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EDIZIONE PRIMAVERA-ESTATE

fondata da Arturo Gramsci

L'Arturità è una testata no-profit al servizio del @MovimentoArturo. gratuita, indipendente e autoprodotta, da stampare, riprodurre e diffondere a piacimento. Le posizioni riportate in questa testata non coincidono necessariamente con la linea ufficiale del movimento Arturo. Fate segnalazioni con hastag #arturità e daremo voce alle sezioni e dei militanti di base, a cominciare dall'edicola Quilly's di Senigallia (AN).

Anno 0 n.3 - Ciclostinato in proprio presso #MovimentoArturo - per elogi e pernacchie: arturita.info@gmail.com - facebook.com/lArturita - twitter.com/lArturita

Primarie Arturo: verso uno spoglio slow food, senza fretta e ansie da prestazione

"Su tutte le difficoltà riguardanti l'immigrazione, dico: prima l'accoglienza e poi affronteremo le difficoltà" Don Arturo Gallo

Ora e sempre accoglienza L'allegria dell'arturismo vince la paura: per noi uno straniero è una storia da raccontare, un barcone è un carico di umanità da portare a riva, una ONG è una istituzione benemerita e le uniche invasioni di cui abbiamo paura sono quelle delle formiche nella credenza coi Bucaneve. Se il nuovo Olocausto è quello che si consuma nel Mediterraneo, l'accoglienza è la nostra resistenza. LA SDRAIO

Arturo SERRA

Il cuore arturiano dell'Europa

Il cuore dell'Europa ha scelto il suo nuovo presidente, scartando Madame Populismo, Madame La Pena infinita di vedere i valori che la Francia rivoluzionaria ha dato al mondo rovesciati in una grottesca parodia. Quasi contemporaneamente, vengono a galla (come accade coi relitti, a volte coi corpi) registrazioni di alcuni anni fa, che ci raccontano – stavolta con l'obiettiva evidenza delle prove e senza “forse” – come andò, alla periferia dell'Europa, quell'11 ottobre 2013, quando il “servizio taxi” sul mare non funzionò, e dopo ore e ore nel mare in tempesta e malgrado le accorate richieste d'aiuto annegarono quasi trecento persone, tra cui 60 bambini. Ora, a noi Arturi – che di natura siamo empatici e portati a mettere assieme cose che per tutti gli altri sono inaccostabili (la nostra è la sinistra sentimentale e analogica) – viene in mente che queste due cose sono più connesse di quanto non sembri, e che probabilmente (che la parola “forse”, dopo l'uso sconsiderato che ne è stato fatto in questi giorni, non riusciamo proprio a scriverla) si dovrebbero invertire quelle due parole lì, quelle che abbiamo usato prima vicino ad “Europa”: cuore e periferia. Il cuore dell'Europa, se l'Europa ha un cuore, lo vorremmo vedere all'opera – oltre che a sospirare sulla storia d'amore dei Macron (che, per inciso, pure a noi sembra bella, e certo molto migliore del programma politico di Emmanuel) – anche sulle storie di morte che continuano ad affollarsi nella sua periferia, sotto i suoi mari, attorno ai suoi invisibili confini. Lì dove circolano quelle navi piene di volontari, lontano dai fotografi. Pensate, proprio lì, ogni volta che loro tendono la mano e salvano una vita dovrebbe partire – dal cuore dell'Europa – l’ “Inno alla gioia”. E ogni Madame Populismo dovrebbe essere un poco più lontana.

Lampedusa, capitale morale d'Italia

A Lampedusa continua la resistenza contro il lato oscuro del populismo, fatto di indifferenza, complottismo cattivista e stalking padano che affligge i campi di calcetto dei richiedenti asilo. Nel frattempo c'è chi sperimenta convivenze possibili, partendo dal principio che soccorrere chi affoga è un dovere e non un crimine. Il futuro del paese si gioca nel bivio tra speranza e paura, egoismo e accoglienza, ricchezza culturale e purezza etnica. Quanto a noi, abbiamo già scelto: siamo tutti Nicolini.

