Maps Magazine - Exploration, issue #3

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exploration | issue # 3


exploration | issue # 3

Maps è un magazine indipendente, online e cartaceo, con cadenza quadrimestrale, che si pone l’obiettivo di indagare l’area del Mediterraneo partendo dalla pubblicazione di progetti fotografici inediti. Il tema del terzo numero é EXPLORATION. Maps is an independent online and printed magazine, published quarterly, that aims at researching and showcasing photographic projects about the Mediterranean area. The third issue is about EXPLORATION.

C re d i t i / C r e d i t s © Copyright Maps Magazine, 2017 Exploration | Issue #3 - Marzo / March 2017 Tutti i diritti sono riservati / All rights reserved Editors-in-chief Arianna Angeloni Teodora Malavenda Logo e grafica / Logo and graphic design Sara Bellia Contributor / Photo Editor Ilaria Crosta Traduzioni / Translations Serena Alboni Keith Dobinson Marina Freri Sibilla Maggio Enrico Scaravelli Autori / Authors Eslam Abd El Salam İpek Çınar Fabio Itri Federica Landi Ana Lía Orézzoli Zoe Zipela Guest writers Francesca Seravalle MINIMUM Foto di copertina / Coverphoto Zoe Zipela


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E d i t o r ' s No t e A r i a n n a A n g e l o n i & Te o d o r a M a l a v e n d a

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Te s t o d i / Te x t b y Fr a n c e s c a S e r a v a l l e

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L a s e c o n d a vo l t a Fe d e r i c a L a n d i

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T h e Me d i a t i o n İp e k Ç ı n a r

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Te s t o d i / Te x t b y M I N I M U M

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Little sudanese story Eslam Abd El Salam

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A kind of longing Ana Lía Orézzoli

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S c o m p a r s i - T h e i r b o d i e s w i l l n e ve r b e f o u n d Fa b i o It r i

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Yo u e s p e c i a l l y w e Z o e Z i p e l a


exploration | issue # 3

ABBIAMO TROVATO QUESTA FOTO IN UN MERCATINO DELLA LIGURIA, AD APRILE DEL 2015. NON SAPPIAMO CHI SIANO I DUE UOMINI RITRATTI MA L'EGITTO È NEI NOSTRI SOGNI DA SEMPRE.

WE FOUND THIS PHOTO AT A FLEA MARKET IN LIGURIA, IN APRIL 2015. WE DON'T KNOW WHO THE TWO MEN IN THE PICTURE ARE BUT EGYPT HAS ALWAYS BEEN IN OUR DREAMS.


E d i t o r ' s No t e A r i a n n a A n g e l o n i & Te o d o r a M a l a v e n d a / E d i t o r s - i n - c h i e f

“Dovete sapere che, quand’ero ragazzino, avevo la passione per le carte geografiche. Passavo delle ore a guardare l’America del Sud, o l’Africa o l’Australia, e mi perdevo in tutte le glorie dell’esplorazione. A quei tempi c’erano molti spazi vuoti sulla carta della terra, e quando ne vedevo una dall’aria particolarmente invitante (ma ce l’hanno tutti quell’aria) ci posavo il dito sopra e dicevo “Quando sarò grande, ci andrò.” Il Polo Nord era uno di quei luoghi, mi ricordo. Non ci sono ancora stato e non mi ci proverò certo adesso. L’incanto è finito. Altri di questi luoghi erano disseminati intorno all’Equatore, alle più diverse latitudini su tutti e due gli emisferi. In qualcuno ci sono stato, e... beh, non è di questo che voglio parlarvi. Ma ce n’era uno ancora, il più grande, il più vuoto, se così si può dire, dal quale ero particolarmente attratto. È vero che nel frattempo non era più uno spazio vuoto. Dalla mia infanzia, si era riempito di fiumi, di laghi, di nomi. Non era più una macchia bianca deliziosamente avvolta nel mistero, un terreno vergine su cui un ragazzo potesse fare i suoi sogni di gloria. Era diventato un luogo di tenebra”.

