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RAJAE BEZZAZ

Nata a Tripoli il 20 luglio 1989, da madre marocchina e padre berbero, Rajae Bezzaz, è una donna dall’innegabile e versatile talento che ha avuto la forza e la determinazione di essere artefice del proprio destino. Frutto di un melting pot culturale, innamorata del teatro sin da piccola, si avvicina al mondo della recitazione a Bologna, diventando conduttrice radiofonica e partecipando ad alcuni film. Grazie all’undicesima edizione del Grande Fratello, ottiene l’attenzione del grande pubblico per approdare ben presto a Striscia la notizia.

Integrazione, immigrazione, accoglienza e ospitalità, differenze culturali e ruoli della donna nella società, sono alcuni dei temi trattati nelle sue inchieste.

Il suo nome significa speranza e Rajae Bezzaz incarna in toto questa virtù, aiutando ad affrontare e a vincere ostacoli, sfide e pregiudizi.

Buongiorno Rajae, innanzitutto, grazie per la tua gentilezza e disponibilità. La tua vita è un esempio di integrazione tra diverse culture. Sei nata in Libia ma sei cresciuta in Marocco per poi trasferirti ancora bambina in Italia insieme a tua madre, a tua sorella e al tuo fratellino. Io credo che questa contaminazione sia stata la mia ricchezza. Sono stata fortunata a nascere in un luogo, crescere in un altro, abbracciare un’altra cultura, quella occidentale, mischiandole perché hanno molti punti in comune e anche tante diversità. Nel mio piccolo, ho voluto mischiarle prendendo il meglio da ognuna di esse. Crescendo, andando avanti con gli anni, mi sono sempre più accorta di quanto sia stato un regalo. Non è scontato, ma ho cercato sempre di farlo, con la speranza di poter donare, in futuro, ai miei figli ciò che mi è stato dato, arricchito e migliorato. E loro saranno il frutto di tutto quello che è stato tramandato dai nostri avi e da me, sommando il mondo che avanza e loro stessi.

Si è sempre più meticciati, ognuno di noi non appartiene solo ad un’unica cultura. Io penso che sia sempre stato così, ma forse non ce ne rendevamo conto e non lo comunicavamo apertamente. Siamo frutto dei miscugli storici che ci sono stati nelle varie epoche e tutto ciò che noi abbiamo non è mai puro, ma è contaminato, nell’accezione positiva: basta pensare al cibo, alla cultura, alle tradizioni, all’arte, alla musica.

Oggi più che mai, c’è un’urgenza di favorire la conoscenza che aiuta a valicare ogni confine, tratteggiando così percorsi di interazione e integrazione.

Fa parte dei nostri tempi. A volte, siamo talmente connessi, sempre più informati, ma in realtà c’è anche molta disinformazione, perdita dei pezzi, non riusciamo a concentrarci e una cosa smentisce l’altra.

Quello che io ripeto sempre è di immergersi nelle situazioni, di non farci bastare ciò che ci viene raccontato, di provare a raccogliere tutte le informazioni e alla fine di avere una propria visione, ma solo dopo aver testato e constatato, non per sentito dire.

Purtroppo, a volte, c’è un pregiudizio inconscio che è stato introiettato da un retaggio interculturale. Ti è mai capitato di ritrovarti a vivere in un ‘limbo’ tra due diverse culture, a non es- sere riconosciuta né da una né dall’altra?

Sempre. Non siamo né carne né pesce, forse tofu. Quando vado in Marocco, per loro sono italiana, come una turista e così rimani questo ibrido che nessuno riconosce, ma che è tipico delle nuove generazioni: non si ha un’etichetta. E questo ti consente di essere libero mentalmente e di adattarti alle situazioni. Se domani andassi a vivere in Giappone, molto probabilmente diventerei anche un po’ giapponese.

A Cannes, quest’anno ha partecipato con il suo primo film la regista franco-senegalese Ramata-Toulaye Sy. Con “Banel & Adama” ha voluto decostruire la visione dell’Africa, in particolare, quella del posto delle donne nella società. Tu come riesci a decostruire codici e a combattere luoghi comuni?