Arturarie, festa di partecipazione L'Arturità ha seguito le primarie di Arturo nel loro giorno conclusivo presso il “Comitato Centrale” allestito nel quartiere Prati a Roma. Puntate il vostro smartphone su questo QR-code e sarete catapultati nel videoreportage realizzato dai valorosi cronisti dell'Arturità per raccontare le primarie più solari, rilassate e coinvolgenti della nostra storia contemporanea. Una foto ricordo per chi le ha viste e soprattutto per chi non c'era.

La supposta giornaliera Nuovo presidente Cnel: Tiziano Treu che voleva abolirlo col referendum. È come se Adinolfi diventasse presidente dell'Arcigay.

Il capro espiatorio responsabile è @carlogubi. In redazione: @Cirocz3, @manginobrioches, @F_Iacubino, Loner.Zero, @micmenn, QuelloDiCave, vittoriasbuffa, Zizie. Credits: @movimentoarturo, @MovArturoSen, @salernosal, @MovArturo, @Chandra_Giu, @somethingblack, @charlizetherrun. L'Arturità è un gioco culturale no-profit, proprio come l'arturismo. Questo numero è dedicato a Giusi Nicolini, a Lampedusa e alle vittime della strage di migranti.


Cineforum Cara Maestra - Luigi TENCO

Una cosa che rimpiango del piccolo Arturino che ero è di non aver preteso di più, dalle maestre. Certo, ero un Calimero, che potevo saperne io? Ma se ora potessi con suprema arroganza chiedere loro di rimediare, direi: parlate di mafia. E chiaramente parlatene bene, quindi studiatela. Parlate degli anni che non ho mai visto andando oltre le quinte di scena di “Studio 1” e i sipari di Carosello. Come sarebbe stata la mia vita se avessi conosciuto prima le storie di Peppino Impastato, Rosario Livatino, Libero Grassi, Rita Atria, Boris Giuliano…? Ci sono oggi quasi mille nomi di

vittime innocenti, ma sono solo i nomi di quelle riconosciute. Prima di Pio La Torre ad esempio ce ne erano anche altre, di storie da raccontare, anche se non sapremmo come intitolarle. Cara maestra, raccontami di come il giornalista sia il mestiere più bello del mondo, e come lo sapevano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi in Somalia nel 1994. E che anche se non ci sono più erano fieri di questo mestiere, e dovremmo esserlo noi di loro, coscientemente, tutti i giorni (qualcuno lo dica a Taormina, che se noi lo incontriamo per strada finisce male, ma nel senso che ci mena lui, col suo aplomb gasparriano). Maè

Arturo CANNAVÓ

Arturo ARTUSI

ARTURCHEF

Stare alla guida del Paese è niente, se non sai stare ai fornelli del Paese. Parola di ArturChef (e di milioni di nonne meridionali). Per esempio, i carciofi ripieni. Che non sono una pietanza ma un'arte, una disciplina, un'etica. Come qualsiasi politica che si rispetti. Perché il carciofo, di suo, è una creatura difficilissima, inespugnabile. Uno che nemmeno andrebbe a votare, se non lo si persuadesse davvero. Così chiuso, spinoso, diffidente. Da pulire e levigare, e lavare di tutta quell'acqua amara che – dopo anni e anni di malgoverni e delusioni – si porta dentro. Acqua e limone, e pazienza, ci vuole. Acqua e opposizione, e pazienza. E mica basta. Che i carciofi, come certi elettori di sinistra (certi Arturi, diciamolo), hanno il cuore così gonfio di tristezze e disillusioni che devi scavare via tutta la paglia, la fibra, il dolore accumulato. Tutte quelle slide, e quelle mail che finivano con “un sorriso, Matteo”, e tutti quei “basta

(così chiamavo io la maestra), ma possibile che queste cose le devo scoprire sempre in ritardo? Queste non sono slow news, questo è proprio non avere nemmeno il 56k! Ché poi ci sono altri peccatucci, tipo scoprire i Pink Floyd (nel senso, per bene) dopo i vent’anni, ma quelli me li perdono da me. Perché è anche bello arrivarci dopo, con una storia che consegni in dono come fossi uno dei Re Magi, e loro pare quasi che te la stiano musicando seduta stante. Ma la storia no, cara maestra. Dammela tutta, il più possibile, il prima possibile, ché devo crescere, e diventare Arturo.

