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Bimestrale di arte e cultura - Anno 1 num. 5 - Distribuzione gratuita



di Francesco Sossio Sacchetti

Anno 1 num. 5 - Gen/Feb 2012

DIRETTORE RESPONSABILE Mario Barbarisi ART DIRECTOR Manuela Coluccino stART Registrazione del Tribunale di Bari n° 10 del 22/03/2011 Num. R.G. 820/2011 Tiratura 5000 copie EDITORE Associazione di Promozione Sociale “Muretti a secco” Via Canale D’Alonzo, 15 Gravina in P. (Ba) info@arcimurettiasecco.it www.arcimurettiasecco.it PROGETTO GRAFICO e IMPAGINAZIONE Manuela Coluccino info@mandea.it HANNO COLLABORATO Cosmo Mario Andriani, Michele Ardito, Umberto Binetti, Marisa Carlucci, Arcangela Cicolecchia, Paolo Direnzo, Teresa Fiengo, Vito Antonio Loprieno, Michele Marrulli, Mario Pace. PUBBLICITÁ Mandea graphic&web www.mandea.it COPERTINA Dipinto in copertina di Michele Ardito L’Abitudinario, 2007 STAMPA Eurografica di Michele Cataldi Via Don S. Valerio, 8 - Gravina in P. (Ba) Tel. 080 3262727 www.tipografiaeurografica.it La partecipazione a stART è assolutamente GRATUITA

La scelta di pubblicare o meno il materiale pervenuto rimane ad insindacabile giudizio dell’editore, il quale si riserva di non pubblicarlo, di pubblicarne solo una parte e/o di farlo in un numero a propria scelta. L’editore si riserva, comunque, il diritto di impaginare il materiale all’interno della struttura grafica e della gabbia d’impaginazione della rivista e di modificare la qualità delle immagini per permetterne la corretta visualizzazione e prestazione.

L’italiano, lingua tra le più affascinanti e complesse del pianeta Terra, dà al termine Tempo, numerosi significati e sfumature. Lo scorrere dei minuti, dei secondi, degli anni; il tempo metereologico con il suo susseguirsi delle stagioni e quindi fortemente correlato al trascorrere dei giorni ed inevitabilmente parente stretto del primo menzionato; il tempo inteso come ritmo, successione di accenti, spostamento degli stessi in un determinato spazio (battute, movimenti, etc.), anche quest’ultimo viene incastonato nel primo, in quanto deve svilupparsi in un determinato arco di tempo. Ce ne sarebbero moltissimi altri di significati, ma tutti in ogni caso sono sempre correlati agli altri. Pensateci! È forse proprio per questo motivo, per la sua natura interscambiabile, che i Padri della nostra lingua, in una sorta di sottomissione e adorazione del dio Tempo, hanno voluto

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Pittura

Se non c’è Tempo...

Poesia

Il “ritmo” dei film

Il rito... della vita

Il mare di lato

I Patriarchi della natura

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Letteratura

Nodo Gordiano

Agronomia

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Fotografia

Fotografia e sistema

Teatro

Il tempo teatrale

Letteratura

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che quest’ultimo fosse slegato da qualsiasi rigida definizione e assumesse il significato più consono a seconda del contesto, in quanto l’umanizzazione dello stesso, attraverso una semplice definizione, non sarebbe stata adeguata ad un concetto che è al di sopra e al di là dell’uomo. E poi il sogno dell’essere umano: viaggiare nel tempo. Come si fa? In che modo? La risposta sta nel termine stesso che ne è il mezzo. Ad esempio, il sole che noi vediamo è ciò che la nostra stella era 8 minuti prima (tanto è il tempo che la luce impiega per arrivare sulla Terra) e quello che noi guardiamo è in realtà il passato. Lo scorrere degli anni sui nostri corpi, le rughe, i capelli bianchi non sono il risultato del trascorrere del tempo su noi stessi? Il tempo è l’unica forma che ha in sè domanda e risposta, azione e conseguenza, realtà e finzione.

Cinema

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Comunicazione Concezione del Tempo

Musica

A tempo di musica

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Pittura

di Michele Ardito - Pittore e Video Artist

Se non c’è Tempo... ...non c’era Tempo.

Quando sono arrivato qui la prima volta c’era solo un deserto, e neanche tanto interessante. Non ero il benvenuto. Considerato come un tiranno, non ho ricevuto una degna accoglienza, certo degna della mia natura. Quelli che avrei dovuto gestire, dominare, controllare ed evolvere, hanno iniziato a parlare tra sè, male, ad odiarmi in segreto, a coalizzarsi e decidere come farmi tornare indietro. Era una missione complessa, ero giunto per un disegno ben preciso ed irrevocabile, mandato da un indefinibile e sconosciuto sistema di cose. All’epoca c’era solo polvere immobile, pezzi di terra fredda e pietre senza colori, un albero fermo ed un corvo congelato dall’eternità, dei bambini fermi, cavalli capovolti e muc-

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che appoggiate su di un fianco. Miei cari lettori, non sono pazzo, non vi sto parlando di una scultura e neanche di morti surgelati.

Il luogo che vi descrivo, il mio nuovo luogo di lavoro, era fermo ed io sono il Tempo. Sono stato mandato qui per far vivere la vita che abitava senza esistere (in mia assenza). Alberi, cavalli e bambini, pietre, terreno e mucche, farfalle, violette e corvi, non avevano nostalgie senza di me, poiché non avevano ricordi. Sono stato duro, ma non avevo alternativa. Per prima cosa ho dovuto insegnargli a morire. Li ho amati ed

abbracciati, mi sono avvolto alle loro esistenze ed ho cominciato a farli ruotare in una meravigliosa girandola trasformista, il cui brio ha tolto loro il pensiero funesto. Pian piano la terra intorno all’albero cominciava a gonfiarsi ed il castagno ad ingigantirsi ed arricchire le proprie fronde, ed in questo movimento, di cui sono l’autore, i merli spiccavano il volo. Ora è così come lo conoscete, il mondo, stanco ed ingiusto, ma l’unica speranza perché non si suggelli in questa Era irrespirabile sono io ed il mio talento di trasformatore. E poi, quando proprio non ce la farete, potete sempre scartare quel regalo meraviglioso che vi feci milioni di anni orsono: i ricordi.


