boscarol paz
se ci leggi e’ giornalismo, se ci quereli e’ satira
Anno III. Numero 1/2011
stampato in proprio a cura di
Mamma!
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In questo numero: Africa e Follia NEL PAGINONE CENTRALE GRAFINCHIESTA DA STACCARE E CONSERVARE!
bartolini mirra
zurum
bonaccorso
pinna
careddu storai fenoglio
flaviano burns
kanjano
gado
scalia
MAM ! MA
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56 pagine! Abbondiamo!
MATITE: biani - cascioli - magnasciutti - allegra - fabbri - pv - baraldi bertolotti de pirro - spataro - vincino - ellekappa - (...) -
PENNE: orioles - gubitosa - bomprezzi - nazzaro - frau - marrone acquaviva - waxen - ricciotti ricciotti- vicari- flyfra - fraus. FOTO: fraschini koffi-copertini-discepoli
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Follìa. Mauro Biani
Cantiere aperto, anzi apertissimo “L
a satira ai quattro formaggi vi dà appuntamento in autunno, quando avremo deciso se uscire in edicola, online, sulle foglie cadenti o sul retro delle cambiali. Buon precariato a tutti!” CosÏ salutavamo i lettori nell’agosto 2008, quando i compagni di “Liberazione” chiudevano d’autorità l’inserto “Paparazzin”, che ha fatto da palestra, laboratorio, incubatrice e brodo di coltura per questa rivista. Oggi la storia si ripete, e dopo aver onorato l’impegno con i nostri lettori grazie a questo numero che chiude il primo ciclo di “microabbonamenti” abbiamo davanti un futuro nebuloso, ma anche stimolante e ricco di sfide. L’unica cosa certa è che ce la metteremo tutta per dare sfogo alla nostra passione di scrivere e disegnare. In questo caos creativo ab-
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biamo all’orizzonte una collana di libri dove bruceremo i pochi risparmi che abbiamo (un paio li presentiamo proprio in questo numero), eventi e iniziative per affermare il ruolo del giornalismo a fumetti nel panorama editoriale, l’impegno di uscire più spesso con numeri più agili. Per restare senza padrini e padroni, ripartiamo da zero assieme a voi: partecipate alla nuova raccolta di “microabbonamenti” descritta in coda a questo numero, e scriveremo assieme nuove pagine di giornalismo satirico a fumetti.. In mezzo a questo cantiere aperto possiamo comunque fare dei bilanci: siamo ancora vivi, e siamo rimasti in piedi per tre numeri, senza pubblicità, senza padroni, senza vip e senza folle oceaniche alle spalle. Solo una redazione e i suoi lettori. E’ lo
spirito del primo “Rocky”, un pugile che veniva dai bassifondi e non ambiva a diventare campione del mondo. Voleva restare in piedi fino all’ultimo round, gli bastava perdere senza cadere. Anche noi siamo riusciti a stare dritti fino al terzo e ultimo round di questo primo ciclo di Mamma!, e nonostante le botte e la fatica siamo felici per questa impresa editoriale. Come Rocky con Adriana, anche noi possiamo gridare con orgoglio che ce l’abbiamo fatta. E adesso che ci siamo trovati, non perdiamoci di vista. Passate parola, abbonatevi, richiedete i nostri libri e aiutateci a risalire sul ring per tirare qualche altro cazzotto ai giganti della carta stampata. Buona lettura e Buona vita. Carlo Gubitosa
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Ciao Francesco, hai vinto la tua battaglia con la vita I
l 22 agosto Francesco Cascioli ha vinto la sua battaglia con la vita. Una battaglia durata 57 anni, interamente impiegati a dare un senso vero e pienoal tempo che gli è stato dato da vivere. Una battaglia vinta perché Francesco non si è mai lasciato tentare dai demoni del denaro, del successo, della celebrità, del vippismo, ma ha sempre e incessantemente lavorato dietro le quinte con il sorriso sulle labbra, con la voglia di divertirsi e divertire sentendosi vivo e libero, con l’istinto irrefrenabile di seguire le proprie ispirazioni, di inseguire ogni farfalla che svolazzava nella sua fantasia con un retino fatto di curiosità e intelligenza. Un uomo che non ha fatto la storia, ma che ha arricchito tante storie di vita con la sua grande umanità che lo ha reso capace di farci sorridere e riflettere anche sugli aspetti più seri e cupi dell’esistenza, perfino sul primo infarto che lo ha colpito nel 2007, una disavventura che lui ha trasformato in un appassionante e divertente racconto sulla“cardiologia vista con gli occhi di un paziente”. Francesco era una persona talmente ricca che era impossibile smettere di conoscerlo. Alcuni hanno conosciuto questo grande artista
come autore televisivo, esperto di formazione e consulenza aziendale nell’ambito delle nuove tecnologie, illustratore editoriale, appassionato di letteratura e analisi del testo, fotomontaggista de “Il Male”, scrittore di libri umoristici. Parlando personalmente, io l’ho conosciuto ben quattro volte. La prima volta l’ho conosciuto come sceneggiatore di fumetti quando ero studente negli anni ‘80, e il suo “Ciacci” realizzato a quattro mani con il grande Bruno D’Alfonso è diventato il mio idolo da adolescente, il racconto che ha condito con allegria gli anni del mio diploma. La seconda volta l’ho conosciuto come pioniere del ciberspazio, quando mi affacciavo su internet a metà degli anni‘90, e la sua mailing list di barzellette “Il Palo”è stata per molti anni il primo e il più grande contenitore di umorismo disponibile in rete, con
Dalle pagine de "Il Male" a quelle di Mamma! , passando per "Linus" e tanta ottima satira italiana, Francesco Cascioli ha arricchito con fantasia, curiosita' e intelligenza Francesco che regalava a centinaia di persone barla sua vita e quella di zellette, battute e occasioni per sorridere. La terza volta l’ho conosciuto come appassionato di chi lo ha incontrato “filatelia autarchica”, quando l’ho coinvolto nel mio libro “Elogio della Pirateria” per raccontare le surreali disavventure giudiziarie che lo hanno colpito. Il suo “crimine” era l’irrefrenabile fantasia che lo ha spinto a produrre francobolli inventati, come il mitico francobollo nero sul bicentenario dell’eclissi totale, trasformato in un “corpo del reato”, solo perché i postini erano abbastanza fessi da credere che fosse
vero, e inoltravano senza problemi le lettere con i francobolli di Francesco, anche quelli più improbabili. Il più grande sberleffo alla cupa seriosità dei francobolli ufficiali fu la sua piena assoluzione perché il fatto non costituisce reato: inventare francobolli inesistenti non è un crimine, la legge punisce solo chi cerca di copiare quelli veri, che Francesco trovava insopportabilmente brutti. La quarta volta l’ho conosciuto come amico e collega, quando su mio invito si è unito con l’entusiasmo di un ragazzino al gruppo fondatore della rivista Mamma!, regalandoci le sue vignette geniali firmate con lo pseudonimo “Pacesco” e
realizzate in collaborazione con l’altro “Mammifero” Paolo Moriconi, a testimonianza del grande amore di Francesco per il gioco di squadra e la sua allergia agli atteggiamenti da primadonna che tanto male hanno fatto alla satira“ufficiale”. Come omaggio a Francesco, Paolo ha continuato a usare questo pseudonimo anche per le sue vignette individuali, e ci auguriamo sinceramente che continui a usarlo per mantenere viva l’eredità artistica di questo grande campione della fantasia, che ha lasciato il mondo con più sorrisi di quanti ne aveva quando ci è arrivato. Siamo onorati di averlo avuto come collega e complice sulle pagine di questa nostra rivista che in fondo gli somigliava molto: grazie al suo esempio, per dire qualcosa di nuovo a chi ci legge abbiamo cercato la massima qualità in quello che facciamo e la massima umanità in quello che siamo. E’ l’unico modo per non essere sconfitti dalla vita. Ciao Francesco, chissà che cosa ti starai inventando dove sei adesso. Carlo Gubitosa
Omaggio di Marco Pinna a Francesco Cascioli.
