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Fare Impresa, AITI —03/2017
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di Andreas Hugi e Pascal Ihle
©influence.ch
Cosa significa il termine digitalizzazione? Esistono tante definizioni quanti esperti. In termini puramente tecnici la digitalizzazione definisce la trasformazione di processi analogici in processi supportati dalle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni (ICT). Però la digitalizzazione è molto di più: modifica radicalmente il business, la tecnologia e la cultura in un’impresa e nel mondo, e questo in modo fondamentale. Quel che lei descrive in verità accade dall’avvento del primo PC. È vero. Sotto questo aspetto la digitalizzazione non è nulla di nuovo. È pero una novità il numero di persone che sono toccate dai processi digitali e la velocità con cui questi processi avvengono. Se oggi ad esempio si venisse a conoscenza dell’esistenza di una nuova applicazione per smartphone, capace di tradurre simultaneamente un messaggio vocale in Mandarino, nessuno si sorprenderebbe. Solo 5 anni fa sarebbe stata una notizia sensazionale. Oggi il progresso tecnologico non stupisce più nessuno. La nostra assenza di particolari emozioni nei confronti di simili innovazioni dimostra quanto onnipresente siano digitalizzazione e tecnologie. La magia delle nuove tecnologie, come il riconoscimento vocale o facciale, l’intelligenza artificiale, i robot o le automobili senza conducenti si è volatilizzata, fino al prossimo grande salto. Lei parla di una velocità crescente. Quali sono le ragioni alla base di questo fenomeno? Sicuramente il web. Inoltre oggi molte più persone hanno accesso a formazione e sapere rispetto a 20 anni fa. È altresì diventato molto meno oneroso produrre qualcosa di nuovo. Solo poco tempo fa un prototipo industriale o un’innovazione tecnologica necessitavano di molto più capitale; oggi i 16enni possono creare un nuovo facebook in un ristorante con la wifi gratuita. Cosa significa la digitalizzazione per i quadri dirigenti? Per loro è un’occasione grandiosa.
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Leonardo da Vinci: l’ultimo studioso che sapeva tutto
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COME SI TRASFORMA LA DIGITALIZZAZIONE
Ciò che non sorprende, poiché questo si legge in ogni manuale. Sì e malgrado ciò il cambiamento spesse volte non avviene perché dipende principalmente dall’approccio – esattamente come la visione del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Per i dirigenti la digitalizzazione è il momento più appassionante perché non devono soltanto gestire ma possono anche impostare. Anzi, dovrebbero farlo. Possono assumere una vera funzione di leader anche in un team piccolo. Ma bisogna volerlo. Per i quadri dirigenti che si accontentavano di evadere i compiti e conteggiare le ore, il futuro si prospetta più difficile. Come deve essere possibile questa impostazione? I dirigenti si lamentano della velocità e dell’aumento dei flussi di informazione. Impostare è una questione di approccio. Dietro a questo si nasconde la volontà di modificare attivamente qualcosa e il coraggio di provare qualcosa. La velocità è molto relativa. Da una parte non deve essere un ostacolo, perché il cambiamento digitale e tecnologico avviene comunque; dall’altra il cambiamento impone ai dirigenti di focalizzarsi maggiormente senza farsi distrarre dal flusso crescente di informazioni.
MANUEL P. NAPPO, DAL 2011 RESPONSABILE DELL’ISTITUTO SOCIAL MEDIA DELL’UNIVERSITÀ DI SCIENZE APPLICATE IN PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DI ZURIGO E DAL 2014 RESPONSABILE DEL CENTRO PER DIGITAL BUSINESS E DIGITAL BUSINESS MAS. NEL 2013 HA RICEVUTO UNA MENZIONE PER IL SUO CONTRIBUTO ALL’ISTRUZIONE QUALE “DIGITAL PIONEER OF THE YEAR”.
