Bimestrale di arte e cultura - Anno 1 num. 1 - Distribuzione gratuita
Maggio 2011
CONVENZIONI
La tessera ti dà diritto a partecipare a tutti gli eventi e le attività dei circoli e delle strutture ARCI presenti su tutto il territorio nazionale e potrai beneficiare di molte convenzioni per tutto l’anno 2011. Sul territorio di Gravina le attività convenzionate sono: Il Grillo Editore Via San Vito Vecchio, 8 30% sui libri acquistati in sede o sul sito www.ilgrilloeditore.it Parrulli Vincenzo Libreria Via Matteotti, 26 10% sui libri escluso scolastici Overdrive Music Center Via Genova, 13 10% su tutta la merce Teatro Vida Via Giardini, 72 10% sul biglietto d’ingresso spettacoli Agenzia Viaggi Silvium Piazza A. Scacchi 5% su determitate tipologie di viaggio Pietre di Scarto Via Matteotti, 46 10% escluso generi alimentari Pc&T di Testini Giuseppe & C. Via Punzi, 52 10% escluso Notebook
L’ARCI promuove il diritto alla cultura, il libero accesso alle conoscenze, la circolazione delle idee e dei saperi, le diversità culturali. Lavora per una cultura che sia motore del cambiamento sociale, strumento di emancipazione delle persone, qualità di vita e benessere collettivo.
Il rinnovo della tessera non è un atto di mera burocrazia o di gestione, ma è il sostegno ad un progetto, la condivisione di valori e pensieri comuni e la conferma di voler contribuire alla prosecuzione di un ambizioso percorso collettivo. Contribuire con la sottoscrizione significa rendere sempre più forte il nostro circolo, arricchirlo delle proprie idee e competenze e a far sì che tutte le attività e le iniziative continuino a smuovere le coscienze dei cittadini di Gravina e di tutto il territorio murgiano.
di Francesco Sossio Sacchetti
Anno 1 num. 1 - Maggio 2011
DIRETTORE RESPONSABILE Mario Barbarisi ART DIRECTOR Manuela Coluccino stART Registrazione del Tribunale di Bari n° 10 del 22/03/2011 Num. R.G. 820/2011 Tiratura 3000 copie EDITORE Associazione di Promozione Sociale “Muretti a secco” Via Canale D’Alonzo, 15 Gravina in Puglia (Ba) info@arcimurettiasecco.it PROGETTO GRAFICO e IMPAGINAZIONE Manuela Coluccino mancol@email.it HANNO COLLABORATO Natascia Abbattista, Francesca Aulenti, Mauro Barnaba, Umberto Binetti, Giuseppe Laronga Wolf, Diego Loffredo, Davide Mangione, Ivana Panarella, Rosanna Pellicciari, Silvano Picerno, Michela Santoro, Paolo Sarpi, Amalia Tucci. PUBBLICITÁ Mandea graphic&web www.mandea.it COPERTINA Diego Loffredo Alex, olio su tela, 100X90, 2010 (part.) STAMPA Eurografica di Michele Cataldi Via Don S. Valerio, 8 - Gravina in P. (Ba) Tel. 080 3262727 www.tipografiaeurografica.it La partecipazione a stART è assolutamente GRATUITA
La scelta di pubblicare o meno il materiale pervenuto rimane ad insindacabile giudizio dell’editore, il quale si riserva di non pubblicarlo, di pubblicarne solo una parte e/o di farlo in un numero a propria scelta. L’editore si riserva, comunque, il diritto di impaginare il materiale all’interno della struttura grafica e della gabbia d’impaginazione della rivista e di modificare la qualità delle immagini per permetterne la corretta visualizzazione e prestazione.
In una fredda serata di Gennaio, un tavolo, delle sedie, in una casa nel centro di Gravina, un gruppo di amici, di iscritti , “partorivano” proposte e idee; le loro menti animate da entusiasmo e voglia di fare, lavoravano a pieno ritmo, viaggiavano come locomotive impazzite in cerca di una stazione dove potersi fermare. Il potere della MENTE, a cui abbiamo dedicato il numero 0 della nostra rivista, fonte di tutte le nostre azioni ed ispirazioni è infinito ed ineguagliabile, ma da solo non basta; ne erano tutti convinti e consapevoli; dovevano seguire delle azioni concrete e, l’unico modo per la realizzazione dei loro pensieri era la materializzazione degli stessi, a tutti i costi, in qualsiasi modo ed in qualsiasi FORMA. E così nel corso dei mesi, pian piano si materializzavano davanti ai loro occhi le fermate di questo lungo viaggio: la sede, stART, i
Illustrazione 4
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Forma l’immagine!
Pittura
La corrente dalle forme elementari
Letteratura
“Lo pozzo magico”
Moda
Le componenti essenziali della moda
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Culinaria
Hairstyling
Fotografia
Cinema
La cucina come linguaggio d’arte
E luce fu!
Capelli scolpiti
Forme narrative
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Teatro
Arredamento
Scultura
Architettura
Elemento essenziale: la Ricerca 12
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primi eventi, i corsi, i laboratori. Esistere in qualsiasi forma non è solo il tema di questo numero ma è soprattutto un imperativo, affinché i nostri pensieri e le nostre idee non rimangano solo tali. Nell’arte il legame che c’è tra la mente e la forma è alla base del processo creativo. Ognuna stimola l’altra attraverso un interscambio continuo e affascinante di informazioni. Un fiore attraverso la sua forma, i suoi colori, la sua bellezza, stimola la sensibilità del pittore o del fotografo che, dopo un’elaborazione mentale, decide di dargli “nuova forma”, su tela piuttosto che su carta fotografica. E se dovessimo pensare alla parola forma nella sua funzione di predicato verbale e la unissimo ai sostantivi arte e mente otterremmo: l’ARTE FORMA la MENTE... adesso provate ad invertire i sostantivi. Buon Viaggio!
La Materia, le Luci, le Ombre
“In casa sua ognuno è re”
E’ l’ora delle ri-forme
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Illustrazione
di Amalia Tucci
Forma l’immagine! Dall’illustrazione alla stop motion di Tim Burton, i “pupazzi” non sono mai stati così vivi. Le fiabe e le favole che conosciamo, ci suggestionano anche grazie al loro rapporto con l’immagine, così l’idea che ognuno di noi focalizza di un concetto, un personaggio, di un luogo, ecc. può avere un riscontro più o meno conforme alle proprie aspettative nell’illustrazione. Gli antichi egizi furono i primi a sentire la necessità di associare al testo l’immagine, quindi possiamo facilmente dedurre che le prime forme d’illustrazione coincidano proprio con la nascita di quel gran supporto che è la carta. Con l’avvento della tecnologia, la carta, viene spesso sostituita dal computer, ad esempio, che permette di realizzare immagini vettoriali, o dalla foto-
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grafia che consente di imprimere un’illustrazione tridimensionale e registrarla. Tenterò di soffermarmi su quest’ultima tecnica e sull’ulteriore evoluzione dell’illustrazione tridimensionale in animazione, proponendo l’esempio di un noto disegnatore ormai regista, Tim Burton, che utilizza la fotografia per realizzare cortometraggi e lungometraggi animati, mediante l’utilizzo della tecnica della Stop Motion: Nightmare Before Christmas1993 (regia di Henry Selick) e La Sposa Cadavere 2005, sono i lavori più noti. In questi lungometraggi
animati, sia i personaggi che lo sfondo non sono semplici immagini realizzate e renderizzate al computer,
ma veri e propri pupazzi e scenografie tridimensionali modellati su strutture a volte snodabili che sostituiscono attori e ambientazioni grazie all’animatore che agisce direttamente sul set; un pupazzo può essere alto fino ai 30 cm e molto spesso, le
Riconoscimenti • leone d’oro alla carriera 2008. • golden globe 2009: miglior film commedia o musicale 2009 per Sweeney todd: il diabolico barbiere di fleet street. • nomination al golden globe come miglior regista 2009 per Sweeney todd: il diabolico barbiere di fleet street. • nomination al golden globe: miglior film commedia o musicale 1995 per Ed Wood. • nomination al golden globe: miglior film commedia o musicale 2004 per Big Fish. • i suoi film sono stati nominati a diversi oscar, per lo più tecnici.