Mi conoscono tutti, c’è chi mi apprezza e chi no, c’è chi mi accusa d’esser lento e m’invita all’affanno, chi vuol rallentarmi, chi mi chiede il turbo, chi con le ali e chi lascia che gli scivoli addosso silenziosamente. Il desiderio dei vecchi è che capitolassi all’indietro, i carcerati mi darebbero fuoco, i depressi mi guardano pietosi. In metropolitana non si accontentano mai di quello che faccio e mi rincorrono impazziti. Ogni cosa si consuma, si trasforma e muore, rinascendo differente. Non vi ho uccisi, costringendovi alla condizione della morte, semplicemente vi ho spinti a cambiare, poichè il cambiamento è l’esistenza stessa ed io l’ho suggellata nelle vostre vite.

Michele Ardito - Dettaglio dell’opera “i sensi di colpa” olio su tela, 40x50cm.

In basso: disegni che sequenziano il video EGLI (di Michele Ardito, rdr). Tutti rappresentano il tempo che scorre, che ci cambia

e ci trasforma, rende ampio quel contenitore della nostra vita, aggiunge idee e sensazioni ogni volta nuove, che ci permettono di

essere incoerenti e cambiare idea sulle cose (se siamo intelligenti)... di solito chi non cambia mai opinione su nulla non lo è!

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Teatro

di Umberto Binetti - Attore e Regista

Il tempo teatrale Spesso, quando si parla di tempo teatrale, si fa riferimento a quello che è definito “ritmo”. Se il tempo, nella sua accezione generale definisce un periodo o percorso cronometrabile, il ritmo teatrale, s’interessa particolarmente di quel tragitto artistico/temporale che, attori, danzatori, tecnici della scenografia, musicisti, perfino costumisti, devono avere nella stesura di un evento performativo. Chi, da tempo, segue le mie evoluzioni artistiche sa perfettamente come il mio teatro sia espressamente legato all’uso della “voce del corpo” e al “corpo della voce”. Per essere ancora più chiari alla presenza, nello spazio teatrale, di uno o più attori abili a comunicare in modo totale (corpo e voce) il messaggio artistico che s’intende trasmettere. Un lavoro complesso specie quando, sulla scena, agiscono più personaggi che costringono il pubblico a pilotare la propria attenzione non sulla scena nella

sua completezza ma a incanalare la loro concentrazione magari su uno o due degli attori. In questa metodologia, tipica del teatro di ricerca e di sperimentazione, il ritmo o tempo teatrale diviene elemento determinante per la riuscita della performance. Giova, a questo punto un esempio chiarificatore. Nello spazio scenico vi sono da un lato un attore/attrice che racconta una storia, magari confida segreti della propria vita. Dalla parte opposta vi sono degli altri attori che, in contemporanea parlano o agiscono tra di loro. Il racconto/testimonianza interrompe l’azione complessiva.

Umberto Binetti

Attore e regista dal 1974. È il direttore artistico e pedagogo di QUARTA IPOTESI – Performing Arts Center uno dei gruppi storici del teatro di sperimentazione italiano. 6

Cosa accade? E come fare in modo che, pur nella libera scelta dello spettatore che si sentirà più attratto dalle


azioni complessive del gruppo e non dall’attore/attrice monologante o viceversa, la scena complessiva abbia un tempo/ ritmo capace di coinvolgere l’intero pubblico? Bene. Tutto è nel tempo/ritmo. Nella musica di sottofondo che per esempio, accompagnava la scena e che, improvvisamente, zittisce; o da movimenti del gruppo che repentinamente diminuiscono d’intensità; o da un cambio di luci che pone in maggiore visibilità l’attore/attrice monologante. E, su tutto, un’improvvisa pausa, un silenzio, magari di brevissimo tempo, che interrompe il flusso complessivo della scena. Una pausa che, come tutti i musicisti sanno, altro non è che parte di uno spartito musicale. Il tempo diventa elemento determinante.

Sbagliare i tempi è come un’improvvisa stortura in un brano musicale. È come un percussionista che, preso da improvvisa pazzia, decide di inventarsi un assolo nel bel mezzo di un brano prestabilito. Concludendo mi verrebbe da dire che per acquisire le tecnologie attoriali di tempo ce n’è. Per capire cosa sia, invece, il ritmo/tempo nel teatro bisogna fare in fretta, altrimenti il lavoro a venire potrebbe finire per essere inutile.


Poesia

Il rito... della vita Pensieri, aforismi e parole.

IL RITO Tra me e mio padre c’è una porta. Tra me e mio padre c’è una porta chiusa a chiave. Spio la sua vita da una serratura onirica. Lo vedo camminare col suo abito più elegante con passo sicuro e frettoloso. Il caos del suo inconscio mi ghiaccia. Mi percepisce. Si volge assicurandosi della mia presenza nel mondo, e che la mia presenza nel mondo sia ricordata. Rifletto in una pozzanghera, incontro me trent’anni fa e severa mi chiede il perché del mio ritorno. Dalle mie viscere risalgono i pesanti calori di reminiscenze infantili, fatte del profumo di buccia d’arancia bruciata sulla stufa a carbone della casa paterna, e la musica della banda del paese nei giorni di festa. Il cappello di mio nonno poggiato sul banco del barbiere. Le bolle di sapone. I cani randagi affamati dietro le vetrine delle sale da tè. Le castagne della nonna all’angolo della piazza. Il fotografo con la polaroid. Autunno prende per mano Infanzia riportandola nella pozzanghera. di Arcangela Cicolecchia

