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Felice Casoni
Gente di Campora dai diari:
«Anni ‘30» e «Il renitente»
Pro loco Campora
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Uomini addetti al convoglio Di Ulisse Cavalli
Grafica, composizione, illustrazione, stampa e legatura Mamma editori Parma - Casa Bonaparte - 43024 Neviano degli Arduini telefono 0521.84.63.25 - mamma@mammaeditori.it - www.mammaeditori.it
Felice Casoni
Gente di Campora dai diari:
«Anni ‘30» e «Il renitente»
Pro loco Campora
qwryuiopdklzxcvqwryuiop Famiglia Casoni in occasione del giorno di San Lorenzo del 1958
1° edizione gennaio 2013 Copyright © 2013 A.T. Pro loco Campora 43024 Neviano degli Arduini - Parma telefono 340/7155323 info@camporacity.it www.camporacity.it
Era un libro che andava assolutamente divulgato e non consultato casualmente magari perché un amico te lo passa. A noi della Pro Loco Campora è successo proprio così. Fernanda Casoni, sorella di Felice, ci ha detto “Guardate, leggete questo manoscritto. Vi piacerà.” E infatti ci è piaciuto davvero. Scoprire chi sono i nostri nonni, i nostri padri, la nostra storia, è capire molto di noi stessi. Ivana, figlia di Pimpo e della Bruna, l’aveva già letto e siamo subito stati d’accordo: doveva essere divulgato senza nemmeno correggerne le pochissime sviste per non alterarne l’autenticità documentale. Abbiamo pensato che tanti anziani godranno nel leggere di personaggi ben conosciuti e nello scoprire che anche il loro ricordo sarà serbato. La speranza è che qualcuno leggendo questo libro decida di scriverne il seguito per gli anni ‘50 e successivi. In tal modo la storia delle genti di Campora non andrà perduta. Il volume è corredato da un indice analitico di quasi 500 tra nomi di persone (da Cibak a Picio) e di luoghi. Tutti gli appartenenti alle famiglie Cunzi (ed Cavrel), Cavalli, Trombi, Baldi, Casoni, Castiglioni, Pini, dei Mazza e così via vi sono descritte e raccontate. Il libro contiene con definizione cartografica militare una mappa dei suoli, dei rilievi, con indicazione delle località anche minute (da la Preda a Fontana Famè) e delle zone boschive (dai Dres a Castellaro). Infine le fotografie: 50 immagini corredano e identificano i personaggi. Chi non è interessato al passato, lo sarà certamente al proprio futuro e alle proprie risorse. Sappia che in lui operano le fatiche e le sfide vinte dei suoi avi, forze potenti ed energie che definiscono la nostra identità come costellazioni zodiacali che continuano ad agire sul nostro destino.
Pro Loco Campora
Felice Casoni
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Cenni biografici su Felice Casoni Nasce a Campora il 16 agosto 1925 da Ettore Casoni e Romilda Ferrari, la sua famiglia è formata anche dai fratelli maggiori Brunello e Amos e dalla sorella minore Fernanda. Felice frequenta la scuola a Campora solo fino alla 3° elementare; diversi anni dopo si iscrive alla scuola serale e consegue il diploma della scuola primaria. La sua grande cultura si forma in seguito alla lettura di centinaia di libri, spesso divorati nel silenzio dei boschi camporesi. Impara il mestiere del casaro e lo svolge per 25 anni a fianco del fratello Amos. Nel 1969 contrae matrimonio con Antonietta Minerva e da quel legame nel 1971 nasce il figlio Ettore poi scomparso prematuramente a 33 anni. Muore nel gennaio 2009 all’età di 84 anni.
qwryuiopdklzxcvqwryuiop famiglia Notari nel 1932
Felice Casoni
Gente di Campora anni ‘30
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Prima pagina autografa dei diari di Felice Casoni
Diario Camporese degli anni ‘30 Io so che il mio italiano è piuttosto scadente, so anche che sono un cattivo narratore, nonostante questo ho deciso di scrivere di Campora anni ’30. Perché penso che i miei errori di sintassi non siano poi tanto importanti, perché penso che il mio lettore forse l’unico sarò io stesso perché quando la memoria mi avrà lasciato del tutto, leggerò questo scritto e ricorderò i tempi passati della mia adolescenza. Dividerò il mio scritto in 2 parti; nella prima parte dirò in generale della vita che in quel tempo si faceva e delle varie famiglie di mezzadri che si alternarono in quel periodo a lavorare i fondi più grossi del paese. Nella seconda parte dirò dei vari personaggi più caratteristici che vissero a Campora in quel periodo, di come ci si divertiva e dei tanti girovaghi e accattoni che passavano da Campora in quel tempo.
I terreni L’agricoltura era la maggior fonte di reddito, ma la terra era molto divisa male. Un buon 90% era proprietà di proprietari che davano a mezzadria i loro fondi, di questi mi limiterò a citare i nomi dei proprietari e delle famiglie che lavoravano la loro terra. Per primo scriverò di Castagneto di Sopra non solo perché era il podere più vasto di tutto il paese ma anche perché era conosciuto da tutti come la Cà di Trombi e vi sorgeva la casa padronale del più ricco abitante di Campora: il cavalier Domenico Trombi. Era uno scapolo di mezz’età che dimorava nella suddetta casa con le sorelle zitelle Altea, Dirce e Armellina. Castagneto di Sopra era anche detto “Cà ed Cavrel” così era detta la famiglia Cunzi che conduceva il fondo a mezzadria.
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La famiglia Cunzi era detta “ed Cavrèl” dal gruppo di case di Scurano dal quale proveniva. Poi vi dirò di Castagneto di Sotto, chiamato “Cà ed Botass” dalla famiglia che conduceva il fondo a mezzadria; anche Castagneto di Sotto era di proprietà del Cav. Trombi. Poi in ordine di grandezza il fondo del perito agrario Giuseppe Castiglioni condotto dalla famiglia Rivieri che nel 1936 subentrò nella conduzione del fondo alla famiglia Baldi detti “Cui ed Pégra”, il fondo di Rosa Belloli con mezzadri i fratelli Mistrali sostituiti nel 1937 dalla famiglia Ugolotti detti “cui ed Barbètta” rimpiazzati a loro volta nel 1941 dalla famiglia di Tarcisio Baldi detti “cui ed Sianen”. Vi era poi il podere della parrocchia condotto dalla famiglia Mazza, poi a Campo del Fico il fondo del dott. Aldo Del Monte che nei primi anni ’30 era condotto dalla famiglia Tamboroni, sostituiti nel 1933 dalla famiglia Stocchi, rimpiazzata nel 1938 dalla famiglia Mistrali provenienti da fondo Belloli. A Campo del Fico vi era il piccolo fondo del Podestà condotto dalla famiglia Isidoro Barbieri. Poi a Casone il fondo del geometra Antonio Casoni che morì nel 1937 ed ereditò il fondo suo figlio Carletto; quel fondo era condotto dalla famiglia Farina Domenico, nel 1941 questa famiglia fu sostituita dalla famiglia Pellegri. Nel 1941 anche la famiglia Malori diede a mezzadria un poco della loro terra alla famiglia Moretti Marco. Ora scriverò di coloro che lavoravano la propria terra cominciando da coloro che di terra ne avevano di più. Tra questi Cavalli Alberto che abitava a Campo del Fico, i suoi fratelli Antonio e Ulisse che abitavano alla Piella, Casoni Giuseppe detto “Jolin ed la Minghèta” che dimorava a Case Ruffaldi, Barbieri Giovanni dimorato a Rusino. Vi era-
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Giuseppe Castiglioni
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no poi proprietari terrieri che svolgevano anche un’attività mercantile, costoro erano detti “Ovarol” perché giravano a raccogliere uova e pollame, in autunno poi compravano le castagne e le andavano a rivendere nella “bassa”. Tra questi Amilcare Casoni che gestiva pure l’appalto di sale e tabacchi e una bottega dove vendeva quel poco che in quel tempo la gente poteva comprare: olio di oliva, strutto e grasso di maiale, pancetta e salame e cotechino, tutte cose che si procurava nella stagione fredda facendo macellare una decina di maiali che poi conservava nella sua cantina che era adatta per questo. Amilcare aveva una cavalla con la quale, oltre che a Campora, girava a Monchio di Sasso. Altro “Ovarol” era Domenico Gallina che, oltre che a Campora e Vezzano, girava Antreola e Rusino. Poi Trombi Domenico il cui giro comprendeva Vezzano e Scurano. Tutti quelli che non ho citato erano piccoli proprietari e tra questi volevo includere mio padre la cui proprietà raggiungeva a malapena 11.000 metri quadrati. La famiglia di mio padre era composta da mia madre Romilda Ferrari, da me e i miei fratelli maggiori Brunello e Amos; con noi viveva anche mia nonna Malori Beatrice e mio zio Alberto, ultimo figlio maschio di mia nonna, uno scapolo trentenne il meno dotato di intelligenza. Tra i 10 figli di mia nonna, Alberto aveva frequentato la prima classe elementare per 6 anni senza mai essere promosso alla seconda. Mia zia Lina raccontava che la maestra aveva dato per compito a casa ad Alberto di scrivere un’intera pagina con la seguente frase: “Chi dimentica sarà dimenticato, chi sarà dimenticato, dimentica”. Alberto scrisse questa frase: “Chi dimentica dimenticatolo chi dimenticatolo dimentica”; praticamente era analfabeta. Nonostante questo o proprio per questo era il beniamino di mia nonna. Che quando
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nel 1933 si sposò andò a vivere con lui e questo fu un colpo duro per mio padre, perché mia nonna aveva l’usufrutto su tutta la terra che era appartenuta a mio nonno, in più Ugo e la Lina davano tutta la loro terra a chi viveva con la nonna. Dopo pochi mesi la nonna litigò con l’Ida (che era la moglie di Alberto) e tornò a vivere con noi. Mia madre era senza dubbio la nuora preferita di mia nonna alla quale tremavano tanto le mani che non riusciva a mangiare da sola e mia madre doveva imboccarla, probabilmente aveva il morbo di Parkinson. Dal lavoro dei campi si ricavava il frumento per fare il pane per tutto l’anno, un po’ di mais per la polenta, le patate che ci servivano. Si manteneva 2 vacche che ci davano latte, formaggio e burro. I pochi soldi che entravano in casa ce li dava il bosco e il castagneto. Soprattutto il castagneto perché, con la proprietà dello zio Ugo e della zia Lina, di castagneto ne avevamo parecchio, si raccoglieva una ventina di quintali di castagne e due di marroni; tolto la parte che si faceva essiccare, si vendeva il rimanente e, con i soldi ricavati, si comprava olio di oliva, strutto, grasso di maiale, calzature e si pagava le cambiali in scadenza perché mio padre aveva parecchi debiti. Nel 1937 finimmo di pagarli e non se ne fece più.
