Giuseppe Salmeri
chE COSA È L’ AUTISMO ? “UNA FORTEZZA DI GHIACCIO AVVOLTA DA CARTA VELINA”
2012
ISBN 978-88-87303-61-2 1° edizione dicembre 2012 Copyright © 2011 Mamma Editori Casa Bonaparte 43024 Neviano degli Arduini - Parma telefono 0521.84.63.25 mamma@mammaeditori.it www.mammaeditori.it
In copertina: Christo Imballaggio del Reichstag.
FINITO DI STAMPARE e rilegato NEL MESE DI dicembre 2012 presso MAMMA EDITORI officina delle stampe
Questo libro e’ dedicato alla mia famiglia Ovunque ogni giorno ringrazio Dio, perchè anche oggi mi fa vivere, guardare, pensare, passeggiare. Lo ringrazio perchè tra miliardi di cellule a scelto proprio me, e io ci sono, granellino insignificante voluto, chissà perchè, forse mi ha visto cosi indifeso e fatto di nulla e si è commosso, mi ha fatto diventare creatura. Ora non sono più il nulla e dal mattino alla sera lo vedo, nelle piccole cose, nella natura, nella gente, nei bambini... dappertutto.
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Sommario
Capitolo primo........................................................................7 Capitolo secondo..................................................................21 Capitolo Terzo..................................................................... 27 Capitolo Quarto.................................................................. 35 Capitolo Quinto.................................................................. 43 Documenti Relazione finale del Tavolo Nazionale sull’Autismo...... 59 Appendice Le piÚ recenti scoperte scientifiche............................... 109 Ringraziamenti.................................................................... 111
Indice delle illustrazioni
Odiron Redon, Sopra vidi la sagoma nebbiosa di una forma umana, 1896. ................................................................................ 11 Odiron Redon, … E un grande uccello scende dal cielo e viene a calarsi sulla sommità della di lei capigliatura…1888 .........12 Odilon Redon, Nel sogno, 1879...................................................17 Odilon Redon, Testa di martire, 1877........................................29 Odilon Redon, C’era forse una visione nel fiore. .........................34 Odilon Redon, Il fiore della palude, una testa umana e triste, 1885.................................................................................................42 Odilon Redon Il ragno che ride, 1881.........................................48 Odilon Redon, L’occhio come uno strano pallone si dirige verso l’infinito, 1882..................................................................52 Odilon Redon, Sopra il piano, 1879.............................................56
Capitolo primo La casa psichica - la serratura - la chiave
Le nostre vite sono un dono, non possiamo né ricrearle dal nulla e nemmeno distruggerle per sempre; noi però possiamo “manovrarle”. Una delle qualità più interessanti che distingue la persona da tutti gli altri esseri viventi è l’intuizione; subito dopo vi è l’idea; quindi il ragionamento che comprende tutti i tipi di pensiero. L’approdo naturale di questa miscellanea di impulsi neuronali è la teoria. Il sasso rotolò giù per caso lungo la collina, dopo essere stato calciato da un signore pieno di fantasie, infatti egli ancora credeva nelle fiabe. Questa persona, sempre zitta, sguardo ipnotizzato dal niente... un idealista, un sognatore… forse “ cieco “, ma con una grande voglia di vivere. Il bambino si fermò e si mise seduto
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sull’erba, apparentemente annoiato e privo di un qualsiasi entusiasmo nei confronti di chi lo accompagnava, questi gesticolando e parlando ad alta voce gli diceva: “Vedi che bella giornata. Amore mio!” Il bambino però stava seguendo la traiettoria della pietra magica che saltellando una, due, tre volte andò a sbattere sopra un sasso più grande aumentando la velocità di discesa. La pietruzza spiccò un grande salto e decollò spedita, posandosi con un gran tonfo al centro dello stagno. Subito la quiete piatta dell’acqua fu movimentata da piccoli cerchi, che con il passare del tempo diventavano sempre più grandi e voluminosi. Che meraviglia! Un sasso così piccolo faceva disegni così grandi e perfettamente rotondi. Il bambino li guardava allargarsi e, affascinato dalla bellezza delle forme e dalla quantità dei cerchi e dalla novità per una cosa mai vista prima, cambiò l’espressione del suo viso. Nel mio breve saggio “Il disagio mentale”, ho cercato di esemplificare un approccio d’ingresso in un sistema che “non funziona come la maggioranza dei sistemi” (cioè si limita per così dire