un sì” quando era evidente che, invece, noi carciofi e Arturi avremmo preferito che non bastasse così poco, che non fossimo così estromessi e passivi e ridotti a muti elargitori di sì. Come fanno i carciofi, che te li devi guadagnare foglia per foglia. Sostituire la loro paglia, la loro diffidenza, il loro sacrosanto disagio con mollica fresca e “cunzata”: olio, formaggio, prezzemolo, cura, dedizione, attenzione, ascolto. La sostanza nutriente e carboidrata che dovremmo chiamare “politica”, che è assieme formula e istinto,

strategia e passione. Ed è tutto un lavoro di togliere e aggiungere, scavare e riempire, alleggerire e farcire. E poi cuocere con attenzione, senza distrarsi, perché il carciofo è duro e delicato, resiste a tutto e sfiorisce in un attimo: come un Arturo. Ma i carciofi ripieni, se li sai fare, ti ripagano di tutto, come la democrazia, come la buona politica, come gli entusiasti delusi, carciofi e Arturi, che non aspettano altro. Darsi, mostrare il loro invincibile, tenero cuore.

È più forte Rivera o Mazzola? Questa è la domanda che continua a tormentare gli italiani ancora oggi. Gianni e Sandro componevano la tipica, e forse piu famosa, staffetta della storia della nazionale di calcio italiana. Tempo fa erano lì, in campo, finalmente assieme, sul palco di “Che tempo che fa”. Gianni e Sandro, due figure simbolo del calcio italiano nonché icone romantiche di passione e attaccamento ai colori sociali per una squadra sempre più in disuso. Sappiamo bene quanto a noi arturiani piacciano certe figure così radicate e attive a difesa di un ideale o di un amore. Ad un certo punto il “Golden boy” di Alessandria inizia a ricordare il suo maestro Nereo Rocco, indimenticabile allenatore che con il suo Milan ha vinto tutto. Tante bellissime ed entusiasmanti parole su di lui ma una più di tutte mi ha colpito: Nereo è stato il pioniere di quello che nel

calcio si chiama oggi “fare spogliatoio”. Si cambiava con noi, mangiava con noi e spesso in campo, durante gli allenamenti, ci chiedeva come andasse con le nostre mogli o fidanzate. Evidentemente “El paròn”, come sin da subito venne rinominato, sapeva bene come l’unità e la collaborazione fossero indispensabili per vincere, sul campo e nella vita. Ecco quello che è sempre mancato alla sinistra in Italia: lo spogliatoio. Quel posto magico dove si condividono insieme gioie e dolori, vittorie e sconfitte. Sempre uniti, sempre assieme. Un’unione di intenti dove sono rigorosamente vietate esaltazioni individuali per una vittoria e fughe dopo una sconfitta. Se c’è qualcosa che il Movimento Arturo deve e ha le capacità di fare, è proprio questo: unire. Solo in questo modo si puo diventare davvero una famiglia e una squadra, finalmente, compatta e vincente.


Cento passi non bastano

Arturo GRAMELLINI IL CRODINO

Maggio è un mese importante per chi come noi fa della politica e della partecipazione un vanto e un dovere. Non può che essere un mese politico, annunciato dal 25 Aprile e aperto dal Primo Maggio – Feste della LIBERAZIONE e dei LAVORATORI, a scanso d'equivoci – un mese di canzoni e di lotte. È un mese di ricorrenze importanti, come quella di oggi, 9 maggio. Le istituzioni, giustamente, istituzionalizzano, e spesso accorpano, ammucchiano e purtroppo confondono. Oggi ricordiamo Aldo Moro e Peppino Impastato,

i cui corpi vennero ritrovati a Roma e a Cinisi il medesimo giorno del medesimo anno, uno vittima del terrorismo brigatista l'altro del potere mafioso. Le giovani generazioni, grazie anche alle associazioni, ai film e alle canzoni, hanno imparato a conoscere meglio il personaggio di Peppino, dei suoi “Cento Passi”, dei suoi proclami in radio e delle sue lotte per la legalità. Ma guardando un bel quadro spesso se ne dimentica la cornice. E noi che in quel periodo c'eravamo, sappiamo che la cornice a questo bel quadro di partecipazione è fatta della cultura dell'insabbiamento, della mano che lava l'altra, del “si sa ma non si dice”. E in