I carrettieri In quel tempo anche la legna era una delle risorse maggiori, se ne faceva molto sia da lavoro e da bruciare, la comprava un grossista di Traversetolo che si chiamava Caleffi che nel 1937 comprò un camion per trasportare la legna. Sino a quella data la veniva a prendere dei carrettieri una o due volte alla settimana. Il convoglio era formato da 4 uo-
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mini e 5 cavalli, 3 di questi cavalli erano attaccati ad altrettanti carri guidati da 3 uomini; i 2 rimanenti erano adoperati per aiuto nelle salite. In un giorno di maggio del 1934 io, che avevo finito di andare a scuola perché a Campora c’era solo fino alla 3° elementare, seguivo il corteo dei carri quando il carrettiere cui erano affidati i cavalli di aiuto per le salite mi disse di seguirlo fino a Sasso cosa che feci. Arrivati a Case Gelmini, mi affidò i 2 cavalli per riportarli alla Chiesa di Campora; mi sono dimenticato di dire che il carrettiere guidava un carro e che i 2 cavalli gli erano serviti di aiuto sia alla “Ciastrella” che nella salita verso Case Gelmini. Il carrettiere mi affidò i 2 cavalli e una frusta; i 2 cavalli erano molto mansueti, Mascarein e Vasco era il loro nome. Nella seconda curva di Varvara, Vasco si fermò e guardò dietro e mi fissò; in quel momento la paura mi prese, tuttavia mi feci coraggio e, alzando la frusta, gridai: “Va là Vasco!”. Il cavallo riprese ad andare seguito dall’altro. Giunto alla chiesa di Campora consegnai i 2 cavalli ad un carrettiere che li aspettava; questi mi diede 20 centesimi che io andai subito a spendere comprando 2 cioccolate Zanini da noi ragazzi molto apprezzate perché in ogni cioccolata c’era inclusa una figurina di uno sportivo.
Don Altamura Parroco di Campora era in quel tempo il Cav. Don Aristide Altamura, bell’uomo alto e robusto, bravo predicatore che detestava essere interrotto durante la predica; quando questo capitava, sull’incauto pioveva dall’altare roventi rimproveri. Questo capitava di rado perché se la gente arriva-
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Don Altamura aveva sentito decantare le virtù di una sorgente le cui acque si diceva stuzzicavano l’appetito; la sorgente era detta appunto per questo “Fontana Famè”. Questa sorgente sgorgava trecento metri sopra il castagneto di mio padre, però in territorio di Rusino. Don Altamura voleva sincerarsi se era vero che aveva la proprietà che si diceva, a questo scopo diede l’incarico di andarla a prendere a un giovanotto del paese “Carlo ed Pilèto”, Carlo Trombi. Me lo raccontò tempo dopo lo stesso “Carlo ed Pilèto”; questi andò a riempire un fiasco di detta acqua poi di corsa andò a portarla a Don Altamura che ne bevve un bicchiere e disse: “E’ calda!”. Don Altamura diede a Carlo uno scudo per compenso e si raccomandò di fare più presto in modo che l’acqua non si riscaldasse. Carlo il giorno dopo non andò a Fontana Famè, si fermo vicino a Malora, lasciò passare il tempo che si impiega ad andare a Fontana Famè, poi riempì il fiasco nella fontanella di Malora poi la portò al Parroco che ne bevve un sorso e disse: “Questa si che va bene!” Dopo una ventina di giorni, visto che l’appetito non cresceva, il parroco non mandò più Carlo a prendere l’acqua. Pagò Carlo con uno scudo per ogni viaggio fatto.
Don aristide Altamura
va durante la predica aspettava che la predica fosse finita per entrare. Don Altamura teneva molto ad essere chiamato Cavaliere.
Gabriel il baro Carlo si affrettò a portarli a Gabriel, cioè a giocarsi lo scudo col detto Gabriel. Era costui un vecchio alto e magro noto nel paese come baro; cosa che però non scoraggiava Carlo che sperava sempre di vincere una volta o l’altra. Io ho conosciuto Gabriel che era già vecchio e forse aveva perso l’agilità delle mani necessaria per barare alle carte. Bisognava proprio essere ciechi o cretini per non accorgersene e penso che Carlo cretino lo era davvero. Poi verso il 1937-38 cominciò a venire a Campora “Minghet ed Monica” Domenico Monica. Questi abitava a Sasso e aveva 2 figli a militare e riscuoteva il sussidio che lo Stato elargiva ai genitori che avevano un figlio militare. Quando Minghet si pagava il sussidio, saliva a Campora e giocava con Gabriel a “testa a testa” e il sussidio finiva nelle tasche di Gabriel che qualche volta si dimenticava di smarcare un segno, allora Minghet mi strizzava l’occhio e diceva piano: “Digh cal se scanta”. Invece era lui che si doveva scantare. Qualche anno dopo Minghet pose fine alla sua vita buttandosi da una finestra dell’Ospedale Maggiore di Parma. In quanto a Gabriel morì di tumore nel 1942. Io con uno scapolone anziano di Campora fui incaricato di scavarci la fossa e fu la prima ed unica volta che scavai una fossa. Nello scavare trovammo ossa e capelli di bambini; Lorenz prendeva le ossa e le metteva in una cassetta. Quando finimmo di scavare portammo la bara alla Chiesa uno dietro e uno davanti. Come ci mettemmo la bara sulle spalle, Lorenz tirò fuori dalla tasca della giacca una micca di pane e cominciò a mangiarla tenendola con la mano che aveva raccolto le ossa e la cosa mi impressionò molto perché le mani non se le era lavate.
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Il 1935 e la guerra in Abissinia Ora andiamo indietro nel 1935, l’anno in cui si vociferava di una possibile guerra con l’Abissinia che il Duce voleva conquistare. Erano stati richiamati alle armi i nati nel 1913; la chiamata alle armi arrivò anche ad Angiolo della Pietra come membro della Milizia Fascista. Ricordo che diceva questo: “Mi hanno richiamato ma io non so nulla, mi manderanno al fronte, mi prenderò una fucilata in testa e creperò” come se questo non sarebbe fatale anche ad uno addestrato a dovere. Comunque Angiolo lo rimandarono a casa. Quando la guerra con l’Abissinia nel 1936 scoppiò, 2 camporesi parteciparono ad essa: Carlo Trombi (Carlo ed Pilèto) militante nella Milizia Fascista e l’alpino Aurelio Bottazzi. Il ritorno dei 2 reduci mostrò quanto era efficace la propaganda fascista. Nessuno si accorse che Aurelio era tornato; invece quando si seppe che Carlo sarebbe tornato a casa con la corriera che passava da Sasso per Scurano, a Sasso c’era quasi tutto il paese di Campora ad attenderlo, come al ritorno dell’eroe. C’ero anch’io e quando Carlo smontò dalla corriera un grande applauso lo accolse e, al canto di “Faccetta nera”, lo accompagnammo fino a Campora. Certo Carlo come eroe era una figura piuttosto meschina, a Campora era considerato “un coion”, un coglione; ma tornava comodo al “Regime” e quello che desiderava il Regime si faceva.
