GLI ITINERARI DI CYCLE! - 2
LA CICLABILE DELLA MARTESANA 1
SOMMARIO La ciclabile della Martesana 3 1. Un preludio a Trezzo sull’Adda 8 2. Da Trezzo sull’Adda a Cassano d’Adda 13 3. Da Cassano d’Adda a Gorgonzola 18 4. Da Gorgonzola a Cernusco sul Naviglio 26 5. Da Cernusco sul Naviglio a Milano 28
Testi, foto e disegni di Albano Marcarini - Prima edizione, 2015. Questa guida è disponibile anche in e-book su I-books di I-tunes Per info e suggerimenti: marcarini@mac.com Nella stessa collana: La ciclabile della Riviera di Ponente. Per altri itinerari: www.sentieridautore.it - www.andcycle.com 2
LA CICLABILE DELLA MARTESANA
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ormidabile fu la rete dei navigli lombardi, due secoli fa. Assolveva la funzione delle autostrade e delle ferrovie di oggi. Con capaci barconi si trasportavano merci e passeggeri da ogni parte della Lombardia, verso Milano e viceversa. Inoltre, attraverso le ’bocche’ ogni naviglio dava copiosa quantità d’acqua alle campagne. Decaduta la loro funzione, dei navigli resta un paesaggio romantico e malinconico, spesso disturbato dalla periferia della metropoli. Un tempo su queste acque verdi si specchiavano mulini, darsene, opifici ma anche ville, palazzi e sontuosi giardini. I tentativi di restituire dignità alle opere idrauliche, non più come vie di trasporto ma come testimonianze storiche e attrattive per il turismo ‘fuori porta’, riguardano il restauro dei manufatti e delle opere accessorie (derivazioni, caselli di guardia, chiuse, prese, ponti ecc.) e la costruzione di greenways sulle alzaie, già praticate dai traini di animali (e a volte anche di uomini) per la risalita controcorrente delle 3
«Il duca Francesco Sforza Primo si diede a far il Naviglio chiamato di Martesana acciocché venendo le vettovaglie e le merci del lago di Como e la provincia e la città godesse di tutti quei beni e commodi di natura ed arte ed appresso si facessero delle irrigazioni, delle moline e delle altre utilissime industrie». (G.B.Settala, 1603)
Il torinese Davide Bortolotti (1784-1860) fu la classica figura del viaggiatore colto e romantico dell’Ottocento. Non ancora in forma di guida turistica ma a quel genere molto vicino, i suoi libri descrivono passo passo - si muoveva generalmente a piedi - lunghi itinerari in vari luoghi dell’Italia settentrionale. Nel 1821 dà alle stampe un volumetto dal titolo ‘Viaggio al Lago di Como’, nel quale in appendice figura anche «la descrizione di una gita da Milano a Cassano lungo il Naviglio». Quale ghiotta occasione per togliere da esso alcune citazioni, sparse in queste pagine, estremamente interessanti vista l’attenzione dell’autore per il particolare, per l’aneddoto di viaggio, per l’osservazione del paesaggio.
barche. Il naviglio della Martesana conduceva dall’Adda a Milano su una distanza di 38,7 chilometri. Come il Naviglio Grande a ovest, così la Martesana tagliava la pianura a est, in senso quasi orizzontale, consentendo una debole pendenza che, con l’interposizione di una sola conca, faceva affluire l’acqua al laghetto di S. Marco, una piccola darsena all’interno della cerchia del naviglio cittadino, dalle parti di Porta Nuova, oggi coperto e da molti rimpianto. Il naviglio mutuò il nome dal contado che attraversava: il ‘Comitatus Martexana’; nel Medioevo identificava un’ampia area amministrativa con parte dell’attuale Brianza. La pista ciclabile della Martesana, completata nel 2009, è stata una delle prime ed è la più frequentata del Milanese grazie alla sua prevalente separazione dal traffico motorizzato. La sua accessibilità è facilitata dalla linea 2 della metropolitana - la ‘verde’ - che, verso est, si prolunga nell’hinterland consentendo un facile collegamento, bicicletta al seguito, fra le estremità del percorso. Per rispetto al senso della corrente seguiremo in bicicletta l’alzaia dal punto in cui la derivazione dall’Adda dà vita al naviglio, vale a dire presso il santuario di Concesa a Trezzo sull’Adda. Ciò significa che per raggiungere il punto di partenza occorre un avvicinamento in bicicletta da Milano. Si danno due possibilità: la prima è di utilizzare la linea ‘verde’ fino al capolinea di Gessate e quindi inanellando gli abitati di