• Nel 2001 il film della Pixar Monsters & Co. ha reso omaggio al lavoro di Harryhausen mostrando in una scena i protagonisti del film all’interno di un ristorante giapponese chiamato “Harryhausen’s”. • Nel film La compagnia dell’anello, il regista Peter Jackson ha voluto rendergli omaggio nella scena ambientazioni, richiedono spazio e devono essere concepite non trascurando le necessità di movimento dell’animatore, che ha il compito di dare vita alla storia. La Stop Motion è una tecnica molto laboriosa, che prevede uno scatto fotografico per singolo frame, su cui si apportano le dovute modifiche per ogni minimo movimento e si prosegue, scatto dopo scatto, alla creazione della traccia video che conta per ogni secondo 24 fotogrammi. Ma prima di giungere al primo scatto è fondamentale un ottimo storyboard che definisca personaggi, location ed inquadrature. La lista dei materiali utilizzabili è infinita, personalmente ho sperimentato plastica, legno, carta, ferro, tessuto, das, plastilina che possono essere utilizzati singolarmente o associati. Mi piace ricordare che
prima di Tim Burton, Ray Harryhausen, è stato ed è un grande sperimentatore di questa tecnica ed infatti in La Sposa Cadavere, Burton dedica un tributo a questo “padre degli effetti” speciali, il cui cognome diventa la marca del pianoforte che si trova a casa della famiglia Everglot. Come Burton, altri animatori che
in cui un gigantesco troll attacca la Compagnia, facendo muovere la creatura come si muovevano quelle di Harryhausen. • Nel 1993 Sam Raimi fece lo stesso con l’esercito di scheletri de L’armata delle tenebre. • Leonardo Ortolani lo cita nel fumetto Cinzia la Barbara, una parodia di Conan il Barbaro. In una vignetta si vede Harryhausen trafitto da una spada.
utilizzano questa tecnica hanno omaggiato il maestro Harryhausen che fu in grado di inserire in un film in live action, l’animazione e creare della interazioni tra i personaggi animati e il mondo
circostante in cui l’azione stessa si svolge. Attualmente Ray Harryhausen, classe 1920, vive a Londra e lavora ad un progetto di cortometraggi animati basati sui racconti di Edgar Allan Poe.
“Per i miei lavori, attualmente, prediligo l’utilizzo della plastilina come materiale puro evitando le miscelazioni che a volte risultano semplicistiche ed atte solo a velocizzare i tempi di realizzazione senza conferire alcun valore aggiunto al prodotto finale. E’ un lavoro certosino, che richiede tempo, precisione e soprattutto capacità di semplificazione nel trattamento delle superfici che devono rimandare all’osservatore le caratteristiche peculiari di un determinato oggetto. Nel mio piccolo ho sperimentato anche la tecnica della Stop Motion, che mi affascina moltissimo.” Amalia Tucci 5
Pittura
di Diego Loffredo
La corrente dalle forme elementari “Nel suo tentativo verso l’eterno, il Cubismo spoglia le forme dalla loro realtà geometrica.” Albert Gleizes Tutto cominciò verso la fine del primo decennio del ‘900 con una grande mostra di Cézanne che aveva fatto conoscere i suoi quadri in cui le forme della realtà erano state ridotte a minimali superfici geometriche. Nel frattempo, a Parigi, s’incontrano e diventano amici due artisti che insieme rivoluzioneranno l’arte del Novecento: Pablo
Les Demoiselles d’Avignon, 1907 di Pablo Picasso, cm 243,9 x 233,7. È conservato al MoMA di New York. Il quadro mostra cinque prostitute in un bordello di calle Avignon, a Barcellona. Picasso creò oltre un centinaio di studi preparatori e schizzi in preparazione a questo lavoro, uno dei più importanti nel6
Picasso e Georges Braque, i quali volevano cogliere nei loro dipinti l’aspetto essenziale degli oggetti: non l’apparenza esteriore, fatta di colori e volumi, che possono mutare nel tempo, ma la struttura geometrica elementare, che costituisce la caratteristica immutabile delle cose e la loro realtà: non la visione da un solo punto di vista, come
lo sviluppo iniziale del Cubismo. Quando fu esposto per la prima volta nel 1916, il quadro fu tacciato di immoralità. Molti critici trovarono delle somiglianze tra quest’opera e Les Grandes Baigneuses di Cézanne, connessioni messe però in discussione dai commentatori successivi.
nell’arte tradizionale, ma la visione simultanea di tutti i punti di vista di una figura. Per questo motivo i due artisti
cominciarono a scomporre e ad analizzare gli oggetti nelle loro componenti base. Ha dunque inizio la prima fase (1910-11) con le opere del cubismo analitico. Negli anni successivi (1912-14) Picasso e Braque creano invece le loro composizioni, dando vita al cubismo sintetico, mettendo insieme oggetti diversi (ritagli di giornale, pezzi di carta da parati): sono i primi collages della storia dell’arte. I due artisti rifiuteranno, però, sempre l’arte astratta: per quanto nei loro dipinti la realtà sia appena riconoscibile, il loro punto di partenza è sempre il riferimento agli oggetti reali. I tre musici di Picasso, è considerato il capolavoro del Cubismo sintetico. L’immagine viene scomposta in zone geometriche, differenziate soprattutto dal diverso uso del colore, e successivamente viene ricomposta sinteticamente, componendo un’immagine inedita. La celebre opera raffigura
Ago e cotone, 2007 Diego Loffredo olio su tela cm 70X130
tre personaggi mascherati: sulla sinistra c’è Pulcinella, che suona un clarinetto, al centro Arlecchino con una chitarra e a destra un monaco che canta. La visione per quanto riguarda i tre musici è frontale e bidimensionale ma cambia per quanto riguarda la stanza in quanto si recupera il senso di tridimensionalità e profondità. La concezione dello spazio è tuttavia contradditoria in quanto la parete di sinistra appare innaturalmente più lunga rispetto a quella di destra. I colori di questo dipinto sono piatti e distesi su ampie porzioni del dipinto. Da notare la differenza di colore tra i dipinti del cubismo analitico (terrosi, neutri, tendenti alla monocromia) e i dipinti del cubismo sintetico (brillanti).