Le imprese svizzere sono pronte per questi cambiamenti? C’è una differenza tra amministrare e impostare. I primi sono i manager, i secondi sono gli imprenditori. Tuttavia non peroro solo nuovi Alfred Escher o Steve Jobs, ma anche persone che possono modificare e impostare qualcosa nel piccolo, perché sono curiosi e vedono una nuova opportunità. Il semplice gestire non è più indicato nella nostra epoca, è ormai inutile. Oggi è il momento di chi ha voglia di affrontare il cambiamento, di chi imposta e conquista. La Svizzera però è considerata avversa al rischio. Da tutte le parti risuonano le sirene per le quali gli imprenditori dovrebbero essere più coraggiosi, è davvero così? Io la vedo diversamente. Se volgiamo lo sguardo alla storia economica della Svizzera ci accorgiamo che è proprio il contrario. La costruzione della galleria del Gottardo è un progetto che portava con sé molteplici rischi, ma nonostante tutto è stato realizzato. La Svizzera è una nazione piena di imprenditori e pionieri che hanno creato cose grandiose. Pensi ad esempio all’industria delle macchine, degli orologi, della finanza, della farmaceutica o del formaggio. Queste donne e questi uomini ci devono essere oggi di esempio, proprio in questa epoca digitale. Erano imprenditori che non hanno avuto paura del cambiamento e delle cose nuove. Per me è emblematico Alfred Escher: negli USA lo si festeggerebbe alla grande, come Rockfeller. Qui invece siamo molto più moderati. Le imprese sono pronte ad affrontare queste sfide digitali? Come quasi sempre, ciò dipende soprattutto dai capi. Quanto margine di manovra concedono alla loro impresa e ai loro team? Gli attuali leader devono porsi una domanda fondamentale: se la digitalizzazione e le nuove tecnologie modificheranno in modo così radicale il nostro mondo – come molti studi ed esperti prevedono – quale sarà la strategia giusta? Impostare attivamente il cambiamento o permettere che quest’ultimo modifichi noi? In questa epoca frenetica, aspettare è sicuramente
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L’intervista
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Notizie in breve la scelta sbagliata. Dal momento che tutto comunque cambia, occorre il coraggio per sperimentare. Chi non osa non vince.
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Allora manca il coraggio. Non penso. Gli svizzeri hanno sempre la tendenza a sottostimarsi. La modestia è certamente una grande qualità, ma gli svizzeri dovrebbero comunque essere fieri delle proprie conquiste. La Svizzera è considerata da anni tra i paesi più innovativi al mondo; questo non è frutto del caso. Possiamo essere fieri di questo, fieri di questo spirito pionieristico e innovativo. In futuro dobbiamo però fare più squadra e rallegrarci dei successi delle nostre imprese. I grandi sfidanti oggi si chiamano Alibaba, Amazon o Facebook e non Migros o Coop, CS o UBS. Per me è importante incoraggiare le persone. Dico sempre che in termini di motivazione è meglio conquistare la principessa che combattere il drago. Cosa significa questo concretamente? Già il guru del management Peter Drucker diceva a giusta ragione: «Culture eats strategy for breakfast». Se l’approccio è corretto, la cultura aziendale è quella giusta, tutto il resto arriva da sé. La tecnologia è domabile – o non lo è. O si ha uno strumento facilmente maneggiabile come l’ipad o una tecnologia che – come l’intelligenza artificiale – è gestibile solo da specialisti di alto livello. Come dirigente è importante essere aperti nei confronti di nuove tecnologie e evitare di restare sulla difensiva. È molto più facile dire che qualcosa non è necessario. Ma un simile approccio non fa progredire i dirigenti. Ciò non vuol dire che bisogna accettare tutto.
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Ma comunque capiamo sempre di meno. Leonardo da Vinci è stato l’ultimo studioso che probabilmente sapeva quasi tutto. Da allora il sapere si è moltiplicato esponenzialmente. Per questo oggi è importante creare reti, per sapere dove si può andare a prendere il know-how necessario. Non a caso si parla oggi di collaborazione. Questo significa che persone con esperienze diverse e sapere diverso lavorano insieme per risolvere un problema concreto. Questo però presuppone un atteggiamento aperto. Come si fa a restare sempre a giorno? Il cambiamento non avviene solo in Svizzera ma a livello globale. Probabilmente l’accesso all’informazione non è mai stato così facile come oggi. In internet è disponibile l’intero sapere in una forma o nell’altra. Il problema che si pone è quello di riconoscere le informazioni rilevanti. È importante capire come si possono filtrare queste informazioni e come è possibile focalizzarsi maggiormente senza farsi distrarre dalle cose nuove. Mi capita di constatare una cosa: spesso gli adulti non si permettono di porre delle domande nel caso in cui non capiscono. È impossibile sapere tutto e dunque si dovrebbe, come fanno i bambini,
porre domande. Non perdo mica la faccia se chiedo cosa è un computer quantistico. Solo così si arriva a sapere nuove cose.
