suo significato, ma su “cosa essa sia”: quelle di Vogel cercano di spiegarcelo attraverso un idioma pre-logico, un alfabeto che ricorre a suoni e colori per stabilire un legame empatico con il proprio interlocutore. A cavallo degli anni Sessanta e Settanta diversi artisti, per lo più riconducibili alle esperienze allora definite molto genericamente “Nuove tendenze”, si interrogavano sul valore dei mezzi di comunicazione, vagheggiavano altresì di fondare una società che riuscisse a rispecchiare la logica della programmazione, e di conseguenza anche una logica della produttività. Ebbene, se le macchine sono concepite per il lavoro specializzato, qual è la funzione degli Interaktive Objekte di Vogel? A fronte di uno stimolo, essi “producono una risposta” (l’artista concepisce infatti il suono e la luce come dispositivi di comunicazione). In questo senso è di primaria importanza il coinvolgimento dello spettatore, il quale attiva e influenza le opere, dando luogo a una reazione alquanto eterogenea. Le strutture sensibili di Vogel sono tuttavia dotate di un sistema che può influenzare se stesso, generando risposte che si diversificano in base alla prossimità dei movimenti, all’incidenza delle ombre o all’incisività dei suoni. Dall’interazione tra soggetto e oggetto nasce uno scambio di informazioni che varia di intensità o durata a seconda delle diverse tipologie di oggetti. Ad esempio, i Lichtobjekte si basano su configurazioni lineari, circolari o casuali (l’impulso acustico viene convertito in strutture ottiche), mentre gli impianti atonali e quelli polifonici dei Klang-Objekte si differenziano per dissonanze o armonie, oltre che per sequenze ripetitive e altre più volubili. Ne consegue che i fenomeni e le possibilità ad essi associati possono essere infiniti, così come infiniti sono i rapporti che si instaurano a livello interpersonale. Assumere un atteggiamento ingenuo e ludico è il modo migliore per approcciare questi oggetti, in tal modo si favorirà un gioco-dialogo che supera i vincoli linguistici. Poiché il concetto di “gioco” ricorre con insistenza nei discorsi di Vogel, urge fare una precisazione che altrimenti ne renderebbe equivoco il significato. Nel 1969 l’artista ha composto una sinfonia dal titolo Raumspiel, parola che non trova un corrispettivo nelle altre lingue, si potrebbe all’incirca parafrasare in “gioco spaziale”. Nel linguaggio teutonico der Raum è lo spazio, riconducibile al cosmo così come a quello di un edificio o di una stanza, das Spiel è invece il gioco, ma il termine è molto elastico e può riferirsi a una generica inter-
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pretazione, che comprende la recitazione teatrale e l’esecuzione musicale; allude altresì a una partita, e in senso figurato può indicare il movimento, come per esempio un gioco di luci o di onde. Allo stesso modo, il verbo Spielen – in conformità all’inglese Play – significa al contempo giocare, recitare, suonare. Più che una semplice parola, è un concetto aperto che si addice perfettamente alla ricerca di Vogel, in cui l’idea del gioco è associata a un’attività creativa e non semplicemente ricreativa. Secondo Roger Caillois, il gioco è riconducibile a un’attività “libera” (un giocatore non può essere obbligato), “separata” (ha dei limiti di spazio e di tempo), “incerta” (lo svolgimento e il risultato non possono essere conosciuti in anticipo), “improduttiva” (non crea beni o ricchezza, salvo uno spostamento di proprietà nella cerchia dei giocatori), “regolata” (risponde a regole proprie che inibiscono le leggi tradizionali), “fittizia” (il giocatore è consapevole delle differenze con la vita reale). Nella fattispecie di Vogel riscontriamo le stesse peculiarità, sarebbe comunque improprio considerare i suoi oggetti alla stregua di semplici giocattoli, anche nel caso in cui la loro dimensione si rapportasse all’ambito domestico. In origine Vogel ricorreva all’elemento sonoro per dar prova della struttura temporale dell’oggetto, ossia la sua “risposta”. Soltanto in seguito le opere hanno assunto quella loro particolare dicotomia di musica-gioco che ritroviamo negli Objekte mit Instrumenten [“oggetti con strumenti”] e nei Minimal-MusikObjekte [“oggetti di musica minimalista”]. Affini sono pure i Klangwände [“muri sonori”] e le Schattenorchester [“orchestre-ombra”]. I primi possono misurare pochi metri oppure estendersi fino a una decina, offrendo allo spettatore un ampio margine di manovra per interagire e produrre delle melodie techno. I muri sono provvisti di diverse fotocellule e di altoparlanti, quest’ultimi collocati alle due estremità della struttura di modo da ottenere un effetto stereofonico. Grazie al rilevamento del movimento, e talvolta delle ombre, le opere emettono singoli suoni oppure in sequenze imprevedibili. La risposta dell’oggetto è volubile perché non risponde mai in modo omogeneo allo stesso tipo di sollecitazione. Il concepimento della prima Schattenorchester risale al periodo in cui Vogel consegue il diploma di scuola superiore, ma la sua realizzazione è molto più tarda. L’idea di partenza è riconducibile a una fittizia Jazzmaschine [“macchina Jazz”] in cui gli strumenti musicali dovevano
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essere suonati da una o più persone. Un primo tentativo in questo senso è la Kellerorchester costruita nel 1989 utilizzando strumenti meccanici che l’artista amplifica grazie a un sistema di controllo centralizzato. Esposta a Berlino, la Kellerorchester sarà la progenitrice di tre distinte orchestre che differiscono sia nelle strutture tonali e ritmiche, sia per l’ensemble strumentale che viene arricchito di volta in volta. Tutte e tre le versioni hanno però in comune un’illuminazione che proietta sulle pareti di fondo le ombre degli strumenti, ricreando così uno scenario urbano-tecnologico. Ogni orchestra è concepita per permettere al pubblico di improvvisare una musica che può essere modificata di continuo, in qualsiasi momento. Anche in questo frangente, lo spettatore può produrre innumerevoli melodie proprio perché la risposta degli strumenti acustici non è mai lineare. Ciò che qui ci preme sottolineare nuovamente è la centralità del fruitore, il quale non è un semplice interprete-esecutore di una partitura già esistente. A dispetto di una composizione tradizionale, che prevede un susseguirsi di note, la musica orchestrale di Vogel è sempre in divenire, oltre che irripetibile. Come direbbe Umberto Eco, l’elusiva partitura ha la «possibilità di essere interpretata in mille modi diversi senza che la sua irriproducibile singolarità ne risulti alterata. Ogni fruizione è così una interpretazione e una esecuzione, poiché in ogni fruizione l’opera rivive in una prospettiva originale»6. Com’è ovvio, la musica elettronica e quella minimale sono state di grande ispirazione per Vogel. Lui stesso ammette di essere stato suggestionato da Steve Reich e Philip Glass nella realizzazione dei Minimal-MusikObjekte che possiedono strutture tonali ripetitive. Ma la gran parte dei suoi oggetti sonori, in particolare quelli precedenti alla decade degli anni Ottanta, sono l’esatto contrario della musica minimalista, che è costante, durevole, uniforme, inalterabile. L’effetto finale, in cui subentra un sistema di probabilità connesso agli stimoli ambientali, persegue risultati più vicini a Luciano Berio, John Cage o Karlheinz Stockhausen. A questo proposito vale la pena riconsiderare il famoso saggio Struktur und Erlebniszeit scritto da Stockhausen nel 1955, in cui l’autore parla di Erlebniszeit [“tempo fruitivo” necessario a vivere l’esperienza musicale] mettendolo in rapporto al maggiore o minore Überraschungsmoment [“momento di sorpresa”] 6 U. Eco, Opera aperta, Bompiani, IV edizione, Milano 1997, p.34
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determinato dall’imprevedibile percorso musicale; ne consegue che l’Erlebniszeit diminuirà o aumenterà a seconda delle informazioni involontarie che il brano sarà in grado di produrre. Oltre all’attività concertistica, Vogel ha sempre dimostrato un particolare interesse per la danza e la coreografia. In più di un’occasione ha chiesto a dei performer di esibirsi davanti alle sue installazioni, ponendo un’unica condizione: anziché seguire un ritmo prestabilito, la musica si sarebbe originata attraverso il movimento dei loro stessi corpi. Rispetto alla libertà interpretativa concessa a un esecutore, Vogel si spinge oltre, affidando all’interprete l’opportunità di creare le sinfonie in prima persona, senza limiti di sorta. Durante la prova generale della Tanzperformances svoltasi a Zagabria nel 1976, Vogel si era limitato a collegare le sculture a dei sintetizzatori e a un calcolatore elettronico, mentre il carattere estemporaneo dell’esibizione avrebbe fatto tutto il resto. Il gioco/Spiel, così come lo intende l’artista, ha molteplici implicazioni, non ultimo l’improvvisazione, la complicità e la corresponsabilità della materia fonica. Il feedback tra soggetto e oggetto può variare in modo imprevedibile, giacché non è possibile determinare a priori in che modo reagiranno le persone o le cose. Le risposte audio-visive emesse dagli oggetti sono sensibili all’ambiente in cui si trovano, benché non sempre sussista una correlazione tra input e output. I suoni atonali possono aumentare d’intensità oppure diminuire in durata, altrettanto difficile è riuscire a stabilire a priori la combinazione sonora che i componenti elettronici possono effettivamente generare. Nonostante gli oggetti corrispondano a precisi “modelli di comportamento”, molte sculture possiedono caratteristiche comportamentali che tendono ad alterarsi qualora siano stimolate con insistenza. A volte occorre sollecitarle per lunghi periodi affinché si verifichi qualcosa di inatteso, altre volte sono in grado di sviluppare una memoria a breve termine oppure un nuovo linguaggio, in piena autonomia (l’artista ricorda il caso di oggetti che dovevano reagire alle ombre ma che a un certo punto necessitavano di ricevere stimoli acustici). Nei Kunstobjekte di Vogel esistono notevoli quozienti differenziali che traggono le loro suggestioni dalle Leggi universali della percezione. Alla psicologia e al funzionamento neuronale sono direttamente associati il fenomeno del “riflesso condizionato” che associa lo stimolo a una reazione, o il meccanismo della “assuefazione” che indebolisce la reazione – fino a farla cessare completamente – attra-
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verso una frequente stimolazione. L’assuefazione non esclude però un effetto contrario: agendo insistentemente sui nervi/fotocellule può essere oltrepassata una soglia prestabilita, oltre la quale iniziano a sopraggiungere delle anomalie. Malgrado i microfoni rilevino il rumore e le cellule fotoelettriche percepiscano il movimento o le ombre, gli oggetti di Vogel sono in grado di attingere a impulsi interni, indipendenti, che lo possono condizionare a prescindere da tutto. Attraverso l’esperienza si può arrivare a individuare uno schema di comprensione, ma l’aspetto cognitivo è sempre subordinato a un approccio intuitivo, spontaneo, arbitrario. Soggetto e oggetto sono obbligati ad adottare una strategia comportamentale che ha conseguenze imprevedibili. Occorre captare e riconoscere gli input per riuscire a manipolare le successioni acustiche o le vibrazioni luminose, consci però di non poter avere il pieno controllo della situazione. Fruitore e opera sono elementi di un’equazione in cui possono verificarsi un gran numero di interferenze, casualità e causalità, il ché dà vita a un inarrestabile flusso di informazioni. Proprio perché incontrollabili, le connessioni non permettono all’utente di appellarsi al prevedibile rapporto di causa-effetto. Esenti da isterici ed esasperati scientismi, le opere di Vogel presuppongono una logica intrinseca che vanifica qualsivoglia libretto d’istruzioni; non potendo fare affidamento su apporti didattici, il fruitore deve basarsi solo ed esclusivamente sugli effetti di un apprendimento empirico. Nel 1896 Louis Henry Sullivan professava quello che sarebbe diventato il Verbo dell’architettura funzionalista: Form ever follows function. Dopo quasi un secolo, il Postmoderno ne incrinerà il precetto, annunciando che è la funzione a dover seguire la forma. Per Vogel la forma non è importante, è solo una conseguenza. Più precisamente: l’artista si preoccupa di convertire l’idea non più in una forma ma in una situazione (l’opera è latrice di un’esperienza, di un evento). È altrettanto significativo il fatto che Vogel non definisca le proprie opere come sculture, bensì come oggetti sonori o rilievi luminosi. Nel lessico dell’artista prevale la nomenclatura dell’objekte che veicola soltanto la propria funzionalità, in pratica gli aggregati elettronici tengono conto della loro applicazione tecnica a discapito del proprio grado estetico. Ciò nondimeno, gli oggetti non sono privi di un’attrattiva, al contrario, possiedono un’estetica che è determinata dalla necessità anziché dal caso o dal gusto personale. Pur prestando attenzione all’effetto desiderato, c’è
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in questi oggetti un’abilità combinatoria che li rende unici e intriganti. Mettendo a nudo sensori, transistor, resistenze, fotocellule, altoparlanti, microfoni, magneti, piccoli motori elettrici, condensatori, relais, cellule fotoelettriche, cavi, anodi e catodi, lampadine o diodi luminosi, Vogel conferisce all’oggetto un aspetto a dir poco seducente. In tutta sincerità, non restiamo forse ammaliati ogni qualvolta vediamo un traliccio dell’alta tensione o una turbina eolica? «Ci seduce, la tecnica, anche là dove noi pensiamo si dia il luogo dell’estetico. Davanti a un’elica di un aereo, Duchamp disse a Brancusi: “Come si potrebbe fare qualcosa di più bello?”. Quante volte, di fronte a un prodotto della tecnica noi non possiamo evitare di pensare alla bellezza!»7. E che dire dei trecento metri di ferro e rivetti della tour Eiffel? Costruita in occasione dell’Esposizione Universale del 1889, è sopravvissuta al dissenso dei parigini che la volevano demolire e oggigiorno è considerata, nientemeno, che una delle meraviglie del mondo moderno. In modo enfatico Ramón Gómez de la Serna l’aveva descritta come una «A immensa, la A dello stupore nel giungere a Parigi, l’ultima A nell’andar via»8. Vogel ha perfettamente ragione quando fa notare che la natura non ha creato nulla a fini estetici. Un tramonto o un paesaggio possono risultare “belli” ai nostri occhi, ma quello è soltanto un effetto secondario. Per Jean Baudrillard ogni oggetto è «un attore a pieno diritto in quanto elude ogni semplice funzione. In ciò sta il suo fascino»9. Allo stesso modo, gli oggetti di Vogel ci seducono per i loro minuscoli ingranaggi. I circuiti sono a vista, i transistor a portata di mano. Non c’è occultamento nell’estetica dell’artista, vi troviamo casomai una messa in evidenza dell’essenza e dell’essenzialità di ciascuna opera. Benché Vogel abbia inteso abolire il tradizionale pentagramma, i suoi oggetti sembrano averne preso il posto, usando le componenti elettroniche alla maniera di una partitura che si inscrive nello spazio. Quelli che noi vediamo sono oggetti teorici ma anche pratici, nel senso che applicano le nozioni scientifiche acquisite dall’autore nel corso degli anni, nell’altro senso ci dimostrano che non c’è gerarchia bensì reciprocità tra le parti: quando il fruitore-esecutore suona lo strumento-oggetto
diventa egli stesso uno strumento funzionale all’opera. Simili ma non identiche, le res singulares di Peter Vogel appartengono sia all’arte che alla tecnologia (i due termini, non per nulla, condividono l’etimo greco di techné), sono figlie di un mondo della tecnica in cui si avvera un tempo della meccanica e una meccanica del tempo. Il problema della forma e della funzione è alquanto relativo, non fosse altro perché l’artista si è formato in seno agli anni Sessanta, decade in cui la “cultura del progetto” era prevalsa sulla destinazione d’uso; ciò che all’epoca importava veramente era il processo alla base dell’intenzione [dell’autore] e dell’interazione [con il pubblico]. Per concludere, se dobbiamo attenerci al lessico artistico, ci sia concesso definire queste opere come “sculture aleatorie” in quanto spostano l’attenzione dall’oggetto verso il soggetto, e di conseguenza verso l’evento che ne deriva. L’aleatorietà esecutiva corrisponde quindi a una forma fruibile, quella di un’intelligenza artificiale che gioca con i nostri recettori visivi e uditivi. Same input, different output.