Masate, Basiano, Trezzano Rosa e Grezzago (evitare sempre le circonvallazioni, ma attraversare i paesi al loro interno) giungere dopo circa 10 km a Trezzo; la seconda è di utilizzare la stazione Trenord di Paderno d’Adda, sulla linea Milano-Carnate Usmate-Bergamo e quindi discendere lungo la ciclabile dell’Adda, in un paesaggio alquanto suggestivo (e che descriverò in una prossima guida), fino a Trezzo, coprendo in questo caso circa 15 km ma senza il disturbo del traffico. Se, infine, non ve la sentite di aggiungere questi chilometri a quelli che dovrete già coprire lungo il naviglio, il consiglio è di utilizzare la stazione Trenord di Cassano d’Adda, sulle linee suburbane S5 e S6, e di immettersi subito sulla ciclabile a La Volta di Cassano. In questo caso però taglierete tutta la prima parte della greenway che è anche la più suggestiva sotto il profilo del paesaggio. 4
La storia del ‘naviglio piccolo’ Il naviglio della Martesana è il secondo, in ordine di tempo, dei grandi navigli milanesi. Esso «che altri dicono piccolo per distinguerlo dal Naviglio derivato dal Tesino, cui appellano Grande», fu ideato intorno alla metà del XV secolo per favorire, così come era accaduto a occidente con il Naviglio Grande derivato dal Ticino, l’afflusso di merci dalla parte dell’Adda, a oriente della città, e per provvedere all’irrigazione delle campagne. Al contrario del Ticino la valle dell’Adda era spartita con la Repubblica Veneta e si indugiò prima di dar corso all’opera temendone i risvolti strategici. Nel 1440 però Filippo Maria Visconti aveva allacciato il Naviglio Grande con la fossa cittadina interna dei Bastioni e dunque operato affinché anche altri canali vi convergessero per dare vita a una rete di navigazione interna. Il 1 giugno 1457 Francesco Sforza autorizzò i lavori per l’apertura del nuovo naviglio, denominato anche della Martesana per via dell’omonimo territorio attraversato. Una volta compiuto avrebbe svolto due funzioni: dare acqua alle campagne lungo il limite fra i terreni asciutti del nord milanese e quelli irrigui della Bassa; fornire una via di trasporto per le merci provenienti dal Lago di Como, dalla Bergamasca e dalla Valsassina tramite l’Adda. I lavori provocarono un rivolgimento ambientale ed economico nella zona interessata con il coinvolgimento di centinaia di lavoranti, cavatori, carpentieri, con l’apertura di cave di pietra e con la spoliazione dei boschi per la richiesta di legname. Vi furono delle pressioni affinché il corso d’acqua lambisse gli abitati in modo da favorire approdi ai notabili e alle famiglie che possedevano terre o case. Inizialmente le acque del naviglio, dopo aver raccolto parte di quelle del Lambro, si arrestavano presso la Casssina di’ Pomm, sul fondo dell’attuale via Melchiorre Gioia, per confluire nel Seveso; in seguito, nel 1496, per favorire la navigazione, furono congiunte con la fossa cittadina grazie alla costruzione di 4 conche che permettevano di superare lo sbalzo di quota misurato in «18 braccia milanesi». Il bacino della conca di S. Marco, presso la chiesa omonima, divenne da subito un piccolo porto attorno al quale si stabilirono laboratori di artigiani e magazzini. Anche alla Cassina di’ Pomm, dove arrivavano i carichi pesanti, si allestì una darsena, animata da barcaioli e facchini, mentre poco distante tre mulini erano alimentati da una derivazione d’acqua. A partire dal XVI secolo le acque del Ticino e dell’Adda, grazie ai navigli, convergevano nella città. Ma per perfezionare il sistema fu necessario intervenire nella valle dell’Adda, sotto Paderno, in un tratto difficile per la navigazione a causa delle rupi e dei salti d’acqua del fiume. «Quivi l’Adda va crescendo di violenza - ricorda lo storico Cesare Cantù - finché arriva alle Tre 5
