50° Santangiolina 1961 - 2011

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Eugenio Lombardo

50° Santangiolina U 1961 - 2011 na storia che guarda al futuro  

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Opera realizzata con il contributo di Banca Centropadana Credito Cooperativo

ISBN 978-88-87303-52-0 1° edizione novembre 2011 Copyright © 2011 Mamma Editori Mamma Editori Casa Bonaparte 43024 Neviano degli Arduini - Parma telefono 0521.84.63.25 mamma@mammaeditori.it www.mammaeditori.it




Com’e’ cambiato il Lodigiano

N

ella mente di tanti di noi c’è un Lodigiano antico, oggi scomparso. Le lunghe file dei buoi che, in coppia,

uscivano dai portoni delle cascine per essere

impegnati nei lavori dell’aratura. Il canto cadenzato delle mondine, il volto piegato verso l’acqua delle risaie. Un sottofondo che scandiva il fluire lento delle stagioni: il garrire delle rondini, il frinire dei grilli, il gracidare delle rane. I fedeli in silenzio nella cripta della cattedrale illuminata dalla luce fioca delle candele, una folla sterminata che si assiepava a rendere omaggio allo scheletro di San Bassiano. La palata di granoturco seccato sull’aia lanciata in alto, verso il sole, che ricadeva a terra pulito, pronto per essere chiuso nei sacchi. Il profumo del fieno di maggio e l’odore “di vivo” dell’Adda. Il rumore ritmato della mungitura, con la schizzata del latte dentro la sec-


chia. Gli innamorati che rincorrevano sogni lungo la gabbata. E i vespri domenicali, con il latino talmente storpiato dalle donne da trasformarlo in una lingua indecifrabile. Gli scioperi contadini. Le processioni della Madonna del rosario. Il fiume gonfio dalla pioggia e il terrore che si rompesse l’argine vecchio. Il canto di bandiera rossa e il suono delle campane. I balli sull’aia e le barbine raccontate nelle stalle. La tempesta che buttava giù tutto il frumento e il volto dei vecchi rigati dal pianto. E i campi quadrati cinti di gelsi, tracciati così, da duemila anni, dalla centuriazione romana. Questo era il Lodigiano, benedetto sia il suo nome. E oggi? Oggi non si trova più un albero in tutta la campagna. Le poche roveri superstiti stanno rinsecchendo al sole, bruciate dal surriscaldamento del pianeta. Tanti tetti delle cascine sono ormai sfondati. Oppure, qua e là, riverberano coperti dai pannelli neri del fotovoltaico. Di marcite e di prati stabili non ce n’è più, sono stati arati per far posto alle sterminate distese del mais, che finisce bruciato negli ufo che producono energia e biogas. Le lucciole sono scomparse. Le volpi e le upupe si possono vedere allo zoo. La città avanza verso il cimitero dei longo-

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bardi, con i suoi palazzi quadrati che al pianoterra hanno i saloni di bellezza. Le tangenziali dei paesi, gli ipermercati con i parcheggi a perdita d’occhio e la foresta grigia dei capannoni della logistica. E mentre chiudeva la Polenghi noi accoglievamo, al suono della banda, l’arrivo delle raffinerie e delle industrie chimiche cacciate da Milano. Com’è cambiato il Lodigiano, benedetto sia il suo nome. Ieri gli agrimensori della Muzza tracciavano a mano, per chilometri, il reticolo dei fossi. Nella Bassa i tecnici della bonifica incanalavano le acque per scaricarle nel Po. I monaci del Cerreto dissodavano con i badili trenta ettari di paludi tra Casaletto e Cavenago. E i marchesi Landi, con le zappe e le carriole, facevano deviare il corso del Po, per lasciare Caselle sulla sponda destra del Grande fiume. Oggi l’aratro è comandato dal computer e il trattorista che lo guida nella cabina climatizzata, con il cellulare infastidisce la sua Rosina, che sta facendo un master in California. È il progresso che avanza. Ma cosa è rimasto di allora? Poche cose. Poche reliquie da andare a vedere nei musei della civiltà contadina. Eppure un pugno di coraggiosi non ha venduto le aziende alle società immo-


biliari. Ha continuato a lavorare la terra, a curare la stalla, a mungere le vacche. E spezzandosi la schiena dal lavoro e dalla fatica, e guardando sempre avanti anche quando le stagioni si facevano più buie e il prezzo del latte si era ridotto a un’inezia imposta dalle grandi catene dei supermercati, non se ne è andato. Si è trasformato da umile coltivatore in manager. Da sprovveduto zappaterra in imprenditore che sa guardare lontano, nella consapevolezza che i prezzi del mais non li fanno più i mediatori, ma oscillano secondo i listini del Sole 24Ore. Non se ne è andato. Come quelli della Santangiolina che oggi compie cinquant’anni. La vita di un uomo. Chi avrebbe mai detto che sarebbe arrivata così lontano? I 280 soci produttori lodigiani del 2005 sono diventati i 350 di oggi, dislocati in tutta la Lombardia. I 5600 quintali giornalieri di latte raccolti nel 2005 sono oggi 7000 quintali. Tutto latte eccellente, di ottima qualità. Cinquant’anni di vita. Taglia questo traguardo a testa alta, perché sono stati anni duri, difficili. Ma la Cooperativa ha saputo cercare nuovi orizzonti, inseguire sogni lontani, conquistare nicchie di mercato. Lo ha fatto con tanta intelligenza e con altrettanto impegno, guidata da personaggi a cui dobbiamo

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grande riconoscenza, perché promuovendo questa attività hanno rinvigorito l’anima e l’immagine del nostro territorio. Giù il cappello davanti a uomini tutti d’un pezzo, come Mario Pozzoli o Cecchino Panigada. O come quel demonio di Antonio Baietta, che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo: se si è arrivati fin qui, il merito è soprattutto suo. Cinquant’anni di vita. Questo volume celebrativo - che si lascia leggere come un romanzo dentro ad una particolare storia, e che non poteva essere realizzato se non da Eugenio Lombardo, autore qualificato di decine e decine di prose sulle cascine del territorio, dalle quali sono stati ricavati apprezzati volumi - resterà negli annali della Santangiolina. Ora, se quella terra che tanti di noi portano nel cuore non è scomparsa ed è viva più che mai, pronta alle sfide del futuro, lo dobbiamo anche alla Santangiolina e alla pattuglia dei coraggiosi che l’ha governata con tanta saggezza. E allora possiamo starne certi: l’identità, la cultura e i valori del Lodigiano, benedetto sia il suo nome, non saranno cancellati. Né da Internet, né dai telefonini. Ferruccio Pallavera direttore del Cittadino, quotidiano del Lodigiano


SANTANGIOLINA LATTE FATTORIE LOMBARDE SOCIETà AGRICOLA COOPERATIVA Composizione degli organi sociali – Ottobre 2011 PRESIDENTE

BAIETTA ANTONIO

DIRETTORE

FONTANA GIORGIO

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

BAIETTA EMILIO

Vice Presidente

CAVIONI GIUSEPPE

Vice Presidente

BARBAGLIO FRANCO

Consigliere

CATTANEO LUIGI

Consigliere

MIZZI CARLO

Consigliere

PERCIVALDI ROBERTO

Consigliere

ROTA PIETRO

Consigliere

TREZZI FORTUNATO

Consigliere

COLLEGIO SINDACALE

SILVESTRI SALVATORE

Presidente

BONI ANGELO

Sindaco effettivo

LUNGHI GIUSEPPE

Sindaco effettivo

CARAVELLI DANIELA

Sindaco supplente

COVINI PAOLO MARIA

Sindaco supplente


50° Santangiolina U 1961 - 2011 na storia che guarda al futuro  



Una storia che guarda al futuro

La

puntigliosa e appassionata indagine sulla storia della cooperativa, condotta tra vecchi documenti, foto d’epoca e vibranti dia-

loghi con protagonisti e testimoni degli eventi trascorsi ha portato alla luce un racconto inaspettatamente vivo e vitale, che troverete racchiuso in questo volume celebrativo. Un percorso che ci porta con la mente ed il ricordo ai tempi in cui le nostre cascine non erano solo insediamenti produttivi ma anche ambiti di un’intensa vita comunitaria, dove con semplicità si condividevano le fatiche quotidiane e si tramandavano consuetudini e ricordi. Un mondo ricco di relazioni in cui anche tra uomo e terra si era instaurato un rapporto difficile ma equilibrato e sereno.


Nelle pagine di questa significativa pubblicazione, che siamo lieti di mettere a disposizione dei soci e di tutti gli amici della cooperativa, possiamo cercare le tracce delle nostre origini per guardare con rinnovato slancio al futuro. C’è a questo proposito un aspetto in particolare che ci interessa sottolineare, un “vantaggio competitivo” che ha fatto la differenza nella storia di Santangiolina fin dall’inizio: la carica ideale. Cioè la coscienza di lavorare per dare un futuro alla nostra gente, i soci allevatori che portano avanti un lavoro difficile con passione e sacrificio. Questo è il filo conduttore che potrete trovare tra le righe delle vicissitudini anche banali della vita quotidiana della cooperativa, nelle forme dell’attenzione al valore del singolo socio, delle porte sempre aperte ai produttori in difficoltà, come nel rigore sul tema del rispetto delle regole e dell’uguaglianza tra i soci. Lo spirito che ritroviamo nelle parole di uno dei padri della cooperazione agricola italiana che così esortava i dirigenti delle prime cooperative a fine ‘800: “in tutto il vostro pensare, trattare e fare non vi fermate mai al vostro personale vantaggio od interesse, ma il tutto dirigete al vantaggio comune (...) non lavorate più per solo vostro conto od utile, ma per conto di tutti, pel bene sociale” (don Lorenzo Guetti, Almanacco agrario, 1895).

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È la fedeltà agli ideali dei fondatori che ha consentito a Santangiolina di tagliare il traguardo del cinquantesimo compleanno ancora giovane in quanto piena di entusiasmo, umiltà e voglia di fare, in continua crescita ed evoluzione a differenza di tante realtà che oggi non esistono più o sono ormai spenti relitti del passato. Il mondo sta cambiando oggi ben più velocemente di un tempo, ci troviamo ad affrontare situazioni impensabili fino a pochi anni fa come la crisi finanziaria globale, la volatilità dei mercati, la scarsità di offerta di materie prime agricole a fronte di una domanda mondiale di cibo in continua crescita. Per problemi nuovi servono nuove soluzioni, occorre il coraggio di cambiare mentalità ma senza perdere di vista il senso del nostro fare impresa. Santangiolina ancora una volta non si farà trovare impreparata.

San Colombano al Lambro, novembre 2011

Il Presidente Antonio Baietta



Gli anni ‘60

Il

primo nucleo della SocietĂ Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina fu costituito il 28 marzo 1961, a

Sant’Angelo Lodigiano. Ne facevano parte diciassette soci. Le riunioni si tenevano in una sala della Scuola Professioni Arti e Mestieri, all’interno del rinomato e glorioso castello del paese. Questo limitato numero di soci fondatori non deve trarre in inganno. Quel numero, diciassette, scaramanticamente anche sfortunato, era invece soltanto la cifra originaria. Oggi, a mezzo secolo dalla fondazione, i soci sono quattrocento. Non era facile, agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, raggiungere, per anguste sterrate costeggiate di fossi, stalle con solo una decina di bovine, forse anche meno,

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per ritirare il latte. E questo è stato uno dei segreti di Santangiolina: sapere valorizzare il singolo socio, il produttore di latte più lontano nei confini geografici del Lodigiano, prima, e, poi, di una macroarea del nord Italia. Nel più lontano passato, per aderire a Santangiolina, occorreva versare la quota sociale di lire 5.000. Le convocazioni avvenivano per raccomandata e con pubblicazione dell’avviso sul giornale milanese L’Italia. Il quotidiano, d’ispirazione cattolica, fondato per volontà del cardinale Andrea Carlo Ferrari, era uscito per la prima volta il 25 giugno 1912, durante la guerra con la Turchia per il controllo della Libia. L’Italia fu edito sino al 1968, poi fu incorporato da Avvenire. Il primo scopo di Cooperativa Santangiolina fu raccogliere il latte dai propri soci e conferirlo alla Centrale del Latte di Milano. Ma questa non era l’unica finalità. Gli amministratori del sodalizio, eletti dall’assemblea dei soci, focalizzarono altri due obiettivi: migliorare igiene e pulizie delle stalle e avviare in ter-

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mini risolutivi il risanamento del bestiame dalla tubercolosi. Ad essere eletto Presidente della cooperativa fu Mario Pozzoli, nato a Casaletto Vaprio il 4 settembre 1900, agricoltore, domiciliato alla cascina Vidardo, nell’omonimo paese di Castiraga Vidardo. Gli inizi della cooperativa furono lenti: fu necessario attendere che i soci concludessero i contratti in corso con diverse aziende per il conferimento del latte delle proprie stalle; i primi impegni, allora, si risolsero in questioni amministrative e burocratiche. Ma, sotto traccia, la cooperativa muoveva passi lunghi e significativi. tesa con la Centrale del Latte di Milano per il costo di 100 litri di latte, determinato sul valore monetario, settimanale o mensile, dei seguenti prodotti pubblicati sui bollettini merceologici: kg. 3.300 di burro; kg. 3.300 di gorgonzola fresco; kg. 300 di grana fresco; alla media ottenuta si aggiungeva una maggiorazione per l’incomodo del trasporto del latte. La Centrale di Milano s’impegnava ad erogare anticipatamente gli acconti, mentre i saldi avvenivano il giorno 12 del mese successivo alla consegna. Al secondo pa-

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Il 16 ottobre 1961 si era raggiunta l’in-


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gamento, la cooperativa corrispondeva ai propri soci le somme ricevute, trattenendo solo lire 250 l’ettolitro, che servivano per fare fronte alle spese di gestione. Per portare il latte a Milano fu scelta la ditta lodigiana Zamboni. Il titolare di questa azienda di autotrasporto era Francesco Zamboni, che fu una figura stabile ed importante per Santangiolina: egli si ritirò dall’attività nel novembre 1977, ma la sua azienda fu rilevata dagli stessi dipendenti che realizzarono la Cooperativa Au-