7 E. Tadini, La distanza, Einaudi, Torino 1998, p.128 8 R. G. de la Serna, Dalí, Abscondita, Milano 2002, p.37 9 J. Baudrillard, Parole chiave, Armando editore, Roma 2002, p.15
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n the life of artists we can find circumstances that have conditioned their path and that clarify their intentions. In the case of Peter Vogel we must start from three distinct and equally noteworthy moments that marked his development in art. The first episode dates from the 1950s when Vogel saw a tape recorder in a radio broadcasting studio, an “epiphany� that led him to build one for himself (at the time tape recorders were still rare and their cost was exorbitant). The recorder allowed him to capture music and to pleasantly manipulate it by isolating, repeating, permuting, and assembling the sounds. In this way the artist began to feel comfortable with technology, thanks to which he could deal with fragmenting the time sequence, a method that is linked to both Cubist collages and Dada cut-ups and is analogous to the permutations created by William Seward Burroughs and Brion Gysin in the field of literature. Vogel intuited these possibilities in his adolescence and, with the typical enthusiasm of the self-taught, he began to work with electronic devices to assemble adaptors, amplifiers, mixers, and oscillators which allowed him to discover their properties and potential sound. Vogel wanted to be an artist from an early age. Despite this vocation he decided to study physics at university, a training that later would allow him to find a job with the Hoffmann-La Roche pharmaceutical company. In this period he continued to develop his enthusiasms, which ranged from music to dance, but he also gained knowledge of the neuronal system which was to be fundamental to the development of his art. In the meantime Hoffmann-La Roche asked Vogel to follow the Status moriendo project which aimed at determining the exact instant of death through the use of cerebral electrodes (followed by various years of fruitless inquiries which invalidated any diagnoses); after this, in 1975, Vogel left neurophysiologic researches behind him to devote himself exclusively to art. This marked the second important turning point in his life. After painting in an Informale manner, Vogel became aware of the great limits of a trend that by then seemed exhausted and in decline. Even though in his paintings he had tried to create a rhythm of touches and colours similar to a musical score, people never took into account the sense of this painterly musicality and limited themselves to general, landscape-like considerations. And so Vogel’s career arrived at its third basic professional turning point. In 1967 he was, in fact, greatly struck
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1 M. McLuhan, Q. Fiore, Il medium è il massaggio, Corraini Edizioni, Mantua 2011, p. 40 2 U. Boccioni, Altri inediti e apparati critici, Feltrinelli, Milan 1972, p.34
Machine People, an epithet that alludes to the motors and electronic devices that were inserted into the works. Vogel’s objects too are plugged in, but it is interesting to note that they are activated by movement but that they rarely produce it. The only ones that differ from this are the Flügel-Objekte (Objects with Wings) from the Hommage a Panamarenko series, which is also related to the Schwerelos (Weightless) installation consisting of winged objects that rise up or descend in relation to a sound that increases or decreases in intensity. The whirling of the propeller determines an inane force since the object is unable to generate the propulsive force that would allow it to really take flight. It is necessary to repeat that Vogel’s mechanism are activated each time they detect a movement, a shadow, or a noise, but it would be just as revealing to imagine that they are stimulated by the viewers’ gaze. When they come near to the work the viewers end up “projecting” their own gaze on the object that, awoken from its own torpor, feels obliged to reply to the curiosity of the onlookers. This unbreakable link between the subject and object allows Vogel to commute art’s solipsism into a syncretism based on a dynamic relationship between an entity and the transmitter. The viewers who, by choice or by negligence, end up by refusing a “confrontation-contact” with the work, defraud both themselves and the object of an aesthetic experience based on interdependence and interaction. For Vogel, distance is synonymous with separation, a gap that needs to be filled or even healed, in comparison with the many prohibitions imposed by traditional art (“do not touch”, “do not get close” etc.). Referring to Giacometti, Jean-Paul Sartre wrote that distance belongs to the intimate nature of an object; without running the risk of violating intimacy, the viewers are invited to come close and start off a dialogue with these works, taking an active part in the exchange that takes place between the behavioural answers given by the cybernetic object and the situational reactions of the human subject. Earlier, and not by chance, I mentioned Alberto Giacometti, an artist who could well be compared to Peter Vogel for more reasons than one. Above all for the affinity of their drawings. Both employ a rapid, minimal, non-linear mark that darts over the paper, almost as though trying to cut into it. The slender figures of Giacometti, and Vogel’s stringy structures are like hieroglyphics, sharp and intricate, in which the denseness of the lines is fragmented and confers on the forms a lightness that could dissolve
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by an experiment undertaken by William Grey Walter, a pioneer of robotics, who managed to apply the main principles of cognitive science to the invention of a Machina Speculatrix which received input from the surrounding ambient. In the same period Marshall McLuhan and Quentin Fiore compared electrical circuits to “an extension of the central nervous system”1, a hint that began to catch on in the collective imagination, one that predicted a venous system run through by electricity. Two years later Vogel created his first cybernetic pictures which he made for his own pleasure and not for the purposes of an exhibition. Camouflaged among the colours of the painting were photocells that produced sounds, light or movements that destabilised the viewers. Because no one expected a “reaction” from the painting, Vogel finally decided to highlight the electrical parts and reveal their function. This was the birth of his Interaktive Objekte (Cybernetic Objects) that were divided into subcategories, the most important of which include the Klang-Objekte (Sound Objects), the Lichtobjekte (Luminous Objects), and the Bewegungs-Objekte (Objects in Movement). The correspondence between music and the plastic arts is essential in Vogel’s case, an aspect that overtly differentiates him from an artist such as Yaacov Agam; even if the contrapuntal and polyphonic pictures by this Israeli artist can be traced back to traditional melodic structures, Agam himself denied the musical origin of his “transformable painting” and found any resemblances only with hindsight. But though differing in their premises, the works by both are based on a vital and unpredictable impulse that had been prophesised by Boccioni: “The day will come when pictures will no longer be enough: their immobility will be an anachronism for the vertiginous movement of human life”2. In German there exists a word that describes those who are always in movement or have the mania for doing something: Hibbelig, an adjective that might be paraphrased as “hyperkinetic”, a definition that brings to mind a large part of the artists active at the end of the 1960s. In art history these are often indicated as from the generation of kinetic or programme artists, but in the slang of the time they were known as the
from one moment to the next, all the more so because they are freed from the heaviness of bronze or the dead weight of iron. So far there has never been an in-depth study of Vogel’s graphic work, a task that would have to go far further than the aesthetic qualities of the drawings and would in fact allow us a deeper understanding of the technical schemes and functions of the individual works. The heap of paper accumulated by Vogel includes notes, explanations, sketches of settings, technical variants, musical scores, and unrealisable projects which might need a systematic study; all are useful for concentrating on the various aspects of his art. But the point of contact between Vogel and Giacometti is without a doubt their obsession with movement. The Swiss artist has written “Despite all my attempts, I just could not tolerate sculpture limited to giving an illusion of movement: a leg advancing, a raised arm, a head turned to the side. I could only conceive of movement if it were real and effective, and I also wanted to give the sensation of being able to provoke it”3. The nagging idea of movement has haunted much of twentieth century art, and outlines a pedigree that with hindsight relates the historical avant-garde to what Lea Vergine has called the “last avant-garde”, in other words kinetic and programme art4. There has often been felt the need to outline a history of kinetic and optical-dynamic works, of which the most qualified precursors were Gabo, Pevsner, Moholy-Nagy, Rodchenko, Duchamp, Calder, and Tinguely; often, however, the installation that Frederick Kiesler had conceived for the Art of This Century gallery has been overlooked. This Austro-Hungarian architect actually told Peggy Guggenheim that she would “remain in the memory of later generations, not so much for her collection of paintings, but for the way in which they had been shown to the world in his revolutionary installation”5. On the request of his American sponsor, Kiesler copyrighted a lighting system able to illuminate the works in separate moments. Furthermore, he had divided the spaces into four different locations: a room devoted to abstraction, one reserved for Surrealism, a third for kinetic art, and finally 3 A. Giacometti, Scritti, Abscondita, Milan 2001, p.72 4 The definition was coined on the occasion of the show of the same name held in Milan in 1983 5 Il ritrovo degli artisti, exhibition catalogue curated by Karole Vail and Luca Patocchi, Galleria Gottardo, Lugano, October-November 2001, p.76
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the “Daylight Gallery” for temporary shows. The architect’s idea was that the “Kinetic Gallery” would be an automatic method for enjoying the pictures by Klee and for Duchamp’s Boîte-en-valise (in order to see it, the public was obliged to rotate a wheel). By merging art with the surrounding space, Kiesler managed to make operative his so-called Correalism method, which consists of searching for a relationship between man, nature, and the artificial world within a habitat in which nothing is static. Correalism can also be applied to Vogel’s works because they contain a “dynamic field” within which movement establishes a temporality and spatiality in which it is possible to be completely immersed. The Hungarian Nicolas Schöffer too was fascinated by the idea of space and time, coefficients that were to induce him to theorise the “cybernetic city” and to develop the technique he defined as “luminodyanamics”. In 1954 Schöffer realised his first space-dynamic-sound tower followed, in 1961, by the famous Tour spatiodynamiquecybernétique in Liege: fifty-two metres of chromed steel supplied with motorised axles that rotated mirrors to reflect the sun and the artificial light during the night (music and cybernetic movement were programmed by a calculator that Schöffer was to use in other works from the second half of the 1950s). From the Industrial Revolution onwards society has been increasingly obliged to deal with machines and robots that have been a great inspiration for some early twentieth century avant-gardes. It is enough to remember the Futurists’ idolatry, the mechanistic period of Picabia and Duchamp, and even the revival made by Pop Art. Despite the equivocal, solitary, and irrational Bachelor Machines, Vogel’s maintain the man-machine equation; they try to find a balance between the parts and establish a common system, one of sharing and complicity. Vogel tries to relate things to bodies in order to establish a “dual form” that makes sense only during the dialectic exchange. Usually we insist on understanding the function of an object in order to decide on its use; but with Vogel it is necessary to understand the language and the sense of the communication being made. Like an oracle, each work of art must be interrogated, not so much for its meaning, but for “what it is”. Vogel’s try to explain it to us through a pre-logical idiom, an alphabet that chases after sounds and colours in order to establish an empathetic link with its own interlocutor. In the late 1960s and early 1970s various artists, mostly linked to what
we might now call the “New Trends” movement, questioned themselves about the value of the means of communications; they also dreamt of founding a society that could mirror the logic of programming and, as a result, the logic or productivity too. And yet, if machines are to be conceived for specialised work, what is the function of Vogel’s Interaktive Objekte? In the face of a stimulus, they “produce an answer” (in fact the artist considers sounds and light to be devices for communicating). In this sense, what is of basic importance is the involvement of the spectators who activate and influence the works, leading to a quite heterogeneous reaction. Vogel’s sensitive structures have, however, a system that can influence itself, generating answers that differ according to the proximity of the movements, the effect of the shadows, or the incisiveness of the sounds. The interaction between the subject and the object gives rise to an exchange of information that varies in intensity or duration according to the various kinds of objects. For example, the Lichtobjekte are based on linear, circular, or chance configurations (the acoustic input is converted into optical structures), while the atonal and polyphonic systems of the Klang-Objekte have different dissonances and harmonies as well as repetitive sequences and others that are more unstable. The result is that the phenomena and the possibilities associated with them can be infinite, just as the relationships created at an interpersonal level can be infinite. To have an ingenuous and playful attitude is the best approach to these objects; in this way you foster a play-dialogue that overcomes linguistic barriers. The concept of “play” continually crops up in Vogel’s conversations, and so it is necessary to clarify something that would otherwise make this idea seem ambiguous. In 1969 the artist composed a symphony called Raumspiel, a word that does not have an exact equivalent in other languages but could be paraphrased as “spatial play”. In German der Raum is space, which can refer to the cosmos as well as to a building or a room; das Spiel, on the other hand, means play, but it is a very elastic term and can refer to a more generic interpretation, including a theatrical or musical performance; it also alludes to a game and, in a figurative sense, it can indicate movement, as for example a play of light or of waves. For the same reason, the verb Spielen - just as with the English word play - means to play, to perform in a play, and to play an instrument. More than a simple word, it is an open concept that is
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in perfect harmony with Vogel’s art, one in which the idea of playing is associated with creative, and not simply recreational, activity. According to Roger Caillois, play can be linked to an activity that is “free” (a player cannot be compelled), “separate” (it has limits of time and space), “uncertain” (its development and result cannot be known in advance), “unproductive” (it does not create property or riches, apart from a shift of property within the circle of players), “regulated” (it follows its own rules that inhibit traditional ones), and “fictitious” (the player is aware of the differences from real life). In Vogel’s case we find the same peculiarities, though it would be improper to consider his objects on the same level as a simple toy, even in those cases where their size could be considered domestic. Originally Vogel made use of sound in order to supply a proof of the object’s temporal structure, in other words its “answer”. Only afterwards did the works take on the particular dichotomy of music-play that we find in the Objekte mit Instrumenten (objects with instruments) and in the Minimal-MusikObjekte (objects with instruments). The Klangwände (minimalist musical objects) are also similar, as are the Schattenorchester (shadow orchestras). The former can be a few metres high or extend to ten, offering the viewers a wide margin for manoeuvre for interacting and producing techno music. The walls have diverse photocells and loudspeakers, the latter placed at the structure’s extremities so as to obtain a stereophonic effect. As a result of the detection of movement, and at times of the shadows, the works emit both single sounds or sounds in unpredictable sequences. The object’s answer is unstable because it never gives a homogenous answer to the same kind of stimulus. The concept of the first Schattenorchester dates from the period in which Vogel was graduating from high school, but its actual realisation came much later. The starting idea can be found in a fictitious Jazzmaschine (jazz machine) in which the instruments had to be played by one or more people. One of the first attempts at this was the Kellerorchester made in 1989 using mechanical instruments that were amplified by the artist through a centralised control system. Exhibited in Berlin, the Kellerorchester was to be the precursor of three different orchestras which differed both in their tonal and rhythmic structures and in the instrumental ensembles that were changed from time to time. However, all three versions have in common a light that projects the instru-
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ments’ shadows onto the back wall to recreate an urban-technological scenario. Each orchestra has been conceived of to allow the public to improvise music that can be continually modified. Since the response of the acoustic instrument is never linear, the spectators can produce innumerable melodies. What has to be underlined is the centrality of the spectators who are not simply the interpreters-players of a pre-existing score. Unlike traditional composition which has a succession of notes, Vogel’s orchestral music is always developing, as well as being unrepeatable. As Umberto Eco might say, the elusive score has “the possibility of being interpreted in a thousand different ways without its irreproducible singularity being altered. Each performance is thus an interpretation and an execution since, at each performance, the work lives again in its original perspective”6. As is quite obvious, electronic and Minimal music have been a great inspiration for Vogel. He himself admits to having been influenced by Steve Reich and Philip Glass in his creation of the Minimal-MusikObjekte which have a repetitive tonal structure. But most of his sound objects, above all those from the 1980s, are the complete opposite of Minimal music which is constant, long-lasting, uniform, and unalterable. The final effect, in which is involved a probability system connected to the stimuli of the setting, has results that are more similar to those of Luciano Berio, John Cage or Karlheinz Stockhausen. With regard to this, it is worthwhile reconsidering the famous essay Struktur und Erlebniszeit, written by Stockhausen in 1955, in which the author speaks of Erlebniszeit (the “fruition time” necessary for a musical experience) which he relates to the greater or lesser Überraschungsmoment (moment of surprise), given the unpredictable path of the music; it thus follows that the Erlebniszeit will diminish or increase according to the accidental information that the piece will be able to produce. Besides his concerts, Vogel has always shown a particular interest in dance and choreography. More than once he has asked dancers to perform in front of his installations, but with just one proviso: rather than following a pre-established rhythm, the music would originate from the movement of their own bodies. With regard to the interpretative freedom the executors are allowed, Vogel goes even further and 6 U. Eco, Opera aperta, Bompiani, IV edizione, Milan 1997, p.34
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gives the interpreters the opportunity to create the music at first hand without any kind of limits. During the dress rehearsal of Tanzperformances in Zagreb in 1976, Vogel restricted himself to connecting the sculptures to synthesizers and an electronic calculator: the extemporaneous character of the exhibition would take care of all the rest. The game-Spiel, in the intentions of the artist, has many implications, not least the improvisation, the complicity, and the co-responsibility of the acoustic material. the feedback between subject and object can vary in unpredictable ways, so it is not possible in advance to determine in what way people or things will react. The audio-visual answers emitted by the objects are sensitive to the setting in which they are placed, even though there is not always a correlation between input and output. The atonal sounds can increase in intensity or diminish in duration, and it is just as difficult to establish in advance the combination of sounds that the electrical components can effectively generate. Despite the fact that the objects correspond to precise “models of behaviour”, many sculptures have behavioural characteristics that tend to change whenever they are stimulated insistently. At times it is necessary to stimulate them for a long time until something unexpected happens; at other time they are able to develop a short-term memory or a new language in complete autonomy (the artist remember the case of objects which should have reacted to shadows but which, at a certain point, needed an acoustic input). In Vogel’s Kunstobjekte there exist notable differential quotients that gain their fascination from the universal laws of perception. The “conditioned reflex” phenomenon is directly associated with psychology and neuronal functioning; it associates the stimulus to a reaction or the mechanism of “habit” that weakens the reaction - to the point of stopping it completely - through frequent stimulation. However, habit does not exclude an opposite effect: by acting insistently on the photocell-nerves it can go beyond a pre-established threshold beyond which anomalies come about. Even though the microphones pick up noise, and the photoelectric cells perceive movement or shadows, Vogel’s objects are able to draw on internal, independent impulses that can condition it quite separately from external stimuli. Through experience we can arrive at pinpointing a scheme for understanding, but the cognitive aspect is always subordinate to an intuitive, spontaneous, and arbitrary approach. Both subject and object
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are obliged to adopt a behavioural strategy that has unexpected consequences. It is necessary to receive and understand the input in order to manipulate the acoustic sequences and the luminous vibrations, though also being aware of not having full control of the situation. The user and the work are elements of an equation in which a great number of causal factors can be verified, and this gives rise to an unstoppable flow of information. The connections, just because they are uncontrollable, do not allow the user to rely on a predictable relationship of cause and effect. Lacking any kind of hysterical and exasperating pseudo-science, Vogel’s works presuppose an intrinsic logic that would stymie any kind of instructions booklet . Not being able to rely on any instructions, the users must base themselves only on what they learn empirically. In 1896, Louis Henry Sullivan stated what was to become the Word of functionalist architecture: Form ever follows function. After almost a century, Postmodernism would upset this idea, proclaiming that function must follow form. For Vogel, form is not important: it is only a consequence. To be exact: the artist is concerned with converting his idea, not into a form, but into a situation (the work is the bearer of an experience, of an event). Equally significant in the fact that Vogel does not define his works as sculptures but, rather, as sound objects or luminous reliefs. Prevalent in the artist’s vocabulary is the name of an objekte that transmits only its own function: basically the electronic aggregates take into account their technical application rather than their aesthetic effect. Despite this, these objects are attractive and, on the contrary, possess an aesthetic that is determined by need rather than by chance or personal taste. Even though paying attention to the desired effect, these objects have a combinatory ability that makes them unique and intriguing. By laying bare sensors, transistors, resistances, photocells, loudspeakers, microphones, magnets, small electric motors, condensers, relays, photoelectric cells, cables, anodes and cathodes, and luminous lamps or diodes, Vogel confers on the object a seductive aspect, to say the least. To be honest, aren’t we just as fascinated by pylons and telecommunication antennas? “Technology seduces us, even where we think this is done by aesthetics. Looking at an aeroplane propeller, Duchamp said to Brancusi, ‘How could we make something more beautiful?’. How many times, in front of a product of technology, can we
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avoid thinking of beauty!”7. And what can we say of the Eiffel Tower’s three hundred metres of riveted iron? Built for the1889 Universal Exposition, and overriding the objections of Parisians who wanted to demolish it, today it is considered nothing other than one of the wonders of the modern world. Ramón Gómez de la Serna emphatically described it as “an immense A, the A of the wonder we feel on arriving in Paris, the last A when we leave it”8. Vogel is quite right when he points out that nature has created nothing with aesthetic aims. A sunset or landscape can be “beautiful” to our eyes, but that is only a secondary effect. For Jean Baudrillard, each object is “a genuine actor because it avoids any simple function. That is where its fascination lies”9. In the same way, Vogel’s objects seduce us as a result of their tiny mechanisms. The circuits are in view, the transistors are at your fingertips. The artist’s aesthetics do not include hiding; if anything, we find a highlighting of the essence and essentiality of each work. Even though Vogel has aimed at eliminating he traditional pentagram, his objects seem to have taken its place and use the electronic components as a score that is written in space. What we see are theoretical but also practical objects, in the sense that they apply the scientific ideas acquired by the artist over the years; in another sense, they show us that there is no hierarchy but, rather, a reciprocity between the parts: when the user-performer plays the instrument-object, he himself becomes an instrument that functions as part of the work. Similarly, though not identically, Peter Vogel’s res singulares belong both to art and to technology (it is not by chance that the two terms share the same Greek root: techné); they are the children of a technological world in which the time of mechanics and the mechanics of time have come about. The problem of form and function is somewhat relative, if for no other reason than that the artist came to maturity during the 1960s, a decade in which “project culture” prevailed over use. What really is important is the process at the heart of the aim (of the artist) and the interaction (with the public). If we remain faithful to the vocabulary of art, we could define these works as “random
sculptures” because they shift attention from the object to the subject and, as a result, towards the resulting event. Executive randomness thus corresponds to a usable form, that of an artificial intelligence that plays with our visual and aural receptors. Same input, different output.