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Com’è dura la vita! In quell’anno mio padre comprò 2 vacche e da Aprile fino a Settembre io portai le vacche al pascolo. Ricordo che mio padre le pagò 600 Lire. Prima aveva 1 sola vacca che vendette per pagare la coppia che aveva comprato. Ricavò una stalla sulla nostra casa-torre allargando la feritoia sul lato sinistro ricavandone una finestrella. Per noi era molto importante avere 2 vacche da aggiogare perché così potevamo trainare la legna, le fascine e i tronchi da lavoro alle Baracche dove Caleffi sarebbe venuto col camion a caricarli per portarli a Traversetolo. Ora potevamo andare al Molino della Toccana con le vacche che trascinavano la “brosella” caricata di frumento da macinare. Sino ad allora avevamo portato il grano in schiena fino al molino; io che ero il più piccolo portavo una carniera pesante una ventina di chili, i miei fratelli e mio padre con carniere più pesanti. Ad andare giù non si faceva tanta fatica, era risalire che era faticoso; io dovevo fermarmi ogni tanto a riposare ed ero sempre l’ultimo ad arrivare a casa. Due o tre volte la settimana Caleffi veniva a Campora a caricare di legna il camion. Un Bottazzi per lo più Aldo e un Cunzi quasi sempre Piero, chiamato non so perché “Capret”, per non farsi vedere dal Cavalier Trombi (che se li avesse visti non avrebbe consentito di lavorare fuori dal podere) salivano di nascosto fino alla Tavernella e attraverso una mulattiera raggiungevano le Baracche dove Caleffi li aspettava e dopo aver caricato pagava a ciascuno 2,50 Lire. I due, che erano perennemente squattrinati, guadagnavano in due viaggi 5 Lire, tante ce ne volevano per entrare in una sala da ballo pubblica.
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Gli unici giovani che avevano qualche lira in tasca erano a quel tempo Carlo Pini e Domenico Casoni. Carlo riparava le biciclette nella bottega di suo padre e Domenico andava a lavorare a giornate dove lo chiamavano e una parte dei soldi che guadagnava se li teneva.
Don Altamura 2 Ora devo fare una breve digressione per parlare del parroco del paese, Don Aristide Altamura, dei suoi pregi e dei suoi difetti. Il suo maggior pregio era a mio parere la sua capacità di attirare a dottrina e a messa i ragazzi. A tale scopo aveva distribuito a tutti i ragazzi un piccolo libretto dove, dopo la messa, i ragazzi andavano in sacrestia dove il campanaro metteva un timbro sul libretto. Chi aveva almeno una trentina di timbri, partecipava gratis alla gita che Don Altamura organizzava annualmente con destinazione la sede del Congresso Diocesano. Io partecipai gratis a 4 gite: a Traversetolo, a Fontanellato e a Soragna e, fuori dalla provincia di Parma, a Caravaggio; questa non era naturalmente sede del Congresso. Questa fu l’ultima gita alla quale partecipai. L’anno dopo Don Altamura portò i ragazzi a Montenero in provincia di Livorno e questa fu l’ultima gita in assoluto perché poi scoppiò la guerra e Don Altamura nel 1941 morì. La dottrina Don Altamura la faceva a casa sua nella vecchia canonica ora trasformata in prosciuttificio. Detto dei pregi ora dirò dei difetti o meglio del difetto che la gente attribuiva a Don Altamura. Gli abitanti di Campora di quel tempo dicevano che al parroco piacevano le donne. Io non so se questo risponde a verità o se sia opera di malelingue so solo che da quando era parroco di Campo-
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LUIGI “GIGET” PINI
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ra gli si attribuiva una relazione con la f iglia del campanaro. Comunque sia, Don Altamura è stato il miglior parroco avuto dal paese di Campora, migliore di tutti quelli che l’hanno preceduto e di quelli che l’avrebbero seguito. Fisicamente Don Altamura era un bell’uomo, alto e robusto, non privo di un certo umorismo come lo dimostra il fatto seguente. Si era negli anni precedenti la seconda guerra mondiale che sembrava dovesse scoppiare da un momento all’altro. Ci fu una discussione tra mio padre, antifascista accanito e il suo amico “Giget” Pini Luigi, convinto fascista. Questi sosteneva che nel mare c’erano delle strade obbligate e che i sommergibili tedeschi appostati in quelle strade avrebbero affondato le navi che passavano di lì. Mio padre sosteneva che le navi passavano dove più le faceva comodo. Don Altamura, che era li vicino, fu chiamato a fare da arbitro. Don Altamura disse che la strada esisteva ma che i tedeschi si erano dimenticati di metterci la ghiaia e che perciò era inagibile. Per capire la battuta del parroco bisogna tenere presente che le strade del paese come di tutto il comune erano in terra battuta che in autunno venivano coperte con ghiaia; si lasciava scoperto solo un mezzo metro su un lato per il passaggio delle biciclette. Che si potesse mettere la ghiaia
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in mare era assurdo, in pratica il prete dava ragione a mio padre. Il ricordo più vivo per me delle gite fatte è quella fatta a Soragna. Mi rivedo ancora ragazzino di 11 anni seduto per terra con la schiena appoggiata al palazzo ricoperto di erica Vaic Meli Supr di Soragna con la testa che mi sembrava mi dovesse scoppiare dal male che mi faceva. Quel 29 ottobre 1941, festa di Cristo Re, il parroco e i cantori come di consueto andarono a pranzo a casa del Cav. Trombi. Don Altamura fece un’indigestione che in 4 giorni lo portò alla tomba. L’1 novembre nevicò, caddero 25 centimetri di neve. La rotta si faceva a quel tempo con uno spartineve trainato da 4 o 5 paia di buoi. Nel paese in quei giorni venne riscontrato un caso di Afta Epizootica sicchè i buoi non poterono essere portati fuori dalle stalle, sicchè la rotta la dovemmo fare con i badili. Facemmo la rotta sulla strada perché passava la corriera e anche la strada per il cimitero dato che si doveva seppellire il parroco.
Che frèd! In tutti gli anni 30 non si passò un solo Natale senza neve. Nevicava già gli ultimi giorni di novembre e i primi di dicembre erano detti Mercanti di neve i seguenti Santi: Andrea, Bibiana, Barbara, Ambrogio, Nicola e Lucia. Con quel nome si voleva dire che il giorno di quei Santi era molto facile che nevicasse. Di quei giorni ricordo soprattutto il freddo che pativo ai piedi. Andavo con i pantaloni corti anche in inverno ma non pativo freddo ai ginocchi ma il freddo ai piedi era sempre lancinante. Per combattere questo freddo
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avrei dovuto avere degli scarponi ma non c’erano i soldi per farseli fare. Poi i geloni mi tormentavano per il prurito che questi producevano, erano talmente forti che per combatterli camminavo coi piedi nudi sulla neve (tra l’altro i primi calzoni lunghi me li fece mia madre nel 1940).
I medici condotti Il medico condotto di Campora, il dott. Pietro Castiglioni, nel 1936 si trasferì a Trecasali e la condotta di Campora fu assegnata a dei medici in interinata. Il primo di questi medici fu il dott. Righi che nei sei mesi di interinato abitò nell’appartamento che più tardi fu abitato dalla levatrice e dalla sua famiglia. Del dott. Righi ricordo solo la moglie, una meridionale che aveva sempre freddo e portava il paletò anche d’estate. Il secondo interinato fu assegnato al dott. Degiorni. Costui fu sostituito dal dott. Nello Casa, un bell’uomo alto e slanciato e gran donnaiolo. Teneva l’ambulatorio nella stanza che più tardi fu adoperata per barberia da Corradi Livio e che adesso è di proprietà di Giampaolo Baldi. Nei giorni che il dott. Casa teneva l’ambulatorio c’era sempre uno sciame di giovani donne in attesa del proprio turno. In visita venivano anche dai paesi limitrofi, chissà forse c’era un’epidemia. Tutte erano convinte di avere uno sfregamento pleuritico e bisognose di cure. Il dott. Casa fece due interinati consecutivi. La condotta fu assegnata poi al dott. Consigli che con la sola presenza compì una specie di miracolo, le ragazze guarirono tutte dopo una sola visita. La cosa si spiega con
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la figura fisica del dott. Consigli che non era propriamente un adone, per di più zoppicava leggermente. La sua capacità come medico è spiegata da questo fatto. La figlia di mio zio Alberto era nata da pochi giorni e non andava di corpo allora mia zia Ida chiamò il dottore e gli disse che la bambina non defecava; il dott. Consigli visitò per bene la bambina e poi disse “la bambina non ha il buco”. La zia disse allora: “la bambina però scoreggia”. “Allora il buco ce l’ha” disse il dottore e gli prescrisse un lieve purgante perché cagasse. Dopo il dott. Consigli ci fu un altro interino di cui non ricordo il nome, poi la condotta venne assegnata al dott. Ercole Pisi in via definitiva. In un giorno di marzo del 1938 mio padre e i miei fratelli andarono a tagliare la macchia sul monte e quel giorno venne a casa nostra un amico di mio padre, Rico Pacchiani di Provazzano; questi voleva parlare con mio padre, così io lo guidai nel luogo dove i miei tagliavano il bosco, nel salire sul monte sudai e mi buscai una pleurobronco-polmonite che a detta del dottor Casa superai solo perché il mio cuore era forte. Ricordo bene i giorni di delirio, credevo di vedere una siepe fatta di penne di gallina intercalate da galline vive. Per più di una settimana ebbi una febbre a più di 40 gradi; ho ancora in mente la sete che mi torturava, anelavo un po’ di neve da succhiare. Mio padre andò sul monte dove nei canaloni sotto le foglie si trovava ancora la neve e me la portò. Qualche giorno dopo nevicò ma la sete non era più tanta perché la febbre mi aveva lasciato. Dopo una lunga convalescenza, guarii e nell’estate ripresi a pascolare le mucche.