Che strano, tutti parlano del tempo, ma nessuno fa niente per cambiarlo. Mark Twain Alla sapienza non si può nuocere; il tempo non la cancella; nessuna cosa la può sminuire. Seneca Anche per il pensiero c’è un tempo per arare e un tempo per mietere. Ludwig Wittgenstein Chi tempo ha e tempo aspetta, perde l’amico e denari non ha mai. Leonardo Da Vinci 8

VITA Dolore svalutato ...a semplice abuso dei metri. Abisso reale di speranza fortuita, strappata malinconia dai tempi inesauribili. Versare versi, come lacrime su roccia avida d’ombre, e ad ogni passo nutrire di rarefatto amore rigagnoli di sangue affannato. E svuotarsi, in sogni iridati di forme disidratarsi al liquido suono del mondo, nell’infinito bisogno d’amarti, conchiglia di mare, vellutato specchio dell’essere mio, da troppo tempo oramai solitaria, totale presenza di giorni solamente vissuti a cercarti. di Cosmo Mario Andriani


Quanti Improbabili Stage di formazione parateatrale

Luogo Gravina in Puglia (Ba) presso la sede ARCI Muretti a secco in Via C. D’Alonzo,13 Durata 4 ore settimanali per 2 mesi (32 ore) Periodo Marzo-Aprile 2011 Costo 75 € al mese

Info e modalità di iscrizione: www.arcimurettiasecco.it/qi

Il corso sarà tenuto dal M° Umberto Binetti. Attore e regista dal 1974. Allievo di Eugenio Barba e direttore artistico di QUARTA IPOTESI - Performing Arts Center, uno dei gruppi storici del teatro di ricerca italiano. Dal 1980 ad oggi ha curato oltre 80 stage di formazione attoriale e la regia di 28 eventi teatrali.

Lo stage è rivolto anche a chi non ha mai avuto esperienze nel settore dello spettacolo. Il progetto è finalizzato - attraverso uno specifico tragitto laboratoriale - alla realizzazione di un evento teatrale riveniente da un testo drammaturgico predefinito. L’intero progetto prevede tre distinti moduli/momenti di lavoro tra di loro interdipendenti: ● Training ● Nel training si lavorerà essenzialmente su metodologie finalizzate ad incanalare tutta l’energia espressa dal corpo/attore, senza che essa si disperdi e non riesca ad ottenere l’elemento essenziale del nostro lavoro: l’attenzione dello spettatore. ● Le prove ● Questa fase è finalizzata essenzialmente alla costruzione di una struttura: la creazione cioè di “paletti” (limitazioni) al lavoro energetico prodotto dal training. Il testo drammaturgico incomincia ad avere una specifica collocazione nel tragitto laboratoriale. ● Lo spettacolo ● L’uso dello spazio creativo e lo studio del sottotesto sono il nucleo centrale di questa fase. Nel nostro “fare spettacolo” l’idea dello spettatore viene posta al centro dell’attenzione. Egli non è un osservatore. Egli è, o meglio diviene, nell’evoluzione dello spettacolo e per la capacità dell’attore di trasmettere, un attore (player) potenziale.


Letteratura

di Vito Antonio Loprieno - Scrittore

Il mare di lato Il passato rivive ogni giorno perché non è mai passato. “Il passato rivive ogni giorno perché non è mai passato.” Così recita un antico proverbio africano. Di quell’Africa, a sud del mondo, da cui tutti siamo venuti. Ed in effetti il passato non ci lascia mai. Lo portiamo dentro di noi, sempre, anche se molto spesso lo disconosciamo, illudendoci del futuro. Rinnegare il passato significa rinnegare noi stessi, la nostra storia, la nostra cultura, le nostre tradizioni, le nostre frustrazioni, le nostre conquiste. Ed è per questo che amo raccontare romanzi storici della bellissima terra, a sud dell’Europa. Un altro sud. Lo stesso sud. Il mare di lato, il mio nuovo lavoro, vuole essere proprio questo, una testimonianza di quello che il mare nel novecento ha rappresentato per noi pugliesi.

Due anziani, nuovi amici, rileggono attraverso lo scorrere del tempo le vicissitudini che hanno coinvolto i pescatori dell’Adriatico, dal fascismo, passando per la seconda guerra mondiale, sino all’emigrazione sulle coste pugliesi di albanesi e nordafricani. E fanno ciò ripercorrendo la storia della loro vita e delle loro famiglie. Lo fanno sotto gli occhi di un gabbiano, un essere immortale che volando di costa in costa lungo il Mediterraneo, ruba agli uomini le storie da tempo immemore. Divenendo, così, l’unico testimone di quelle storie minori che non si leggono sui libri di scuola, ma che rappre-

L’Autore Vito Antonio Loprieno, nato a Monterotondo di Roma ma di origini familiari baresi, ha vissuto sino a 16 anni a Matera. Narratore innamorato della cultura popolare meridionale, Antonio svela il grande amore per la sua terra, mentre fa capolino tra le pagine del racconto la sua passione per la cucina pugliese. Dopo il successo editoriale del precedente romanzo Lorodipuglia (Il Grillo Editore, 2010), dedicato a contadini e masserie di Puglia, non poteva mancare l’altra faccia di questa splendida regione, il mare e le sue genti. Un viaggio tra le onde delle emozioni più vive. 10

sentano al meglio il nostro passato, attraverso il quale poter costruire un futuro, né nuovo, né migliore, semplicemente un futuro altro. E così impariamo che la storia si ripete, cambiano gli uomini, la loro origine, cambia il colore della loro pelle, ma la rappresentazione è sempre la stessa. Così per Aurelio partito da Ceglie Messapica prima della guerra alla volta di Milano, alla ricerca di un lavoro, semplice e dignitoso. Così per Amadou Dior, ventiquattro anni, senegalese, fuggito dal deserto del Sahel, e approdato involontariamente sulle coste Italiane. Due uomini così diversi, eppure così uguali, che spe-