“Now when I was a little chap I had a passion for maps. I would look for hours at South America, or Africa, or Australia, and lose myself in all the glories of exploration. At the time there were many blank spaces on the earth, and when I saw one that looked particularly inviting on a map (but they all look that) I would put my nger on it and say, "When I grow up I will go there". The North Pole was one of these places, I remember. Well, I haven’t been there yet, and shall not try now. The glamour is over. Other places were scat- tered about the hemispheres. I have been in some of them, and... well, we won’t talk about that. But there was one yet the biggest, the most blank, so to speak that I had a hankering a er. True, by this time it was not a blank space any more. It had got lled since my boyhood with rivers and lakes and names. It had ceased to be a blank space of delightful mystery a white patch for a boy to dream gloriously over. It had become a place of darkness”.

Joseph Conrad, Cuore di tenebra

Joseph Conrad, Heart of darkness

Buona lettura.

Enjoy it.


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Te s t o d i / Te x t b y Fr a n c e s c a S e r a v a l l e / C u r a t o r

Le esplorazioni di Fabio Itri, Federica Landi, İpek Çınar, Eslam Abd El Salam, Ana Lia Orézzoli e Zoe Zipela sono un modus operandi che avvicina la fotografia alla ricerca, strutturando la sequenza fotografica in una raccolta di informazioni discontinue. Talvolta le immagini si accavallano perché denunciano la propria convivenza nello stesso spazio digitale. Riflettono la struttura anti narrativa delle ricerche digitali contemporanee in cui le immagini possono diventare dei segni iconici, riproducendo più o meno fedelmente quanto rappresentano, o simboli evocativi di un sentimento che si sedimenta sugli oggetti e sui paesaggi. In queste sperimentazioni sembra prevalga solo una ricerca di comunicazione deittica, in cui gli elementi del linguaggio sono immagini che raffigurano un oggetto, un’azione, un documento o un paesaggio, come se ogni fotografia rappresentasse un componente sintattico di un nuovo linguaggio fotografico: soggetto, verbo, complemento oggetto e complemento di luogo. Si procede per ricostruzioni di tracce e raccolta di vestigia tra loro sconnesse che lasciano molto spazio all’interpretazione. Il vero soggetto è spesso la mente del ricercatore, la sua struttura e il suo dipanarsi. L’esplorazione contemporanea è un errare che include l’errore e la deriva evitando un linguaggio reportagistico, e si mostra come un processo di reificazione del quotidiano rivisto con sguardo alienato e anonimo. In ognuna di queste esplorazioni è messa alla prova la fotografia come linguaggio all’interno di una sintassi narrativa ben più articolata: i fotografi compongono un puzzle utilizzando tessere irregolari delle proprie ricognizioni, spesso mescolando immagini mutuate dai social network, modificate in postproduzione e materiali d’archivio di diversa tipologia, quali mappe, documenti, ritagli di quotidiani, cartoline e fotografie del proprio album di famiglia.

L’esplorazione può essere un’indagine visiva per ricostruire una memoria privata e pubblica, può essere il vedere le cose una seconda volta attraverso lo spaesamento, come accade nella ricerca di Federica Landi. Può essere, come nel lavoro di Fabio Itri, la raccolta dei materiali e la fotografia dei luoghi in cui la ‘ndrangheta si è radicata. Può essere una ricerca di avvicinamento alle tradizioni della cultura sudanese, un’esperienza nuda, senza filtri o immagini in posa, in cui si registra per la prima volta il piacere di un’esperienza di un rito, come fa Eslam Abd El Salam. Può essere il tentativo d’introspezione di Zoe Zipela nella comprensione del suo modo di relazionarsi con gli altri. Il procedimento dell’esplorazione avviene selezionando quanto salvare dalla memoria e scegliendo cosa invece cancellare. L’esplorazione di İpek Çınar può essere una mediazione temporale sulla labilità dell’immagine e della memoria in cui presenze del passato si leggono nei luoghi contemporanei. Può essere l’espediente atemporale di Ana Lia Orézzoli che, per trovare le sue radici, ritorna nei posti del trisavolo e utilizza l’obiettivo fotografico per immaginare di vedere con gli occhi di lui.