7 E. Tadini, La distanza, Einaudi, Turin 1998, p.128 8 R. G. de la Serna, Dalì, Abscondita, Milan 2002, p. 37 9 J. Baudrillard, Parole chiave, Armando editore, Rome 2002, p.15
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m Leben eines jeden Künstlers lassen sich Umstände finden, die seinen Werdegang konditionierten und seine Neigungen erklären. Im Fall von Peter Vogel sind es drei verschiedene wesentliche Momente, die seine künstlerische Bildung beeinflussen. Die erste Episode geht auf die fünfziger Jahre zurück, als Vogel in einem Rundfunkstudio ein magnetisches Aufnahmegerät entdeckt – eine „Erscheinung“, die ihn veranlasst, sich selbst eines zu bauen (damals waren Aufnahmegeräte noch selten und extrem teuer). Mit dem Rekorder kann er nun Musik einfangen und nach Lust und Laune manipulieren, indem er Töne isoliert, wiederholt, verändert oder kombiniert. So lernt der Künstler die Technik immer besser kennen, mit der er jede zeitliche Abfolge zerstückeln kann, eine Methode, die sich auf die Kollage der Kubisten und das Cut-up des Dada sowie, analog dazu, auf die Umstellungen in den Texten von William Seward Burroughs und Brion Gysin bezieht. Vogel erkennt diese Möglichkeiten schon als Jugendlicher und beginnt mit dem für jeden Autodidakten typischen Elan, mit elektronischen Geräten zu arbeiten. Er baut Adapter, Verstärker, Mixer und Oszillatoren zusammen und experimentiert so mit Tönen, ihren Eigenschaften und ihrem Potential. Vogel hat von klein auf den Wunsch, Künstler zu werden. Trotz dieser Berufung entschließt er sich zu einem Physikstudium und findet danach eine Anstellung im Pharmaunternehmen Hoffmann-La Roche. Er entwickelt seine Interessen weiter, die von der Musik bis zum Tanz reichen, und sammelt gleichzeitig Kenntnisse über das Nervensystem, die später große Bedeutung für die Entwicklung seiner künstlerischen Arbeit haben. Die Firma Hoffmann-La Roche beauftragt Vogel mit dem Projekt Status moriendi, das mit Hilfe von Hirnelektroden den exakten Moment des Todes feststellen soll, und er verbringt Jahre mit fruchtlosen Untersuchungen, die jegliche Diagnose zunichte machen. Daraufhin verabschiedet sich Vogel 1975 von der Neurophysiologie und widmet sich nur noch der Kunst – der zweite Wendepunkt in seinem Leben. Zunächst gibt Vogel sein Debüt mit informeller Kunst, doch schon bald erkennt er, wie viele Grenzen ihm diese Tendenz setzt, die schon verbraucht und dem Untergang geweiht scheint. So sehr er sich auch bemüht, in seinen Bildern mit Farben und Pinselstrichen einen einer musikalischen Partitur ähnlichen Rhythmus zu schaffen, nehmen die Menschen doch nie genügend von dieser malerischen Partitur Notiz, sondern begnügen sich höchstens damit, den generellen Eindruck zu
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erkennen. Und so gelangt Vogels Karriere an ihren dritten wesentlichen Wendepunkt: 1967 beeindruckt ihn ein Experiment des RobotikPioniers William Grey Walter, dem es gelingt, die Grundprinzipien der Kognitionswissenschaft auf die Erfindung einer Machina Speculatrix anzuwenden, welche Impulse aus ihrer Umgebung aufnimmt. Zur gleichen Zeit vergleichen Marshall McLuhan und Quentin Fiore elektrische Schaltungen mit „der Erweiterung des zentralen Nervensystems“1, und sagen einen Blutkreislauf vorher, in dem Strom fließt. Diese Suggestion setzt sich im kollektiven Bewusstsein fest. Zwei Jahre später schafft Vogel seine ersten kybernetischen Bilder, nur zu seinem Vergnügen und nicht mit der Absicht, sie auszustellen. Unter der Farbe des Bildes versteckt er Photodetektoren, die Töne, Lichter oder Bewegungen produzieren, welche den Betrachter verwirren. Da niemand von einem Gemälde diese „Reaktion“ erwartet, beschließt Vogel zuletzt, die elektronischen Bauteile sichtbar anzubringen und so zu zeigen, wie sie funktionieren. Es entstehen seine Interaktiven Objekte, die in Unterkategorien unterteilt sind, zu denen als wichtigste die Klang-Objekte, Lichtobjekte und Bewegungs-Objekte gehören. In Vogels Fall sind die Entsprechungen zwischen Musik und plastischer Kunst unabdingbar, und dieser Aspekt stellt einen deutlichen Unterschied zu Künstlern wie Yaacov Agam dar. Obgleich die kontrapunktisch und polyphonisch angelegten Bilder des Israelis auf traditionelle melodische Strukturen zurückgeführt werden können, streitet Agam den musikalischen Ursprung seiner „verwandelbaren Malerei“ stets ab und erkennt erst im Nachhinein eine Koinzidenz an. Wenn auch unter unterschiedlichen Vorzeichen, basieren die Arbeiten beider doch auf einem vitalen und unvorhersehbare Elan, der die Weissagung Boccionis wahr werden lässt: „Es wird eine Zeit kommen, in der das Bild nicht mehr genügt; seine Reglosigkeit wird im schwindelerregenden Wirbel des menschlichen Lebens zum Anachronismus“.2 Das Adjektiv hibbelig ist wohl sehr geeignet, um einen Großteil der Künstler zu beschreiben, die in den sechziger Jahren aktiv waren. Die Kunstgeschichte beschreibt sie als die Generation der kinetischen Kunst oder der Arte Programmata, aber im 1 M. McLuhan, Q. Fiore, Il medium è il massaggio. Corraini Edizioni, Mantua 2011, S. 40 2 U. Boccioni, Altri inediti e apparati critici. Feltrinelli, Mailand 1972, S.34
Italienischen waren sie zu jener Zeit vor allem bekannt als Quelli delle macchinette [Die mit den Maschinchen], und dieser Beiname spielte auf die kleinen Motoren und verschiedenen elektrischen Vorrichtungen an, die in die Werke eingebaut wurden. Auch Vogels Arbeiten haben meist einen Stecker, doch es ist durchaus interessant, anzumerken, dass sie zwar durch Bewegung aktiviert werden, doch nur ganz selten Bewegung produzieren. Die einzigen Ausnahmen sind die Flügel-Objekte aus der Reihe Hommage an Panamarenko, zu denen auch die Arbeit Schwerelos passt. Sie besteht aus Objekten mit Flügeln, die sich auf und ab bewegen, wenn ein Ton lauter beziehungsweise leiser wird. Das Gewirbel der Flügel ist jedoch eine nutzlose Anstrengung, denn das Objekt kann keine Schubkraft entwickeln, die einen wahren Flug ermöglichen würde. Es soll noch einmal unterstrichen werden, dass Vogels Mechanismen aktiviert werden, wenn sie eine Bewegung wahrnehmen, einen Schatten oder ein Geräusch. Und doch wäre es ebenfalls berechtigt, sich vorzustellen, es sei der Blick des Betrachters, der sie stimuliert. Die Menschen nähern sich dem Werk und „projizieren“ ihren Blick früher oder später auf das Objekt. Dieses wird aus seinem Dämmerzustand erweckt und fühlt sich genötigt, die Neugier derjenigen, die vor ihm stehen, zu erwidern. Diese unlösbare Verbindung zwischen Subjekt und Objekt ermöglicht es Vogel, den Solipsismus der Kunst in einen Synkretismus umzuwandeln, der auf einer dynamischen Beziehung zwischen Wesen und Sender basiert. Der Nutzer, der bewusst oder unabsichtlich die Gegenüberstellung und den Kontakt mit dem Werk verweigert, bringt sich selbst und auch das Objekt um eine ästhetische Erfahrung, die sich eben gerade mit Abhängigkeit und Interaktion beschäftigt. Distanz ist für Vogel gleichbedeutend mit Trennung, mit einer Entfernung, die entgegen aller Verbote der traditionellen Kunst („nicht berühren“, „nicht näher kommen“ usw.) überwunden und behoben werden muss. Mit Bezug auf Giacometti schrieb Jean-Paul Sartre, die Distanz gehöre zum intimen Wesen des Objekts. Hier ist der Nutzer eingeladen, sich ohne das Risiko, Intimität zu verletzen, den Werken zu nähern und in Dialog mit ihnen zu treten, als aktiver Teilnehmer am Austausch zwischen dem antwortenden Verhalten des kybernetischen Objekts und den situationellen Reaktionen des menschlichen Subjekts. Gerade eben haben wir Alberto Giacometti genannt, und das nicht zufällig. Man könnte diesen Künstler aus mehr als einem Grund mit Peter
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Vogel in Verbindung bringen, vor allem aber wegen der Parallelen in den Zeichnungen. Beide haben einen schnellen, essentiellen und nicht linearen Strich, der über das Papier zuckt, als wolle er es ritzen. Die schlanken Figuren Giacomettis und die faserigen Strukturen Vogels erscheinen uns wie zugespitzte und verworrene Hieroglyphen, in denen die enge Strichführung in Fragmente zerfällt und den Formen eine Leichtigkeit verleiht, die sich jeden Moment auflösen kann, vor allem weil sie nicht durch das Gewicht der Bronze oder des eisernen Ballasts verankert sind. Bis heute wurde noch keine gründliche Untersuchung von Vogels graphischem Werk durchgeführt, und eine solche Aufgabe ginge weit über die Beurteilung der ästhetischen Qualitäten der Zeichnungen hinaus. Sie würde zu einem tieferen Verständnis der technischen Muster und der Funktionsweise der einzelnen Werke führen. Die von Vogel angehäuften Blätter enthalten Notizen, Erklärungen, Skizzen von Räumen, technische Varianten, musikalische Partituren und nicht verwirklichte Projekte, die man dringend systematisch untersuchen müsste, um die verschiedenen Aspekte seines künstlerischen Schaffens zu beleuchten. Doch der wichtigste Berührungspunkt zwischen Vogel und Giacometti ist sicherlich die Obsession der Bewegung. Der Schweizer Meister schrieb: „Trotz all meiner Anstrengungen gelang es mir nicht, eine Skulptur zu tolerieren, die sich mit der Darstellung einer Illusion von Bewegung begnügte, mit einem vorgestreckten Bein, einem gehobenen Arm, einem seitwärts gerichteten Kopf. Ich konnte die Bewegung nur erfassen, wenn sie real und effektiv war, und ich wollte auch das Gefühl vermitteln, sie hervorbringen zu können“.3 Die Beschäftigung mit der Bewegung bestimmte einen Großteil der Kunst des 20. Jahrhunderts und ließ einen Stammbaum entstehen, in dem man im Nachhinein eine Beziehung zwischen den historischen Avantgarden und demjenigen erkennen kann, was Lea Vergine „die letzte Avantgarde“ nannte, also die Arte Programmata und kinetische Kunst.4 Wir verspüren oft das Bedürfnis, eine chronologische Geschichte der kinetischen und optisch-dynamischen Werke aufzustellen, deren bedeutendste Vertreter Gabo, Pevsner, Moholy-Nagy, Rodchenko, 3 A. Giacometti, Scritti. Abscondita, Mailand 2001, S. 72 4 Die Definition wurde zur gleichnamigen Ausstellung geprägt, die 1983 in Mailand stattfand
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Duchamp, Calder und Tinguely sind. Oft vergisst man jedoch, auch die Präsentationssysteme zu erwähnen, die Friedrich Kiesler für die Galerie Art of This Century konzipierte. Der österreichisch-ungarn Architekt ging so weit, Peggy Guggenheim vorherzusagen, „man werde sich später nicht so sehr wegen ihrer Gemäldesammlung an sie erinnern, sondern wegen der Art, wie sie der Welt diese Bilder in einem revolutionären Galeriekonzept präsentierte“.5 Auf Wunsch der amerikanischen Mäzenin hatte Kiesler ein Beleuchtungssystem patentiert, das die Werke zu verschiedenen Momenten wechselnd beleuchtete. Außerdem hatte er die Ausstellungsräume in vier verschiedene Bereiche unterteilt: einen für die abstrakte Kunst und einen für den Surrealismus, einen für die kinetische Kunst und zuletzt den vierten, die Daylight Gallery, die den wechselnden Ausstellungen vorbehalten war. Seinen Vorstellungen folgend war die Kinetische Galerie mit einer automatischen Betrachtungsvorrichtung für die Bilder von Paul Klee und für Duchamps Boîte-en-valise vorbehalten (um sie zu betrachten, musste das Publikum durch ein Drehkreuz schreiten). Durch die Verschmelzung der Kunst mit dem sie umgebenden Raum setzte Kiesler seine ganzheitliche Methode des Correalismus um, die darin besteht, in einem Habitat, in dem nichts statisch ist, nach Beziehungen zwischen Mensch, Natur und künstlicher Welt zu suchen. Der Correalismus kann auch auf die Arbeiten Vogels angewendet werden, denn sie umschreiben ein „dynamisches Feld“, innerhalb dessen die Bewegung eine Räumlichkeit und Zeitlichkeit festlegt, in die man vollkommen eintauchen kann. Auch der Ungar Nicolas Schöffer war fasziniert von der Vorstellung von Zeit und Raum, zwei Koeffizienten, die ihn dazu brachten, über eine „kybernetische Stadt“ zu theoretisieren und eine Technik zu entwickeln, die er „Luminodynamik“ nannte. 1954 schuf Schöffer seinen ersten raumdynamischen Klangturm, 1961 folgte der berühmte Tour spatiodynamiquecybernétique von Lüttich: zweiundfünfzig Meter Chromstahl, ausgerüstet mit motorisierten Achsen, welche Spiegel bewegten und das Tageslicht oder in der Nacht Kunstlicht reflektierten (Musik und kybernetische Bewegung wurden mit Hilfe eines Rechners programmiert, den Schöffer in der zweiten Hälfte der fünfziger Jahre auch in einigen anderen Arbeiten verwendete). 5 K. Vail, L. Patocchi (Hg.), Il ritrovo degli artisti. Ausstellungskatalog, Galleria Gottardo, Lugano, Oktober-November 2001, S. 76
Seit Anbeginn der industriellen Revolution musste sich die Gesellschaft immer häufiger mit Maschinen und Robotern auseinandersetzen, die zu Beginn des 20. Jahrhunderts große Inspiration auf einige Avantgardebewegungen ausübten. Man denke nur an die Idolatrie der Futuristen, an die mechanische Phase von Picabia und Duchamp, oder an das Revival, das die Pop Art Maschinen bescherte. Im Gegensatz zu den zweideutigen, einsamen und absurden Junggesellenmaschinen behalten Vogels Maschinen die Gleichung Mensch-Maschine bei und bemühen sich um ein Gleichgewicht zwischen den Parteien und um die Festlegung eines gemeinsamen Systems, um Gemeinsamkeit und Einverständnis. Vogel versucht, Dinge und Körper miteinander in Beziehung zu bringen, indem er eine „duale Form“ etabliert, die nur innerhalb eines dialektischen Austausches Sinn hat. Meist versteifen wir uns darauf, die Funktionsweise eines Objektes herausfinden zu wollen, um dann über seine Anwendung zu entscheiden, doch im Fall der Arbeiten Vogels ist es notwendig, seine Ausdrucksweise zu verstehen und den Sinn der ablaufenden Kommunikation zu ergreifen. Wie ein Orakel muss jedes Kunstwerk weniger nach seiner Bedeutung befragt werden, sondern eher danach, „was es ist“; die Werke Vogels versuchen es uns mit Hilfe eines prä-logischen Idioms verständlich zu machen, eines Alphabets, das auf Töne und Farben zurückgreift, um eine empathische Beziehung zum Gegenüber herzustellen. Am Übergang von den sechziger zu den siebziger Jahren beschäftigten sich verschiedene Künstler (vor allem aus dem Bereich, der damals recht vage mit dem Begriff „Neue Tendenzen“ umschrieben wurde) mit dem Wert der Kommunikationsmittel und sehnten sich danach, eine Gesellschaft zu gründen, welche imstande sei, die Logik des Programmierens und, als Folge daraus, auch die Logik der Produktivität wiederzuspiegeln. Nun, wenn Maschinen für eine spezielle Arbeit konzipiert werden, welche Funktion haben dann die Interaktiven Objekte Vogels? Wenn sie einen Reiz aufnehmen, „produzieren sie eine Antwort“ (der Künstler sieht Töne und Licht nämlich als Kommunikationsmittel). In diesem Sinn ist es von vorrangiger Bedeutung, den Betrachter mit einzubinden, der die Werke aktiviert und beeinflusst und so eine recht heterogene Reaktion hervorruft. Die sensiblen Strukturen Vogels sind aber auch mit einem System versehen, das sich selbst beeinflussen und Antworten generieren kann, die je nach Nähe der Bewegungen, des Vorhandenseins von
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Schatten oder der Lautstärke von Tönen unterschiedlich ausfallen. Aus der Interaktion zwischen Subjekt und Objekt entsteht ein Informationsaustausch, wobei die Informationen je nach der Typologie des Objekts verschiedene Intensität und Dauer haben. Die Lichtobjekte zum Beispiel basieren auf linienförmigen, kreisförmigen oder zufälligen Konfigurationen (der akustische Impuls wird in optische Strukturen umgesetzt), während die atonalen und polyphonischen Klang-Objekte sich durch Dissonanzen oder Harmonien sowie durch stets gleichbleibende oder modulierte Sequenzen voneinander unterscheiden. Es wird klar, dass die Phänomene und die mit ihnen verbundenen Möglichkeiten unbegrenzt sind, ebenso unbegrenzt wie zwischenmenschliche Beziehungen. An diese Objekte geht man am besten mit einer naiven, spielerischen Einstellung heran, die hilfreich ist, um ein Dialog-Spiel zu erreichen, das die linguistischen Grenzen überwindet. Das Konzept des Spiels taucht in Vogels Äußerungen immer wieder auf, und so ist eine Präzisierung dringend angebracht, damit dieser Begriff nicht falsch verstanden wird. 1969 komponierte der Künstler eine Sinfonie mit dem Titel Raumspiel, und dieses Wort hat keine direkte Entsprechung im Italienischen oder in anderen Sprachen. Denn das deutsche Wort Raum benennt zwar wie auch im Italienischen sowohl den Kosmos als auch Gebäude oder ein Zimmer, Spiel jedoch ist im Deutschen, im Gegensatz zum Italienischen, ein weit gefasster Begriff, der von der spielerischen Beschäftigung über Theater- oder Musikaufführungen und sportlichen Begegnungen bis zur Beschreibung einer Bewegung (das Spiel von Licht und Schatten, von Wellen usw.) reicht. Und so bezeichnet im Deutschen (wie auch im Englischen) auch ein einziges Verb, spielen, drei verschiedene Aktivitäten, für die im Italienischen drei verschiedene Verben zur Verfügung stehen (giocare für das spielerische Spielen, recitare für Theater spielen und suonare für das Spielen eines Instruments). Somit ist das deutsche Wort Spiel nicht nur ein schlichtes Wort, sondern vielmehr ein offenes Konzept, das perfekt zu Vogels Arbeit passt, da für ihn Spiel stets mit kreativem Schaffen zu tun hat, nicht nur mit Rekreation. Laut Roger Caillois hat das Spiel sechs fundamentale Eigenschaften; es ist „freiwillig“ (der Spieler kann nicht gezwungen werden), „begrenzt“ (zeitlich und räumlich), „ungewiss“ (Ablauf und Resultat sind vorher nicht bekannt), „unproduktiv“ (es werden keine Güter oder Reichtum geschaffen, sondern nur Besitztümer unter den Spielern gewechselt),
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„geregelt“ (es gibt feste Regeln, welche die traditionellen Gesetze außer Kraft setzen), „fiktiv“ (der Spieler ist sich des Unterschieds zum realen Leben bewusst). Im Falle Vogels begegnen wir denselben Eigenschaften, und doch ist es nicht angebracht, seine Objekte als einfaches Spielzeug zu betrachten, selbst wenn ihre Dimensionen einen „Hausgebrauch“ erlauben würden. Ursprünglich griff Vogel auf Tonelemente zurück, um die zeitliche Struktur des Objekts zu belegen, also seine „Antwort“. Erst später nahmen die Werke ihre besondere Dichotomie vom Musik und Spiel an, der wir zum Beispiel in den Objekten mit Instrumenten und den MinimalMusikObjekten begegnen. Damit verwandt sind auch die Klangwände und die Schattenorchester. Erstere können wenige Meter lang sein oder auch bis zehn Meter weit reichen und bieten dem Betrachter ein weites Betätigungsfeld für seine Interaktion, mit der er Technomelodien produzieren kann. In die Wände sind mehrere Photodetektoren und Lautsprecher eingebaut, letztere an den beiden Enden der Installation, um einen Stereoeffekt zu erzielen. Durch die Wahrnehmung von Bewegung oder bisweilen auch von Schatten geben die Werke einzelne Töne oder Töne in nicht vorhersehbaren Abfolgen ab. Die Antwort ist wechselhaft, denn auch auf denselben Reiz erfolgt sie nie auf dieselbe Weise. Der Entwurf des ersten Schattenorchesters geht auf die Zeit zurück, als Vogel sein Abitur machte, doch die erste Umsetzung erfolgt erst wesentlich später. Die Idee, von der alles ausgeht, ist eine fiktive Jazzmaschine, bei der eine oder mehrere Personen Instrumente spielen sollen. Ein erster realer Versuch in diese Richtung ist das Kellerorchester von 1989, für das der Künstler mechanische Instrumente verwendet und diese durch ein zentrales Kontrollsystem verstärkt. Das in Berlin ausgestellte Kellerorchester ist das Vorläufermodell dreier verschiedener Orchester, die sich sowohl in Ton- und Rhythmusstruktur als auch durch die Instrumente unterscheiden, von denen jedes Mal noch mehr hinzukommen. Allen drei Versionen ist die Beleuchtung gemein, die die Schatten der Instrumente auf die dahinter liegende Wand projiziert und so eine urbantechnologische Szenerie schafft. Jedes Orchester ist so konzipiert, dass das Publikum eine Musik improvisieren kann, die ständig und in jedem Moment veränderbar ist. Und da die Antwort der akustischen Instrumente nie linear ist, kann der Betrachter unzählige Melodien schaffen. Was wir hier unterstreichen möchten, ist die Zentralität des Nutzers,