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totrasporti Latte. Se nel marzo 1961 i soci fondatori erano stati in diciassette, sette mesi dopo, nella riunione di ottobre, se ne contavano già cinquantasei: trentanove in più. Le riunioni di Società Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina erano aperte anche ai simpatizzanti, proprio per favorire la conoscenza dei propositi e degli obiettivi sociali: e i consensi arrivavano. Tanto che, già dal mese successivo, per sopperire ai costi delle attività, fu necessario cambiare la quota d’iscrizione: non più 5.000 lire a socio, ma lo stesso importo per ogni dieci vacche lattifere possedute. In


per le quantità di latte conferite. Era un segnale chiaro della validità dei servizi offerti da Santangiolina in un trend che avrebbe condotto venticinque anni dopo ad una quota di adesione di lire 20.000 per ogni vacca lattifera posseduta. Nel 1962 la cooperativa avviò una riflessione sulle condizioni di salubrità del latte affidato all’industria. Per questo, il Consiglio d’Amministrazione diede mandato al presidente Pozzoli di esperire, presso l’Ispettorato Agrario Provinciale di Milano, le pratiche necessarie per beneficiare di un finanziamento utile all’acquisto di macchinari per la refrigerazione del latte nelle stalle. Tutti i soci vennero sollecitati a refrigerare il proprio latte. Nessuno si oppose. Eppure, dai rilievi effettuati dai tecnici della Centrale, fu chiaro che qualcuno continuava a fare di testa propria: il latte non veniva raffreddato, in certe occasioni risultava

persino annac-

quato da chi ne voleva aumentare i litri. Il presidente Pozzoli, a nome del Consiglio, inviò alcune specifiche lettere di monito, dopodichè escluse dalla cooperativa i soci inadempienti agli obblighi. Intanto, a fine

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cambio i produttori soci ottenevano un’anticipazione


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anno 1962, la Centrale di Milano, valutati i buoni risultati offerti dalla cooperativa, chiese un maggior conferimento del latte; il Consiglio di Amministrazione di Santangiolina s’impegnò a fare aumentare la produzione ai propri soci, ma chiese alla Centrale - nel perfetto gioco delle parti - una maggiorazione di prezzo, quantomeno per coloro che consegnavano il latte con determinate caratteristiche di grasso, di pulizia e di carica batterica, oltre che per quei soci le cui stalle erano in via di risanamento. La Centrale acconsentì alla richiesta. Già da questi piccoli segni emergeva l’importanza della cooperazione: i produttori non erano più isolati, e l’espressione di un gruppo garantiva maggiore solidità alle proprie ragioni. Il lavoro di Società Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina era molto apprezzato, pur operando in un contesto, quello agricolo, spesso prudente rispetto ai cambiamenti: le adesioni di nuovi soci, tuttavia, continuavano ad aumentare. Agli inizi del 1963 risultavano iscritti settantadue produttori. I risultati ottenuti erano positivi: i volumi del latte conferito in continua ascesa, le stalle dotate di impianti di refrigerazione e di bidoni per il deposito e per il trasporto, i soldi da Milano giungevano puntuali e con celerità divisi ai soci. Giusto in

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quel periodo la Centrale di Milano riconobbe ulteriori progressi in termini qualitativi del latte lodigiano, ed aumentò di 200 lire ad ettolitro il prezzo di acquisto, più aggiunse altre 100 lire per le operazioni del raffreddamento del latte da parte dei produttori. La strada era ormai tracciata: i soci nel gennaio 1964 erano già centododici, ma alcune stalle sembravano risalire all’Antico Testamento, assolutamente prive non solo della più elementare tecnologia, ma dei principi basilari dell’igiene. Per questo il Consiglio ra e delle Foreste l’autorizzazione per accedere a un mutuo: con i finanziamenti si sarebbero acquistati, per le stalle dei soci ancora sprovviste, altri raffreddatori conservatori. Questi impianti erano assolutamente indispensabili, considerato che il latte era destinato all’alimentazione diretta e doveva quindi mantenere condizioni d’eccellenza. Con altra parte del mutuo, inoltre, si sarebbero acquistate altre autobotti termiche, dalla capacità di 60 quintali cadauna. Il mutuo fu concluso con la sezione di Credito Agrario della

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di Amministrazione chiese al Ministero dell’Agricoltu-


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Cassa di Risparmio delle Province Lombarde per un totale di lire 37.600.000: furono acquistati numero 6 raffreddatori a spalliera, numero quattro gruppi frigoriferi, numero 17 raffreddatori conservatori. L’impegno del Consiglio di Amministrazione era totale, ma alcuni soci - purtroppo - invece di apprezzare le attività poste in essere, pensavano esclusivamente al proprio profitto, magari ricorrendo a qualche furbizia. In quel periodo, infatti, si accertò che alcuni produttori conferivano minore quantità rispetto a quella che dichiaravano. Fu allora affidato al signor Zamboni, l’autotrasportatore, l’incarico di effettuare saltuariamente controlli sulle quantità caricate sulle autobotti. Fu stabilita una penale pari a trenta volte il quantitativo del latte mancante e, in caso di ripetizione del malfatto, il Consiglio si riservava di assumere provvedimenti più severi. Inoltre i soci recidivi sarebbero stati segnalati alla generalità degli aderenti di Società Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina quali esempi negativi.

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La fondazione

P

oteva essere l’azzardo di pochi idealisti: perchè l’iniziativa di quei diciassette uomini, che mise le basi del sistema cooperativistico nella

raccolta del latte nel Lodigiano e nella tutela degli interessi degli aderenti, andava contro tante resistenze. Invece nasceva il sodalizio della Santangiolina. ne. Quando le corti si svuotarono, molti agricoltori erano impreparati: capaci di coordinare il lavoro dei loro uomini, ma se questi mancavano il rischio era dovere ridurre gli ettari da coltivare ed il bestiame. C’erano agricoltori che avevano ereditato enormi fortune dai loro avi, e ne avevano assorbito la mentalità: acume negli affari, ma senza indossare stivaloni, e guardando la stalla da lontano. Dovettero riorganizzarsi: smisero di essere padroni, e divennero imprenditori. Non fu facile. E neanche indolore. Ma la “Santangiolina” ebbe il merito di accompagnare tale processo. Un’evoluzione. Una scommessa vinta. Una soddisfazione immensa. Un grazie a quei diciassette, agli uomini che fondarono il sodalizio.

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Erano i tempi in cui si eclissavano i mungitori dalle casci-


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Mentre ci si interessava a queste piccole beghe, comunque nocive all’immagine della cooperativa, emerse un problema molto serio: la Centrale del Latte di Milano, nell’agosto 1964, comunicò di non potere rispettare i propri impegni di spesa. Furono momenti d’incredulità. Qualche agricoltore insinuò che prima era meglio, che quando ciascuno pensava per sé gli affari erano forse più lenti, ma garantiti. È un classico della vita: andando bene le cose si è tutti dalla stessa parte; ma se c’è un solo scricchiolio è facile ritrovarsi da soli... I dirigenti di Santangiolina non si persero d’animo. Ed in men che non si dica raggiunsero un accordo con

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Banca Popolare di Lodi; il 22 agosto 1964 fu diramato un comunicato, che così recitava: «Nell’eventualità che il fatto possa ripetersi, allo scopo di assicurare ai soci il tempestivo incasso del corrispettivo del latte conferito, il Consiglio di Amministrazione ha ottenuto dalla Banca Popolare di Lodi un prefinanziamento di lire 70 milioni, e l’Istituto di credito, come garanzia, ottiene che la Centrale del Latte di Milano effettui i pagamenti del latte solo per il di lei tramite con la facoltà di essa Banca di rivalersi sul versamento fatto dalla Centrale di quanto anticipato...» In effetti, non è che i rapporti tra Centrale del latte di Milano e coo-


no baruffe: l’azienda meneghina, malgrado gli sforzi fatti da Santangiolina, lamentava le carenti condizioni igieniche di alcune stalle lodigiane, causa di infezioni batteriche sul latte. Poiché, i principi di tracciabilità del latte non erano sofisticati come oggi, ma si sapeva benissimo come risalire ai colpevoli delle malefatte o delle superficialità, il presidente Pozzoli interveniva per obbligare i soci a diversi comportamenti. C’era chi veniva invitato a conferire nuovamente il proprio latte soltanto dopo aver sanato i problemi, chi si offendeva e si dimetteva dalla cooperativa, e chi doveva fare i conti con il destino cinico e baro, come un imprenditore di San Martino in Strada, che aveva subito un incendio nella propria stalla, con gravissimo danneggiamento per il bestiame, ed aveva così comunicato il recesso dal sodalizio di Santangiolina. Il guaio più grosso doveva ancora arrivare: alla metà del 1965 la Centrale di Milano sentenziò che il latte consegnatogli fosse, in larga parte, ben al di sotto

della

percentuale

di grasso necessaria per un’eccellente

qualità,

e

ridusse, per le partite in-

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perativa filassero sempre amorevolmente; spesso era-


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teressate, il riconoscimento del prezzo al litro: trentadue lire, anziché sessanta. Santangiolina replicò, intanto, asserendo che anche quelle partite di latte, soglia di grasso rispettata o meno, fossero di ottimo utilizzo per l’industria casearia; e poi, applicando il valore della cooperazione, riconoscendo ai soci interessati dalla riduzione la differenza mancante. Poi, poiché una cattiva notizia è spesso accompagnata da una seconda, la Centrale di Milano, alla fine di ottobre del 1965, comunicò alla cooperativa di volere ridurre il quantitativo delle fornitura di circa cento quintali giornalieri mediante esclusione di un gruppo di produttori scelti proprio dalla stessa azienda milanese. Queste partite di latte non più richieste, Santangiolina scelse di indirizzarle alla Società Polenghi Lombardo per utilizzo industriale. Le condizioni per i produttori rimasero identiche: infatti, a chiunque fosse destinato il latte, Santangiolina,

garan-

tendo l’uguaglianza di condizione a tutti i soci conferenti, a

ciascun

attribuiva produttore

lire 7.200 all’ettolitro.

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Ma ovviamente il problema della collocazione del latte cominciava a farsi sentire. In sintesi, il quadro che si presentava a Santangiolina, a metà del 1966, era il seguente: la Centrale di Milano continuava a richiedere esclusivamente latte da bovine assolutamente immuni da tubercolosi per l’utilizzo fresco del prodotto, mentre l’industria casearia, la Polenghi Lombardo, sembrava disponibile ad acquistare l’altra parte, per il suo trattamento industriale, ma limitando nel futuro in modo drastico le acquisizioni. Da questa situazione di stallo sembrava sorgere un’opportunità: creadiretta trasformazione del latte. Il Consiglio di Amministrazione proponeva di avviare uno studio di fattibilità per la realizzazione di tale progetto, affidandolo a tecnici esperti, per una valutazione sugli impegni economici e sulle risorse finanziarie necessarie, e studiando l’ipotesi di acquisizione di terreni dove erigere questa nuova realtà. Oltre alle preoccupazioni, la nuova annata casearia sembrava avviarsi in modo piatto: la Centrale di Milano riconosceva ai produttori di latte un prezzo

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re, all’interno di Santangiolina, un caseificio per la


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base modesto, ampliato tuttavia da una serie di premi incentivanti per le qualità fornite. Restavano inoltre dubbi sulla cessione del latte alla Polenghi Lombardo, in quanto tale industria non si esprimeva a priori sul riconoscimento del prezzo a litro, ma intendeva trattarlo durante il periodo di fornitura: fatto che la cooperativa riteneva lesivo per i propri soci. A tal punto che, a posizioni irrigidite e perciò arenate, Santangiolina decise di rivolgersi al caseifi-

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cio Milani Cesare e Figlio di Marzano, nella provincia di Pavia, attribuendo a esso la consegna del latte per il periodo dal 11 novembre 1966 al 11 novembre 1967. Ma il buon esito degli affari, non distoglieva il Consiglio di Amministrazione di Santangiolina dal disegno delle strategie future: così il presidente Pozzoli presentò ai propri collaboratori un progettino che, nero su bianco, prevedeva uno stabilimento per la lavorazione del latte e la conservazione dei suoi prodotti, nonché la integrale utilizzazione dei sottoprodotti mediante l’allevamento e l’ingrasso di suini.


trasti con la Centrale di Milano sembravano ampliarsi: quest’ultima, nel novembre 1967 comunicò che i pagamenti sarebbero stati effettuati dopo 30 giorni dalla consegna. Allora il Consiglio, al fine di garantire ai soci il pagamento del latte per il giorno 15 di ogni mese, formulò la richiesta di un prestito alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde: ciò garantiva condizioni costanti di pagamento, tutelando il reddito dei soci, anche quando il mercato non avrebbe offerto questa possibilità. A seguito di queste situazioni, la relazione annuale del presidente Pozzoli non appariva trionfalistica. Tutt’altro. Si sottolineavano le difficoltà nel collocare il prodotto presso la Centrale di Milano, oltre alla mancata ripresa del valore del prezzo del latte. Al danno si aggiungeva la beffa: la Centrale, che in definitiva assorbiva la metà del quantitativo conferito dai soci, escludeva di ritirare il latte per i mesi di luglio ed agosto, così che il Consiglio era stato costretto a cedere la produzione esclusa ad altri enti, pattuendone il prezzo, ovviamente su basi minori.