questo i due personaggi, pure così diversi, di Aldo e Peppino, trovano qualcosa in comune. Nella cultura tutta italiana del non detto, degli omissis, del “non si poteva fare nulla”. Aldo e Peppino hanno dimostrato come il Potere, quando diventa scopo e non servizio, colpisce a tutti i livelli, sia i “poveri cristi” siciliani, sia i presidenti dei grandi partiti. Ed è per questo che cento passi non bastano e non basteranno mai. Perché il cammino per la verità è tortuoso e quasi tutto in salita, è faticoso, ma di quella fatica che pesa meno se condivisa. Peppino ci ha dato un incipit importante, lui ha percorso per noi i primi cento passi, ora sta a noi tutti percorrere il resto della strada.

Leggi e fai leggere l'Arturità: il quotidiano che non esce tutti i giorni, l'organo di partito senza partito, la testata finta che vi racconta cose vere, l'informazione gratuita che non ha prezzo. www.arturita.com - @lArturita - 06916504836 DIARIO DI UN ARTURO È stata approvata nei giorni scorsi la proposta di legge sulla legittima difesa. Secondo il testo sarà considerata tale la reazione ad un'aggressione in casa (o in negozio) “commessa in tempo di notte”. Fermo restando che la legge in sé ci pare assurda, vogliamo soffermarci su quest'ultima parte (“in tempo di notte”) per sottolineare ancora una volta l'ambiguità di una certa parte politica. Determinare che la difesa sia legittima solo in una specifica fascia oraria, vuol dire creare una zona franca (la notte) in cui declassare alcuni valori. In primis quello della vita. Che di notte avrebbe un valore minore rispetto al giorno. Perché di notte si può essere Mr. Hyde, abbandonando i buoni principi più o meno praticati di giorno (come il personaggio del romanzo di Stevenson dalla doppia personalità), e si può anche sparare (e magari uccidere). Questa, in fondo, non è altro che la metafora (o la sindrome) di una parte del centro-sinistra oggi in Italia, che di giorno combatte e si oppone alle forze populiste mentre di notte cerca di

Arturo MOLESKINE indossarne i panni e di imitarne le urla. Una forma di schizofrenia politica, come in questo caso. O come quando parlava di tagliare la “casta” del Senato o nascondeva bandiere dell'Unione Europea dalle inquadrature. Tutte le volte che il centrosinistra ha provato ad indossare i panni delle destre populiste, prendendo scelte “Sales Oriented”, ha perso. Credibilità e consensi di chi, come in questo caso, pensa che non sia possibile costruire sicurezza armando i cittadini. E crede, anzi, che questo rappresenti solo l'anticamera del “Far West”, dove il concetto di giustizia rischierebbe, diventando soggettivo, di venir meno. E ci sono esempi in giro per il mondo che confermano questa corrente di pensiero. Uno fra tutti è quello degli Stati Uniti. Gli americani infatti, nonostante siano tra le popolazioni più armate al mondo, hanno un tasso di rapine ben tre volte superiore al nostro (per non parlare del tasso di omicidi). Quindi, dati alla mano, la possibilità di farsi giustizia da soli non rappresenterebbe un deterrente per chi commette

questi reati. Anzi, incoraggiando politiche che vanno in questo senso, diminuirebbe ulteriormente la sensazione di sicurezza dei cittadini. Vi sentireste, infatti, più tranquilli sapendo che il vostro vicino di casa (a cui magari ogni tanto occupate il posto macchina) è armato? Per questo motivo, forse, bisognerebbe cercare altrove la soluzione al problema della sicurezza, magari agendo alla radice. Ad esempio aiutando le periferie dove emergono sacche di povertà sempre più ampie, creando i presupposti per una maggiore occupazione giovanile, investendo in cultura, nelle scuole e combattendo l'emarginazione sociale. Insomma basterebbe avere il coraggio di fare scelte di sinistra per creare un Paese più sicuro. Per questo anche noi Arturi (che siamo per natura pacifisti) abbiamo deciso di armarci e l'abbiamo fatto, ancora una volta, di pazienza, nell'attesa che la sinistra torni ad essere Dr. Jekyll a tempo pieno, e la smetta di travestirsi, “nottetempo”, da Mr Hyde.

