La Vallata di Scurano

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Rosina Trombi

LA VALLATA E IL TERRITORIO DI SCURANO

GRUPPO ALPINI SCURANO

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Rosina Trombi LA VALLATA E IL TERRITORIO DI

SCURANO

GRUPPO ALPINI DI SCURANO


Rosina Trombi La vallata e il territorio di

scurano 2013 Gruppo Alpini di Scurano


qwryuiopdklzxcvqwryuiop Grafica, composizione, illustrazione, stampa e legatura Mamma editori Parma - Casa Bonaparte - 43024 Neviano degli Arduini telefono 0521.84.63.25 - mamma@mammaeditori.it - www.mammaeditori.it

il monumento degli alpini a scurano

Rosina Trombi La vallata e il territorio di Scurano 1° edizione giugno 2013 Copyright © 2013 Gruppo Alpini Scurano Scurano di Neviano degli Arduini (PR) Strada Pozzo 6 raffaele.leoni@hotmail.com Le immagini fografiche dei luoghi sono proprietà riservata di Mamma editori e ne è vietata la riproduzione.


Introduzione Il gruppo Alpini di Scurano compie quest’anno 63 anni dalla sua fondazione ed ospita l’adunata Sezionale di Parma, in seguito all’accoglimento della richiesta inoltrata due anni fa, grazie all’appassionato interessamento del Signor Raffaele Leoni, Sergente Maggiore degli Alpini e attuale Capogruppo della Associazione Alpini di Scurano. La prima tessera è quella intestata al Signor Ugo Garulli, deceduto nel febbraio 2012, fondatore del gruppo insieme a Delio Garulli. Il numero dei tesserati, 90, è notevole e significativo in rapporto a quello degli abitanti. Molti degli iscritti svolgono a tutt’oggi una instancabile attività nell’ambito delle due maggiori Associazioni di volontariato del paese, AVIS e CRI, si occupano della manutenzione del verde pubblico e collaborano col Parroco, Don Elio Piazza, alla manutenzione delle strutture parrocchiali (campo sportivo e area adiacente). Scurano è un paese relativamente piccolo e non più densamente abitato, ma presenta tutte le credenziali per ospitare l’evento: le vie di accesso al paese sono diverse e da differenti direzioni; i grandi spazi verdi della “conca” offrono un luogo ideale per sfilate, riunioni anche molto affollate, parcheggi, la popolazione si caratterizza per un grande senso dell’ospitalità, una collaudata attitudine all’accoglienza e all’organizzazione, che si avvarrà anche della collaborazione dei gruppi Alpini di altre frazioni del Comune di Neviano degli Arduini (Vezzano - Campora - Mediano) e naturalmente della sezione di Parma.


Queste doti si evidenzieranno ulteriormente nell’occasione, proprio perché si tratta di ospitare gli Alpini. Tutte le nostre forze armate, infatti, sono degne di rispetto, ammirazione e gratitudine. Ma senza dubbio gli Alpini hanno “qualcosa” in più. Si tratta forse del loro eccezionale spirito di corpo (come non pensare ai loro oceanici raduni annuali in cui ci si ritrova, si sfila, si prega, si canta, ci si diverte un mondo?) ma anche della prontezza, della generosità e della efficiente competenza con cui gli Alpini in congedo si mobilitano ogni qualvolta, per qualsiasi motivo, una popolazione si trovi nella difficoltà o nel bisogno. Per illustrare agli ospiti gli aspetti più significativi del paese si è pensato di ristampare, con le modifiche e gli aggiornamenti opportuni, una pubblicazione edita nel 1996 a cura AVIS e Croce Rossa Scuranesi, allora rispettivamente al 30° e 20° anno di attività che ne hanno gentilmente concesso la riedizione. Si tratta di brevi annotazioni sulla storia e sull’attualità della valle e del territorio di Scurano, che non hanno la pretesa di essere esaurienti, ma possono costituire un punto di partenza per una conoscenza più completa di attrattive e peculiarità del luogo.