rano in un futuro altro da quello che appare già scritto indelebile sulla sabbia. “Ho visto il mare in una lacrima ed ho capito” dirà Aurelio all’amico Francesco, comprendendo solo dopo settant’anni della sua vita le ragioni del mare, il suo grande cuore. Quel mare che a poco a poco stiamo uccidendo, sfruttandolo e avvelenandolo, dimenticando che egli è una creatura vivente, che ci ha dato la vita. Una mamma grande e sconfinata che genera amore, dalla notte dei tempi del genere umano. Ma non per sempre e il lento scorrere del tempo ce lo dimostra. Il mare così come lo conosciamo non sarà per sempre e tanto meno l’uomo, destinato a pagare i propri errori, le proprie debolezze, le sue misere vanità. Eppure, oggi, il mare nostro è ancora lì. Percorrendo con un Intercity la ferrovia che da Bari porta a Pescara ci accompagna il mare di lato. Sempre lì. Rassicurante. Sembra proteggerci accarezzando il nostro fianco. Speranzoso che l’uomo rinsavisca e si decida attraverso il sentimento della condivisione di provare a vivere in armonia con se stesso e i propri simili, rispettando la natura e amando il mare. Quella condivisione che allontana gli uomini dalle bestie, in questo lungo viaggio intrapreso dal genere umano. Anche per chi non crede fa bene ricordare le parole di Gesù “Siate viandanti nella società dei sedentari, perché la strada è il luogo della speranza e il viandante è l’uomo della speranza”. Parole che vengono da molto lontano, ma il passato rivive ogni giorno perchè non è mai passato. Tempo ce n’è. Per un’altra vita.

...il gusto di amare

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Agronomia

di Paolo Direnzo - Agronomo

I Patriarchi della natura L’importante significato culturale dei grandi alberi. Sono stati protagonisti dei miti, delle cosmogonie, delle visioni del mondo. Un motivo ci sarà? Essendo esseri viventi, facilmente diventarono simbolo del cosmo, dell’universo inteso come organismo; infatti, ad oggi, alcuni studiosi riconoscono agli alberi una sorta di cervello, e quindi comportamenti. Ricordiamo gli alberi sacri dedicati alle divinità, ad esempio, presso i Germani, la quercia al dio Odino, come presso i Greci a Zeus; il tiglio

alla dea Freia. Gli alberi, inoltre, e in modo particolare gli esemplari più grandiosi, i Patriarchi dunque, suggestionarono i nostri antenati per la stabilità, le dimensioni, la forza, la consistenza del tronco, il doppio ruolo di creature telluriche, con le radici ben ferme nella madre terra e nello stesso tempo celesti, con la chioma, aerea nel cielo. In particolare i Patriarchi arborei, furono confermati e rafforzati nel ruolo simbolico della cosmicità,

della spazialità, dell’essere. Così essi furono simbolo di vitalità, potenza, saggezza e rappresentarono l’essenza della vita con la capacità, che in antico apparve suprema magia, di trasformare luce solare ed elementi chimici in ossigeno e zuccheri, essenziali per gli animali, uomini compresi.

Agli alberi si associa la foresta, a sua volta simbolo del Cosmo e come tale, ora demonizzata, ora sacralizzata a seconda del percorso storico e ideologico dell’uomo. Gli alberi sono certamente fonte di salute neuropsichica, con il loro mantello verde che regola le funzioni neurovegetative. L’Associazione dei Patriarchi della Natura www.patriarchinatura.it studia da anni questo meraviglioso mondo vegetale, raccogliendo documenti e informazioni sui vecchi alberi d’Italia e svolgendo attività rivolte alla tutela e alla miglior conoscenza di questo straordinario patrimonio naturale. Nel tempo è stato realizzato un archivio, che viene aggiornato periodicamente, nel quale

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Curiosità L’albero più vecchio del mondo è svedese: una conifera sempreverde che ha 8.000 anni. A farne la stima è stato Leif Kullman nel 2009, un botanico dell’Università svedese di Umea. Secondo la sua età quest’albero sarebbe cresciuto quando i ghiacci dell’ultima glaciazione si stavano ritirando, e supererebbe quelli che fino ad oggi erano ritenuti i più vecchi come Matusalemme, un pino che si trova vicino Las Vegas che ha un età stimata intorno ai 5.000 anni. Ma nel resto del mondo ci sono altri alberi con migliaia di anni, ed è nota una zona in Iran dove c’è un cipresso di oltre 4.000 anni, e in Cile dove ne è stato censito uno di circa 3.600 anni. Altri arbusti di 2.000 o 3.000 anni sono abbastanza diffusi nel mondo, e in Italia il Corpo Forestale dello Stato ne ha trovati circa 150. Il più anziano del nostro Paese è un olivo selvatico che si trova in Sardegna in provincia di Sassari ed ha 3.000 anni. (fonte: focus.it) sono oggi memorizzate circa 6000 piante ritenute di notevole interesse per le loro caratteristiche di età, dimensione, rarità o per l’elevato valore scientifico, ecologico, storico o paesaggistico. Chiunque voglia segnalare alla Associazione la presenza di patriarchi arborei lo può fare. Tale contributo è un’importante attività per preservare e tutelare un patrimonio storico che, se perso, non si potrebbe più recuperare. Ma come è possibile calcolare

l’età di un albero? Semplicemente contando gli anelli visibili sulla sezione di un tronco di albero tagliato, infatti ciascun anello rappresenta un anno di vita. La dendrologia e in particolare la dendrocronologia studia lo sviluppo nel tempo degli alberi: ci fornisce pertanto, grazie allo studio degli anelli, la data degli avvenimenti storici della pianta. Ogni anello infatti porta una particolare informazione: condizioni climatiche negative producono infatti anelli molto stretti, mentre buone condizioni producono degli anelli molto larghi. I punti di riferimento per la datazione possono essere gli anni di clima eccezionale. Periodi di siccità, piogge abbondanti, fuochi, attacchi di insetti o malattie, ferite, tagli, inquinamento atmosferico e altre avversità lasciano la loro traccia negli anelli di crescita dell’albero. Gli alberi sono

degli indicatori biologici senza pari, i loro anelli di crescita ci dicono molte cose su come è cambiato il nostro ambiente. Ogni anno, in ogni albero, appaiono nuovi anelli di crescita. Più un albero è grosso più è vecchio.