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Era una soluzione inevitabile, anche perché i con-


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Proprio per questo il Consiglio rilanciava l’idea di realizzare un proprio caseificio. Era consapevolezza comune che il latte in esubero non avrebbe potuto essere collocato che a prezzi rovinosi. Ma poiché l’area dove edificare lo stabilimento continuava a non essere individuata, il Consiglio diede mandato al Presidente di trovare in affitto un piccolo caseificio che avesse la capacità lavorativa giornaliera di ettolitri 50/80 di latte così da fronteggiare le difficoltà nella collocazione del latte esuberante. Per questo si pensava di ricorrere ai prestiti previsti dai fondi europei del Piano Feoga. La ricerca fu spasmodica. Si tergiversava tra soluzioni di acquisto ed altre di affittanza. Alla cascina Belfiorito di Sant’Angelo Lodigiano vi era funzionante un piccolo caseificio, e si immaginò di utilizzarlo, seppure in via provvisoria, per la lavorazione di piccole quantità di latte. L’idea suscitò entusiasmi e isolate perplessità: a forte maggioranza, i consiglieri espressero parere favorevole affinché si promuovesse una trattativa con la proprietà per un’affittanza di due, tre anni, ritenuto che entro tale periodo potesse essere costruito il complesso lattiero caseario già in programma. E in effetti la trattativa si aprì: solo che il proprietario della cascina Belfiorito, Saronio,

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intendeva affittare caseificio e porcilaie per un solo anno, mentre Santangiolina

chiedeva

la

garanzia di un biennio. Il confronto si arenò immediatamente. Intanto si distribuiva il latte a più realtà: fra queste, Centrale del Latte di Milano, Centrale del Latte di Pavia, Società Latteria San Giorgio di Locate Triulzi, Società Polenghi Lombardo di Lodi, Latteria Milani Cesare e figlio di Marzano. Sei mesi dopo la situazione era di stallo. Vi erano resistenze verso nuove avventure, che sembravano tenevano di interpretare il pensiero della stragrande maggioranza dei soci: la costruzione del caseificio era un punto fermo tanto che, il Consiglio di Amministrazione, determinò che, una volta deliberate le formalità per l’acquisizione dei terreni, chi fra i soci non fosse stato d’accordo era assolutamente libero di recedere dalla cooperativa. Forse fu il tono ad irritare. Più probabilmente l’antica mentalità che novità troppo lungimiranti togliessero sicurezze, fatto sta che il 30 marzo 1969,

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rischiose. I consiglieri di Santangiolina, tuttavia, ri-


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quando fu convocata l’assemblea dei soci, avvenne un colpo di scena: la proposta di costruzione dell’immobile, quale proprio caseificio, fu clamorosamente rigettata. Vi rimasero tutti di sasso, il presidente Pozzoli in testa. Il Consiglio fu costretto a presentarsi dimissionario, a ruota fece lo stesso il Consiglio dei Sindaci: insomma, un terremoto. Il periodo immediatamente seguente fu alquanto grigio e monotono; gli entusiasmi si erano affievoliti. E vi era un’enormità di problemi da affrontare.

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Il primo Presidente

M

ario Pozzoli, presidente della Santangiolina dalla fondazione sino al 1969, era nato nel 1900 a Casaletto Vaprio ma quasi tutta

la vita l’aveva trascorsa a Castiraga Vidardo; qui, oltre alla produzione del latte, curava il commercio di manzette. Quando assunse l’incarico di presidente, sessantenne, lo fece perchè credeva nella cooperazione. Signorile ebbe il fratello Giuseppe, ed il primo autotrasportatore della Santangiolina: Francesco Zamboni; a lui raccomandava di far giungere il latte alla Centrale di Milano percorrendo, durante gli inverni nebbiosi, le più impervie strade della campagna lodigiana. Pozzoli era un perfezionista: desiderava essere informato su tutto. Ebbe il merito, partendo da zero, di rendere subito credibile la Santangiolina: questo, il suo migliore biglietto da visita. Proverbiali erano le sfuriate ai soci che barando sulle quantità conferite, annacquavano il latte: minacciava di rompere ogni rapporto con i rei, ma ricevute le promesse che i misfatti non sarebbero più capitati, tornava di buon umore. Si fece da parte appena comprese che l’età lo limitava. Ma sino alla fine continuò a sentire la Santangiolina come una sua creatura.

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ed autorevole, sapeva essere umile; fra i suoi collaboratori


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Gli anni ‘70

Il

nuovo Consiglio aveva nella figura di Edoardo Marelli il nuovo Presidente. Intanto si ampliava il novero dei

caseifici che ricevevano il latte della cooperativa, e fra questi, nella campagna novembre 1970 - novembre 1971, apparivano, fra gli altri, quello dei Carena di Caselle Lurani e quello della Parmalat di Collecchio. Nel marzo 1971 alla Cooperativa Santangiolina giunse una proposta: realizzare una fusione con la Cooperativa Agricola Coltivatori Diretti di San Colombano al Lambro il cui personaggio di spicco era Cecchino Panigada. La proposta era interessante, ma ancora una volta i soci preferirono lo status quo: all’assemblea straordinaria, convocata per deliberare l’approvazione, si presen-

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tarono in pochissimi, facendo mancare il numero legale. Due anni dopo non si era ancora addivenuti ad alcuna soluzione. E ci volle uno scossone per arrivare a una scelta: trapelò la notizia che la Centrale di Milano aveva perduto il monopolio garantito per la diffusione del latte fresco nel capoluogo lombardo, e che in conseguenza di ciò avrebbe ulteriormente abbassato le ordinazioni. A questo punto, con il panico di rimanere con centinaia di litri in esubero, i consiglieri deliberarono, per conto proprio, la fusione per incorporazione della Cooperativa Agricola Coltivatori Diretti di San Colombano al Lambro, stabilendo di farla ratificare alla successiva assemblea. Era il 13 gennaio 1973. Questo accelerò la fusione con il gruppo della Cooperativa Agricola Coltivatori Diretti di San Colombano al Lambro, anche al fine di poter lavorare, parzialmente, il latte nel loro pur piccolo stabilimento. Tale scelta comportò ulteriori spese: occorreva provvedere alla sistemazione del centro di lavorazione del latte,

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mediante l’installazione di nuovi impianti, e per questo si rendeva necessario presentare domanda di mutuo e richiesta di finanziamenti alla Regione Lombardia. Lo stabilimento partì dieci mesi dopo la sua acquisizione e gli inizi si rivelarono difficoltosi: pur se per quantitativi esigui, l’obiettivo era quello della pastorizzazione e della vendita diretta del latte e di latticini con il marchio “Lodilat”. Ma la relazione del Consiglio d’Amministrazione all’Assemblea dei soci, datata 22 febbraio 1975, sembrava presagire che di lì poco sarebbe stato necessario ammainare bandiera bianca: «La produzione di latte pastorizzato si è limital’1.60 per cento circa dell’intero quantitativo conferito dai soci. La gestione relativa al latte pastorizzato ha riscontrato difficoltà specialmente nel ramo delle vendite, per la mancanza sin dall’inizio di una rete di vendita e di clientela. La formazione della clientela, seppure di proporzioni modeste, ha comportato non lievi sacrifici nel campo della pubblicità e delle reclame; ma l’onere maggiore che tuttora persiste, deriva dal fatto

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ta a modestissime proporzioni, rappresentando solo


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che le spese ordinarie di produzione dovute al costo del lavoro, alle spese di esercizio e ai trasporti, non è adeguato al volume delle vendite… Il Consiglio di Amministrazione, pur non nascondendo le difficoltà, si augura di poter incrementare il volume delle vendite... Si deve però rilevare che questo Consiglio di Amministrazione ha ritenuto opportuno servirsi del piccolo complesso di San Colombano al Lambro, per operazioni di stoccaggio del latte che non poteva tro-

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vare in giornata il suo solito collocamento, evitando così inevitabili perdite conseguenti al suo forzato dirottamento a clienti d’occasione. Inoltre, essendo il caseificio dotato anche di gabinetto di analisi e di personale idoneo, questo Consiglio se ne serve all’occorrenza, anche per controlli su tutto il latte dei soci. Questi vantaggi e servizi devono essere posti in giusta evidenza ai fini di una completa valutazione dell’attività del nostro caseificio…» Quell’assemblea chiudeva, per termini statutari, l’esperienza di alcuni soci in seno al Consiglio di Amministrazione. Una settimana dopo, infatti, Presi-


Guercilena, carica che avrebbe ricoperto per i successivi nove anni. Il neo Presidente dovette affrontare sia le difficoltà legate alla gestione del caseificio che un’altra più immediata: cioè il pagamento contante ai soci all’atto della consegna del latte. Infatti, gli stabilimenti che lo ricevevano stipulavano accordi, prendere o lasciare, a sessanta giorni dalla consegna, tempi che a volte divenivano maggiori. La Cooperativa Santangiolina, allora, si era sobbarcata gli oneri di pagamento anticipato, contraendo prestiti con le banche: ma questi determinavano oneri ingenti per interessi passivi. Si decideva di ricorrere alla Regione Lombardia affinché, data apposita normativa, concorresse al pagamento di questi oneri. Insomma, non era un momento facile. Nel 1977, il malcontento dei produttori di latte era evidente: nel passato la trattativa sul prezzo di vendita del latte all’industria costituiva un momento di verifica della forza del comparto agricolo, ma le normative regionali ne avevano avocato la determina-

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dente della cooperativa risultava essere il signor Primo


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zione economica a una regolamentazione istituzionale, dove i margini di trattativa tra le parti erano assolutamente ininfluenti. In sostanza, il prezzo del latte veniva deciso dall’alto, e raramente trovava i produttori soddisfatti. Comunque questi erano stati, nell’anno 1977, i prezzi riconosciuti per ogni litro di latte prodotto: lire 279,86 per quello conferito alle industrie, lire 248,92 per quello consegnato al nuovo caseificio di Santangiolina, che poco dopo avviava anche la lavorazione dello yogurt. Il Consiglio di Amministrazione di Santangiolina non voleva perdere la scommessa del caseificio e si adoperava affinché esso funzionasse bene; per questo si costituì una cooperativa che lo gestisse in autonomia: nel dicembre 1978 si cedette in comodato d’uso alla Cooperativa Fattorie Lodigiane s.r.l. lo stabilimento di San Colombano al Lambro con tutti i macchinari per la produzione e pastorizzazione del latte, nonché per la realizzazione di yogurt. Un’altra soluzione fu trovata qualche anno dopo, e cioè nel 1985, quando la struttura fu concessa in affitto alla ditta Goccia Bianca di Pavia, con la clausola che il latte da lavorare provenisse dalla stalle dei soci di Santangiolina.

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I malumori e le preoccupazioni

non

pote-

vano occultare però un semplice dato di fatto: ogni anno il prezzo alla vendita del litro di latte migliorava, tanto che nel 1978 era stato, per quello indirizzato alle industrie esterne, di lire 285,15: praticamente sette lire in più rispetto all’anno precedente. Per quello del caseificio addirittura dieci lire in più. Ma gli affari non sono solo grafici con le rette in ascesa: i costi della manodopera e della gestione complessiva delle stalle annullavano in buona parte queste migliorie. Anche il 1979 evidenziava ulteriori margini di prodotto. Insomma, ci si lamentava, e anche tanto, ma i soci di Santangiolina avevano alcune garanzie certe: entrate in crescita, sicurezza nei pagamenti, incassi ottenuti nelle date concordate. E le adesioni dei soci erano in continua ascesa. Ma quando un gruppo diventa grande, accade che si marchino maggiormente certe differenze di idee, e le prospettive cui ispirarsi. Il presidente Primo Guercilena sentì spifferi di sfiducia e di critica nei

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crescita per quanto riguardava la remunerazione del


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confronti della sua gestione. Con lettera del 4 agosto 1981 preannunciò le sue irrevocabili dimissioni, a decorrere dal 30 ottobre. Si trattava probabilmente di una crisi passeggera; ma aver dato la comunicazione della rinuncia alla guida di Santangiolina, e averne poi revocato tale proposito, acuÏ il contrasto con il gruppo che gli era avverso. Sembravano normali schermaglie, probabilmente sfociate al di là delle iniziali intenzioni: si andò alla conta e poi, nel novembre 1981, a una definitiva separazione: sessantadue soci, visto che Guercilena non aveva inteso dimettersi, rassegnarono le proprie dimissioni dalla cooperativa, cui restarono invece fedeli ottantaquattro soci.

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Francesco Panigada

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rancesco Panigada (detto Cecchino) ha rappresentato una figura importante nel mondo agricolo locale. Nei primi anni ’50 propose lo studio del

Consorzio Irriguo: una canalizzazione capillare in grado di convogliare l’acqua in ogni appezzamento coltivato, aumentandone la produzione e il valore economico. Inventò un forno consortile per panificare con farina prodotta localmente. Gli agricoltori ricevevano in cambio pane e convinse ad assumere incarichi nelle organizzazioni di categoria, a livello locale e provinciale. Nel 1964 fu eletto presidente del Consorzio Agrario di Milano e Lodi. A tutela delle vendemmie promosse il Consorzio antigrandine, una struttura che coinvolgeva i viticoltori di San Colombano, Miradolo Terme e Graffignana. Fu fra i promotori del Consorzio per la tutela dei produttori di vino. Il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata deriva da quegli impegni. Panigada fu tra i promotori della fusione tra la Cooperativa Agricola Coltivatori diretti di San Colombano al Lambro e Santangiolina. Per la sua umanità, è ricordato sempre con straordinario affetto e stima.

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la differenza in pecunia. La stima de mondo agricolo lo


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Gli anni ‘80

N

el

gennaio 1982 si vol-

tò ufficialmente e definitivamente pagina; nella prima seduta di quell’an-

no fu eletto, nel ruolo di vice Presidente, l’uomo che, più di ogni altro, di lì a breve avrebbe segnato la storia di Cooperativa Santangiolina: Antonio Baietta. Intanto, in quello stesso periodo, si cominciava ad operare non più sul ristretto panorama lodigiano, ma in un contesto più ampio. Le politiche nazionali guardavano ormai all’Europa.