der nicht einfach ein Interpret oder Ausführender einer bereits vorgegebenen Partitur ist. Im Gegensatz zu einer traditionellen Komposition, für die eine Abfolge von Noten vorgesehen ist, befindet sich Vogels Musik ständig im Entstehen und ist außerdem unwiederholbar. Um es mit Umberto Eco zu sagen, hat die schwer fassbare Partitur „die Möglichkeit, auf tausend verschiedene Weisen interpretiert zu werden, ohne dass ihre nicht reproduzierbare Einzigartigkeit dadurch verändert würde. So wird jede Nutzung zu einer Interpretation und einer Aufführung, denn bei jeder Nutzung lebt das Werk erneut in einer Originalperspektive auf“.6 Es ist naheliegend, dass die elektronische und minimale Musik Vogel sehr inspirierten. Er selbst gibt zu, bei der Arbeit an den MinimalMusikObjekten mit ihren wiederholten Tonstrukturen von Steve Reich und Philip Glass beeinflusst worden zu sein. Doch ein Großteil seiner Klangobjekte, vor allem jene aus der Zeit vor den achtziger Jahren, sind das genaue Gegenteil der Minimal Music, denn diese ist konstant, andauernd, gleichförmig, unveränderbar. Der Endeffekt, der von einem Wahrscheinlichkeitssystem beeinflusst wird, das mit den Impulsen aus der Umgebung zu tun hat, erzielt eher Resultate, die in die Nähe von Luciano Berio, John Cage oder Karlheinz Stockhausen weisen. Diesbezüglich ist es wert, einen Blick auf den berühmten Essay Struktur und Erlebniszeit zu werfen, den Stockhausen 1955 schrieb und in dem der Autor die „Erlebniszeit“ (die nötig ist, die musikalische Erfahrung zu erleben) in Beziehung setzt zu einem mehr oder weniger starken „Überraschungsmoment“, den die unvorhersehbare Entwicklung der Musik vorgibt; dabei wird die Erlebniszeit je nach den unfreiwilligen Informationen, die das Stück zu produzieren imstande ist, länger oder kürzer wahrgenommen. Neben seiner Konzertaktivität zeigte Vogel schon immer besonderes Interesse für Tanz und Choreographie. Zu mehr als einer Gelegenheit lud er Performer ein, vor seinen Installationen aufzutreten, unter einer einzigen Bedingung: Ihnen würde kein fester Rhythmus vorgegeben, sondern die Musik durch die Bewegung ihrer Körper erst geschaffen werden. So geht Vogel über die Interpretationsfreiheit, die einem Tänzer gegeben wird, weit hinaus und gibt dem Interpreten die Möglichkeit, die Sinfonien selbst zu schaffen, ohne jedes Limit. 1976 beschränkte sich Vogel
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6 U. Eco, Opera aperta, vierte Auflage. Bompiani, Mailand 1997, S. 34
bei der Generalprobe einer Tanzperformance in Zagreb darauf, die Skulpturen an Synthesizer und einen Rechner anzuschließen, den Rest sollte dann der improvisierte Charakter der Aufführung übernehmen. Das Spiel, wie es der Künstler sieht, hat zahlreiche Implikationen, und dazu gehören nicht zuletzt Improvisation, Komplizenschaft und Mitverantwortung des Tonmaterials. Das Feedback zwischen Subjekt und Objekt kann sich unvorhersehbar und unvorhergesehen verändern, denn es ist unmöglich, vorab festzulegen, wie Menschen und Dinge reagieren werden. Die audiovisuellen Antworten der Objekte reagieren auf das Umfeld, in dem sie sich befinden, auch wenn nicht immer eine Entsprechung zwischen Input und Output besteht. Die atonalen Klänge können lauter werden oder weniger lang dauern, und es ist ebenso schwierig, die Klangfolge vorherzusehen, welche die elektronischen Bauelemente tatsächlich generieren werden. Obwohl die Objekte präzisen „Verhaltensmodellen“ entsprechen, haben viele Skulpturen Verhaltensmerkmale, die sich verändern, wenn sie insistent stimuliert werden. Manchmal ist es nötig, sie lange Zeit zu belasten, bevor etwas Unerwartetes geschieht, andere Male haben sie die Fähigkeit, ganz selbstständig ein Kurzzeitgedächtnis oder eine neue Ausdrucksweise zu entwickeln (der Künstler erinnert sich an einen Fall, bei dem die Objekte auf Schatten reagieren sollten und plötzlich nur auf Klänge ansprachen). In Vogels Kunstobjekten finden wir bemerkenswerte Differentialquotienten, die ihre interessante Wirkung aus den Universalgesetzen der Wahrnehmung beziehen. Psychologie und neuronale Funktion werden direkt mit dem Phänomen des „konditionierten Reflexes“ verknüpft, bei dem auf eine bestimmte Stimulation eine bestimmte Reaktion folgt, oder mit dem Mechanismus der „Habituation“, bei welchem die Reaktion durch häufige Stimulation abschwächt wird, bis sie ganz ausbleibt. Statt der Habituation kann jedoch auch das Gegenteil eintreten; durch insistierendes Einwirken auf die Nerven-Photodetektoren kann eine vorgegebene Schwelle überstiegen werden, jenseits welcher dann Anomalien auftreten. Obwohl die Mikrofone den Lärm wahrnehmen und die Photodetektoren Bewegung oder Schatten wahrnehmen, können Vogels Objekte auch auf interne, autonome Impulse zurückgreifen, welche die Objekte dann unabhängig von den externen Stimulierungen konditionieren. Mit etwas Erfahrung kann man ein Verständnisschema erkennen, und doch bleibt der kognitive Aspekt immer einer intuitiven, spontanen,
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willkürlichen Annäherung untergeordnet. Subjekt und Objekt müssen eine Verhaltensstrategie anwenden, deren Effekt unvorhersehbar ist. Man muss das Input erfassen und verstehen, um die Klangfolgen und Lichtschwankungen in eine bestimmte Richtung manipulieren zu können, und doch ist man immer gewahr, dass eine völlige Kontrolle der Situation nicht möglich ist. Nutzer und Werk sind Elemente einer Gleichung, die eine große Anzahl von Zufallsfaktoren aufweist, was einen unaufhaltsamen Informationsfluss generiert. Und eben weil sie unkontrollierbar sind, erlauben die Verbindungen dem Nutzer nicht, ein vorhersehbares Verhältnis zwischen Ursache und Wirkung zu erreichen. Vogels Werke, frei von hysterischen und übertriebenen Szientismen, setzen eine immanente Logik voraus, die jede Bedienungsanleitung nutzlos werden lässt. Da er auf keine didaktischen Hilfen zurückgreifen kann, muss sich der Nutzer einzig und allein auf die Effekte des empirischen Lernens verlassen. 1896 formulierte Louis Henry Sullivan den Satz, der zum Evangelium der funktionalistischen Architektur wurde: „Form ever follows function“. Beinahe ein Jahrhundert später räumte die Postmoderne mit dieser Vorschrift auf und verkündete, dass die Funktion der Form folge. Für Vogel ist die Form nicht wichtig, sie ist eher eine Konsequenz. Um es genauer auszudrücken: Dem Künstler geht es nicht mehr darum, der Idee eine Form zu geben, sondern eine Situation (das Werk ist Überbringer einer Erfahrung, eines Ereignisses). Die Tatsache, dass Vogel seine Arbeiten nicht als Skulpturen definiert, sondern als Klangobjekte oder Lichtreliefs, ist recht bedeutsam. Im Wortschatz des Künstlers herrscht die Nomenklatur der Objekte, die nur deren Funktionalität vermittelt; die elektronischen Aggregate tragen einzig ihrer technischen Anwendung Rechnung, die Ästhetik steht nicht im Vordergrund. Nichtsdestotrotz fehlt diesen Objekten keineswegs eine gewisse Attraktivität, die besitzen eine Ästhetik, die von der Notwendigkeit und nicht vom Zufall oder vom persönlichen Geschmack bestimmt wird. Auch wenn die Aufmerksamkeit auf den gewünschten Effekt gerichtet ist, finden wir in diesen Objekten eine kombinatorische Fähigkeit, die sie einzigartig und interessant macht. Indem er Sensoren, Transistoren, Widerstände, Photodetektoren, Lautsprecher, Mikrofone, Magneten, kleine Elektromotoren, Kondensatoren, Relais, Photosensoren, Kabel, Anoden und Kathoden, Lampen und LEDs bloßlegt, gibt Vogel dem Objekt ein ge-
linde gesagt verführerisches Aussehen. Seien wir ehrlich, finden wir sie nicht ebenso faszinierend wie Hochspannungsmasten oder Rundfunkantennen? „Sie verführt uns, die Technik, auch dort, wo wir denken, es gehe nicht um Ästhetik. Vor einem Flugzeugpropeller meinte Duchamp zu Brancusi: ‚Wie kann man etwas Schöneres schaffen?’ Wie oft können wir vor einem Produkt der Technik nicht anders, als an Schönheit zu denken!“.7 Und was soll man zu den dreihundert Metern Eisen und Nieten des Eiffelturms sagen? Er wurde zur Weltausstellung von 1889 errichtet und überlebte den Unmut der Pariser, die ihn abreißen lassen wollten. Heute zählt er sogar zu den Wundern der Modernen Welt. Ramón Gómez de la Serna beschrieb ihn begeistert als „riesiges A, das A des Staunens, wenn man Paris betritt, das letzte A, bevor man abreist“.8 Vogel hat vollkommen recht, wenn er bemerkt, die Natur habe nichts aus rein ästhetischen Gründen geschaffen. Ein Sonnenuntergang oder eine Landschaft können in unseren Augen „schön“ sein, und doch handelt es sich dabei um einen zweitrangigen Effekt. Für Jean Baudrillard ist jedes Objekt „mit Fug und Recht ein Schauspieler, denn es unterläuft jegliche einfache Funktion. Darin liegt seine Faszination“.9 Auf genau dieselbe Weise verführen uns Vogels Objekte mit ihren winzigen Getrieben. Die Schaltkreise sind sichtbar, die Transistoren zum Greifen nah. In der Ästhetik des Künstlers gibt es kein Verbergen, wir finden eher ein Hervorheben der Essenz und Essentialität jedes Werks. Obwohl es Vogels Intention war, das traditionelle Pentagramm abzuschaffen, scheinen seine Werke dessen Platz eingenommen zu haben, und die elektronischen Bauteile werden dabei verwendet wie eine Partitur, die sich in den Raum einträgt. Was wir sehen, sind theoretische aber auch praktische Objekte, zum einem in dem Sinn, dass sie wissenschaftliche Kenntnisse anwenden, die sich der Autor im Verlauf der Jahre angeeignet hat, zum anderen im Sinn, dass sie uns zeigen, dass statt einer Hierarchie eine Wechselseitigkeit der beiden Parteien besteht: Wenn der Nutzer-Aufführende das Instrument-Objekt spielt, wird er selbst zu einem dem Werk funktionellen Instrument. Ähnlich, aber nicht identisch, gehören die res singulares
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7 E. Tadini, La distanza. Einaudi, Turin 1998, S. 128x 8 R. G. de la Serna, Dalí. Abscondita, Mailand 2002, S. 37 9 J. Baudrillard, Parole chiave. Armando Editore, Rom 2002, S.15
Peter Vogels sowohl der Kunst als auch der Technologie an (die beiden Begriffe sind nicht zufällig durch das griechische Etymon techné= Kunst miteinander verbunden), sie sind Kinder einer Welt der Technik, in der sich eine Zeit der Mechanik und eine Mechanik der Zeit erfüllen. Das Problem der Form und der Funktion ist recht relativ, schon allein deshalb, weil der Künstler sich in den sechziger Jahren entwickelte, dem Jahrzehnt, in dem die „Kultur des Projekts“ Vorrang hatte vor der Bestimmung des Zwecks; was wirklich zählte, war der Prozess, welcher der Intention (des Autors) und der Interaktion (mit dem Publikum) zugrunde lag. Wenn wir es in der Terminologie der Kunst ausdrücken wollten, sei es uns gestattet, Vogels Arbeiten als „aleatorische Skulpturen“ zu bezeichnen, denn sie verlagern die Aufmerksamkeit vom Objekt auf das Subjekt und in Folge davon auf den Effekt, der daraus entsteht. Die Zufallsbestimmtheit der Ausführung entspricht also einer nutzbaren Form, einer künstlichen Intelligenz, die mit unseren Bild- und Klangrezeptoren spielt. Same input, different output.
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OPERE WORKS WERKE
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Rhytmisches Netzwerk 1972 cm 56x66
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Hochbein 1978 h. cm 70
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Repetitionen 1978 cm 66x16,5x14,5
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Tiefer doppelton 1978 h. cm 75
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FluĚˆgelbogen 1978 cm 37x37x37
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Scheller Werdende in Sich Verschiebend Tonfolgen 1981 cm 50x70
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Lichtkette 1982 cm 71,5x31
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Unruhige Klรถppel 1982 cm 12x54
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Schnelle UĚˆberlagerungen 1982 cm 58x14x16
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Farbwechsel 1984 cm 105x41
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Kleines Wandobjekt II-85 1985 cm 47,5x28,2
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Rhythmes asymmetriques 1987 cm 74x16x3,5
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Dreistimmiges Perpetuum 1997 cm 127x21x18
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Rhytmic Sounds II 1999 cm 20x500
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Lichtkästen Rot-Grün 2000 cm 55x10,5
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Trommel 2000 cm 114x40x17,5
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Horizontale Rot-Bewegung 2003 cm 132x28
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Klangstele O.T. 2005 h. cm 114
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Accelerando quartett 2006 cm 70,5x10x10
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Cascade 2006 cm 100x17
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Tempo-variationen 2006 cm 16,5x127
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Tambourin 2009 cm 66x66
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Tonkreisel 2009 h. cm 65
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Farbscheiben 2011 cm 39,5x39,5
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Mobile 1 2013 cm 10x50
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Tonfolgen O.T. 2014 cm 40x50
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Fire and water 2015 cm 180x32x30
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antologia di opere e testi WORKS AND OBJECTS ANTHOLOGY anthologie der werke und Objekte
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OGGETTI INTERATTIVI Interactive Objects Interaktive Objekte
tion-reaction process, in the interaction between creation and reception, that the observer can experience the object’s behaviour. Without an observer the work is dead. The work takes shape not as a permanent, finished product, but as a temporary, transient event.
Le sculture, gli oggetti da parete e le installazioni costituite da componenti elettroniche reagiscono al movimento e agli impulsi sonori dell’osservatore. Egli viene strappato alla sua passività e diviene un protagonista attivo a cui l’oggetto da lui influenzato risponde con movimento, suono o luce. L’interazione esistente tra oggetto e soggetto ha una dimensione temporale. Come per l’ascolto di musica o l’osservazione di un quadro, il suo contenuto si svela solo all’osservatore, prima curioso e poi esploratore; è la percezione di questo processo la vera esperienza estetica. Mentre nella contemplazione di un quadro avviene un movimento spirituale mentale, qui è necessario anche un movimento fisico. Secondo Jean Jacques Rousseau “il movimento è ciò che ci insegna che esistono cose al di fuori di noi e solo attraverso di esso acquisiamo l’idea di spazio; i primi insegnanti di filosofia sono i nostri piedi, mani e occhi”. Anche l’oggetto però “si muove”: modifica il suo comportamento. La sua struttura di reazione dinamica per esempio, possiede caratteristiche quali “più veloce” o “più lento”, “titubante”, “impetuoso” o “silenzioso”, “sommesso o rumoroso”, che dipendono considerevolmente dal comportamento dell’osservatore. È solo nel processo di azione-reazione, nell’interazione tra creazione e ricezione, che l’osservatore può sperimentare il comportamento dell’oggetto. Senza osservatore l’opera è morta. L’opera si configura non come prodotto finito permanente , ma come evento fugace temporaneo. The sculptures, objects for the wall, and the installations made from electronic components react to the movements and sound impulses of the viewers. The viewers are torn from their passivity and become active protagonists to whom the objects that influence them answer with movement, sound or light. The interaction that comes about between the object and the subject has a temporal dimension. As when listening to music or looking at a painting, its content is revealed to the observers alone: first they are curious, then they become explorers. Real aesthetic experience results from the perception of this process. While in our contemplation of a picture a mental spiritual movement comes about, here a physical movement is necessary. According to Jean Jacques Rousseau “movement is what teaches us that there are things that exist outside us, and only through them can we acquire the idea of space. The first teachers of philosophy are our feet, hands, and eyes.” However, the object also “moves”: it changes its behaviour. For example, its dynamic reaction structure has such characteristics as “faster” or “slower”, “doubtful”, “impetuous”, “silently”, “subdued” or “noisy”, all of which depend to a large extent on the behaviour of the observer. It is only in the ac-
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Die aus elektronischen Bauteilen bestehenden Skulpturen, Wandobjekte und Installationen reagieren auf Bewegungen und Schallimpulse des Betrachters. Er wird aus seiner Passivität herausgelockt und wird zum spielenden Akteur, das von ihm beeinflusste Objekt antwortet mit Bewegung, Klang oder Licht. Die zwischen Subjekt und Objekt entstehende Interaktion hat eine zeitliche Dimension. Wie das Hören von Musik oder das Betrachten von Bildern, deren “Inhalt” sich nur dem zunächst neugierigen, dann explorierenden Betrachter erschließt, ist die Wahrnehmung dieses Prozesses die eigentlich ästhetische Erfahrung. Findet beim Betrachten von Bildern geistige Bewegung im Kopf statt, so ist hier zusätzlich physische Bewegung notwendig. Nach Jean Jacques Rousseau ist es “die Bewegung, durch die wir lernen, dass es Dinge außer uns gibt, und es ist nur unsere eigene Bewegung, durch die wir uns die Idee des Raumes erwerben, die ersten Lehrer der Philosophie sind unsere Füße, Hände und Augen”. Aber auch das Objekt “bewegt” sich: es ändert sein Verhalten. Seine dynamische Reaktions-Struktur hat z.B. Eigenschaften wie “schneller “ und “langsamer “, “zögernd”, “aufbrausend” und “verstummend”, “leiser oder lauter”, wobei deren Veränderungen wesentlich vom Verhalten des Betrachters abhängen. Wobei erst im Prozess von actio et reactio, im Wechselspiel von Hervorbringen und Empfangen, der Betrachter das Verhalten des Objekts erfahren kann. Ohne Betrachter ist das Werk tot. Das Werk besteht nicht als fertiges dauerhaftes Produkt sondern als vergängliches endliches Ereignis.
