Estratto di Raining Stars di Michaela Dooley

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Michaela Dooley

Raining Stars

Può una ragazza qualunque rassegnarsi alla normalità dopo che la favola ha fatto irruzione nella sua vita? Non può.

2010 n.4 a cena col vampiro

Mammaeditori


ISBN 978-88-87303-42-1 1° edizione maggio 2010 Copyright © 2010 Mamma Editori Casa Bonaparte 43024 Neviano degli Arduini  -  Parma telefono 0521.84.63.25 mamma@mammaeditori.it www.mammaeditori.it

Collana

a cena col vampiro In fatto di vampiri ed esseri soprannaturali vari la magia dell’epica sembra più che mai rinnovarsi. Nella koinè letteraria, migliaia di fans di ogni paese, continuano a immaginarne e a leggerne le avventure. Per questi tipi, la collana A cena col vampiro intende dar conto del fenomeno, con l’avvertenza, che non tutte le storie mantengono il profilo adolescenziale e romantico, alcune autrici hanno voluto narrare in modo più crudo le passioni, altre più attratte dal titanismo dei signori della notte, ne hanno descritto dettagliatamente la violenza. Altre ancora tornano in puro stile Brontiano, al momento magico in cui sboccia l’amore impossibile. Vai alla collana “A cena col Vampiro” http://www.mammaeditori.it/pages/ACenaColVampiro.htm Chatta con l’autrice http://edwardandbella.forumcommunity.net/?t=35889704 http://edwardandbella.forumcommunity.net/?t=28909437 Vai nel sito Bloody Roses Secret Society http://www.myspace.com/bloodysocietyofficial

FINITO DI STAMPARE e rilegato NEL MESE DI maggio 2010 presso MAMMA EDITORI


Questo libro lo dedico alla mia stella, a lei che mi veglia dal cielo da sette anni e per sempre. A te, nonna.


Lock Ness (Inverness) 11 Giugno 2006 A Somerset Blake* Carissimo Somerset, la battaglia è appena terminata. Alla fin fine è l’antico incubo di Lenith ad aver generato tutto questo. In molti sono scomparsi per la sua ossessione. Il mondo non dimenticherà presto, ne son certo, lo scontro di Loch Ness che, per la prima volta da millenni, ha visto Lenith sconfitta. Nei secoli a venire ancora e ancora se ne parlerà. . .Della scomposta follia di Lenith, della serena e fredda determinazione dei Rochester e della loro alleanza. Ora Lenith e i Quirites sono rintanati nell’ipogeo romano a leccarsi le ferite ma sono certo che la battaglia finale è stata solamente rimandata. Come finirà? Tu mi chiedi un oracolo Caldeo e io te lo concedo. Non è tuttavia nei moti perpetui dei pianeti e delle costellazioni che ho vaticinato ma sulla scorta di un’antica profezia. La medesima che redassero i miei avi nel momento in cui Lenith sottrasse loro l’antica supremazia, la medesima che Lenith teme e finirà col realizzare mercè la propria stessa paura. La figlia di Zoroastro, la sposa vampiro dagli occhi pregni di Olio di Media, sottrarrà i vampiri al regno degli inferi e il suo sposo distruggerà il trono della regina. In memoria del tuo creatore Cornelius, ti riverisco Somerset degli Erranti Cosmo dei Caldei


* Nella pagina precedente: testo autografo del secolo XXI, redatto all’indomani dell’epica battaglia di Loch Ness (11 giugno 2006), tra esseri mitici e immortali: i Quirites, vampiri romani, contro i Rochester, vampiri scozzesi e i loro alleati. L’esito ha sfavorito i romani ma nel testo si riportano le preoccupazioni di un essere sovrannaturale in ordine alla possibilità che gli sconfitti non si arrendano. L’autore confida in una antica profezia, secondo la quale una donna mitologica con gli occhi color petrolio (la nominata “figlia di Zoroastro”) avrebbe mutato in futuro la natura demoniaca dei vampiri e il suo sposo avrebbe distrutto definitivamente il regno dei romani e di Lenith (nome etrusco della antica Lilith mesopotamica). La profezia avrebbe origine dagli antichi Caldei, soppiantati al governo dei misteri in epoca arcaica, proprio da Lenith (allora Lilith). L’autore della missiva, erede degli antichi Caldei, ricorda ora questa profezia degli avi e pronostica a Lenith che la battaglia finale le sarà fatale.