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I mezzadri e la trebbiatura A quel tempo c’era più solidarietà tra le famiglie di mezzadri e si scambiavano spesso dei lavori, anche per lavorare in compagnia. Così che quando una famiglia vangava la terra per seminare le patate, si formavano squadre di 7 o 8 vangatori che, scambiandosi, vangavano tutto il dovuto per le 7 o 8 famiglie che rappresentavano. Un’altra occasione di scambio di lavoratori era la falciatura dell’erba per fieno detta in dialetto “sgavar” ; cominciava nei poderi più soleggiati, perciò più maturi, in genere dal podere dei Rivieri, seguito dai Mistrali e via via tutti gli altri per finire a Castagneto di Sopra dai Cunzi. L’occasione maggiore per lo scambio dei lavoratori era la trebbiatura del grano; tra le famiglie dei mezzadri si scambiavano 2 o più lavoratori, tra i piccoli proprietari si scambiava 1 lavoratore. Negli anni ’30 tutto il grano di Campora veniva trebbiato dal convoglio di Ulisse Cavalli, sicchè la trebbiatura si svolgeva solo in una piazza anche perché sarebbe stato difficile mettere insieme i lavoratori per due piazze dato che la trebbiatura richiedeva una quindicina di lavoratori oltre ai mezzadri. Altre piazze si facevano dai Gallina tra i piccoli proprietari, poi da Amilcare indi da Trombi Domenico, poi nell’aia di Aldo Pini; in questa piazza trebbiavano il loro frumento Nestore, Enzo Ravanetti e Francesco Ferrari detto in dialetto “Fraschein ed Pinott”. Poi il convoglio veniva trainato nell’aia di Felisci cioè nell’aia di mio padre e dei suoi fratelli Attilio e Alberto. Finito da noi il convoglio si spostava a Malora e qui si trebbiava in 2 piazze: Malora sotto e Malora di sopra; finito qui il convoglio andava a Vezzano.
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Il convoglio era formato da tre pezzi; un generatore di vapore o locomobile detto in dialetto “carrar” , un trebbiatolo e una imballatrice che venivano impiazzati così: al centro il trebbiatolo detto il “carrar” e davanti l’imballatrice. Il “carrar” aveva sulla sua sinistra una grossa puleggia su cui si sprigionava tutta la sua potenza che, tramite due grossi cinghioni attaccati al trebbiatolo e alla imballatrice faceva funzionare tutto il convoglio. Il “carrar” funzionava a legna e in ogni piazza c’era già preparata legna molto secca in modo che sviluppasse molta fiamma. Il convoglio era seguito da 3 uomini, uno per ogni pezzo, questi erano detti macchinisti. Nell’occasione della trebbiatura le famiglie al quale toccava dar da mangiare ai lavoratori e ai macchinisti facevano dei veri pranzi per ben figurare e soprattutto badavano che non venisse a mancare il vino. Succedeva che i commensali diventavano piuttosto alticci e cominciavano a cantare, sicché una giornata di lavoro reso pesante dalla polvere rugginosa che il trebbiatolo spargeva in tutta l’aia, finiva in allegria, soprattutto se il grano aveva reso bene. Una giornata bastava per le piazze, solo a Castagneto di Sopra la trebbiatura durava più di un giorno, qualche volta anche due.
La “scartocciata” Ottobre era il mese delle scartocciate e della raccolta delle castagne. In quel tempo, dopo il prato per il fieno e il frumento, il mais detto in dialetto “melgon” era la coltura più fatta, anche i piccoli proprietari seminavano un pezzetto di terra a mais; lo si seminava soprattutto perché il mais maci-
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nato dava la farina gialla per la polenta che era alla base del cibo in quel tempo importante come il pane che si ricavava dalla farina bianca. Ricordo un intero inverno che in casa nostra si alternava un giorno polenta di mais, il giorno dopo polenta di castagna. Per i mezzadri e i proprietari più grossi il “melgon” era usato per l’allevamento dei maiali, per “pastarli” come si diceva allora, cioè per ingrassarli al massimo per la macellazione. In quel tempo si dava grande valore al grasso di maiale sicchè più il maiale ne aveva più era pregiato. Noi non eravamo allora in grado di tenere il maiale, cosa che potevamo fare dopo la guerra. La “scartocciata” consisteva nel togliere l’involucro che ricopriva le pannocchie di granturco detto lo “scartoccio” di qui il nome “scartocciata”. Alle pannocchie più belle ci si lasciavano le due foglie più resistenti che strette nella mano sinistra una decina per parte e legate con un legaccio di salice alla cui sommità si faceva un cappio e per queste erano dette “cappie”; allora i soffitti delle stanze erano formati da 2 o più travi portanti che reggevano, tra un trave e l’altro, dei travetti alla distanza di 20 – 30 centimetri l’uno dall’altro. In questi travetti erano conficcati grossi chiodi destinati a reggere le “cappie” di mais, in genere era nella cucina che si appendevano le “cappie” perché, col calore sviluppato in questa stanza, il granturco seccava, poi veniva sgranato e portato al molino per macinarlo e ricavare la farina per la polenta. Le scartocciate si svolgevano alla sera nelle case dei mezzadri e dei coltivatori più grossi, vale a dire i Malori e i Cavalli della Piella. I piccoli proprietari seminavano superfici rivolte a mais, perciò le scartocciate si limitavano a poca
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cosa. Ricordo che a casa nostra in 2 sere tra noi di casa si faceva tutto il lavoro necessario compreso attaccare le “cappie” al soffitto. Come per la trebbiatura, anche le scartocciate si programmavano in modo che non ce ne fossero due nella stessa serata. Tutti i giovanotti del paese si recavano alla scartocciata, questo per il clima festoso con cui si svolgeva il lavoro. Era uso che a circa metà della serata veniva messo al centro della stanza un paiolo pieno di castagne miste con marroni, naturalmente cotte, e qualche fiasco di vino novello. Tutte le famiglie di mezzadri si procuravano il vino necessario mostando l’uva che a tale scopo compravano nelle colline attorno a Traversetolo. Tornando alle scartocciate, non era raro che, sistemate le “cappie” al soffitto, avesse luogo una festicciola da ballo. Un suonatore da scartocciate era “Gion”, un vecchio scapolo del paese che nel suo repertorio aveva solo 4 ballabili e che si lamentava se gli facevano suonare troppi “galop” . C’era una scartocciata alla quale nessun giovane voleva mancare: la scartocciata della famiglia Cunzi a Castagneto di Sopra. Il motivo di questa entusiastica partecipazione era che i Cunzi facevano venire Mintein da Formian che era un fisarmonicista tra i più bravi della sua categoria sicché, sbarazzata la stanza dalle pannocchie, si dava vita ad una vera festa da ballo dato che tra i Cunzi e i Bottazzi di Castagneto di Sotto si radunavano 6 ragazze tutte ottime ballerine. Uno dei Cunzi, portando nella mano sinistra un vassoio con sopra un bicchiere e nella destra un fiasco di vino novello, offriva a tutti un bicchiere di vino e tutti bevevano nello stesso bicchiere. I giri si ripetevano molto spesso così, tra un bicchiere di vino e un ballo si facevano le ore piccole.