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Oggetti di movimento Movement objects Bewegungs-Objekte Gli elementi di movimento servono a rendere riconoscibile la reazione al mondo esterno; gli organi di trasmissione sono motori per la rotazione di eliche, servomotori (che non generano alcuna completa rotazione) per movimenti avanti e indietro, magneti per l’oscillazione e battacchi per suonare corpi risonanti. Gli oggetti meccanici possono essere suddivisi nelle seguenti categorie: - oggetti che con il loro “comportamento” richiamano l’attenzione verso un fatto naturale (fisico); · oggetti che sono veicoli per cambiare qualcosa nello spazio; · oggetti che reagiscono in modo specifico al luogo dell’osservatore; · oggetti che agiscono da mobile; · oggetti la cui reazione dipende dalla durata dell’influsso. The movement elements are useful for making recognisable reactions to the outside world. The organs for transmission are engines for rotating propellers; servomotors (which do not generate complete rotations); magnets for oscillation; and knockers for hitting resonant bodies. The mechanical objects can be subdivided into the following categories: · objects that, due to their “Behaviour”, draw attention to a natural (physical) fact; · objects that are vehicles for changing something in space; · objects that react in a specific way to the observer’s place; · objects that move; · objects whose reaction depends on the duration of the influence on them. Die Bewegungselemente dienen dazu, die Reaktion für die Aussenwelt erkennbar zu machen; Antriebselemente sind Motoren für Drehungen von Propellern, Stellmotoren (die keine vollen Drehungen erzeugen) für vor- und zurückBewegungen, Magnete für Zitterbewegungen und Klöppel zum Anschlagen von Klangkörpern. Die mechanischen Objekte lassen sich in folgende Kategorien einteilen: · Objekte, die durch ihr “Verhalten” auf eine natürliche (physikalische) Tatsache hinweisen · Objekte, die Vehikel sind, um im Raum etwas zu verändern · Objekte, die auf den Ort des Betrachters spezifisch reagieren · Objekte, die sich wie ein Mobile bewegen · Objekte, deren Reaktion von der Dauer der Beeinflussung abhangt
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1. Drei, 1975, h. cm 70 2. Optak, 1972, cm 70x60 3. Vier Flugel, 1972, cm 50x45
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4. Drehungen, 1972, h. cm 49 5. Tracking Mechanism, 1973 6. Wechselspiel, 1974, h. 27 cm 134
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7. Closed Loop, 1979, cm 63x63 8. Closed Loop, 2000, cm 59x59 9. Spiegelungen, 1999, cm 48x83 136
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Oggetti CON le ali Winged objects Flügel-Objekte Omaggio a Panamarenko. Gli oggetti volanti di Panamarenko mi hanno ispirato a costruire oggetti alati ed eliche. Come le sue imitazioni di volo, anche questi non possono volare, evocano solo un’associazione con il volo. Però mostrano anche che i loro movimenti sono senza speranza, che essi non vogliono muoversi nell’aria ma a terra, poggiati su un piedistallo, come se potessero muovere qualcosa. Fanno mulinare l’aria che li circonda. Si dibattono con noncurante impotenza e li si guarda divertiti. A livello subliminale però infondono un sentimento di pietà e rimandano forse alla nostra impotenza, quando cioè diventiamo consapevoli di quanto poco l’uomo possa fuggire la sua condizione. Se volesse dibattersi alzerebbe solo polvere. A tribute to Panamarenko. Panamarenko’s flying objects inspired me to construct objects with wings or propellers. Like his imitations of flight, these too cannot fly but only evoke an association with flight. However, they also show that their movements have no hope, that they do not want to move in the air but on the ground or placed on a pedestal, as though they could move something. They flail the surrounding air. They exchange ideas with impotent nonchalance and look at each other with enjoyment. At a subliminal level, though, they instil a feeling of pity and refer, perhaps, to our impotence, to when, that is, we become aware of just how little mankind can escape his condition. If he wants to argue he will only raise dust. Hommage à Panamarenko. Panamarenkos Flugobjekte haben mich angeregt, Objekte mit Flügeln und Propellern zu bauen. Wie seine Flugattrappen können auch sie nicht fliegen, sie rufen nur die Assoziation des Fliegens hervor. Aber sie zeigen auch, dass ihre Bewegungen hilflos sind, dass sie sich nicht in der Luft bewegen wollen, sondern am Boden, auf einem Gestell ruhend, nur so tun, als ob sie etwas bewegen könnten. Sie wirbeln nur die Luft umher, die sie umgibt. Mit unbekümmerter Hilflosigkeit schlagen sie um sich, und belustigt schaut man ihnen zu. Aber unterschwellig stellt sich ein Gefühl von Mitleid ein, und man erinnert sich vielleicht an seine eigene Hilflosigkeit, wenn einem bewusst wird, wie wenig der Mensch seinen Gegebenheiten entfliehen kann. Mag er noch so um sich schlagen, er wirbelt nur Staub auf.
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10. (p.138) Doppelfluegel, 2001, h. cm 45 11. SchwarzfluĚˆgler, 2009, h. cm 45 12. Flatter (Hommage Ă Panamarenko), 2002, cm 39x22x14 13. (pp. 142-143) Schwerelos, 2004
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Oggetti sonori sound objects Klangobjekte Come il movimento anche il suono era inizialmente solo un mezzo per rappresentare il tempo trascorso e le strutture comportamentali. I contenuti erano spesso influenzati dalla neurobiologia e dalla psicologia, laddove gli altoparlanti non avevano il compito di produrre suoni bensì di trasportare un output acustico che rendesse riconoscibili per l’osservatore i cambiamenti di comportamento. Dal principio di assuefazione derivavano dei modi di reazione che risultano complessi: ad esempio il riflesso condizionato (il cane di Pavlov in un oggetto del 1972 con una fotocellula e un microfono), o un atteggiamento che io chiamai “reazione al bisogno” e realizzai nell’oggetto “Bedürfnis” del 1973. Questo oggetto reagiva all’ombreggiatura con suoni e si rendeva percettibile attraverso rumori o toni nel caso in cui non avvertisse ombre per lungo tempo e divenisse “affamato”, finché non veniva nuovamente stimolato da ombre e ne era dunque “sazio”. In seguito feci esperimenti sul suono, non per arricchire musicalmente gli oggetti, ma per ottenere determinati effetti: sovrapposizione di sequenze tonali dissonanti, modulazione per “contaminare” i toni (sovratono non armonico), toni ronzanti, toni cigolanti, gocciolii, un altoparlante rotante per modificare la percezione spaziale dei toni, riverbero con molle metalliche e cinguetti. In seguito all’incarico di un’installazione sonora per il festival musicale di Donaueschinger, cominciarono gli esperimenti sui parametri musicali. Negli anni seguenti nacquero oggetti per i quali la variazione dei parametri musicali era parte del loro comportamento. L’osservatore poteva influenzare tempo, altezza tonale, ritmica, volume e timbro in modi molto diversi: i parametri potevano aumentare o diminuire, modificarsi improvvisamente oppure essere guidati da impulsi interni all’oggetto. Sperimentai la sovrapposizione di ritmi con metri diversi, con diverse sequenze tonali o con serie tonali ripetitive (ad esempio nel gruppo di lavoro sulle sculture di musica minimalista e nelle pareti musicali). In tutte queste diverse possibilità di influenzare l’aspetto del suono mi interessa la sensibilizzazione della percezione di piccoli cambiamenti strutturali in cui il suono risulta un mezzo più appropriato del movimento. Quando rappresento una determinata struttura temporale per mezzo di toni colgo meglio la sua complessità rispetto a quando rappresento la medesima struttura con mezzi ottici o meccanici; l’orecchio è fondamentalmente più sensibile dell’occhio alle piccole variazioni temporali. Like movement, sound too was at first only a means for representing both passing time and behavioural structures. The content was often influenced by neurobiology and psychology in those cases where the loudspeakers did not have the task of producing sound but, instead, of carrying an acoustic output that made behavioural changes recognisable by the observer. Com14
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plex ways of reacting were derived from the principle of addiction: for example, conditioned reflexes (Pavlov’s dog in a 1972 object with a photocell and a microphone), or an attitude that I called “a need reaction” and realised in the “Bedürfnis” object dating from 1973. This object reacted to shadows with sounds and was made perceptible through noises or tones in those cases when it was not aware of shadows for a long time and became “hungry”, until it was newly stimulated by shadows and so became “sated”. Later on I made experiments with sound, not in order to enrich the objects musically, but in order to obtain certain effects: the superimposition of tonally dissonant sequences; modulations for “contaminating” the tones (non-harmonic high pitches); buzzing tones; creaking tones; dripping; a rotating loudspeaker for modifying the spatial perception of tones; reverberations caused by metal pegs; and twittering. After having been asked for a sound installation for the Donaueschinger music festival, I began experiments with musical parameters. In the following years I created objects for which the variations of musical parameters were part of their behaviour. The observers could influence tempo, tone levels, rhythm, volume, and timbre in very different ways: the parameters could increase or diminish, suddenly change or be guided by impulses from within the object. I experimented with the superimposition of rhythms with different meters, with different tonal sequences or with repetitive tonal series (for example, in the group of minimalist musical sculptures and in the musical walls). In all these various possibilities for influencing the aspect of sound, what interests me is the sensitisation of the perception of small structural changes in which the sound is the most appropriate means for movement. When I represent a particular temporal structure through tones, I can better capture its complexity than when it is represented by the same structure but with optical or mechanical means. Basically, the ear is more sensitive that the eye for small temporal variations.
harmonische Obertöne), brummende Töne, knarrende Töne, WassertropfenKlänge, rotierende Lautsprecher zur Veränderung der räumlichen Wahrnehmung von Tönen, Nachhall mit Metallfedern um eine Assoziation mit Vögeln hervorzurufen. Nach dem Auftrag fur die Klanginstallation zu den Donaueschinger Musiktagen 1975 begannen die Experimente mit musikalischen Parametern. Es entstanden in den folgenden Jahren Objekte, bei denen die Variation musikalischer Parameter Teil Ihres “Verhaltens” war: Der Betrachter konnte Tempo, Tonhöhen, Rhythmik, Lautstarke und Klangfarben beeinflussen, dies auf sehr unterschiedliche Weise: Die Parameter konnten zu oder abnehmen, sich plötzlich ändern oder durch objekt-interne Impulse gesteuert werden. Bei all diesen unterschiedlichen Möglichkeiten, Klanggestalten zu beeinflussen, geht es mir um die Sensibilisierung der Wahrnehmung kleiner Strukturänderungen, wozu das Medium Klang besser geeignet ist als Bewegung. Wenn Ich eine bestimmte zeitliche Struktur mit Tönen darstelle, so nehme ich deren Komplexität besser war, als wenn ich dieselbe Struktur durch optische oder mechanische Mittel darstelle, das Ohr ist für kleine Zeitunterschiede wesentlich empfindlicher als das Auge.
Wie die Bewegung war der Klang am Anfang nur ein Mittel, um Zeitabläufe und Verhaltensstrukturen darzustellen. Die Inhalte waren oft von der Neurobiologie und der Psychologie beeinflusst, wobei die Lautsprecher nicht die Aufgabe hatten, Klänge zu produzieren, sondern einen akustischen Output zu liefern, der dem Betrachter die Verhaltensänderungen erkennbar machen sollte. Aus dem Prinzip der Habituation ließen sich Reaktionsweisen ableiten, die komplexer waren: so z.B, der konditionierte Reflex (Pawlowscher Hund, In einem Objekt von 1972 mit einer Fotozelle und einem Mikrofon) oder ein Verhalten, das ich Bedürfnisreaktion nannte und In dem Objekt “Bedürfnis” 1973 verwirklichte. Dieses Objekt reagierte bei Abschattung mit Klang und machte sich, falls es längere Zelt keinen Schatten mehr bekam und “hungrig” wurde, bei Geräuschen so lange mit Tonen bemerkbar, bis es wieder Schatten bekam und “satt” wurde Dann experimentierte ich mit Klängen, nicht um die Objekte musikalisch zu bereichern, sondern um bestimmte Wirkungen zu erzielen. Überlagerung von dissonanten Tonreihen, Modulation, um den Ton zu “verunreinigen” (nicht-
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14. (p. 144) Hintereinander, 1977 15. Einstellb Tonreakt, 1972, cm 66x56 16. Kleiner Kugelturm, 1973, h. cm 60
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17. Wechselbeziehung, 1975, h. cm 49 18. Duplex, 1976, h. cm 39 19. Klangkugeler, 1977, h. cm 120
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22. Perpetuum, 2015, cm 31x74 23. Hommage à Ligeti, 2009, h. cm 96 24. Verschlungener Kreislauf, 1982, h. cm 80
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Oggetti di musica minimalista Minimal Music Object Minimal-MusikObjekte Essi sono oggetti sonori con strutture tonali ripetitive, come quelle che Steve Reich e Phil Glass hanno introdotto nel panorama musicale europeo con la “musica minimalista”. Nelle sculture di musica minimalista erano disponibili fino a sei diverse sequenze su fotocellule, con le pareti sonore si arriva fino a 18 (per esempio “Rythmic sounds”). Il volume, il timbro e il ritmo venivano in parte condizionati tramite l’arte dell’ombreggiatura (durata e frequenza). Il metro delle singole sequenze ripetitive può essere diverso qualora si crei uno sfasamento, cioè due melodie possono spostarsi temporalmente l’una verso l’altra fino a creare sempre nuove combinazioni. L’osservatore può combinare il materiale sonoro fornitogli secondo la sua immaginazione e così può improvvisare o comporre; tali oggetti si possono definire “partiture variabili materializzate”, composizioni incompiute che vengono terminate solo dall’osservatore. These are sound objects with repetitive tonal structures, such as those Steve Reich and Phil Glass introduced onto the European musical panorama with their “minimal music”. In the minimal music sculptures there were available up to six different sequences on photocells; with the sound walls there are up to 18 (for example, “Rhythmic sounds”). The volume, timbre, and rhythm were partly conditioned by the art of shading (duration and frequency). The metres of individual repetitive sequences can be different every time a phase displacement is created: in other words, two melodies can shift temporally towards each other to create increasingly new combinations. The observers can combine the sound material supplied to them according to their imagination and can thus compose and improvise. These objects can be defined “materialised variable scores”, incomplete compositions that can be ended only by the observer. Dies sind Klangobjekte mit repetitiven Tonstrukturen, wie sie von Steve Reich und Phil Glass mit der “minlmal-music” In die europäische Musik eingeführt wurden. In den Minimal-Muslc-Skulpturen waren bis zu sechs unterschiedliche Sequenzen über Fotozellen abrufbar, bel den Klangwänden bis zu 18 (z.B. “Rythmic sounds”). Zum Teil waren Lautstärke, Klangfarbe und Rhythmus durch die Art der Abschattung (Dauer und Häufigkeit) zu beeinflussen. Das Metrum der einzelnen repetitiven Strukturen kann unterschiedlich sein, wodurch Phasenverschiebungen entstehen, d h. zwei Melodien können sich 25
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zeitlich so gegeneinander verschieben, dass sich Immer wieder neue Konstellationen ergeben. Der Betrachter kann das gegebene Klangmaterial nach seinen Vorstellungen zusammenfügen und damit improvisieren oder komponieren; man könnte diese Objekte als “materialisierte variable Partituren” bezeichnen, unvollendete Kompositionen, die erst vom Betrachter vollendet werden.
25. (p. 156) Ariels Tonzauber, 1978, h. cm 270 26. Minimal music object, anni ‘80
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Oggetti con strumenti Objekte mit Instrumenten Objekte mit Instrumenten Dal 1993 si creò un gruppo di lavoro che si occupava di arrivare a un’unione tra elettronica e strumenti tradizionali. In “Kellerorchester” e “Schattenorchester I” erano impiegati strumenti acustici (tamburi, corde, legni ecc.) e in parte fonorivelatori piezoelettrici per potenziarli. Le sculture con strumenti musicali dovevano funzionare senza amplificatore, solo il puro suono naturale poteva essere udito. Io riconobbi nuovamente un forte contrasto tra l’elettronica hightech e l’arcaicità dello strumento, e l’impressione di commettere un anacronismo mi lasciò a lungo titubante. Uno dei primi oggetti ibridi era un tamburello che costituiva la testa di una scultura e che veniva suonato da tre o quattro bacchette; seguirono altri tamburi a cornice di varie dimensioni. Il ritmo del tamburo poteva essere condizionato in diversi modi. La fotocellula azionava una struttura ripetitiva che poteva essere modificata ritmicamente con colpi ripetuti, oppure creava una serie di colpi minori e non ripetitivi la cui struttura dipendeva dal movimento dell’osservatore. In 1993 I created a group of works that aimed at a union between electronics and traditional instruments. In “Kellerorchester” and “Schattenorchester” acoustic instruments were used (drums, cords, wood etc.) as well as, in some cases, piezoelectric pick-ups to strengthen them. The sculptures with musical instruments had to function without amplifiers: only the pure natural sound could be heard. I felt once again a strong contrast between the high-tech electronics and the archaisms of the instruments, and the impression of committing an anachronism left me uncertain for a long time. One of the first hybrid objects was a tambourine that served as the head of a sculpture and that was played by two or three sticks; other framing tambourines of various sizes followed. The rhythm of the tambourine could be conditioned in two ways. The photocell activated a repetitive structure that could be rhythmically modified with repeated blows, or else it could create a series of lesser, non-repetitive blows whose structure depended on the movements of the observers. Ab 1993 entstand eine Werkgruppe, bei der die Elektronik mit herkömmlichen Instrumenten eine Verbindung einging. Im “Kellerorchester” und im “Schattenorchester I” waren akustische Instrumente (Trommeln, Saiten, Holz usw.) eingesetzt und zum Tell mit Piezo-Tonabnehmern versehen, um sie zu verstärken. Die Skulpturen mit Instrumenten sollten ohne Verstärker funktionieren, nur der reine Naturklang sollte hörbar sein. Wieder sah ich hier einen starken Kontrast zwischen der Hightech-Elektronik und der Archaik der Instrumente, und das Gefühl, einen Stilbruch zu begehen, ließ mich lange zögern. Eines der ersten hybriden Objekte war ein Tambourin, das den Kopf einer Skulptur bildete und von drei oder vier Klöppeln angeschlagen wurde; weitere mit Rahmentrommeln verschiedener Große folgten. Der Trommelrhythmus konnte auf verschiedene Weisen beeinflusst werden. Die Fotozelle löste eine repetitive Struktur aus, die durch wiederholten Schatten rhythmisch variiert werden konnte, oder sie löste eine Serie von wenigen nicht repetitiven Schlägen aus, deren Struktur von den Bewegungen des Betrachters wesentlich abhing. 27
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27. (p. 160) Tiefe Trommel, 1994, h. cm 79 28. Cithara, 1995, trasformazione ritmico-melodica dell’impulso esterno 29. Cithara, 1995, h. cm 98
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30. Trommler mit sechs Kloeppeln, 1994, h. cm 56 31. Zither, 1997, h. cm 172 32. Perkussives Ensemble, 1999, installazione 164
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33. Ws Trommel, 2009, h. cm 139 34. GroĂ&#x;e Trommel, 2000, h. cm 115
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35 e 36. Bongo, 2012, cm 33x42x32. Opera e schema di funzionamento
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Orchestre Orchestras Orchester Nel 1989, in occasione di un’esposizione alla galleria Giannozzo a Berlino, apparve per la prima volta un’installazione in cui il suono veniva prodotto con mezzi meccanici, cioè con strumenti. A piano terra fu installata la “Große Klangwand” (parete musicale grande) e al piano interrato fu costruita la “Kellerorchester”. Un’elettronica di controllo a fotocellule influisce su bacchette e motori che colpiscono, sfregano o pizzicano strumenti di metallo, legno o a corde. Molti degli strumenti relativamente sommessi avevano fonorivelatori piezoelettrici collegati ad altoparlanti. Tutte le installazioni orchestrali seguenti funzionano in base allo stesso principio, ma si differenziano nel carattere sonoro e nelle strutture tonali e ritmiche. Ciascuna di queste orchestre è una composizione di materiale sonoro con il quale l’osservatore può improvvisare o comporre secondo la propria immaginazione. In 1989, for the show at the Giannozzo gallery in Berlin, I showed for the first time an installation in which the sound was produced by mechanical means, i.e. with instruments. On the ground floor was installed “Große Klangwand” (Large Musical Wall) and, in the basement, I constructed “Kellerorchester”. A photocell electronic control acted on sticks and motors that hit, sawed or plucked metal, wooden or string instruments. Many of the relatively humble instruments had piezoelectric pick-ups linked to loudspeakers. All the following orchestral installations acted on the same principle, but differed in their sound characteristics and in their tonal and rhythmic structures. Each of these orchestras is a composition of acoustic material with which the observers can improvise or compose according to their own imagination. Eine Installation, bei der die Klänge mit mechanischen Mitteln, d.h. mit Instrumenten erzeugt werden, entstand erstmals 1989 anlässlich einer Ausstellung in der Galerie Giannozzo in Berlin. Im Erdgeschoss war die “Große Klangwand” installiert, und im Keller war das “Kellerorchester” aufgebaut. Eine Steuerelektronik mit Fotozellen beeinflusst Klöppel und Motoren, die durch Schlagen, Reiben und Zupfen Metall-, Holz- und Saiteninstrumente zum Klingen bringen. Viele der relativ leisen Instrumente hatten piezoelektrische Tonabnehmer, die an einen Verstärker mit Lautsprechern angeschlossen waren. Alle darauf folgenden Orchester-Installationen funktionieren nach dem gleichen Prinzip, unterscheiden sich aber in ihrem Klangcharakter, in ihrer tonalen und rhythmischen Struktur. Jedes dieser Orchester ist eine Komposition von Klangmaterial, mit dem der Betrachter nach seinen Vorstellungen improvisieren oder komponieren kann.