Questi i fenomeni più

significativi: un aumento abbastanza costante della produzione del latte, sia a livello nazionale, che all’estero; la saturazione del mercato di alcuni tipi di formaggio; la produzione di formaggi di qualità sempre meno

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valida; un’evidente crisi nei consumi; numerose frodi ed alterazioni dei prodotti lattiero caseari attuate all’estero con conseguenze anche sul mercato nazionale. Malgrado ciò in Lombardia i fenomeni negativi erano stati contenuti: nel gennaio 1983 il prezzo del latte era stato riconosciuto pari a lire 530 a litro e i soci di Santangiolina su questo valore avevano avuto riconosciute lire 7,47 in più. Nell’aprile 1983 Antonio Baietta fu eletto Presidente. Due mesi dopo era determinato a dare la prima significativa scossa: impose, infatti, che per il secondo semestre di quell’anno il pagamento del latte avvenisse non più soltanto sulle quantità, ma tenendo conto della qualità. In particolare, erano presi a riferimento i seguenti indicatori: titolo di grasso, mastite, carica batterica. Qualora fosse stata riscontrata la presenza di sostanze nocive nel latte consegnato si sarebbe applicata una penale di lire 100 a litro su tutta la quantità conferita e la perdita di incentivi per l’intero mese. Viceversa, con il contenimento di germi e cellule somatiche, sareb-

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bero stati attribuiti premi. A questo proposito, gli incentivi sarebbero stati pagati sulla base dei dati medi mensili rilevati dalle analisi compiute dall’Istituto Zooprofilattico di Milano sui prelievi effettuati in singolo campione dal “menalat”, mentre proprio all’interno di Santangiolina si realizzava un laboratorio di analisi, diretto da un laureato in scienze agrarie, il dr. Mauro Zicche, e con alcuni blitz si decideva di avviare alcune raccolte‑prova direttamente nelle stalle dei soci. Fu un passaggio decisivo: dai metodi “fai da te” all’affidamento a un laureato di un progetto così importante. Nella cultura generale di quel tempo, infatti, sembrava che depositari del sapere fossero solo quelli di carte e grafici, venivano visti con diffidenza. Nel giro di poco tempo, inoltre, furono acquistati due latto‑prelevatori‑automatici, e installati su camion di raccolta, grazie ai quali procedere a verifiche volanti sull’effettiva qualità del latte: insomma, quello che giungeva all’industria, doveva avere una qualità perfetta. Per il presidente Baietta questo era solo un punto di partenza.

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che lavoravano direttamente, mentre uomini di studi,


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Le decisioni del neo Presidente furono fondamentali nel miglioramento delle stalle lodigiane e conseguentemente per la qualità del latte: chi non era in regola veniva istantaneamente escluso, chi migliorava il proprio latte immediatamente premiato. Inoltre i soci venivano, a gruppi, costantemente coinvolti nelle decisioni assunte dal Consiglio d’Amministrazione. Al presidente Baietta riconoscevano tutti la dote naturale del leader: aveva fatto accettare la regola

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che i soci, fra loro, sono tutti uguali, e a tutti devono essere offerte le stesse opportunità e garanzie. Un socio con poche bovine era uguale ad un altro con un allevamento di ampie proporzioni: ciò che contava era l’unione fra i due, l’unico valore a fare la vera differenza. Più singoli messi insieme rappresentavano una forza che poteva essere determinante nei rapporti di mercato: una regola semplice, quasi ovvia; il segreto era farla accettare da tutti: e Baietta in questo mostrava di essere insuperabile maestro. A Santangiolina, allora, cominciarono a giungere nuove richieste


gnale molto positivo questo, poiché il settore lattiero caseario entrava in una fase di vera tempesta, sopratutto per la collocazione del prodotto, e tra i produttori cominciava a farsi sempre più spazio l’idea che soltanto il sistema cooperativistico poteva tutelarli da esiti imprevedibili quanto rischiosi. C’era anche bisogno di un valido timoniere, di un eccellente comandante e di un validissimo lettore di mappe per superare quel mare in burrasca e Antonio Baietta possedeva tutte queste qualità. Tra l’altro era quello il periodo - 1984 in cui entravano a regime le quote latte: cioè si poteva produrre - da lì ai prossimi quattro anni - nel tetto massimo del quantitativo prodotto nell’esercizio precedente, nella fattispecie nel 1983; qualsivoglia produzione maggiore sarebbe stata assoggettata ad una penale proporzionale al quantitativo di latte eccedente. A ciò si accompagnava un irrisorio aumento del prezzo di vendita del latte, che otteneva un rialzo solo del 4,57%, raggiungendo così lire 557/lt. Le congiunture negative del mercato incidevano nei rapporti

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d’ammissione da parte dei produttori di latte. Un se-


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tra Cooperativa Santangiolina e alcune ditte, anche importanti, che erano preposte alla lavorazione del latte: esse, infatti, non riuscivano a rispettare i termini di pagamento, o addirittura non pagavano affatto, avvalendosi persino di assegni protestati, e ciò con inevitabili ripercussioni sulla gestione finanziaria del sodalizio lodigiano e dei suoi soci. Fronteggiare tali imprevisti non era semplice: il rischio era quello di lacerare relazioni professionali con l’ipotesi di non trovare contestualmente altra collocazione per il latte. Si lavorava con diplomazia, tutelando i propri interessi, cercando di raggiungere soluzioni soddisfacenti per tutti, e mantenendo soprattutto un forte senso di responsabilità. Purtroppo, però, l’anno 1986 si aprì con le consuete difficoltà: se la qualità del latte conferito a Santangiolina aveva punte di eccellenza, la sua collocazione costituiva, come nella generalità dei casi in tutta Italia, un problema. Persino le industrie più importanti faticavano a mantenere i patti e, pur avendo Santangiolina numerosi clienti, le tensioni erano evidenti, tanto che il ministro dell’Agricoltura Pandolfi, che s’era recato a Milano riunendo gli imprenditori più importanti

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del Nord Italia, aveva garantito personalmente al presidente Baietta che il valore per partite di latte non collocate sarebbero state direttamente pagate dallo Stato. I rapporti dei produttori di latte con il “Palazzo”, e con il Ministero dell’Agricoltura in particolare, erano complessi in quegli anni. Si contestava ai politici un appiattimento verso le scelte degli industriali: ad esempio, l’ipotesi di pagare il latte a sessanta giorni dalla consegna; l’importazione del latte dall’estero, inoltre, stava prendendo una piega preoccupante, senza una politica di dazi e Altri serissimi problemi avevano caratterizzato quell’anno; intanto, la catastrofe di Cernobyl aveva avuto ripercussioni, seppur indirette, anche nel nostro territorio: alcune quantità di quintali erano apparse sospette e rispedite dall’Industria al mittente, e ciò aveva costretto gli agricoltori a non alimentare con foraggio fresco le bovine; inoltre, numerose stalle erano state colpite dall’afta epizootica.

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controlli che ne limitasse la portata.


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Il presidente Baietta, tuttavia, sottolineava le contraddizioni di uno Stato che, sull’agricoltura, mostrava di smarrire la bussola: «Le nostre stalle - diceva ai soci di Santangiolina, in una relazione del 1987 sono state decimate in attesa di un vaccino che non arriva; il commercio sia bovino che suino è stato bloccato per molti mesi anche in allevamenti sani, con ingenti danni economici per tutti gli allevatori. L’indennità di abbattimento per gli animali infetti o sospetti d’infezione è stata fissata, con decreto legge, nella misura dell’80%, mentre i danni subiti dagli allevamenti sani non sono stati nemmeno considerati e i capi abbattuti il più delle volte non sono

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stati valutati in modo corretto. Noi non potevamo spostare il nostro bestiame sano, mentre su tutto il territorio nazionale circolavano liberamente Tir carichi di bestiame vivo provenienti da altri paesi. Abbiamo avuto anche un forte incremento di latte per l’impossibilità di commercializzare le primipare.» Baietta, però, in quella circostanza, non si limitava ad elencare i problemi, ma andava dritto dritto a ragionare sulle cause di queste difficoltà e sui motivi che determinavano la stagnazione dei prezzi del latte: «Tutto ciò - puntualizzava il Presidente di Coope-


contrattuale che il mondo zootecnico ha nei confronti dell’industria lattiero‑casearia. Le nostre organizzazioni così come sono strutturate nulla possono. Tutto questo deve convincere i produttori che ogni anno diventa più difficile difendere il settore del latte e ciò deve indurre a cercare soluzioni alternative.» La prospettiva era quella di creare significative sinergie: intanto, sviluppando un’intesa con tutto il mondo zootecnico e poi realizzando, con le proprie forze, una struttura per la trasformazione e commercializzazione dei prodotti. In quel periodo Santangiolina aveva ristretto il numero dei clienti destinatari del latte: l’azienda a cui veniva conferita la maggiore quantità era la Centrale di Milano; a seguire la Polenghi s.p.a.; la ditta Galbani; il caseificio Giordano di Oleggio; l’Industria Casearia Lodigiana (oggi Stella Bianca). Vi erano poi la ditta Copalca di Villanterio ed il caseificio Carena di Caselle Lurani. Modiche quantità venivano date al Caseificio Goccia Bianca,

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rativa Santangiolina - è dovuto alla mancanza di forza


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che però attraversava fasi di instabilità nella gestione dello stabilimento. In ogni caso, rimanevano ancora 140 quintali giornalieri da collocare. Inoltre con Polenghi s.p.a. i rapporti erano tesissimi: ad essa, infatti, Cooperativa Santangiolina destinava 280 quintali giornalieri, mentre l’azienda voleva scendere a 160. Tempi difficilissimi per il mercato del latte. Tanto che proprio ad inizio d’anno, per la prima volta, non fu accettata la richiesta d’iscrizione alla cooperativa di un produttore: proprio per la difficoltà a collocare il bene. Nel giro di un mese, però, fu concluso un nuovo contratto con il Caseificio Del Poggio di Lucca. Nel 1987 la Santangiolina, grazie agli sforzi del Consiglio d’Amministrazione nel dare le direttive sulla qualità del latte e nel pretendere le giuste garanzie dai produttori, applicando sanzioni e multe a coloro che non si adeguavano, recepì una sollecitazione della Centrale del Latte Milano relativa alla produzione di alta qualità.

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El Menalat

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on un semplice trasportatore, ma un fiduciario della cooperativa: il menalat è stata una figura centrale nella storia di Santangioli-

na... 365 giorni l’anno percorre le nostre campagne, già dalla notte, per raccogliere il latte e consegnarlo a caseifici e latterie; non lo fermano nebbia, ghiaccio o neve. A lui è affidato il compito di un primo controllo qualità - visivo e olfattivo - sul prodotto. Suo il ruolo di far girare comunicazioni, indiscrezioni e reclami tra i soci, la cooperativa e gli stabilimenti di trasformazione. gli automezzi, allora meno tecnologici ma più resistenti e adatti a riparazioni “di fortuna” in caso di guasti notturni. Anche le modalità di lavoro non sono più le stesse: prima tutto il latte era “bianco” e si raccoglieva esclusivamente per zona; oggi la suddivisione dall’alta qualità ai formaggi DOP costringe i menalàt ad allungare i percorsi e anticipare gli orari. Maggiori percorrenze anche a causa della chiusura di molti caseifici nelle nostre zone e un aumento della burocrazia completano il quadro di un mestiere che è sempre stato duro ma che oggi è divenuto stressante. Resta intatto tutto il suo fascino e la consapevolezza di un ruolo di grande importanza nella filiera.

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Molto è cambiato dagli inizi eroici di Santangiolina: sicuramente


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Per questa specifica caratteristica, occorreva una qualità igienico sanitaria di eccellenza che consentiva un trattamento termico di risanamento più delicato e una migliore qualità del prodotto finale per il consumatore. Molto del latte raccolto dalla Santangiolina aveva questa caratteristica, così che il 27 per cento della produzione fu possibile destinarlo alla Centrale di Milano, la quale applicava, rispetto agli altri clienti, il contratto più vantaggioso. Un’altra questione di grande interesse - in quel periodo - era data dalle notizie che volevano in vendita la San Giorgio s.p.a. - ubicata a Locate Triulzi, alle porte di Milano -, azienda leader nella trasformazione del latte. I vertici di Santangiolina, che da tempo consideravano la possibilità di collocare parte del proprio latte in uno stabilimento di proprietà, pensarono di effettuare un’offerta, e di rilevare lo stabilimento. Tale orientamento aveva mobilitato gli entusiasmi di tutti i soci. Ancora una volta il presidente Baietta mostrava le sue doti di ammiraglio timoniere

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e chiariva i vantaggi di questa svolta: assumere la responsabilità della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti lattiero‑caseari, infatti, metteva nelle condizioni di conoscere meglio le problematiche del mercato e nel contempo di poter meglio equilibrare la domanda con l’offerta, anche in vista dell’apertura delle frontiere che avrebbe comportato la concorrenza dei produttori esteri, che già rifornivano un buon numero di caseifici italiani. La scelta, allora, non era soltanto produrre un latte di qualità, ma intervenire direttamente nella sua trasformazione e commercializzazione. Per acquisire il pacchetto di maggioranza della San Giorgio, Santangiolina propose a due fine di affrontare serenamente l’impegno economico, la Santangiolina richiese un prestito al Ministero per l’Agricoltura. Tutto sembrava preludere al traguardo, ma le incognite, nella vita ed ancora più nel mercato, sono sempre dietro l’angolo: a metà percorso le due cooperative locali coinvolte preferirono tirare i remi in barca.