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CAMPIONI P
« alla al centro per Muller. Ferma Scirea. Bergomi. Gentile... evviva! E’finita! Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del mondo!!!». Ecco. questa sarebbe la mia Italia, ai tempi di Pertini. «E’finita, è finita... Non c’è niente da fare...». E questa sarebbe la vostra, ai tempi di Berlusconi. Mi dispiace per voi, sinceramente. Magari non è colpa vostra, ma le cose stanno così, mica Berlusconi me lo sono scelto io. Noi avevamo Pertini, e voi avete Berlusconi. Questa è la prima differenza. Noi vincevamo la coppa, e voi perdete con la Slovacchia. Noi avevamo un’Italia, e voi non ne avete più.
odontotecnico che nel tempo libero giocava anche a pallone. Era tempo di politici ladri e di allenatori cialtroni, di operai senza neanche il diritto di andare a cagare al cesso e di Agnelli che mandava i soldi all’estero. Ma poi arrivò il sessantotto. Dieci anni di (quasi) liberi tutti e, fra l’altro, di grandiosa Italia sui campi del pallone. Il diciannove giugno del ‘70 - nel pieno di una lotta metalmeccanica - arriva Italia-Germania 4 a 3: Facchetti, Riva, Rivera, il Popolo Italiano. Che altro, dopo Tolstoi e l’Iliade, che altro dopo questo? Dieci anni di palla lunga e pedalare, di azzurri operai e rocciosi che vincono, che perdono, che non si arrendono mai. L’Italia-Francia di Prodi, molti anni
dopo, non è che un ritorno tardivo di questo Bildungsroman italiano; non solo nel pallone. E ora? Ora so’ cazzi vostri, amici miei. Hai voluto la non-Italia? Pedala. La non-Italia sta nel girone del Paraguay, della Nuova Zelanda e compagnia bella. In Nuova Zelanda, però, non succede che la Nuova Zelanda del Nord se la prenda con la Nuova Zelanda del Sud; e non ci sono più cannibali, e non ci sono mai stati mafiosi. Riccardo Orioles
Noi - il giorno dopo la partita - tornavamo in fabbrica a lavorare. Voi se domani volete tornare in fabbrica ve ne dovete andare in Cina, perché oramai le fabbriche le hanno messe lì (al massimo vi fanno fare i cinesi a casa vostra, come a Pomigliano: ma sempre di Cina si tratta). Noi, dieci minuti dopo la partita, riempivamo di strombazzamenti non solo Milano e Napoli, ma anche Colonia e Zurigo, perché eravamo emigranti e ne eravamo fieri. Voi, quando vedete un emigrante, vi storcete la faccia e diventate feroci. «Rossi! Scirea! Bergomi! Scirea! Tardelli! Gol! Gol! Tardelli! Raddoppio! Tardelli! Uno splendido gol di Tardelli! Esultiamo con Pertini! Due a zero, Tardelli ha raddoppiato! » «Ultimi con Nuova Zelanda, Slovacchia e Paraguay... Meglio andare a casa». Un’Italia così - come la vostra e quella di Berlusconi - a dire la verità c’era già stata, in Corea due anni prima del sessantotto. Anche allora, partiti vanagloriosi e pimpanti, fummo sbattuti fuori da una sconosciuta Corea: il giustiziere, quello che ci segnò il gol decisivo, fu un certo Pak Doo Ik, un
Mamma! numero 5
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La Somalia sta impazzendo B
In una nazione sconvolta dalla guerra, sono pochissime le ONG che si occupano di salute mentale Foto e testi di Matteo Fraschini Koffi
OSASO, Puntland/Somalia – Per qualche secondo il viso di Yusuf trova rifugio tra le sue mani, per poi riemergere con un’espressione quasi rassegnata. Padre di un ragazzo affetto da schizofrenia e frequenti attacchi epilettici, Yusuf dovrà ritornare il giorno dopo a prendere le medicine per il figlio, poiché per via delle scorte decimate, ogni cliente deve attenersi a un turno regolato. Ma quello che in Occidente potrebbe sembrare un periodo relativamente breve da passare senza i farmaci dovuti, in Somalia può risultare fatale per il paziente e la gente che gli sta attorno. Soprattutto in casi di patologie psichiche, spesso cu-
rate con metodi tradizionali, oppure non riconosciute e stigmatizzate. “Quasi tutti hanno un parente che rientra nella sfera della salute mentale,” conferma il dottor Abdikadir Kalif Ali, direttore del dipartimento di salute mentale all’ospedale generale di Bosaso, “Sono tante le famiglie convinte che le patologie mentali non possano essere curate, e quindi si limitano a isolare il malato sperando che prima o poi si calmi”. Sebbene non si abbiano cifre attendibili riguardo all’esatto numero di malati mentali in Somalia, le autorità stimano che quasi metà della popolazione somala ne sia affetta. La cittadina portuale di Bosaso, capitale commerciale della regione semi-autonoma del Puntland, è un rovente vortice di sfollati somali che scappano dalla guerra, rifugiati etiopi che si rifugiano dalle carestie, e richiedenti asilo provenienti da vari Paesi tra cui la Repubblica democratica del Congo e persino la Mauritania. Questo enorme fardello di storie tragiche fa pressione su dei civili affaticati e frustrati, tanto fisicamente, quanto psicologicamente. Per i disperati che s’insediano
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alla periferia di Bosaso, sparsi in ventisei campi profughi (che secondo l’Onu ospitano più di 28mila civili), non resta che costruire dove si può capanne fatte di stracci e cartoni trovati nelle discariche a cielo aperto. Sono poche le organizzazioni non governative (Ong) che, malgrado la pericolosità di questa regione, hanno iniziato dei progetti per distribuire cibo e costruire un minimo di infrastrutture. Ancora meno, invece, sono le Ong che si occupano di salute mentale, una sfera importante della sanità che, specialmente riguardo alla crisi somala, dovrebbe essere una delle fondamentali ragioni d’intervento per curare milioni di cittadini nati e cresciuti in guerra. L’organizzazione non governativa italiana del Grt, Gruppo per le relazioni transculturali, dal 2003 si occupa infatti dell’unico dipartimento di salute mentale in tutto il Puntland: “Soprattutto all’inizio, era dav-
vero impressionante entrare a contatto con queste storie, individuali, ma anche collettive, poiché riguardano le tristi condizioni di un intero paese”, afferma Massimiliano Reggi, psicologo-antropologo del Grt e fondatore del dipartimento nell’ospedale generale di Bosaso. “Per la maggior parte erano violenti storie di migrazioni e spostamenti, dentro e fuori della Somalia, ma c’erano anche racconti di guerra, la fuga dalla capitale Mogadiscio, e gli arrivi a nord, dove molte persone sono legate da vari gruppi clinici”. Sia la comunità ospitante sia quella arrivata negli anni, hanno diverse sfide da affrontare ogni giorno, sfide che spesso si tramutano in tragedie. Verso la fine di giugno, dopo un incendio che aveva ucciso un bambino e bruciato circa 500 capanne fatte di stracci e cartoni, agli sfollati del campo Shabele non restava che ricostruire quel poco che possedevano prima di essere completamente distrutto dalle fiamme. Incendi di questo genere avvengono ogni settimana alla periferia di Bosaso, uno dei luoghi più caldi della terra. Nel dipartimento di salute mentale, fin da quando il Grt l’aveva aperto, i pazienti arrivano addirittura da Galkayo, strategica città somala 800 chilometri più a sud, nonché da zone molto rurali, persino dall’Ogaden, regione etiopica in cui risiede una grande comunità di somali. Il passaparola aveva portato a Bosaso centinaia di malati mentali o waali, secondo il termine della lingua locale, ma erano oggetto di una lista d’attesa di mesi. “In Somalia, purtroppo, vedi tutta la sfera di malattie psichiche che uno studioso possa provare a immaginare”, continua Massimiliano, “però è fondamentale capire che le categorie mediche usate in Italia spesso non corrispondono a quello che osservi sul territorio somalo. È una follia pensare di fare lo psicologo occidentale in questo contesto, ecco perché ho sempre scelto di lavorare a fianco di altri medici locali”. Le malattie mentali, a volte genetiche, ma di solito provocate dalla difficile quotidianità della vita in Somalia, si traducono in allucinazioni di tutti e cinque i sensi, in problemi legati allo stress, in profondi casi di depressione, e in scoppi d’ira incontrol-
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lati. “La salute mentale, in generale, è sempre stata uno dei settori più trascurati della sanità di una popolazione”, continua a spiegare Massimiliano, “Inoltre i donatori tendono a investire in cose più visibili, a volte a ragione, rispetto agli sforzi fatti verso il malato che ha bisogno di cure psicologiche”. Nel 2008, pur mantenendo una solida presenza sul campo fatta di assistenti sociali del posto, il Grt si era trovato costretto a interrompere il grosso del progetto che mandava avanti il dipartimento di salute mentale. Verso l’inizio di luglio, invece, l’Unione Europea ha deciso di far ripartire i loro finanziamenti che copriranno però solo una parte del lavoro che dovrà svolgere l’organizzazione. “Non sappiamo perché l’Italia non sia più tra le prime file di donatori in Somalia”, afferma in un perfetto italiano Mohamed Said, vice-direttore dell’ospedale, “Riceviamo finanziamenti dagli americani, i norvegesi e i giapponesi, ma ci sentiamo comunque molto più vicini al popolo italiano. La nostra non è una situazione facile”. A pochi giorni dall’incendio in cui sono bruciate le 500 abitazioni, un altro vortice di fiamme ha inghiottito varie capanne in un altro campo sfollati, e degli uomini sconosciuti hanno ucciso otto guardie di
sicurezza che pattugliavano un posto di blocco. “Io non riesco più a stare a Bosaso”, commenta tristemente Hellen, arrivata qualche mese fa dall’Etiopia con l’intenzione di proseguire verso l’Arabia Saudita per trovare lavoro, “Non sono abituata a questo caldo, ma non posso neanche attraversare il golfo per via del mare particolarmente mosso di questa stagione. Con altre persone – conclude la giovane – stiamo pensando di tornare indietro”. Molti dei migranti che vogliono attraversare il Golfo di Aden, aspettano il mese di settembre quando vige il periodo del Ramadan e le guardie costiere smettono di pattugliare assiduamente l’oceano. “La gente è stanca, frustrata e arrabbiata”, spiega il dottor Ali. “Lo stress che hanno accumulato in questi anni aumenta giorno dopo giorno e il mio dipartimento da solo non può affrontare tutto il lavoro necessario. Abbiamo bisogno di più sostegno, altrimenti vedremo letteralmente ‘impazzire’ l’intera popolazione somala”.
