L'albaDellaChimera

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Margaret Gaiottina

L’alba della chimera

2010

n.7 a cena col vampiro

Mammaeditori


ISBN 978-88-87303-45-2 1° edizione settembre 2010 Copyright © 2010 Mamma Editori Casa Bonaparte 43024 Neviano degli Arduini  -  Parma telefono 0521.84.63.25 mamma@mammaeditori.it www.mammaeditori.it

Collana

a cena col vampiro In fatto di vampiri ed esseri soprannaturali vari la magia dell’epica sembra più che mai rinnovarsi. Nella koinè letteraria, migliaia di fans di ogni paese, continuano a immaginarne e a leggerne le avventure. Per questi tipi, la collana A cena col vampiro intende dar conto del fenomeno, con l’avvertenza, che non tutte le storie mantengono il profilo adolescenziale e romantico, alcune autrici hanno voluto narrare in modo più crudo le passioni, altre più attratte dal titanismo dei signori della notte, ne hanno descritto dettagliatamente la violenza. Altre ancora tornano al momento magico in cui sboccia l’amore impossibile. Vai alla collana “A cena col Vampiro” http://www.mammaeditori.it/pages/ACenaColVampiro.htm Chatta con l’autrice http://docks.forumcommunity.net/ Vai nel sito Bloody Roses Secret Society http://www.myspace.com/bloodysocietyofficial

Immagine di copertina rielaborata da Pitta su: With Love... - manipolazione originale di Davide Zussa (http://tomaraya1981.deviantart.com) si ringraziano i seguenti stock provider: redlantern-stock; haunted-shadows17; two-ladies-stocks; redheadstock di deviantart.com”


“…E’ qualcosa di meraviglioso conquistare la liberà di vivere serenamente anche senza la totale approvazione altrui…”

Dedicato ai miei G. e F.



Personaggi

Liz Cambell Rochester


Allison

Chandra



Lock Ness (Inverness) 11 Giugno 2006 A Somerset Blake* Carissimo Somerset, la battaglia è appena terminata. Alla fin fine è l’antico incubo di Lenith ad aver generato tutto questo. In molti sono scomparsi per la sua ossessione. Il mondo non dimenticherà presto, ne son certo, lo scontro di Loch Ness che, per la prima volta da millenni, ha visto Lenith sconfitta. Nei secoli a venire ancora e ancora se ne parlerà. . .Della scomposta follia di Lenith, della serena e fredda determinazione dei Rochester e della loro alleanza. Ora Lenith e i Quirites sono rintanati nell’ipogeo romano a leccarsi le ferite ma sono certo che la battaglia finale è stata solamente rimandata. Come finirà? Tu mi chiedi un oracolo Caldeo e io te lo concedo. Non è tuttavia nei moti perpetui dei pianeti e delle costellazioni che ho vaticinato ma sulla scorta di un’antica profezia. La medesima che redassero i miei avi nel momento in cui Lenith sottrasse loro l’antica supremazia, la medesima che Lenith teme e finirà col realizzare mercè la propria stessa paura. La figlia di Zoroastro, la sposa vampiro dagli occhi pregni di Olio di Media, sottrarrà i vampiri al regno degli inferi e il suo sposo distruggerà il trono della regina. In memoria del tuo creatore Cornelius, ti riverisco Somerset degli Erranti Cosmo dei Caldei


* Nella pagina precedente: testo autografo del secolo XXI, redatto all’indomani dell’epica battaglia di Loch Ness (11 giugno 2006), tra esseri mitici e immortali: i Quirites, vampiri romani, contro i Rochester, vampiri scozzesi e i loro alleati. L’esito ha sfavorito i romani ma nel testo si riportano le preoccupazioni di un essere sovrannaturale in ordine alla possibilità che gli sconfitti non si arrendano. L’autore confida in una antica profezia, secondo la quale una donna mitologica con gli occhi color petrolio (la nominata “figlia di Zoroastro”) avrebbe mutato in futuro la natura demoniaca dei vampiri e il suo sposo avrebbe distrutto definitivamente il regno dei romani e di Lenith (nome etrusco della antica Lilith mesopotamica). La profezia avrebbe origine dagli antichi Caldei, soppiantati al governo dei misteri in epoca arcaica proprio da Lenith (allora Lilith). L’autore della missiva, erede degli antichi Caldei, ricorda ora questa profezia degli avi e pronostica a Lenith che la battaglia finale le sarà fatale.