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38. (p. 170) Schattenorchester II, particolare 39 e 40. Schattenorchester I, 1989, strumenti e installazione 172
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41 e 42. Schattenorchester II, partitura strumentale e installazione 174
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45, 46 e 47. Schattenorchester III. Dall’alto: strumenti, struttura ritmica e partitura strumentale 48. Schattenorchester III 49. (p. 182-183) Klangwand, 1991, Nagoya 178
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muri sonori Klangwände Music walls Il precursore dei muri sonori fu il “Musakalisch-kybernetische Environment”, un progetto realizzato nel 1975 per il festival musicale di Donaueschinger, costituito da tre colonne di plexiglas che recavano un sintetizzatore. Il modello di tutte le installazioni più grandi seguenti (le pareti musicali) era rettilineo e orizzontale e fissato direttamente alla parete. Per la produzione dei suoni furono sviluppati dei circuiti che sostituivano il sintetizzatore. Per la riproduzione dei suoni così ottenuti vennero impiegati amplificatori e altoparlanti esterni, posti a sinistra e a destra della parete musicale. I sensori (da 12 a 15 fotocellule) sono distribuiti su tutta la lunghezza della parete, la cui estensione va dai 4 ai 6 metri ca. Il primo grande muro sonoro fu costruito nel 1979 in prospettiva di spettacoli di danza e aveva tredici fotocellule. Il primo spettacolo con questa parete ebbe luogo nel 1980 con la ballerina Christine Brodbeck in occasione di un concerto della Art Ensemble a Basilea (per la fiera ART di Basilea presso la galleria Beyeier). Questa parete fu esposta a Berlino (con spettacolo alla scuola di danza Kreuzberg), Bolzano, Kassel (Multimediakunst di Stoccarda in Filderstraße), Hasselt (Museo Provinciale Begijnhof, Belgio), Firenze (Guardare la musica) e all’Ars Electronica, finchè fu acquistata dallo Skulpturenmuseum di Marl nel 1986. Con Christine Brodbeck sviluppai poi una nuova forma di esposizione: io attivavo i suoni con i miei movimenti e lei danzava in primo piano senza gettare ombre sulle fotocellule. In questo modo nel 1988 facemmo una tournee in molti musei della Svizzera. Dal 1994 questa parete musicale si trova a Tokyo. The precursor of the musical walls was the “Musakalisch-kybernetische Environment”, a project realised in 1975 for the Donaueschinger music festival; it was made up of three Plexiglas columns containing a synthesiser. The model for all the following larger installations (the musical walls) was rectilinear and horizontal and fixed directly to the wall. For the production of the sounds I developed circuits that took the place of the synthesiser. For the reproduction of the sounds obtained in this way, there were used amplifiers and external loudspeakers, placed to the left and right of the musical wall. The sensors (from 12 to 15 photocells) are placed along the whole length of the wall, which can vary from about four to six metres. The first large musical wall was constructed in 1979 for a dance performance and had thirteen photocells. The first show with this wall took place in 1980 with the ballerina Christine Brodbeck on the occasion of a concert by the Art Ensemble, Basel (on the occasion of the Beyeier gallery’s participation at the Basel art fair). This wall was exhibited in Berlin (part of a show by the Kreuzberg dance school); Bolzano; Kassel (Multimediakunst, Stuttgart,
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in Filderstraße); Hasselt (in the Begijnhof provincial museum, Belgium); Florence (Guardare la musica); and at Ars Electronica, and was finally acquired by the Marl Skulpturenmuseum in 1986. Together with Christine Brodbeck I then developed a new kind of exhibition: I activated the sounds with my movements and she danced in the foreground without throwing any shadows on the photocells. In this way, in 1988, we toured many museums in Switzerland. Since 1994 this musical wall has been in Tokyo. Der Vorläufer der Klangwände war das “Musikalisch-kybernetische Environment”; ein Auftragswerk für die Donaueschinger Musiktage 1975, drei Plexiglassäulen, die einen Synthesizer ansteuerten. Der Formaufbau aller folgenden größeren Installationen (Klangwände) war gradlinig und horizontal und direkt an der Wand angebracht. Für die Klangerzeugung wurden Schaltungen entwickelt, die den Synthesizer ersetzten. Für die Wiedergabe der darin erzeugten Klänge werden externe Verstärker und Lautsprecher eingesetzt, die links und rechts der Klangwand aufgestellt werden. Die Sensoren (12 bis 15 Fotozellen) sind über die ganze Länge der Klangwand verteilt, deren Breite ca 4 bis 6 m beträgt. Die erste große Klangwand wurde 1979 im Hinblick auf Tanzperformances konstruiert (s.o.) und hat 13 Fotozellen. Die Klänge sind atonal, es gibt variable Tonfolgen und hohe und tiefe Einzeltöne, wovon einige bei Stimulation sofort erklingen und andere erst bei länger andauerndem Schatten. Die Klangwand besteht aus fünf zusammensetzbaren Einzelteilen, die insgesamt sechs Meter breit sind. Die erste Tanzperformance mit dieser Klangwand fand mit der Tänzerin Christine Brodbeck 1980 im Rahmen eines Konzertes des Art Ensembles in Basel statt, es folgten weitere (u.a. auf der ART Basel 1980 bei der Galerie Beyeier). Diese Klangwand wurde in Berlin (mit Tanzperfomance in der Tanzfabrik Kreuzberg), Bolzano, Kassel (Multimediakunst, Stuttgart Filderstraße), Hasselt (Museum Provinciaal Begijnhof, Belgien), Florenz (Guardare la musica) und auf der Ars Electronica ausgestellt, bis sie das Skulpturenmuseum Mari 1986 erwarb.
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Oggetti luminosi Light objects Lichtobjekte In alcuni dei primi oggetti la luce, cioè l’illuminazione di lampadine, aveva solo lo scopo di segnalare qualcosa: doveva mostrare uno stato o una reazione. Presto però l’aspetto ottico ebbe la meglio sul significato: l’ordine delle lampadine (dal 1980 anche diodi luminosi) seguiva precise strutture formali, lineari, circolari o casuali. Lo stesso significato aveva anche la struttura temporale dell’illuminazione: la reazione diretta - ad ogni stimolo corrisponde un cambiamento di uno stato più stabile, un’altra lampadina in un gruppo si accende oppure si modificano le combinazioni di più lampadine. Gli oggetti schermo colorati con reazione diretta sono realizzati con plexiglas colorato e reagiscono secondo il principio delle combinazioni variabili, cioè ogni lampada si può illuminare con ogni altra in qualunque combinazione. Fondamentale era la casualità dell’illuminazione: ogni impulso acustico (raramente anche un’ombra) modifica in modo imprevedibile non solo la combinazione di colori ma anche quella spaziale della superficie luminosa, cioè all’osservatore vengono offerte esperienze su due diversi livelli. L’interazione è casuale perché solo stimoli sonori identici, che in pratica non avvengono mai, modificano le combinazioni in un certo modo. In some of the early objects the light, that is the light bulb illumination, only had the aim of signalling something: it had to reveal a state or a reaction. Soon, however, the optical aspect gained the upper hand over meaning: the order of the light bulbs (and, from 1980 onwards, luminous diodes too) followed precise formal, linear, circular, or chance structures. The meaning itself also had the temporal structure of the illumination: the immediate reaction to each stimulus corresponds to a change to a more stable state, another bulb in a group is turned on or else the combinations of bulbs modify. The coloured screen objects with direct reactions are made from coloured Plexiglas and react according to the principle of variable combinations, in other words each bulb can light up together with any of the others in any combination whatsoever. What was basic was the randomness of the illumination: each acoustic impulse (occasionally even a shadow) unpredictably changes, not only the combination of colours, but also the spatial combination of the luminous surface; in other words, the viewers are offered experiences on two different levels. The interaction is random because only identical sound stimuli change the combinations in a certain way, something that in reality never happens. Bei wenigen frühen Objekten hatte das Licht, d.h. das Aufleuchten von Glühbirnen, nur Signalfunktion: es sollte damit ein Zustand oder eine Reaktion angezeigt werden. Bald aber gewann der optische Aspekt an Bedeutung: Die
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Anordnung der Lampen folgte bestimmten formalen Strukturen, wie etwa lineare, kreisförmige oder zufällige Anordnung der Glühlampen (ab etwa 1980 auch Leuchtdioden) Von gleicher Bedeutung war auch die Zeltstruktur des Aufleuchtens: die Direktreaktion - bei Jedem Stimulus wird ein stabiler Zustand geändert, eine andere Lampe in einer Gruppe leuchtet auf oder Konstellationen mehrerer Lampen verändern sich. Farbscheiben-Objekte mit Direktreaktion. Alle mit farbigem Plexiglas hergestellten Objekte reagieren nach dem Prinzip der variablen Konstellation, was bedeutet, dass jede Lampe mit jeder anderen in beliebiger Kombination aufleuchten kann. Wesentlich war der Zufallscharakter des Aufleuchtens: Jeder Schallimpuls (seltener auch Schatten) ändert in unvorhersehbarer Weise nicht nur die Konstellation von Farbwerten, sondern auch die räumliche Konstellation der aufleuchtenden Flächen, d.h. der Betrachter ist auf zwei Ebenen wechselnden Erfahrungen ausgesetzt. Die Interaktion hat Zufallscharakter, da nur identische Schallstimuli, die praktisch nie auftreten, die Kombinationen in determinierter Weise variieren.
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50. (p. 184) Le Bec, 1973, h. 40 cm 51. (p. 187) Lichtpkte, 1972, h. cm 47 52. Zehn Lampen im kreis, 1975, h. cm 70 53. Illumination, 1976, h. cm 60
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Forme miste Mixed forms Mischformen Gli oggetti che combinano suono, movimento e luce sono rari. Suono e luce sono la forma più interessante, poiché consente di rappresentare analogie: l’illuminazione di lampadine o diodi luminosi viene abbinata al risuonare di toni, e il numero di lampadine che si illuminano è proporzionale all’altezza del suono. Secondo questo principio si sviluppano oggetti con titoli quali “Ton-Licht-Analogie” e “Ton-Licht-Parallelen”. L’oggetto “Le dernier mot” reagisce al suono con una successione ascendente di reazioni luminose alla cui fine risuona un tono: per come ci si comporti l’oggetto ha sempre l’ultima parola. Gli oggetti “Flügelton” e “Großer Turm” combinano movimento e suono nel momento in cui una fotocellula mette in movimento un’ala e una seconda fotocellula genera dei toni. L’ala viene così a trovarsi davanti alla seconda fotocellula che da parte sua, per effetto delle ombre create dal movimento, genera suoni. Questo è un principio di reazione che genera un’interazione all’interno del sistema-oggetto, quindi una sorta di auto-condizionamento. The objects that combine sound, movement, and light are rare. Sound and light make the more interesting form because they allow the representation of analogies: the illumination by the bulbs or the luminous diodes is flanked by tones, and the number of bulbs that light up is proportionate to the level of the sound. Following this principle objects were developed with such titles as “Ton-Licht-Analogie” and “Ton-Licht-Parallelen”. The “Le dernier mot” object reacts to sound with an increasing succession of luminous reactions at the end of which a tone is sounded: due to the way it behaves, the object always has the last word. The “Flügelton” and “Großer Turm” objects combine movement and sound when a photocell moves a wing and a second photocell generates tones. In this way the wing finds itself in front of a second photocell which for its own part, due to the effect of shadows created by the movement, generates sounds. This is the origin of a reaction that generates an interaction within the system-object, thus a kind of self-conditioning. Objekte, die Klang, Bewegung und Licht kombinieren, sind selten. Klang mit Licht ist die interessanteste Form, denn sie erlaubt, Analogien darzustellen: Das Aufleuchten von Lampen oder Leuchtdioden wird mit dem Erklingen von Tönen gekoppelt, und die Anzahl der aufleuchtenden Lampen ist proportional zur Tonhöhe. Nach diesem Prinzip entstanden Objekte mit Titeln wie” TonLicht-Analogie” und “Ton-Licht-Parallelen”. Das Objekt” Le dernier mot” reagiert auf Schall mit einer aufsteigenden Folge von Lichtreaktionen, an deren Ende ein Ton erklingt: Wie man sich auch anstellt, das Objekt hat immer das letzte Wort. Die Objekte” Flügelton” und auch” Großer Turm” verbinden Bewegung mit Klang, wobei eine Fotozelle einen Flügel in Drehung versetzt und eine zweite Fotozelle Töne auslöst. Der Flügel ist so vor der zweiten Fotozelle angebracht, dass er beim Drehen Schatten wirft und seinerseits Töne auslöst. Dies ist ein Reaktionsprinzip, bei dem Wechselwirkungen innerhalb des Objekt-Systems stattfinden, also eine Art Selbstbeeinflussung. 59
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60. Kleiner-kybernetischer turm, 1972, h. cm 55 61. Flugelton, 1995, cm 79,5x79,5 196
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disegni e progetti drawings and projects Zeichnen und projekte
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66. Tonkreisel, 1978. Bozzetto dell’opera 67. Vaschachtelung, 1978. Bozzetto dell’opera 68. Mouvement Serielle, bozzetto dell’opera. La scultura è stata realizzata come nel disegno di destra 204
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69. Progetto di ambiante realizzato per la galleria Stampa di Basilea nel 1976. Il muro sonoro è stato poi realizzato in orizzontale 70. Musikalisch-Kybernetisches Environment, 1975. Bozzetto dell’installazione 206
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71. Legenda dei simboli utilizzati negli schemi di funzionamento delle opere 72. Rappresentazione ritmico melodica di tre linee sonore 73 e 74. Rappresentazione ritmico melodica di quattro (sopra) e sei (sotto) linee sonore 208
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75. Principio utilizzato in numerose opere 76. Schema di opere caratterizzata dalla presenza di quattro sensori. 77. Rappresentazione della reazione del sensore al movimento 210
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78, 79 e 80. Schema dell’eco: principio utilizzato per generare le melodie delle opere sonore attraverso la sovrapposizione di diverse serie di suoni 212
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81 e 82. Rappresentazione del sistema di produzione della reazione dell’opera d’arte in seguito alla ricezione di uno stimolo esterno. Allo stesso modo del sistema nervoso, l’opera riceve un impulso che viene rielaborato e ritrasmesso. 214
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83. Bozzetto dell’allestimento della mostra allestita a Basilea nel 1975 84. Analogia tra il funzionamento delle opere d’arte di Vogel e le reti nervose 85. Rappresentazione dell’interattività: ricezione delle opere interattive 216
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Progetti di opere non realizzate undone works projects Nicht ausgefĂźhrte Arbeiten und Projekte
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86. Raum-Zeit-Spirale, 4 sensori, 4 altoparlanti, 20 lampade, h. cm 200x250 87. Klangvariationen, 2x3 fotocellule, 3 altoparlanti, cm 200x270x40 220
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88 e 89. Rappresentazione dell’interattività: ricezione delle opere interattive Struttura utilizzata di diverse opere ma mai con la stessa configurazione visiva del bozzetto 90. Rappresentazione dell’interattività: ricezione delle opere interattive Progetto di un ambiente non realizzato e studiato insieme alla scuola di danza di Monaco. L’opera presentava anche 4 sensori disposti all’interno della stanza 222
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91, 92, 93 e 94. Bozzetti di opere non realizzate
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95. RÊactions trouvèes, 1998 96. Bozzetto di opera non realizzata, novembre 1994 97, 98 e 99. Schema di 5 input per un grande oggetto mai realizzato 226
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100. Magic Black Cube, anni ’80, bozzetto dell’opera mai realizzata. Ogni lato produceva un suono differente 101. Bozzetto di un’opera non realizzata. Il progetto prevedeva la realizzazione di un occhio che avrebbe reagito al suono. E’ stato poi modificato in modo tale che l’occhio, reagendo alla luce, si muovesse dando la sensazione di seguire lo spettatore. 228
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Documenti Documents Dokumente
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102. Manifesto della mostra, Galerie D. H. Leresche, Montreux, 1972 103. Manifesto della mostra, Galerie Beno, Zurigo, 1973 104. Manifesto della mostra, Galerie Holeczek, Friburgo, 1973 105. Manifesto della mostra, Galerie Kleber, Berlino, 1973 106. Manifesto della mostra, Galerie Beno, Zurigo, 1975 107. Manifesto della mostra, Villa Olmo, Como, 1975 232
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108. Manifesto della mostra, Galerie M. Melnikow, Heidelberg, 1976 109. Manifesto della mostra, Lippische Gesellschaft fĂźr Kunst eV, Detmolder, 1978 110. Manifesto della mostra, Kleine Galerie, Tuttilingen, 1979 111. Manifesto della mostra, Galerie LĂśhrl, MĂśnchengladbach, 1980 112. Manifesto della mostra, Skulpturenmuseum, Marl, 1980 234
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113. Manifesto della mostra, Galerie Apostroph, Stoccarda, 1982 114. Lettera di presentazione della mostra personale di Peter Vogel presso il Centro d’Arte Laboratorio di Morimondo, 1985 115. Manifesto del Minimal Festival, Zurigo, 1985 236
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116. Manifesto della performance, Galerie Corinne Hummel, Basilea, 1985 117. Manifesto della mostra, Galerie HC Scheerer, Tuttingen, 1987 118. Manifesto della mostra, Galerie Brรถtzinger Art eV, Pforzheim, 1986 119. Invito della performance, Kunstverein, Friburgo, 1988 238
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120. Catalogo della mostra, Museum der Elektrizitat, 1994 121. Manifesto della seconda Biennale Internazionale, Nagoya, 1991 240
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122. Manifesto della mostra, Kunstverein, LĂźneburg, 1994 123. Invito della mostra, Goethe Institue, Kansai, 1994 124. Manifesto della mostra, Artium Art Gallery, Fukuoka, 1996 125. Invito della mostra, Moris Gallery, Tokyo, 1995 242
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126. Catalogo della mostra, Skulpturenmuseum Glaskasten, Marl, 1997 127. Manifesto della mostra, Landesmuseum, Magonza, 1997 244
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128 e 129. Invito della performance, Wells Fargo Plaza, Lobby Gallery, Lousiana e Goethe Institute, Houston, 1999 130. Invito della mostra, Galleria TOM, Tokyo, 2002 131. Invito della mostra, Museum fĂźr Konkrete Kunst, Ingolstadt, 2000 246
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132. Invito della mostra, E-Werk, Friburgo, 2006 133. Invito della mostra, MusÊe du Temps, Besançon, 2009-2010 248
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134. Invito del concerto, E-Werk, Friburgo, 2010 135. Invito della mostra, Kunst Museum, Bayreuth, 2015 250
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APPARATI APPENDIX ANHANG
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BIOGRAFIA biography biographie Peter Vogel è nato nel 1937 a Friburgo in Brisgovia, dove vive e lavora. Dopo gli studi universitari in fisica, svolge un lavoro di ricerca. Parallelamente inizia la sua attività artistica quando inizia a interessarsi di pittura, ballo, coreografia, composizione di musica elettronica e video. I suoi primi lavori, realizzati a partire dal 1955, sono vicini al linguaggio informale. Nel 1967 Peter Vogel resta colpito dall’esperimento scientifico del neurofisiologo William Grey Walter, il quale impiega una “machinae speculatrix” che reagisce agli impulsi del mondo esterno con luci, colori, suoni e sensori. È proprio questa interattività ad affascinarlo particolarmente e a fornirgli l’ispirazione necessaria per cambiare radicalmente il suo linguaggio formale. Nel 1969 l’artista realizza il primo esperimento di natura plastico-cibernetica e nel 1971 ha luogo a Friburgo la sua prima mostra. Da questo momento Peter Vogel espone in numerose mostre internazionali, come “Les Machines Sentimentales” al Centre Pompidou di Parigi nel 1986. Tra il 1979 e il 1984 risiede per lunghi periodi a New York. A questo periodo risalgono i Muri Sonori, sintesi delle sperimentazioni in ambito musicale e cibernetico, come in Minimal Music Klangwand (1988) e Techno-Klangwand(1996). Nel 1996 ottiene l’incarico di insegnante presso l’Università HBK di Saarbrücken. Nel 2004 gli viene conferito il premio Reinhold-Schneider dalla città di Friburgo e nel 2008 il Museum für Neue Kunst di Friburgo gli dedica un’importante retrospettiva. Peter Vogel was born in 1937 in Freiburg im Breisgau, where he lives and works. After having studied physics at university, he began to work as a researcher. At the same time he began his activity in art after having become interested in painting, dance, choreography, the composition of electronic music, and video. His earliest works, dating from 1955, had an almost abstract expressionist approach. In 1967 Peter Vogel was greatly impressed by a scientific experiment by the neurophysiologist William Grey Walter who used a machinae speculatrix that reacted to impulses from the external world with lights, colours, sounds, and sensors. It was this very interactivity that particularly fascinated Vogel and gave him the necessary inspiration to radically change his formal language. In 1969 the artist made his first plastic/cybernetic experiment and, in 1971, he held his first show in Freiburg. From then on he exhibited in numerous international shows, such as Les Machines Sentimentales at the Centre Pompidou, Paris, in 1986. From 1979 to 1984 he resided for long periods in New York. From this time date the Pareti musicali works, a summation of his experiments in the field of music and cybernetics, and which included Minimal Music Klangwand (1988) and Techno-Klangwand (1996). In 1996 he became a professor at the HBK University in Saarbrücken. In 2004 he was awarded the Reinhold-Schneider prize by the city of Freiburg and, in 2008, the Freiburg Museum für Neue Kunst held an important retrospective show of his work.