Raffaele Leoni


La vallata di Scurano

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qwryuiopdklzxcvqwryuiop pietra del bismantova e in fondo il Cusna


Rosina Trombi

La vallata e il territorio di Scurano


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prospettiva su un territorio frazionato


La vallata e il territorio di Scurano Il villaggio di Scurano giace sulla sinistra dell’Enza di fronte a Vetto reggiano. Il suo territorio è assai largo e lungo: va dal greto di detto fiume su, fino alla più alta vetta di monte Fuso (m. 1117). Il villaggio è molto frazionato, tanto che in non poche carte topografiche, non sapendo in quale frazione porre il nome di Scurano vi si legge una frase generica: Vallata di Scurano. Le frazioni principali però mi sembrano: Mercato, Quinzo, Canale, Pozzo, Savignana o Sarignana, e Costola. Nella parte bassa il villaggio è ricco di frutti e di cereali; nella parte alta invece ciò che più vi abbonda sono i castagni e i pascoli pel bestiame. L’agricoltura è, data l’altimetria, abbastanza progredita. Il commercio non è gran cosa: vi si tiene una fiera di bestiami e merci la prima domenica di agosto e vi sono tutti i sabati da S. Martino a Carnevale i mercati di suini. Tanto la fiera però che i mercati non hanno fino ad ora un gran nome. Il centro del commercio è la frazione detta il Mercato: quivi infatti vi sono due o tre buone osterie, alcune botteghe di generi vari e colletoria postale. Scurano è nel comune di Neviano Arduini, se mi è lecito il paragone, quello che è Milano per l’Italia: la capitale morale. Se l’automobile facesse conoscere a quei della città questo paese, io son per credere che non tarderebbe moIto a popolarsi nei mesi estivi di cittadini e ad elevarsi a stazione climatica con forse più merito di

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tanti altri paesi. Perché? perché è un paese, o un villaggio non importa, tanto caro e simpatico. Sarà un’idea tutta mia: ma quando osservi Scurano con i suoi gruppi di case sparsi qua e là nel piano, sul fianco del Monte, quando passo per le sue strade lastricate di grossi pietroni, fiancheggiati da muri a secco, che si tagliano, si curvano e si biforcano ad ogni tratto, quando ad ognuno di questi bivii, trivii o quadrivii m’incontro in una Madonna incastrata in uno dei muri laterali mi si presenta chiaro distinto davanti agli occhi il paesaggio dipintoci dal Manzoni: quel piccolo paese di montagna tutto a viottoli per uno dei quali la sera fatale discendeva Don Abbondio. Sì, se c’è un paese di montagna che porti le stimmate o i segni degli ultimi tre secoli passati è Scurano. Iacopo da Cassio, cronista a Ceretolo, scriveva nel 1908 queste note come introduzione ad una piccola storia di Scurano tratta dagli appunti di Don Luigi Garulli, da noi ripetutamente utilizzati, riordinati in quell’occasione e successivamente inviati all’allora Arciprete Giovanni Gennari. Non abbiamo nulla da eccepire né da aggiungere quanto agli aspetti naturalistici e paesaggistici della vallata e accettiamo di buon grado anche il paragone, forse un po’ azzardato, tra questo paesaggio e quello Manzoniano del primo capitolo dei Promessi Sposi. Ci sembra d’obbligo invece qualche aggiornamento sulla situazione socio-economica e turistica del luogo. La previsione di Iacopo da Cassio riguardo l’ultimo aspetto si è sostanzialmente avverata perché in questi decenni molti cittadini hanno scelto Scurano come luogo ideale per trascorrervi l’estate. Il mercato rimane il centro commerciale del paese: alle botteghe e all’ufficio postale si sono nel frat-

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arrivo a scurano

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wryuiopdklzxcvqwryuiop “Il Palazzo” - Proprietà sorelle Gennari

tempo aggiunti, oltre al forno, alla macelleria, alla barberia, ai negozi di parrucchiera, alla rivendita dei giornali, altri servizi come l’ambulatorio medico, la farmacia, lo sportello bancario e alcune strutture ricreative, quali la piscina, il parco giochi e il campo sportivo, apprezzati e frequentati da residenti e villeggianti. La fiera di inizio agosto è stata fatta rivivere, pur con caratteristiche differenti, così come il mercato del sabato. Sono stati chiusi invece i negozi di abbigliamento, di calzature e di chincaglieria perché quelle stesse auto che hanno portato Scurano all’attenzione dei forestieri, favoriscono l’esodo dei locali, che raggiungono facilmente i centri maggiori e le città, dove trovano condizioni di acquisto più convenienti e una più ampia scelta di

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prodotti. Ma questo è accaduto per quasi tutti i paesi del nostro Appennino che, per mantenersi vitali, devono ormai sfruttare altre potenzialità, come appunto le ricchezze climatiche e i beni ambientali e culturali, con una diversa mentalità di accoglienza e con strutture rinnovate che offrano ai turisti di oggi un’ospitalità pari alle accresciute esigenze.