Gli alberi sono la nostra memoria e per questo bisogna in tutti i modi preservarli e, perché no, anche incentivare la loro piantumazione, in modo da segnare nel tempo un evento degno di essere ricordato. Quindi il ricordo di una nascita o una speciale ricorrenza potrà essere mantenuta nel tempo grazie alla presenza di un albero che forse un giorno potrà diventare un “Patriarca della Natura”. 13


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Fotografia

di Cosmo Mario Andriani - Fotografo

Fotografia e sistema La Fotografia è una necessità intimamente vissuta da rispettare con fermezza. “Per me che uso la macchina fotografica è interessante uscire dal piano orizzontale della realtà, avere la possibilità di un dialogo stimolante perché le immagini abbiano un respiro irripetibile. Riscrivere le cose cambiando il segno, la conoscenza abituale dell’oggetto, dare alla fotografia una pulsazione emozionale tutta nuova. Il linguaggio diventa traccia, necessità, spirito dove la forma si sprigiona non dall’esterno, ma dall’interno in un processo creativo. […] Prima di ogni scatto c’è uno scambio silenzioso tra oggetto e anima, c’è un accordo perché la realtà non esca come da una fotocopiatrice, ma venga bloccata in un tempo senza tempo per sviluppare all’infinito la poesia dello sguardo che è per me forma e segno dell’inconscio. Il linguaggio è così la coscienza espressiva interna che ha accarezzato la realtà pur rimanendo fuori, è l’attimo originale, testimone di una realtà tutta mia, un prelievo fatto sotto la pelle dell’oggetto, guidato fuori dalle regole per una libertà che è anche allargamento alle possibilità del reale.” [1] Mi riaggancio alla testimonianza del Fotografo Mario Giacomelli per porre a tutti - fotografi e non - una domanda. Avere mai provato un “dum al 16

cuore” – per esprimerla alla maniera dell’amico regista teatrale Umberto Binetti – quando siete avvinghiati dal silenzio/rumore di una collina che state fotografando? Avete mai sentito anelli invisibili circoscrivere voi e la persona a cui state scattando un ritratto, prima del click finale che tutto svuota, ricaricando, assieme all’inevitabile maccanismo dell’otturatore, una tensione nuova? Credo che la risposta a tutto questo sia palese. Vlem Flusser, docente di Filosofia della comunicazione all’Università di San Paolo in Brasile, scrive così: “Se le immagini dovessero essere decifrate, bisogna tener conto del loro carattere magico. È un errore decifrarle come se fossero «elementi congela-

ti». Sono, al contrario, traduzioni di eventi in situazioni: sostituiscono le scene agli eventi. Il loro potere magico è dovuto alla struttura di superficie, e la loro dialettica inerente, le loro contraddizioni interne, devono essere valutate alla luce della magia di cui sono dotate.” [2] E allora viene spontaneo chiedersi: quale rapporto ha oggi la Fotografia con il nostro “sistema”? A mio avviso la Fotografia non può essere banalizzata in circoli da allegra scampagnata o da foto in cui gli elementi portanti diventano semplicemente culi e tette. La Fotografia è una necessità intimamente vissuta, da condividere con delicatezza, da rispettare con fermezza. La Fotografia è anche una disciplina in continua evoluzione e stupidamente arrogante si dimo-

Foto di Cosmo Mario Andriani


stra chi non è spinto dalla curiosità, o peggio, teme di apprendere il suo continuo cammino tecnologico fermandosi semplicemente a commentare test e prove di nuovi apparecchi fotografici e obiettivi. In parole povere, per dirla alla maniera di Roland Barthes: “La società si adopera per far rinsavire la Fotografia, per temperare la follia che minaccia ad ogni istante di esplodere in faccia a chi la guarda. Per far questo, essa ha a disposizione due mezzi. Il primo consiste nel fare della Fotografia un’arte, giacchè nessun’arte è pazza. […] L’altro mezzo è quello di generalizzare, grearizzare, banalizzare la Fotografia al punto che di fronte a lei non vi sia più nessun’altra immagine rispetto alla quale essa possa spiccare, affermare la sua specialità, il suo scandalo, la sua follia. Questo è appunto ciò che accade nella nostra società, in cui la Fotografia schiaccia con la tirannia le altre immagini: niente più stampe, niente più pittura figurativa, se non ormai per affascinata (e affascinante) sottomissione al modello fotografico. Osservando gli avventori di un bar, qualcuno mi ha detto giustamente: «Guarda come sono spenti; al giorno d’oggi, le immagini sono più vive delle persone». Uno dei segni distintivi del nostro tempo è forse questo rovesciamento: noi viviamo conformemente a un immaginario generalizzato”. [3] A noi la libertà di scegliere quale delle due strade intraprendere. [1] Lorenzo Cicconi Massi, Mi ricordo Mario Giacomelli, DVD Ed. CONTRASTO, 2011. [2] Vilem Flusser, Per una filosofia della fotografia, Ed. Agora Editrice, 1987. [3] Roland Barthes, La camera Chiara - Nota sulla fotografia, Ed. Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino 1980 e 2003.