Lo faccio quotidianamente, per me ogni occasione è buona per dialogare e per far capire. Io provengo da una società matriarcale e i miei nonni, che sono i miei idoli, mi hanno insegnato una visione del mondo che non è classica. Il matriarcato lì è tangibile. È sempre stata mia nonna a condurre e il nonno aveva un grande rispetto per lei. Quando mia nonna era assente, se per caso qualcuno veniva a suonare alla porta, mio nonno chiedeva gentilmente di tornare quando ci sarebbe stata la padrona di casa. Quindi, quando parlano dell’uomo arabo come un oppressore assoluto, mi viene da sorridere. È una visione distorta, non corrisponde alla realtà al cento per cento. In ogni cultura esiste un’oppressione esercitata sulle donne, in diverse maniere, anche in occidente. Mi sono ritrovata mol- te volte a difendere i diritti di donne occidentali. Ho fatto molti servizi di denuncia, da situazioni gravi a quelle più leggere. Per esempio, contro le pubblicità che mostrano ancora stereotipi di donne… pensavo che queste cose fossero superate. Perché nell’immaginario collettivo del mondo arabo e islamico, nell’occidente le donne hanno già conquistato la libertà, ma poi toccando con mano ho visto che questo non è vero. Per questo motivo, mi impegno nel decostruire pregiudizi, sia sul mondo occidentale sia su quello arabo.

Credo che sia importante dare una visione veritiera della propria cultura, ed è quello che tu fai parlando dell’Islam.

Lo faccio parlando anche dell’occidente, della parte islamica orientale, perché anche loro hanno dei pregiudizi che io vado puntualmente a smontare. L’inclusione e la conoscenza devono essere reciproche, l’apertura deve essere reciproca, perché nessuno può dire sei in casa mia e fai ciò che ti dico io. Perché quello significa annientare le tradizioni e le culture altrui. Sicuramente ci deve essere il rispetto delle leggi sovrane per una buona convivenza, ma questo non deve assolutamente evirare la storia, le tradizioni di ogni Paese. Gli arabi non sono poi così lontani dall’Occidente.

Se ci si chiude, se si continua ad avere dei pregiudizi, diventa una sconfitta. Significa arrivare ai conflitti, alle guerre.

Mi è piaciuta molto la conversazione avuta con tua madre, dopo aver tagliato i capelli e aver bruciato l’hijab in segno di dissenso e protesta contro il regime, in memoria di Mahasa Amini e per difendere i diritti delle donne iraniane. Dopo quel terribile episodio, ho ricevuto molte critiche. Ritengo che una protesta sia giusta quando si parla di libertà. Ci tengo moltissimo a precisare questo. La redattrice che collabora con me è una ragazza che ha scelto di portare il velo, così come lo hanno fatto, in assoluta libertà, le donne della mia famiglia. Mia sorella lo ha poi levato perché sia in Italia che in Francia si è scontrata con le avversità nel mondo del lavoro e, a malincuore, ha preso questa decisione. Come hanno fatto tantissimi giovani, sono andata davanti all’ambasciata iraniana a Roma per protestare contro il regime che impedisce la libertà. Quando è andato in onda il servizio, molti mi hanno detto che mi sono venduta, che il velo non si deve bruciare e che ho voltato le spalle all’Islam, quando, in realtà, io sono musulmana libera e praticante. Per questo motivo ho voluto spiegare le mie motivazioni attraverso la video chiamata con mia madre, che era assolutamente inconsapevole del fatto che stessi registrando la nostra conversazione e che l’avrei poi pubblicata on-line!

Infatti, dopo un po’ mi ha telefonato e mi ha chiesto cosa stesse succedendo, perché molte persone le avevano scritto dopo aver visto il nostro video.

Con la spontaneità di quella video chiamata sono riuscita a raccontare la nostra storia, a narrare la verità e condividerla con le persone, per far loro capire le mie origini, che sono anch’io musulmana e il perché sono figlia della libertà di decidere, delle scelte libere ed è per questo che scendo in piazza a difendere la libertà di qualcun altro.

In Iran, purtroppo, la situazione non è ancora cambiata, vige un clima di terrore. La stilista che mi veste è iraniana e se ne era andata proprio per questa realtà. Vorrebbe rientrare, ma il rischio di mettere in pericolo la sua vita e quella dei suoi familiari è molto alto. C’è molta tensione e molte persone continuano a perdere la vita, soprattutto donne.