Due anni dopo a Littlemill Highlands scozzesi

Capitolo 1

L’ora di Christabel

L’erba era soffice e umida sotto i vestiti di Christabel. Era caduta, ma come al solito lo aveva voluto lei; si era data alla fuga dopo aver scoccato un bacio forte e assordante nell’orecchio di Matthew. Era sempre così fra loro due: lei lo stuzzicava di continuo, una ragazzina molesta come una zanzara insistente e lui le dava sempre quel breve vantaggio che le faceva credere, anche per un solo istante, di potercela fare. Matthew da sdraiato era scattato come un proiettile e l’aveva acciuffata per un braccio, catturando soltanto la stoffa della camicetta nella mano e Christabel era finita sull’erba, travolta da un attacco di risa che era sfociato in un eccesso di tosse. Lei che urlava e lo picchiava, lui che rideva e che si rotolava a terra con quella faccia impudente lamentandosi per il dolore delle botte… Christabel cercò con tutte le forze di mantenere il timone dei pensieri fisso sui ricordi. Quel pomeriggio solo il pensiero di Matthew riusciva a rallegrare l’atmosfera del Dr. Gray Hospital. Era stata ricoverata solo due giorni prima e per fortuna stava migliorando; solo che faceva un freddo della malora, l’aria era così pungente che sarebbe stata una vera sofferenza non avere una doppia coperta di lana su quel letto d’ospedale. 11


Era il mese di luglio ma sembrava fosse ottobre e la sensazione di fresco, innaturale per quel periodo, penetrava fin nelle ossa, a lei specialmente. Erano settimane che le piogge si alternavano cadenzate alle giornate nuvolose e non facevano che aumentare l’umidità fastidiosa rendendo tutto appiccicoso. Christabel si sentiva come ogni giorno, debole all’inverosimile, quasi che l’energia che aveva in corpo le consentisse solo di respirare e non fare null’altro. La spossatezza era dovuta alla malattia che prendeva il sopravvento e la consumava pian piano: lo sapeva di essere sieropositiva dalla nascita e che non sarebbe vissuta a lungo. La mamma seduta sulla poltroncina accanto al letto di ferro intanto depennava una alla volta, con meticolosità quasi maniacale, le scritte vergate in una grafia antica da una lista lunga due pagine: i preparativi per il pranzo della domenica la assorbivano completamente. Oramai cucinare era diventata un’abitudine, era necessario per tutti e lei ne faceva un rito organizzando ogni cosa nei minimi dettagli. Christabel abbandonata sui cuscini la guardava ma aveva la mente altrove. Osservandola non poteva non pensare a cosa Pamela, la sua madre adottiva, era stata nella vita precedente. Provava una stretta al cuore al solo pensiero di non essere più circondata da vampiri e che soprattutto i Rochester non fossero i soli a non esserlo più. Erano diventati umani, da vampiri a umani attraverso un lungo e tormentato cammino aperto con fatica da Ethan, il fratello del patrigno di Christabel e poi percorso da tutti gli altri. Avevano lottato, lui e Liz e avevano vinto, avevano guadagnato la loro umanità e ora volevano consacrare con rito religioso le nozze celebrate solo civilmente. Riecheggiavano nella mente di Christabel ancora le parole di Pamela: “tartine, aperitivo, fiori”; la mamma soppesava ogni situazione valutando il fatto e il da farsi, mor12


dicchiando il cappuccio della penna, pensierosa quando qualcosa non la convinceva, tratteggiando invece spedita quando il compito era stato svolto. Dalla sua postazione Christabel, cercando di sollevarsi appena dal materasso, un po’ se la rideva per la tenacia di Pamela e un po’ era in pena per Liz, che non vedeva dal mattino. Elisabeth, sua zia acquisita, era stata colei cui l’esistenza da vampiro era durata meno di tutti e che aveva lottato per rimanere a fianco del suo amore Ethan, anche quando lui era un essere pericoloso e lei solo una fragile umana. Era strana ultimamente, nervosa, un po’ triste, non sembrava più lei, le nascondeva qualcosa, ma Christabel non aveva la più pallida idea di cosa fosse. In quell’istante, forse per via della preoccupazione per Liz, Christabel aprì la bocca affamata d’aria, sicura che qualcosa non stesse andando per il verso giusto. Non poteva essere normale tutto quell’ondeggiare intorno a lei e quel malessere così violento. Strinse forte il bordo del materasso con entrambe le mani e cercò di dare voce al dolore che le mordeva il petto. Ma non successe proprio nulla. Per quanto si sforzasse di catturare aria, Christabel non riusciva a prendere se non boccate di angoscia e di senso di impotenza. Il sudore iniziò a gelarle la schiena e in un attimo tutto le fu chiaro: nella lucidità di quel momento infinito e terribile capì che stava smettendo di respirare. I pensieri più disperati le affollarono la mente, sapeva che l’AIDS la stava portando via, sapeva che non avrebbe raggiunto i vent’anni, ma quindici erano troppo pochi. Non era pronta a lasciar perdere tutto proprio in quel momento. Aveva immaginato tante e tante volte come sarebbe stato, aveva cercato di prefigurare quell’istante, ma mentre 13