Due anni prima, a Forres, nelle Higlands Scozzesi

Prologo Poteva un libro catturare la mente e il cuore di una ragazza? Poteva aiutarla a capire di cosa avesse bisogno per continuare a vivere?... Forse, probabile. Come se fosse una magia. Come se non fosse la realtà. Solo poche settimane prima, la realtà che vivevo ogni giorno, che mi aveva portato a diventare ciò che ero, andava avanti sbrindellata dalle sfide che dovevo superare. Era come se qualcosa continuasse a sfuggirmi di mano. Qualcosa che era la chiave per arrivare a quella che tutti comunemente, banalmente e forse anche un po’ stupidamente chiamavano felicità. Percorrevo la mia strada come se fossi in un auto dai finestrini appannati. Non vedevo il paesaggio. Non mi accorgevo delle altre macchine. Non vedevo i colori, tutto era grigio... i momenti migliori, in cui riuscivo a provare qualcosa, erano in bianco e nero e questo non alludeva alle situazioni da favola dei film di una volta. Tum-tum tum-tum tum-tum Non sentivo altro. Solo il lento, costante battito del mio cuore. Troppo silenzio attorno. Troppo silenzio, come quello nell’ufficio che mesi prima aveva fatto da palcoscenico alla più amara delle farse.

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Già una farsa. Era mai possibile? Una misera, squallida, insignificante messa in scena. Ogni sguardo. Ogni bacio. Ogni carezza. Il tutto e il nulla improvvisamente si erano equivalsi perchè tutto l’amore che provavo si era dimostrato essere nulla e il nulla che lui era riuscito a mascherare come amore, per me significava tutto. No, non era difficile crederci. Non era difficile dopo averlo udito pronunciare quella frase. “Devi andartene Liz” Ancora, ancora le sue parole che mi martellavano in testa, insieme al pulsare del sangue che, non ce la facevo più a sopportare. Il mio sangue. Forse l’unica cosa che ci aveva realmente unito? O, meglio, l’unica cosa che aveva unito lui a me, era mai stato amore il suo? Non avevo bisogno di cercare risposte. Lui aveva già detto tutto. «Non posso» avevo bisbigliato e lui: «Sono io che ti sto mandando via, non puoi scegliere!» Ogni possibile appiglio a cui aggrapparmi per salvare la mia storia, la mia vita, la mia anima si era sgretolato. Lui aveva deciso per me. Per entrambi. E, nonostante la rabbia scorresse prepotente insieme al sangue, non potevo costringerlo a restare con me. Non se lui non mi riteneva la persona giusta. Non se la mia presenza fosse stata un intralcio alla sua vita. E mi tornò alla mente il rumore tumultuoso dell’acqua. Un gorgoglio che si affievoliva man mano che la corrente mi sovrastava. Corrente, di cui ero totalmente in balia. E lui, lui che mi salvava. Quella volta io... 8


E mi ritrovai di nuovo immersa nelle acque di quel fiume. Di nuovo facevo il bagno e, di nuovo la corrente improvvisamente troppo forte mi soverchiò. Cercavo di nuotare. Provavo a muovere braccia e gambe sincronicamente, ma ogni tentativo risultò vano. Non avevo scampo questa volta, lo sentivo, non c’era nessuno che potesse venire in mio aiuto. Un’onda improvvisa mi sommerse togliendomi l’aria. Sentii ogni muscolo cedere. Non avevo più forze. E tutto andò in pezzi nei pensieri. Non potevo essere morta. Sentivo di non essere morta ma, ero sola. Nessuno avrebbe potuto aiutarmi a vivere o, a morire. Il dolore sembrava così vivo e atroce... Sentivo nei polmoni la mancanza d’aria.. Era come se qualcuno mi avesse arpionato il collo tra le mani e stesse stringendo con forza. Era insopportabile. E dunque ero viva, sembrava che mille aghi mi perforassero i polmoni. Il petto. Il cuore. Urlai. E quell’urlo mi riportò alla realtà. Con quei pensieri ancora in testa, mi alzai dal letto, mentre ancora le mani tremavano, e andai in bagno, dovevo andare al lavoro. Qualche settimana dopo il licenziamento, ero tornata alla Therisoft, azienda di software per cui lavoravo. Vi ero tornata per prendere gli ultimi scatoloni con i miei effetti. Dei Rochester nessuna traccia. Tristan, Pamela... e lui, il capo. Erano spariti. No, anzi, la famiglia proprietara aveva deciso di trasferirsi, nessuno sapeva dove, e da là continuava a dirigere, come solo loro potevano, l’azienda. 9


Avevo trovato un lavoro nell’emporio di Forres. Avevo ripreso un’attività. Un mestiere qualsiasi andava bene. Al lavoro, provavo a crearmi nuove amicizie. Mi sforzavo di ridere così che gli altri potessero pensare che tutto fosse tornato alla normalità. La doccia calda mi aiutò a rilassare i muscoli, ad abbandonare gli incubi in quella parte di cervello che sarebbe rimasta chiusa ermeticamente per tutta la giornata. Andai verso lo specchio ma, quando alzai lo sguardo, rimasi immobile nel realizzare cosa ne mostrasse la superficie. Ero io ma non riconoscevo più il volto nello specchio. Non sembrava il viso di una ragazza. Era il viso di una persona che ha permesso alle forze di abbandonarlo. Era il viso del naufrago che si fa trasportare alla deriva dalle onde, ormai sconfitto. Il viso di chi non si sforza più di correre per raggiungere un ideale. Il viso di chi non ha nulla da perdere, perché ha già perso tutto. Il viso di chi non vuole più sognare, perché la paura di illudersi è troppa ed il coraggio glielo hanno strappato con i denti. Era, tuttavia, sempre il mio volto. La stessa bocca. Gli stessi occhi che anche sembravano spenti, erano sempre loro. Gli stessi zigomi. Forse ero dimagrita e questo mi dava un colorito opaco. I capelli erano più lunghi, i ricci crespi e annodati, le linee più dure. Mi scossi impaurita da quel riflesso. Quanto tempo era passato?