Matteo Fraschini Koffi, Giornalista freelance, nato nel 1981 a Lomé, in Togo, uno dei più piccoli stati dell’Africa Occidentale. A dieci mesi viene adottato da una famiglia italiana e inizia la sua vita milanese. Con il sogno di diventare un inviato di guerra, gira per paesi come i territori occupati della Palestina, Israele, Romania, Sudafrica, Kosovo, Iraq e Tajikistan. A 24 anni torna in Togo alla ricerca delle sue origini. Dopo tre mesi di ricerche sul proprio passato, decide di trascorrere il resto della sua vita in Africa. Attualmente vive in Kenya, e collabora con varie testate italiane occupandosi esclusivamente di Africa subsahariana. http://www.matteofraschinikoffi.com/
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Scalia
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TERAPIA DI GRUPPO Ogni 5 secondi gettavo avanzi di cibo in onore dei caduti per fame. Come si fa col vino per gli amici che non ci sono piu’.
L’OLOGRAMMA MISERIA O
gni 5 secondi muore un bambino di fame? Non importa, il mio orologio non ha le lancette dei secondi, pensavo. Ma restare indifferenti era dura. Ogni 5 secondi gettavo avanzi di cibo in onore dei caduti per fame. Come si fa col vino per gli amici che non ci sono più. Il mondo libero esplorò lo spazio per spedire lontano la miseria Il programma venne chiamato: “Piano Ologramma Miseria’”. Venne finanziato con un grande concerto benefico, dopo ogni sms un bambino africano veniva inserito in una navetta e spedito lontano in tempo reale. Peccato per le mosche, provammo ad inviarle per perpetuare il cliché, ma non sopravvissero al cambio di atmosfera. Sono quasi 40 anni che nessuno muore più per fame. Oggi l’ Africa non esiste, è un enorme ologramma creato dall’ FMI. Il mito del Terzo Mondo è uno stratagemma creato ad arte dai professionisti dell’ anti-miseria. Il Capo del Dipartimento Pietà commissiona da anni documentari strappalacrime su bambini denutriti. Ci sono code di aspiranti comparse per filmati propagandistici, queste viziate star anoressiche guadagnano milioni. Sono dei volgari caratteristi, dei vili mestieranti del dolore senza pudore. La beneficenza finanzia i documentari, il Moloch della pietas si autoalimenta in questo circolo vizioso. Pareva che il senso di colpa fosse innato. Un Dio con camice bianco tra alambicchi e provette creò in un laboratorio metafisico la prima cellula artificiale e ci impiantò il chip del senso di colpa. Ma noi terroristi della verità abbiamo svelato il sommo inganno. Con la nostra nave abbiamo navigato nel brodo primordiale del grande laboratorio, toccato le colonne d’ Ercole africane e documentato la verità: l’ Africa non è nient’ altro che un ologramma. Il continente nero è un grande set televisivo, un continente fantoccio. Il Piano ologramma è stato importato anche da noi. I senza tetto sono dei cyborg, fungono da monito. Funzionano più dei dissidenti impiccati nella pubblica piazza. Ogni volta che fai l’ elemosina un burocrate piange. Ci mettono alla prova. Allenano la nostra indifferenza. Comunque teniamo d’ occhio la situazione, se dovessimo trovare un giacimento di diamanti nel pianeta degli Africani, la corsa allo spazio riprenderebbe subito. Tabagista
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Burns (Usa)
rima di fare fumetti, James Burns si occupava di grafica e animazione. Nel 2002 gli è stato diagnosticato un distaccamento della retina che avrebbe potuto costargli la vista, e dopo essere uscito indenne dalla malattia, ha realizzato il suo primo fumetto: “Detached” (distaccato), un efficace racconto per immagini delle paure e dei dubbi legati a quell’esperienza. Attualmente James realizza “editoriali a fumetti” con le sue strip settimanali “Grumbles”, pubblicate da sei anni sul “Sunday Paper” di Atlanta. Una serie di riflessioni disilluse e taglienti su politica, vita quotidiana, fanatismi, ipocrisie, vizi e nevrosi che affliggono gli Stati Uniti d’America. James vive ad Avondale Estates, Georgia, con sua moglie e sua figlia, e pubblica i suoi lavori su jamesburnsdesign.com. Mamma! è orgogliosa di presentare questo autore al pubblico italiano.
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e adesso il GPR ha riconquistato la camera dei deputati
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Matteo Fenoglio
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Careddu
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TERAPIA DI GRUPPO " Di me giudicheranno gli altri, eppure se la presunzione non mi accieca completamente, ho fatto si' l'elogio della Follia, ma non certo da folle" (Erasmo da Rotterdam)
!FOLLIA!
innocua
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DERUBRICATE Non e' facile smettere certe abitudini. Tipo: lavorare.
La Sindrome di Stoccolma di Marco Vicari
Ho la radiosveglia con l'Inno d'Italia. Tutte le mattine mi sveglio alle 8, la mano sul cuore e canto.
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on è facile smettere certe abitudini. Tipo: lavorare. Per questo da quando hanno chiuso il call center, faccio esattamente le stesse cose che facevo alla DRIM. Io dico che mi sono messa in proprio. Il mio psichiatra dice che sono diventata masochista. Sì perché al nostro call center ci frustavano. E ora anche io, quando me lo merito, mi colpisco con un frustino sulle gambe. Oppure mi metto il cilicio. Perché fa curriculum. Lo usano nei call center dove vendono il rosario elettronico. Ho la radiosveglia con l’Inno d’Italia. Tutte le mattine mi sveglio alle 8, la mano sul cuore e canto. Così iniziava la giornata al call center. Serviva a sentirci come i calciatori a inizio partita. In effetti alle 8, dentro quel capannone, ci sembrava veramente di essere dei calciatori ai mondiali. Eravamo 20 analfabeti contro il resto del mondo. Dovevamo convincere casalinghe depresse, pensionati con la minima e cassintegrati sotto sfratto che il loro peggior nemico erano gli acari. Era come se dicessimo loro: “Tuo marito va a letto con un’altra? E’ colpa degli acari nel vostro letto che disturbano la vostra armonia sentimentale”. “Il frigo è sempre vuoto alla fine del mese? E’ colpa degli acari. Vanno pazzi per il cibo del discount”. “Hai perso il lavoro? La tua azienda al posto tuo ha assunto un acaro. Costa meno come manodopera e non è iscritto al sindacato”. L’acaro è il capro espiatorio dei poveri. Perché i ricchi, oggi, si sono fregati tutti quelli seri: li vedi fare cene di gala per la fame nel mondo, per lo smog, per la crisi, per il buco dell’ozono. Il povero oggi è talmente povero che non può permettersi un capro espiatorio. Per questo noi alla DRIM gliene vendevamo uno. Ho cercato di ricreare in camera mia l’atmosfera del call center. Ho una sedia sfondata , un tavolino e una copia rilegata dello Statuto dei lavoratori. Lo tengo sotto una zampa per non far traballare il tavolino. Lavoro tipo 10 ore al giorno. Non mi alzo mai per fare la pipì. Se mi scappa penso a Cristina Chiabotto impalata sul Caucaso mentre l’uccellino di Del Piero gli mangia il fegato, ogni volta che lei dice “Plin! Plin!”. Tutte le mattine mi sveglio, canto l’inno nazionale, e mi siedo alla scrivania davanti al telefono. Devo rivendere i 3 aspirapolveri Kirby che l’azienda mi ha regalato come “premi”. I primi 6 mesi, se lavoravi bene, ti davano il “Premio Produttività”: un Kirby. Dopo altri 6 mesi, se non avevi cambiato lavoro, ti davano il “Premio Fedeltà”: un Kirby. Dopo altri 6 mesi ti davano il “Premio Fiducia”: un Kirby. La fiducia era nel fatto che, passati 18 mesi senza stipendio, non saresti piu’ andata all’ispettorato del lavoro. Passo le mie giornate al telefono e, come facevano i capi al call center, tento di motivare la produttività con dei messaggi subliminali. Tutte le mattine metto un post-it sul telefono con
la scritta “Ti stimo!”, mi scrivo su una mano con la penna “Non mi deludere”, ritaglio foto di gente felice dalle pubblicità scrivendoci “Grazie di tutto”. Purtroppo dopo la prima chiamata senza risultati, strappo il post-it, butto la foto e la scritta sulla mano scompare, causa sudorazione nervosa. Allora mi frusto e rimangono solo i messaggi di rimprovero: Il centrino sotto al telefono con la scritta “Mi fai pena”, il tatuaggio su un avambraccio con la scritta “Fallita” e Gesu’ crocefisso appeso al muro, con al posto di “Inri” la scritta: “E’ colpa tua!”. E’ a quel punto che capisco la mia inadeguatezza. Per cui mi frusto e chiamo ancora più motivata di prima. “Pronto buongiorno, signora sono Anna della DRIM international. Lo sa che mentre dorme il suo letto è infestato dagli acari?” Perchè se smetti di lavorare, è finita. Passi le giornate a dormire nel letto. O ad assaltare il frigorifero. O a sprofondare nella poltrona. Se smetti diventi invisibile. Se smetti diventi un acaro. Nel Maggio del 2010, dopo 3 anni di indagini, a Incisa Valdarno (Fi) la Guardia di Finanza chiude il call center della ditta Italcarone e arresta 5 persone ai suoi vertici. L’accusa è di aver venduto aspirapolveri truffa presentandoli come “presidi medici”. Ex centraliniste e ex dipendenti dell’azienda, inoltre, presentano denuncia per maltrattamenti. Secondo alcune testimonianze pare che, oltre alle vessazioni psicologiche, all’Italcarone venisse usato un frustino per punire i dipendenti.
