Eugenio Lombardo
50° Santangiolina U 1961 - 2011 na storia che guarda al futuro  
2011
Opera realizzata con il contributo di Banca Centropadana Credito Cooperativo
ISBN 978-88-87303-52-0 1° edizione novembre 2011 Copyright © 2011 Mamma Editori Mamma Editori Casa Bonaparte 43024 Neviano degli Arduini - Parma telefono 0521.84.63.25 mamma@mammaeditori.it www.mammaeditori.it
Com’e’ cambiato il Lodigiano
N
ella mente di tanti di noi c’è un Lodigiano antico, oggi scomparso. Le lunghe file dei buoi che, in coppia,
uscivano dai portoni delle cascine per essere
impegnati nei lavori dell’aratura. Il canto cadenzato delle mondine, il volto piegato verso l’acqua delle risaie. Un sottofondo che scandiva il fluire lento delle stagioni: il garrire delle rondini, il frinire dei grilli, il gracidare delle rane. I fedeli in silenzio nella cripta della cattedrale illuminata dalla luce fioca delle candele, una folla sterminata che si assiepava a rendere omaggio allo scheletro di San Bassiano. La palata di granoturco seccato sull’aia lanciata in alto, verso il sole, che ricadeva a terra pulito, pronto per essere chiuso nei sacchi. Il profumo del fieno di maggio e l’odore “di vivo” dell’Adda. Il rumore ritmato della mungitura, con la schizzata del latte dentro la sec-
chia. Gli innamorati che rincorrevano sogni lungo la gabbata. E i vespri domenicali, con il latino talmente storpiato dalle donne da trasformarlo in una lingua indecifrabile. Gli scioperi contadini. Le processioni della Madonna del rosario. Il fiume gonfio dalla pioggia e il terrore che si rompesse l’argine vecchio. Il canto di bandiera rossa e il suono delle campane. I balli sull’aia e le barbine raccontate nelle stalle. La tempesta che buttava giù tutto il frumento e il volto dei vecchi rigati dal pianto. E i campi quadrati cinti di gelsi, tracciati così, da duemila anni, dalla centuriazione romana. Questo era il Lodigiano, benedetto sia il suo nome. E oggi? Oggi non si trova più un albero in tutta la campagna. Le poche roveri superstiti stanno rinsecchendo al sole, bruciate dal surriscaldamento del pianeta. Tanti tetti delle cascine sono ormai sfondati. Oppure, qua e là, riverberano coperti dai pannelli neri del fotovoltaico. Di marcite e di prati stabili non ce n’è più, sono stati arati per far posto alle sterminate distese del mais, che finisce bruciato negli ufo che producono energia e biogas. Le lucciole sono scomparse. Le volpi e le upupe si possono vedere allo zoo. La città avanza verso il cimitero dei longo-
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bardi, con i suoi palazzi quadrati che al pianoterra hanno i saloni di bellezza. Le tangenziali dei paesi, gli ipermercati con i parcheggi a perdita d’occhio e la foresta grigia dei capannoni della logistica. E mentre chiudeva la Polenghi noi accoglievamo, al suono della banda, l’arrivo delle raffinerie e delle industrie chimiche cacciate da Milano. Com’è cambiato il Lodigiano, benedetto sia il suo nome. Ieri gli agrimensori della Muzza tracciavano a mano, per chilometri, il reticolo dei fossi. Nella Bassa i tecnici della bonifica incanalavano le acque per scaricarle nel Po. I monaci del Cerreto dissodavano con i badili trenta ettari di paludi tra Casaletto e Cavenago. E i marchesi Landi, con le zappe e le carriole, facevano deviare il corso del Po, per lasciare Caselle sulla sponda destra del Grande fiume. Oggi l’aratro è comandato dal computer e il trattorista che lo guida nella cabina climatizzata, con il cellulare infastidisce la sua Rosina, che sta facendo un master in California. È il progresso che avanza. Ma cosa è rimasto di allora? Poche cose. Poche reliquie da andare a vedere nei musei della civiltà contadina. Eppure un pugno di coraggiosi non ha venduto le aziende alle società immo-