The explorations of Fabio Itri, Federica Landi, İpek Çınar, Eslam Abd El Salam, Ana Lía Orézzoli and Zoe Zipela have a modus operandi that brings photography near to research, structuring the photo sequence in a collection of discontinuous information. Images sometimes overlap because they denounce their living together in the same digital space. They reflect the anti-narrative structure of contemporary digital photo research in which images can become either iconic signs, reproducing more or less faithfully what they represent, or symbols that evoke a feeling that settles on the objects and landscapes. In these trials only a deictic communication research seems to prevail, in which the elements of language are images that depict an object, an action, a document or a landscape, as if each photograph represents a syntactic component of a new photographic language: subject, verb, direct object and a complement of place. They proceed to the reconstruction of tracks and the collection of relics, disconnected one from the other, that leave much space for interpretation. The real subject is often the mind of the researcher, its structure and its unraveling. Contemporary exploration is a wandering that includes error and drift avoiding a reportage language, and shows itself as a daily process of reification of daily life revised with alienated and anonymous gaze. In each of these explorations the photography is tested as a language in a much more articulated narrative syntax: the photographers make up a puzzle using the irregular tiles of their reconnaissances, often stirring images borrowed from social networks, modified in postproduction and different types of archive materials such as maps, documents, newspaper clippings, postcards and photographs from their family album.

The exploration can be a visual survey to rebuild a private and public memory, or can be the viewing of things a second time through the disorientation, as it happens in the research of Federica Landi.
It can be, as in the work of Fabio Itri, the collection of materials and the photography of places in which the ‘Ndrangheta [the Mafia of the Calabria region in Italy] is rooted.

It can be a search approaching the traditions of the Sudanese culture, a raw experience, without filters or posing images, where one registers for the first time the pleasure of the experience of a ritual, as for Eslam Abd El Salam. It can be the introspection attempted by Zoe Zipela in the understanding of her way of relating with the others.
The exploration process is done by selecting what to save from memory and what to choose to delete instead. The exploration of İpek Çınar can be a temporal mediation on time on the lability of image and memory in which appearances of the past are read in places of the present. It can be a timeless expedient used by Ana Lía Orézzoli who, to find her roots, goes back to the places of her great-grandfather and uses the photographic lens to imagine seeing with his eyes.


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L a s e c o n d a vo l t a Fe d e r i c a L a n d i

“I simboli che ciascuno di noi porta in sé, e ritrova improvvisamente nel mondo e li riconosce e il suo cuore ha un sussulto, sono i suoi autentici ricordi. Sono anche vere e proprie scoperte. Bisogna sapere che noi non vediamo mai le cose una prima volta, ma sempre la seconda. Allora le scopriamo e insieme le ricordiamo”. (Cesare Pavese, Feria d’Agosto, 1946)

“The symbols which everyone of us bring into ourselves and which suddenly we find again around the world, recognizing them while our heart jumps, are our most authentic memories. They can also be seen as out and out discoveries. It is important to know that we never see things the first time, but always the second time”. (Cesare Pavese, August Holiday, 1946)

La seconda volta è una ricerca visiva su ciò che il filosofo Albert Camus ha definito "il pensiero meridiano”. Esiste, secondo Camus un modo specifico di elaborare la storia, vivere la cultura, lo spazio e il tempo da parte delle popolazioni mediterranee e quelle nord europee. Il pensiero meridiano vede il Mediterraneo come una area geografica, sia concettuale che reale, in cui passato e presente, storia ed elemento naturale, caos e armonia trovano un loro equilibrio esistenziale, generando una propria dimensione temporale ed estetica. Gli scritti di Camus, parlano di un Umanesimo Mediterraneo che si basa su un’etica politica e fenomenologica dell’essere in contrasto con le regole dogmatiche e soverchianti dell’Europa.

The project La seconda volta is a search for what the philosopher Albert Camus named “la pensée de midi” (thought at the Meridian). There is, according to Camus, a specific and clear distinction between the way Mediterranean populations have developed their approach towards history and culture and the Northern European ones. “La pensée de midi” sees the Mediterranean as a geographical space, both conceptual and real, in which present and past, nature and history, chaos and harmonic forces find a spontaneous existential balance, giving rise to a specific time quality and aesthetic. Camus’s writings talk of a Mediterranean Humanism characterized both by a phenomenological and political conception of life in contrast to the dogmatic rules of an overwhelming Europe.

Avendo vissuto molti anni in Nord Europa ho sentito la necessità di lavorare nuovamente sull’idea e il sentimento di trovarsi a Sud, utilizzando gli scritti di Camus come guida filosofica per la mia ricerca, tentando di esprimere in immagini il concetto di “essere meridiano”. Questo mi ha portato a viaggiare nel Sud dell’Italia nelle regioni di Lazio, Campania, Basilicata, Puglia, Molise inseguendo quelle forme e concetti che potessero aiutarmi a mettere a fuoco la natura atavica e simbolica del paesaggio. Paesaggio/spazio dove, in questo caso, fotografia e filosofia s’incontrano.