n.5*19
Interviste
Le “visioni” di satira di ELLEKAPPA H
o fatto un’intervista a ElleKappa prima che lei la facesse a me. Poi avrebbe gettato i fogli nel cassonetto bianco, ovviamente, però: ci ha provato. Come va, che fai, ma no, ma si, che tempi contessa... Ci ha provato a dirmi, ma va non sono importante, perché non fate domande agli altri... Gli altri chi? Noi la vogliamo fare a te l’intervista Ma dai, si sa tutto di noi, non serve parlare, quello che pensiamo sta nel disegno, nella vignetta. Veramente io non so niente di te, a parte che abbiamo lavorato insieme all’Unità. Per esempio io non so se ti stufi mai di fare questo lavoro. Di la verità, non ti si spegne mai l’entusiasmo? Beh è un lavoro pesantissimo, sai, se lo vuoi fare in un certo modo, perché quello che senti, e vedi sono tutte cose brutte. Ma io lo faccio con passione e quello che faccio corrisponde alla mia passione. Intendo stancarsi del tema ricorrente: Berlusconi. Te lo dico? Non se ne può più di leggere battute sulle sue battute (Ride). Forse. Ma non puoi prescindere da lui. Poi è vero ce ne sono tante, ma ci sono quelli che disegnano sul “sentito dire”, su notizie orecchiate e si limitano allora ai giochetti di parole. E quelli che lo fanno perché la battuta viene da un’elaborazione del tema. La passione è un punto di vista, ti porta a disegnare e scrivere quello che senti. Io ho bisogno di tempo per elaborare. Non puoi buttare giù una cosa alle 8 di sera così, senza aver “sofferto” senza aver affrontato la nausea che certe notizie di provocano. E come fai a lavorare quotidianamente sulle notizie? Il contratto con “Repubblica” prevede la mia scelta libera sulle notizie su cui lavorare. Per cui non sono legata ad una pagina, ad una notizia. la vignetta può capitare anche in una pagina in cui si parla di altre cose. Questo è l’unico modo per me di lavorare. Non riuscirei mai a lavorare se non mi sentissi - come si dice oggi - connessa sentimentalmente al luogo in cui lavoro. Non sono capace di fare vignette a comando, ecco, tipo: oggi fai una cosa su Bersani o sull’età pensionabile per le donne. Accidenti. E le vigne per una buona causa? Che ti devo dire, le faccio, certo, ma mi affati-
20* n.5
La vignetta e’ un viaggio. Si. Alla fine spero non solo di incontrare persone che leggendola condividono il mio sentire, ma anche di essere stata utile.
cano molto. Doversi impegnare su un tema già scelto... Ogni autore ha i suoi limiti, il mio è questo. Questo numero di Mamma! è Berlusconi -free, anche se non è stato facile. Perché gira e rigira si finisce sempre là. Ma perché? Perché è più facile? Guarda, sono 20 anni, venti, che faccio pagine su Berlusconi e ti garantisco che è sempre difficile. Difficile trovare qualcosa di originale. Ma non puoi prescindere. Trovo che mettere in difficoltà la satira sia un “danno collaterale” della sua presenza. Come fai a far battute su Bondi, Cicchitto, Bossi, quando poi arriva lui e fa la dichiarazione a sorpresa che ti lascia a bocca aperta. La satira non si fa con i servi. Si attacca il padrone. Sarà. Ma io ho l’impressione che sia sempre la stessa solfa, le battute sul Berlusca, dico. Si, però non puoi prescindere da lui. È il potere. Ricordi quella trasmissione del 1994 condotta da Pialuisa Bianco “O di qua o di là”? Ecco già allora era chiaro che la politica avrebbe preso i contorni di un duello. Che la forza sia con noi, allora. Disagio politico, va bene, ma non provi anche tu (“anche tu” perché lo provo io) un discreto turbamento esistenziale, un malessere che ti porta a dire: ‘fanculo tutto il resto.
Mah, quello cui puoi arrivare alla fine è una rassegnazione. Ti guardi intorno e dici che ogni giorno ce n’è una. Si, quindi. Ma è l’ennesima dimostrazione di ciò che è. Ho capito ma non è che Berlusca ha fatto tutto da solo, diciamo che una mano dalla sinistra l’ha avuta. Senza fare Tafazzi, però... Certo, ti sei mai chiesta come sarebbe andata la storia se Bertinotti non avesse fatto cadere il governo Prodi? Da quel momento è andato tutto alla deriva. Non dimenticherò mai una trasmissione su Italia Radio, dove era ospite Bertinotti e la gente che telefonava supplicandolo di non far cadere il governo... Lo so che tu non sei d’accordo. Sul 98? All’epoca ero incazzata come tutti. La politica di Rifondazione Comunista verrà “giudicata” dalla storia, è già iniziato il conto alla rovescia, hanno sperperato un patrimonio. Ma vorrei dirti che quella del
TERAPIA DI GRUPPO
fu Pds, Ds e poi Pd, non è che avrà pagine gloriose, sai. Tu con la sinistra te la prendi troppo poco Ah no, non ho mai risparmiato nessuno, a cominciare da Bertinotti. E Diliberto... ma te lo ricordi Diliberto quando fecero cadere il governo? Per carità... Il fatto è che è dare contro il Pd è diventata una moda. Tu ascolti mai Radio Radicale, le dirette dal Parlamento? Assolutamente si. Bordin non me lo perdo mai. Qualche seduta, però, ammetto che si, me la perdo. Io invece me le sento tutte. E come fai a dire che il Pd non fa opposizione? Non lo puoi proprio dire, è un continuo di interventi. Ma chi è che racconta che cosa succede veramente nelle aule, quando parla l’opposizione. Siccome mediaticamente funziona più Di Pietro sembra che la sola opposizione sia lui.
Di Pietro non “incontra” tanto nella satira. Senti dimmi una cosa personale, và No Una sola No. Ok allora dimmi che cosa è per te questo lavoro, dopo tutti questi anni di disegni, di matite, di battute. Per me la vignetta è un viaggio. Si. Alla fine spero non solo di “incontrare” persone che leggendola condividono il mio sentire, ma anche di essere stata utile. Intervista di Antonella Marrone
Africa
n.5*21
Flaviano e Gubi
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Vignette d’Africa, il vignettista del Daily Nation il piu’ importante quotidiano del Kenia.
GADO
Godfrey Mwampembwa, in arte Gado, è un vignettista originario della Tanzania adottato dal Kenya, che ha iniziato la sua carriera appena quindicenne. Dopo gli studi come architetto e gli esordi come freelance, dal 1992 gli “editorial cartoons” di Gado sono regolarmente ospitati dal Daily Nation, il più importante quotidiano del Kenya, che copre tutta l’Africa centrale e orientale. Nel 1999 è stato premiato come miglior “cartoonist” keniota dell’anno. Gado è ospite di Mamma! grazie alla preziosa collaborazione di Gino Barsella e Marisa Paolucci, i curatori della mostra “Africartoon. Matite ribelli”. Inizia lo sfruttamento dell’Uranio scoperto in Tanzania.
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Secondo un rapporto dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani sarebbero più di 300 gli stupri avvenuti tra il 30 luglio e il 3 agosto nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Gli stupri di massa sono avvenuti a pochi chilometri di distanza da una base del corpo di pace dell’Onu per Congo e Ruanda.
Giugno 2010: Il vicepresidente USA Vice Joe Biden visita Kenya, Egitto e Sudafrica.