Il cambiamento è in mano a migliaia di donne che tutti i giorni, come piccole Morgane, fanno la loro guerra, spesso non viste, e qualche volta ci rimettono la vita. A febbraio, hai ricevuto il Women for Women against Violence “Camomilla Award”, premio ispirato al fiore simbolo di forza e solidarietà, per i numerosi servizi contro la violenza sulle donne.

È esattamente così. Quando sei vittima di violenze, hai la necessità di avere qualcuno al tuo fianco, a cui appoggiarti, che ti possa sostenere. Il ruolo delle diverse associazioni ed enti che si prodigano in tal senso è molto importante. A volte, si ha paura di parlare per le ritorsioni che si innesterebbero.

Ma dovremmo sempre avere il coraggio di denunciare. Sono stata molto felice ed onorata di ricevere questo Premio, soprattutto quando ho scoperto la vera natura della pianta di camomilla, la sua straordinaria capacità curativa, per la quale viene messa accanto alle piante malate. Che cosa meravigliosa! È un po’ quello che tento di fare con i miei servizi. Voglio ringraziare Antonio Ricci, tutta la mia squadra e la redazione di Striscia la Notizia, perché si mettono a disposizione del prossimo. Perché questo non è scontato. A volte, rischiamo molto e ci sono conseguenze anche per il programma. Ma noi continuiamo, “l’essenza” della camomilla ci motiva ad agire, tutti insieme, per aiutare chi ha bisogno.

Nel corso degli anni, tu hai sempre dato voce a chi non ne ha, accendendo i riflettori sulle minoranze e sui più deboli. Tra i tanti servizi, mi ha molto colpito quello che hai dedicato al cosiddetto “Divorzio alla marocchina” (https:// www.striscialanotizia.mediaset.it/video/ divorzio-alla-marocchina-famiglia-lasciatasenza-documenti_406195/).

Purtroppo, è un fenomeno molto diffuso. Accade che gli uomini, quando si stancano della donna, con la quale vivono qui in Italia, la riportano in Marocco, con la scusa di una vacanza, e poi la abbandonano senza passaporto, bloccandola lì insieme a figli anche molto piccoli.

Nel servizio abbiamo parlato di Ilham, un giovane donna, obbligata a sposarsi per le condizioni di povertà della sua famiglia di origine, che è stata abbandonata dal marito e lasciata da sola con tre figli, senza un euro in tasca. Pensa che per poterci telefonare ha dovuto vendere i suoi orecchini d’oro. Tutto questo mi ha straziato il cuore. Sono andata ad incontrare il marito, per chiedergli spiegazioni, ma lui mi ha risposto che non gliene importava nulla, ha preso l’aereo e se ne è tornato in Marocco, creando ancora più difficoltà ed ostacoli alla moglie. Alla mia domanda: “Ma non ti piange il cuore per i tuoi figli?”, lui mi ha risposto: ”Sono libero di fare quello che mi va.”

Io stessa ho vissuto un’esperienza simile: ci avevano bloccati in Marocco perché mio padre non voleva dare l’affidamento di noi figli a nostra madre. So benissimo che cosa si prova. Mia madre è sempre stata una donna di carattere e grande forza, ma penso a quelle donne che sono fragili, che vengono abbandonate in mezzo alle campagne, al nulla. Vorrei che ci fosse sempre qualcuno ad avere cura di queste donne. Quello che ho fatto e che faccio, è solo una piccola parte di quello che dovrebbe essere fatto!

Il nostro lavoro, quello di giornalisti, potrebbe tranquillamente terminare quando il pezzo è finito ed è andato in onda, ma non finisce lì, quello è solo l’inizio.

E questo ti fa onore. Quello che fai è di grande importanza e, come donna, te sono molto grata.

Nei tuoi servizi racconti spesso il ‘diverso’. Sono storie di migranti, che non hanno i diritti degli altri cittadini, di chi arriva da luoghi di sofferenza e di guerra per ricominciare a vivere: storie drammatiche di umanità dimenticata, in un Paese, troppo spesso, ingiustamente impaurito dal fenomeno migratorio. In realtà, il fenomeno migratorio c’è sempre sta- to. Avviene per sopravvivenza, nel momento in cui in un Paese non si intravede più un futuro. Forse, a breve, potremmo diventare noi stessi dei migranti, in conseguenza della crisi economica e il cambiamento climatico in atto. Dovremmo avere uno sguardo diverso sul mondo, dovremmo avere più cuore, perché, egoisticamente parlando, potremmo essere noi a ritrovarci in quelle stesse condizioni. Come vorremmo essere accolti? Come vorremmo vivere? Sicuramente in una maniera più consona ed umana.