Having spent many years in Norther Europe I felt the necessity to re-frame the idea and sentiment of being Southern, using Camus’s writings as philosophical guide, trying to photographically express what the author defines as “the meridian”. This brought me on a journey around the Southern Italian regions of Lazio, Campania, Basilicata, Puglia, Molise chasing a formal and conceptual coherence that would allow me to investigate the atavistic and symbolic landscape onto which photography and existential philosophy meet.

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T h e Me d i a t i o n ( 2 0 1 5 - 2 0 1 6 ) İp e k Ç ı n a r

“Ancora una volta causa ed effetto si confondevano. Più Bekir si sentiva in colpa, più finiva per attaccare Çitlikli. Così, mentre Citliki sedeva composta, rincuorata dalla convinzione di stare compiendo il proprio dovere, la violenza di Bekir cresceva. Povero diavolo, perdeva la sua umanità giorno dopo giorno. E più lui si straniava, più aumentava il fardello sulle spalle di Citliki. L’iniziale spinta alla distruzione si era trasformata in ragione di esistenza, dipendendo dall’altro, emergendo dall’altro, rinnovandosi a vicenda… in un lento crescendo di violenza...”

“Once more, what was cause and what was effect becameconfused. The more he felt guilty, the more he attacked Çitlikli. Well, Çitlikli sat prettily, as she felt relieved believing she waspaying her dues, Bekir's misdeeds escalated. Poor fellow, day by day he was losing his human feelings. As he became all the more estranged, it turned out that the burden on Çitlikli's shoulders grewall the more. First existing in an attempt to annihilate the other, then ending up to bring the other into existence; dependent uponeach other, emerging from the other, renewing each other... Becoming violent bit by bit...” (From the story)

The Mediation è una storia di fantasia che ho cominciato a creare nel luglio 2015 guardando una casa di campagna nel villaggio di Yozgat, in Turchia. È la storia della devota relazione sadomasochistica di una coppia. L’unica parte reale del progetto è la casa a Yozgat. Tutto il resto - le immagini di questa coppia, la storia e la devianza della loro relazione - è prodotto di immaginazione. Il progetto consiste in foto che ho scattato, immagini d’archivio del mio album di famiglia, due installazioni video e ventiquattro pagine di testo letterario.

The Mediation is a fictional story that I started to create in July 2015, by looking at a country house in a village in Yozgat, Turkey. It is the story of religiously sado-masochist relationship of a couple. The only real part of the project is the house in Yozgat. Everything else such as the images of this couple, the story of their relationship and deviancy of the relationship is fictional. The project consists of the photographs that I took, the archival images from my family albums, two video installations and a 24 pages of literary text.

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Te s t o d i / Te x t b y MINIMUM

Le migrazioni sono una risorsa e a volte una violenza. Le persone che si spostano modificano inevitabilmente gli orizzonti di un luogo, ne ampliano e contaminano la cultura e le abitudini. E in questo senso le migrazioni fanno bene: un territorio vince il suo essere immobile, il suo essere solo terra, attraverso la comunità che lo abita. Il desiderio che la gente ha di spostarsi va quindi sicuramente stimolato, nutrito e incoraggiato. E subito dopo vanno intercettati i frutti e le possibilità generate da tutto questo. Gli individui però si spostano non soltanto per desiderio, per il bello di andare a Milano a vent'anni, lo fanno anche per necessità. Perchè se c’hai vent'anni a Bagheria, Milano ti sembra l’unico posto in cui è possibile avere una vita. E se l’aspetto più duro in questi casi è la costrizione, la mancanza di scelta, quello più pericoloso è che questa mancanza venga data per scontata. Migrare da alcuni territori verso altri - concentriamoci soltanto sul territorio nazionale - è diventato nei fatti, e nel corso delle generazioni, un automatismo. E nemmeno ce ne rendiamo più conto. Non è tanto il doversi allontanare - a volte controvoglia, altre con entusiasmo - ma il farlo come qualcosa di ovvio. Il non realizzare che si tratta di una prassi. E quell’entusiasmo, che dovrebbe essere figlio dell’eccezionalità, è invece generato da una consuetudine. Chiaramente, a dirla così, suona un po’ strano. E in effetti lo è. Alla fine in determinati territori la migrazione è quasi sempre solo emigrazione, e in questo senso si può considerare una violenza, sia per la comunità che la subisce e sia, soprattutto, per il territorio, che la vive come privazione. Parlare della voglia o della necessità di andarsene ha ancora più senso se lo si fa dalla Sicilia. Lavorare in quest’isola, scegliere di lavorarci veramente, significa porsi al centro di un tessuto sociale che ha sempre avuto a che fare con l’idea di altrove (come probabilmente ogni altra provincia, ogni altra frontiera e sicuramente ogni altra isola). Significa partecipare al suo tessuto culturale, consapevoli di quanto sia prezioso stimolare il movimento di idee e persone, e di quanto, d’altra parte, sia pericoloso non ancorare tutto ciò alla consapevolezza che l’altrove è una grande possibilità, e non un bisogno.