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Peter Vogel was born in 1937 in Freiburg im Breisgau, where he lives and works. After having studied physics at university, he began to work as a researcher. At the same time he began his activity in art after having become interested in painting, dance, choreography, the composition of electronic music, and video. His earliest works, dating from 1955, had an almost abstract expressionist approach. In 1967 Peter Vogel was greatly impressed by a scientific experiment by the neurophysiologist William Grey Walter who used a machinae speculatrix that reacted to impulses from the external world with lights, colours, sounds, and sensors. It was this very interactivity that particularly fascinated Vogel and gave him the necessary inspiration to radically change his formal language. In 1969 the artist made his first plastic/cybernetic experiment and, in 1971, he held his first show in Freiburg. From then on he exhibited in numerous international shows, such as Les Machines Sentimentales at the Centre Pompidou, Paris, in 1986. From 1979 to 1984 he resided for long periods in New York. From this time date the Pareti musicali works, a summation of his experiments in the field of music and cybernetics, and which included Minimal Music Klangwand (1988) and Techno-Klangwand (1996). In 1996 he became a professor at the HBK University in Saarbrücken. In 2004 he was awarded the Reinhold-Schneider prize by the city of Freiburg and, in 2008, the Freiburg Museum für Neue Kunst held an important retrospective show of his work.
1977 Galerie Beyeler, Basilea Galerie Löhrl, Willich-Schiefbahn Galerie Kleber, Berlino Neue Galerie Sammlgung Ludwig, Aachen Musik-Biennale, Zagabria (Installazione) Galerie Regio, Hugstetten/Friburgo Galerie Atelier Michstraße, Friburgo Boettcherstraße, Brema
MOSTRE PERSONALI sOLO SHOW EINZELAUSSTELLUNGEN
1971 Galerie Gräber, Friburgo 1972 Galerie Hilt, Basilea Galerie Leresche, Montreux
1978 Galerie 3/5, Friburgo Galerie Mensch, Amburgo Galerie Lang, Vienna Kunstverein Detmold Galerie Jossevel, Zurigo Galerie Brauer, Rothenburg Galerie Kunstverlag Weingarten
1973 Komödie, L’Aja (Installazione) Galerie Beno, Zurigo Galerie Holeczek, Friburgo Galerie Kleber, Berlino 1974 Galerie Melnikow, Heidelberg Ars Studio, Aarhus Ruhrlandmuseum, Essen
1979 Arras Gallery, New York Galerie Academia, Salisburgo Galerie Hölscher, Bensheim Galerie Scheerer, Tuttlingen Galerie Habermann, Gottinga Galerie Bargera, Colonia Galerie 3/5, Karlsruhe Harlekin Art, Wiesbaden
1975 Galerie Holeczek, Friburgo Galerie Schreiner, Ginevra Galleria Spazzapan, Stresa Galerie Beno, Zurigo Galerie Kleber, Berlino Festival di Musica, Donaueschingen Augustinermuseum, Friburgo Galerie Weinelt, Hof
1980 Galerie Baecker, Bochum Galerie Regio, Hugstetten/Friburgo Skulpturenmuseum Glaskasten, Marl Bozener Musiktage, Bolzano Arras Gallery, New York Friedmann Gallery, Pittsburgh Summit Art Center, Summit N.J.
1976 Galerie der Firma Ciba, Basilea Galerie Melnikow, Heidelberg Kunstverein, Ludwigshafen Städtlische Galerie, Villingen Eliane Ganz Gallery, San Francisco Galerie Stampa, Basilea Spazio Alternativo, Montecatini Galerie Baecker, Bochum
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1981 Galerie Jossevel, Zurigo Galerie Slominsky, Mülheim/Ruhr Galerie Wack, Kaiserslautern Galerie Kleber, Berlino
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1987 Galerie Regio, Hugstetten/Friburgo Galerie Scheerer, Tuttlingen
1982 Galerie Herrmanns, Monaco Galerie Apostroph, Stoccarda Kunstverein, Kirchheim/Teck Galerie Mensch, Amburgo Galerie Busse Design, Elchingen Galerie Stiftung Metzgasse, Winterthur
1988 Stadtgalerie, Bludenz Galerie Wack, Kaiserslautern Maison des Cultures Frontières, Merlebach Galerie Cismar, Cismar Galerie Herrmanns, Monaco Arras Gallery, New York Neckarwerke, Fellbach Galerie Ehrhard, Norimberga Kunstverein, Friburgo (Muro sonoro - Performance)
1983 Pfalzgalerie, Kaiserslautern (Muro sonoro) Galerie Wack, Kaiserslautern Galerie Kunstverlag Weingarten Galerie Scheerer, Tuttlingen Alte Hauptfeuerwache, Mannheim Theater am Kirchplatz, Schaan BBK, Friburgo (Muro sonoro) Galerie Löhrl, Mönchengladbach Galerie Walzinger, Saarlouis Galerie Carzaniga & Ueker, Basilea Hindemith Institut, Francoforte
1989 Neckarwerke, Göppingen Galerie Löhrl, Mönchengladbach Galerie Carzaniga & Ueker, Basilea Galerie Kiliansmühle, Lünen Giannozzo, Berlino Akademie der Künste, Berlino (Orchestra-ombre I) Galerie Terbrüggen, Sinsheim
1984 Katholissche Akademie, Friburgo Galerie Lang, Vienna Arras Gallery, New York Galerie Terbrüggen, Sinsheim Galerie Regio, Hugstetten/Friburgo Galerie Tendenz, Sindelfingen
1990 Wilhelm-Hack-Museum, Ludwigshafen (Orchestra-ombre I) Kunstmuseum, Peine Singer Museum, Laren Galerie Weiss, Berlino Arras Gallery, New York Kunstverein, Brunsbüttel Museum für Neue Kunst, Friburgo (Orchestra-ombre I)
1985 Galerie Petersen, Tonone Chiesa di San Bernardo, Morimondo Atelierhaus Filderstraße, Stoccarda BBK, Friburgo 1986 Provinciaal Begijnhof, Hasselt Galerie Carzaniga & Ueker, Basilea Galerie Arge Kunst, Bolzano Brötzinger Art, Pforzheim Galerie Shirley Suckow, Ginevra
1991 Galerie Jeroch, Isernhagen Skulpturenmuseum Glaskasten, Marl (Orchestra delle ombre I)
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1992 Bock-Galerie, Aachen Galerie Terbrüggen, Heidelberg Galerie Carzaniga & Ueker, Basilea Galerie Löhrl, Mönchengladbach Kunstverein, Jena
1997 Skulpturenmuseum Glaskasten, Marl Landesmuseum, Magonza Elisabeth-Schneider-Stiftung, Friburgo Galerie Cismar, Amburgo Galleria Rino Costa, Casale Monferrato Galerie Grosse Bleiche, Magonza TOM Gallery, Tokyo Galerie Hoffmann, Friedberg Artco Galerie, Lipsia
1993 Galerie Wack, Kaiserslautern Galerie Petersen, Tonone Stadtgalerie, Brunsbüttel Kunstforum, Rottweil Galleria Rino Costa, Casale Monferrato Galerie Regio, Hugstetten/Friburgo
1998 Galerie Große Bleiche, Magonza Galerie Carzaniga & Ueker, Basilea Valmore Studio d’Arte, Vicenza Galérie Lara Vincy, Parigi Mönchskirche, Salzwedel Galerie Bertolotto, Dierdorf
1994 Kunstverein, Luneburgo Landesmuseum Magonza (Orchestra-ombre II) Galerie Große Bleiche, Magonza Galerie Löhrl, Mönchengladbach Galerie TOM, Tokyo Galerie Niji, Kyoto
1999 Städtliche Galerie, Friburgo (con I. Zuber) SFB Klanggalerie, Berlin (Muro sonoro) Goethe Institut, Toronto Goethe Institut Houston Städtliche Galerie, Lüdenscheid Galerie Spielvogel, Monaco Artco Galerie, Lipsia Klangturm, St. Pölten Kunstverein, Coesfeld (con G. Stirl e G. Terhuven)
1995 Galerie Ginrei Sha, Chiba Galerie Carzaniga & Ueker, Basilea Kunstverein, Hattingen Galerie Terbrüggen, Heidelberg Galerie Mori, Tokyo Art Forum Yanaka, Tokyo Childrens Castle, Tokyo (Muro sonoro)
2000 Galerie Kasten, Mannheim Kunstmuseum Alte Post, Mülheim (con G. Stirl e G. Terhuven) Galerie Wim Vromans, Amsterdam Galerie Wack, Kaiserslautern Skulpturengalerie, Waltrop Museum für Konkrete Kunst, Ingolstadt
1996 Galerie Wack, Kaiserslautern Siemens Galerie, Stoccarda Artium, Fukuoka Galerie Spielvogel, Monaco Galerie 17, Neumünster
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2007 Galerie Carzaniga, Basilea Galerie Wack, Kaiserslautern Fruchthalle, Kaiserslautern (Orchestra-ombre) Museum für Neue Kunst, Friburgo Galerie Spielvogel, Monaco Zehntstadel, Leipheim Kunstverein, Rüsselsheim
2001 Galerie Carzaniga & Ueker, Basilea Galerie Ruth Sachse, Amburgo Galerie Wosimsky, Gießen Galerie Lind, Villingen-Schwenningen Galleria Rino Costa, Casale Monferrato Galerie Gudrun Spielvogel, Monaco 2002 Goethe Institut, Montevideo Stadtmuseum, Monaco TOM Gallery, Tokyo Galerie Baumgarten, Friburgo Galerie Walzinger, Saarlouis Forum Kunst Rottweil (Orchestraombre III)
2008 Städtische Galerie, Bergkamen Galerie Open, Berlino Galerie Ruth Sachse, Amburgo Espace Gantner, Bourogne 2009 Galerie Lara Vincy, Parigi Kunsthalle, Sandviken Musée des Beaux-Arts, Besançon
2003 Galerie Lara Vincy, Parigi Denkmalschmiede Höfgen /Lipsia Ciaconna Studio, Lipsia (Muro sonoro/Performance)
2010 Galerie Spielvogel, Monaco Galerie Carzaniga, Basilea Galerie Vögtle, Karlsruhe Kunstraum Bernusstrasse, Francoforte Galerie Kasten, Mannheim Galerie Christian Mallet, Cotignac
2004 Carzaniga & Ueker, Basilea Scène Nationale d’Orléans, Orléan Galerie Spielvogel, Monaco Galerie der Stadt, Remscheid 2005 Galerie Wack, Kaiserslautern Domino-Haus, Reutlingen Galerie Jochen Höltje, Tubinga Galerie Kasten, Mannheim
2011 Städtische Museum, Heidenheim Galerie Baumgarten, Friburgo University of Brighton, Brighton 2012 Galerie Wack, Kaiserslautern Lydgalleriet, Bergen Kunstverein, Jena
2006 Galerie Baumgarten, Friburgo Bitforms Gallery, New York E-Werk, Friburgo (Orchestra-ombre III) Fischerplatz Galerie, Ulm Galerie Wosimsky, Gießen Bitforms Seoul Gallery, Seoul
2013 Galerie Lara Vincy, Parigi Galerie Kasten, Mannheim
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1981 Summit Art Center, Summit Guildford House Gallery, Guildford
2014 Galerie Baumgarten, Friburgo Galerie Spielvogel, Monaco Mediathèque, Strasburgo
1982 Partituren sind Handlungsanweisungen, Galerie Inge Baecker, Bochum SC 14, Knoxville, Tennesee Palais Palffy, Vienna
2015 Museum, Bayreuth Kunstmuseum, Stoccarda Espace Lézard, Colmar Akademie der Künste, Berlino MAAB Gallery, Milano
1983 Kleinplastik, Triennale, Fellbach Not suitable for framing, Art Gallery at Harbourfront, Toronto Ensemblia, Mönchengladbach Licht und Bewegung, Städtische Galerie, Lüdenscheid
Mostre collettive selezionate Selected Group Show Gruppen-Ausstellungen (Auswahl)
1984 Science into Art, Art Center, Summit Kunst und Technologie, Ministero Federale per la Ricerca e la Tecnologia, Bonn
1973 Grands et Jeunes d’aujourd’hui, Parigi Electronic Art, Copenhagen
1985 Vom Klang der Bilder, Staatsgalerie, Stoccarda Klangskulpturen, Städtische Galerie, Würzburg; Leopold-Hösch-Museum, Düren Multimedia, Kassel
1977 Electric Art of Europe, Toronto Elektronische Kunst, Kunstverein, Braun-schweig Artspace Gallery, Petersborough 1978 Winnipeg Art Gallery, Winnipeg 1979 Ars Electronica, Linz Otra dimensión, Galería Theo, Madrid
1986 Holomedia, Städt. Galerie, Karlsruhe Les machines sentimentales, Centre Georges Pompidou, Parigi
1980 Für Augen und Ohren, Akademie der Künste, Berlino Gal.Fabien de Cugnac, Oostende
1989 Science Art, Kawasaki Schattenorchester, Akademie Künste, Berlino
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der
1990 Schattenorchester, Wilhelm-HackMuseum, Ludwigsshafen Rijksmuseum Twenthe, Enschede T-Brain, Toshiba, Tokyo Images du futur, Montréal 1991 Artec’91, Nagoya, Giappone Multimediale, ZKM, Karlsruhe Les machines désirantes, Galérie Le Miroir d’encre, Bruxelles 1992 Rheinisches Musikfest, Mönchengladbach Taiwan Museum of Art, Taichung National Institute of the Arts, Taipei Zufall als Prinzip, Wihelm-HackMuseum, Ludwigshafen 1993 Interface, Amburgo Schattenprojektionen, Städtische Galerie, Oberhausen Bidart, Bergamo
1996 Confort Moderne, Poitiers Sonambiente, Accademia delle Arti, Berlino Art at Home, Copenhagen Emits Light, Moves, Makes Noises, Wakayama Art Museum, Wakayama, Von Kranichstein zur Gegenwart, Mathildenhöhe, Darmstadt Le Cirque de Paris, Parigi Cluster Images, Werkleitz Champions of Modernism, The Castle Gallery, New Rochelle, New York
2000 Hunterdon Museum, Clinton Art Museum, Akita e Fukui Resonancias, Fundación Pablo Picasso, Malaga
1997 Klangart, Osnabrück Dadaismo-Dadaismi, Palazzo Forti, Verona TOM Gallery, Tokyo
2003 Konkret-Konstruktiv, Galerie Neher, Essen Aspekte kostruktiver Kunst, E-Werk Hallen für Kunst, Friburgo
1998 Musée d’Art Contemporain, Lione Kunst begreifen, Marburg, Friburgo, Norimberga, Dannenberg Leipziger Jahresausstellung, Lipsia Centre d’Art, Hérouville/Caen
1994 Découvertes, Parigi Klingende Dinge, Castello di Ottenstein, Ottenstein Xebec Hall, Kobe
1999 El espacio del sonido, Centro Cultural Koldo Mitxelena, San Sebastian Music for Eye and Ear, Toronto Galerie der Stadt Remscheid, Boterhal Hoorn Vergangenheit ist heute, Kunstverein, Villingen-Schwennigen Ashikaga Museum of Art, Ashikaga Künstlerhaus Schloß Balmoral, Bad Ems
1995 Städt. Galerie Lüdenscheid Klangart, Osnabrück Klangskulpturen-Augenmusik, Ludwig-Museum, Coblenza Balance und Bewegung, Städtische Museum, Gelsenkirchen Flottmann-Hallen, Herne Badischer Kunstverein, Karlsruhe
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Experience Art, Art Center Friedrichstrasse, Berlino 50 Quadrat, Musée de Sens, Sens Körper, Leib, Raum, Skulpturenmuseum Glaskasten, Marl
2001 Kunsthalle, Darmstadt Städtische Galerie, Lüdenscheid
2006 50 Quadrat, Mondriaanhuis, Amersfort Sonoric Perspectives, Kunsthalle, Rostock, Germania; Kunstmuseum, Ystad Good vibrations, Kunstlicht in de Kunst, Eindhoven Kunsttage Schloss Dornum Sculptures Sonores, Oyonnax Körper-Leib-Raum, Städtische Galerie Bergkamen und Kunstverein Coesfeld Cybernetic Sensitivity, Daelim Contemporary Art Museum, Seoul
2002 Jenseits der Sprache, Galerie der Stadt, Aschaffenburg Sound Art, Centre de Cultura Contemporanea de Barcelona, Barcellona
2004 Scène Nationale d’Albi, Albi, Francia Ecoute, Centre Georges Pompidou Parigi Spaces for you, Miyagi Art Museum, Sendai Exposición audiovisueal, Facultad de Bellas Artes, Bilbao Champions of Modernism, Denise Bibro Gallery, New York Schwerelos, Kunstverein Reutlingen
2007 Raum und Zahl, Museum Kulturspeicher, Würzburg Soundwaves, Kinetica Museum, Londra Dans le sens du non-sens, Galérie Lara Vincy, Parigi Klangraum, Kunstraum 34, Stoccarda
2005 Logic Art, Le Gymnase, Besançon Die algorithmische Revolution, ZKM, Karlsruhe V Biennale d’Art Contemporain, Saint-Nom-la Bretêche Jahres-Ausstellung Landesverband deutscher Galerien, Karlsruhe Galerie Open, Berlino
2008 Sonic Perspectives, Nordische Botschaft, Berlino UP-BEAT, International Percussion Festival, Lugano Schwerelos, Galerie Netuschil, Darmstadt Haus der Kunst, Monaco
263
Bibliografia Bibliography Bibliographie
2009 STRP-Festival, Eindhoven Raumklänge, Pulheim Objektkunst-Kunstobjekte, Haus der Modernen Kunst, Staufen-Grunern