CENNI STORICI Dalle origini al periodo matildico Chiameremo con il nome di Scurano l’intera sua vallata e territorio, poiché non fu storicamente considerato un unico paese, ma più insediamenti sparsi che trovarono un centro nella fortificazione, poi divenuta borgo, che prese il nome di “Mercato” per quella attività di scambio mercantile che si svolgeva in un’area pianeggiante e libera da piante e da costruzioni a ridosso della cinta muraria. Tuttora la conformazione urbanistica dell’insediamento rispecchia un certo decentramento originario, testimoniato nella sua storicità dai numerosi edifici con tracce più o meno evidenti di fortilizio, esistenti anche nelle frazioni intorno al centro di Scurano. Molti edifici presentano caratteristiche di grande pregio architettonico e monumentale, il più pregevole ed antico dei quali, la Pieve, ha una notevole autonomia urbanistica, essendo fuori dal centro abitato; il pievato fu connotato all’origine col nome di “Plebs S. Cassiani”. La valle di Scurano, come tutto l’Appennino Nord Occidentale che prima della colonizzazione romana era abitato da popolazioni etrusche e celto-liguri, fu popolata nel periodo Imperiale come tutta la vallata di Neviano Arduini. Infatti, sono stati recentemente rinvenuti materiali laterizi

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di quest’epoca nella località Corchio(1). Il nome Scurano deriva dal latino “Scurus”, col senso di “Ombroso”, ed è forse una volgarizzazione longobarda anche con il significato di “luogo protetto, chiuso”, da “Skur”(2). Vero è che il toponimo riguarderebbe, almeno nella radice, un’altra località non lontana da Scurano: “Scurcula”, ora Scorcoro di Bazzano, sulle rive dell’Enza(3). Scurano faceva parte del regno longobardo d’Italia dal V secolo fino alla fine dell’VIII, ma più precisamente apparteneva alla grande Marca che dalla Toscana aveva via via raggruppato le Contee dell’Emilia, e parte di quelle di Lombardia e Liguria, e che sul finire del secolo IX era di proprietà della famiglia marchionale che diede le origini a Matilde di Canossa. Il regno longobardo d’Italia, infatti, non era terminato con la cattura di re Desiderio a Pavia (774) o con l’incoronazione di Carlo Magno a re d’Italia la notte di Natale dell’800. Continuava a sopravvivere non solo nelle realtà locali, ma anche come forza economica e politica europea attraverso le sue Marche (unione di Contee, ossia di vasti possedimenti terrieri) che si avviavano a divenire principati e che tentarono di ricostruire il Regno Longobardo col nome di Regno d’Italia con Berengario I, Berengario II e Adalberto, e poi con Arduino d’Ivrea(4), quel Regno longobardo di cui forse solo Matilde fu l’ultimo atto. 1) La notizia, ancora inedita, è stata gentilmente segnalata dalla dottoressa Emanuela Catarsi Dall’Aglio della Sovrintendenza Archeologica di Parma, che qui ringraziamo. 2) Altre interpretazioni del nome sono state accertate; in particolare quella di toponimo prediale romano da “Scarius” e quello di “terra scura” relativa ad alcune morfologie litiche che abbiano a che fare, ad esempio, con località come “Carbognano”. Sembra comunque certa l’estraneità di Emilio Scauro dal prosciugamento della “palude”. 3) In: A. Schiavi: “La Diocesi di Parma”, Parma 1940 II, p. 340 “Bazani alias Scurcuri” (dal De Turre). 4) Questi regni, tra grandi tensioni, durarono comunque lo spazio di almeno due se-

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La pieve di S. Cassiano a Scurano