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Nuova Letteratura

di Marisa Carlucci - Scrittrice

Nodo Gordiano Aver fiducia che abbiamo ancora tempo è l’atto di una presunzione. Quasi sempre la letteratura costituisce una “sintesi” organica dell’anima e del pensiero d’un popolo, ovvero uno specchio della società di quel popolo in un tempo definito. In un periodo come quello da noi vissuto riteniamo legittimare la nascita di una “nuova letteratura” capace di leggere i nostri pensieri come nel testo che vi apprestate a leggere. (nde) Tempotempo... temporali, come i poteri che scomunicano, poeti maledetti. Le religioni ci hanno insegnato la morte e segnato il futuro. Un futuro che passa il giorno in una frettolosa notte e che ci preoccupa nel suo secondo... fine... di vivere. Ho molta difficoltà nel pensare alla vita come movimento, foss’anche una pellicola di un film ma che in realtà, nella sua struttura, altro non

è che una successione d’immagini fisse. In una logica diversamente matematica si potrebbe scomporne i fotogrammi in un disegno disumano. E allora il tempo? Primadopodurante. L’affanno nell’ordine. Tempo=spazio/velocità. È così che definiamo il nostro destino, come qualcosa di misurabile e ancor peggio apprezzabile solo se si ha un luogo matematico in cui correre a sua misura. Ho un aspetto che attende di essere vecchio, ho una voce che suona ma senza verbo... come il tempo che sarà. Lo sapevate che il moto di rivoluzione della terra è così chiamato per un tale Copernico che spodestò un certo Tolomeo? Geniale. Da quel momento in poi tutti gli uomini iniziarono a correre, a correre. Proprio come fan-

Foto di Cosmo Mario Andriani 18

no al circo taluni equilibristi sopra un grande pallone; con la differenza che l’equilibrista è consapevole di essere un circense mentre l’uomo si ostina a voler scoprire dove finisce il cerchio. È un movimento simile a quello del ‘68 quando una tale generazione rivoluzionò un certo sistema, apparentemente piatto, mettendo in moto un meccanismo che tanto assomiglia a un pensiero circolare dal quale vedo assai improbabile uscirne. Bene. Abbiamo scomodato frantumi di fisica storia religione matematica. Sapete, il tempo è tiranno e ho le lettere contate per pensare all’eterno, per ricordare l’uomo, per raccontare di un passato che è un tempo certo. Chiederci se c’é ancora tempo è pari alla domanda quando è nato l’uomo. Aver fiducia che abbiamo ancora tempo è l’atto di una presunzione. A volte ho talmente i pensieri addosso che mi chiedo se esista un tempo per vivere e un tempo per morire. Più che altro mi chiedo della sua successione logica e in quale atto conviene indirizzarsi. È come un nodo gordiano nell’intricato vivere per morire oppure morire per la vita. Anche oggi è un altro domani e ciò che ho scritto ieri è sempre più presente nel desiderio che sia passato.


CONVENZIONI

La tessera ti dà diritto a partecipare a tutti gli eventi e le attività dei circoli e delle strutture ARCI presenti su tutto il territorio nazionale e beneficiare di molte convenzioni per tutto l’anno 2012. Sul territorio di Gravina le attività convenzionate sono: Cinema SIDION Via Bari, 33 Biglietto ridotto escluso sab e dom Il Grillo Editore Via San Vito Vecchio, 8 30% sui libri acquistati in sede o sul sito www.ilgrilloeditore.it Parrulli Vincenzo Libreria Via Matteotti, 26 10% sui libri escluso scolastici Overdrive Music Center Via Genova, 13 10% su tutta la merce Teatro Vida Via Giardini, 72 10% sul biglietto d’ingresso spettacoli Agenzia Viaggi Silvium Piazza A. Scacchi 5% su determitate tipologie di viaggio Pietre di Scarto Via Matteotti, 46 10% escluso generi alimentari

Il rinnovo della tessera non è un atto di mera burocrazia o di gestione, ma è il sostegno ad un progetto, la condivisione di valori e pensieri comuni e la conferma di voler contribuire alla prosecuzione di un ambizioso percorso collettivo. Contribuire con la sottoscrizione significa rendere sempre più forte il nostro circolo, arricchirlo delle proprie idee e competenze e a far sì che tutte le attività e le iniziative continuino a smuovere le coscienze dei cittadini.

Pc&T di Testini Giuseppe & C. Via Punzi, 52 10% escluso Notebook

Gli aggiornamenti e tutte le nostre iniziative su

Via Canale D’Alonzo, 13 Gravina in Puglia (Ba) www.arcimurettiasecco.it


Cinema

di Manuela Coluccino - Art Director stART

Il “ritmo” dei film La vera magia.

Il ritmo di un film è la linfa che lo sostiene, o al contrario, la fragilità che lo uccide, perchè nasce dalla somma di tutte le sue componenti e in fondo ne è la sintesi. Verrebbe spontaneo pensare che il ritmo sia una caratteristica peculiare del mon-

taggio, ma è vero solo in parte... è qualcosa di più complesso, ma anche di più semplice. Facciamo un esempio musicale: per un batterista avere balance vuol dire suonare sul tempo ma con il tempo, non vuol dire scandirlo, ma esserne parte; se

ha balance (che ovviamente non si impara, ma si ha) è in grado di sostenere senza sforzo anche la musica più pesante, di farla volare. Perciò un film che ha balance ti trascina nel suo tempo e ti porta con sè. Due maestri del ritmo: James Cameron e Akira Kurosawa. Terminator, Aliens, True Lies, Titanic, come Rashomon, I sette samurai, Dersu Uzala, sono film con un balance straordinario. Cameron è un narratore chiaro: non fa inquadrature strane, ma quello che rende i suoi film così coesi e trascinanti è proprio il ritmo implacabile. Lo stesso vale per Kurosawa, che ha composto le sue sinfonie su ritmi lenti, che non vuol dire avanzare come una lumaca, ma semplicemente essere con il tempo!

Escludendo i film sperimentali, tutti gli altri hanno bisogno di un giusto ritmo che li sostenga, anche quelli che vengono definiti poetici o d’autore, e perfino quelli realizzati con il preciso intento di sovvertire le regole o di infischiarsene del tutto. Ma quali sono gli elementi che determinano il ritmo di un film? Più o meno tutti, anche se 20


è evidente che alcuni sono più determinati di altri. Ovviamente il montaggio è uno di questi, ma anche la recitazione degli attori e la sceneggiatura.