Corna, ove dato una svolta rabbiosa, gettasi a precipizio fra ingenti sassi e scogli a schiuma d’acqua, nel tratto di 2500 metri avendo l’enorme pendenza di metri 27,50». Impossibile la navigazione, ragion per cui si decise di dar vita a un altro naviglio, detto appunto di Paderno. Fu opera lunga, iniziata con un contributo finanziario di Francesco I nel 1519, poi sospesa per le vicissitudini dello Stato di Milano e l’ostilità delle città vicine (Como, Bergamo, Pavia) preoccupate di vedersi togliere parte dei traffici. Ciononostante Giuseppe Meda, alla fine del ‘500, elaborò un audace progetto - con due enormi conche, dette ‘castelli’ - la cui esecuzione fu comunque non solo ritardata dall’inerzia del governo spagnolo ma anche dalle pestilenze che colpirono la città. Fu anche per questa ragione che il naviglio della Martesana, le cui fortune commerciali erano legate a una facile navigabilità dell’Adda, non riuscì mai a eguagliare i livelli di traffico del Naviglio Grande. Solo con l’arrivo del governo austriaco, alla metà del ‘700, il progetto di Paderno riprese forza e l’opera portata a termine nel 1777 con l’interposizione di 6 conche rispetto alle 2 previste inizialmente e giudicate eccessive. A questo punto la navigazione sulla Martesana potè dirsi attuata e funzionale almeno fino alla fine dell’800 quando, con l’avvento delle ferrovie, gran parte delle merci furono spostate su questo nuovo mezzo di trasporto, più veloce. Nei trent’anni, dal 1850 al 1883, il naviglio della Martesana aveva mediamente fatto registrare un traffico annuo di 62 mila tonnellate di merce, contro le 129 mila del Naviglio Grande. Il gettito di uno speciale dazio, riscosso a Milano al ponte delle Gabelle, era destinato alla manutenzione. Ma cosa si trasportava? Verso Milano calce da Malgrate, carbone di legna dalla Val d’Intelvi, legname da Gravedona e Domaso, fieno da Colico, pietrame da S. Fedelino e ardesie da Moltrasio, sabbia, metalli lavorati e armi, prodotti agricoli, mentre nel più scarso traffico di ritorno, prevalentemente sale. Grazie al naviglio ogni giorno affluivano al mercato del Verziere a Milano i prodotti della terra: grani, legumi, castagne, noci, vini ecc. Per scendere da Lecco a Milano occorrevano dalle 15 alle 21 ore. Per riportare le barche a monte, trainate dai cavalli lungo l’alzaia, alcuni giorni tenuto conto che di notte la navigazione era proibita. «Una cobbia di 5 barche tirata da 5 cavalli - spiega il Cantù - risale la Martesana in 36 ore, in 8 da Trezzo a Paderno con 10 o 12 cavalli». Il problema del riporto delle barche, o dell’alaggio controcorrente, a causa dell’esasperante lentezza fu una delle cause che alla fine decretò la fine della navigazione. Dai dati statistici del 1848 risulta che il naviglio ha una lunghezza di 38,696 chilometri, una larghezza media di 12 metri e fornisce acqua a 235 kmq di campagne. Nel 1958 il naviglio fu cancellato dall’elenco delle vie navigabili anche se il traffico era ormai cessato fin dagli anni ’30 così come il trasporto di passeggeri su quello che era stato denominato ‘El barchett de Vaver’, poiché partiva da Vaprio d’Adda verso Milano e viceversa. La portata attuale del naviglio è di 32 metri cubi d’acqua al secondo.
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La pista ciclabile del naviglio della Martesana. Lunghezza: 36.1 km (dall’’incile’ del naviglio fino alla Cassina di’ Pomm a Milano, senza contare eventuali deviazioni nei centri abitati). Punto di partenza: Trezzo sull’Adda (MI), santuario di Concesa. Concesa è raggiungibile con la metro 2 (verde) di Milano fino al capolinea di Gessate e con un tratto in bicicletta di circa 9 km su strade comunali passando per Masate, Basiano, Trezzano Rosa, Grezzago. Il trasporto della bicicletta sulla metro è consentito il sabato e i festivi (http://www.atm.it/it/ Pagine/default.aspx). Punto di arrivo: Milano. Condizioni d’uso: pista ciclo-pedonale, in gran parte su asfalto. Su sterrato nel tratto iniziale fino a Gropello. Diverse aree di sosta lungo il percorso, la migliore nel parco urbano di Cernusco sul Naviglio. Segnaletica: pannelli e indicatori della ciclovia 6 della Provincia di Milano, da Cassano d’Adda. Sicurezza: per quasi il 100% su sede propria e separata; alcuni tratti promiscui nei centri abitati e lungo tratti urbani a Milano. Il collegamento fra la stazione metro di Gessate e Trezzo avviene su strade trafficate. Cautela nell’attraversamento di Trezzo sull’Adda. Dislivello: insensibile. Mezzo consigliato: bici da turismo, mountain-bike. Noleggio bici e visite guidate: Coop. Castello, Via Carcassola 4, Trezzo sull’Adda, 02.9090664, http://www.coopsocialecastello.com (con parcheggio per auto).