TEMPI SURREALI “La democrazia non dura a lungo. Ben presto si esaurisce, diventa un rifiuto e uccide se stessa. Non esiste democrazia che non commette suicidio”. Lo diceva John Adams, secondo Presidente USA, nel lontano 1814. Quando vanità, orgoglio, avarizia e ambizione prendono il sopravvento, neanche la democrazia è in grado di tutelare la libertà. I primi 100 giorni di The Donald sembrano dare ragione ad Adams. La democrazia americana, per volere dei suoi elettori e per mano del Presidente, si sta suicidando: potere giudiziario denigrato, acquisto di armi semplificato, muri in costruzione, leggi razziali per limitare l’accesso al Paese. E poi ancora un fisco amico dei multimilionari, assunzioni per cognome, verità alternative, giornalisti cacciati dalla Casa Bianca, elogio di governi autoritari, bombe, minacce e ancora bombe. Dobbiamo lasciare ogne speranza noi ch’intriamo? La risposta è nel 29 Aprile 2017. Il suo centesimo giorno di Governo, Trump è accerchiato e senza vie di fuga. Dietro di sè il Venticinque Aprile, con i suoi (nostri) Partigiani a ricordargli – insieme al nostro Genio – che non esiste esercito più forte di quello che combatte per permettere a tutti di “affermare liberamente ciò che vogliamo”.

Arturo ZUCCONI Davanti a lui il Primo Maggio, con i suoi (nostri) lavoratori a ricordargli che le catene non nobilitano l’uomo, che la democrazia non è fondata sulla schiavitù, che c’è ancora chi alla mobilità preferisce la mobilitazione. Alla sua destra il Primo Emendamento, con la sua (nostra) libertà di stampa e di parola. Il 29 Aprile Trump ha boicottato la tradizionale cena dei Corrispondenti dalla Casa Bianca che da quasi 100 anni celebra la libera informazione. Quest’anno il Primo Emendamento ha mangiato da solo, ma a strozzarsi è stato Trump. Alla sua sinistra il nemico pubblico numero uno, il Movimento Arturo con le sue (nostre) Primarie. Il 29 Aprile siamo scesi dai Monti Asoloni, usciti dalle tante sezioni sparse per il mondo, raccolto migliaia di amici e compagni a Lampedusa, Mugla, Calais, Lesbo ed insieme ci siamo raccolti al fianco di Trump. Lì abbiamo gridato, “Viva la Resistenza!” Lì abbiamo urlato, “Viva la Libertà!” Lì abbiamo pronunciato le parole capaci di mobilitare l’esercito più forte. Lì, in quel 29 Aprile, il Movimento Arturo ha fatto vedere al mondo che salvare una democrazia suicida si può. Basta #RestareArturi.


Artura DE GREGORIO

#ILNOSTROPOSTO

Notizie dai circoli

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Sono una ragazza del profondo sud-est, precisamente di Monopoli, che ha studiato Giurisprudenza d’impresa in Bocconi a Milano. Sono scappata a gambe levate da quel posto, dove ho visto pochi umani e tanti automi, per tornare (tipo fuga all’inglese di Paolo Conte) nel posto dove sono nata e cresciuta... con un sogno dentro. Ho provato a fare “la giurista”, per tre anni mentre dentro di me borbottava, tipo pentola a pressione, la necessità di scrivere. “Non ti hanno mai dato un centesimo per fare l’avvocato… figurati se volessi cambiare strada e utilizzare la scrittura comunicativa per vivere”, questa è la frase che ho sentito per mesi, diventati anni, quando comunicavo le mie necessità. Dopo 7890 curricula mandati (così segnala LinkedIn), in Italia ed all’estero, una sola azienda polacca mi vuole