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wryuiopdklzxcvqwryuiop Monica Montanari La leggenda del Monte Fuso Copyright Š 2011 Gnomone OdV Pubblicato per gentile concessione di Gnomone OdV

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La Leggenda del Monte FusoŠ

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Il Pargo del Monte Fuso (o parco del lavacchio)

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i fu un tempo in cui dal fiume venne un Capitano di ventura nelle terre che volgevano a mezzogiorno. Devastò reami, decapitò sovrani, incendiò castelli. Tra i palazzi distrutti c’erano anche quelli del principe destinato un giorno a diventare il sovrano della Parmossa, e quello della principessa che un giorno sarebbe diventata la regina dell’Enza. I due neppure si conoscevano ma entrambi dovettero fuggire ognuno per la propria strada. Un giorno però, a sbarrare loro il cammino, uno di qua, l’altro di là, trovarono il serpente Montefuso. A Oriente del serpente la principessa gli chiese: «Oh, ma dove hai la testa?» «Oh, arrivo fino a Lagrimone», disse il serpente. A Occidente del serpente, il principe chiese: «Oh, ma dove finisce la tua coda?»

«Arrivo fino a Casa Bonaparte», stormì il Montefuso. Sia il principe che la principessa decisero di aggirare il serpente tenendosene bene alla larga. Fu così che un giorno di primavera giunti entrambi da direzioni opposte al villaggio di Sasso, la principessa dell’Enza incontrò un giovane viandante con gli abiti ricchi ma ormai sporchi e laceri. «Sembreresti un principe - gli disse - se non fossi così a malpartito.»

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«La stessa cosa dico di te, pellegrina; sei vestita come una principessa e lorda come una stracciona.» «Oh, tu non sai la mia triste sorte», lei rispose. E lui: «E tu nemmeno conosci la mia.» E presero a raccontarsi le traversie affrontate e le malefatte del Capitano di ventura giunto dal grande fiume. «E ancora i suoi eserciti mi danno la caccia», disse la principessa. E lui: «Non dirlo a me. Ho sempre i suoi sgherri alle calcagna.» «Per scappare - disse lei - , pensavo di oltrepassare il serpente Montefuso. Ma tu vieni di là, dunque non vi è scampo.» E lui: «A me pare che Montefuso assomigli più a un drago che un serpente. Guarda che pancia immensa e la schiena come è alta e lontana. L’unica salvezza è arrampicarci sul suo corpo maestoso, Neppure il nostro persecutore oserà sfidare il drago.» «Facciamo un tratto di strada insieme - disse la principessa - poi si vedrà.» Detto e fatto, il principe e la principessa unirono le forze e presero a scalare il drago Montefuso che pareva addormentato d’un sonno tanto profondo che le zampe erano state coperte dall’erba medica e dal frumento, mentre la pancia era tutta un noccioleto. Fare insieme la salita non fu facile: lui sempre pronto a rotolarsi nell’erba, lei che si perdeva in fantasie.

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opdklzxcvqwryuiopdklzxcv caprioli e daini al pascolo nell’oasi del Monte Lavacchio (propaggine orientale del Monte Fuso)

Salirono e salirono fintanto che, entrando in una radura, non restarono a bocca aperta. In mezzo, c’era l’albero più maestoso che avessero mai visto: una quercia dalla chioma grande come la casa d’un fattore. Presero a ballare e gioire; e per l’allegria finirono per abbracciarsi e a non lasciarsi più. Erano molto felici: la grande chioma della quercia li proteggeva dalla pioggia, dal sole e dal vento; e anche se dalla valle risalivano le voci degli sgherri del Capitano di ventura, non se ne preoccupavano. I soldatacci giravano in tondo ma i valligiani rispondevano invariabilmente:

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«Di principi e principesse, qui, non se ne sono mai visti.» L’estate fu splendida e, a poco a poco, il principe e la principessa, felici del loro amore, presero a dimenticare gli antichi castelli, i re e le regine, i loro padri e le loro madri. E si beavano della gioia di stare stretti. Ma venne l’autunno e l’autunno si sa, nelle terre che dal fiume volgono a mezzogiorno, porta vento grosso, di quello che strappa i comignoli dalle case. Fu così che in una notte di ottobre portò via tutte le foglie del grande albero di quercia.