Quando andare: ogni stagione è buona ma occorre ricordare che in marzo e in settembre avviene la ‘secca’, cioè il naviglio viene messo in secca per favorire la manutenzione, e l’immagine che se ne ricava non è del tutto incoraggiante. Dove mangiare: a Trezzo sull’Adda, osteria la Gemma, via S. Caterina 18, 392.3722400; a Canonica d’Adda (dal ponte di Vaprio), ristorante Terrazza Manzotti, p.za Libertà 4, 02.9094048; a Gropello d’Adda, trattoria Buco, via Fara 50 (sulla ciclabile), 0363.64998; a Inzago, ristorante Il Cortile, p.za Maggiore 8, 02.9547566; a Gorgonzola, ristorante Vecchia Pesa, via Matteotti 41, 02.95305846; a Cernusco sul Naviglio, ristorante L’Officina dei Sapori, via Torriani 40, 02.9240469; a Milano, Pizzeria La Martesana, via Policarpo Petrocchi 4 (Gorla). E, per finire in bellezza con un aperitivo, un piatto freddo o una birra, Café Martesana (nella storica Cassina di’ Pomm), via Melchiorre Gioia 194, 02.6700495. Per un gelato: a Inzago, gelateria Pirotta, all’altezza del ponte sul naviglio; a Gorgonzola, Dolci tentazioni, via Parini 5 (sulla ciclabile). Internet: www.provincia.milano.it/mibici Traccia gps scaricabile al sito: http:// www.sentieridautore.it/sentieridautore.it/ Lombardia.html Da fare in più: attivo a Cassano il link con la pista ciclabile della Muzza, verso Lodi e Castiglione d’Adda; oltre Trezzo la pista ciclabile risale l’Adda fino a Garlate; sono inoltre in atto progetti di connessione con la rete ciclabile delle ‘Pievi del Vimercatese’ e con la futura ciclabile del Canale Villoresi.
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La centrale Taccani e il castello di Trezzo sull’Adda.
«Lo stesso principe Francesco Sforza aveva intrapreso un’opera più ardita ancora, derivando alla destra dell’Adda il canale Martesana che, pensile per cinque miglia, conducesi intagliato nella roccia fino all’alto piano. Sia che dal basso si rimirino le navi percorrere a tanta elevazione quel canale, sia che dall’altissimo argine da cui è sostenuto, si domini il rapido corso del fiume sotto posto e l’immensa pianura che al di là si stende, lo spettacolo per chicchessia è sempre imponente e maestoso». Elia Lombardini, Dell’origine e del progresso della scienza idraulica nel Milanese, Milano, 1872.
1. Un preludio a Trezzo sull’Adda Prima di iniziare la pedalata è consigliabile una breve visita di Trezzo sull’Adda (alt. 187). La cittadina, accanto alla profonda forra del fiume che la separa dalla Bergamasca, fu con il suo castello avamposto di confine dei Milanesi dall’ XI al XVI secolo. La sua origine pare celtica (vi si rinvenne una situla - una sorta di vaso cilindrico - in rame del IV - III sec. a.C.), quindi fu nel 692 capoluogo del Contado della Bazana, comprendente le pievi di Pontirolo, Gorgonzola, Corneliano, e sede di vicariato dal 1577. Il borgo medievale, configurato nel XIV secolo, separato e posto a sud dello sprone del castello, aveva quattro porte (S. Caterina, Valverde, S. Bartolomeo e S. Marta, l’unica tuttora rimasta) e due direttrici interne che si incrociavano sul sito della attuale piazza Libertà. Il collegamento con la sponda bergamasca, dopo la distruzione dei ponti medievali, avvenne con un traghetto fino al 1886, poi con un viadotto in ferro sostituito nel 1954 dall’attuale in cemento armato. Lungo via Roma, si osserva il municipio, allogato nella settecentesca villa Appiani. Dietro, con accesso dalla via Dante (n. 16), è la villa Comunale, già Crivelli Gardenghi, antico convento dei Crociferi ripreso nel XVIII sec.: ospita la 8
Biblioteca e una piccola Pinacoteca con dipinti di scuola lombarda e veneta del ‘6 - ‘700. Via Valverde scende ai ruderi del castello di Trezzo, «il più bello e gagliardo della Lombardia» , come ebbe a dire il Cantù vedendolo nell’800 già in parte smantellato (e i materiali reimpiegati nella costruzione dell’Arena a Milano e della Villa Reale a Monza). Concorreva a tale giudizio lo scenario ambientale, fra le più note iconografie della regione, dove l’Adda, incassato fra alte pareti di ceppo, forma una doppia ansa che dalla parte milanese condiziona un eccezionale saliente sul quale, già in epoca longobarda, pare fossero state apprestate difese. Forse il ‘castello vecchio’, sulla punta più avanzata, sotto le cui mura si accanirono truppe imperiali e comunali (una volta presolo, il Barbarossa nel 1158 lo farà potenziare), fazioni viscontee e torriane. Il ‘castello nuovo’ è invece quello fatto innalzare dopo il 1365 da Bernabò Visconti (che poi vi verrà rinchiuso fino a morte dal nipote Gian Galeazzo), in posizione poco più arretrata, utilizzando del precedente una parte del sostegno murario. La ricostruzione ideale di quell’impianto trova conforto in alcuni disegni sei-settecenteschi e documentano dell’imponenza dell’opera, certamente il maggiore dei fortilizi viscontei per la difesa dello scacchiere orientale e, nello specifico, per il controllo dei traffici fra il Milanese e la Bergamasca. D’altra parte, secondo Napoleone, l’Adda era il fiume più difeso d’Italia e
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Origine e significato del nome Martesana. Questo contado dal quale prende il nome il naviglio, era il più antico dello Stato milanese, e si componeva di dodici pievi che andavano da Asso a Vimercate, dove sedeva il magistrato. Per alcuni è così detta da una ’gens Martecia’ che in epoca romana vi si sarebbe stabilita. Per altri deriverebbe dal nome del governatore, sempre romano, Martecio. Per altri ancora sarebbe da avvicinare al Dio Marte.