Traduzione: Carlo Gubitosa, lettering: Mauro Biani
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DERUBRICATE
G
I so’ cazz Al Magdi Ikitammuort’, cronache dal backstage del manicomio
loriosa colonia, la vostra TV preferita Al Fess come la vostra quotidiana pillola di Ixatcinamol delle industrie farmaceutiche a condotti unificate “pigliat’ na pasticca” entra nelle vostre teste. Mentre questi meridionali dei sudafricani giocano a pallone, tra un respingimento e l’altro vediamo che il vostro livello di informazione ha raggiunto il nostro: fatti i cazzi tuoi che campi cento anni e non ascoltare dietro la porta che ci rimetti le orecchie (le Iene docet). Ma siccome noi abbiamo proibito il pallone fino a che i preti non posso tornare a giocare con i bambini, allora vi consoliamo gloriosa colonia con la suadente musica del primo cantante in classifica nello stretto di Sicilia di origine libico napoletane Pinuccio Al Dani nella sua performance trasmessa su tutti i barconi in transito o in affondamento, dedicato a voi coloni: “Io so Cazz’. Je so Cazz’, je so pazzo e vogl’essere chi vogl’io ascite fore d’a casa di Bertolaso e Scajola, je so Cazz’ je so pazzo c’ho la tangente che mi aspetta e scusate vado di fretta, o’terremot’ non m’aspetta. Non mi
date sempre ragione io lo so che sono un carcerato, nella vita voglio vivere almeno un giorno da deputato, e lo stato questa volta non mi deve condannare, perche’ siete voi cazz’. Oggi voglio parlare, non confessare, ma cementare. Io cazz’ e cazzuola, si se ‘ntosta a nervatura metto tutti ‘nfaccia ‘o muro, perché la liberta non è duratura. Je so Cazz’, je so pazzo e chi dice che Masaniello, poi negro non sia più bello! E non sono un indagato, sono pure condannato e la faccia nera l’ho dipinta per essere notato, se non la coca non me la vendono più. Masaniello é deputato, Masaniello é ricattato. Io so Cazz’ e nun ‘nce scassate ‘o cazzo”. Mie amate amebe coloniche, poi dicono che nella musica non c’è verità. Questo sarà il pezzo di apertura del Festival delle Sbarre. Per non farvi sentire soli nella calura dell’estate, nella desolazione di non essere ancora riusciti ad essere furbo come il vicino di casa. E di non avere la faccia nera. Tu italiano medio, colonizzato, non disperare, c’hai il sole, il mare, noi ti forniamo per questa estate un viaggio premio: un barcone con tappo radio controllato. E allora so cazz’. Al Magdi Ikitammuort’ (Sergio Nazzaro)
ENIGMISTICA T
ra le follie riportate qui sotto solo una corrisponde a verità (per quanto inquietante): scopritela assieme a noi. I deputati Massimo Calearo e Domenico Scilipoti fondatori del Movimento per il Mantenimento della Parola Data. Mahmud Ahmadinejad e Kim Jong-il promotori di una conferenza internazionale sul tema della pace e della non-proliferazione nucleare. Maurizio Gasparri e Renzo Bossi soci del club “Come ti risolvo il quesito della Susy in quattro secondi netti”. Gianfranco Fini e Italo Bocchino coautori del manuale “100 e 1 modi per capire all’istante e non dopo lustri se la persona che ti sta a fianco è un infingardo impostore che bada solo ai propri interessi”. Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro azionisti nonché rispettivamente editore e direttore di un quotidiano di informazione e approfondimento chiamato Libero. I cardinali Bagnasco e Tarcisio Bertone fautori di una protesta, passamontagna in testa, contro l’eccessiva ingerenza dello Stato italiano nelle questioni della Chiesa. Silvio Berlusconi e Fabrizio Corona convinti assertori del popolare motto “L’onestà paga”. Francesco Rutelli e Pierferdinando Casini anonimi writers della scritta sui muri della Capitale “10, 100, 1000 Brecce di Porta Pia”.
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Antonio di Pietro e Aldo Biscardi co-intestatari della tessera numero uno del Circolo della corretta morfo-sintassi. Vittorio Mangano e Pietro Pacciani iscritti nel pantheon degli eroi dei nostri tempi. Bruno Vespa e Federica Sciarelli firmatari del manifesto contro la tv cinica e necrofila. Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini esemplificazioni viventi della massima montessoriana “W
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la fatica per la quale sarai ripagata!”. Ignazio La Russa e Mario Borghezio fervidi seguaci degli insegnamenti del Mahatma Gandhi. Pierluigi Bersani e Walter Veltroni strenui oppositori di inconsulti gesti di masochismo politico. Precari e studenti universitari fiduciosi del futuro che li attende nel Paese in cui vivono. Rouge
DERUBRICATE
SENSI vietati Bersani
The Saurus
Notte dell’Atalanta: Risposta leghista agli happening salentini. Morti banche: suicidi per problemi finanziari. Grillini: seguaci di un comico genovese iscritti all’ArciGay. Chigi Uno: organo di propaganda del Governo. Buonista: modo in cui i poco di buono definiscono un buono.
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Oltre alla nota questione sociale dell’analfabetismo, bisognerebbe considerare anche la “geoignoranza” o “amappismo”, che indicano una conoscenza geografica insufficiente. In un sondaggio a campione casuale effettuato tra gli studenti degli USA, si è chiesto quali fossero le dimensioni e la popolazione del loro paese. Con un risultato non sorprendente, ma comunque sconcertante, la maggioranza ha scelto come risposte “il più grande del mondo” e “1-2 miliardi” rispettivamente. Anche tra studenti europei e asiatici, le stime geografiche erano amplificate di due o tre volte. Questo è dovuto in parte alla natura altamente distorta delle proiezioni geografiche più diffuse, come la mappa di Mercatore.
Un esempio estremo e particolare è l’errata percezione globale della vera grandezza dell’Africa. Questa immagine cerca di racchiudere la sua enorme estensione, maggiore di quella di USA, Cina, India, Europa e Giappone... messi assieme! La grafica di questa mappa è intesa come una semplice visualizzazione per illustrare un dato di fatto: l’Africa è molto più grande di quello che pensano quasi tutti. Le forme utilizzate sono approssimate, ma i dati della tabella sono molto accurati. Ad esempio, il dato in tabella sull’estensione degli USA include l’Alaska e le Hawaii, ma nella mappa non sono utilizzati, così come altri paesi come la Norvegia e la Svezia. Il motivo è che la mappa usa intenzionalmente delle forme familiari, come se si “muovessero dei pezzi” sulle mappe Google. Una illustrazione matematicamente esatta, usando un ridimensionamento
a pari area sarebbe ancora più drastica, ma sarebbe molto distorta. Ho scelto di mantenere le forme e le proporzioni più note, anche se questo approccio conservativo ha lasciato fuori qualcosa. Le piccole mappe agli angoli portano lo stesso messaggio: guardate il confronto tra l’Africa e alcuni paesi noti, una prospettiva insolita e rara. Tra le mappe che rappresentano l’informazione geografica con aree proporzionali all’estensione dei paesi, puo’ essere utile consultare anche le mappe “Bucky Fullers” o la carta di Peters. Molti altri confronti geografici sono già stati fatti, questa mappa non è la prima e auspicabilmente non sarà l’ultima del suo genere: qualcuno dovrebbe studiare il modo migliore di far coincidere tutti i pezzi del puzzle in una proiezione neutrale. Fino a quel momento, non prendete questa mappa in modo troppo letterale (dov’è Ibiza?) e semplicemente trattenete questa sensazione: l’Africa... è immensa.
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POP ECONOMY Conti alla mano, le auto blu ci costano almeno 442 euro. All'anno. A testa.
L
e auto blu in Italia sono aumentate nel primo trimestre 2010 dello 0,6% raggiungendo quota 629.120 unità. In USA se ne contano appena 72.000, in Francia 61.000, nel Regno Unito 55.000, in Germania 54.000. Pezzenti ‘sti americani, con una popolazione di 300 e passa milioni di abitanti hanno poco più di un decimo delle nostre auto blu. L’Italia è una nazione non ricca, ricchissima. Noi possiamo permetterci sprechi impensabili da qualunque altro Paese della Terra. In Italia ci sono più di 36 milioni di auto immatricolate. Siamo circa 60 milioni di abitanti, quindi possiamo dire che circolano 605 auto ogni 1.000 abitanti; 10.5 di queste sono auto-blu. Quanto costano all’onesto cittadino (se è onesto non è un cittadino medio) le auto blu? Facciamo i calcoli sulle 10 auto altrimenti le cifre diventano antiestetiche: diamo uno stipendio di 30.000 euro annui all’autista e consideriamo spese tra carburante, assicurazione eccetera per 7.000 euro (perché siamo tirchi). Totale Parziale: 370.000 euro. Ma le auto chi le compra? Una lancia Thesis 2.4 (che va molto di moda) costa almeno 36000 euro. Le auto blu si cambiano in media ogni 3 anni circa, ma facciamo che si cambino ogni 5. Ogni anno tra queste dieci auto vengono acquistate 2 nuove auto blu per un totale di 72.000 euro. Totale: 442.000 euro di costo per 1.000 abitanti. Sono convinto che un car-sharing per una popolazione di 1.000 abitanti abbia un costo minore. Il totale pro capite fa 442 euro. Si dice che ogni bambino italiano viene al mondo con 28.000 euro di debiti: 442 euro invece sono il contributo volontario annuale che dà al politico di turno per viaggiare. Se fossimo non molto felici al pensiero di pagare 442 euro di tasse in meno, quanto lo saremmo se vi dico che le auto blu incidono sulle nostre tasse molto di più? Soltanto la
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Quanto ti costa l’auto blu di quel cornuto?
metà dei cittadini italiani“risulta”occupata. Una buona parte è in nero e della metà occupata ci sono molti evasori. Facendo soltanto stime approssimative ogni contribuente paga circa 1.000 euro di tasse all’anno solo per l’auto blu del politico di turno. Quanto spendete per la vostra auto ogni anno?