biliari. Ha continuato a lavorare la terra, a curare la stalla, a mungere le vacche. E spezzandosi la schiena dal lavoro e dalla fatica, e guardando sempre avanti anche quando le stagioni si facevano più buie e il prezzo del latte si era ridotto a un’inezia imposta dalle grandi catene dei supermercati, non se ne è andato. Si è trasformato da umile coltivatore in manager. Da sprovveduto zappaterra in imprenditore che sa guardare lontano, nella consapevolezza che i prezzi del mais non li fanno più i mediatori, ma oscillano secondo i listini del Sole 24Ore. Non se ne è andato. Come quelli della Santangiolina che oggi compie cinquant’anni. La vita di un uomo. Chi avrebbe mai detto che sarebbe arrivata così lontano? I 280 soci produttori lodigiani del 2005 sono diventati i 350 di oggi, dislocati in tutta la Lombardia. I 5600 quintali giornalieri di latte raccolti nel 2005 sono oggi 7000 quintali. Tutto latte eccellente, di ottima qualità. Cinquant’anni di vita. Taglia questo traguardo a testa alta, perché sono stati anni duri, difficili. Ma la Cooperativa ha saputo cercare nuovi orizzonti, inseguire sogni lontani, conquistare nicchie di mercato. Lo ha fatto con tanta intelligenza e con altrettanto impegno, guidata da personaggi a cui dobbiamo
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grande riconoscenza, perché promuovendo questa attività hanno rinvigorito l’anima e l’immagine del nostro territorio. Giù il cappello davanti a uomini tutti d’un pezzo, come Mario Pozzoli o Cecchino Panigada. O come quel demonio di Antonio Baietta, che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo: se si è arrivati fin qui, il merito è soprattutto suo. Cinquant’anni di vita. Questo volume celebrativo - che si lascia leggere come un romanzo dentro ad una particolare storia, e che non poteva essere realizzato se non da Eugenio Lombardo, autore qualificato di decine e decine di prose sulle cascine del territorio, dalle quali sono stati ricavati apprezzati volumi - resterà negli annali della Santangiolina. Ora, se quella terra che tanti di noi portano nel cuore non è scomparsa ed è viva più che mai, pronta alle sfide del futuro, lo dobbiamo anche alla Santangiolina e alla pattuglia dei coraggiosi che l’ha governata con tanta saggezza. E allora possiamo starne certi: l’identità, la cultura e i valori del Lodigiano, benedetto sia il suo nome, non saranno cancellati. Né da Internet, né dai telefonini. Ferruccio Pallavera direttore del Cittadino, quotidiano del Lodigiano
SANTANGIOLINA LATTE FATTORIE LOMBARDE SOCIETà AGRICOLA COOPERATIVA Composizione degli organi sociali – Ottobre 2011 PRESIDENTE
BAIETTA ANTONIO
DIRETTORE
FONTANA GIORGIO
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
BAIETTA EMILIO
Vice Presidente
CAVIONI GIUSEPPE
Vice Presidente
BARBAGLIO FRANCO
Consigliere
CATTANEO LUIGI
Consigliere
MIZZI CARLO
Consigliere
PERCIVALDI ROBERTO
Consigliere
ROTA PIETRO
Consigliere
TREZZI FORTUNATO
Consigliere
COLLEGIO SINDACALE
SILVESTRI SALVATORE
Presidente
BONI ANGELO
Sindaco effettivo
LUNGHI GIUSEPPE
Sindaco effettivo
CARAVELLI DANIELA
Sindaco supplente
COVINI PAOLO MARIA
Sindaco supplente
50° Santangiolina U 1961 - 2011 na storia che guarda al futuro  
Una storia che guarda al futuro
La
puntigliosa e appassionata indagine sulla storia della cooperativa, condotta tra vecchi documenti, foto d’epoca e vibranti dia-
loghi con protagonisti e testimoni degli eventi trascorsi ha portato alla luce un racconto inaspettatamente vivo e vitale, che troverete racchiuso in questo volume celebrativo. Un percorso che ci porta con la mente ed il ricordo ai tempi in cui le nostre cascine non erano solo insediamenti produttivi ma anche ambiti di un’intensa vita comunitaria, dove con semplicità si condividevano le fatiche quotidiane e si tramandavano consuetudini e ricordi. Un mondo ricco di relazioni in cui anche tra uomo e terra si era instaurato un rapporto difficile ma equilibrato e sereno.