Noi, tutto sommato, ci occupiamo soltanto di immagine. Ma lo facciamo attraverso pratiche e idee che tengono conto anche di tutto questo. E non potrebbe essere diversamente, visto che abbiamo scelto di lavorare a Palermo, in mezzo al Mediterraneo, in uno spazio che vuole essere interlocutore per chiunque si occupi di progetti relativi all’immagine. Lo spazio si chiama MINIMUM. Ci lavoriamo dentro ogni giorno, per cercare di uscirne il più possibile.

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UNO SPAZIO DELLO STUDIO MINIMUM, A PALERMO, ALLESTITO PER L’EVENTO “10 + 10 = 21” CON UN’ESPOSIZIONE DI POSTER DI ILLUSTRATORI E FOTOGRAFI. DURANTE L’EVENTO OGNI IMMAGINE POTEVA ESSERE STAMPATA IMMEDIATAMENTE SU RICHIESTA.

PART OF THE MINIMUM STUDIO IN PALERMO, AND SETUP FOR THE EVENT “10 + 10 = 21” WITH A POSTER EXHIBITION MADE BY ILLUSTRATORS AND PHOTOGRAPHERS. DURING THE EVENT ANY IMAGE COULD BE IMMEDIATELY PRINTED UPON REQUEST.



STAMPA E ALLESTIMENTO DELLE MOSTRE FOTOGRAFICHE OPEN AIR DI GAZEBOOK - SICILY PHOTOBOOK FESTIVAL 2016 A PUNTA SECCA (RAGUSA). IN FOTO, LA MOSTRA “BLADE DIARY” DI PIETRO FIRRINCIELI. MINIMUM È ANCHE PARTNER CULTURALE DEL FESTIVAL.

PRINTWORK AND SPACE SETUP OF THE GAZEBOOK OPEN AIR EXHIBITIONS - SICILY PHOTOBOOK FESTIVAL IN 2016 IN PUNTA SECCA (RAGUSA). IN THIS PHOTO, THE EXHIBITION "BLADE DIARY" BY PIETRO FIRRINCIELI. MINIMUM IS ALSO A CULTURAL PARTNER OF THE FESTIVAL.

Migrations represent a resource, and sometimes undercover violence. People that move inevitably change the horizons of a place, they expand, contaminate its culture and habits. It is in this sense that migrations do good: through the community that inhabits it a territory wins over its stillness, its being a piece of land only. Therefore the inborn desire that people have to move should be stimulated, nurtured, and encouraged. So it follows that the outcomes and possibilities generated by migrations shall be gathered. However, people not only move following their dreams, or for the beauty of living in Milan in their twenties, they also do it out of necessity. Because if you are twenty years old in Bagheria, Milan seems like the only place where you could start a life. And if the hardest aspect of these migrations is the lack of choice, being constricted to it, the most dangerous is to give it for granted. Migrating from one place to another - keeping the focus on the Italian territory only - has became in actuality, and throughout generations, inherent to our culture. We don’t even notice it anymore. It is not just about having to go far - at times reluctantly, other times with enthusiasm - but we are moving as if it was the thing to do. Without realising it is standard practice. And the enthusiasm, that should derive from exceptionality, is instead generated by habit. Put this way, it sounds a bit strange. And indeed it is. In certain territories migration is almost always emigration, and in this sense it could be considered as some kind of violence, both for the community that opens its doors and, above all, for the territory that is deprived of its people. Speaking of the desire or of the necessity to leave makes even more sense if coming from Sicily. To work on this island, to choose to work on it, means putting oneself at the center of a social fabric that has always dealt with the idea of elsewhere (possibly the case for any other province, border and other islands). It means participating in its cultural fabric, aware of how precious it is to stimulate the exchange of ideas and the movement of people, and how, on the other hand, it is dangerous not to anchor all of that to the awareness that elsewhere represents a great opportunity, not a need.