“La bellezza la sorprendi nei particolari” è da questa consapevolezza che prendo il via per un percorso personale. La ricerca del bello! Colta in quei giochi di forme e colori semplici che sfuggono ad uno sguardo poco attento, ad una coscienza ormai radicata in una visione d’insieme. Centralizzo il particolare attorno al quale ruoto l’intera opera. Osservando la realtà con gli occhi incuriositi. Mi soffermo su forme e colori capaci di aprire una nuova percezione, ricercando meccanismi alla base della conoscenza che riavvicinino l’uomo al quotidiano. La profonda umanità che emerge, conquista e propone quesiti capaci di ricondurre lo spettatore verso percezioni nuove. I giocattoli di legno non rievocano l’infanzia, ma scelti da me,
per puro caso, come esito di un continuo stupirsi difronte al gioco di linee e colori. Come luogo in cui si può fare esperienza di una bellezza che si ri-propone. Affinchè tutto questo possa essere comunicato, proporre un apparato giometrico inusuale, un punto di osservazione poco probabile, esaltandone la visione con prospettive vertiginose, ma soprattutto proponendo il solito piccolo oggetto in una nuova dimensione ingrandita. Questo spiazza l’osservatore, costringendo a rimettersi in discussione… sopraffatto da un ogetto che da saputo diventa nuovo. Diego Loffredo
I tre musici , 1921 Picasso - cm 200,7 x 222,9 - Museum of Modern Art di NY 7
Culinaria
di Ivana Panarella
La cucina come linguaggio d’arte Amare il dettaglio e la raffinatezza di composizione, colore e forma delle pietanze. Se consideriamo che sia possibile parlare di cucina come di uno dei linguaggi dell’arte, bisogna analizzare l’opera di artisti che l’hanno utilizzata come linguaggio manipolando la materia-cibo a fini estetici. Esemplare sembra il caso dei futuristi che hanno applicato alla cucina le forme e i principi della loro poetica, riuscendo tra l’altro ad anticipare il cambiamento del gusto e delle abitudini culinarie nell’arco del Novecento. Con il libro La cucina futurista di Marinetti e Fillìa pubblicato nel 1932, i futuristi propongono di sovvertire radicalmente ogni usanza in nome dell’originalità creativa attraverso pranzi-spettacolo, esperienze multisensoriali totalizzanti. Dunque,
il perfetto pranzo futurista deve sollecitare tutti e cinque i sensi: prevede l’uso di espedienti per sperimentare la ricettività tattile dei commensali, profumi spruzzati in aria, musiche da proporre negli intervalli tra le portate, danze e rumori di contorno che stimolino una percezione simultanea non limitata al gusto. Nonostante l’esuberanza delle sue proposte, la cucina futurista 8
ha precorso i tempi nel cambiamento del gusto per molti aspetti: dall’attenzione e la ricerca verso l’assoluta originalità delle vivande con accostamenti imprevedibili all’utilizzo di ingredienti esotici e rari. Altrettanto importante è naturalmente l’attenzione all’aspetto visivo, pittorico e scultoreo sia delle portate che della composizione della tavola: ogni vivanda-scultura deve avere un’architettura originale che dia la sensazione di mangiare un’opera d’arte. Molti elementi del rinnovamento gastronomico futurista, sia da un punto di vista estetico che del trattamento della materia, vennero recepiti tra gli anni Sessanta e Settan-
ta dalla nouvelle cuisine. Nel 1972 due giornalisti francesi, Gault e Millau, coniarono questo termine per definire lo stile culinario di un gruppo di chef di talento: il momento più importante dell’elaborazione gastronomica non è più la perfetta applicazione di regole, ma la creatività, la capacità di accostare elementi inusuali, per ottenere nuove sensazioni. In antitesi alla cucina classica, la nouvelle cuisine si afferma attraverso il rispetto della semplicità dei sapori, l’esaltazione del gusto e del colore originale degli ingredienti. La riduzione della manipolazione della materia, metodologie di cottura più naturali, cotture brevi, mirano a rispettare l’iden-
tità naturale dei prodotti. Inoltre, come la cucina futurista, anche la nouvelle cuisine riserva alla presentazione del cibo un’attenzione particolare nell’amore per il dettaglio, la raffinatezza della composizione, colore e forma delle pietanze. I piatti sono solitamente bianchi senza decorazioni, in modo tale che queste non interferiscano con la composizione cromatica della portata.
Il piatto bianco diventa una tela su cui il cuoco può creare la sua opera. La miniaturizzazione delle porzioni, l’esibizione di spazi vuoti del piatto s’inseriscono nei modi di espressione di un minimalismo gastronomico, così come nella minimal art negli stessi anni che riduce l’opera a strutture semplici e colori primari. Attraverso la contaminazione con il mondo dell’arte (futurismo), la cucina muta lo statuto e il valore del testo (ricetta) e dell’autore (cuoco). Se nella cucina tradizionale il testo è impersonale, nella cucina futurista e nella nouvelle cuisine emerge con chiarezza la centralità del ruolo dell’autore che produce un testo verbale (la ricetta) e materiale (la pietanza) a cui imprime una marca di originalità che lo rende irripetibile e irriproducibile come un quadro.
• Algirdas Julien Geimas, Del senso 2, Milano, Bompiani, 1984 • Roland Barthes, L’impero dei segni, Torino, Einaudi, 1984 • Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966
...il gusto di amare
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Fotografia
di Mauro Barnaba
“...E luce fu!” L’importanza di creare la giusta ombra per risaltare le forme. Se potessimo stilare una classifica su quali siano i punti di forza in un’ottima fotografia, sicuramente troveremo al primo posto, assieme alla luce, la forma.
Partendo da un buon utilizzo della luce, e quindi capire la qualità più che la quantità che si ha a disposizione di quest’ultima, è possibile ottenere
Derrick Cross, 1983 stampa in gelatina d’argento 50.8 x 40.6 cm 10
una buona fotografia esaltando le forme del soggetto. Questi due elementi, vivono in un perenne rapporto di simbiosi; se sfruttati con intelligenza ed intuito sono capaci di dare alla luce fotografie di rara bellezza e suggestione. Anche soggetti banali, visti e rivisti, se ritratti da un corretto punto di ripresa, e quindi illuminati nella giusta maniera ed avendo le giuste ombre, possono assumere significati e comunicare emozioni diverse, discostandoci dall’idea ordinaria e banale che l’oggetto ha nella vita di tutti i giorni. In realtà si può dire che l’essenza della forma è la “geometria applicata” alla fotografia. Quell’insieme di linee, che utilizzate, sommate, sovrapposte ed incastrate fra loro in maniera oculata e, oserei dire quasi scientifica, e l’oculato utilizzo della prospettiva, portano a risultati fotografici mozzafiato. Infatti è lo stesso Robert Mapplethorpe (fotografo newyorkese di fama internazionale tra gli anni ’60 - ’80; i suoi temi più comuni furono i ritratti di per-
sone, tra cui Amanda Lear, Andy Warhol e Patti Smith; soggetti sadomaso ed una serie di nudo femminile della culturista Lysa Lion), a delineare la poetica e l’estetica della sua arte affermando di cercare, attraverso la fotografia, la perfezione della forma, senza badare al soggetto e di essere attratto da tutto ciò che è scultoreo. Mapplethorpe considerava la sua fotografia uguale ai quadri, riportando così a soggetti nitidi e distinti chiavi di lettura evocative, che scavano l’interpretazione dell’animo di chi le guarda. Infatti nel 2009 a Firenze in occasione del ventennale della sua morte, la Galleria dell’Accademia di Firenze, dedicò fotografo una retrospettiva sulla sua arte, accostando gli scatti alle opere del Rinascimento fiorentino; titolo della mostra: Robert Mapplethorpe: La perfezione nella forma.