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I suonatori Sopra ho parlato di suonatori che a quel tempo erano di 4 o 5 categorie. C’erano le orchestre che a Campora si facevano venire solo a S. Lorenzo quando si impiantava la balera che allora era detta “festival”; io mi ricordo dell’orchestra “Cantoni” e la “Marmiroli”. C’erano poi dei fisarmonicisti molto bravi che a Campora si facevano venire solo a Santa Lucia e si ballava nella sala grande dell’osteria di Arturo che si gremiva di persone. Tra questi fisarmonicisti il più bravo era “Savi” che fu fatto venire a Campora 2 volte. Molto bravo era anche Adelmo Pelosi e un suo allievo detto dal suo paese “Il Carobbio”. Poi vi erano dei suonatori da carnevali e feste secondarie, tra questi il più bravo era senz’altro “Mintein da Formian” ; poi Aldo Mattioli da Scurano e Lodomiro pure di Scurano. Infine poi i suonatori da scartocciata tipo “Gion dal Re” e Linon da Cadiarfert .
Le castagne Ottobre era il mese della raccolta di castagne; cominciavano a cadere nei primi giorni del mese. Il “macco” cioè la maggior caduta delle castagne si aveva circa a metà mese sino alla fine. Si partiva io e i miei fratelli al mattino presto insieme a nostra madre; ci si portava il mangiare per il mezzodì che consisteva in una micca di pane a testa, come companatico
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c’era 2 o 3 peri maturi . Nelle giornate del macco (in dialetto si diceva “macc” ) si raccoglievano 3 sacchi di castagne e una carniera di marroni che mio padre veniva a prendere con le vacche aggiogate alla “broscella”, così era chiamata quella specie di carro a 2 ruote che noi avevamo. I mezzadri oltre alla broscella avevano un vero carro a 4 ruote, cui aggiogavano un paio di buoi. Al mattino mio padre faceva bollire un paiolo di castagne per la nostra colazione che, oltre alle castagne, consisteva in una scodella di latte allungato con acqua in cui si tritava un po’ di pane. Mio padre si alzava prima di noi per governare la vacche e farci trovare le castagne cotte; sulle castagne ci si metteva un paio di pugni di marroni. Se uno di noi prendeva su “a rastrello” per prendere più marroni dal paiolo, suscitava i rimproveri degli altri e mio padre diceva “prendete su a pièt” che voleva dire non selezionarle in modo che i marroni toccassero a tutti. Fatta colazione ci si riempiva le tasche di castagne cotte ancora calde e si partiva per il bosco e si tornava alla sera; ci si impiegava circa 40 minuti per arrivare al castagneto. Alla sera poi si selezionavano le castagne; le più grosse si vendevano, le altre si portavano nella grata dell’essicatoio e si facevano essiccare. La selezione veniva fatta sul tavolo che noi avevamo molto grande su cui venivano versati i sacchi di castagne. Le castagne venivano essiccate con il fumo più che col fuoco; a tale scopo erano molto indicate le ciocche di castagno che sviluppavano molto fumo. Quando si giudicava che le castagne erano essiccate un mese circa dopo che erano state messe sulla grata, si apriva questa in un angolo e
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si facevano cadere tutte le castagne sul piano terra dell’essicatoio e si cominciava la battitura. Questa avveniva su una “pila” così era detta, ed era un tronco di castagno di forma cilindrica alto 1 metro e 25 centimetri del diametro di 1 metro. La “pestatura” così detta in dialetto, richiedeva i seguenti lavoratori. Uno, in genere un ragazzo, con una paletta prendeva le castagne e le versava in un carniere, questo era tenuto dal battitore; questi, in numero di 4 – 5 cominciavano a battere il carniere sulla pila. Questo lavoro richiedeva una certa abilità e ci voleva un certo ritmo per non intralciarsi l’uno con l’altro. Quando le castagne erano battute bene, i battitori andavano a versare il contenuto del carniere in una “vassora” , così era detto una specie di vaglio usato solo per quel determinato lavoro. Questo consisteva nel far saltare le castagne in modo che la pula cadesse in terra e le castagne ricadessero sulla “vassoia”; anche questo richiedeva una certa abilità. Siccome fare questo non richiedeva molta forza, erano per lo più donne che “vagliavano” le castagne. C’era poi una donna addetta alla riparazione dei carnieri perché questi si rompevano con una certa facilità. Perché durassero più a lungo si preparava un paiolo di colla facendo bollire delle cotiche di maiale; le carniere erano immerse in questa colla dopo ogni battitura. Finita la prima battitura se ne faceva un’altra molto più breve. Non sempre le castagne erano di un solo padrone; nel nostro essiccatoio c’erano castagne appartenenti a 4 – 5 persone; in questo caso si pesavano le castagne fresche prima di metterle sulla grata e se ne consegnavano un terzo di secche: questo era il peso che ne rimaneva.
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ARTURO BALDI
L’osteria di Arturo Baldi Negli anni che vanno dal 1935 al 1940 era mio compito portare le mucche al pascolo nei boschi; nei mesi che ero libero dagli impegni del pascolo e della raccolta delle castagne, passavo molto del mio tempo nell’osteria di Arturo Baldi, a guardare gli uomini che giocavano a carte. Per accedere all’osteria di Arturo si saliva una scala di una ventina di gradini che immetteva su un terrazzo cintato da una ringhiera di ferro; su questo terrazzo si aprivano le 2 entrate all’osteria. Quella rivolta al tramonto introduceva nella sala grande; appena si entrava sulla sinistra vi era la macchina da calzolaio ormai inoperosa da quando Arturo aveva smesso il mestiere. Al centro della sala c’era una grossa stufa economica che riscaldava l’ambiente nei mesi freddi; i tubi della stufa erano infissi nel caminetto che c’era nella stanza di
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fronte all’entrata. Nella parete dal lato a est, degli infissi reggevano delle lunghe assi di legno formando così per tutta la parete dei sedili. 5 o 6 tavoli per giocatori e molte sedie formavano l’attrezzatura della stanza. L’altra porta che si apriva sul terrazzo conduceva in cucina che era un ambiente molto piccolo in cui erano soliti recarsi i grandi bevitori di vino, per esempio “Giovanon da Cadiarfert” Corradi Giovanni e “Togno ed Gelmini”. Questi era molto spiritoso e, dopo bevuto un bicchiere di vino esclamava. “Brrr…. Com’è cattivo! Come fa Giovanon che beve tanto?” La moglie di Arturo, la Cleonice, metteva per questo Gelmini tutte le rimanenze delle bottiglie in una di queste e Togno se lo beveva. Un altro che si recava a bere in cucina ma non beveva certo le rimanenze era Aldo Pini detto “Aldo de Steva”. Il compagno di Aldo era Pimpo, compagno di bevute voglio dire. Tra la cucina e la sala grande stava una saletta che non aveva un’apertura all’esterno, ci si poteva recare solo dalla cucina o dalla sala grande. A me piaceva molto guardare a giocare a “terziglio” e a Domino. Il più assiduo nel gioco del terziglio era il cav. Trombi Domenico che mancava solo alla domenica; altri che giocavano a terziglio erano Carlo Malori, Ravanetti e Pimpo, qualche volta ma non molto spesso mio zio Gino. Il migliore di tutti era “Vinzoli” Vincenzo Notari da Case Rufaldi che però il più delle volte perdeva perché non stava alle regole e azzardava molto e siccome gli altri (specialmente il Trombi) non azzardavano mai, succedeva che Vinzoli nonostante la sua bravura perdeva molto spesso. A Domino giocavano soprattutto Gabriel, Peppino Castiglioni, Carlo Malori e altri. Ricordo una volta che Casti-
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ALDo PINI DETTO “ALDO DE Steva”
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Felice Casoni
Gente di Campora Il renitente
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Memorie di un renitente alla leva Il mio racconto comincia la sera dell’8 settembre 1943. La radio aveva diffuso la notizia che l’Italia aveva firmato l’armistizio con i paesi alleati; la gente si era riversata nella piazza e nelle strade adiacenti molto contenta che una guerra non sentita fosse finalmente terminata, sia pure con una sconfitta. Chi apprese la notizia con somma gioia fummo noi della classe 1925 perché, se la guerra fosse continuata, sarebbe stata la prima classe ad essere chiamata alle armi. La classe 1924 era già stata chiamata e aveva già raggiunto la propria destinazione nella varie forze; perciò quella sera noi della classe 1925 facemmo le ore piccole cantando gioiosamente per le strade. Il giorno dopo e i seguenti trasformarono l’euforia in incertezza e in preoccupazione perché la radio comunicò che i tedeschi, che si erano preparati a questa notizia erano intervenuti immobilizzando le truppe italiane, disarmandole e i soldati italiani catturati venivano spediti in Germania prigionieri. I giorni dall’8 al 13 settembre furono di un’incertezza totale: non si sapeva nulla di ciò che succedeva in Italia, di come aveva reagito l’esercito italiano all’intervento tedesco. Anche le notizie che trasmetteva la radio erano da prendersi con le molle perché l’ente era caduto nelle mani dei collaborazionisti e nelle notizie che dava era difficile capire quanto vi fosse di vero e quanto di propaganda,come quando comunicò che la divisione alpina Julia, la più famosa a quel tempo si era schierata con i tedeschi. La notizia ci toccava da vicino perché la maggior parte dei soldati camporesi militava appunto nella Julia.