After all, we choose to focus only on images. But we do reflecting all these considerations through our practices and ideas. The only way to be, given our choice of working from Palermo, in the middle of the Mediterranean sea, in a space that wants to become the hub for anyone involved in visual projects. The space is called MINIMUM. We work inside this space every day trying to get outside of it as much as possible.


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“SUPERFOTOCOLLA” È UN LABORATORIO PER GIOVANI E BAMBINI, CHE UTILIZZA LA FOTOGRAFIA COME STRUMENTO DI INTERAZIONE E ACCESSO ALLA CREATIVITÀ. NELLA FOTO UN MOMENTO DEL LABORATORIO SVOLTO AL FESTIVAL GIBELLINA PHOTOROAD. AGOSTO 2016.

"SUPERFOTOCOLLA" IS A WORKSHOP FOR THE YOUNG AND FOR CHILDREN, WHICH USES PHOTOGRAPHY AS A TOOL FOR INTERACTING AND ACCESSING CREATIVITY. THIS PICTURE SHOWS A MOMENT OF THE WORKSHOP HELD AT THE GIBELLINA PHOTOROAD FESTIVAL, AUGUST 2016.


MINIMUM SI OCCUPA DI PROGETTI LEGATI ALL’IMMAGINE SU VARI LIVELLI, TRA I QUALI LA STAMPA. NEL SUO SPAZIO OSPITA UN LAB DIGITALE CHE SUPPORTA GLI AUTORI LUNGO TUTTO IL PROCESSO DI PRODUZIONE.

MINIMUM IS INVOLVED IN A RANGE OF PROJECTS RELATED TO TREATING IMAGES, INCLUDING PRINTING. ITS SPACE ACCOMMODATES A DIGITAL LAB THAT SUPPORTS AUTHORS THROUGHOUT THE PRODUCTION PROCESS OF THEIR ARTIFACTS.

MINIMUM PROPONE FREQUENTEMENTE INCONTRI CON AUTORI, PRESENTAZIONI EDITORIALI E CONFRONTI CON DIVERSE REALTÀ DEL PANORAMA FOTOGRAFICO INTERNAZIONALE. QUI LA LOCANDINA DELL’INCONTRO CON MICHELE SIBILONI, PER LA PRIMA PRESENTAZIONE ITALIANA DEL SUO LIBRO “FUCK IT”.

MINIMUM OFFERS FREQUENT ENCOUNTERS WITH AUTHORS, EDITORIAL PRESENTATIONS AND DEBATE OPPORTUNITIES WITH THE INTERNATIONAL PHOTOGRAPHIC SCENE. THIS POSTER WAS MADE FOR THE EVENT ORGANISED WITH MICHELE SIBILONI, THE FIRST ITALIAN PRESENTATION OF HIS BOOK "FUCK IT".


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Little sudanese story Eslam Abd El Salam

Mi ricordo quando ho incontrato per la prima volta Wafaa, allo STARS, e ho subito pensato “che bel viso pieno di storie da raccontare”. Di solito mi prendo del tempo per conoscere le persone, così da non travolgerle con la voglia di fare conoscenza. Ma con Wafaa è stato diverso. Dopo aver terminato il workshop di fotografia, insieme al team psicosociale il 28 febbraio allo STARS, mi ha detto che stava per sposarsi e mi ha chiesto se potevo scattare le foto del suo matrimonio e, due giorni prima, quelle dell’Henné sudanese. Non ho avuto dubbi. Questo accadeva un mese prima del matrimonio e mi ha dato modo di conoscerla. Il 26 aprile è stato il giorno dell’Henné e Victoria mi ha accompagnato a casa di Wafaa alle 4 del pomeriggio. Sua sorella ‘Lana’ ci ha aperto la porta e abbiamo incontrato i genitori di Wafaa (il padre è molto tranquillo ed ospitale, mentre ho pensato che sua madre fosse sua sorella maggiore) e alcuni dei suoi parenti, tra i quali Sumaya, Howaida e Eshraka. È stata un’esperienza davvero piacevole. Non credo di aver mai assistito a qualcosa di così autentico in vita mia. Quella notte è piovuto mentre eravamo sulla strada verso casa e la pioggia ha reso questo giorno ancora più memorabile. Inoltre guardare le persone dello STARS che si mescolavano nel giorno dell’Henné, indipendentemente dalla loro nazionalità, credenza o età, è stato davvero commovente. Le mie tre cose preferite, in questo giorno, sono state l’Absher; un segno che lo sposo fa con le mani per indicare che una cosa buona sta per accadere; la Zaghroota che è fondamentalmente simile a quella egiziana, ma molto più lunga e assomiglia al corteggiamento di un lupo; e sicuramente la Shawerma, affumicata e gustosa. Mi ricordo molto bene di quell’odore esattamente alla fine della cerimonia, quando la madre dello sposo ha sparso delle spezie sudanesi sulle nostre teste. Così buono. Due giorni dopo c’è stato il matrimonio sudanese, in una sala egiziana con più radici di qualsiasi altro matrimonio egiziano. Ero molto attento, quando è arrivato il cantante sudanese, il sassofonista, alcuni bambini che giocavano attorno alla smoke machine e la bella Sumaya, parente di Wafaa. Le foto scattate all’Henné con la mia macchina analogica purtroppo, come accade spesso, sono sfocate. Ne condivido comunque alcune, nella speranza di riuscire a farvi cogliere l’essenza di questa esperienza.