Ecco come un grande della fotografia, ha sottolineato l’importanza della forma e delle forme del soggetto, dando particolare importanza alla luce, che ben dosata e manipolata, riproduce delle apprezzabili ombre regalando profondità e poesia a ciò che è stato immortalato. In conclusione, ciò che rende una’immagine unica ed emozionante è il “corretto” uso della luce, della prospettiva, della geometria del soggetto e conseguentemente dalla forma di esso che viene messo in risalto anche e soprattutto dallo stato emotivo di chi fotografa.
Teatro
di Umberto Binetti
Elemento essenziale: la Ricerca Il teatro è l’unica forma d’arte cui non può applicarsi il concetto benjaminiano. Ho sempre creduto che la ricerca sia elemento essenziale nel percorso di creazione e di realizzazione di un evento teatrale. Tale mia certezza parte dalla convinzione che il teatro sia l’unica forma d’arte cui non può applicarsi il concetto benjaminiano di riproducibilità.
Troppe le variabili che, volta per volta, in ogni replica dell’evento cambiano e si trasformano. E su tutte, l’atmosfera e l’energia che, sempre in modo diverso, si sprigionano con il contatto che irrimediabilmente si crea tra attori e spettatori. Cosa allora, in concreto, distingue il teatro da ogni altra forma d’arte? Credo sia l’esistenza di un palcoscenico, luogo e/o spazio che ho sempre ritenuto “perennemente pulsante”. Un elemento capace di ridefinire, fosse anche svuotato di ogni tipo di scenografia, perfino il concetto di forma inteso come tutto ciò che abbia un aspetto definito, una connotazione visuale precisa. Possiamo, allora, utilizzando il percorso della continua ricerca nella creazione dell’evento spettacolare, uniformare questo mo12
do di fare teatro all’arte pittorica informale definita come: “...estrema libertà del fare artistico: groviglio di segni, tracce, pennellate istintive e sgocciolature che riempiono lo spazio del quadro, che diviene, in tal modo, per l’artista luogo di azione ed espressione degli impulsi energetici e creativi?” Penso proprio di sì. E non è certamente un caso che uno dei massimi esponenti di questo modo di fare teatro sia stato il polacco Tadeusz Kantor, pittore, decoratore e costruttore di bambole che diverrà dal 1955 uno dei massimi esponenti del teatro di ricerca e avanguardia del ‘900. Da una parte, quindi, lo spa-
zio/quadro come luogo degli impulsi energetici e creativi dell’artista, dall’altra lo spazio scenico “pulsante” dove la continua costruzione/decostruzione scenica pone in vita quell’atmosfera energetica che sprigiona un continuo contatto tra attori e spettatori. Una differenza, però, tra le due “situazioni” in realtà esiste ed è sostanziale. Spesso l’assenza di barriere formali tra attori e spettatori e il conseguente contatto tra di essi, porta con sé conseguenze rischiose per l’attore. Il suo lavoro, mediante la
messa in scena, potrebbe portare con sé la perdita del bisogno di onestà. Forse perché l’assenza di paratie e di armature psicologiche offrirebbe allo spettatore un attore denudato, incapace di nascondere indizi che, in questa “scelta” teatrale, diventerebbero prove per il pubblico pronto poi al giudizio finale. E questo non può non spaventare l’individuo attore. Bisognerebbe ricordare allora agli spettatori che, gli individui/ attori, poco prima ingrossavano le loro fila. Anch’essi occupavano un qualche posto nelle relazioni “corpose” della vita, stringevano con loro mutue e molteplici relazioni vitali. Ma che, in realtà, appena attraversato il confine che li colloca nel mondo dell’arte, la nuova “installazione” impone loro una rinnovata condizione di vita finalizzata a un determinato scopo.
E lo scopo unico di ogni forma d’arte è trasmettere un messaggio che raggiunga lo spirito e l’intelletto di qualsiasi individuo/spettatore. L’attore, io credo, quando sarà capace di re-incarnare le proprie ferite, apparirà ai nostri occhi di spettatori in tutta la sua drammatica e pura crudeltà, capace di catturarci senza che ci sia alcuna possibilità di fuga verso quelle trappole quotidiane (relazioni) poc’anzi ricordate. Un coraggioso navigatore, insomma, capace di portare la propria barca attraverso gli interstizi delle parole per immergersi nella verità del personaggio/persona da far vivere sulla scena.
ig e tt o e d è u n p ro T a R ll a tA d s L a ri v is ta o a tu tt i e n a s c e u ra lt lt u o C to ri a le ri v rt e e la e c h e l’ A n n te a ll a io e z in lm v a n co u ir e re ib tr n o c m ic a d e lpossano ed econo le ia c o s c re s c it a it à . la c o m u n di c o n tr ib u to l a ie z he a ta g ra ia z io n i c È re a li z z d Assoc e ie e n d a n m ie a re in z E n ti , A z iz c li b b e o pu le p ro p ri in te n d o n o ri g in a le e e n io te z n a re d iv u lg la ra d if fe o rs e u lt u a tt ra v a z io n e c a tt iv it à , rm fo n ’i ll tt i e A de T O d i tu IT G R A T U IT IR D n è u c h i. ra le , c h e io p e r p o g e il v ri p n o n
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Scultura
di Giuseppe Laronga Wolf
La Materia, le Luci, le Ombre Nell’arte la forma è l’espressione dell’idea e ne rappresenta il prodotto finale. Il concetto di forma nell’arte è strettamente collegato alla materia. Per molti artisti nella materia è già contenuta la forma, per gli scultori è fondamentale come principio. Spesso guardando un blocco di marmo, un tronco di legno, un pezzo di creta ci si immagina e si intravede quello che ne uscirà. Nella’arte la forma è l’espressione dell’idea e ne rappresenta il prodotto finale.
Forme uniche di continuità nello spazio del 1913 è considerata la scultura più riuscita delle ricerche plastiche boccioniane, dalla critica dell’epoca, da quella contemporanea e da Boccioni stesso. Allo stato attuale esisterebbero sei o sette versioni in bronzo della scultura, ed alcune in gesso, eseguite in epoche diverse. Forme uniche di continuità nello spazio, rappresenta la sintesi massima delle ricerche di Boccioni: la velocità, la simultaneità, il moto relativo, vengono fotografati, “gelati” nello stesso istante, che potrebbe durare in eterno, perché il tempo della scienza non coincide più con quello interiore umano; il tempo sembra racchiudere lo spazio, la scultura stessa. In questa statua sembra esservi concentrato e compenetrato insieme, tutto il dinamismo universale, tutta la vita e i moti nascosti 14
Lo scultore deve tener presente, oltre alle varie tecniche, un fattore molto importante: la luce e le ombre. La scultura, astratta o figurativa che sia, è fatta di forme, ma senza la giusta luce non riusciremmo a leggerla perché risulterebbero impercettibili i chiaroscuri e le sfumature sulla materia. Boccioni scrisse a riguardo: ”Rovesciamo tutto, dunque, e proclamiamo assolu-
ta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa, immaginando sculture immateriali fatte di luce, che avrebbero automaticamente annullato il senso stesso del termine scultura a favore di nuove idee plastiche“. La forma nella scultura, sia nel secolo scorso che oggi, affronta le stesse problematiche che sono legate a dei concetti a volte progressisti altre conservatrici. La questione si basa sul fatto che
ognuno cerca la propria verità in quello che dice o che rappresenta, chi in maniera figurativa legata a un discorso accademico e chi legato a un discorso concettuale della forma. dentro una semplice forma. Forme uniche di continuità nello spazio, non offre una serie di profili rigidi, di silhouettes immobili, ma ogni profilo reca in sé la chiave per leggere altri profili. È forse l’ultima scultura eseguita da Boccioni, non sappiamo dell’altra, oggi dispersa, non documentata da fotografie, Forme essenziali di un footballer.