Ricordo il servizio realizzato sulla tendopoli dei disperati nel centro di Roma, a due passi di Stazione Termini, situazione e condizioni che si registrano anche a Milano e in molte altre città. Davanti a queste situazioni, la gente reagisce spesso con l’indifferenza, osserva tutto questo come se appartenesse alla normalità. La loro non è una scelta, è una conseguenza. La responsabilità è di molti, a partire dalla società stessa. Non si può far finta di nulla! Non possiamo girare la testa dall’altra parte! Perché altrimenti diventiamo complici e ci saranno conseguenze nel futuro. Noi siamo frutto della storia passata. Io rimango fiduciosa, specialmente nelle generazioni future e nella loro maggiore sensibilità.

Con il tuo libro ‘L’Araba felice’, hai raccontato molto sulle tue origini culturali e religiose, ispirando coraggio a molte ragazze e donne. Ho scritto questo libro per raccontare una storia comune, dove ci si può rispecchiare e che speravo potesse donare il coraggio di combattere le proprie battaglie, di sognare e di continuare a credere nella vita e nel futuro. Mi hanno scritto in molte, ringraziandomi perché le mie parole sono state di grande aiuto per loro, nel rafforzarsi e nell’affrontare situazioni complicate. E a proposito di giovani, una ragazza ha persino scelto “L’Araba Felice” come argomento della sua tesi di laurea. È stata per me una grande responsabilità, ma alla fine il suo lavoro è stato molto apprezzato e io non posso che esserne felice!

Vorresti regalarmi alcune immagini del tuo passato, del tuo presente e di un tuo ipotetico futuro?

Come immagine del passato scelgo la casa di mia nonna, con i mosaici arabi. Ricordo il solaio, che all’epoca mi sembrava così immenso. La percezione di quello spazio si è poi ridimensionata tornandoci da adulta, ma la magia è rimasta quella di un tempo. Ogni volta che torno in quel luogo, mi vedo sempre bambina, rivivo la mia infanzia felice, con i nonni, elementi davvero importanti per la crescita dei bambini. Loro mi hanno insegnato i valori legati alla famiglia, la sincerità dei rapporti in generale e ad essere sempre corretta con il prossimo. Quello che sono oggi è merito loro. Per il presente scelgo uno scatto che mi ritrae combattiva, al servizio della verità e nel futuro mi vedo una donna anziana felice, saggia, con la stessa voglia di apprendere e conoscere, con un’apertura mentale a 360 gradi, che mi consenta di vivere in armonia, fugando ogni tristezza, cercando di trasmettere ai miei nipoti quello che i miei nonni hanno fatto per me e per il prossimo.

Il mio terrore è di perdere la voglia di vivere e di credere nel mondo, così com’è, con tutte le sue fragilità e difficoltà.

Non siamo venuti al mondo per vivere in un paradiso ma per migliorarlo e trasformarlo in un paradiso per noi e per gli altri. Spero che il futuro mi permetta di esaudire questo sogno.

Te lo auguro con tutto il cuore, e, a proposito di sogni, con chi ti piacerebbe trascorrere una giornata?

Vorrei passare una giornata con il Presidente Sergio Mattarella.

Inviamogli una richiesta immediatamente! Lo stimo profondamente. Mi piace la visione di chi ha vissuto in prima persona cambiamenti epocali. Vorrei appendere da lui molte cose, sono sicura che ne uscirei arricchita. Lo ascolterei senza interromperlo, cercando di carpire il segreto di come fa a gestire tutto.

Un tuo desiderio?

Spero di avere sempre le forze necessarie per crescere, sia umanamente che professionalmente. Sono convinta che il mondo possa riservarci ancora delle grandi sorprese e quindi voglio dire a tutti, anche a me stessa, di accogliere i cambiamenti in atto in questo periodo storico. Tutto ben presto si adatterà. Ci sono Forze Superiori che lavorano in sinergia, lasciamoci guidare. Non dobbiamo per forza essere maniaci del controllo. Siamo solo una minuscola parte di questo Universo: la vita è un’occasione e non una condanna.

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