Nelle pagine di questa significativa pubblicazione, che siamo lieti di mettere a disposizione dei soci e di tutti gli amici della cooperativa, possiamo cercare le tracce delle nostre origini per guardare con rinnovato slancio al futuro. C’è a questo proposito un aspetto in particolare che ci interessa sottolineare, un “vantaggio competitivo” che ha fatto la differenza nella storia di Santangiolina fin dall’inizio: la carica ideale. Cioè la coscienza di lavorare per dare un futuro alla nostra gente, i soci allevatori che portano avanti un lavoro difficile con passione e sacrificio. Questo è il filo conduttore che potrete trovare tra le righe delle vicissitudini anche banali della vita quotidiana della cooperativa, nelle forme dell’attenzione al valore del singolo socio, delle porte sempre aperte ai produttori in difficoltà, come nel rigore sul tema del rispetto delle regole e dell’uguaglianza tra i soci. Lo spirito che ritroviamo nelle parole di uno dei padri della cooperazione agricola italiana che così esortava i dirigenti delle prime cooperative a fine ‘800: “in tutto il vostro pensare, trattare e fare non vi fermate mai al vostro personale vantaggio od interesse, ma il tutto dirigete al vantaggio comune (...) non lavorate più per solo vostro conto od utile, ma per conto di tutti, pel bene sociale” (don Lorenzo Guetti, Almanacco agrario, 1895).
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È la fedeltà agli ideali dei fondatori che ha consentito a Santangiolina di tagliare il traguardo del cinquantesimo compleanno ancora giovane in quanto piena di entusiasmo, umiltà e voglia di fare, in continua crescita ed evoluzione a differenza di tante realtà che oggi non esistono più o sono ormai spenti relitti del passato. Il mondo sta cambiando oggi ben più velocemente di un tempo, ci troviamo ad affrontare situazioni impensabili fino a pochi anni fa come la crisi finanziaria globale, la volatilità dei mercati, la scarsità di offerta di materie prime agricole a fronte di una domanda mondiale di cibo in continua crescita. Per problemi nuovi servono nuove soluzioni, occorre il coraggio di cambiare mentalità ma senza perdere di vista il senso del nostro fare impresa. Santangiolina ancora una volta non si farà trovare impreparata.
San Colombano al Lambro, novembre 2011
Il Presidente Antonio Baietta
Gli anni ‘60
Il
primo nucleo della SocietĂ Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina fu costituito il 28 marzo 1961, a
Sant’Angelo Lodigiano. Ne facevano parte diciassette soci. Le riunioni si tenevano in una sala della Scuola Professioni Arti e Mestieri, all’interno del rinomato e glorioso castello del paese. Questo limitato numero di soci fondatori non deve trarre in inganno. Quel numero, diciassette, scaramanticamente anche sfortunato, era invece soltanto la cifra originaria. Oggi, a mezzo secolo dalla fondazione, i soci sono quattrocento. Non era facile, agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, raggiungere, per anguste sterrate costeggiate di fossi, stalle con solo una decina di bovine, forse anche meno,
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per ritirare il latte. E questo è stato uno dei segreti di Santangiolina: sapere valorizzare il singolo socio, il produttore di latte più lontano nei confini geografici del Lodigiano, prima, e, poi, di una macroarea del nord Italia. Nel più lontano passato, per aderire a Santangiolina, occorreva versare la quota sociale di lire 5.000. Le convocazioni avvenivano per raccomandata e con pubblicazione dell’avviso sul giornale milanese L’Italia. Il quotidiano, d’ispirazione cattolica, fondato per volontà del cardinale Andrea Carlo Ferrari, era uscito per la prima volta il 25 giugno 1912, durante la guerra con la Turchia per il controllo della Libia. L’Italia fu edito sino al 1968, poi fu incorporato da Avvenire. Il primo scopo di Cooperativa Santangiolina fu raccogliere il latte dai propri soci e conferirlo alla Centrale del Latte di Milano. Ma questa non era l’unica finalità. Gli amministratori del sodalizio, eletti dall’assemblea dei soci, focalizzarono altri due obiettivi: migliorare igiene e pulizie delle stalle e avviare in ter-