I remember when I first met Wafaa at STARS I instantly thought “what a pretty face full of stories to tell”. I tend to take my time in knowing people so I don’t overwhelm them with the urge of knowing them. But with Wafaa it was different. After finishing the photography workshop together with the psychosocial team on 28th of February at STARS, she told me about her soon-to-happen wedding and asked me if I could take photos of the wedding and the Sudanese henna two days earlier. I didn’t hesitate. That was a month before the wedding which gave me sometime to get to know her. On 26th of April, it was the henna day and Victoria accompanied me at 4pm at Wafaa’s house. Her sister ‘Lana’ opened the door for us, where we met Wafaa’s parents (her Father is very calm and welcoming whereas I thought that her Mother is her oldest sister) and some of her relatives Sumaya, Howaida and Eshraka. It was a pleasant experience in my life indeed. I think I’ve never witnessed anything that authentic before. Followed by a rainy night on the way home which is another reason to make this day beyond memorable. Also watching people from STARS blend at the henna regardless of their nationalities, beliefs or age was definitely moving. My favorite three things about this day were Absher; a sign the groom does with his hands to indicate that a good thing is about to happen; the Zaghroota which is basically like the Egyptian one but much longer and sounds like a wolf wooing; and definitely the shawerma, which was smoked and tasty. I remember the smell so well, and exactly at the end when the groom’s mother put some Sudanese spices on our heads. So good. Two days later, we had the Sudanese wedding in an Egyptian hall with more roots than basically any other Egyptian wedding. I was extra attentive when it came to the Sudanese singer, the sax player and some kids playing around the smoke machine, and the beautiful Sumaya, Wafaa’s relative. All the photos were taken with my analogue camera at the henna. They were kind of blurry, sadly, which happens often but I’ll share some of them hoping that you get the essence of this experience.

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A kind of longing Ana Lía Orézzoli

Posso soltanto osservare che il passato è bello perché non ci si rende mai conto di un’emozione al momento. Si espande dopo, e per questo non sentiamo le emozioni piene del presente, ma solo quelle del passato.” Virginia Woolf

“I can only note that the past is beautiful because one never realises an emotion at the time. It expands later, and thus we don't have complete emotions about the present, only about the past.”

Giacomo è nato il 19 Giugno 1837. Era italiano ed è cresciuto a Rapallo, una piccola cittadina sulla Riviera Ligure. Mi piace pensare che adorasse mangiare pesce fresco tutti i venerdì e sedersi vicino al mare dopo la scuola. Forse gli piaceva anche nuotare, e durante l’estate avrebbe fatto delle passeggiate con gli amici lungo la spiaggia. Aveva solo 17 anni quando si è imbarcato su una nave transatlantica che avrebbe condotto lui e suo fratello Nicola in Perù.

Giacomo was born on the 19th of June in 1837. He was Italian and grew up in Rapallo, a small town in the Ligurian Riviera. I like to think that he loved to eat fresh fish on Fridays and sit by the sea after school. During the summer he would take walks with his friends along the shore. He was young when he got on a transatlantic ship that would take him to Peru.