c’era dentro, non riusciva a ricordare nulla di ciò che si era ripromessa di fare, riusciva solo ad avere paura. Raddoppiò la presa sulle sbarre di metallo in modo ancora più convulso, mentre Pamela continuava ad aprire e chiudere la bocca come un pesce. Non riusciva a sentire più nulla. Poi, il buio più totale. Christabel navigò in quell’oscurità, ci si perse completamente, fino a quando non divenne impenetrabile e densa oltre ogni immaginazione. Erano passati solo due giorni e Liz aveva appena oltrepassato la porta della camera privata del dr Gray Hospital quando si sentirono voci concitate provenire dal corridoio principale. Si fermò accigliata: Chi poteva essere tanto maleducato da schiamazzare in quel modo nel reparto rianimazione dei pazienti infettivi? Liz fece la domanda che avrebbe voluto fare chiunque. «Ma cosa sta succedendo?» Ma aveva già riconosciuto una delle voci e iniziò a scuotere testa riducendo le labbra ad una linea sottile. L’anta oscillante della porta sul fondo si spalancò. La prima cosa che comparve fu un grande palmo aperto e subito dopo si stagliò il più giovane dei maschi Rochester che entrava come una furia sotto le luci al neon del Dr. Gray Hospital. Avanzava con l’andatura di un felino, lanciando avanti i passi con un’energia che gelava il sangue nelle vene. Gli occhi che teneva quasi socchiusi la fecero pensare ad un animale ferito, pronto ad attaccare senza pietà chiunque gli avesse sbarrato la strada. Con la potenza dei muscoli freddi, avanzava facendo tendere i quadricipiti vigorosi sotto i jeans scuri, veloci lungo il linoleum lucido del corridoio. 14


Le spalle possenti oscuravano la visuale di quelli che lo incrociavano. Neanche lui era un vero Rochester. Apparteneva ad una famiglia di vampiri abitanti in Tessaglia, in Grecia, ed erano i Rochester a chiamarlo Matthew, perché il suo vero nome era inutilizzabile a Forres: Drago dei Tessali. Come ogni vampiro tessalo aveva il dono oscuro dei mutaforma, poteva assumere le sembianze di qualsiasi animale. Gli strepiti venivano dal tipo che lo inseguiva, un infermiere forse, che cercava con tutte le forze di braccarlo. Matthew si girò verso di lui, senza neanche fare lo sforzo di fermarsi, rallentando solo la corsa gli mormorò qualche parola a bassa voce. Liz non poteva sapere cosa gli stesse dicendo, poteva solo immaginare, ma vide la faccia dell’uomo mentre si specchiava nel viso del vampiro. Passò dall’irritazione alla sorpresa e poi, e sapeva benissimo come giustificare quel cambiamento, le parve che avesse paura. Liz borbottò a bassa voce: «Siamo alle solite, hanno tentato di non farlo passare fuori orario e poi, sentendo il cognome, sono diventati arrendevoli come agnellini.» L’uomo rimase impalato, quasi ipnotizzato a guardare Matthew che riprendeva il cammino come niente fosse. Mentre avanzava in direzione delle camere dei degenti con andatura fluida, una giovane infermiera in divisa bianca uscì dalla medicheria senza guardare chi venisse dal corridoio e stava per scontrarsi inevitabilmente contro quel corpo massiccio. Matthew doveva aver intuito la sua presenza già qualche secondo prima ed era riuscito a ridurre l’impatto, sfiorandola appena con un braccio. Lei era intenta a chiacchierare 15


ad alta voce con una collega e quel ragazzone alto e bruno doveva esserle sembrato una visione, un concentrato mai visto di bellezza e sicurezza. Glielo si leggeva negli occhi. L’aggressività che l’atteggiamento di Matthew trasmetteva era immediata, palpabile, eppure non aveva fatto nulla, se non camminare e urtarla, neanche intenzionalmente. Senza poter staccare gli occhi da quell’abisso nero che era lo sguardo del ragazzo sconosciuto, la donna prese a massaggiarsi il braccio. «Mi perdoni signora.» Matthew si scusò gentile ma sbrigativo, alzando una mano per accompagnare con un cenno le parole. La voce era così morbida e suadente, in armonia con la carica seduttiva dello sguardo e del corpo. Lui era così sicuro di sé, con quel viso squadrato e un po’ arrogante e quegli occhi neri socchiusi, che tutto sembrava tranne un tipo che chiedeva scusa spesso. «S’immagini.» Liz intrecciò le mani contorcendole in preda all’impazienza. Quale sarebbe stata la reazione di Matthew nel sapere di Christabel? Poi finalmente Matthew la raggiunse, abbassò un po’ la testa e mormorò come se parlasse a se stesso. «Io non so come sia potuto succedere.» Liz sospirò: era già al corrente di tutto. «Non è certo colpa tua, Matthew.» Lo guardò compassionevole ma lui era inflessibile e aveva già iniziato a ribattere: «Invece sì, se non mi fossi fatto convincere a seguire Somerset ed Endora a Edimburgo, Chris non avrebbe corso questo rischio.» «Non potevi rifiutarti, Endora è ancora “immatura” e Somerset…» 16