assumere come legal assistant. Devo essere felice, no? Eppure quello stesso giorno straziata dalla voglia di lavorare nella comunicazione e dalla “non voglia” di dovermi trapiantare dall’altro capo dell’Europa, perché l’Italia ed il sud non mi vuole, scrivo una mail a svariate agenzie di comunicazione... a cuore aperto... quasi me lo stessero trapiantando. Ho detto che se cercavano qualcuno creativo (come dicevano in tutti gli annunci), che si spremesse per loro in favore di un’idea, io mi proponevo a loro per imparare umilmente e rinascere creativa. Alcune (anche multinazionali) mi rispondono, colpite, ma la risposta sottintende sempre: “E’ necessaria una laurea specifica, è necessario questo, quello.” Alla risposta, pronta, assumimi e dammi la possibilità di studiare di notte e mettermi alla prova di giorno, ridono... ancora colpiti, ma continuano a fare

la loro beata vita. Allora se nel settore legale le aziende, al sud, non ti cagano, al nord ti rispondono che sei tornato a sud e sei poco “skillato” tranne se non hai 110elode, 3 master e non sai il mongolo... quindi butti tutto e segui i tuoi sogni, nel mondo del creativo, dove uno stage per testare la creatività presuppone una laurea in marketing, esperienza, conoscenza perfetta di tutto quello che significa il mondo della pubblicità... mi chiedo: dove finirà la nostra creatività? Dove finirà il talento italiano? Quando si mandano tutte quelle mail per avere una chance, una risposta, tutte quelle parole dove vanno a finire?! Se mi rispondessero che le stampano e ci fanno dei coriandoli per carnevale o delle resistenti tovagliette di carta… sarei davvero felice. Scusa lo sfogo, ma voglio delle risposte a trent’anni..

CinemArturo

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Ci sono corpi sfruttati al punto da sembrare staccati da emozioni e sentimenti che sicuramente li abitano, avulsi dai pensieri che pure ne muovono la direzione, che sia fuga o pura inerzia. Ci sono corpi che ritornano in patria in sacchi di plastica senza neanche essere arrivati a destinazione ma ugualmente sfruttati, anche solo nel tragitto. Ci sono corpi che hanno la fortuna di arrivare a destinazione e venire sfruttati dopo. Ogni pezzo della vita di Saartjie Baartman è storia. E la parola pezzo non è casuale. La vicenda di Saartjie in terra europea è stata raccontata nel film Vénus noire di Abdellatif Kechiche (il regista di Cous Cous e La vie d’Adèle). Si tratta di una storia di soprusi che, per quanto perpetrati ai danni di una donna singola, acquisisce valori e significati plurali. Saartjie viveva in Africa facendo la serva nella casa di un uomo che a un certo punto per sfruttare le sue forme esotiche (volendo anche grottesche per

l’europeo), imbastì con, o meglio, su di lei uno spettacolo da circo. E dopo di lui, peggio di lui, un altro sfruttatore la utilizzò come divertissement erotico per borghesi annoiati, letteralmente fino alla morte. Vi consigliamo di scoprire questa storia attraverso il film senza farvi spaventare dal fatto che duri più di due ore: fanno male ma passano in fretta. In questi giorni ci è sembrato che il tema del corpo fosse importante per la violenza del concetto che esprime, perché il corpo è la fondamentale manifestazione di espressione della libertà di un individuo. Il corpo è l’unica cosa di cui davvero ogni individuo dispone, che gli appartiene, con le idee, le emozioni, il passato. Sì, ci sono anche la parola e il diritto di espressione, ma in loro assenza? Facile sostenere che un abuso riguardi solo il corpo, non certo l’anima. Poter scegliere per il proprio corpo, durante o

Arturo G. FAVA dopo la vita, è in ultima analisi quello che rende l’individuo libero. Chi trasporta fuggitivi su una barca sposta corpi, ormai di sua proprietà perché già pagati, e si dimentica delle anime. Come chi sfrutta un corpo come quello di Saartjie sostenendo che lei sia in grado di separare il gioco dalla vita, la recitazione dalla realtà. Studiato, sezionato, sfruttato anche da morto, il corpo di Saartjie è alla fine tornato in patria, anche se solo nel 2002. Come il suo, corpi che rientrano, corpi che sfuggono ai conti, corpi trascinati o abbandonati. Il rientro non è mera ritualità o forma, è rispetto e garanzia di umanità.


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