E in fondo parma e reggio emilia

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«Jiush, Jiush», fischiava il drago Montefuso e il vento infuriava ancora al sorgere dell’alba. Il principe e la principessa si destarono circondati da un turbinare di foglie gialle e rosse. E non era ancora finita. Appena il vento cessò, dal cielo scese una goccia, poi un’altra e un’altra ancora. Grosse ognuna come una borsa per fare la spesa. «O come una lacrima del drago», ipotizzò il principe. «Forse il drago sta piangendo», annuì la principessa. Fatto sta che la quercia senza foglie non riparava più un bel niente e la pioggia aveva inzuppato i due principi innamorati come fa il mare di là dalle colline quando ti ci butti dentro. Ma non era tempo di bagni e il freddo si faceva sentire. Ai piedi del drago, frattanto, il numero di coloro che si davano alla ricerca dei principi fuggitivi si ingrossava di giorno in giorno, sempre più spaventoso. Da sotto la quercia spoglia, il principe e la principessa potevano veder brillare le punte delle lance, dei forconi e delle picche. Al principe e alla principessa non restò che arrampicarsi ancora più su, sui fianchi del drago alla ricerca di un riparo. Cammina che ti cammina, fradici di pioggia e cibandosi di lardaioli e prugnoli d’autunno, il principe e la principessa giunsero a una radura dove restarono ancora una volta rapiti e stupefatti. Nel bel mezzo di un prato di foglie rosse si ergeva un maestoso castagno. Sotto, c’erano i marroni più grandi che avessero mai visto: grandi come i rubini che un tempo avevano ornato le loro corone. Anzi i frutti portavano impressa una coroncina proprio sotto, come fosse stato uno stemma.

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Erano fatti proprio per due principi come loro, si dissero, forse erano un regalo del drago. E com’erano dolci! Ma quando scese la sera e fu il momento di andare a dormire, e il principe e la principessa si distesero sotto il castagno, fu tutto un “Ahi, Ahi!!!”. Quel terreno era pieno di spine! Erano i ricci delle castagne che ben conficcati nella terra lasciavano sporgere i loro aculei. «Qua non si può dormire», concluse il principe e raccolse rami da terra fino a farne una specie di giaciglio che mettesse i loro sederi principeschi in salvo dalle punture. Fu così che all’alba, l’idea nel principe si era già bell’e formata: «Farò un casa – decise-. La costruirò a regola d’arte», e da quel momento non pensò ad altro. Raccolse rami grossi, li sramò, li legò uno ad uno con fuscelli di salice. Scavò, conficcò servendosi di pietre… fintanto che la casa prese forma. Sulle prime la principessa lo aiutò, ma sempre più stancamente. Il principe pensava sempre a costruire e non la stringeva più come un tempo sotto la quercia, né ballavano insieme. Lui era sempre stanco, ma soprattutto la mente, quando il corpo si riposava, vagava sull’idea di fare una finestrella proprio vicino al tetto o su come costruire il focolare… L’autunno progredì e la principessa divenne sempre più triste. D’accordo, ora aveva un tetto sopra la testa ma la nostalgia dei palazzi d’un tempo era forte. Il principe era così occupato che se soltanto lei provava a tentare di spiegargli

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sarignana

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Vicolo di Scurano in localitĂ mercato

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quanto si sentiva sola e desolata, lui non solo non l’ascoltava ma rispondeva bruscamente. Una sera il dispiacere della principessa era così acuto che guardando in giù agli eserciti che vociavano imprecando contro i principi fuggitivi, pensò di lasciare andare i piedi nella discesa e consegnarsi ai nemici. In fin dei conti che cosa aveva da perdere? Senza l’amore del principe non le restava che una vita di solitudine e di rinunce sui fianchi del drago Montefuso. Poi guardando i fuochi degli eserciti appostati nella valle, l’idea di arrendersi le sembrò troppo spaventosa e decise che, prima di fare quel passo, avrebbe cercato di trovare una via per essere felice pure restando al riparo sulle pendici del drago. Cos’è che le guastava la vita? – si chiese -, a parte il principe e la sua mania di costruire e costruire? Cominciò a guardarsi intorno e vide che le finestre della casa erano troppo alte da terra, scomode da aprire per lei, che il lavatoio dei piatti era troppo basso e le faceva venire il mal di schiena, che mancava un posto dove poter cucire e lavare i panni… Detto e fatto decise: si sarebbe costruita una casa tutta per sé e gliel’avrebbe fatta vedere al principe! Il giorno seguente la principessa annunciò al principe: «Da ora le nostre strade si separeranno.» «Sono d’accordo, mi sei solo d’impiccio», rispose il principe. La principessa era una di gusti raffinati e non si accontentò di una struttura grezza per la sua casa, cercò i ramoscelli più fini da intrecciare per fare gli infissi delle finestre, le pietre verdi tutte dello stesso colore per fare il focolare… Di giorno, in giorno, i suoi muscoli si facevano sempre più