Liz terminò la frase con la voce che si abbassava a un sussurro arrabbiato: «È il suo degno compagno, un inaffidabile, ha così poco controllo.» Matthew non doveva sentirsi affatto giustificato da quella risposta, almeno a giudicare dalla frustrazione e dall’insoddisfazione che gli fiammeggiavano negli occhi. Strinse i pugni tendendo le braccia ai lati del corpo. Era vero, Endora, la madre di Liz era un’ “immatura”, ovvero una vampira appena creata e quindi molto pericolosa per la brama di sangue ancora selvaggia, ma questo non lo faceva sentire meglio. «Dovevate avvertirmi comunque. Come sta?» Le mascelle di Liz si contrassero lasciando che a parlare fosse Pamela. Era sbucata dalla stanza solo qualche secondo prima, ed era rimasta ferma e zitta mentre Matthew recriminava. Il suo viso parve uscire quasi dall’ombra, sembrava più appuntito del solito; le palpebre si abbassarono decise mentre ondeggiava il capo a destra e sinistra in segno di diniego. Matthew digrignò i denti: «Voglio vederla» «Non può neanche sentirti Matthew, è ancora in coma.» Liz scosse la testa. «Non m’importa, voglio farlo.» Ma Pamela gli posò la mano sul braccio accompagnandolo alla panca che correva lungo il muro. «Non ora Matthew, aspettiamo che i medici siano usciti dalla stanza.» Mormorò senza guardarlo negli occhi. Il ragazzo si lasciò cadere sul sedile e incurvò le spalle prendendosi la testa fra le mani. 17


Christabel non avrebbe saputo dire quanto stette in quel nulla, forse minuti, forse giorni o settimane. Anche se, quando si risvegliò, sembrava essere passato solo un secondo. O almeno pensò di essere sveglia. Se non era sveglia era morta. Ma i pensieri le affollavano la mente accavallandosi e confondendola, quindi, doveva essere viva: “Devo ancora fare tanto, non posso, non posso morire” e nel momento in cui lo ripeteva a se stessa, capì di essere sopravvissuta. Ma fu solo un attimo e temette di andarsene di nuovo. Qualcosa le ostruiva la gola, qualcosa che la stava facendo soffocare. «Presto si sta svegliando, è intubata!» Poi un gran daffare intorno a lei, una luce accecante, qualcuno che rimuoveva l’arnese gigante che le avevano ficcato nella gola e lei che respirava di nuovo. Era viva. Non sapeva ancora per quanto ma lo era, e qualcuno era accanto a lei. C’era troppa luce lì dove si trovava e strinse gli occhi per difendersi. Nell’oscurità familiare in cui aveva trovato rifugio, Christabel cercò di dilatare le narici e inspirare più forte che poteva. Le era così vicino che poté riconoscere quel suo odore particolare speziato, il profumo delle braccia che la sollevavano da bambina per issarla sulla schiena e farla trotterellare. Matthew. Se ne riempì il naso e cercò di goderne come se fosse un balsamo che le ricordava i giorni felici in cui non sapeva di essere condannata. E poi sentì quello schiarirsi della voce così familiare e rassicurante che faceva tanto spesso. E alzò lo sguardo, trovandolo vicinissimo. Un paio di occhi neri la osservavano acuti e profondi. Erano tristi, era lo sguardo di chi ha vissuto e ha visto parecchio, ma soffre ancora per le avversità della vita. Forse ciò che le era 18


capitato era una di quelle. Cose che lo facevano star male, che gli regalavano ingiustamente quello sguardo. Matthew socchiuse per un momento gli occhi come a cercare le parole, ma poi si limitò a sollevare le ciglia e continuò a guardarla con serietà. Infine fece qualcosa che la ragazza non si sarebbe mai aspettata: si inginocchiò. «Chris, come stai?» La voce era profonda come la ricordava, ma fu sorpresa e lo stupore le fece distogliere lo sguardo dalle pozze nere che la fissavano segnate dalle occhiaie. Le labbra erano un po’ tese dall’apprensione dell’attesa di una risposta importante. «Me la sono vista brutta.» La voce era gracchiante, poi abbassò lo sguardo al pensiero della paura che aveva avuto, al rimpianto di ciò che avrebbe dovuto lasciare, di chi avrebbe dovuto lasciare.

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