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cooperative locali di fare parte dell’operazione. E, al


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A quel punto, alla Santangiolina non restavano che due strade: o tirare a propria volta i remi in barca, ma non era questo lo stile del presidente Baietta e dei suoi uomini, o trovare come partner dell’operazione un altro interlocutore. A volte le operazioni finanziarie nascono dalle più svariate situazioni. In quegli anni un valente imprenditore del centro Italia, ovviamente impegnato nel settore lattiero caseario, aveva stretto rapporti commerciali con la

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Santangiolina. Quest’uomo si chiamava Alvaro Casagrande. Egli aveva fondato Cooperlat, riunendo un gruppo di cooperative delle Marche, allo scopo di rilevare da un privato l’azienda TreValli, che operava a Jesi già dal 1960, un anno prima della fondazione di Santangiolina. Suo stretto collaboratore era Mario Perini, direttore amministrativo finanziario, uomo chiave nelle varie operazioni imprenditoriali di Cooperlat. Alvaro Casagrande aveva mandato in avanscoperta al Nord il suo responsabile degli acquisti, il dr. Giorgio Bocca. Cooperlat TreValli cercava, infatti,


perché dal canto proprio il presidente Baietta decise immediatamente di puntare sui marchigiani, conferendo loro inizialmente una botte di latte giornaliera. Non a caso, anzi proprio in virtù delle relazioni con Santangiolina, Cooperlat TreValli è divenuta nel tempo il terzo polo del latte, dopo Parmalat e Granarolo. Ma l’intesa con il sodalizio di Cooperlat TreValli fu, prima ancora che imprenditoriale, umana. Ed ebbe immediati frutti anche sulla questione relativa alla San Giorgio s.p.a.. Infatti, Santangiolina e Cooperlat TreValli decisero di rilevare la maggioranza del pacchetto azionario di quell’azienda: cioè il 33% ciascuno, in modo di avere il sessantasei per cento del totale. Nei patti concordati il Presidente sarebbe spettato a Santangiolina, mentre l’amministratore delegato sarebbe stato un uomo di Cooperlat TreValli, anche in considerazione della comprovata esperienza maturata da questa cooperativa nella gestione di uno stabilimento. Purtroppo, però, gli sviluppi presero una piega inaspettata: il Ministero dell’Agricoltura informò che avrebbe concesso il

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di acquisire il latte del Nord. L’intesa fu immediata,


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contributo richiesto, per l’operazione di acquisto delle azioni della San Giorgio, a fronte di una sola maggioranza, e non di due gruppi paritetici. E su questo principio fu assolutamente irremovibile. Allora, Santangiolina decise di cedere la maggioranza delle azioni a Cooperlat TreValli, divenendo al contempo sua partner, con la stipula di patti parasociali che prevedevano per Santangiolina la Presidenza di San Giorgio e la Vicepresidenza di Cooperlat, ed il diritto di acquisire le azioni di minoranza di San Giorgio. A seguito di questo accordo, la Santangiolina acquisì, in cambio delle azioni cedute della San Giorgio, il corrispettivo delle azioni Cooperlat. Frattanto, il vento generale sembrava cambiare e soffiare a favore dei produttori di latte: nel 1989, il prezzo passava da lire 609 a lire 669 a litro. Agli inizi del 1990 il latte conferito da Santangiolina era così distribuito: a Polenghi Lombardo, hl. 150,00 giornalieri; alla cooperativa alimentare La Campanella, provincia pavese, hl. 120/130 dal lunedì al venerdì, dirottando il quantitativo al caseificio Finardi, provincia bergamasca, nel giorno di sabato; al caseificio Paltrinieri, provincia di Novara, hl. 130/150 dalla domenica al giovedì, dirottando il quantitativo al caseificio Valcolatte, sul piacentino,

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nel giorno di venerdì ed al caseificio Foresti, nella provincia bresciana, nel giorno di sabato; alla cooperativa Cooperlat, sita a Jesi, hl. 290/310 giornalieri; alla San Giorgio s.p.a., di Locate Triulzi, andavano diciotto botti settimanali pari ad hl. 130/150 ciascuna; alla Centrale del Latte di Milano, clamorosamente, veniva consegnata soltanto una botte, quindi hl. 140/170 giornalieri. I rapporti, con tale ultima azienda, rammaricavano notevolmente i dirigenti della Santangiolina; nonostante i numerosi incontri tenuti, anche alla presenza delle parti sindacali, per risolvere la freddezza della Centrale del Latte Milano, la situazione di stallo, fortuna ulteriori quantitativi andavano distribuiti, pur in proporzione minore, ad altri caseifici. Ma se l’anno 1990 sembrava godere di un buon venticello in poppa, già alla fine del trimestre si coglievano elementi contraddittori, passando da un’elevata offerta a una richiesta minima: caseifici che sospendevano il ritiro delle botti, altri che ne chiedevano una consistente riduzione, e l’unico mezzo

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relativamente alle forniture, sembrava protrarsi. Per


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per fronteggiare questa imprevista crisi era quello di vendere il latte a un prezzo minore di quello regionale. Interventi tampone non costituivano certamente rimedi risolutivi; occorreva una soluzione, e il presidente Baietta aveva bene in mente cosa; così aveva detto durante un’assemblea dei soci: «Occorre la creazione di un polo lattiero‑caseario forte, autonomo e capace di autogestirsi, avendo a disposizione materia prima di qualità, uomini e mezzi finanziari. Pur essendo produttori, dobbiamo operare in modo che il frutto del nostro lavoro non venga svilito e mortificato da un mercato polarizzato da poche aziende leaders della trasformazione che in qualsiasi

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momento possono approvvigionarsi sui mercati esteri a prezzi più remunerativi.» Inoltre creava qualche preoccupazione il protrarsi delle sanzioni legate allo sforamento delle quote latte concesse ai produttori. Il piano dell’Unione Europea era finalizzato a limitare gli eccessi di produzione da parte degli allevatori, tanto da tassare in maniera drastica la vendita che andasse oltre la propria concessione personale, appunto la propria quota‑latte. La questione, ovviamente, non poteva che creare allarme anche tra i dirigenti di Santangiolina. In ogni caso, i dettati normativi evidenziavano che la produ-


l’intera Unione Europea. La stessa politica italiana era molto attiva su questo fronte: la Commissione Agricoltura del Senato aveva approvato un emendamento in base al quale, il superprelievo connesso al superamento delle quote di produzione del latte attribuito ai produttori italiani e relativo alle campagne di commercializzazione dal 1987 al 1991 fosse pagato dall’Azienda di Stato per gli interventi nel mondo agricolo (A.I.M.A.). A partire invece dalla campagna 1991‑1992, le multe CEE sarebbero state a carico dei singoli produttori. Chi avesse superato il livello della propria quota, attribuita dall’Unione Nazionale fra le Associazioni produttori di latte bovino (UNALAT), avrebbe pagato una super multa di lire 543,08 il chilo. Alle minacce, negli anni successivi, seguirono pure fatti sconcertanti: si determinarono, infatti, tagli in sequenza alle quote latte a disposizione delle aziende, con inevitabili ricorsi ai T.A.R. competenti, ed appelli al Presidente delle Repubblica, quale massima autorità politica nazionale, e si delineò un

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zione del latte, a mercato libero, coinvolgeva ormai


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panorama inverosimile con le aree svantaggiate del Sud e delle isole esenti da tagli, e le maggiori sforbiciate concentrate nella pianura padana: oltre il sessanta per cento dei produttori di latte aderenti alla cooperativa guidata da Baietta furono interessati da questi provvedimenti. Fu l’ennesima occasione perchè Santangiolina dimostrasse che cooperazione significa intanto tutela e poi sostegno per i propri soci: fu così determinato di prorogare l’anticipazione degli acconti ai soci che andavano fuori dalle quote assegnate, nella misura dell’80% del valore di sconfinamento.

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Cooperlat TreValli

È

il 1960. A Macerata viene fondata la “Centrale Latte Alimentare Macerata Jesi”: TreValli, il cui nome richiamava le valli dei tre fiumi “di casa”,

Esino, Potenza e Chienti, ne fu il marchio di riconoscimento. Il 12 febbraio 1985 Cooperlat - una cooperativa appena costituita – con la regia di Confcooperative Marche rilevò dai vecchi azionisti privati la TreValli. L’obiettivo della dirigenza, guidata da Alvaro Casagrande, fu la creazione di un Oggi TreValli Cooperlat è un modello di integrazione di filiera, composta da 15 cooperative di base. Associa un migliaio di produttori. Due i punti di forza: il radicamento dei marchi locali e l’innovazione. Tali caratteristiche si ritrovano nelle linee dei marchi “Noi di Tre Valli”, associato alla tradizione e ai marchi locali, e Hoplà, leader nel settore ad alto contenuto tecnologico delle creme vegetali. Oggi questo gruppo è fra le prime aziende del settore in Italia e sempre più importante all’estero. Santangiolina è azionista di riferimento con circa il 34% del capitale sociale e 30 milioni di litri di latte conferiti annualmente. Da un anno esprime – nella figura di Antonio Baietta – la Presidenza del gruppo.

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polo per rilanciare il settore lattiero caseario nelle Marche.


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Gli anni ‘90

L’

intero comparto agricoltura, agli inizi degli anni Novanta, era messo sotto scacco da una nuova cul-

tura, che cominciava a modificare sin anche le abitudini alimentari degli italiani: la tutela dell’ambiente non era più solo uno slogan politico, ma un criterio che doveva ispirare gli stessi agricoltori e tutti gli attori del mondo agricolo. Non abdicare ai pesticidi ed ai fitofarmaci doveva essere una regola per chi operava nel mondo agricolo, perchè non soltanto la genuinità, ma la sicurezza alimentare dei consumatori era la garanzia per ottenere forza contrattuale e successo del prodotto da immettere sul mercato. Il presidente Baietta su questi punti non transigeva. Era capito da tutti i suoi soci, il Presidente? La sen-

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sazione, rileggendo la storia di quegli anni, è che fosse seguito per il suo carisma, anche se il produttore non accettava che la propria attività fosse così vincolata dalle norme, non solo del Governo Italiano, ma addirittura dell’Unione Europea. Le congiunture economiche ponevano la briglia ad azioni di più ampio respiro: il 1991 si delineava come un anno di grandissima incertezza. Il nuovo accordo regionale sul prezzo del latte, sottoscritto da industriali, Centrali del latte, e a malincuore ma con grande senso di responsabilità dai produttori, determinava lire 616 a litro, raffreddamento e iva compresa: si trattava di 53 lire in meno rispetto agli accordi precedenti; non solo: i termini per i pagamenti venivano differiti da 45 a 60 giorni; e ancora, emergeva un altro elemento di turbolenza: le aziende trasformatrici affermavano di non voler ritirare il latte, alle condizioni stabilite dall’accordo, in quanto non riuscivano a quadrare i propri conti. La Santangiolina, a fronte di questa situazione agì, come di consueto, con immediata tempestività: liquidando ai

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soci un prezzo di acconto pari a lire 606, e rilanciando le proposte sui premi qualità e relativi addebiti per produzioni non eccelse. Inoltre la legge 169/89, che disciplinava il trattamento e la commercializzazione del latte alimentare, aveva regolamentato la definizione di latte fresco di “alta qualità”, riservandola a prodotti con particolari caratteristiche nutrizionali, svicolandone il prezzo da accordi precostituiti: diventava allora lungimirante la scelta di avere acquistato le azioni di San Giorgio e di Cooperlat perchè, insieme alla garanzia di allevamenti con elevati standard igienico sanitari, anche questi imposti dalla politica di Antonio Bal’etichetta dell’alta qualità. Gli anni Novanta videro un’economia di mercato caratterizzata da oscillazioni lievi ma, tutto sommato, in costante, lieve progresso. Intanto proprio agli inizi di quel decennio avveniva, in Santangiolina, un’importante svolta per i requisiti d’ammissione a socio: le domande d’iscrizione restavano sub iudice sino all’esibizione, da parte del produttore, degli attestati sanitari del proprio allevamento, oltre ai requisiti qualitativi

Novanta

ietta, si dava la certezza di attribuire al proprio latte


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ottimali del latte prodotto; in particolare sarebbe stato chiesto di accogliere i tecnici della Santangiolina, mandati con l’incarico di effettuare una visita presso le nuove stalle, al fine di constatare le reali condizioni igienico‑sanitarie dell’azienda agricola. Si puntava sempre a garantire il massimo della qualità: una sfida importante in un contesto economico che si evolveva attraverso consistenti difficoltà. Il mercato italiano registrava un surplus di circa ventuno milioni di quintali rispetto al

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consentito delle quote. Bastava fare due conti semplici semplici per comprendere in quale imbuto la politica avesse messo i produttori di latte in quegli anni: per ogni litro di latte prodotto in più dovevano essere corrisposte lire 543,08/kg, e quindi l’Italia doveva pagare alla C.E.E. oltre 1.200 miliardi, lira più, lira meno. Cifra che superava gli stanziamenti previsti a favore dell’agricoltura nell’anno 1992. Si delineavano, inoltre, dati contrastanti: un decremento dell’8,6% del prezzo del latte, in un biennio, 1990‑1992, dovuto alla difficile collocazione del bene ed alla diminuzione del prezzo regionale


Santangiolina manifestava un forte sviluppo: le vendite registravano un incremento del 6,52% e il latte conferito dai soci s’accresceva di una percentuale pari al 14,48%. Davanti allo smarrimento dei produttori, Cooperativa Santangiolina sapeva rafforzare il proprio ruolo guida interpretando, grazie al valore della cooperazione, la funzione di gruppo produttore e fornitore: proprio ciò che cercavano le grandi aziende della trasformazione sul mercato, cioè riferimenti sicuri e stabili nel tempo. I centocinquantadue soci della cooperativa avevano conferito, nell’anno 1992, 64.140.173 litri: tra i principali clienti spiccava San Giorgio s.p.a. a cui era stato destinato il 31,52% del latte, seguita da Centrale del latte di Milano e da Cooperlat rispettivamente con la percentuale del 22,14 e del 18,23. Un particolarità era anche la richiesta della società Le Fattorie Lodigiane di Gessate che richiedeva il latte di uno specifico socio, in quanto biologico. Gradualmente si cercava di riassestare le forze contrattuali tra grande industria

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Novanta

di lire 53 al litro. Ma, in controtendenza, Cooperativa


Gli anni

e produttori: sino al 31 agosto 1992 il prezzo del latte sarebbe stato di lire 616,01 a litro, dal mese successivo sarebbe passato a lire 631,50 ovvero con un aumento pari a lire 15,49: poco, considerato che anche il costo delle materie prime si dilatava. Ma era pur sempre uno spiraglio di luce. Sul mercato, gorgonzola e provolone avevano avuto significativi rialzi, come lo stesso formaggio grana, facendo così da traino al latte. Ma c’era la congiuntura economica ad avere rafforzato le speranze dei produttori: infatti, la svalutazione della lira italiana nei confronti del marco tedesco e del franco francese aveva finito per determinare l’aumento dei prezzi di importazione, costringendo le industrie a rivolgersi maggiormente verso il prodotto italiano. L’anno 1994 si aprì con un’importante novità politica: da lì a breve il Lodigiano avrebbe avuto riconosciuto il rango istituzionale di Provincia; ciò comportava una serie di adempimenti burocratici per la cooperativa, dall’iscrizione ai nuovi albi professionali provinciali, alla registrazione presso la istituenda Camera di Commercio locale, ma indubbiamente anche alcune opportunità per meglio inserirsi e assumere un ruolo di guida sul mercato produttivo del territorio. Santangiolina era già a quel tempo una fra