L’Adda sotto il ponte dell’autostrada A4.
La rampa che dal castello di Trezzo scende all’Adda.
non fa specie trovare non uno ma parecchi castelli lungo il suo corso da Lecco fino a Pizzighettone. Il mastio quadrato superstite, alto 42 metri, era parte della linea di difesa rivolta verso il borgo, quella più facilmente attaccabile. A un primo retrostante cortile (di cui resta il muro di sinistra, limitato al fondo dalla cappella restaurata nel 1933 da Ambrogio Annoni) faceva seguito la piazza d’armi, rettangolare e racchiusa entro quattro corpi di fabbrica, uno dei quali porticato. Il materiale di costruzione attingeva dal ciottolame del fiume inframmezzato da corsi di mattone. Al castello era collegato un colossale ponte in muratura — smantellato da Carmagnola nel 1416, vi restano le sole spalle di sostegno — che con unica arcata e passaggi sovrapposti scavalcava l’Adda. Ulteriore motivo di difesa, oltre al borgo con diverse torri, erano anche alcuni cascinali dei dintorni (la Rocca, Colombè) con strutture fortificate coeve al castello. Il complesso è di proprietà comunale dal 1982 con il suo giardino pubblico. Piegando a destra dinanzi all’ingresso del castello si scende, a stretti tornanti, alla gola dell’Adda, in un punto molto suggestivo. Il fiume, da Brivio a Cassano, scava un canyon nella coltre di materiali diluviali della pianura. Una traccia ciclabile segue la sponda del fiume sia verso nord, sia verso sud. Nel primo caso si aggira tutto lo sperone roccioso arrivando dinanzi alla centrale elettrica Taccani, saggio esemplare dell’architettura industriale italiana, commissionata
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nel 1906 da Cristoforo Benigno Crespi a Gaetano Moretti e Adolfo Covi con l’avvertenza che la costruzione non creasse disaccordo con l’ambiente circostante. Difatti la pietra grigia del paramento esterno è la medesima del soprastante castello, mentre la fitta modanatura della facciata e il corpo allungato dell’edificio sembrano essi stessi una parte della rupe. Il chiosco che si trova al di là dello spalto della centrale può costituire un primo ideale punto di sosta prima di riprendere la pedalata che, tornando a ritroso, riporta nella forra dell’Adda passando sotto il ponte urbano e, quindi, sotto quello dell’autostrada A4. Subito dopo s’incontra il ‘vecchio’ incile del naviglio, il punto dove parte dell’acqua dell’Adda veniva in origine dirottata nel naviglio. Non resta quasi nulla dell’antico impianto, solo un scoglio affiorante dall’acqua. Quindi si giunge all’altezza dell’incile attuale, realizzato fra il 1942 e il 1949, in corrispondenza dello spalto ove sorge il santuario di Concesa, mediocre chiesa neogotica, di Spirito Maria Chiappetta (1910), ma che è molto legata alla storia del naviglio per via delle processioni che per via d’acqua, recando l’immagine sacra della Madonna del barcaiolo, giungevano qui dai paesi della Martesana. Al di sopra, sul terrazzo della valle, si scorge villa Gina, eretta nel 1855 dal sindaco di Milano Paolo Bassi e oggi sede del Parco naturale Adda Nord. Sporgendosi verso il fiume si nota come nel letto sia frapposta una diga ‘a palconcelli di legno’: serve a deviare, sulla spon-
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«Per sfuggir la stanchezza, balzai sopra una barca tutta annerita dal carbone di cui aveva servito al trasporto, e sul trionfale suo cassero giunsi a Vaprio, il cui prospetto, da quel lato, innamora lo sguardo colla sua rara bellezza. La riva, a destra del corso d’acqua, arditamente si solleva in rupe, e tutta splende adorna di maestose ed eleganti ville, e di giardini sorgenti un sull’altro a guisa di amenissimo anfiteatro». (D. Bortolotti)
Veduta panoramica dello spalto di Vaprio d’Adda visto dalla sponda bergamasca presso l’incile della roggia Vailata.