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a sopravvivere). L’ipotesi di base è che per entrare dentro la casa psichica, le case, i sistemi, (le persone) occorre la chiave psichica; il problema è che ogni casa, ogni sistema, ogni persona ha la propria serratura psichica, o codice o impronta, (spero di rendere l’idea di che cosa parliamo, cioè dell’incontro di due sinergie fondamentali che insieme aprono, spalancano uno “stargate”.) Le energie sono semplici: serratura e chiave. La casa è inespugnabile, invalicabile, non accessibile a nessuno; a meno che non si usi l’unica vera chiave di cui ogni sistema persona, è in possesso. Ma perché io o altri dobbiamo entrare dentro una casa che non conosciamo? Le risposte sono molteplici e complicate, proviamo ad esemplificarle. Il disagio mentale può essere assimilato a un “contenitore” il quale racchiude al suo interno l’insieme di disturbi mentali e comportamentali che “ conosciamo attualmente”. Ci riferiamo a un corpo fisico normale, la persona nella sua interezza. Le fondamenta su cui poggia il disagio sono totalmente sbarrate a qualsiasi intervento di salute mentale; la patologia che si evidenzia, è direttamente proporzionale al disagio manifestato, in sintesi più è alto
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il valore “ disagio “, più la patologia evidenziata dal sistema è evidente, più fortemente è sbarrata la porta da cui entrare per conoscere il sistema persona e le fondamenta della sua patologia. Ora torniamo alla persona che si rivolge “all’esperto”. L’esperto è anche un fabbricante di chiavi psichiche, (al bisogno, è il duplicatore di queste chiavi); è colui il quale osserva la serratura e con l’aiuto del disagiato è in grado di mapparla. Il “fabbricante di chiavi” è colui il quale “conosce” anche molte mappe dei possibili vissuti più o meno “equilibrati” di vita umana. “L’esperto” dovrebbe altresì conoscere molti di quei labirinti da cui è entrato e poi uscito, di certo con molta sofferenza personale. ( Da queste prime impressioni e descrizioni di come poter accedere nel sistema, “collaborando” con la persona affetta da disagio mentale, si evince abbastanza chiaramente il mio punto di vista riguardo al rapporto terapeutico con un qualsiasi sistema disagiato. Non possiamo permetterci però di esaminare puntigliosamente la psicologia e tutte le sue scuole di pensiero partendo dall’alto, l’argomentare superiore è un messag-
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gio che non arriva a “tutti”; il segmento di scala di ragionamento da uno a dieci non può essere sempre dieci perché nel frattempo... “tanti sistemi si deteriorano”. Risulta tantopiù chiaro che la qualità di un buon “correttore di mappe” è direttamente proporzionale alla conoscenza, oltre che della didattica e della nozionistica scientifica, delle mappe psichiche, e in generale delle proprie emozioni, anche del proprio comportamento e del proprio dinamismo psichico. Il tentativo di affrontare una nuova strada per entrare in contatto con la persona, con il sistema, con il disagiato mentale, rimane alla base delle motivazioni che mi hanno spinto a scrivere. In definitiva allora il compito degli esperti di salute mentale è (secondo intuizione) guardare prima alla persona nella sua interezza, poi al sistema, poi al solo corpo fisico e a tutti i suoi meccanismi, dai più semplici ai più complessi, e in ultimo al tipo di disagio, anche se questo a tutta prima è segnalato dalla persona in maniera macroscopica. Quando si ha di fronte il disagiato si deve imparare e si ascolta attentamente. Nella cosiddetta terapia psicologica la persona
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che abbiamo davanti cercherà in tutti i modi di metterci alla prova all’inizio con innumerevoli trabocchetti. Ci indicherà strade sbagliate, lo farà inconsapevolmente o no (non è importante definirlo). È come se egli gettasse le sue esche per indurci a fare una diagnosi (sbagliata). Fa ciò perché una volta ottenuto il risultato di depistarci, è solo questione di tempo: egli è “salvo” (si è ancora una volta chiuso ermeticamente per non permettere a nessuno di entrare nel “suo” sistema persona, perché in generale è il solo modo che crede di avere a disposizione per vivere o sopravvivere). Prima o poi deciderà di non tornare da noi. Noi però teorizziamo la necessità di una approfondita conoscenza psicologica della propria persona; più si ha la capacità di mostrare la propria serratura e di conseguenza la propria chiave, qualla che ci occorre per entrare e uscire dai nostri concetti, ragionamenti, emotività, e altro, e più la persona che richiede aiuto sarà disponibile per un tentativo di cambiamento. La persona, il sistema disagiato in cerca d’aiuto, si accorge immediatamente se l’esperto che ha davanti è in grado di rispondere a questo SOS oppure no.