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le realtà più solide del Lodigiano, in grado di chiudere in evidente attivo i propri bilanci sociali e di ripartire fra i soci, che fossero stati in regola con i parametri richiesti per la qualità del latte, le somme necessarie per garantire sempre continuità di reddito, anche quando le turbolenze del mercato aggredivano le potenzialità di guadagno. In quel periodo, il laboratorio di analisi aveva effettuato 7.750 campionature, verificando che i soci avessero ottemperato alle opportune indicazioni loro fornite. La capacità di esercitare i controlli era diventata un collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico di Brescia, mentre il laboratorio interno effettuava analisi di controprova se richieste dal socio, inoltre era stato dato incarico al C.N.R. di Milano di effettuare analisi sulla presenza di batteri psicrofili e psicotrofi nel latte di massa nelle cisterne della cooperativa. Anche l’organico della cooperativa era stato opportunamente rafforzato con l’inserimento di due laureati. Giorgio Fontana e Stefano Beia. Altra novità, in seno al sodalizio di Santangiolina, furono

Novanta

punto di forza di Santangiolina: era stata avviata una


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in quell’anno le dimissioni da socio di Adriano Arfini, che era stato fra i padri fondatori della cooperativa, l’ultimo di quei diciassette che era rimasto ancora fra i protagonisti del sodalizio. Baietta, commosso, ne sottolineò, l’esempio e l’impegno. La sfida di Santangiolina, a quel tempo, era ormai rivolta radicalmente a destinare all’industria il miglior latte possibile: gli stimoli, anche economici, non mancavano ai soci che, nel 1995, avevano riconosciuto come prezzo d’acconto, dalla stessa cooperativa, lire 717 al litro più iva. La misura del ricavo, dunque, continuava ad aumentare, anche se alla fine di quell’anno fu valutato un incremento di costi di produzione del latte alla stalla, rispetto

Gli anni

ai dodici mesi precedenti, pari al 12,29%, determinato in particolare dal costo del foraggio. Ciò malgrado i litri di latte conferiti nel 1995 avevano avuto un incremento dell’1,65% rispetto all’esercizio precedente. I conferenti risultavano essere complessivamente 121 con una media di consegna per azienda di 1.513 chilogrammi al giorno. Tra i principali clienti, in termini di litri venduti, c’era Cooperlat di Jesi con il 29,18%; poi Centrale del Latte di Milano con il 28,95%; Cirio Polenghi De Rica con il 10,82%; quindi il caseificio La Campanella con il 4.46%; mentre il restante 26,62% veniva distribuito fra gli altri operatori del settore lattiero caseario.


del mercato del latte? L’anno 1996 sembrava aprirsi sotto una luce sinistra, quasi apocalittica: l’industria trasformatrice chiedeva una drastica riduzione del valore dei contratti già realizzati, poiché il repentino mutamento del settore non consentiva di rispettare gli accordi siglati nell’Accordo Interprofessionale di inizio d’anno e a Santangiolina, sopratutto in relazione alle ditte di minor capitale, non restava che acconsentire. Non solo: anche laddove venivano siglati gli accordi ed effettuati i pagamenti, qualora le intese nazionali avessero al contrario previsto un ribasso, le aziende chiedevano la restituzione delle eccedenze. Per fortuna il prezzo a litro cresceva assestandosi, per esempio per le forniture date alla Granarolo, a lire 810 più iva. E, soprattutto, la solidità di Santangiolina rassicurava sulle possibili oscillazioni causate dalla modifica in corsa di qualunque accordo. Stabilità, però, che rischiava di essere compromessa dall’annosa questione delle quote, e delle penalità da pagare per il latte in esubero: nel biennio 1995/1996

risultava

che ben cinquantuno soci

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Novanta

Ma c’è forse qualcosa di maggiormente turbolento


Gli anni

avevano sforato i propri tetti di produzione e, pertanto, la penalità da pagare, direttamente dalla Santangiolina, in qualità di primo acquirente, era pari a due miliardi e centoquarantaseimilioni, e rotti. La cooperativa, allora, aveva fatto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, asserendo tale penalità non in linea con i provvedimenti sino ad allora emanati, ottenendo la sospensione della multa, e incassando una serie di importanti apprezzamenti da parte di numerose associazioni produttrici di latte. La difesa dei soci produttori, condotta brillantemente da Cooperativa Santangiolina, con la scelta di finanziare quegli agricoltori su cui pendeva la spada di Damocle delle penalità per il latte conferito in esubero, non era certamente la sola ragione per cui giungevano continue richieste di nuove ammissioni. E, sempre al fine di garantire i migliori servizi possibili ai propri soci, Santangiolina aveva potenziato il proprio laboratorio di ricerche, assunto Martin Sanna quale responsabile di tutte le verifiche utili per promuovere la migliore qualità possibile del latte.

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Socio da sempre

A

driano Arfini, fra i diciassette padri fondatori della Santangiolina, è stato quello che ha vantato la più lunga militanza in seno alla coope-

rativa: fu socio sino al settembre1994, quando decise di andare in pensione; trentatré anni consecutivi di permanenza. Arfini era un uomo molto attivo: al Comune a Marudo avele file della Democrazia Cristiana Quando gli si prospettò l’ipotesi di avviare sul territorio la Cooperativa ne fu entusiasta: credeva tantissimo nella cooperazione e, forte di profonde radici cristiane, nel sostegno reciproco fra gli uomini. A fianco all’attività agricola, l’impegno in cooperativa divenne per lui una fondamentale ragione di vita: spesso i famigliari dovevano pregarlo di rallentare gli impegni. Anche quando andò in pensione, continuò a sentire la Santangiolina come un luogo proprio. Il più bel regalo, per lui, fu il riconoscimento di una targa onoraria, sulla quale erano celebrati i 40 di fondazione della Cooperativa.

Novanta

va svolto per più mandati il ruolo di consigliere, eletto nel-


Gli anni

Proprio le competenze di quest’ultimo, unite alle capacità organizzative di Giorgio Fontana, coordinatore dell’intera struttura tecnica, garantivano a Santangiolina un’indiscutibile capacità di governo su tutte le anomalie interne del comparto lattiero: il latte era sottoposto a continue verifiche e ciò, nelle trattative con le industrie, dava a Santangiolina un rapporto di forza, oltre che una comprovata immagine di serietà e responsabilità. Un’altra novità importante in quel periodo fu l’acquisizione di Cooperativa San Fiorano, e di altre realtà, cioè il passaggio sotto le insegne di Santangiolina da parte di soci di vecchie cooperative che con onore ma ormai con molta fatica avevano rappresentato gruppi di produttori. La richiesta di aiuto proveniva da sodalizi che confidavano nel presidente Baietta e nei suoi uomini, nella speranza che questi ultimi subentrassero a rappresentare, in modo radicale, gli interessi dei propri

conferenti.

Fu

quella una di tante altre acquisizioni; nel tempo, infatti, furono acquisiti i soci della Cooperativa San

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Martino di Magenta, nel 1999, quelli del Consorzio di Monza nel 2006 e, nel 2010, gli iscritti alla Cooperativa Como Latte. A cavallo tra il 1997 ed il 1998, il quadro economico e sociale era a dire poco contradditorio: il paese Italia sembrava manifestare indici di ripresa, e ne era espressione un dato particolare, e cioè che i titoli azionari di aziende rivolte alla produzione di beni e servizi di consumo si rivelavano in crescita; i primi passi dell’euro e l’idea che il latte avesse ormai come riferimento l’intero mercato europeo sembravano alludere a possibili progressi; ma il settore del latte italiano non sembrava approfittare di rappresentanti delle grandi industrie di trasformazione (Assolatte) con quelli delle Centrali del Latte e dei piccoli produttori (Confabi). Non solo: proprio il prodotto trainante per il latte, cioè il grana padano, rivelava uno scarso consenso fra gli acquirenti, con magazzini che straripavano di giacenze. Per questo gli accordi interprofessionali per l’ultimo biennio degli anni Novanta vedevano realizzare un’intesa su lire 630 più iva con una diminu-

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questa situazione: anzi, si acuivano i contrasti tra i


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zione rispetto al prezzo precedente ben superiore al 10 per cento. «Un’umiliazione», tuonava il presidente Baietta. «Un’umiliazione», protestava l’intero Consiglio di Amministrazione. «Un’umiliazione», gridavano tutti i produttori di latte. Fra le ragioni di tale fallimento, una appariva fin troppo evidente: l’esistenza di un forte squilibrio tra la domanda, rappresentata a quel tempo in Italia prevalentemente da soli 4 o 5 gruppi multinazionali che inevitabilmente

Gli anni

influenzavano da vicino la politica delle industrie di trasformazione, e il fronte dell’offerta che appariva estremamente frammentario, incapace di promuovere significative azioni di crescita. Si guardava al nuovo secolo per segnare una svolta. La speranza era che il Duemila modificasse lo stato di crisi. Qualche produttore non digeriva l’euro. Qualcun altro sosteneva che il libero mercato fosse un limite più che una libertà; ma, soprattutto, erano i vincoli amministrativi e i lacci burocratici a paralizzare l’agricoltura: e su questo concordavano tutti! In più, il settore zootecnico doveva fronteggiare alcune


pagna denigratoria contro gli Ogm per quei produttori che cercavano nutrimenti alternativi per il proprio bestiame. Fra tanti problemi, vi era poi l’incognita della destinazione della Centrale del Latte di Milano: il Comune, infatti, ne aveva deciso la privatizzazione. Santangiolina aveva riflettuto sull’opportunità di avviare una cordata per rilevarla, ma il coraggio e l’audacia non sono di tutti e il progetto si arenò prima di nascere. La storica Centrale del Latte, così, fu rilevata dal gruppo cooperativo bolognese Granarolo, di cui comunque Santangiolina deteneva una quota azionaria. Malgrado i problemi, a fine 2001 si delineò una leggera ripresa, sollecitata anche dall’impegno di Santangiolina che, smentendo gli accordi interprofessionali nazionali, forte del fatto che il 40% del latte prodotto nel paese proveniva dalla sola Lombardia, s’era attivata per raggiungere direttamente prezzi definiti con le maggiori aziende di trasformazione. E questo era davvero un successo duplice: primo, perchè da quel momento poneva un valore economico di riferimento di cui si sarebbe dovuto tenere

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emergenze sanitarie: Bse, afta epizootica, ed un cam-


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conto nelle trattative per i prossimi rinnovi dei prezzi interprofessionali; e, secondo, perchÊ evidenziava l’urgenza per i produttori di disporre di strutture organizzate, competitive e con dimensioni adeguate al mercato di riferimento: e, in definitiva, non era forse tutto questo Santangiolina?

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La Centrale del latte di milano

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u  il Comune di Milano a deliberare, nel 1927, la realizzazione della Centrale del Latte di Milano. Tre anni dopo lo stabilimento era pronto e in

grado di operare: una realtà all’avanguardia, che aveva dato lavoro a quasi cinquecento persone. Le finalità della Centrale furono immediatamente la tutela e la salute pubblica dei cittadini. La Centrale del Latte aveva quindi lo scopo di porre regole di tore fosse, grazie alla pastorizzazione a bassa temperatura, esperimento ai primi tentativi, immune da bacilli. Inizialmente il comune di Milano affidò, in concessione ventennale, l’intera struttura ad una Società che riuniva i principali produttori di latte. Finita la seconda guerra mondiale, gestì direttamente la Centrale. Nel 1960, con un vero boom di produzione e di relativo consumo del latte, l’amministrazione comunale deliberò la costituzione dell’Azienda Municipalizzata della Centrale del Latte di Milano. Da allora la Centrale ha operato sul mercato con carattere d’imprenditorialità. Per anni è stata la realtà cui la Santangiolina ha conferito la maggiore quantità del latte dei propri soci.

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mercato e di garantire che il latte acquistato dal consuma-


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Gli anni 2000

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ome dare ancora maggiore spinta all’azione della cooperativa? Fu in quegli anni che il presidente Baietta e i suoi

uomini rilanciarono con viva forza il tema della qualità. Anzi, della qualità totale: Baietta, infatti, non amava scindere la qualità dal concetto di cooperazione, perchè solo questo connubio era in grado di rappresentare nella sua vera essenza la ragione d’essere di Santangiolina: «Il nostro obiettivo ultimo - chiariva sempre il presidente, nelle riunioni tra soci - costituisce un impegno che deve coinvolgere tutti i nostri operatori e deve portare a una nuova mentalità, in grado di dare, sì, priorità alla qualità del latte ma al tempo stesso di rafforzare i rapporti tra azienda e mercato, di lavorare con

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Gli anni

dati sempre più precisi, di sapere controllare i processi, di assicurare la lealtà nei rapporti interprofessionali.» A questo fine l’apparato tecnico della Santangiolina esibiva ormai strutture di eccellenza: erano stati acquistati nuovi macchinari per la verifica del tenore di cellule somatiche nel latte, un controllo che consentiva di individuare le stalle che fornivano latte più scadente e di agire affinché lo migliorassero e con ciò elevare la qualità fornita dalla cooperativa ai propri clienti. Altri nuovi dispositivi tecnologici consentivano di riscontrare in tempo reale il titolo in grasso e proteine dei campioni prelevati alla stalla o dalle autocisterne, mentre le visite dei tecnici presso le aziende agricole dei soci si facevano sempre più frequenti, garantendo sostegno e collaborazione. L’anno 2001 s’era rilevato assai incerto: l’attentato alle Torri Gemelle, in America, aveva acuito l’instabilità mondiale. L’Europa aveva seguito il rallentamento dell’attività produttiva già avviatosi negli Stati Uniti. Infine, era esploso il problema della Creutzfeldt‑Jacob nella sua variante dell’Encefalopatia Spon-

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giforme Bovina (BSE), comunemente definito “morbo della mucca pazza”: 52 casi in Italia di bovine ammalate. Pure il Lodigiano ne era stato colpito. I mass media avevano finito per procurare uno stato d’allarme che coinvolgeva non solo i consumatori di carne, ma pure i fruitori di latte e dei suoi derivati: fortunatamente le autorità scientifiche internazionali avevano chiarito che il latte non poteva incorrere in alcun rischio d’infezione. Per rincuorare i propri soci, per dare un segnale forte sul futuro, il presidente Baietta proponeva proprio in quell’anno 2001 un prezzo di acconto per i propri soci dal valore di lire 710 più iva: quasi un azzardo per come Ma non ci si poteva dare per vinti. Baietta fiutava la grande svolta e, a fine 2001, la presentò ai soci: rafforzare l’impegno nella trasformazione, soprattutto, e qui la novità di maggiore rilievo, nel settore dei formaggi DOP ed in particolare in quello del Grana Padano, che da solo rappresentava lo sbocco di circa il 20 per cento del latte italiano. D’altra parte la Santangiolina disponeva di 110.000.000 litri di latte

Duemila

andava il mercato in quel periodo.