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Amos “Nino” Casoni
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Il 14 settembre, a smentire questa notizia, tornarono a Campora, vestiti in borghese, precisamente tre soldati della Julia: mio fratello Brunello, Battista Rivieri e Brenno Mistrali. I tre furono i primi a tornare al paese perché, pur rischiando di farsi catturare dai tedeschi, avevano fatto il viaggio da Udine a Reggio Emilia in treno. Scesi in questa città videro che la stazione di Reggio pullulava di soldati tedeschi allora, con prontezza di spirito, afferrarono ciascuno una ramazza e cominciarono a spazzare per terra. Una pattuglia di tedeschi, che passava, li scambiò per spazzini e tirò dritto. I tre uscirono dalla stazione e presero per le strade della campagna. Il giorno dopo arrivarono al paese. Nei giorni seguenti ne arrivarono tanti altri, ma nessuno portava notizie di mio fratello Nino. Ormai i giorni passavano senza che di lui si avesse notizia, cominciavamo a temere che fosse stato catturato dai tedeschi. Quando il giorno 20 settembre arrivò in paese insieme ad Ennio Mistrali erano così in ritardo perché avevano fatto tutta la strada a piedi: da Gemona del Friuli sino a Campora. La difficoltà più grande che avevano incontrato era stato il Po: non fidandosi di passare sui ponti si fecero trasportare all’altra sponda da un traghettatore. Alla fine di settembre l’esercito italiano non esisteva più. Mussolini, liberato dai tedeschi, aveva fondato la Repubblica Sociale Fascista con capitale Salò, sul lago di Garda e con giurisdizione sui territori occupati dai tedeschi. Nel mese di ottobre non successe niente di particolare. I soldati tornati a casa se ne stavano tranquilli, naturalmente una buona parte di essi erano stati catturati dai tedeschi e si trovavano prigionieri in Germania.
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Sembrava che la guerra fosse veramente finita, quando nel mese di novembre il Maresciallo Graziani, che era stato nominato Ministro della Guerra nel governo di Salò, ebbe la pessima idea di emettere un bando di chiamata alle armi per la classe 1925 e per i nati negli ultimi otto mesi del 1924. Lo scopo era quello di mettere in piedi un esercito italiano da affiancare a quello tedesco per continuare una guerra impopolare e considerata già perduta da chi ragionava senza condizionamenti ideologici. Non si rendeva conto, quel Generale incapace e frustrato, che con quel bando stava deponendo la prima pietra di un edificio che, crescendo a dismisura, si sarebbe trasformato in quella che molti avrebbero chiamato guerra di liberazione nazionale e altri, non tanti in verità, avrebbero chiamato guerra civile. Comunque la si voglia chiamare, la responsabilità del ministro Graziani e di riflesso di Mussolini fu totale. Per me e per tutti i chiamati di leva si presentò un dilemma: rispondere “sì” alla chiamata oppure non farlo; questo ci avrebbe reso renitenti alla leva. Tutti noi chiamati di Campora scegliemmo la seconda strada. Un punto rimane oscuro, che nemmeno gli storici hanno esaurientemente chiarito: perché Graziani optò per la chiamata alla armi di ragazzi di diciotto, diciannove anni. Io cercherò di dare una risposta al quesito. Fu prevalente nelle intenzioni di Graziani la considerazione che questi ragazzi, nati e cresciuti nel ventennio fascista, bombardati dalla propaganda del regime che esaltava la virtù guerresche e che identificava la Patria col regime fascista avrebbero risposto numerosi alla chiamata. Cosa che non avvenne. Le speranze di Graziani di formare in breve tempo un esercito da affiancare ai tedeschi furono presto deluse. Non volendo ammettere la sua sconfitta e neppure rinunciare al suo
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proponimento, nell’inverno ’43-’44 chiamò alle armi il resto della classe 1924 poi le classi 1922 e 1923. Con tutte queste chiamate riuscì a mettere insieme una sola divisione: la “Monte Rosa” che, nell’estate andò in Germania ad esercitarsi e che non fu mai inviata al fronte di guerra. Fu rimpatriata nel tardo inverno 1945, con il compito di aiutare le “brigate nere” nella repressione delle bande partigiane. Un mese dopo il rimpatrio circa l’80 per cento aveva già disertato e si era unito alle formazioni partigiane.
Una legge così mostruosa L’ipotesi di recarmi al Distretto per rispondere alla chiamata alle armi io non la presi neppure in considerazione perché, già a quel tempo, ero fieramente antifascista. Non tanto per ragioni politiche, perché in fondo ero nato e cresciuto in una dittatura perciò non conoscevo altro sistema sociale. Il mio “no” verso il regime era dettato da ragioni personali, giacché le leggi imposte dal fascio alla nazione facevano di me un cittadino di serie B, con tutti i doveri degli altri cittadini e privo dei diritti che questi avevano. Per spiegare queste cose devo risalire all’estate 1918, quando mio padre era a casa in convalescenza e alla fine della quale non si ripresentò al suo reparto, ma disertò. Io penso che non lo fece per viltà, perché in quei giorni ci voleva più coraggio a disertare che a rientrare al fronte. Mio padre, soldato del 4° Reggimento Alpini, aveva già fatto tre anni di guerra in trincea. Perché si decise a disertare non me lo ha mai detto. Posso solo presumere che sia stato invogliato a questa scelta da due suoi amici che avevano già preso questa strada. Quello di cui sono certo è che lui non sapeva che con quella scelta comprometteva l’avvenire dei figli che gli
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Indice dei nomi e dei luoghi* A Albazzano (Loc.) 144 Aldo 10, 18, 24, 28, 32, 62, 123, 126, 144, 145 Aldo de Slava (Aldo Pini) 32 Altamura Don Aristide 14, 15, 19, 20, 21, 40, 41 Andrea 21, 122, 130, 136, 142, 143 Aneta (Loc.) 106 Angiolo della Pietra 17 Antonio 10, 44, 52, 57, 65, 119, 127, 137 Antreola (Loc.) 12 Ariolla (Loc.) 79 Arnaldo 114 Augusto 51, 129, 132
B Baldi 10, 22, 31, 50, 51, 52, 62, 63, 65, 79, 81, 100, 119, 122, 130, 133, 137, 139, 140, 142, 144 Baldi Aldo 144 Baldi Andrea Andrea Baldi 130, 142 Baldi Antonietta “Rina della Carola” 130