1000 + assicurazione? Quell’auto blu è vostra!!! Appena ne vedete una rubate le chiavi, mettetela in moto e andatevene. Oppure contattate l’assegnatario dell’auto e fatevelo amico: non si sa mai che quando va a mignotte passi a prendervi sotto casa. Flyfra
TERAPIA DI GRUPPO Sul treno conquisto il mio spazio. Mi sdraio sul palo centrale, a cui tutti dovrebbero aggrapparsi, e mi godo gli altri che cercano di salvare la pelle ad ogni frenata
MAMMA HAI VISTO QUEL SIGNORE? L
a mattina mi alzo con calma, molta calma: ho i miei tempi. Andare in facoltà non è una priorità, mi basta arrivare puntuale per il primo caffè con gli amici, poi le lezioni si seguiranno da sole. Non rifaccio il letto, cammino scalzo per casa e, quando mi lavo i denti, lascio scorrere l’acqua anche anche mentre spazzolo.
Mi tuffo dentro l’armadio, controllo cosa m’è rimasto appiccicato addosso e mi vesto così: casual. A chi interessa se i miei pantaloni non si intonano alla felpa? spazio tra decine di toni di nero, non ho motivi per arrovellarmi. Qualcuno si occupa ancora di emarginare chi porta i calzini bianchi corti? Chiudo porte e finestre a doppia mandata ed esco, spostando lo zerbino del vicino davanti alla porta di casa mia. Un giorno avrò uno zerbino tutto per me, non appena ne troverò uno con scritto: “Oggi no. Grazie”. Porto giù la spazzatura, accuratamente differenziata, e butto il sacchetto della carta dentro al cassonetto per il vetro, la plastica nel cassonetto per la carta e le bottiglie di vetro nell’umido. Il resto lo mollo sul bordo del marciapiede. Mi piace così. In metropolitana mi accodo a chi timbra il biglietto e supero il tornello senza preoccuparmi dei controllori, ché tanto sonnecchiano, o rincorrono la zingarella di turno. No bip, here we go, dritto in banchina. Mi ficco una sigaretta tra le labbra e mi godo il panico che si insinua tra le vecchiette e le madri con bimbetti a seguito. Mi fissano. Sembrano volermi dire: “non si può fumare qui!”, ma chi è che fuma? io ho solo una sigaretta tra le labbra, ed è spenta. Ho ragione e me ne vanto. Sgomito per stare davanti a tutti, poco oltre la linea gialla e, se mi chino abbastanza, riesco a vedere il treno arrivare dal fondo del tunnel, ancor prima di sentire addosso lo spostamento d’aria. “Mamma, hai visto quel signore?” “Vieni qui, Carlo!” risponde lei, e lo prende in braccio. Meglio non rischiare che i bambini mi si avvicinino. Non devo avere un aspetto rassicurante, ma in città è comodo apparire così: ti aiuta ad evitare scocciatori, strilloni, questuanti, e prodighi altruisti che cercano di far difendere al tuo portafogli la causa di migliaia di bambini sfruttati da una celebre multinazionale di calzature. Le indosso anche io, fate un po’ voi, e non mi pongo il problema di chi le ha cucite, almeno finché restano intere. Sul treno conquisto il mio spazio. Mi sdraio sul palo centrale, a cui tutti dovrebbero aggrapparsi, e mi godo gli altri che cercano di salvare la pelle ad ogni frenata brusca. Non mi siedo mai: odio l’idea che qualcuno mi si avvicini con l’aria afflitta e mi chieda di cedergli il posto. Se sto contro il palo nessuno può dirmi niente: spazio comune, nessuna agevolazione per vecchi, gravide e storpi e, in più, mi posso godere un bel massaggio gratis lungo tutta la spina dorsale. Poche fermate e sono a destinazione. Passeggio placido lungo il vialetto che porta alla facoltà. Accendo finalmente la mia sigaretta, e rifletto. Rifletto sul mondo che va a puttane. Rifletto sulla gente scontenta e incazzata. Rifletto sul fatto che, sotto sotto, anche io ho fatto la mia parte in questo enorme e desolante spettacolo, e me ne compiaccio. Non sono pazzo, sono parte di un tutto. Sono uno di voi. Waxen
Segnalazioni gratuite di siti amici. Nessuna pubblicità a pagamento è presente nella rivista
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Boscarol
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Zurum
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Kanjano
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Mirra 42* n.5
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TERAPIA DI GRUPPO
AFRICA/2
Nel buio, tutti i gatti sono leopardi.
Sondaggi M
Adelmo Monachese
a cosa sanno i giovani dell’Africa? Lo abbiamo chiesto agli studenti delle superiori. Ecco i risultati: Per il 14% l’ Africa è una pagina di Facebook con 9.028 abitanti. Per il 5% è il nome di tutti i dipendenti extracomunitari della fabbrica del papino. Per il 60% è il posto al cui sud si sono disputati i mondiali di calcio quest’estate. Il 20% era d’accordo nel dire che l’Africa è il posto dove vanno a finire i bambini cattivi, e intanto coglievano l’occasione per fare i migliori auguri al loro ex compagno delle superiori Renzo, per l’elezione alla regione Lombardia. Infine un irrilevante 1% che sosteneva di ricordare solo l’Africa dei Toto, ma era un pluriripetente.