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annuo, all’incirca, di cui 45.000.000 litri venivano conferiti a due aziende consociate (Gruppo Cooperlat, Gruppo Granlatte/ Granarolo), mentre il resto veniva venduto a prezzo di mercato, con rischi di stagnazione. Non solo: si prospettava il rischio di importazione di latte da altra parte d’Europa con impoverimento dei formaggi freschi e molli, o di altri come lo yogurt, e quindi, con lo stile che distingueva Santangiolina, occorreva puntare in alto e centrare l’obiettivo.

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I tecnici di Santangiolina, capitanati dal dr. Fontana, avevano puntato sulla Latteria Sociale Mantova, una cooperativa fondata nel 1929, azienda leader nel settore della trasformazione e commercializzazione di Grana Padano DOP. Piacevano la qualità degli impianti, la professionalità degli addetti, la puntuale gestione e la buona remunerazione dei pagamenti, la necessità della latteria di richiedere, in base alle proprie capacità di produzione di Grana Padano, robusti quantitativi di latte. Era stato appurato che l’azienda aveva contatti commerciali con primari grossisti e catene di distribuzione, ma escludeva gli hard discount


Fondamentale, nella rete di vendita, il grana padano. Si siglò così una scrittura privata tra il presidente Baietta ed il responsabile della Latteria Sociale Mantova, Stefano Pernigotti, nella quale Cooperativa Agricola Casearia Santangiolina manifestava il proprio concreto interesse per entrare a far parte, in qualità di socio, di quell’impresa. Così la Santangiolina si impegnava ad entrare nel capitale sociale e a conferire alla suddetta azienda da un minimo di 11 ad un massimo di 15 milioni di litri di latte annuali, con garanzia di tracciabilità delle stalle di provenienza. Quale cifra di partenza, la Latteria Sociale Mantova versava in favore della Cooperativa Santangiolina la somma di lire 650 al litro, con eventuali adeguamenti. Inoltre due tra i membri del Consiglio di Amministrazione di Latteria Sociale Mantova venivano indicati dalla Santangiolina. Un’iniziativa importante, dunque, si andava configurando, ampliando, oltre alle già collegate Cooperlat e Granlatte, la partecipazione di Santangiolina ad altre imprese. In simultanea si stipulava, per l’anno

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Duemila

o quelle strutture mirate solo a contenere i costi finali.


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2002, un nuovo accordo con Granlatte, che prevedeva la fornitura alla Centrale del Latte di Milano di 450 ettolitri giornalieri di latte di cui 350 ad alta qualità e 150 di latte normale. Fra i soci vi era un positivo fermento per le tante novità, cui se ne aggiungeva un’altra: una carta dei servizi, che illustrava a tutti gli iscritti i vantaggi offerti, con una costante attenzione per il grado di soddisfazione dei propri utenti. Venivano illustrate una convenzione bancaria, un estratto conto del latte conferito, un’assistenza tecnica per la qualità del latte (con analisi su grasso, proteine, cellule, sostanze inibenti, acidità) lo stoccaggio ed il raffreddamento del latte 24 ore su 24 (in caso di rottura del tank di un socio), e accurate analisi nel caso si verificassero casi di latte anomalo, quindi la garanzia sulla tracciabilità e l’autocontrollo negli allevamenti e, infine, l’assistenza sull’annosa vicenda delle quote latte. Inoltre nel 2002 Santangiolina otteneva dagli enti preposti la certificazione di “rintracciabilità di filiera” e di “filiera controllata” per il latte crudo destinato alla produzione di latte fresco pastorizzato di alta qualità: il disciplinare tecnico messo a punto dalla filiera di Santangiolina permetteva, per ogni cisterna di latte crudo, di identificare sia i produttori che avevano

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conferito il latte, sia gli animali che avevano contribuito alla formazione di ogni singola consegna, la relativa alimentazione, la gestione sanitaria del bestiame e i prodotti utilizzati per la pulizia e l’igiene delle attrezzature. Un’altra certificazione, a fronte della norma ISO 9001, veniva riconosciuta a Santangiolina relativamente alla “raccolta, stoccaggio, vendita, trasporto e consegna di latte crudo destinato alla produzione di latte alta qualità e latte crudo biologico, e al servizio di assistenza tecnica ai soci conferenti”. L’andamento gestione 2002 si era concluso con mento di latte normale; 714 per il latte d’alta qualità; 840 per quello biologico. Sempre nel corso di quell’anno veniva modificato anche lo statuto sociale, con la possibilità così di ampliare la rappresentanza della base produttiva nella gestione della cooperativa, e tali cambiamenti comportarono il raddoppio del ruolo di Vicepresidente, che da quel momento divennero due: nella circostanza i due prescelti furono Giuseppe Cavioni

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questi riconoscimenti: 700 lire a litro per il conferi-


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ed Emilio Baietta. I leader della Santangiolina si dividevano oramai su più fronti: se l’organizzazione interna doveva sempre mantenersi a livelli d’eccellenza, assistendo e premiando i soci conferenti per le forniture di latte caratterizzato da parametri assoluti di qualità, e quindi penalizzare i produttori che persistessero nel conferire latte con germi e cellule somatiche superiori alle medie consentite, dall’altro vi era la necessità di interpretare un ruolo chiave nelle politiche di mercato. Era fortemente sentita, da parte dei protagonisti del settore lattiero caseario, l’urgenza di assumere una reale forza contrattuale, che da sempre era stata

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ragione di debolezza per la categoria: i produttori si presentavano alle trattative dei prezzi sempre più divisi e senza organismi capaci e rappresentativi. Mentre, la controparte, cioè l’industria di trasformazione, aveva operato nel corso di quegli anni un processo di concentrazione che aveva ridotto il numero di operatori e aumentato considerevolmente la propria coesione. Lo stesso legislatore aveva promosso norme rivolte alla modernizzazione del settore agricolo individuando la necessità di sostituire le obsolete associazione dei produttori con le Organizzazioni dei Produttori. Ad avviso del legislatore, gli indirizzi delle


pio fondamentale di detenere il prodotto, di commercializzarlo, di controllarlo da un punto di vista qualitativo/quantitativo, favorendo inoltre la concentrazione dell’offerta. Era una svolta importante e occorreva capire come fare confluire l’Associazione Interprovinciale Produttori Latte di Milano e Lodi, che vantava 4 cooperative, tre consorzi ed oltre 200 produttori singoli, in questo nuovo organismo. Infatti, l’articolazione di suddetta associazione non collimava in molti punti con la struttura regolamentata dalle nuove disposizioni normative. Vi era l’alternativa che fosse proprio la stessa Cooperativa Santangiolina a trasformarsi in Organizzazione Produttori, accogliendo al proprio interno le organizzazioni precedenti, e mantenendo comunque la forma cooperativistica: l’esercizio di nuove attività commerciali, d’altra parte, consigliava l’utilizzo di forme societarie già sperimentate, e collaudate come vincenti. Era una rivoluzione. La Santangiolina aveva assunto un onere di forte responsabilità per dare migliori prospettive ai produttori. Si era assunta il non facile compito di mettersi

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Organizzazioni dei Produttori si fondavano sul princi-


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alla testa di un progetto innovativo, mettendo a disposizioni uomini, mezzi e strutture: ora i produttori dovevano solo dire se accettavano o meno di entrare a fare parte della stessa Santangiolina trasformata in Organizzazione Produttori. L’invito, purtroppo, cadde nel vuoto. Un’occasione senz’altro persa perché si sarebbe potuto dare vita a un gruppo di produttori rilevante (il primo in Italia) in grado di avere forza contrattuale nella determinazione del prezzo, con un peso decisivo anche come rappresentanza nei confronti delle istituzioni. E immediatamente si presentò l’occasione per rimpiangere ciò che non era stato ed avrebbe benissimo potuto essere: i produttori di latte nel 2003 furono molto criticati dai consumatori per l’emergenza aflatossine che aveva colpito le stalle. I controlli potevano essere gestiti meglio con la partecipazione di tutte le parti mentre, assai stranamente, erano stati tenuti fuori alcuni anelli della filiera, che pur essendo fortemente implicati nella vicenda restarono immuni da controlli regionali. L’ipotesi più accreditata sulle cause dello sviluppo delle aflatossine fu quella che l’anomalia del clima avesse prodotto conseguenze nefaste sulla granella del mais.

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Latteria Sociale Mantova

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a cooperativa fu fondata nel 1929 da alcuni allevatori mantovani che iniziarono a vendere direttamente il loro latte nella città di Mantova. Ne-

gli anni ’90 gli amministratori optarono esclusivamente per la trasformazione del latte. In seguito fu costruito un moderno caseificio con capacità produttiva di 500 forme al giorno di Grana Padano, un magazzino di stagionatura per oltre 200.000 forme, un impianto per la concentrazione del siero, merciale fu adeguata, con la vendita di formaggio in porzioni per tutto il mondo. Nel 2001 l’incontro con Santangiolina, che entrò nella compagine sociale e con i propri conferimenti di latte contribuì a portare a regime rapidamente i nuovi impianti. Nel 2010 Latteria Sociale Mantova ha realizzato una fusione con Cooperativa Latteria San Sebastiano di Marmirolo, creando così il secondo gruppo a livello nazionale per produzione e commercializzazione diretta di Grana Padano. Oggi Latteria Sociale Mantova con 160 stalle conferenti riceve 140.000 tons/anno di latte, produce 250.000 forme di Grana Padano, 2.000 tons di burro, 8.400 tons di panna e 112.000 tons di siero concentrato.

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un centro di confezionamento e grattugia. La struttura com-


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La Santangiolina era immediatamente corsa ai ripari con un’opera di prevenzione; era scattato un piano di autocontrollo quindicinale sulle masse di latte, ed anche contingente ed improvviso qualora si rilevassero particolari motivi di rischio, che prevedeva l’applicazione di limiti di sicurezza addirittura inferiori a quelli previsti dalle norme; in questi casi si riusciva ad individuare e risolvere il problema, in quanto i soci intervenivano immediatamente sulla razione alimentare per le proprie bovine. Ma, inaspettatamente, anche il clima meteorologico remava contro: nel 2003 un’ondata di caldo eccezionale aveva messo a dura prova tantissimi allevamenti, con fortissime diminuzioni del latte prodotto. Infine, a scuotere il comparto nazionale del latte, sul finire dell’anno 2003, avveniva un ulteriore cataclisma: la dichiarazione dello stato di insolvenza di Parmalat s.p.a., che veniva sottoposta ad amministrazione controllata; questo stato riguardava altre tre società del gruppo, tra cui Eurolat. E, se, con Parmalat, Santangiolina aveva chiuso i rapporti già dal lon-

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tano 1987, a Eurolat si conferivano 150 quintali giornalieri di latte e con essa rimanevano in atto alcuni sospesi di pagamento. La dichiarazione d’insolvenza rendeva adesso difficile tale recupero. Veniva così inaugurata una linea di credito con alcuni istituti finanziari per sopperire al mancato incasso, mentre il Governo Italiano, considerati gli effetti devastanti della crisi di Parmalat, richiedeva con tempestività alla Comunità Europea lo stato di emergenza per potere intervenire con aiuti di Stato a favore del settore. La necessità di affidare il proprio latte ad interlocutori affidabili rafforzava così Sanmercializzazione di ben 5.400 ettolitri giornalieri di latte. Ancora una volta era essenziale individuare nuovi acquirenti o aumentare le forniture già concordate: ad esempio, con Egidio Galbani s.p.a. si passava da 680 a 900 ettolitri giornalieri; oppure con Centrale del Latte Firenze dove si passava da 450 a 600 ettolitri giornalieri di latte alta qualità. Intanto agli inizi del 2005 Santangiolina chiedeva ufficialmente alla Direzione Generale Agricoltura

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tangiolina, che nel 2005 si trovava a gestire la com-


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della Regione Lombardia il riconoscimento quale Organizzazione Produttore nel settore lattiero caseario, recedendo così dalla O.P. Latte Milano‑Lodi: era questo l’unico modo di rappresentare nel comparto le 280 aziende agricole socie in quel momento. Gli anni 2005/’06 costituirono un periodo di transizione, ma che ben rifletteva le esigenze sempre più specifiche del mercato; come ripeteva il presidente Baietta ai propri collaboratori, emergeva l’elemen-

Gli anni

tare verità che il latte non è tutto uguale; e questo concetto doveva essere ben compreso da tutti i soci della cooperativa. Negli ultimi periodi l’incremento progressivo dei volumi da commercializzare aveva condotto Santangiolina a essere fornitrice di latte nelle principali filiere lattiero‑casearie nazionali, tra cui quella del Grana Padano Dop e quella del latte fresco di alta qualità. Occorreva, quindi, rivedere le tabelle di premio per qualità del latte, stimolando i soci a concentrare gli sforzi sui parametri richiesti dal tipo di destinazione del loro latte. Così il nuovo criterio divenne quello


tà: uno per i soci che producevano latte alimentare, ed uno per quelli che producevano latte di caseificazione. Al fine di ottenere i premi occorreva che il latte fosse ovviamente d’alta qualità; un ulteriore premio andava riconosciuto a quei soci che per un anno intero avevano mantenuto i parametri dell’alta qualità. Ma, insieme ai premi, entravano in gioco le penalità, con note molto chiare: al socio che consegnava latte con medie mensili di cellule somatiche o germi superiori al consentito si applicava una sanzione progressiva in base alla durata dello sforamento. Gli indirizzi gestionali della Santangiolina, convincevano gli allevatori, tanto che, da fuori porta, cioè fuori dai confini del Lodigiano, continuavano ad arrivare nuove domande di iscrizione a socio: ad aprile 2006, ad esempio, ventisei nuovi produttori provenienti dalla Brianza, da Lecco, da Como, da Pavia e da Cremona, cominciavano il conferimento del proprio latte. La produzione di latte giornaliera controllata dalla cooperativa superava ormai i 6.000 quintali.