Viaggio nel tempo... attraverso effetti speciali

Se una sceneggiatura non ha ritmo, il regista e il montatore dovranno fare i salti mortali per cavarne fuori un film decente. La percezione del ritmo di un film possiamo definirla con chiarezza solo dopo averlo visto interamente. Se un film precipita nel finale, la catastrofe avrà conseguenze retroattive su tutto ciò che abbiamo visto fino a quel momento, fino a spingerci a ricordare ogni cosa sotto un’altra luce. Anche una meravigliosa impennata finale è retroattiva: illumina tutto ciò che si è lasciata alle spalle. Pensate a Le ali della libertà di Frank Darabont, il film carcerario dove Tim Robbins è il bancario ingiustamente condannato: quel finale sorprendente e liberatorio trasforma letteralmente tutto ciò che abbiamo visto prima. La nostra percezione del ritmo globale del film ne viene stravolta. Eppure, anche se iniziamo a vederlo dalla metà, il ritmo imiplacabile delle sequenze ci trascina con sè, ci spinge a seguire la storia di quell’uomo incarcerato e del suo amico nero. Dice un proverbio del cinema: “Da un’ottima sceneggiatura si può tirar fuori un pessimo film, ma è molto difficile fare il contrario.” Le storie devono andare avanti, non si possono fermare o tornare indietro. Tratto da: Paolo Morales, Narrare con le immagini, Ed. Dino Audino editore, 2008

Tutto ebbe inizio nel 1894 in Francia, grazie al rivoluzionario dispositivo dei fratelli Lumiere, chiamato “Cinematografo”. I due fratelli non riconobbero il grande potenziale che il cinema poteva avere sulle menti della gente, ma la persona che aveva visto nel cinematografo un enorme potenziale, fu il francese orologiaio, inventore e popolare mago G. Mèliès, che creò un nuovo dispositivo, basandosi sul prototipo dei fratelli Lumiere. Le qualità che Mèliès possedeva erano la sua grande esperienza come illusionista e mago da palcoscenico. Ormai l’incantesimo del cinema stava stregando tutto il mondo, nuovi artisti e tecniche nascevano a vista d’occhio. In California il regista D.W. Griffith fondò la sua compagnia cinematografica dando vita ad Hollywood. La nuova generazione di cinematografi richiedevano, degli effetti visivi sempre più sofisticati ed elaborati in relazione con le loro sceneggiature e storie. Nacque così una nuova tecnica cinematografica, il “Matte Painting”, che aggiungeva alla scena reale un fondo dipinto che estendeva il set. Molti artisti contribuirono a creare luoghi inimmaginabili e panorami mozzafiato. L’Industria del cinema si dimostrò una macchina inarrestabile che aveva sempre più bisogno di sbalordire nacque così lo “Schermo Verde”, che permette di sostituire digitalmente lo sfondo. L’utilizzo di questa tecnologia è stata applicata al film Guerre Stellari (1977) per costruire i suoi splendidi scenari. Un altro esempio che rappresenta uno dei film più straordinari ed importanti nella storia degli effetti speciali è la trilogia del Il Signore degli Anelli (2001-2003) dove i protagonisti ed i luoghi di questo racconto epico sono ambientati in una terra fantastica e incantata. L’ultima frontiera raggiunta in ambito visivo è stato il 3D, che ha superato la barriera spaziale dello schermo per immergere fisicamente lo spettatore nella storia. Il film che per eccellenza ha utilizzato il 3D e altre tecniche come Motion Capture, è Avatar (2009). Gli effetti speciali da quando sono nati, hanno sempre giocato un ruolo di estrema importanza nella storia del cinema, ci portano oltre la realtà permettendoci di navigare attraverso il tempo e lo spazio, per poi approdare in magici ed incantevoli mondi, facendoci evadere anche se per poco, da questo mondo un po’ privo di magia. Mario Pace 21


Comunicazione

di Teresa Fiengo - Associazione TerraMadre Esperta in comunicazione pubblicitaria

Concezione del Tempo “Camminai per le tristi strade del tempo umano.” Jack Kerouac Così parlò Kerouac del tempo umano... che poi cosa sarebbe il tempo? La concezione comune e occidentale del tempo è sicuramente diversa e cambiata con il passare degli anni (appunto...), nelle civiltà e tra i popoli. Se pensiamo al tempo, comunemente lo associamo ad una linea retta che da una parte ha

il passato, dall’altra il futuro e al centro il presente. Sarebbe bello, in un certo senso, vivere nel presente, fare tesoro del passato e di tutte le esperienze che ci hanno portato ad essere le persone che siamo attualmente e non pensare al futuro o perlomeno pensarci con spirito positivo. Il tempo cambia il nostro vivere quotidiano

Un po’ di storia... Gli scrittori beat furono dapprima un piccolo gruppo di amici , e soltanto più tardi divennero un vero e proprio movimento. La Beat Generation letteraria comprende un numero relativamente ristretto di scrittori, orbitanti intorno alla Columbia University di New York nella metà degli anni quaranta, e rimasti grandi amici, incoraggiandosi continuamente l’un l’altro circa le proprie capacità letterarie. Dovettero passare altri dieci anni, quando negli anni cinquanta gli editori cominciarono a prendere sul serio il loro lavoro. La Beat Generation era costituita da un piccolo gruppo di scrittori adulti, con sede a New York o nella zona della Baia di San Francisco e strettamente correlati all’industria editoriale. 22

Jack Kerouac

Uno dei maggiori esponenti della Beat Generation

Spesso si pensa alla Beat Generation come ad un fenomeno degli anni cinquanta, ma il termine fu coniato da Jack Kerouac nel 1948, e successivamente divennne di dominio della pubblica opinione nel 1952 quando un amico di Kerouac, John Clellon Holmes, scrisse un articolo sulla nascente Beat Generation.