Giacomo era il mio trisavolo, centoquarantaquattro anni ci separano. Sono veramente poche le cose che so sulla sua vita. Solo un paio di fotografie ed un luogo che è molto cambiato. Ho fantasticato con il luogo che ha lasciato e più tardi, l’ho visitato e camminato per le strade dove è cresciuto. Ho guardato verso lo stesso mare e fino allo stesso cielo.

Virginia Woolf

Giacomo was my great great grandfather; a hundred and forty four years separate us. There were very few facts that I knew about his life. Just a couple of photographs and a place that since has changed so much. I have fantasized with the place that he left behind and later, I have visited and wandered around the streets where he grew up. I have looked out to the same sea and up at the same sky.

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S c o m p a r s i - T h e i r b o d i e s w i l l n e ve r b e f o u n d Fa b i o It r i

2014 - 2016 Calabria, Italia “La ‘ndrangheta calabra è fra le più potenti organizzazioni criminali a livello globale. La sua strategia di colonizzazione si sta diffondendo in tutto il mondo. [...] La ‘ndrangheta ha iniziato a costruire il suo potere economico tra gli anni ‘70 e ‘80 del 900 con i riscatti derivanti dai numerosi sequestri perpetrati”.

2014 - 2016 Calabria, Italy “The Calabrian ‘Ndrangheta is among the most powerful organised crime groups at a global level. Its colonisation strategy is spreading all over the world. [...] The ‘Ndrangheta started building its economic power in the 1970s and 1980s with the ransoms derived from several kidnappings they perpetrated.”

Europol - Valutazione del livello di minaccia CRIMINE ORGANIZZATO IN ITALIA L'Aia, Giugno 2013

Europol - Threat Assessment ITALIAN ORGANISED CRIME The Hague, June 2013

In Italia, dal 1969 al 1998, 649 persone sono state sequestrate dalla ‘ndrangheta: una media di 22 persone l’anno. 128 di questi casi sono avvenuti in Calabria. 8 tra le persone rapite sono scomparse senza lasciare alcuna traccia. Questo progetto racconta le loro storie. Le circostanze sono oscure anche per gli investigatori. Sono state fatte tante ipotesi, ma la verità non è mai stata completamente accertata. Lunghi silenzi emanano dal cuore dell’Aspromonte, selvaggio massiccio conosciuto come roccaforte della ‘ndrangheta; teatro inaccessibile di atroce reclusione. Forse le persone rapite sono state uccise o forse sono morte perché non sono riuscite a sopportare la prigionia. In ogni caso le loro storie si sono concluse tutte allo stesso modo: sono scomparsi e i loro corpi non saranno mai ritrovati.

In Italy, 649 people were kidnapped by ‘Ndrangheta from 1969 to 1998: an average of 22 persons per year. 128 of these cases occurred in Calabria. 8 of these people disappeared forever without leaving behind a single trace. This work tells their story. The circumstances are murky even for investigators. A lot of hypotheses were made, but the truth was never fully known. Long silences break out from the heart of Aspromonte, the wild mountain massif that is known as the fortress of the ‘Ndrangheta; an inaccessible theater of cruel imprisonment. Perhaps the kidnapped people were killed or died because they weren’t willing to suffer through their imprisonment. In any case, their stories all came to the same end: they disappeared, and their bodies will never be found.

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Yo u e s p e c i a l l y w e Zoe Zipela

L’inizio era vicino. Cercavo di trovare legami familiari catturati dai loro volti e dai loro sorrisi ubriachi. I ricordi del passato arrivavano a unirsi al colore senza filtri. Con la nascita di mia nipote, cercando il carattere riflessivo nella mia famiglia, sono diventata la spettatrice della mia stessa infanzia. È un saggio sulla mia perduta infanzia di paure dimenticate, e illumina la mia fuga dalla solitudine. Cammino nella mia vita, vedo nuove persone, le ascolto e cerco di avvicinarmi. Se non potessi vedere la realtà nei miei ricordi, non potrei trovare la cura per il futuro.

The beginning was near.
Trying to find family ties captured their faces and their drunken smiles. Memories of past come to join with the unfiltered color. With the birth of my niece, looking for the reflective behavior in my family, I become the spectator of my own childhood. It is an essay in my own lost childhood of forgotten fears, illuminating my escape from loneliness. I walk into my life, I see new people, I hear them and I try to come closer.
If I couldn’t see the reality in my memories, I wouldn’t be able to find the cure for tomorrow.

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