«Mi fermai a rifocillarmi nell’osteria di Groppello, posta in sito di singolare vaghezza. Capricciosamente gira al di sotto il fiume, abbracciando co’ suoi rami alcune verdi isolette. Piene d’alberi e solitarie in vista si distendono di contro a destra le fertili pianure della Ghiaradadda. Biancheggiano a sinistra Vaprio, la Canonica, Fara, Pontirolo, e ridono i colli Bergamaschi nel fondo». (D. Bortolotti)
Il punto d’avvio del naviglio della Martesana a Concesa.
da sinistra, un canale industriale e, sulla sponda destra, il nostro naviglio. Il sistema prevede anche degli ‘scaricatori’, nel caso di piene eccessive, e di sifoni per deviare l’acqua non solo in superficie ma anche sotto il suo livello. Con una breve deviazione, una passerella pedonale consente di superare l’Adda e di portarsi verso il villaggio operaio di Crespi d’Adda, di cui si nota già l’alta torre neo-gotica della villa appartenuta alla famiglia di industriali tessili che promossero questo esempio di paternalismo operaio, fra i più conosciuti in Italia assieme a Schio e al villaggio Leumann di Collegno. L’insediamento, fondato nel 1878, sviluppato specie fra il 1890 e il 1910 e oggi pochissimo alterato, mirava, sul modello di precedenti anglosassoni e prendendo prestito dalle utopie socialiste, alla costituzione di una comunità ideale nella quale avessero appagamento gli interessi dell’imprenditore e i bisogni materiali della classe operaia (case e servizi). Pur costituendo un deciso
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passo in avanti nel quadro delle disagiate condizioni del proletariato dell’epoca, l’operazione rifletteva il desiderio padronale di rendere esclusivo il controllo della forza lavoro senza alterare le divisioni di classe, anzi proiettandole a livello micro urbanistico con la differenziazione delle tipologie edilizie, con lo studiato posizionamento della residenza padronale, della chiesa, dell’accesso al luogo di lavoro, con l’isolamento del luogo posto su una penisola fra Adda e Brembo. 2. Da Trezzo sull’Adda a Cassano d’Adda A questo punto, dal piazzale del santuario, si può seguire l’alzaia del naviglio della Martesana iniziando il ‘viaggio’ verso Milano (km 0, alt. 140). Il suo tracciato è ancora quello originario, salvo un tratto di circa 2 chilometri a Vimodrone, dove l’originario letto è stato utilizzato dalla metropolitana e quello nuovo spostato poco più a nord. La pista ciclabile consente una pedalata sicura e protetta; nel primo tratto su fondo naturale. Guardando verso il fiume, che corre parallelo sulla sinistra, si nota la foce del fiume Brembo, tributario appunto dell’Adda. Sulla destra invece, oltre il naviglio, corre il muro di cinta del Monasterolo, o villa Quintavalle, estesa tenuta, già dimora estiva delle famiglie Simonetta e Castelbarco Albani, il cui aspetto è dovuto a una trasformazione del precedente edificio settecentesco operata all’inizio del XIX secolo. Il rimaneggiamento fu ideato dal conte Cesare Castelbarco che rievocando lo stile classico vi fece costruire sale sotterranee, grotte, terme, un teatro, ecc. sparsi in un parco che osservatori del tempo ritenevano a ragione cedesse di ampiezza solo al Parco di Monza. A un certo punto si nota anche la ruota in ferro che serviva per sollevare l’acqua del naviglio e portarla all’interno del parco. Questo è anche il tratto dove la costruzione del naviglio richiese gli sforzi maggiori, per tenerlo elevato rispetto al letto del fiume. Scrisse Cesare Cantù: «Dal Castello di Trezzo il naviglio è, per quasi 5 miglia, scavato nella costa dell’Adda, passando per Concesa e Vaprio, sostenuto da arginature, che si elevano da uno fino 40 braccia; onde, a chi passeggi la strada dell’alzaja, offre spettacolo singolare l’acqua, che al disotto vorticosa e spumante frangesi fra i massi, mentre 13
Mappa della forra dell’Adda fra Trezzo e Crespi d’Adda con le principali attrattive. In colore rosso la pista ciclabile della Martesana al suo avvio, presso Concesa.