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TERAPIA DI GRUPPO I giovani fuggono dalla miseria e dal servizio militare obbligatorio e illimitato. Fuggono da un sogno diventato incubo. Hanno cominciato a ingrossare le fila dei migranti che attraversano i deserti e provano a varcare il Mediterraneo, in cerca d'asilo politico e protezione umanitaria nelle braccia dell’antico colonizzatore
C’ERA UNA VOLTA L’ERITREA C’
era una volta un piccolo paese, pieno di gente fiera e positiva, che conquistava la simpatia di tutto il mondo. 23 maggio 1993: l’Eritrea proclama l’indipendenza dall’Etiopia e mette fine a una “guerra di liberazione” durata decenni. Un popolo in armi ha combattuto contro il dittatore Menghistu, stritolato da una morsa: da un lato gli eritrei, dall’alto il movimento di liberazione del Tigrè, regione al confine con l’Eritrea. La fuga di Menghistu porta facce nuove al potere, i leader dei due movimenti di liberazione: Isaias Afewerki ad Asmara, Zenawi ad Addis Abeba. A quell’epoca l’Eritrea viveva un autentico stato di grazia. Un popolo giovane, finalmente libero, era finalmente l’artefice del suo futuro. C’era una nazione da costruire. La diaspora eritrea nel mondo, che per anni aveva finanziato la guerriglia, si sentiva ora responsabile della nascita del nuovo stato. Tornavano dall’estero ingegneri, architetti, professori, tecnici diplomati nelle scuole e nelle università di mezzo mondo, dall’Italia alla Svezia, dagli Usa all’Australia. Nel 1997, visitando il paese, era palpabile la grande fiducia collettiva di sfuggire alla parabola di altri paesi africani, rifondati con grandi speranze dopo la fine delle colonie e soffocati poco dopo da corruzione e dittature. L’Eritrea era convinta di avere di fronte un futuro diverso e che Afewerki stesse avviando il paese verso la democrazia, il pluralismo, il rafforzamento delle istituzione. I “prussiani dell’Africa”, pur avendo un territorio poverissimo, insistevano sul grande capitale umano a disposizione: una diaspora di successo all’estero, tanti giovani capaci e brillanti decisi a ritornare in patria per contribuire alla rinascita. Quei sogni sono stati infranti. Oggi l’Eritrea è un paese chiuso al mondo, ancora dominato dal leader della guerriglia, Afewerki, che ha spostato di anno in anno, dopo l’indipendenza, l’appuntamento con le
elezioni pluripartitiche, e soffocato la società civile, imprigionando gli oppositori, negando la libertà d’associazione e di stampa, rompendo i legami con l’alleato Zenawi fino a impegnare il suo piccolo paese (4 milioni di abitanti) in un’infinita guerra di posizione con l’immensa Etiopia (76 milioni). Oggi l’Eritrea è un paese spento, militarizzato, governato con l’arma del terrore. E per la prima volta nella storia, dall’Eritrea si fugge senza meta. L’emigrazione storica ha sempre seguito flussi autocontrollati, catene migratorie favorite dalle storie di successo di tanti eritrei nel mondo. E’ così che sono nate le comunità eritree in Italia, Stati Uniti, Svezia, per citare alcune delle maggiori. Ora i giovani fuggono dalla miseria e dal servizio militare obbligatorio e illimitato. Fuggono da un sogno diventato incubo. Gli eritrei hanno cominciato a ingrossare le fila dei migranti che attraversano i deserti e provano a varcare il Mediterraneo, in cerca d’asilo politico e protezione umanitaria nelle braccia dell’antico colonizzatore. Ne avrebbero diritto. Ma anche l’Italia è cambiata, non riconosce più come fratelli i figli dell’Eritrea finita sotto il tacco di un dittatore. I respingimenti nel canale di Sicilia, le deportazioni in Libia, colpiscono moltissimi eritrei, oltre che giovani somali, anche loro figli di quell’Africa Orientale Italiana che faceva gonfiare i petti degli italiani fascisti. La sorte degli eritrei deportati in Libia e da lì avviati verso il rimpatrio, dove sono attesi da un destino infame come disertori in un paese in guerra, è la storia del fallimento di un sogno cominciato nel ’93, ma è anche la storia della nostra vergogna, un Paese incapace di fare i conti con la propria storia. Ricciotti Ricciotti
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Bartolini
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DERUBRICATE
La posta del mal di fegato
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Risponde Pia Fraus Cara Pia, qualche giorno fa sulla metropolitana di Roma ho assistito alla seguente scena: due ragazzi ed una ragazza parlano tra loro di un quarto amico assente. “Mah, mica ho capito perché s’è messo con quella...”“Ma lascialo sta’ poi je passa...”“Se lamenta sempre però...” “Ao, ma tu l’hai vista... che tipo è?” Je farà vede’ de tutti i colori. Pensa che è femminista!”“Ma va?!?” “Eeee... si, je fa fa certe figure che vo’ paga’ lei la pizza sua...” “Ah ah ah, anvedi...” “Eeee, eppoi ja detto che se vole lo po’ lascià pure lei, capito sto rincojonito co chi s’è messo”. Più o meno le battute erano queste (molto più lunghe e colorite). Io sono rimasta impietrita e li guardavo con aria ebete, credo, perché poi mi hanno visto così e sono rimasti in silenzio. In un paio di minuti ho avuto chiaro che il futuro, per tante donne, non sarà più facile di quello di mia nonna. E sono stata malissimo. Non so con chi prendermela e questa “repressione” emotiva mi fa scoppiare il fegato. Che cosa dobbiamo fare? Alessandra Cara Alessandra, io in metropolitana metto cuffiette ipod, occhiali scuri e mi concentro sulle pagine del gratuito Metro. Tu prova con un buon allucinogeno. Credimi, le magiche visioni ti daranno lo stesso sguardo ebete, ma starai da Dio! Cara Pia, sento le rassegne stampa la mattina. Perché lo faccio, ti chiederai? Perché la politica è sempre stata un mio interesse, vero, puro, incontaminato. Ma da alcuni, anni, confesso, non ce la faccio più ad ascoltare la lettura di articoli demenziali. Soprattutto quelli che fanno “analisi” politica. I cosidetti “retroscena”, chiacchere di dietrologi giggioni che poi ritrovi nei salotti tv, interviste pubblicitarie, dichiarazioni fatte a suocere perché le nuore intendano, inchieste riciclate, campagne promozionali. Sono stato per anni disposto al sacrificio di non ascoltare, di non voler credere agli inciuci, alle pastette anche a sinistra. Ho pregato perché la classe dirigente di sinistra si pentisse dei suoi errori e sparisse di scena in attesa di un giudizio superiore e che questo giudizio sarebbe arrivato presto per portare tutti al cospetto dell’Unico Giudice. Ma così non è stato. Oggi mi tremano le mani, ho attacchi di panico
e sento che la politica mi fa schifo, mi sento un lurido qualunquista, uno sporco traditore di ideali. Rocco Caro Rocco, abbi pietà di te! Entra nell’ordine dei Rottamatori, o unisciti alle crociate dell’Api. Oppure prova a scrivere un libro su D’Alema. Apriti una pagina su facebook, twitta. Ti direi “fai sesso”: ma non mi sembri il tipo. Cara Pia, mi chiedo: perché la gente ha bisogno di eroi viventi, di leader, di “conduttori” da seguire febbrilmente? A me piace Vendola, per esempio, molto. Ovviamente lo considero l’unica alternativa sana e concreta a questo governo e a questo centrosinistra. Ma possibile che sia diventato un santino, che si debba essere fan “senza se e senza ma”, che deve essere nel giro di cinque giorni in cinque trasmissioni diverse, con cinque interviste su giornali diversi, in cinque video youtube, in 30 twitter? Eppure è sempre stato un politico “riservato”, un uomo di pensiero. Credi che sia necessario tutto questo apparire e dire e avere opinioni certe su qualunque cosa? O forse è proprio questa la funzione dell’”eroe”? Clara Cara Clara, in un paese di poeti, santi, navigatori, commissari tecnici di calcio, critici cinematografici, editorialisti, perché vuoi eliminare proprio gli eroi? Vendola è il Tom Cruise di “Mission Impossible”, l’Indiana Jones dell’interiorità collettiva. Vince lui vince tutta la sinistra. Oppure sei il tipo che preferisce i film polacchi con sottotitoli in tedesco?!? scrivi a posta@mamma.am
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MAMMA! EXTRA Belli pero'quei tempi pioneristici senza Photoshop, era tutto piu' naif e "sporco" ma anche incredibilmente "vero"
IO E PAZ A PORTA PORTESE P
uò capitare di decidere, una domenica mattina, di fare un giro a Porta Portese, il mercatino delle pulci più famoso della capitale, per soffermarsi tra i vari banchi improvvisati e di incappare in un tipo sulla 60ina, baffuto, magrolino, camicia sbottonata, un pò trascurato, che si china su un grosso sacco di juta e tira fuori una cartella sudicia con vari cartoncini, tra cui due originali di Andrea Pazienza. Vengo subito attratto dalla tavola abbastanza grande: circa 25 x 35cm. Mi avvicino e la guardo attentamente, me la rigiro scrupolosamente sottospora come fosse una reliquia e, per certi versi, un pò lo è. Le condizioni di conservazione sono pessime, la tavola ha preso acqua e in molti punti il tratto del pennarello Grinta si è acquerellato rovinando il disegno. Nel frattempo penso tra me e me: belli però quei tempi “pioneristici” senza Photoshop o diavolerie varie, dove i testi si facevano a mano direttamente sulla carta, adattando gli spazi e i volumi mano a mano, improvvisando, a occhio e senza possibilità di grosse correzioni (a parte bianchetti o strisciette adesive posticce...). Era tutto più naif e “sporco” ma anche incredibilmente “vero”. Mi dice “120, ultimo prezzo”... io gli dico “giuro, non li ho... ti posso dare i miei occhiali da sole in aggiunta... nuovi costavano più di 20 euri eh?” e sorrido sornione, non sapendo che altro fare. E così con 100 euro mi sono portato a casa una piccola fetta di “sogno adolescenziale”. Dicono che “tutto ha un prezzo” e il mio, in fondo, non è nemmeno costato sta grossa cifra. PS: La tavola l’ho poi verificata e appartiene a “Le Straordinarie Avventure di Penthotal” ed è precisamente la pag. 89 - 1° edizione Milano Libri Pietro PV Vanessi
Queste foto le abbiamo scovate nell’archivio di Enea Discepoli, che così ci racconta: “Scattate da Piero Copertini nel 1984 all’aereoporto di Bologna. Andrea tornava dalla Sicilia e noi andammo a prenderlo. Si possono riconoscere alcuni esponenti della scuola di fumetto bolognese (Cannibale) Igort Tuveri, Marcello Jori, Carpinteri, Ivo Bonaccorsi, tre simpatiche signorine e il sottoscritto”.