A me piace pensare che la verità è nel mezzo come mi ha insegnato il mio maestro Vito Cipolla, che dice: “Prima di distruggere bisogna conoscere”; questo concetto spesso viene dimenticato da molti che hanno la presunzione e l’arroganza di calpestare secoli di storia dell’arte. Ad esempio Picasso e Lucio Fontana, prima di essere innovativi in ciò che più li rappresenta, sono stati degli artisti figura-
tivi, quindi credo che le due cose debbano viaggiare insieme parallelamente per un fine comune qual è l’Arte. Vorrei citare alcune parti del testo il Manifesto tecnico della scultura futurista che in maniera meno pragmatica della mia, racconta ciò che rappresentava la scultura agli inizi del secolo scorso attualissimo come concetto: La scultura, nei monumenti e nelle esposizioni di tutte le città d’Europa, offre uno spettacolo così compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imitazione, che il mio occhio futurista se ne ritrae con profondo disgusto! Nella scultura di ogni paese domina l’imitazione cieca e balorda delle formule ereditate dal passato, imitazione che viene incoraggiata dalla doppia vigliaccheria della tradizione e della felicità. Nei paesi latini abbiamo il peso obbrobrioso della Grecia e di Michelangelo, che è sopportato con qualche serietà di indegno in Francia e nel Belgio, “con grottesca imbecillaggine in Italia”. Noi dobbiamo partire da un nucleo centrale dell’oggetto che si vuole creare, per scoprire nuove leggi, cioè le nuove forme che legano invisibilmente ma matematicamente all’infinito plastico apparente e all’infinito plastico interiore. La nuova plastica sarà dunque la traduzione nel gesso, nel bronzo, nel vetro, nel legno e in qualsiasi altra materia, dei piani atmosferici che legano e intersecano le cose. Questa visione che io ho chiamato transcendentilismo fisico potrà rendere plastiche le simpatie e le affinità misteriose che creano reciproche influenze informali dei piani degli oggetti. La scultura deve quindi far vivere gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro prolungamento nello spazio, poiché
Involucro dell’anima, terracotta smaltata, 2010 - Laronga Giuseppe Wolf nessuno può più dubitare che un oggetto finisca dove un altro comincia e non v’è cosa che circondi il nostro corpo: bottiglie, automobile, casa, albero, strada, che non lo tagli e non lo sezioni con un arabesco di curva rette. Possiamo infine affermare che nella scultura l’artista non deve indietreggiare davanti a nessun mezzo pur di ottenere una realtà. Nessuna paura è più stupida di quella che ci fa temere di uscire dall’arte che esercitiamo. Non v’è pittura, né scultura, né musica, né poesia, non v’è creazione!
Cupido, terracotta smaltata, 2010 - Laronga Giuseppe Wolf
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Letteratura
a cura della redazione
“Lo pozzo magico” Racconto fiabesco in ottonari. Uno scherzo poetico di Terry Paternoster. Lo pozzo magico è una storia fantastica per grandi e per piccini dove tutto accade in un tempo lontano. Forse è il tempo dei giullari o dei cantastorie, perché è uno di loro che canta e racconta. Una favola qualunque, col suo regno felice, col suo re e la sua regina, al cui centro vi è un antico pozzo, simbolo di vita e di fertilità per tutto il popolo, dove all’improvviso accade qualcosa di terribile e di strano, di molto strano. In una notte di subbuglio, fra rombi infernali e terremoti, dalle gole più profonde della valle fuoriescono strane piante rampicanti che come un muro di pietra, dividono il regno a metà, separando la terra dalla terra e gli uomini dagli uomini. Le due parti del regno non potranno più comunicare fra loro: Eos a levante, Esperà a ponente. Ad Eos il potere sovrano rimarrà nelle mani del re Anurà, ad Esperà prenderà il comando un crudelissimo podestà. La vita continuerà “sanza fiori ne colori” all’interno dei due regni, ma una speranza, sollevata da 16
un’antica profezia, incoraggerà l’intero popolo: l’arrivo di un giovane eroe che salverà “quel” mondo! Leggenda o verità? Una “istoria sanza senso”, che un nostalgico giullare canta per distrarsi , in un momento buio della “storia”, quella reale; dove l’arte del raccontare è soltanto il ricordo di un mondo passato. Un istrione che guadagna a cappello e che ha la cassa vuota, perché si sa che l’arte non ingrassa e
che oggi non c’è più tempo per le favole. Sarà il consenso del suo pubblico, la più grande ricompensa, che a volte si dice paghi più del denaro. Belle parole che da secoli lasciano l’artista... a digiuno. Lo pozzo magico è un viaggio nel tempo, un viaggio in un mondo indefinito, dove si parla una lingua strana, che sa di antico; un antico canzonante e buffo che ospita indizi temporali e stilistici, portati scherzosamente a galla. Tutto in una forma ricca di
espressioni arcaiche e latinismi, stemperati da frequenti troncamenti e scherzose enclisi pronominali, che conferiscono al racconto, pur nella “drammaticità” dei fatti, una straordinaria leggerezza, che delizia lo spirito, ma non trascura la mente. Un racconto fiabesco in ottonari che nasce come uno scherzo letterario, in cui si rintana un sottile valore pragmatico, trionfalmente celato dietro un’apparente frivolezza. Poco più di mille versi per raccontare un mondo immaginario, dove il tutto succede senza una causa apparente, ma ce n’è sempre una che governa tutto.