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mini risolutivi il risanamento del bestiame dalla tubercolosi. Ad essere eletto Presidente della cooperativa fu Mario Pozzoli, nato a Casaletto Vaprio il 4 settembre 1900, agricoltore, domiciliato alla cascina Vidardo, nell’omonimo paese di Castiraga Vidardo. Gli inizi della cooperativa furono lenti: fu necessario attendere che i soci concludessero i contratti in corso con diverse aziende per il conferimento del latte delle proprie stalle; i primi impegni, allora, si risolsero in questioni amministrative e burocratiche. Ma, sotto traccia, la cooperativa muoveva passi lunghi e significativi. tesa con la Centrale del Latte di Milano per il costo di 100 litri di latte, determinato sul valore monetario, settimanale o mensile, dei seguenti prodotti pubblicati sui bollettini merceologici: kg. 3.300 di burro; kg. 3.300 di gorgonzola fresco; kg. 300 di grana fresco; alla media ottenuta si aggiungeva una maggiorazione per l’incomodo del trasporto del latte. La Centrale di Milano s’impegnava ad erogare anticipatamente gli acconti, mentre i saldi avvenivano il giorno 12 del mese successivo alla consegna. Al secondo pa-
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Il 16 ottobre 1961 si era raggiunta l’in-
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gamento, la cooperativa corrispondeva ai propri soci le somme ricevute, trattenendo solo lire 250 l’ettolitro, che servivano per fare fronte alle spese di gestione. Per portare il latte a Milano fu scelta la ditta lodigiana Zamboni. Il titolare di questa azienda di autotrasporto era Francesco Zamboni, che fu una figura stabile ed importante per Santangiolina: egli si ritirò dall’attività nel novembre 1977, ma la sua azienda fu rilevata dagli stessi dipendenti che realizzarono la Cooperativa Au-
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totrasporti Latte. Se nel marzo 1961 i soci fondatori erano stati in diciassette, sette mesi dopo, nella riunione di ottobre, se ne contavano già cinquantasei: trentanove in più. Le riunioni di Società Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina erano aperte anche ai simpatizzanti, proprio per favorire la conoscenza dei propositi e degli obiettivi sociali: e i consensi arrivavano. Tanto che, già dal mese successivo, per sopperire ai costi delle attività, fu necessario cambiare la quota d’iscrizione: non più 5.000 lire a socio, ma lo stesso importo per ogni dieci vacche lattifere possedute. In
per le quantità di latte conferite. Era un segnale chiaro della validità dei servizi offerti da Santangiolina in un trend che avrebbe condotto venticinque anni dopo ad una quota di adesione di lire 20.000 per ogni vacca lattifera posseduta. Nel 1962 la cooperativa avviò una riflessione sulle condizioni di salubrità del latte affidato all’industria. Per questo, il Consiglio d’Amministrazione diede mandato al presidente Pozzoli di esperire, presso l’Ispettorato Agrario Provinciale di Milano, le pratiche necessarie per beneficiare di un finanziamento utile all’acquisto di macchinari per la refrigerazione del latte nelle stalle. Tutti i soci vennero sollecitati a refrigerare il proprio latte. Nessuno si oppose. Eppure, dai rilievi effettuati dai tecnici della Centrale, fu chiaro che qualcuno continuava a fare di testa propria: il latte non veniva raffreddato, in certe occasioni risultava
persino annac-
quato da chi ne voleva aumentare i litri. Il presidente Pozzoli, a nome del Consiglio, inviò alcune specifiche lettere di monito, dopodichè escluse dalla cooperativa i soci inadempienti agli obblighi. Intanto, a fine