Baldi Antonino “Tonino” 139, 140 Baldi Antonio 119, 137 Baldi Arturo (oste) 28, 31, 32, 34, 35, 36, 48, 55, 63, 66, 67, 68, 71, 72, 76, 122 Baldi Brenno 81, 139 Baldi Cleonice 32, 72 Baldi Dario 52 Baldi Ennio “il Ross” 51, 137 Baldi Fabio 56 Baldi Francesco 62 Baldi Giambattista 52 Baldi Giampaolo 22 Baldi Giovanni “Svanen ed Pegra”, detto anche “Barattieri” 51 Baldi Maria “Marietta” 79 Baldi Mario 122 Baldi Massimino 63, 65 Baldi Renzo “Pìcio” 71, 72 Baldi Riccardo 130 Baldi Tommaso 52 Baldi Ugo 100, 133 Baldi Lino 130 Ballerini Maria (Maria Grossa e Mariolina) 79 Baltai (girovago) 74
* La sigla che segue la dicitura “Loc.” indica la posizione del luogo sulla mappa riportata in apertura del volume
Bannone (Loc.) 101 Baracche (Loc. C1 detta anche “Due Ponti”) 18, 117 Barattieri (Giovanni Baldi “Svanen ed Pegra”) 50, 51, 81 Barba (il) (Francesco Baldi “Fraschein ed Pégra”) 52, 53, 62, 63 Barbieri 10, 41, 51 Barbieri Giovanni 10 Barbieri Isidoro 10 Basilicanova (Loc.) 100 Battista 46, 91, 97, 109, 120, 137, 139, 140 Bazzi 58 Beatrice Malori 46 Belloli 10, 44 Belloli Rosa 10 Benvenuto Rossi di Corniglio 80 Beppe 61, 120, 126, 135, 140 Bersan (girovago materassaio) 70, 71, 72 Berto ed Barbètta 71 Bertoli Stefano “Stefanino”, “Stappino” 62, 69 Bertoli Ubaldo “Gino” 62, 124 Berzola (Loc.) 101 Bonomini Luigi 75 Borcola (Loc. D3) 48, 49 Botass (Cà ed Botass): (Loc. E4) Castagneto di Sotto 10 Bottazzi 17, 18, 27, 75, 127, 132 Bottazzi Adelmo 127, 132 Bottazzi Aurelio 17 Bottazzi Giuseppe 127, 132
Bottazzi Pietro 127 Bottazzo di Moragnano 77 Botti Mario 66 Brossa (Loc. B1) 126, 129, 130 Buda (Don Buda ) 116
C Ca’ Bonaparte (Loc. H6) 114 Cà ed Cunzi: (Loc. D4) “Cà ed Cavrel”, Castagneto di Sopra 9 Cadiarfert (Loc. D4) Case Ruffaldi 28, 32, 50, 51, 77 Cà ed Botass: (Loc. E4) Castagneto di Sotto 10 Cà ed Cavrel: (Loc. D4) Cà Cunzi, Castagneto di Sopra 9 Caleffi 13, 18 Campo del Berto (Loc. B2) 124, 127, 129, 130 Campo del Fico (Loc. E3) 10, 103, 122 Canalina (Loc. sorgente, C4) 115 Canetti Porfirio (chiamato per errore Proferio Biavardi cognome della moglie) 127 Cangelosi 118 Capoponte (Loc.) 101 Capret (Piero Cunzi) 18 Carlo 15, 16, 17, 19, 32, 39, 44, 47, 65, 66, 132 Carlo ed Pilèto (Carlo Trombi) 15, 17 Carobbio 28
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Carubbi (orologiaio girovago) 69 Casa dott. Nello 22 Casa Galvana (Loc.) 103 Casa Gaudino (Loc. D3) 127 Casalini 102, 129, 132 Casalini Memore 129, 132 Casa Schianchi (Loc.) 117 Case Gelmini (Loc.) 14 Case Ruffaldi (Loc. Cadiarfert D4) 10, 50, 51, 57, 58, 77, 79, 115, 127, 129 Casone (Loc. E3) 10, 41, 57, 61, 63, 65, 69, 127, 134 Casoni 1, 4, 5, 7, 8, 10, 12, 19, 57, 58, 62, 65, 75, 79, 87, 98, 115, 119, 127, 128, 132, 139 Casoni Alberto 12, 13, 23, 24 Casoni Amilcare di mestiere “Ovarol” 12, 24 Casoni Aminta 62, 79 Casoni Amos “Nino” 5, 12, 91, 99, 111, 115, 122, 126, 137, 139, 140, 143, 144, 146 Casoni Antonio 10 Casoni Attilio 24, 34, 99 Casoni Benito 119, 122, 143 Casoni Brunello 5, 12, 71, 72, 91, 99, 118, 135, 136, 142, 143, 145, 146 Casoni Carletto 10, 65, 137 Casoni Domenico “Mengo” 19, 75, 118, 120, 121, 139, 144 Casoni Felice “Pirro” e “Ro-
molo” nomi di battaglia 139, 144 Casoni Gino 32, 133, 134, 136 Casoni Giuseppe “Jolin ed la Minghèta” 10, 57, 58, 115, 127, 132 Casoni Lina 12, 13 Casoni Pietro 57 Casoni Ugo 13 Castagneto di Sopra: (Loc. D4) anche detto “Cà di Trombi” e “Cà ed Cavrel” 9, 24, 25, 27, 65 Castagneto di Sotto: (Loc. E4), “Cà ed Botass” 10, 27 Castellaro (Loc. F3) 122 Castiglioni 10, 11, 22, 32, 34, 38, 47, 50, 64, 75 Castiglioni Cesira 47, 62 Castiglioni Giuseppe “Peppino” 10, 11, 32, 75 Castiglioni Pietro 22 Castione Baratti (Loc.) 101 Cà di Trombi: (Loc. D4) Castagneto di Sopra anche detto “Cà ed Cavrel” 9 Catullo da Serignana 111 Cavalli 2, 10, 24, 26, 74, 158 Cavalli Alberto 10 Cavalli Antonio 10 Cavalli della Piella (famiglia) 26 Cavalli Donnino 74 Cavalli Ulisse 2, 10, 24, 158 Cavandoli 124 Cavestro 115, 136, 138 Cavestro Giordano 115
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Ceretoli 62 Cesari Mario “Soragna” 137 Chiastre (Loc. C2) 115, 126, 135, 136, 139, 140, 142 Chiesavecchia (Loc. F2) 137 Ciastrella (Loc. E4) 14, 127 Cibak (Trombi Emilio o “Milio ed Lorens”) 61 Cicli (Giuseppe Fastelli) 95 Colonna (Celso Trombi fratello di Gion dal Re) 57, 58, 59, 60, 61, 62, 74 Concetta 79 Consigli (dott. Consigli) 22, 23 Corradi 22 Corradi Giovanni “Giovanon da Cadiarfert” 32 Corradi Livio 22 Corradi Luigi 119 Cortese Luigi 123 Coruzzi Domenico 133 Costa Ettore 118 Costante 34, 35, 109, 110 Cui ed Pegra: un ramo della famiglia Baldi 10 Cunzi 9, 10, 18, 24, 27, 41, 49, 65, 66, 67, 103 Cunzi Carlo 66 Cunzi Decima 65 Cunzi Gian 65, 66 Cunzi Gildo “Gildon” 41, 67 Cunzi Giuseppe “Pepo ed Cavrel dit al Pavon” 49 Cunzi Marianna 65 Cunzi Piera “Gina” 65 Cunzi Piero 18, 65
D Dazzi Gino 117 Degiorni (dott. Degiorni) 22 Degli Andrei Spartaco 118, 119, 122 Del Monte 10, 109 Del Monte Domenica 109 Del Monte dott. Aldo 10 Del Monte Gemma 38 Del Monte Michele 109 Diavolo (Rico ed la Rivetta) 67 Domenico 9, 10, 12, 16, 19, 24, 32, 40, 46, 53, 64, 75, 103, 104, 108, 133, 139, 143 Dres (Loc. boschi di, mappa H5) 114 Due Ponti (Loc. detto anche “Baracche”, mappa C1) 117
E Elvira dal Vèi 67 Ennio 51, 52, 65, 66, 91, 122, 137 Esterina 38, 53
F Farina 10, 20, 53, 57, 63, 79, 97, 100, 113, 120, 135, 143 Farina Arduino 97, 100, 101, 102 Farina Domenico “Minghein
151
ed Piaza” 10, 53, 143 Farina Ercole “Arcolon” 63 Farina Maria “Polonia” 79 Farina Nello 57, 97, 120, 135 Fastelli Giuseppe “Cicli” 95 Faviano (Loc.) 114 Felisci 24 Ferrari 5, 12, 24, 79, 109, 118 Ferrari Amor 109, 110 Ferrari Francesco “Fraschein ed Pinott” 24 Ferrari Romilda 5, 12 Ferrari Nello 118 Fonceto (Loc. D2) 130 Fontana Affamata 80 Fontana Famè (B1) 15 Francesco 24, 52, 53, 62, 104, 117, 119 Fraschein 24, 62 Fraschin 104
G Gabriel (Gabriele Ravanetti) 16, 32, 34, 50, 51, 53 Gallina 12, 24, 122, 144 Gallina Domenico di mestiere “Ovarol” 12 Gallina Ennio 122 Garulli Antonio 127 Gelmini 14, 32, 57, 58, 82 Gelmini Antonio “Togno ed Gelmini” 32, 57 Gelmini Nando 82 Giacomo 97, 110, 115, 116, 117, 124, 137, 138, 140, 141, 143 Gianni “Juan” 121, 123, 124
Giget ed Bies (Luigi Pini) 20, 41, 42 Gino 32, 62, 117, 124, 126, 134, 135, 136 Gion 27, 28, 51, 52, 53, 57, 61 Giovanni 10, 32, 50, 51, 52, 81, 105, 108 Giovanon da Cadiarfert 32 Giuseppe 10, 11, 39, 49, 52, 57, 58, 64, 75, 95, 115, 127, 128, 129, 132, 133, 137 Guercetti 103, 104, 107, 108 Guercetti Alessandro “Lisander” 103, 104 Guercetti Domenico “Minghin” 104 Guercetti Maddalena 104, 108 Guercetti Marco “Marchin” 104 Guercetti Maria “Maiena” 104, 107, 108