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Capitolo 1

Recita

Ventiquattro ottobre. Cinque mesi esattamente erano trascorsi e io, non me ne ero accorta. Endora, mia madre, era rimasta a fissarmi dall’ingresso. Non era da me accendere la televisione. Non era da me avere scatti. «Qualcosa non va, Liz?» mi chiese prudente. «No, va tutto bene mamma, cosa dovrebbe andare male?» risposi acida. Già cosa poteva andare male? Oltre al fatto che avevo perso me stessa? «Liz, lo sai che con me puoi sempre parlare» rispose apprensiva. In realtà, nessuna delle due amava quel tipo di discorsi ma Endora, lei sapeva che dietro le mie parole fredde e scostanti, ero solo e sempre io che avevo un disperato bisogno d’aiuto. «Certo che lo so, ma davvero non c’è nulla che non va.» «Al lavoro?» chiese scettica. Cosa? Voleva farmi l’interrogatorio? «Non sono più una ragazzina, mamma» risposi secca, con una punta di ironia amara nel tono di voce. «Sono solo preoccupata per te. Credi che io non me ne accorga? Credi che sia uno stupida? Che sia nata ieri? Forse non dò il massimo. Forse non sono la migliore madre di questa terra ma conosco mia figlia, Liz.» Sì, stava alzando la voce, in un tono misto di frustrazione e rabbia. «Pensi che non mi sia accorta di come stai costringendo te stessa alla vita? Ma, Liz ci sono ancora tante cose che devi vedere piccola mia. Non ti arrendere», continuava a parlarmi. 11


“Non attacca mamma. Non c’è niente che voglio vedere. Che voglio provare. Già mi basta il dolore che ho, non ho bisogno di altre illusioni, grazie.” Pensai, senza che nulla uscisse dalle mie labbra. «Tu non ci vuoi neppure provare, vero? Dimmi la verità Elisabeth, per una volta dopo mesi, dimmi la verità. Sono stanca della maschera che ti sei cucita addosso.» E a quelle parole, non ci vidi più. Scattai. «Maschera? Quale maschera mamma? Quale? Non lo vedi anche tu il mio volto? Non l’hai visto il cambiamento? Anche tu come gli altri non hai notato nulla? Se dici di conoscermi allora non puoi non aver notato come è cambiato. Ti sembro una ragazza di 18 anni mamma? A me sembro un morto che cammina.» Iniziai ad urlare e delle lacrime scesero a rigare il mio volto. L’avevo ferita. Certo che se ne era accorta, come non poteva? Aveva tuttavia, sempre cercato di non infierire sul mio dolore costringendomi a parlare e io gliene ero profondamente grata. Nonostante questo, non potevo dirle nulla e la trattavo male, urlando ogni volta che provava a farmi uscire dal guscio. Lei si avvicinò, con le braccia tese per abbracciarmi. Mi allontanai: «Scusami mamma, se non ho la forza che ti aspettavi di trovare in me. Scusa se non sono come te. Scusa se io non ho la forza per affrontare tutto.» Sapeva a cosa mi riferivo. Aveva cresciuto una figlia da sola, allegramente, prendendo dalla vita ciò che poteva darle. «Non dirlo Liz, non devi essere come me. Non è questo che voglio. Voglio solo che tu faccia qualcosa. Riprendi in mano ciò che è tuo. Puoi farlo. La vita è la tua. Puoi farne ciò che vuoi ma per favore, per favore fanne qualcosa.» 12


“Sono ancora in tempo? Sono ancora in tempo? Come? Come faccio? Spiegami mamma come faccio a riprendermi la mia vita? La mia vita è finita cinque mesi fa. Solo che per qualche strano scherzo del destino il mio cuore batte, i polmoni ricevono ossigeno e i muscoli si muovono. La mia vita è finita quel giorno, in quell’ufficio. Lui l’ha presa e gettata via, come carta straccia.” “Ho fatto preparare alla signora Ross una lettera di referenze e..” Stupido, sciocco vampiro. Quel giorno aveva messo fine a ogni mio sogno, aspettativa, programma. Aveva messo fine alla vita. Mi aveva tarpato le ali. Aveva rinchiuso e sigillato ogni mia emozione... aveva portato via con sé la mia esistenza. Come potevo spiegare tutto questo a Endora? «Non lo so mamma» risposi solamente, poi mi voltai e feci per uscire di casa.

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