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cambio i produttori soci ottenevano un’anticipazione
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anno 1962, la Centrale di Milano, valutati i buoni risultati offerti dalla cooperativa, chiese un maggior conferimento del latte; il Consiglio di Amministrazione di Santangiolina s’impegnò a fare aumentare la produzione ai propri soci, ma chiese alla Centrale - nel perfetto gioco delle parti - una maggiorazione di prezzo, quantomeno per coloro che consegnavano il latte con determinate caratteristiche di grasso, di pulizia e di carica batterica, oltre che per quei soci le cui stalle erano in via di risanamento. La Centrale acconsentì alla richiesta. Già da questi piccoli segni emergeva l’importanza della cooperazione: i produttori non erano più isolati, e l’espressione di un gruppo garantiva maggiore solidità alle proprie ragioni. Il lavoro di Società Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina era molto apprezzato, pur operando in un contesto, quello agricolo, spesso prudente rispetto ai cambiamenti: le adesioni di nuovi soci, tuttavia, continuavano ad aumentare. Agli inizi del 1963 risultavano iscritti settantadue produttori. I risultati ottenuti erano positivi: i volumi del latte conferito in continua ascesa, le stalle dotate di impianti di refrigerazione e di bidoni per il deposito e per il trasporto, i soldi da Milano giungevano puntuali e con celerità divisi ai soci. Giusto in
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quel periodo la Centrale di Milano riconobbe ulteriori progressi in termini qualitativi del latte lodigiano, ed aumentò di 200 lire ad ettolitro il prezzo di acquisto, più aggiunse altre 100 lire per le operazioni del raffreddamento del latte da parte dei produttori. La strada era ormai tracciata: i soci nel gennaio 1964 erano già centododici, ma alcune stalle sembravano risalire all’Antico Testamento, assolutamente prive non solo della più elementare tecnologia, ma dei principi basilari dell’igiene. Per questo il Consiglio ra e delle Foreste l’autorizzazione per accedere a un mutuo: con i finanziamenti si sarebbero acquistati, per le stalle dei soci ancora sprovviste, altri raffreddatori conservatori. Questi impianti erano assolutamente indispensabili, considerato che il latte era destinato all’alimentazione diretta e doveva quindi mantenere condizioni d’eccellenza. Con altra parte del mutuo, inoltre, si sarebbero acquistate altre autobotti termiche, dalla capacità di 60 quintali cadauna. Il mutuo fu concluso con la sezione di Credito Agrario della
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di Amministrazione chiese al Ministero dell’Agricoltu-
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Cassa di Risparmio delle Province Lombarde per un totale di lire 37.600.000: furono acquistati numero 6 raffreddatori a spalliera, numero quattro gruppi frigoriferi, numero 17 raffreddatori conservatori. L’impegno del Consiglio di Amministrazione era totale, ma alcuni soci - purtroppo - invece di apprezzare le attività poste in essere, pensavano esclusivamente al proprio profitto, magari ricorrendo a qualche furbizia. In quel periodo, infatti, si accertò che alcuni produttori conferivano minore quantità rispetto a quella che dichiaravano. Fu allora affidato al signor Zamboni, l’autotrasportatore, l’incarico di effettuare saltuariamente controlli sulle quantità caricate sulle autobotti. Fu stabilita una penale pari a trenta volte il quantitativo del latte mancante e, in caso di ripetizione del malfatto, il Consiglio si riservava di assumere provvedimenti più severi. Inoltre i soci recidivi sarebbero stati segnalati alla generalità degli aderenti di Società Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina quali esempi negativi.