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forti e l’abilità in lavori che un tempo avrebbe lasciato fare al principe diventava sempre maggiore. Fatto sta che quando terminò il primo pezzo di casa, il suo edificio era così più bello di quello del principe che lui stesso rimase a bocca aperta. Ma non disse nulla, però. Strinse le labbra e si diede a progettare una torretta dove allevare i pettirossi, e lei allora costruì un porticato dove potersi intrattenere accarezzando i caprioli. E lui allora rispose con un terrazzo dove le upupa non mancarono di posarsi. Già tuttavia il picchio verde aveva cominciato a traforare la gronda di legno del palazzo della principessa, fino a farne un vero merletto. Nella radura ai lati del castagno, finirono per torreggiare due palazzi e il principe e la principessa erano così felici e orgogliosi del loro lavoro che scordarono le liti di un tempo e decisero di collegare le due abitazioni. «Uniamo le nostre case - disse la principessa -, poi si vedrà.» E il principe si dichiarò d’accordo. I due palazzi si saldarono in un unico meraviglioso castello di legno nel cuore del bosco sui fianchi del drago Montefuso. Era la vigilia di Natale e il principe e la principessa tornarono ad abbracciarsi stretti stretti più felici che mai e, tra l’orgoglio del lavoro e i balli nelle sale del castello, non si avvidero che a valle era stata presa una decisione funesta. «Occorre stanare i due fuggitivi - aveva decretato infatti il Capitano di ventura e diede l’ordine spietato -. Date alle fiamme le zampe del drago Montefuso. Il drago si ergerà in piedi e il principe e la principessa cadranno di sotto.»

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ristrrutturazioni in corso a sarignana

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qwryuiopdklzxcvqwryuiop Il Monte fuso

Così, mentre il principe e la principessa gustavano insieme la cena della vigilia, le prime fiamme divamparono alle pendici del Montenfuso e divorarono i noccioleti. Poi giunsero alle querce e, a quel punto, il principe affacciandosi nella notte disse: «Cos’è quel rosso che sale dalla valle?» La principessa replicò: «E quel fumo nero che oscura la luna?» «È il fuoco», crepitò Montefuso e l’angoscia prese i due principi.

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«Bisogna raccogliere l’acqua del ruscello e bagnare il castello fin nelle ossa - disse il principe -, solo così potremo salvarlo.» Corsero a prendere subito i secchi e si precipitarono al torrente. Ma quando si chinarono per immergere i recipienti nell’acqua, i raggi della luna illuminarono i due sposi e il riflesso dei loro volti brillò sulla superficie argentea dell’acqua. «Chi è quello lì?», chiese il principe indicando l’acqua. Ma la principessa aveva già portato le mani al viso in un’espressione d’orrore. Lei aveva tutti i capelli bianchi e il principe aveva messo su pancia e perso i capelli. Gli anni erano trascorsi in fretta e la paura, le fatiche, la fame avevano lasciato il segno. «Siamo anziani», disse la principessa con un filo di voce. «Non ce la faremo mai a salvare il castello», rincarò il principe lasciandosi andare a terra. E cominciò a piangere e singhiozzare tanto che perfino un paio di cinghiali si affacciarono dalla boscaglia per vedere che cosa fosse quello strano rumore. La principessa provò a rincuorarlo in ogni modo, ma non c’era nulla da fare: il principe sembrava deciso a lasciarsi morire, aspettando che il fuoco lo venisse a prendere. La principessa allora lo abbracciò stretto stretto, ancora una volta, e facendo forza con tutta se stessa riuscì a tirarlo in piedi. Quindi lo sospinse per fargli voltare le spalle al torrente e abbandonare la radura. Sapeva già che cosa avrebbe fatto: non c’era altra scelta.