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in alto, assogettata ai voleri dell’uomo, lenta sospinge o scarsamente resiste alle navi, che vi sono rimorchiate da pazienti cavalli». Occorre precisare che rispetto alla metà dell’Ottocento, quando appunto Cantù scrisse, il volume e la potenza delle acque dell’Adda si sono alquanto ridotti a causa dei molti prelievi e degli sbarramenti che si sono frapposti a monte di Trezzo. Insomma, l’effetto non è più quello d’un tempo, salvo quelle rare giornate dopo forti pioggie, quando per ragioni di sicurezza tutte le acque tornano a essere rilasciate naturalmente. In seguito, dopo aver affiancato i capannoni della excartiera Binda (in origine ‘Maglia e Pigna’) che utilizzava l’acqua del naviglio per muovere i macchinari, si raggiunge il ponte di Canonica (km 3.2, alt. 138), fra Vaprio milanese (a destra, sul terrazzo) e Canonica bergamasca (al di là del fiume, in posizione più ribassata). Vaprio d’Adda fu un insediamento (dall’etimo latino ‘vadulum’, ‘dove le acque sono basse’) in un punto propizio al passaggio del fiume. Il ponte, già esistente in età romana, fu difeso dai Milanesi nel 1279 con lo scomparso castello, poi fu demolito e ancora nel XVIII secolo si passava il fiume con un traghetto. Dalla sponda del fiume si scorge in alto, sul ciglio della valle, il palazzo Melzi d’Eril, eretto nel 1482 da Giovanni Melzi sui resti del castello, trasformato e ampliato nel ‘600, nuovamente ripreso nel 1845. La fronte principale è a dominio dell’Adda dove digradano alcune terrazze a giardino. L’interno ha sale ornate di stucchi e fregi sette-ottocenteschi, arredi e un affresco, detto il ‘Madonnone’, forse concluso da Francesco Melzi su disegni di Leonardo che qui fu ospite fra il 1506 e il 1513 elaborando progetti idraulici e piani di ampliamento dell’edificio. La pista ciclabile, dopo lo snodo (prudenza!) con la provinciale che attraversa l’Adda con un ponte ad arco, riprende stando sempre in sponda sinistra del naviglio. Alla prima curva (km 3.6, alt. 134), vicino a uno dei pochi originali ponti in pietra e alla vecchia ‘Casa del guardiano delle acque’, si contorna lo stabilimento Velvis, fra i primi localizzati nella zona (1839), dedito inizialmente Nella pagina accanto: in alto il ‘rudun’ di Gropello d’Adda; in basso, l’approdo di villa Castelbarco sulla Martesana. 15
«La luce si rifletteva con grazia nello specchio dell’acqua, che per linea diritta correa forse un miglio, con la strada dei carri da un lato e quella dell’argin dall’altro; e lungole strade sorgevano alte piante in lunghi filari che l’adiacente campagna nascondevano affatto. Dalle Fornaci a Inzago va il naviglio fra sponde agresti, frastagliate e boscose, somigliante a un fiume». (D. Bortolotti)
Un tranquillo ciclista lungo la pista della Martesana.
alla filatura, ritorcitura e tessitura del cotone. Nel 1865 fu rilevato da Raimondo Visconti di Modrone che vi aggiunse la lavorazione del velluto, divenuta poi prevalente. Di bella evidenza la torre circolare merlata come gesto di mimetismo ambientale ed evocazione della nobiltà della famiglia di imprenditori tessili. La torre, in realtà, conteneva un albero motore verticale la cui forza si distribuiva poi ai vari piani dello stabilimento. Anche questa fabbrica, fino al 1904, utilizzava l’acqua della Martesana attraverso un condotto sotterraneo per muovere una macchina a vapore nel reparto di filatura. Un altro prelievo di acqua avviene poco più avanti, mediante un canale che alimenta la centrale elettrica Italcementi, ma in origine del Linificio e Canapificio Nazionale di Fara Gera d’Adda. Dopo un tratto solitario, il naviglio raggiunge Gropello d’Adda (km 7.7, alt. 137; a sinistra, prima di entrare in paese, una discesa porta a valicare l’Adda su una passerella ciclopedonale di collegamento con Fara Gera d’Adda e con gli itinerari ciclabili della Bergamasca), dipendenza dal 1160 dell’Arcivescovo di Milano. Con la fronte principale rivolta verso il fiume si trova infatti la villa Arcivescovile, iniziata da Carlo Borromeo e conclusa dal cugino Federico. Doveva, ed è ancora, un luogo ameno, affacciato alla valle dell’Adda e all’estesa pianura bergamasca. Nei pressi, l’oratorio di S. Antonio conserva un ciclo affrescato da Giovan Marco della Rovere, firmato e datato 1638. Da notare anche la bella e grande ruota - il ‘rudun’ - posizionata lungo la scarpata del naviglio accanto al vecchio lavatoio utilizzato un tempo dalle donne del paese. Da qualche anno restaurata, la ruota risale al 1618 e serviva per portare acqua con 12 pale al livello del paese e distribuirla negli orti e nel giardino della villa Arcivescovile. Ora la ciclabile procederà su asfalto fino a Milano. Al fondo del rettifilo di Gropello si giunge a La Volta (km 9, alt. 133), un punto ‘topico’ del naviglio, alle porte di Cassano d’Adda: indica una curva ad angolo retto che indirizza la Martesana in direzione di Milano, vicino al tracciato della strada Padana superiore. La curva provoca anche un rallentamento della corrente; nel tratto appena percorso il flusso da nord a sud seguiva la lieve pendenza della valle dell’Adda e faceva sì che il naviglio avesse la forza di dare acqua agli opifici di Vaprio, mentre da qui in poi le derivazioni servono soprat16