(pensiamo alle grandi invenzioni), il tipo di comunicazione e il nostro stile di vita.

Arriviamo ai giorni nostri in cui grazie ai passi da gigante fatti dalla tecnologia la comunicazione assume diversi significati e modalità. Nasce la comunicazione, sempre e ovunque, grazie a internet e a mezzi ad esso connessi come i-phone, smart phone ecc... collegati a social network, i quali a loro volta forniscono comunicazione a 360°, dai commenti alle chat. Altra forma giornalistica e comunicativa è la web tv che tende a dare informazioni e news sulla rete globale e si insedia trasversalmente nei social network e in tutto il world wide web. Per concludere pensiamo al tempo come lo scorrere di esperienze e l’acquisizione di nuove competenze per vivere al meglio il presente senza angosciarci, come sicuramente sentiva Kerouac quando ha pensato questa frase, pensando al passato, agli anni che scorrono, al futuro misterioso.



Musica

di Michele Marrulli - Percussionista

A tempo di musica Noi stessi padroni del nostro tempo!

Cos’è il tempo?... Lo scorrere degli anni, dei mesi, dei giorni, delle ore, dei minuti, dei secondi? O è il rendersi conto che qualcosa è passata e non si può più riprendere?... ai posteri l’ardua

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sentenza (menomale che ci sono loro che ci risparmiano un sacco di fatiche mentali...). Per quanto mi riguarda il tempo è qualcosa che ci appartiene, che è nostra, e dato che è no-

stra, solo e soltanto noi abbiamo il diritto di gestirla. Le mie considerazioni riguardo il concetto di tempo in relazione a quello che faccio ogni giorno, sono di natura sia teorico-musicale che filosofica. Spesso applico quella che è la suddivisione del tempo in una serie periodica di accenti, ma molte volte mi capita di fluttuare nel tempo in maniera “caotica” riuscendo a far sì che non sia più il tempo a racchiudere me, bensì il contrario. Divento padrone del tempo! ...et woilà! Inoltre credo che essendo questa un’azione semplicissima da compiere, ai tempi d’oggi sia più difficile da applicare e di conseguen-


za da cogliere. Cerco di essere più chiaro: l’arte in genere è figlia del tempo in cui si vive, per cui se noi viviamo in un periodo storico e in una società fondata sul sistema monetario, in cui l’unico obiettivo è il “sacrosanto” profitto, l’arte inevitabilmente è mercato.

Se il mondo in cui viviamo è caratterizzato dallo scorrere folle del tempo, la musica ne avrà sicuramente le stesse caratteristiche: ritmi frenetici e quadrati, durata breve ed effetto immediato. Umberto Galimberti ne I miti del

nostro tempo scrive: “Non ci sono più idee. Non ci sono più valori. Non se ne producono più. La passività e l’inerzia sembrano caratterizzare l’atmosfera del nostro tempo, dove l’impressione è che nessuno abbia una storia da scrivere né passata né futura, ma solo energia da liberare in una sorta di spontaneità selvaggia, dove non circola alcun senso, ma tutto si esaurisce nella fascinazione dello spettacolare.”. In conclusione la musica d’oggi viene creata per venderla - ed è anche giusto che sia così - perciò, secondo voi, per poter essere riconosciuto come grande artista nella nostra società, un percussionista quali caratteristiche dovrebbe avere? Ai posteri l’ardua sentenza? No! Ve lo dico io: deve essere superveloce, quasi una macchina da guerra, da non sbagliare un colpo, perfetto, disumano! Con l’unico limite che la sua “arte” non potrà perdurare nel tempo perché è semplicemente vuota, priva di un senso, di una storia, di pura vita. Ecco perché quando suono mi vien voglia di ingannare questo modo di vedere, ascoltare e sentire il ritmo facendolo sembrare caotico, senza un beat preciso... quando in realtà la pulsazione c’è ed è ben chiara! Si tratta solo di saper ascoltare, fermarsi un attimo e con calma prendersi tutto il tempo che si vuole, perché il tempo è nostro e di nessun altro.

In diretta tutti i giovedi dalle 21.00 alle 23.00 su

Radio Studio Uno FM 101.3

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PROGRAMMA RADIOFONICO di INTRATTENIMENTO ideato e condotto da Frank Defelice autore e interprete di vari personaggi in collaborazione con: Donatella Santo parte tecnica e redazionale Lucia Tullo collegamenti esterni Achille Granieri interprete di alcuni personaggi

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In apparenza due parole dissomiglianti con poco o nulla in comune. La prima. Ricorda un’immagine di lotta, conflitto, caos, crepanza del passato in favore del presente. La seconda. Evoca un’idea di miglioramento, progressione, trasformazione, bisogno di ri-scoprire. Ma... l’evoluzione e la rivoluzione sono i due atti successivi di uno stesso fenomeno: l’evoluzione precede la rivoluzione e questa precede una nuova evoluzione, generatrice di rivoluzioni future. Ogni trasformazione della materia, ogni realizzazione di un’idea, nel momento stesso del cambiamento, è ostacolata dall’inerzia dell’ambiente; il nuovo fenomeno non può realizzarsi se non attraverso uno sforzo tanto più violento o una fatica tanto più intensa quanto maggiore è la resistenza. Il filosofo tedesco Herder, parlando della Rivoluzione francese, diceva, appunto, “Il seme penetra nella terra e per molto tempo sembra morto; poi improvvisamente butta fuori il suo germoglio, sposta la dura terra che lo ricopre, fa violenza alla nemica argilla: eccolo diventare pianta, fiorire e maturare il suo frutto”. E il bambino, come nasce? Dopo essere rimasto nove mesi nelle tenebre del ventre materno, anch’egli riesce con violenza ad uscire, lacerando il suo involucro e, talvolta, uccidendo perfino la madre. Così sono le rivoluzioni: necessarie conseguenze delle evoluzioni che le hanno precedute.


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