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La fondazione
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oteva essere l’azzardo di pochi idealisti: perchè l’iniziativa di quei diciassette uomini, che mise le basi del sistema cooperativistico nella
raccolta del latte nel Lodigiano e nella tutela degli interessi degli aderenti, andava contro tante resistenze. Invece nasceva il sodalizio della Santangiolina. ne. Quando le corti si svuotarono, molti agricoltori erano impreparati: capaci di coordinare il lavoro dei loro uomini, ma se questi mancavano il rischio era dovere ridurre gli ettari da coltivare ed il bestiame. C’erano agricoltori che avevano ereditato enormi fortune dai loro avi, e ne avevano assorbito la mentalità: acume negli affari, ma senza indossare stivaloni, e guardando la stalla da lontano. Dovettero riorganizzarsi: smisero di essere padroni, e divennero imprenditori. Non fu facile. E neanche indolore. Ma la “Santangiolina” ebbe il merito di accompagnare tale processo. Un’evoluzione. Una scommessa vinta. Una soddisfazione immensa. Un grazie a quei diciassette, agli uomini che fondarono il sodalizio.
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Erano i tempi in cui si eclissavano i mungitori dalle casci-
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Mentre ci si interessava a queste piccole beghe, comunque nocive all’immagine della cooperativa, emerse un problema molto serio: la Centrale del Latte di Milano, nell’agosto 1964, comunicò di non potere rispettare i propri impegni di spesa. Furono momenti d’incredulità. Qualche agricoltore insinuò che prima era meglio, che quando ciascuno pensava per sé gli affari erano forse più lenti, ma garantiti. È un classico della vita: andando bene le cose si è tutti dalla stessa parte; ma se c’è un solo scricchiolio è facile ritrovarsi da soli... I dirigenti di Santangiolina non si persero d’animo. Ed in men che non si dica raggiunsero un accordo con
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Banca Popolare di Lodi; il 22 agosto 1964 fu diramato un comunicato, che così recitava: «Nell’eventualità che il fatto possa ripetersi, allo scopo di assicurare ai soci il tempestivo incasso del corrispettivo del latte conferito, il Consiglio di Amministrazione ha ottenuto dalla Banca Popolare di Lodi un prefinanziamento di lire 70 milioni, e l’Istituto di credito, come garanzia, ottiene che la Centrale del Latte di Milano effettui i pagamenti del latte solo per il di lei tramite con la facoltà di essa Banca di rivalersi sul versamento fatto dalla Centrale di quanto anticipato...» In effetti, non è che i rapporti tra Centrale del latte di Milano e coo-
no baruffe: l’azienda meneghina, malgrado gli sforzi fatti da Santangiolina, lamentava le carenti condizioni igieniche di alcune stalle lodigiane, causa di infezioni batteriche sul latte. Poiché, i principi di tracciabilità del latte non erano sofisticati come oggi, ma si sapeva benissimo come risalire ai colpevoli delle malefatte o delle superficialità, il presidente Pozzoli interveniva per obbligare i soci a diversi comportamenti. C’era chi veniva invitato a conferire nuovamente il proprio latte soltanto dopo aver sanato i problemi, chi si offendeva e si dimetteva dalla cooperativa, e chi doveva fare i conti con il destino cinico e baro, come un imprenditore di San Martino in Strada, che aveva subito un incendio nella propria stalla, con gravissimo danneggiamento per il bestiame, ed aveva così comunicato il recesso dal sodalizio di Santangiolina. Il guaio più grosso doveva ancora arrivare: alla metà del 1965 la Centrale di Milano sentenziò che il latte consegnatogli fosse, in larga parte, ben al di sotto
della
percentuale
di grasso necessaria per un’eccellente
qualità,
e
ridusse, per le partite in-
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perativa filassero sempre amorevolmente; spesso era-
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teressate, il riconoscimento del prezzo al litro: trentadue lire, anziché sessanta. Santangiolina replicò, intanto, asserendo che anche quelle partite di latte, soglia di grasso rispettata o meno, fossero di ottimo utilizzo per l’industria casearia; e poi, applicando il valore della cooperazione, riconoscendo ai soci interessati dalla riduzione la differenza mancante. Poi, poiché una cattiva notizia è spesso accompagnata da una seconda, la Centrale di Milano, alla fine di ottobre del 1965, comunicò alla cooperativa di volere ridurre il quantitativo delle fornitura di circa cento quintali giornalieri mediante esclusione di un gruppo di produttori scelti proprio dalla stessa azienda milanese. Queste partite di latte non più richieste, Santangiolina scelse di indirizzarle alla Società Polenghi Lombardo per utilizzo industriale. Le condizioni per i produttori rimasero identiche: infatti, a chiunque fosse destinato il latte, Santangiolina,
garan-
tendo l’uguaglianza di condizione a tutti i soci conferenti, a
ciascun
attribuiva produttore
lire 7.200 all’ettolitro.