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Interviste
Una domanda a Marina Comandini Pazienza G
ià colorista di molti fumetti di Paz, nonché sua moglie e compagna di vita, Marina Comandini continua a disegnare fumetti, illustrazioni, racconti, murales, quadri e quant’altro potesse esprimere la sua personale creatività. Sul suo sito www.marinacomandini.it racconta che “ha passato già metà della sua vita facendo base nella campagna toscana, a contatto diretto con la natura e gli animali, che ha disegnato per anni per conto di varie importanti associazioni ambientaliste”. Abbiamo approfittato del nostro fortuito ritrovamento di un originale di Paz per farle una domanda. CG: Marina, i fumetti di Andrea, e Penthotal in particolare, hanno avuto tra le altre cose il pregio di portare nel “discorso pubblico” e nella “cultura popolare” (con tutta la generalizzazione di questi termini) il tema della droga vista “dal di dentro”, un tema che per anni è rimasto un tabù nell’informazione “ufficiale”, nei giornali patinati e nelle “riviste per bene”. Secondo te, quali sono le cose raccontate da Andrea che potevano essere raccontate solo a fumetti? Quali sono i “vuoti di informazione e di rappresentazione” lasciati scoperti dalla stampa, dalla cultura e dal dibattito intellettuale di allora che sono stati coperti dai fumetti di Andrea e da tutta la sua generazione di artisti? MCP: I fumetti di cui stiamo parlando nascono in un contesto storico preciso, fatto di delusioni e grosse battaglie, ma anche di molta passione e impegno politico, un concetto ormai quasi astratto . I valori etici di giustizia, uguaglianza e libertà rappresentavano il cardine attorno a cui ruotava lo scontro, più o meno “pulito”. In questo contesto, un gruppetto di esseri creativi con l’orticaria per i dogmi si è messo insieme e ha cominciato ad esprimersi attraverso un mezzo facilmente accessibile, prima di tutto a chi lo faceva e poi anche a quelli che lo leggevano. Un’arte senza bisogno di grandi risorse che permettesse facilmente una larga diffusione di idee, con tempi di realizzazione così risicati da non poter essere censurati. Anche l’esiguo numero delle persone necessarie a creare un fumetto permetteva idee taglienti e tempi rapidi. Attraverso il fumetto è stata rappresentata senza troppi tabù la condizione umana nei suoi vari aspetti seri e faceti, spaziando in ogni direzione, dalla fantascienza alla satira, dal racconto alla vignetta, senza sconti per nessuno. C’è poi da dire che i fumetti di quegli anni erano seguiti da un grande pubblico, fatto per la maggior parte da persone giovani, che vi si immedesimavano, dato che le idee che vi venivano esposte erano condivise da molti. Il “fratello ricco” del fumetto, il cinema, mantiene le stesse caratteristiche strutturali e funzionali, dunque le stesse potenzialità del fumetto ma i suoi contenuti sono molto più legati a considerazioni di carattere economico e sociale, che ne limitano la libertà d’azione. Tutti gli altri mezzi di comunicazione, come la stampa, la tv e l’editoria dei grandi numeri, sono ancora più condizionati da fattori esterni e quindi abbondantemente censurati e censurabili. Intervista di Carlo Gubitosa
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"Attraverso il fumetto e' stata rappresentata senza troppi tabu' la condizione umana nei suoi vari aspetti seri e faceti, spaziando in ogni direzione, dalla fantascienza alla satira, dal racconto alla vignetta, senza sconti per nessuno.”
RECENSIONI - ARMI D’ILLUSTRAZIONE DI MASSA
No alla guerra, no al nucleare P
roiettili fatti con scarti radioattivi, malattie che colpiscono militari e civili, esaltazione della guerra, incidenti alle centrali nucleari, inquinamento planetario, guerre infinite, fondamentalismi. Abbiamo davvero bisogno di tutto questo? Il figlio di una vittima della bomba di Nagasaki racconta in un manga gli effetti delle guerre moderne con armi all’uranio impoverito, e rivela il potere occulto che si nasconde dietro l’energia atomica. Per ordinare il volume: www.mamma.am/libri Il videotrailer del libro è su: www.mamma.am/nonuke
NICOLA!
Un manga a fumetti di Rokuro Haku
Una coedizione dell’associazione culturale Altrinformazione in collaborazione con il centro di documentazione “Semi sotto la neve”
Di MP
C
erti fumetti non possono farli i radical chic col culo parato o gli intellettuali da salotto. Ci voleva un lavoratore emigrato come MP, che si è bruciato due settimane di ferie per partorire la saga di NICOLA: L’ANTIEROE PRECARIO DEL TERZO MILLENNIO Nicola è un uomo più solo di Ulisse, più incazzato di Spartacus e più sfigato di Fantozzi, costretto in una lotta ai limiti della precarietà lavorativa e mentale. Contro di lui un padrone schiavista e una famiglia trasformata dalla televisione in un covo di tronisti, veline e tossicomani in cerca di poltrone istituzionali. Sessanta pagine di satira gastroeconomica graffiata sul foglio senza ipocrisie e buonismi. Astenersi perditempo.
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TERAPIA DI GRUPPO
!FOLLIA!/2
La ragione e' la follia del piu' forte. La ragione del meno forte e' follia. (Eugene Ionesco)
Paraplegici, spastici, zoppi, amputati, cerebrolesi, ragazzi Down, ciechi e sordi: fardelli d’Italia. M
entre scrivo non ho ancora la certezza, la prova, che la bufala tremontiana sull’innalzamento della percentuale di invalidità dal 74 all’85 per cento, necessaria per accedere ai “benefici” (sic!) dell’assegno di invalidità di 256 euro mensili, sia definitivamente finita nel capiente cestino degli articoli imbecilli di una manovra economica misteriosa come i misteri di Carlo Lucarelli. Ho però la prova, la certezza, che abbiamo avuto a che fare con la più pesante offensiva mediatica mai realizzata per colpirci tutti. Già, perché anche io – lo confesso – sono un falso invalido. Lo ammetto, senza vergogna, senza pudore. Quando ero ragazzo, essendo nato con venti fratture e vivendo da sempre in carrozzina, mi ero
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reso conto che se volevo lavorare, per di più come giornalista, avrei dovuto starci basso con la percentuale di invalidità. Altri tempi. Ho chiesto e ottenuto il 45 per cento, giusto per sentirmi un po’ invalido, ma non troppo. Poi sono peggiorato, lo ammetto. Sì, una grave insufficienza respiratoria, devo usare di notte il ventilatore polmonare. Eppure mi muovo, lo giuro, guido la macchina, faccio anche l’amore (ogni tanto, ma insomma, anche abbastanza spesso). Mi hanno rivisto la percentuale: 100 per cento, è stato il verdetto, nel lontano 1994. Pazienza, me ne sono fatto una ragione. Sono invalido. In fondo è vero, ma insomma. Ora mi hanno anche tolto il colon, un pezzo di meno, che sarà mai. Forse mi chiameranno
di nuovo per la visita, rientro nella casistica dell’Inps. Mi presenterò piangendo, e ammetterò: sì, è vero, sono invalido al cento per cento, le tabelle sono chiarissime, non posso negarlo, mi spetta, è giusto. Ma per favore, non voglio essere considerato la palla al piede del Paese. Tremonti ha ragione, siamo noi la vergogna dell’Italia. Paraplegici, spastici, zoppi, amputati, cerebrolesi, ragazzi Down, ciechi e sordi: senza il nostro fardello l’Italia sarebbe il Paese più ricco e prosperoso del mondo. Toglieteci tutto, ma ridateci la dignità. Tanto per dire, ho lavorato per trent’anni, ho pagato le tasse, ho contribuito al Pil. E ora mi rompe le scatole passare per un parassita. Voglio fare il parlamentare. Loro sì che sono produttivi, mica come me. Franco Bomprezzi
Come faremo a non chiudere bottega
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Per sostenere Mamma! nasce l'associazione AltrInformazione. Al via il tesseramento 2011
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arbara B. (qui ritratta dal maestro Flaviano) fa la psicologa, e ha scoperto questa rivista di matti come cura omeopatica per i mali che affliggono la nostra società impazzita. E così ha deciso di regalare un abbonamento ad un nutrito gruppo di amici. Lo stesso hanno fatto Lucia I. e Giuseppe B., che ringraziamo di cuore. Il loro sostegno, e quello di tutti gli altri lettori, è fondamentale per restare liberi dal condizionamento dei partiti, dallo strozzinaggio delle banche, dalla boria dei padroni e dagli imbrogli dei pubblicitari. E questa libertà è tutto il “capitale sociale” che abbiamo. Per dare più solidità ai nostri sogni, è nata l’associazione “AltrInformazione” (www.altrinformazione.net) dove realizzeremo libri, riviste e iniziative per difendere la biodiversità culturale. Con questo numero si conclude il primo ciclo di microabbonamenti da tre numeri, e ti invitiamo a restare con noi anche nel 2011 iscrivendoti all’associazione AltrInformazione.
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l nostro impegno con i lettori Ë quello di destinare tutte le quote di iscrizione alla produzione di buona editoria, giornalismo onesto, fumetti di qualità e vignette spietate verso il potere, tutte cose che oggi rischiano l’estinzione peggio dei panda. Il tutto nella massima trasparenza: per scoprire come abbiamo speso finora i soldi ricevuti da chi ha creduto in noi, basta cliccare su www.mamma.am/bilancio Le formule di adesione che proponiamo sono le seguenti:
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