Poesia
Il viaggio in un sogno C’è un’arte di contraddire che è la forma più raffinata di adulazione. In viaggio Prendevan strane forme i pensieri sulla strada che raggomitolandosi si nascondeva timida e pudica entro lunghe gallerie avvolgenti e protettive… Ed eran nuvole soffici e voluttuosamente morbide che correvano ammiccando furtivamente lungo le pareti ricurve e illuminate mostrando a tratti nel loro incedere mutevole il tuo volto raggiante e ladro delle mie emozioni più recondite e belle… E divenivan poi allo sbocco grandi alberi in corsa che maliziosamente indiscreti e scaltri celavan fra le fronde le tue braccia calde ad avvolgermi sensuali l’anima… E poi ancora distese di fiori variopinti in fieri e sprazzi di gioia e arbusti odorosi a profusione fra cui occhieggiava sincera la primavera del tuo sguardo incantevole a inseguirmi imperterrito il cuore… Cambiavan continuamente forma i pensieri declinandosi in immagini e sensazioni sfumature e suggestioni così chiaramente nitide e vive nella loro mutevolezza danzante quanto irrepetibilmente uniche e immodificabili nella loro essenza più vera: l’indescrivibile meraviglia di te profondamente limpida e libera in viaggio dentro me… Francesca Aulenti
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Andrè Maurois
Nel Sogno In un rumore di sogni precipita In questi fiumi di pensieri, La voce di lei, Che taglia questa notte bagnata di solitudine Chinando il suo volto Nelle sfumature dei miei incubi. E la sua mente altro non è che lama per il mio cuore, E sfoggia lungo il seno ciò che rimane Di queste piaghe graziose, Che in balia della solitudine, Lungo una corda fine metteranno a questo dolore. E il suo sguardo mi affogherà In una vasca di rose, Ove le sue labbra, tra ruvide carezze ansiose, Speranza venderanno A chi muore per frode d’amore. E tra le braccia di questo orrore, Nella speranza dell’inganno, Cerco di scalare la realtà, Apro le porte di questi sogni, Ma il suo cuore altro non è Che il traguardo della fine. Davide Mangione
2 SI perchè l’acqua sia pubblica, sottratta al profitto e ai privati che speculano su un bene primario e vitale, negandola a chi non ce l’ha o facendola pagare cara.
1 SI per respingere il piano nucleare. Il governo Berlusconi non rispetta i risultati del referendum dell’87, dopo Cernobyl, che impose la chiusure delle centrali nucleari. Oggi, la tragedia del Giappone dimostra che fu una scelta giusta.
1 SI per abolire la legge che prevede il cosidetto “legittimo
impedimento”, per Presidente del Consiglio e Ministri, a comparire nei Tribunali come imputati. Perchè la legge torni ad essere uguale per tutti.
Tutti i cittadini, al di là del colore politico, sono invitati a partecipare e a condividere con noi il proprio impegno.
Moda
di Rosanna Pellicciari
Le componenti essenziali della moda ...e i suoi rapporti con la società, l’arte e il costume. L’attenzione per l’abito, per il modo di vestire e di “mascherare” il proprio corpo è particolarmente acuto, a dimostrazione che l’abbigliamento, al di là dei suoi valori pratici, igenici, estetici, presenta valori che trascendono quelli della mera piacevolezza, del mero lusso. E allora ci accorgeremo anche che, tra le componenti essenziali della moda, la struttura e il colore sono quelle che dominano incondizionatamente. Struttura, che è da intendere come una qualità globale di dar forma (e significato) a un abito, a un qualsiasi particolare dell’abbigliamento. Una forma globalmente strutturata e pregnante carica di peculiari “significati”, non solo estetici, ma psicologici, sociologici, di status symbol. Colore, che è indispensabile “companatico” d’ogni forma, e che, nel caso della moda, è paragonabile al bouquet d’un celebre vino, o dall’aroma d’una particolare spezia capace di rendere più gustosa una pietanza altrimenti insipida. L’uso, moderato o eccessivo, del colore subisce, ha subito e continuerà a subire le più incredibili oscillazioni: da monocromo a variopinto, da serio a frivolo, da decorativo a strutturale. È so20
lo di ieri, ad esempio l’adozione programmata del violetto, questa tinta che la moda aveva messo al bando per ragioni superstiziose e che, invece, appena adottata dalla haute couture internazionale, è dilagata fino a raggiungere le più umili imitazioni provinciali dei più diffusi pret-à-porter. Ma, se il colore costituisce l’indispensabile flavour d’ogni abito e d’ogni indumento, è proprio la struttura che ci si rivela quale vero parametro d’ogni costruzione modale. Ne abbiamo esempi significati-
vi: la severa linea che Armani ha adottato in molte sue creazioni, pur nella varietà del colore e dei tessuti; la struttura rigida, ma proprio per contrasto risultante “frivola” nel doppiopetto capovolto di Ferré; la sagoma svasata dai lucidi revers d’un abito di Ferré, nella sua ripetitività circolare che viene a costituire quasi una sorta di gigantesco caleidoscopio. Oggi, come ieri, la moda è legata ad alcune motivazioni storiche, sociologiche, artistiche, che ne determinano, sia pure indirettamente, i canoni: fragili canoni che sono tuttavia le spie d’un gusto anche artistico d’una situazione anche sociale ed economica. Lo studio del sorgere e del tramontare di tali motivazioni è l’unico mezzo per valutare le ragioni profonde di certe modificazioni del costume che altrimenti sarebbero inspiegabili. Il fatto di considerare questo studio non solo come qualcosa di epidermico e di futile, ma come qualcosa di profondamente ancorato alle maglie del tessuto, ci permette di valutare il fenomeno della moda e le sue metamorfosi come punto di riferimento per la nostra conoscenza dell’uomo e addirittura per una maggior comprensione della civiltà entro cui viviamo.
Hairstyling
di Michela Santoro
La bellezza è gioco Gioco di forme che si agitano e ricompongono in un gesto di libertà, deciso tra estro e regole. Dar forma all’autenticità, lasciarla esprimere è ciò da cui muove il mio percorso di hairstyling; quando la cliente si siede su quella poltrona, si apre uno spazio tra lo specchio e la mia esperienza in cui si crea lo stile, che non è semplicemende immagine ma, innazitutto, cura di sé. Per questo da sempre ho rinunciato a rincorrere tendenze sempre troppo invasive, dettate dalla concezione dell’accaonciatura come elemento accessorio e decorativo, quasi sovrapposto, mentre il capello
è ancora corpo che incarna e si plasma nel gioco con le funzioni del suo tempo.
E in ogni singolo taglio, nel segnare le linee e gli angoli che andranno ad alleggerire il peso della materia, sento la bellezza e la responsabilità di avere tra le mani un gioco tanto serio. Chi si rivolge a me lo fa con delle aspettative, sul mio lavoro,
Vidal Sassoon (1928). Acconciatore inglese 22
tanto quanto su se stessa ed è in quella materia fertile, che è il desiderio di chi si affida a me, che prendono forma creazioni. Come ogni arte anche l’hairstyling ha la sua tecnica e risponde a i principi fondamentali delle scienze e della percezione, perché, non dimentichiamolo, bellezza è percezione che modula i suoi geometrismi attraverso lo spirto del tempo. Sul modello dell’architettura, imprime il sigillo alla coscienza collettiva ma la storia del gusto e del costume ha anche la caratteristica di anticipare quelle che saranno le tendenze sociali, oltre che affermarle. Così, se nell’antico Egitto forme geometriche riproducevano i principi architettonichi del potere dei faraoni, nell’epoca barocca inizia ad affermarsi quella coscienza estetica sempre più schiacciata sul decorativo e la suggestione immediata che caratterizzerà lo sviluppo del gusto e del costume della modernità. In epoca contemporanea questi fenomeni hanno subito un accelerazione: dal dopo guerra, spinti dalla febbre della ricostruzione anche gli stili si sono reinventati: un esempio per tutti, e per me un’ispirazione, è Vidal Sassoon che, nella mitica
Londra anni ’60, compie una rivoluzione estetica, per la nuova immagine di una donna ormai inserita nel sistema produttivo, quindi dinamica e desiderosa di autoaffermazione, pari a quelle compiute nell’abbigliamento da Coco Chanel e Mary Quant. Oggi, invece,
Il suo caschetto, geometrico e funzionale, è vissuto solo come una tendenza tra le tante, in una moda fatta da citazioni
e, non a caso, in un periodo di crisi economica come il nostro, sono tutte citazioni da un passato, come quello degli anni ’50 ’60 ’80, che rimandano ai periodi di boom economico, esprimendo la voglia di ripartire. Questo ulteriore gioco di citazioni mi intriga, perché aumenta la possibilità di scelta e di espressione. Fondamentale, però, rimane il rapporto tra i giocatori, in questo caso tra hairstylist e cliente: se i principi fondamentali sono le regole, il rapporto con la cliente disegna il campo da gioco.