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Ma ovviamente il problema della collocazione del latte cominciava a farsi sentire. In sintesi, il quadro che si presentava a Santangiolina, a metà del 1966, era il seguente: la Centrale di Milano continuava a richiedere esclusivamente latte da bovine assolutamente immuni da tubercolosi per l’utilizzo fresco del prodotto, mentre l’industria casearia, la Polenghi Lombardo, sembrava disponibile ad acquistare l’altra parte, per il suo trattamento industriale, ma limitando nel futuro in modo drastico le acquisizioni. Da questa situazione di stallo sembrava sorgere un’opportunità: creadiretta trasformazione del latte. Il Consiglio di Amministrazione proponeva di avviare uno studio di fattibilità per la realizzazione di tale progetto, affidandolo a tecnici esperti, per una valutazione sugli impegni economici e sulle risorse finanziarie necessarie, e studiando l’ipotesi di acquisizione di terreni dove erigere questa nuova realtà. Oltre alle preoccupazioni, la nuova annata casearia sembrava avviarsi in modo piatto: la Centrale di Milano riconosceva ai produttori di latte un prezzo
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re, all’interno di Santangiolina, un caseificio per la
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base modesto, ampliato tuttavia da una serie di premi incentivanti per le qualità fornite. Restavano inoltre dubbi sulla cessione del latte alla Polenghi Lombardo, in quanto tale industria non si esprimeva a priori sul riconoscimento del prezzo a litro, ma intendeva trattarlo durante il periodo di fornitura: fatto che la cooperativa riteneva lesivo per i propri soci. A tal punto che, a posizioni irrigidite e perciò arenate, Santangiolina decise di rivolgersi al caseifi-
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cio Milani Cesare e Figlio di Marzano, nella provincia di Pavia, attribuendo a esso la consegna del latte per il periodo dal 11 novembre 1966 al 11 novembre 1967. Ma il buon esito degli affari, non distoglieva il Consiglio di Amministrazione di Santangiolina dal disegno delle strategie future: così il presidente Pozzoli presentò ai propri collaboratori un progettino che, nero su bianco, prevedeva uno stabilimento per la lavorazione del latte e la conservazione dei suoi prodotti, nonché la integrale utilizzazione dei sottoprodotti mediante l’allevamento e l’ingrasso di suini.
trasti con la Centrale di Milano sembravano ampliarsi: quest’ultima, nel novembre 1967 comunicò che i pagamenti sarebbero stati effettuati dopo 30 giorni dalla consegna. Allora il Consiglio, al fine di garantire ai soci il pagamento del latte per il giorno 15 di ogni mese, formulò la richiesta di un prestito alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde: ciò garantiva condizioni costanti di pagamento, tutelando il reddito dei soci, anche quando il mercato non avrebbe offerto questa possibilità. A seguito di queste situazioni, la relazione annuale del presidente Pozzoli non appariva trionfalistica. Tutt’altro. Si sottolineavano le difficoltà nel collocare il prodotto presso la Centrale di Milano, oltre alla mancata ripresa del valore del prezzo del latte. Al danno si aggiungeva la beffa: la Centrale, che in definitiva assorbiva la metà del quantitativo conferito dai soci, escludeva di ritirare il latte per i mesi di luglio ed agosto, così che il Consiglio era stato costretto a cedere la produzione esclusa ad altri enti, pattuendone il prezzo, ovviamente su basi minori.