E faticosamente cominciò a salire le pendici del Montefuso tirandosi dietro il principe in lacrime, sempre camminando verso Oriente, per allontanarsi dal disastro. Giunti alla sommità, proprio sulla schiena del drago, stanchi ma salvi restarono a bocca aperta. Davanti a loro si parava tutta la distesa delle terre a mezzogiorno del fiume: cupole di castelli, capanili di chiese illuminati a festa da mille lucine multicolori, comignoli fumanti. E la luna che pennellava tutto d’argento, a perdita d’occhio, come se anche l’astro volesse festeggiare il Natale. Era Scurano, con la sua ampia vallata. Dai campi sapietemente coltivati e delle greggi a riparo negli ovili.Era una promessa di pace, finalmente che diede loro tanta serenità. Ma appena sotto di loro, Montefuso sembrava galleggiare su un lago di fuoco. La visione era spaventosa ma bellissima e, per non perdersi nulla di quel mondo che non avevano potuto visitare nelle loro stagioni, decisero di sedersi e si appoggiarono a un masso. Appena però il principe e la principessa posarono le spalle alla roccia, sentirono qualcosa muoversi. La schiena del drago fu percorsa da un brivido e il macigno dietro di loro cominciò a rotolare a valle seguito da molti altri. Erano rocce grandi come il Battistero di Parma e solo per un pelo non travolsero il loro castello. Ma per gli eserciti che, ai piedi del drago, lavoravano di paglia per alimentare l’incendio, i massi non ebbero pietà e schiacciarono sgherri, picche e forconi. Intanto cominciò a nevicare e mentre il principe e la principessa videro il mondo diventare di zucchero, i fiocchi candidi spensero il fuoco.

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...Era Scurano con la sua ampia vallata

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Quando sorse l’alba finalmente la valle era quieta. La neve si era disciolta ma il fuoco era ormai spento, il castello di legno era più fulgido che mai e gli eserciti non vociavano più sepolti com’erano sotto le rocce cadute. In compenso c’era una folla di teste a naso in su che guardavano al canalone che ora attraversava i fianchi del Monte Fuso come una cicatrice. In alto, nel canalone c’era un castello che non si era mai visto. Un castello di legno ma ricco e fine più di quello di Torre chiara. La gente non credeva ai propri occhi: guglie aguzze, torrette, portici e terrazze. Grande fu la meraviglia.

Cime innevate all’orizzonte

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Poi gli occhi di quella moltitudine salirono ancora, su, lungo il canalone, fino a vedere il principe e la principessa ergersi, mano nella mano, sulla schiena del drago. Il principe aveva la pelata così lucida che rifulgeva alla luce del sole. La principessa aveva i capelli così candidi che brillavano come l’argento. O forse era ancora un po’ di neve che era rimasta loro sul capo. «Il re e la regina del Monte Fuso», cominciò a mormorare il popolo, e poi più forte fino ad acclamare a gran voce: «Il re e la regina del MonteFuso!!!!» Il sole del giorno di Natale sembrò d’accordo con il popolo delle terre a mezzogiorno del fiume e sfolgorò con raggi che non mostravano tanto splendore da tre mesi almeno. Quando ancora oggi, a volte d’inverno, si vede splendere la neve sulla cima del Monte Fuso, c’è chi dice che quel fulgore sia dato dalle corone del re e della regina.

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Il monte fuso, i caprioli e la primavera nel parco del Lavacchio

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Sommario Introduzione di Raffaele Leoni.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 La vallata e il territorio di Scurano.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 CENNI STORICI Dalle origini al periodo matildico.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Il feudo dei Da Correggio.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 I Conti Pepoli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Il feudo Gherardini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Famiglie illustri Famiglia Gilli o Gigli.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 Famiglia Fattori.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Vicende di gente comune.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 EtĂ Napoleonica e della Restaurazione.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 La scuola a Scurano.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 Gli Scuranesi e la guerra.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 Elenco dei preti della Pieve di Scurano.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 La leggenda del Monte Fuso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69


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