È importante saper interpretare i desideri, sostanzialmente di due tipi, quello di valorizzarsi e quello di trasformarsi, gioco più sottile e rischioso che stringe il legame tra i partecipanti, per questo è imporatnte la scelta del professionista che sappia, innanzitutto, avere cura del capello. In questo gioco di forme in cui vale tutto, una sola regola è sempre efficace: non c’è bellezza senza cura di sé.
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Cinema
di Paolo Sarpi
Forme narrative L’interazione tra soggetto e oggetto crea la forma. Parlare del rapporto che il cinema ha con la forma è possibile, ma su diversi livelli perché dipende dalla definizione che si vuole attribuire al termine “forma”. Mettendoci sul piano di ciò che è definibile comprensibilità di derivazione logica, per “forma” si intende una realtà oggettiva, unita ad una percezione soggettiva. È l’interazione tra soggetto e oggetto che crea la forma. L’ intelligibile, cioè, ha una forma che è caratterizzata da una logicità oggettiva sommata a determinate capacità soggettive di chi quella forma osserva. In altre parole il riconoscimento di forme presuppone un allenamento visivo, o più in generale sensoriale completo. Il cinema è dentro la realtà circostante, le sue forme riconoscibili dentro questa, perciò ne deriva che voyerismo e curiosità, assimilandosi, portano alla percezione di forme che stupiscono proprio perché (forse) pensate per stupire. Le forme narrative si configurano fino a creare un’unità solida (talvolta liquida)
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che è la materia filmica. Questa materia è situata in un determinato arco temporale della realtà; in qualche modo si imprime sulla pellicola: a un certo punto, cioè, questa realtà sta compiendo una reazione foto-chimica su un certo tipo di materiale sensibile alla luce che ne imprimerà le forme essenziali, cercando di mantenerle intatte nel tempo futuro. Il tempo narrativo di un flusso visivo, quindi la scelta cronologica di un racconto, ha una forma propria. Le variazioni temporali si esprimono in diverse forme, sempre. Si pensi al tempo come ad un liquido che può assumere diverse forme a seconda del contenitore che lo contiene. I contenitori sono le varie suggestioni dei diversi soggetti percettori. Una possibile forma del tempo è visibile a partire dall’osservazione
delle trasformazioni della materia circostante al suo trascorrere. La trasformazione, quindi la variazione della forma, è l’essenza del principio percettivo. Così i fotogrammi fissi scorrono e restituiscono un senso di movimento, trasformazioni di realtà. E quanto più certe variazioni di forma riescono ad emozionare lo spettatore, tanto più il film possiede sapore: il sapore del film che si confronta con il gusto dello spettatore. Da tener presente è che variazione può essere anche conservazione, quindi non variazione, o variazione al limite del percettibile. Alla base della visione c’è dunque un insieme di variazioni di forme. Queste variazioni hanno un senso filmico quando c’è qualcuno che le sa maneggiare:
il narratore, da bravo prestigiatore, maneggia il trucco e crea l’illusione che meraviglia lo spettatore. I buoni racconti, quindi, sono buone manipolazioni di variazioni di forme; il racconto possiederà una sua forma propria, e questa
forma rappresenta il “come” dare forma a una porzione di realtà inquadrandola. Nella realtà di un film si osservano una serie di forme in sovrapposizione che costruiscono l’ impianto unitario; l’unitarietà della struttura ci trasporterà da qualche parte dove il racconto è percepito come un accompagnatore. Alcuni esempi pratici.
Nel prossimo numero...
Il ritmo di frammentazione delle immagini che si genera dalle scelte di montaggio di un film è rappresentabile su di un grafico astratto. Tuttavia anche in mancanza di questa rappresentazione, il ritmo avrebbe comunque una sua riconoscibilità: cadenze, ripetizioni, asimmetrie ecc.. Su questo montaggio possiamo immaginare ci sia una musica che è percepita ritmicamente coerente con gli stacchi, oppure con il ritmo intrinseco delle immagini non frammentate. Pensiamo ai movimenti di macchina da presa, che spesso descrivono delle traiettorie fisiche (spesso si disegnano). Pensiamo a come la luce sia impiegata per esprimere le sue caratteristiche interiori o per accentuare o oscurare forme pre-esistenti: si sceglie una determinata illuminazione su un determinato soggetto perchè sia scolpita chiaramente una forma pre-esistente che ne suggerisce una nuova. Oppure si crea una forma a priori per alludere ad una che è già pre-esistente. Questa operazione è già racconto se vogliamo, sempre se si intuisce che il cinema è il racconto di una visione.. piuttosto che di una vicenda.
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Arredamento
di Natascia Abbattista
“In casa sua ognuno è re” Piccoli consigli per rendere unico il proprio “castello”. “Vorrei un tavolo wengè da abbinare ad una parete attrezzata bianca laccato lucido, delle sedie trasparenti, quelle della rivista e un quadro rosso che con il divano in pelle caffè s’intona benissimo”. Ecco, questo vuol dire arredare con gusto, ma aiuto! Va bene il gusto ma ci vuole anche personalità! Quando entro in casa di giovani coppie ho quasi sempre la sensazione di entrare in case bellissime, accoglienti ma poco personalizzate. Qui scatta allora la figura dell’arredatore, che non è solo quella di posizionare mobili
tendenzialmente belli seguendo i canoni della richiesta del mercato. Arredare la propria casa è qualcosa di più intimo. Il ruolo dell’arredatore è di soddisfare le giuste esigenze di un cliente, capirne il bisogno ed esaudirlo, perché se si prende la parola bisogno e la si scompone leggiamo bi-sogno cioè doppio sogno; nell’esigenza di arredare una casa vi è la necessità di esaudire il sogno di chi abbiamo di fronte. Quindi chiediamo alla persona che si accinge ad arredare la sua “reggia” cosa ama fare nella vita, che lavoro svolge, quanti figli ha, se ha molti amici, le sue passioni ecc.