Lei parla a favore dell’apertura e del pensare in rete. Molte imprese devono però reinventarsi. È ciò che osservo anche io. Come prima cosa deve cambiare la cultura, poi segue la struttura organizzativa. Definire e sviluppare a tavolino una struttura non funziona; un’impresa dovrebbe piuttosto mettere al centro i suoi valori e le sue visioni. Questo può sembrare un po’ anacronistico perché per molto tempo si diceva: «chi ha visioni, vada dal medico». Ma proprio in un’epoca in cui tutto cambia e la strategia rimane valida al massimo per sei mesi, la visione è l’unico elemento fisso dell’impresa. La visione non è in antitesi con la velocità, il progressivo sviluppo tecnologico e il mondo frenetico? No, appunto. La visione di Facebook è quella di mettere in rete persone in tutto il mondo. La via verso questo obiettivo può modificarsi costantemente. Ma la visione rimane, è la stella polare di Facebook. La visione del mio Centers for Digital Business è quella di formare i nostri studenti in modo da essere pronti all’epoca digitale: loro, le loro imprese e dunque l’economia svizzera. Lei forma studenti in Digital Leadership alla HWZ. Hanno la possibilità di applicare il nuovo sapere nell’impresa? C’è questa apertura? Il clou della formazione è il viaggio alla Silicon Valley. Naturalmente anche in California non è tutto oro ciò che luccica. Ma lo spirito, l’apertura è veramente impressionante. «Everything goes, everything is possible» è qualcosa che si può respirare nell’aria. Poi gli studenti tornano in Svizzera, nelle loro organizzazioni e capiscono che le strutture e i loro capi non dispongono di questa apertura. Una metà degli studenti è in grado di applicare e impostare molto, mentre un’altra metà deve aspettare, o lascia l’impresa per riorientarsi. Com’è messa la Svizzera, in relazione alla trasformazione digitale? Credo che la Svizzera sia messa in modo sensazionale. Nessun’altro paese con 8 milioni di abitanti, dispone di due scuole di livello mondiale come i Politecnici di Zurigo e Losanna, di due scuole di management ai massimi livelli come l’Università di San Gallo e l’IMD di Losanna, – e di un pioniere nel settore Digital Business come la HZW (ride). La Svizzera, quale nazione piccola e povera di materie prime dipende dal suo orientamento verso l’esterno per trovare nuove vie e nuovi mercati all’estero. Per questo sono convinto che la Svizzera sia pronta per la trasformazione digitale e tecnologica. Auspico solo un po’ di più di spirito pionieristico. Be more Alfred Escher!
Argor-Heraeus consegna il premio per il migliore lavoro di diploma in ingegneria alla SUPSI Per la prima volta da quando è stato istituito il premio Argor-Heraeus per il miglior lavoro di tesi del Master of Science in Engineering della SUPSI, a trionfare sono stati ben due laureati che si sono aggiudicati il riconoscimento ex-aquo. Ad aggiudicarsi il premio di questa settima edizione, sono stati Stefano Lo Russo e Sandro Pitsch. La premiazione, tenutasi in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi al LAC di Lugano, è stata occasione per Benedetta Masciari, Direttrice delle finanze e dell’amministrazione di Argor-Heraeus, di ricordare brevemente il significato di un premio che nasce con la volontà di sostenere la formazione di alto livello sul nostro territorio e di valorizzare lavori di diploma che si distinguono per creatività e innovazione e per una particolare attenzione agli aspetti di sostenibilità e uso delle risorse. Aspetti questi cari all’azienda di Mendrisio che negli anni ha collaborato con SUPSI, non solo attraverso la consegna del premio, ma anche accogliendo numerosi studenti in visita presso la propria sede, dove lavorano anche alcuni ex-studenti SUPSI.
Nell’immagine: Stefano Lo Russo e Sandro Pitsch ricevono il premio per il migliore lavoro di diploma in ingegneria alla SUPSI da Benedetta Masciari, Direttrice delle finanze e dell’amministrazione di Argor-Heraeus.
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