I Ida Curzolari (moglie di Alberto Casoni) 13, 23 Ilio (Luigi Cortese) 123 Isola di Palanzano (Loc.) 103
J Jolin ed la Minghèta (Giuseppe Casoni) 10, 57, 58, 132 Juan (Gianni) 123
L Lagrimone (Loc.) 125, 126
152
Langhirano (Loc.) 39, 61, 101, 115 Liceto (Ennio Pini) 65 Livio 22, 51 Lodomiro (suonatore di Scurano) 28 Lorenz 16, 72 Luigi 20, 41, 42, 52, 75, 96, 99, 119, 123, 127, 132 Lupazzano (Loc.) 35, 40, 46, 63, 81, 82, 96, 97, 114, 118, 120, 124, 125, 140
M Macchiarolo 126 Macedonio 118 Madonsecco (Loc. B2) 127, 129 Madurera (Loc.) 103 Mainon (Maria ved. Ferrari) 79 Malora (Loc. D3) 15, 24, 38, 59, 65, 130, 133, 139, 140 Malori 10, 12, 26, 32, 46, 47, 132, 133 Malori Battista 46 Malori Beatrice 12 Malori Carlo 32, 47, 132 Malori Lino 133 Maneschi (dottor Maneschi) 125 Marco 10, 104, 106, 107, 108, 141 Maria 41, 51, 79, 80, 104, 106, 114, 134, 146 Maria Grossa (Maria Ballerini) 79, 80 Mariolina (Maria Ballerini
2°) 79 Mariano (Loc.) 100 Masdone (Loc.) 114 Maslara (Loc. C2) 115 Massimino 34, 63, 65 Massimino della Gigia 34 Mattioli Aldo 28 Mazza 10, 60, 66, 127, 140, 144 Mazza Demetrio 66 Mazza Lorenzo “Lorens da l’Albra 60 Mazza Marcello 127 Mazzini 40, 81, 82, 118, 119 Mazzini Antenore 81 Mazzini Domenico “Mingon dal Mol” 40 Mazzini Ferruccio (di Lupazzano) 82 Milio 61, 62 Minghein 20, 53, 72 Mintein da Formian 27, 28 Mistrali 10 Mistrali Brenno 75, 91, 118 Mistrali Ennio 91 Mistrali Giuseppe 133 Mistrali Pino 72 Mistrali Renato 103 Molino della Toccana (Loc.) 18, 102 Monchio di Sasso (Loc.) 12, 129 Monica Domenico “Minghet ed Monica” 16 Montagnana (Loc.) 115 Monte Caio (Loc.) 103 Monte Fuso (Loc.) 113, 125 Mora (Maria Trombi “Mora”) 41, 79
153
Moragnano (Loc.) 51, 77, 103 Moretti 10, 97, 126, 140, 141 Moretti Albino 126, 140, 141 Moretti Giacomo 97, 140 Moretti Marco 10, 141 Mosè 42 Mozzano (Loc.) 82, 118, 124, 126 Mulazzano (Loc.) 114 Mussatico (Loc.) 118, 126, 137
N Nello 16, 22, 57, 97, 98, 99, 110, 113, 118, 120, 124, 135, 137, 140 Nestore 24, 74 Neviano Arduini (Loc.) 36, 75, 82, 95, 96, 97, 98, 118 Notari 32, 46, 50, 51, 75, 76, 127, 132 Notari Paolo da Case Ruffaldi “Pavlon da Cadiarfert” 51 Notari Pierino 75, 76 Notari Renato “Taro” 137 Notari Vincenzo “Vinzoli” 32, 46, 50, 127, 132
O Orzale (Loc.) 102
P Pacchiani Settimio 146 Pacchiani Rico 23, 146
Palanzano (Loc.) 132 Paolino da Scurano 112 Parrà (Loc. D1) 81, 116 Pasquetti Egidio 51, 52 Pégra (Cui ed Pegra): un ramo della famiglia Baldi 10, 51, 52, 62 Pellegri 10, 61, 120 Pellegri Beppe (Giuseppe) 61, 120 Pellinghelli 115 Pelosi Adelmo 28 Pepo (Pini Giuseppe) 39, 40, 41, 49, 62, 65 Perdella (Loc.) 143 Periur (Loc. D3) 57, 63, 72, 79 Pian di Rena (Loc. D2) 117, 119, 130 Pianestola (Loc.) 103 Pianforini Giacomo 143 Pianovecchio “Piavec” (Loc. G2) 102, 137 Piella (Loc. F3) 10, 26, 103, 109 Pierino 36, 75, 76 Pietro 22, 57, 99, 127, 128, 129 Pietta (Loc.) 58 Pilèto (Gioacchino Trombi) 15, 17, 43, 44 Pimpo (figlio del campanaro e marito della Bruna) 32, 40, 41 Pinardi 81, 96, 97, 127 Pinardi Enrico 127 Pinardi Gelindo 81, 82 Pini 19, 20, 24, 32, 39, 41, 42, 55, 59, 62, 75, 125, 127,
154
129, 132, 137, 143 Pini Aldo “Aldo de Slava” 24, 32, 62 Pini Augusto 128, 129, 132 Pini Bruna 39, 40 Pini Bruno 125 Pini Carlo 19 Pini Caterina “Caton” 55, 56 Pini Donato 143 Pini dottor Ercole 75 Pini Ennio “Liceto” 65 Pini Giuseppe “Pepo ed Bies” 39, 137 Pini Ivo 59, 60, 67 Pini Luigi “Giget ed Bies” 20, 41, 127, 132 Pio 65 Pisi dott. Ercole 23 Pizzofreddo (Loc. C3) 115, 130, 132, 137 Polizzi (Ing. Polizzi) 127, 132 Pratolungo (Loc.) 103 Preda (Loc. D5) 128, 129 Prisca 41 Provazzano (Loc.) 23, 35, 146
Q Quirino 118
R Ramazzotti 55 Ramazzotti Isippo 38, 55 Ravanetti Enzo (Remigio) 24, 143 Ravanetti Esterina 53 Ravanetti Gabriele “Gabriel” 51 Ravina (Loc. G3) 114
Riccio 100, 121, 122, 123 Rico ed la Rivètta “Diavolo” 67 zio Rico 113 Righi (dott. Righi) 22 Rina della Carola (Antonietta Baldi) 130 Rivieri 10, 24, 91, 97, 109, 126, 127, 135 Rivieri Gino 126, 135 Rivieri Battista 91, 97, 109 Rosa 10, 62, 93, 96 Rosina 67 Ross (Ennio Baldi) 51 Rostalino (Loc. B/C2) 124, 129 Rosta (Loc. D3) 139, 140 Rusino (Loc.) 10, 12, 15, 124, 125, 126, 142
S Salati 36, 75, 76 Salati Pierino (Segr. Partito Fascista) 36, 75 Sassi 112, 119 Sassi Dante 119 Sassi Sergio 112 Sasso (Loc.) 12, 14, 16, 17, 127, 129, 140, 141 Savi (suonatore di fisarmonica) 28 Schianchi 117, 119, 134 Schianchi Maria 134 Schianchi Francesco 119 Scurano (Loc.) 10, 12, 17, 28, 79, 94, 112, 121, 122, 124, 125, 126, 138, 140, 141, 142
155
Sella di Lodrignano (Loc.) 144 Sianen (“cui ed Sianen” famiglia di Tarcisio Baldi) 10 Sivizzano (Loc.) 35, 101 Sommogroppo (Loc) 103 Sopra le chiastre (Loc. Pianoro) 125 Sot la Fosa (Loc. E3) 44 Stadirano (Loc.) 101 Steco (girovago ripara-sedie) 69, 70 Stocchi (famiglia Stocchi) 10 Svanen ed Pegra (Giovanni Baldi detto “Barattieri”) 51
T Tamboroni (famiglia Tamboroni) 10 Tavernella (Loc. C3) 18 Terre (Loc. C3) 143 Tiorre (Loc.) 101 Torre (Loc.) 35 Travilla (Loc.) 96 Trombi 9, 10, 12, 15, 17, 18, 21, 24, 32, 41, 43, 44, 46, 47, 61, 62, 64, 79, 97, 103, 117, 127, 133, 137, 140 Trombi Altea 9 Trombi Antonio “Tognèt dal Vis” 44 Trombi Armellina 9 Trombi Bonfiglio 74, 117, 119 Trombi (Cà di Trombi): (Loc.
D4) 9 Trombi Carlo detto “Carlo ed Pilèto” 15, 17 Trombi cav. Domenico 9, 10, 12, 21, 24, 32, 46, 64, 103 Trombi Celso “Colonna” 57 Trombi Dina 44 Trombi Dirce 9 Trombi Emilio “Milio ed Lorens” detto anche “Cibak” 61 Trombi Franco “Franco ed la Pia” 44 Trombi Gioacchino “Pileto” 43, 51 Trombi Maria “la Mora” 41, 79 Trombi Riccardo 97, 101, 102, 103, 104, 106, 107, 108, 109, 110, 113, 120, 130, 137, 140, 146
U Ugo 13, 100, 133 Ugolotti (famiglia Ugolotti) “Cui ed Barbètta” 10 Urzano (Loc.) 35, 114
V Val Toccana (Loc.) 18, 96, 102, 103 Varesi Lino “Linon da Cadiarfert” 28, 77, 79 Varvara ((Loc. E4) 14, 127 Vei (Loc. G2) 109 Vercellana Nicola 48
156
Vermagna (Loc. C2) 140 Vezzano (Loc.) 12, 24, 46, 60, 61, 81, 95, 116, 123, 125, 133, 137
W Walter (oste di Case Ruffaldi) 79
Z Zibana (Loc.) 107 Zinelli (distaccamento partigiano) 121, 123 Zucchellini Aldo 123
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locomobile “carrar”, un trebbiatolo e una imballatrice.
Uomini addetti all’imballatrice del convoglio Di Ulisse Cavalli formato da un generatore di vapore o