BLU Colore del Nord, si riflette positivamente sulla carriera e il successo VIOLA È il colore dell’amicizia, degli scambi e dei viaggi e va a Nord-Ovest GIALLO ad Ovest stimola la creatività ed è perfetto per i bambini ARANCIONE Sud-Ovest, protegge il matrimonio e le relazioni sociali ROSSO Da posizionare a Sud, evoca saggezza e buona forma fisica MARRONE Salute e ricchezza da preferire a Sud-Est VERDE Ad Est, perfetto per chi studia evoca conoscenza e illuminazione AZZURRO All’insegna della famiglia il colore di Nord-Est 26
Se il cliente ama invitare amici a casa si può predisporre un angolo conversazione accogliente con divani e pouf che all’occorrenza possano ospitare piu persone; un’isola centrale per chi ama cucinare manicaretti non sentendosi isolato dal resto della comitiva... Con il tempo il concetto di “casa” è cambiato cosi com’è cambiata l’idea di nucleo familiare: la donna lavora, i single crescono sempre più, amici che vivono insieme, lavoratori che tornano a casa solo nel week end... sono queste le figure che, avendo differenti esigenze e neces-
sità, spesso si rivolgono ad un arredatore. E di conseguenza anche la figura dell’arredatore si è modificata, non è più l’imbonitore stile anni ‘60 che vendeva a tutti i costi l’ultimo prodotto del mercato, ma un tecnico sempre più attento e vicino a quelle che sono le esigenze del cliente. Insomma non si parla più, o non si dovrebbe più parlare, di venditore di mobili, ma di consulente, che sappia consigliare, seguire e accompagnare il cliente dall’acquisto all’assistenza nel tempo, suggerire colori, materiali, forme.
“Questo e non altro è, nella sua ragione più profonda, la casa: una proiezione dell’io; e l’arredamento non è che una forma indiretta del culto dell’io.” Mario Praz, La filosofia dell’arredamento, 1945 La casa è anche intimità, benessere, emozione, quindi, partendo dal presupposto che arredare vuol dire personalizzare l’ambiente in cui viviamo seguendo e soprattutto capendo le nostre esigenze, non posso che citare il feng shui, un’antica arte-filosofia proveniente dalla Cina. Secondo le tradizioni un esperto feng shui è ritenuto in grado di valutare una casa dal punto di vista energetico, e di stabilire quali sono le giuste soluzioni naturali per portare l’energia all’interno della casa e alla famiglia che la abita prosperità e serenità. Grazie all’utilizzo dei colori, delle forme, dell’illuminazione delle piante, degli specchi dei cinque elementi che sono fuoco, acqua, terra, metallo, legno è possibile migliorare lo spazio in cui viviamo.
Architettura
di Silvano Picerno
È l’ora delle ri-forme… Nella società dell’apparenza si trascurano i principi dell’architettura. Parlare di forma in architettura, equivale a parlare di colori in pittura o di note in musica: è la parte essenziale e costituente.
Piazza San Pietro a Roma si differenzia e muta a seconda del punto di vista del visitatore, dilatando o riducendo gli spazi in maniera pre-ordinata.
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Ma la forma è argomento assai complesso ed eterogeneo, per la definizione stessa di architettura. Risalendo alle origini dell’architettura e rifacendoci ai principi vitruviani, questa disciplina fu definita come un insieme di tre fattori: firmitas (stabilità), utilitas (utilità) e venustas (bellezza). Senza stabilità l’architettura è destinata a non essere realizzabile o, peggio, ad essere rischiosa e precaria; senza utilità l’architettura, fine a se stessa, è semplicemente un oggetto da ammirare, una sorta di enorme scultura; senza bellezza non si può parlare nemmeno di architettura, ma solo di edilizia. Partendo da questa definizione, possiamo dire che oggi è evidente una particolare attenzione che gli architetti pongono nella creazione della forma e, di conseguenza, nell’esteriorità di un’opera di architettura. Lo studio dell’esteriorità, che
spesso coincide con la volontà di spettacolarizzazione dell’edificio, conduce gli architetti ad esaltare la forma, trascurando sempre più la stabilità e l’utilità, nella logica della triade vitruviana. Infatti è fuor di dubbio che, tra i tre elementi basilari dell’architettura, l’estetica sia quella che impressiona maggiormente il visitatore. La stabilità della struttura è spesso nascosta o leggibile solo dai tecnici; le caratteristiche dell’utilità di un edificio spesso sono trascurate o non saltano all’occhio del profano. Entrambe, sebbene possano essere valutate positivamente, non riescono ad essere eclatanti come la bellezza e la monumentalità. Ad esempio, è possibile che un utente sia favorevolmente impressionato dalla distribuzione interna di un aeroporto o dall’acustica di un teatro, ma è molto più probabile che sia entusiasta e
gli restino impressi l’attrattiva e la maestosità che può dare solo la forma degli edifici stessi. Ma la definizione di forma deve tener presente un’altra caratteristica dell’architettura: la sua parzialità, che la differenzia da altre forme artistiche, quali per esempio la pittura e la scultura. L’osservatore non può mai apprezzare in maniera “totale” un edificio, ma può percepire solo scorci parziali dell’intero complesso. Questa caratteristica è stata sfruttata dagli architetti nel corso dei secoli in vari modi, “usandola” per i propri scopi di volta in volta: come quinta scenica, come traguardo o illusione ottica, ecc… Basti pensare ad un esempio universalmente conosciuto come Piazza San Pietro a Roma, che si differenzia e muta a seconda del punto di vista del visitatore, dilatando o riducendo gli spazi in maniera pre-ordinata. Questo concetto ci permette di osservare come
la sensazione che si riceve dal vivere uno spazio architettonico è una caratteristica complessa della conoscenza umana e non si può ridurre al mero senso della vista. Infatti se ci capita di osservare la foto di un’opera, magari su una rivista, quello che pos-
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“Fallingwater House”, F. L. Wright foto di Avery Swartz (www.averyswartz.com ) siamo percepire è tutt’altro rispetto a quello che ci trasmette l’esperienza dal vivo della medesima opera inserita nel proprio contesto. Persino la visita ripetuta dello stesso edificio può trasmettere sensazioni molto diverse, ad esempio, con una luce differente. Quindi è necessario osservare fisicamente un manufatto per cogliere la vera essenza dell’architettura e, di conseguenza, anche la sua reale forma. Un altro elemento da analizzare è costituito dalla continua trasfor-
mazione nei secoli delle forme degli edifici, conseguenza dell’evoluzione delle esigenze della società e del progresso dei materiali costruttivi.
“Nell’architettura la forma plastica ha potuto evolversi grazie alle nuove tecniche e ai nuovi materiali che le danno aspetti differenti e innovatori.” (Oscar Niemeyer)
In caso di un’opera architettonica storica, per valutarne la forma, dobbiamo considerare anche tutte le varie manipolazioni e alterazioni che ha subìto nel corso degli anni, immaginando di sfogliare vari strati, come avviene nel conteggio dell’età degli alberi. Tutti questi distinguo, che caratterizzano la visione di un’opera, ci portano ad affermare che è complicato avere una conoscenza “a senso unico” dell’architettura e la stessa descrizione di quest’arte è difficilmente riconducibile ad una definizione unica, come provano gli svariati tentativi in cui si sono cimentati i più grandi architetti della storia. “Se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto un uomo. Questa è Architettura.” (Adolf Loos). In questa definizione la forma è rivelatrice della funzione, ossia è capace di evocare un significato, che suscita una determinata emozione. In sintesi si può affermare che è molto complicata la percezione corretta di una costruzione e solo sommando diversi fattori possiamo comprendere la forma architettonica.
• Rivista di architettura: www.vg-hortus.it • Rivista digitale di architettura: www.architettura.it • Oscar Niemeyer, La forma dell’architettura, Milano, Ed. A. Mondadori, 1978 • Alessandro Borgomainerio, Adolf Loos. Architettura e civilizzazione, Milano, Electa, 2008 30
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