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Era una soluzione inevitabile, anche perché i con-
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Proprio per questo il Consiglio rilanciava l’idea di realizzare un proprio caseificio. Era consapevolezza comune che il latte in esubero non avrebbe potuto essere collocato che a prezzi rovinosi. Ma poiché l’area dove edificare lo stabilimento continuava a non essere individuata, il Consiglio diede mandato al Presidente di trovare in affitto un piccolo caseificio che avesse la capacità lavorativa giornaliera di ettolitri 50/80 di latte così da fronteggiare le difficoltà nella collocazione del latte esuberante. Per questo si pensava di ricorrere ai prestiti previsti dai fondi europei del Piano Feoga. La ricerca fu spasmodica. Si tergiversava tra soluzioni di acquisto ed altre di affittanza. Alla cascina Belfiorito di Sant’Angelo Lodigiano vi era funzionante un piccolo caseificio, e si immaginò di utilizzarlo, seppure in via provvisoria, per la lavorazione di piccole quantità di latte. L’idea suscitò entusiasmi e isolate perplessità: a forte maggioranza, i consiglieri espressero parere favorevole affinché si promuovesse una trattativa con la proprietà per un’affittanza di due, tre anni, ritenuto che entro tale periodo potesse essere costruito il complesso lattiero caseario già in programma. E in effetti la trattativa si aprì: solo che il proprietario della cascina Belfiorito, Saronio,
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intendeva affittare caseificio e porcilaie per un solo anno, mentre Santangiolina
chiedeva
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garanzia di un biennio. Il confronto si arenò immediatamente. Intanto si distribuiva il latte a più realtà: fra queste, Centrale del Latte di Milano, Centrale del Latte di Pavia, Società Latteria San Giorgio di Locate Triulzi, Società Polenghi Lombardo di Lodi, Latteria Milani Cesare e figlio di Marzano. Sei mesi dopo la situazione era di stallo. Vi erano resistenze verso nuove avventure, che sembravano tenevano di interpretare il pensiero della stragrande maggioranza dei soci: la costruzione del caseificio era un punto fermo tanto che, il Consiglio di Amministrazione, determinò che, una volta deliberate le formalità per l’acquisizione dei terreni, chi fra i soci non fosse stato d’accordo era assolutamente libero di recedere dalla cooperativa. Forse fu il tono ad irritare. Più probabilmente l’antica mentalità che novità troppo lungimiranti togliessero sicurezze, fatto sta che il 30 marzo 1969,
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rischiose. I consiglieri di Santangiolina, tuttavia, ri-
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quando fu convocata l’assemblea dei soci, avvenne un colpo di scena: la proposta di costruzione dell’immobile, quale proprio caseificio, fu clamorosamente rigettata. Vi rimasero tutti di sasso, il presidente Pozzoli in testa. Il Consiglio fu costretto a presentarsi dimissionario, a ruota fece lo stesso il Consiglio dei Sindaci: insomma, un terremoto. Il periodo immediatamente seguente fu alquanto grigio e monotono; gli entusiasmi si erano affievoliti. E vi era un’enormità di problemi da affrontare.
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Il primo Presidente
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ario Pozzoli, presidente della Santangiolina dalla fondazione sino al 1969, era nato nel 1900 a Casaletto Vaprio ma quasi tutta
la vita l’aveva trascorsa a Castiraga Vidardo; qui, oltre alla produzione del latte, curava il commercio di manzette. Quando assunse l’incarico di presidente, sessantenne, lo fece perchè credeva nella cooperazione. Signorile ebbe il fratello Giuseppe, ed il primo autotrasportatore della Santangiolina: Francesco Zamboni; a lui raccomandava di far giungere il latte alla Centrale di Milano percorrendo, durante gli inverni nebbiosi, le più impervie strade della campagna lodigiana. Pozzoli era un perfezionista: desiderava essere informato su tutto. Ebbe il merito, partendo da zero, di rendere subito credibile la Santangiolina: questo, il suo migliore biglietto da visita. Proverbiali erano le sfuriate ai soci che barando sulle quantità conferite, annacquavano il latte: minacciava di rompere ogni rapporto con i rei, ma ricevute le promesse che i misfatti non sarebbero più capitati, tornava di buon umore. Si fece da parte appena comprese che l’età lo limitava. Ma sino alla fine continuò a sentire la Santangiolina come una sua creatura.
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ed autorevole, sapeva essere umile; fra i suoi collaboratori
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