Hanne Weskott, Peter Vogel, Kybernetische Objekte, in “Kunstforum International”, 30 giugno 1978 Peter Vogel, Musik und Kybernetik, in “Teilton” n. 2, Bärenreiter, Kassel, 1978 Jürgen Morschel, Peter Vogel, in “Kunstwerk”, a. XXXII, n. 1, 1979 Tom Johnson, The Arts, in “Omni”, a. XXXII, n. 10, 1979 Suzanne Bowles, Peter Vogel, Cybernetic Objects, catalogo della mostra, New York, Arras Gallery, 1980 Peter Vogel, Kybernetische Räume, in “Kunstreport” n. 1, 1980 Wolfgang Heidenreich, Schattenspiele mit Einzellern, in “Trio”, 1981 Uwe Rüth, Peter Vogel, catalogo della mostra, Mülheim an der Ruhr, Galerie Slominsky, 1981 Axel Wenzel, Schattenspiele, in “Twen”, ottobre 1982 Gisela Fiedler-Bender, Peter Vogel, catalogo della mostra, Kaiserslautern, Pfalzgalerie, 1983 Sigrid Feeser, Peter Vogel, in “Kunstwerk”, a. XXXVI, n. 2, 1983 Peter Vogel, Musikautomaten und Klangmaschinen, in “Katalog Klangmaschinen-Wettbewerb”, Dornbirn, 1984 Peter Vogel, Kybernetische Objekte, in “Zyma”, n. 1, 1985, p. 17 Uwe Rüth, Zu Peter Vogels kybernetischen Objekten, catalogo della mostra, Basilea, Galleria Carzaniga & Ueker, 1989 Itsuo Sakane, Sensitive Art, in “Kagaku Asahi”, Tokyo, dicembre 1989 Francesca Zanetti, Peter Vogel, Partitura per un diodo, in “Images art & life”, n. 18, p. 14, 1991 Vera Gliem, Peter Vogel, catalogo della mostra, Aquisgrana, Galleria Bock, 1992 Tiziana Conti, Le sculture di suono di Peter Vogel in “Titolo”, a. IV, n. 14, 1993‘94 Peter Vogel, Kybernetische Objekte, “Interface”, n. 2, 1995 Thalia Uehlein, Peter Vogel, Kybernetische Plastik in der ästhetischen Erziehung der Realschule, in “Pädagogische Hochschule”, Friburgo, 1995 Eckhard John, Schattenmusik, in “Neue Zeitschrift für Musik” n. 3, 1997 AA.VV., Interaktive Objekte, eine Retrospektive, catalogo della mostra itinerante, Marl, Skulpturenmuseum im Glaskasten; Magonza, Landesmuseum; Friburgo, Schneider-Stiftung, 1997 Monica Bonollo, Suoni d’ombra, in “Virtual” n. 53, 1998 Martin Supper, Technische Systeme von Klanginstallationen, in “Handbuch der Musik im 20. Jahrhundert”, vol. 12, 1999 Nicoletta Torcelli, Klangspiele, catalogo della mostra, Ingolstadt, Museum für konkrete Kunst, 2000 Hanne Weskott, Maschine lebt, in “Süddeutsche Zeitung”, 19 giugno 2002
2010 Between the Fields, Galerie Skuc, Lubiana 5MM-Museum, Eindhoven Regionale, Kunstverein, Friburgo Gambiólogos, Belo Horizonte 2011 Sculptures plurielles, Villa Datris, L’isle-sur-la-Sorgue Cyberfest, San Pietroburgo Lydgalleriet, Bergen Rethinking Art & Machine, THE MUSEUM, Waterloo 2012 Sound Art, ZKM, Karlsruhe 2013 Good Vibrations – Kunst und Physik, Museum Pfalzgalerie, Kaiserslautern Bildhauerzeichnungen der Gegenwart, Dominikanermuseum, Rottweil URBAN SOUNDS, Haus für elektronische Kunst, Basilea 2014 Sound Surround, E-Werk, Friburgo
264
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Alfredo Torres, Clio Bugel, Encantamientos sonores, in “Breccha”, agosto 2002 Michael Klant, Grundkurs Kunst 4, in “Schroedel”, 2003, pp. 116-117 Javier Ariza, Las Imágenes del Sonido, “Editiones de la Universidad de CastllaLa Mancha”, Cuenca, 2003, pp. 154-155 Joachim Schneider, catalogo della mostra, Basilea, Galerie Carzaniga & Ueker, 2004 Wolfgang Heidenreich, Rede zum Reinhold-Schneider-Preis, in “Die fertige Hand” Modo Verlag, Friburgo, 2005 Hwang Yong-Yop, Romance between Art and Spectators: Peter Vogel, in “ArtPrice”, n. 9, Vol. 23, Seul, 2005 Jochen Ludwig, Peter Vogel, Christiane Grathwohl-Scheffel, Klang-BewegungLicht, Ein Werkbuch, catalogo della mostra, Friburgo, Museum für Neue Kunst, 2007 AA. VV., Peter Vogel, Partitions de réactions, Digione, Les presses du réel, 2009 Nye Parry, Kontext für eine Reise durch Zeit und Raum, in “Neue Zeitschrift für Musik”, marzo 2012, p. 62
Arte nell’architettura Art in building Kunst am Bau Foyer del municipio di Essen: Linzer Environment oggetto da parete musicale con otto fotocellule, largo 4 m circa, con altoparlante esterno Policlinico di Heidelberg: oggetto da parete musicale con cinque fotocellule e un altoparlante; oggetto schermo colorato da parete con 16 schermi colorati, reagisce al suono con combinazioni di colori diverse; torre musicale con reazioni sonore di musica minimalista, alta 100 cm, con 5 fotocellule e due altoparlanti Casa-scuola statale per disabili a Emmendingen/Wasser (distretto di Friburgo): oggetto schermo colorato da parete con una fotocellula, 16 schermi colorati, di 102 x 102 cm; scatola-oggetto da parete con reazioni sonore, luminose e di movimento, sei fotocellule, altoparlante, motori, magneti, lampadine e microfono, di 130 x 140 cm Scuola per disturbi comportamentali a Erbach/Odenwald: tre scatole musicali con 10 fotocellule, tre altoparlanti con tonalità alte, di mezzo e basse, di 188 x 30 cm, 178 x 30 cm, 167 x 30 cm rispettivamente Università di Kaiserslautern, facoltà di Informatica (1989): oggetto sonoro di 180 x 50 cm, con 3 fotocellule e 2 altoparlanti; oggetto luminoso con diodi luminosi e microfono, di 150 x 150 cm Foyer dell’ufficio circondariale di Villingen-Schwenningen (1991): trittico sonoro con 10 fotocellule, 6 altoparlanti, dietro plexiglas larghi ciascuno 200 cm Università di Treviri, foyer della facoltà di matematica e teologia (1992): torre-specchio alta 5 m e oggetto sospeso alto 2 m, 15 specchi rotanti e 150 diodi luminosi, un microfono Scuola “Johann Peter Hebel” a Gundelfingen (presso Friburgo) (1994): scatola con suono, luce e movimento di 120 x 120 cm, con fotocellule, microfono, altoparlante, motori e led Foyer dell’istituto “Max Planck” a Saarbrücken (1995):
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oggetto luminoso con reazioni sonore, oggetto da parete alto 20 m circa, con 300 led, un altoparlante, 2 microfoni, 1 Phz Sala degli sportelli e finestre della Cassa di risparmio di Francoforte sull’Oder (1996): oggetto sonoro e di movimento, largo 230 cm, 5 Phz, 5 motori, microfono e altoparlante esterno Istituto di matematica tecnico-economica di Kaiserslautern (1997): oggetto luminoso e sonoro in due scatole di legno con plexiglas di 200 x 30 cm, 2 Phz, un altoparlante, un microfono, led rossi e verdi Scuola statale per ciechi o minorati della vista di Ilvesheim (1998): oggetto luminoso e sonoro di 160 x 40 cm, con 2 Phz, led rossi, un altoparlante e scatola in legno nera Palazzo dell’amministrazione di Allianz Assicurazione al Treptower Park di Berlino (1998): 8 oggetti sonori, luminosi e di movimento in scatole di plexiglas di 40 x 100 cm, 60 x 60 cm, 60 x 80 cm
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Opere in collezioni pubbliche Works in public collections Werke in öffentlichen Sammlungen Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe, Germania Museum für Neue Kunst, Friburgo, Germania Winnipeg Art Gallery, Winnipeg, Canada Wilhelm Hack-Museum, Ludwigshafen, Germania Städtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco di Baviera, Germania Art Gallery of Western Australia, Perth, Australia Museo de Arte Moderna, Rio de Janeiro, Brasile Städtisches Museum, Gelsenkirchen, Germania Landesmuseum Wiesbaden, Sammlung Berger, Germania Staatsgalerie, Stoccarda, Germania Lütze-Sammlung, Sindelfingen, Germania Städtische Galerie, Karlsruhe, Germania David Bermant Foundation, Rye, Stati Uniti Museum of Electricity in Life, Minneapolis, Stati Uniti Skulpturen-Museum Glaskasten, Marl, Germania Haagse Gemeentmuseum, L’Aja, Paesi Bassi Pfalzgalerie, Kaiserslautern, Germania Städtisches Museum, Wolfsburg, Germania Regierungspräsidium Kanagawa, Yokohama, Giappone ZKM Museum für Gegenwartskunst, Karlsruhe, Germania Rijksmuseum Twenthe, Enschede, Paesi Bassi Städtische Galerie, Jena, Germania Museum für Konkrete Kunst, Ingolstadt, Germania Städtische Galerie, Lüdenscheid, Germania Electrum, Museum der Elektrizität, Amburgo, Germania IBM Science and Art Gallery, Tokyo, Giappone Wakayama Museum of Modern Art, Wakayama, Giappone Städtische Galerie, Villingen-Schwenningen, Germania Landesmuseum, Magonza, Germania Europäisches Patentamt, Monaco di Baviera, Germania Fundació Baruch Spinoza, Barcellona, Spagna Museum Kulturspeicher, Würzburg, Germania Joshibi Art Museum, Sagamihara, Giappone Museum Ritter, Waldenbuch, Germania Villa Datris, L’isle-sur-la-Sorgue, Francia Kunsthalle, Mannheim, Germania
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Attività musicali Musical activities Musikalische Aktivitaten 1953 Primi esperimenti con un registratore a nastro auto-fabbricato (collage sonori) 1965 Lavoro assieme al compositore Aghyris Kounadis (collage) 1966-70 Musica elettronica e musica concreta con effetti di loop e delay Musiche da scena (collage) per il teatro Wallgraben di Friburgo Musiche da scena per il Theaterlabor di Monaco 1968 Lavoro con Daniel Basi, inizio del gruppo di improvvisazione 1969 Composizione di “Raumspiel” (da un’idea di Thomas Lauck) 1975 “Musikalisch-kybernetisches Environment” (opera commissionata per il festival musicale di Donaueschinger) 1977 Prima performance di danza con il “Musikalisch kybernetischen Environment” alla biennale di musica di Zagabria 1980 Inizio degli esperimenti di “musica minimalista” con tape delay, sintetizzatore, pianoforte ecc. Prima performance con parete sonora assieme alla ballerina svizzera Christine Brodbeck in un concerto dell’Art Ensemble a Basilea 1982 Prime sculture di “musica minimalista” Inizio delle “Improvvisazioni poliritmiche” (registrazioni in studio)
1984-88 Concerti live con sintetizzatore, pianoforte e cetra, tape delay e live electronics: Kunsthaus di Zurigo, Koprod di Zurigo, Minimal-Music-Festival di Zurigo, Jazzhaus di Friburgo, Galleria Corinne Hummel di Basilea (con danza di Christine Brodbeck), Galleria Baumgarten di Friburgo, Kaufhaussaal di Friburgo 1986 Prima parete musicale di musica minimalista (scultura elettronica interattiva) 1989 Prima installazione sonora interattiva con strumenti acustici: “Kellerorchester” per la Galleria Giannozzo a Berlino, “Schattenorchester” per l’Accademia d’arte di Berlino 1992 Concerto live “Pendelmusik” alla Galleria d’arte di Basilea 2005 Concerto con Guillaume Chastel (batteria), Felix Borel (violino), Peter Vogel (live electronics) per la serie “Musik im Faulerbad” a Friburgo 2007 Concerto con Guillaume Chastel (batteria), Felix Borel (violino), Peter Vogel (live electronics) all’E-Werk di Friburgo Concerto con Rei Nakamura (pianoforte), Peter Vogel (live electronics) ai Tastentage di Leipheim. Concerto con Rei Nakamura alla Fondazione Schneider di Friburgo 2009 Concerto con Rei Nakamura, Espace Gantner, Bourogne 2010 Concerto con Rei Nakamura all’E-Werk di Friburgo Concerto con Rei Nakamura “ars nova”, Rottenburg 2011 Concerto con Rei Nakamura per il Festival dell’opera di Heidenheim 2012 Concerto con Rei Nakamura per la Fondazione Elisabeth Schneider di Friburgo
1983 Rappresentazione della composizione “Minimal Music Piece for 8 Players” al primo Zelt-Musik-Festival di Friburgo Collage di nastri sonori per il Theaterlabor di Monaco
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INDICE INDEX INDEX SAME IMPUT, DIFFERENT OUTPUT................................................Pp. 17 35 53 Alberto Zanchetta OPERE...............................................................................................................P. 71 WORKS WERKE ANTOLOGIA DI OPERE E TESTI..................................................................P. 127 WORKS AND OBJECTS ANTHOLOGY AUSWAHL DER WERKE UND OBJEKTE DISEGNI E PROGETTI...................................................................................P. 203 DRAWINGS AND PROJECTS ZEICHNEN UND PROJEKTE PROGETTI DI OPERE NON REALIZZATE..................................................P. 219 UNDONE WORKS PROJECTS NICHT AUSGEFÃœHRTE ARBEITEN UND PROJEKTE DOCUMENTI.................................................................................................P. 231 DOCUMENTS DOKUMENTE APPARATI.......................................................................................................P. 253 APPENDIX ANHANG
Questo catalogo è stato pubblicato in occasione della mostra “Peter Vogel. Ritmi Cibernetici” MAAB Gallery . Michael Biasi, Milano 2 ottobre – 20 novembre 2015 This catalogue was published on the occasion of the exhibition “Peter Vogel. Ritmi cibernetici” MAAB Gallery . Michael Biasi, Milan, October 2nd – November 20th 2015 Dieser Katalog erschien anlässlich der Ausstellung “Peter Vogel. Ritmi cibernetici” MAAB Gallery . Michael Biasi, Mailand, 20. Oktober – 20. November 2015 In copertina Cover Titel Peter Vogel, Tonkreisel (particolare), 2009, h cm 65 Testo di Text by Texte von Alberto Zanchetta Schede delle opere – Testi List of works – Texts Liste von Arbeiten – Texten Peter Vogel Redazione Editing Redaktion Gloria Franchi Traduzioni Translation Übersetzung Michael Haggerty - inglese, english, Englisch Elena Muzzo - italiano, italian, Italienisch Mia Prucker, Scriptum, Roma - tedesco, german, Deutsch Progetto grafico Graphic design Graphosche Gestaltung Massimo Dalla Pola Crediti fotografici Photo credit Fotonachweis Bruno Bani Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore All rights reserved. No parts of this book may be reprinted or reproduced or utilised in any form or by any electronic, mechanical or other means, now known or hereafter invented, any information storage or retrieval ystem, without permission in writting from the publishers Das Werk ist urheberrechtlich geschützt. Die dadurch begründeten Rechte, insbesondere die der Übersetzung, des Nachdrucks, der Entnahme von Text oder Abbildungen, der Funksendung, der Wiedergabe auf fotomechanischem oder ähnlichem Wege und der Speicherung in Datenverarbeitungsanlagen, bleiben, auch bei nur auszugsweiser Verwertung, vorbehalten
Finito di stampare nel mese di settembre 2015 a cura di Graphic & Digital Project Printed in September 2015 edited by Graphic & Digital Project Gedruckt im September 2015 Verleger Graphic & Digital Project
MAAB Gallery . Michael Biasi Via Nerino 3, 20123 Milano Riv. San Benedetto 15, 3539 Padova segreteria@artemaab.com | www.artemaab.com
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