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Il sistema che chiede aiuto manifestando verbalmente tutta la propria apparente fragilità, in realtà non dà nessun vantaggio al terapeuta, sul piano delle aperture psichiche; al contrario può accadere che la persona tenda a simulare, ad affermare verbalmente di voler collaborare raccontando a grandi linee ciò che la disturba, che descriva minuziosamente il proprio comportamento bizzarro, ma inconsciamente la persona è ermeticamente chiusa nel proprio disagio. Mi preme ripetere il concetto di : non collaborazione inconscia, (un terribile paradosso è il comportamento non cooperativo dell’inconscio quando tenda a preservare la propria impalcatura strutturale anche a rischio del collasso del sistema persona). L’addetto ai lavori di turno deve dimostrare di saper usare bene le sue chiavi Quindi l’addetto ai lavori che appare non consapevole di avere a disposizione le chiavi, l’esperto che non sa usare bene le proprie, che dà l’impressione fondata di non saper entrare e uscire dalle case concettuali, (secondo questa intuizione) non avrà la “collaborazione inconscia” della persona disagiata.
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Questo diverso modo di “ragionare”, forse è una cosa nuova. È un sassolino gettato in uno stagno? Vedremo… comunque sia, secondo questa intuizione. In circostanze reali dove l’addetto ai lavori non dimostra al sistema disagiato la sua esperienza di entrata e uscita dalle “case - unità di pensiero”, il sistema che ha di fronte scappa: non torna più da quell’esperto, passa da un esperto a un altro finché non trova un esperto “ diverso”. Con i termini semplici di case, serrature, e chiavi si può lavorare e ragionare abbastanza bene, per non cadere in percorsi che poi per la loro complessità si avvitano inevitabilmente in labirinti senza uscita. Le case hanno contenuti diversi nei diversi “sistemi umani”. Le chiavi sono senz’altro la memoria, il linguaggio, il pensiero, la coscienza, i ragionamenti sensati o non, pensieri astratti, etc. Ma tra questi le chiavi più importanti sono la memoria e il linguaggio. Siamo stati dotati di una prerogativa formidabile, questa è associata in maniera esponenziale a tutte le creature e non della terra. Grazie alla memoria, noi possiamo fare tutto ciò che
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facciamo. Abbiamo la facoltà del ricordo e la memoria umana è ipotizzata su due specifiche canalizzazioni : la memoria cosiddetta a lungo termine, che occorre all’organismo per tesaurizzare le informazioni più “importanti” che è fissata su base biochimica; e la memoria cosiddetta a breve termine, che invece è ipotizzata su base bioelettrica e occorre all’organismo per le informazioni di utilità temporanea, per poi essere dimenticate appena ce ne siamo serviti. La memoria è fondamentale per vivere; la memoria è la chiave privilegiata per intraprendere una forma di avvicinamento a un sistema, sia sano che disagiato. Per avere un’idea di ciò di cui parliamo facciamo una sintesi del perché e di come entrare nella “casa sistema”. Abbiamo ipotizzato che per comprendere il disagio psichico altrui, occorre capire veramente come funziona interamente il sistema che abbiamo davanti e perché funziona in quel modo. Per fare questo non basta la semplice osservazione, l’anamnesi o il colloquio clinico. Occorre aggiungere a questi preziosi strumenti lo studio della memoria della persona in terapia, per capire se la memoria del sistema persona che ci chiede aiuto funziona e
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come si relaziona con le altre memorie. Nella stragrande maggioranza dei casi (a meno di gravi patologie fisiche, genetiche, demenze o altro) la memoria funziona correttamente e quindi a grandi linee è in grado di assecondare “la corretta relazioneâ€? tra sistemi umani. Presa conoscenza di questa prerogativa si può cominciare, anche se in modo embrionale, a lavorare. Si deve ora passare alla fase successiva.
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