Proprio in relazione alla

commercializzazione,

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sempre

nell’anno

Duemila

di creare due sistemi differenti di pagamento a quali-


Gli anni

2006, si evidenziavano dati molto incoraggianti: 69 milioni di litri (circa il 35% del totale) era stato destinato alle aziende partecipate (Granlatte, Gruppo Fattorie Italia, Latteria Sociale Mantova; successivamente anche del rinato gruppo Parmalat, la Santangiolina sottoscrisse 601.650 azioni); oltre 113 milioni di litri (60%) erano stati venduti con contratti a prezzo definito. Per quanto riguardava le destinazioni finali del latte, ebbene, il 47% era stato destinato alla produzione di latte alimentare ed il 53% a trasformazioni casearie (in particolare oltre il 20% a Grana Padano Dop). Nel 2006, inoltre, erano stati serviti oltre 50 clienti. Il 2006 che sembrava cominciato male sotto il profilo della remuneratività del latte si chiudeva in modo equilibrato. In ogni caso, Santangiolina garantiva ai propri soci una continuità di reddito e ciò allargava stima e considerazione. A fronte di questo consenso e di questi numeri, il presidente Baietta chiedeva ai suoi uomini di far compiere a Santangiolina un’ulteriore salto di qualità: occorreva entrare più direttamente nel settore della trasformazione, e da protagonisti. E, nel realizzare tale progetto, occorreva passare dalla porta

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principale: entrare in prima persona nella produzione di Grana Padano. Il settore del Grana Padano risultava essere, storicamente, la base di determinazione del prezzo del latte in Italia; così, avere un’unità produttiva gestita direttamente da Santangiolina avrebbe consentito di valorizzare al meglio il prodotto e, in secondo luogo, di acquisire maggiore flessibilità commerciale. E ciò prescindendo dalle prospettive di crescita, e di ulteriore quantitativi di latte conferito, che avrebbero garantito uno sbocco certo, e in autonomia, a Santangiolina. Da non sottovalutare, poi, l’opportunità di entrare come soci nel Consorzio di Tutela del e una delle principali al mondo. Veniva individuato, pertanto, uno stabilimento di caseificazione a Volta Mantovana, a quel tempo proprietà della Evaristo Belladelli s.p.a: il preliminare contratto di acquisizione sanciva che Santangiolina dal gennaio 2007 sarebbe subentrata nella titolarità dei beni e nella gestione diretta di un ramo di quell’azienda, cioè del caseificio. Inoltre passavano

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Grana Padano che è la DOP più importante per l’Italia


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alle dipendenze di Santangiolina un casaro, sei operai e un’impiegata. Inoltre, la prospettiva immediata era anche quella di nuove adesioni di soci, provenienti dal mantovano, tanto che Cooperativa Santangiolina, senza per questo mai rinunciare alla propria identità territoriale e locale, perdeva la dimensione interprovinciale per acquisire un peso regionale; anzi, scorrendo le province da cui provenivano i soci conferenti, una dimensione ancora più ampia: Lodi, Milano, Pavia, Cremona, Monza Brianza, Lecco, Como, Varese, Brescia, Mantova, Novara, Alessandria. Proprio in quel periodo si rafforzavano i controlli

Gli anni

del laboratorio di Santangiolina sullo stato del latte, e quindi delle stalle, dei propri soci: la struttura dell’apparato tecnico, guidata da Martin Sanna, girava a pieno regime. Ma c’era una novità: fino a qualche tempo prima questi controlli venivano sempre visti con una punta di fastidio dai soci, anche quando rivelavano l’ottima qualità del latte, adesso invece l’atteggiamento era cambiato: i controlli venivano, al contrario, richiesti, evidenziando così la piena comprensione dell’opportunità di rendere, nel panorama nazionale, l’intera Cooperativa Santangiolina affidabile ed efficiente.


tuiva un’operazione finanziaria molto rilevante, ma Santangiolina aveva le possibilità per impegnarsi nel suddetto acquisto che costituiva, senz’alcun dubbio, nella storia della cooperativa guidata da Baietta, una svolta epocale: dagli sforzi per individuare un partner che valorizzasse il latte dei soci, al cimentarsi in prima persona, al realizzare direttamente quel che prima avveniva attraverso gli altri. Un’evoluzione nelle strategie aziendali molto significativa. Dall’acquisto del caseificio, alla ristrutturazione degli impianti, alle prime produzioni, sino ad allora conosciute virtualmente, ai progetti in essere, in cinque anni è stato realizzato veramente un progetto importante, oggi tra i principali delle attività di Santangiolina. Inizialmente, nei primi tre mesi dell’anno 2007, si lavorarono quintali 400 circa giornalieri, di cui 160 provenienti da produttori di Mantova. Ma un mese dopo il latte conferito era pari a quintali 700 giornalieri. A fine anno le forme prodotte sarebbero state quasi ventottomila, mentre nel 2008 si era già arrivati a 34.628 forme. Prodotti derivati erano stati la panna (12.347 quintali) ed il

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Duemila

L’acquisto del caseificio di Volta Mantovana costi-


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siero ad uso zootecnico (127.686 quintali). Nelle strategie aziendali l’obiettivo era quello di arrivare al più presto ai 1.200 quintali di latte giornalieri, risultato che può dirsi raggiunto; infatti la capacità produttiva, a conclusione del piano di ristrutturazione del caseificio finanziato dal Piano Sviluppo Rurale della Regione Lombardia, è arrivata a regime al quantitativo previsto. Una crescita davvero significativa che trovava nella coerenza e nella forza dell’input di sviluppo, più recenti ma pure più distanti nel tempo, la propria ragione d’essere: non a caso già alla fine del 2007 Santangiolina si trovava ad occupare il terzo posto nella classifica nazionale degli acquirenti di latte. In quell’anno venivano commercializzati 208.616.771 litri di latte, con un aumento rispetto all’anno precedente del 6,77%. Lo stesso anno 2007, malgrado forti venti di crisi nel comparto, era stato remunerativo per i soci di Santangiolina: il prezzo del latte, alla fine dell’annata, era stato tra le quotazioni più alte del mercato.

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lo Stabilimento di volta Mantovana

S

antangiolina non è sbarcata a Volta Mantovana per caso. La dirigenza ha fortemente voluto uno sbocco diretto nella trasformazione, ma con

precise caratteristiche. Un caseificio di medie dimensioni nell’area del Grana Padano, situato a Mantova - la provincia più vocata per questa produzione – in una delle zone più belle e suggestive sotto l’aspetto paesaggistico, quella delle colline moreniche del Garda, e per le testimonianze storiche mantenuto la sua impronta artigianale. Santangiolina ne ha assunto direttamente la gestione e la proprietà nel 2007 e in pochi anni ha realizzato una profonda ristrutturazione per ottimizzare gli impianti, oggi in grado di sfornare fino a 240 forme al giorno. Pur avendo introdotto moderne tecnologie, Santangiolina non ha voluto trascurare l’impostazione originaria, basata sullo scrupoloso rispetto dei tempi richiesti dalla millenaria ricetta in ogni fase produttiva, a partire dalla preparazione del sieroinnesto naturale. Questo è il segreto del Grana Padano marchiato “Mantova 449” by Santangiolina, pluripremiato nei concorsi sensoriali per il gusto dolce e pieno e l’aroma inconfondibile.

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e artistiche. L’unità produttiva, in attività fin dal 1921, ha


Gli anni

Ma ciò che nel 2007 si profilava solo come rischio, nel 2008 diveniva certezza. Mentre, infatti, si consolidava la richiesta mondiale di polveri di latte, di siero, di materia grassa, al tempo stesso si registrava un ulteriore incremento dei costi per l’alimentazione del bestiame, con la soia che raggiungeva quotazioni superiori addirittura dell’80% ed il mais del 40% rispetto all’anno precedente, rischiando così di compromettere seriamente la redditività e la stessa sopravvivenza di molti allevamenti, in particolare di quelli con maggiore necessità di approvvigionamento esterno. Era la grande crisi alimentare provocata in parte dalla destinazione delle derrate agricole al settore delle energie rinnovabili. Le conseguenze non tardarono a farsi sentire: per la campagna 2008/2009 l’industria offriva 36,70 centesimi di euro al litro, mentre i produttori non intendevano scendere sotto i 42 centesimi di euro. Una situazione di stallo assoluto: la parte agricola nel sostenere quanto i costi delle materie prime per l’alimentazione zoo-

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tecnica si fossero resi eccessivi, e l’industria a ribadire di trovarsi in difficoltà per il calo dei prezzi dei prodotti trasformati innescato dalla contrazione della capacità di consumo delle famiglie. Per mesi, in assenza di accordi tra i comparti interprofessionali, si andava a libera contrattazione e ogni associato di Assolatte era libero di chiudere singole intese aziendali con i produttori: una posizione che nell’incertezza poteva rivelare, alla fine, una fragilità di fondo. Così si raggiunse un accordo con un incremento dei prezzi che seguiva una progressione temporale. E, per inviare un segnale forte all’industria, per indicare una soglia sotto la quale non si poteva assolutamente va ai propri soci un prezzo di acconto pari a 400,00 euro per 1000/litri, più premi e meno penalità. Uno sforzo importante e controcorrente che si riuscì a mantenere sin quasi alla fine del 2008, quando il prezzo di acconto, per il perdurare della crisi dei consumi, dovette scendere di 0,20 centesimi di euro, pur mantenendosi al di sopra degli standard di mercato. D’altra parte lo scenario generale del 2008 era

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scendere, la cooperativa guidata da Baietta riconosce-


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stato di crisi assoluta: il Pil era sceso dell’1 per cento; vi era stato un 3 per cento in meno degli investimenti; un 3,7 in meno sulle esportazioni; in caduta libera il valore aggiunto dell’industria (‑3,2%) e, in generale, calo delle costruzioni e dei servizi. Anche il settore lattiero caseario tradizionale appariva in difficoltà. Tra le tante cause, si assisteva alla diffusione massiccia di nuove marche private della distribuzione nel settore del latte fresco, a prezzi di vendita intorno ad 1 euro/litro e con importanti campagne promozionali sui consumatori: i relativi consumi apparivano impressionanti, tali da costituire una seria minaccia per il latte fresco a marchio. Gli anni successivi, quelli che arrivano cioè ai giorni nostri, sono stati dunque rivolti alla valorizzazione della qualità del bene prodotto e, sempre con i quintali di latte forniti dai soci, alla implementazione della produzione del grana padano. Il metodo premiante è divenuto l’elemento fondamentale del modo di operare di Santangiolina, così da valorizzare il latte conferito dai soci con un sistema di incentivazioni in base alla destinazione finale - latte alimentare o formaggi - arrivando a proporre un prodotto di eccellenza per parametri nutrizionali e igienico‑sanitari.

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oggi: i numeri di Santangiolina

P

roviamo a sintetizzare i numeri attuali, economici, tecnici ed umani della Cooperativa Santangiolina che sono i seguenti:

• 400 allevamenti associati in Lombardia e Piemonte; • 250 milioni di litri di latte raccolti annualmente - in parvolumi trattati sono più che quadruplicati negli ultimi 10 anni; • 40.000 forme/anno di Grana Padano DOP prodotte nel caseificio aziendale a Volta Mantovana (Mn); •

100 milioni di euro di fatturato tra latte, burro e formaggi;

• 3 strutture tecniche ad alta specializzazione: Centro di stoccaggio e raffreddamento latte crudo a funzionamento permanente; Laboratorio di analisi interno, Centro per la formazione continua degli allevatori; • 20 dipendenti, impiegati tra sede di San Colombano al Lambro e stabilimento di Volta Mantovana.

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te commercializzati e in parte trasformati in proprio. I


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Inoltre, Santangiolina, proprio nel 2010, è stata la promotrice principale del Distretto del Latte Lombardo:

un’organizza-

zione, compartecipata da produttori agricoli e aziende di trasformazione, che ha l’obiettivo di creare sinergie in settori come la ricerca, l’innovazione e l’internazionalizzazione per affrontare al meglio le sfide del mercato. Le attività attuali continuano ad essere rivolte alla tutela dell’impegno lavorativo degli imprenditori as-

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sociati ma indirizzando le loro attese sempre più agli esiti e ai segnali del mercato, le cui regole, alla fine, sono dettate dai consumatori. Ci si prepara ai prossimi grandi cambiamenti dettati dalla politica, e che risentono della crisi dovuta ai prezzi delle materie prime. Si tratta di affrontare nuove sfide, e occorre adattare il modello d’impresa a questi nuovi scenari. La crisi indurrebbe a ripiegarsi su se stessi, e invece occorre guardare avanti e saper affrontare i più diversi scenari economici. Questa si rivela essere la scommessa del futuro per Santangiolina: come ben indica il presidente Baietta,


agricole, senza per questo mai rinunciare alla profondità delle radici, accettando la competitività emergente nel mercato globale, con la consapevolezza che la qualità, che influisce sul prezzo, è sempre l’unica e sola discriminante che fa scegliere al consumatore un prodotto anziché un altro. Santangiolina ha già tracciato una lunga strada. Nuove prospettive si profilano, più in là, come mete che forse è giusto non raggiungere mai: perchè queste ultime si spostano, e gli uomini proseguono, nel loro cammino, in un oltre che non necessita di traguardi, ma solo di ulteriori, sempre nuovi orizzonti.

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Duemila

evitare di chiudersi nel recinto delle proprie aziende


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Com’è cambiato il Lodigiano................................................. 7 Una storia che guarda al futuro........................................ 15 Gli anni ‘60..................................................................................19

La fondazione ........................................................27

Il primo Presidente................................................37 Gli anni ‘70..................................................................................41

Francesco Panigada ...........................................49

El Menalat.................................................................63

Cooperlat TreValli...................................................73 Gli anni ‘90..................................................................................77 Socio da sempre.....................................................87 La Centrale del latte di Milano.......................93 Gli anni 2000.............................................................................97

Latteria Sociale Mantova...............................107

Lo Stabilimento di Volta Mantovana.......117 Oggi: i numeri di Santangiolina .................121

Sommario

Gli anni ‘80..................................................................................53


FINITO DI STAMPARE e rilegato NEL MESE DI novembre 2011 presso TECNOPRINT SNC ROMANO DI LOMBARDIA (BG) ITALY


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