Le bocche e le once. Il cronista milanese Giovanni Battista Settala nella sua ‘Relatione del Navilio di Martesana’, redatta nel 1603, spiega bene il funzionamento delle ‘bocche’, da cui derivava il calcolo delle quote di denaro dovuto allo Stato per il prelievo dell’acqua a fini irrigui. «L’acqua viene concessa a ragione di onza della misura milanese. Dodici onze fanno un braccio, di modo che l’apertura lunga un braccio e alta un’onza conduce un’onza d’acqua e per accomodare e aggiustare l’apertura di un’onza d’acqua si è messo in pratica di fare un buso di altezza 4 onze e larghezza di 3 che risulta nella quantità della prima apertura di un braccio. Il buso si fa conforme di sarizzo con le reggie di ferro circondato, a ciò non sia facile rompere per rubar maggior acqua. Il Magistrato ha fatto mettere sopra le bocche la porta ferrata con le chiavi che restano in mano agli Agenti della Camera. Ogni onza adacqua 200 pertiche di terra. Il valore o prezzo dell’acqua è questo: si vende a ragione di Lire 2000 e 2500 e fin a 3000 l’onza alla Ripa del Naviglio». Sul finire del XVI secolo la portata del naviglio, al ponte di Inzago, era calcolata in 500 onze. In realtà fu solo dalla fine del XV secolo che i prelievi avvenivano dietro pagamento di denaro. Prima esisteva il cosiddetto ‘diritto di acquedotto’, ovvero chiunque ne faceva richiesta aveva la possibilità di derivare acqua con la sola condizione di mantenere in buona efficienza il sistema. Con la vendita dei diritti d’acqua il Ducato di Milano trovò un facile modo di appianare debiti e di finanziare imprese belliche. Dalla denominazione data a ciascun bocca si viene a conoscere un intero spaccato della società milanese, poiché corrispondente a famiglie nobili o enti religiosi: Bocca Panigarola, Anguissola, Moneta, Porra, Visconta, Orabuona, Melzi, Serbelloni, Litta, Borromeo, dell’Abbadia di Crescenzago, dei Frati del Casoretto, delle Monache Vergini di Zimiano, del Monasterio di S. Simpliciano e via dicendo. Gli apparati di presa, con i portali sollevabili non più in legno bensì in acciaio, si vedono ancora oggi lungo la sponda del naviglio. Se si presta attenzione si legge anche sulla trave in ferro il nome del concessionario, vicino al lucchetto che ne garantisce l’integrità d’uso.
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tutto per l’irrigazione delle campagne mediante le ‘bocche’ che scaricano prestabilite quantità d’acqua a seconda dei giorni e delle ore. Cassano d’Adda merita una breve deviazione per l’evidenza del nucleo storico, a ridosso del fiume e del canale della Muzza. Fu in origine un ricetto, vale a dire un insediamento temporaneo circondato da mura, usato nei momenti di pericolo dalla popolazione. Fu voluto nel 1278 da Ottone Visconti come appendice del castello vero e proprio. Quest’ultimo si erge a poca distanza, sul fondo di piazza Cavour, ed è un’opera stratificata nei secoli. Se ne ha notizia a partire dal Mille, fu rimaneggiata e ampliata fra il XIII e il XV secolo e specie dopo il 1451 sotto la direzione di Bartolomeo Gadio, ingegnere militare di Francesco Sforza. Si assegna a questa data la struttura muraria a ridosso del fiume, mentre il cortile e il corpo occidentale rimandano a un precedente intervento visconteo contraddistinto dalle arcate a sesto acuto. Il fortilizio difendeva il confine orientale del Milanese, di fronte al territorio veneto. 3. Da Cassano d’Adda a Gorgonzola Concluso il giro di Cassano che vi avrà anche portato a osservare la sontuosa villa Borromeo, fra le più compiute ope-
Ciclisti di ogni età sulla Martesana.
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re dell’architetto neoclassico Giuseppe Piermarini, si fa ritorno a La Volta per riprendere la ciclabile della Martesana. Si procede sempre a lunghi rettifili intervallati da qualche lieve inflessione del corso d’acqua. Si tenga presente che la nostra ciclabile un tempo serviva, quando la navigazione era attiva, al passaggio delle coppie di cavalli con il compito di trainare controcorrente i barconi vuoti, fra loro uniti in lunghi convogli, detti ‘cobbie’. Alcuni cascinali fronteggiano il naviglio come la bella cascina Regoledo (km 10.4, alt. 137), anch’essa, come Gropello, di proprietà arcivescovile (si notano alcuni stemmi sul portone d’ingresso), e introducono a Inzago (km 12, alt. 137), paese con belle ville, specchiate sul naviglio, e un passato turbolento che vide schierati per il suo possesso da una parte i monaci, dall’altra i canonici di S. Ambrogio in Milano. Poi fu passato di mano in mano alle più facoltose famiglie del Milanese (Marliani Visconti, Trivulzio, Sforza, Stampa, De Leyda ecc.), le quali lo impreziosirono di sontuose ville, rivaleggiando in stile e ricchezza di opere d’arte. Inzago è dunque simile a ciò che sono Cassinetta di Lugagnano e Robecco sul Naviglio Grande, a ovest di Milano. Per cui, anche qui vale la pena abbandonare un attimo la ciclabile ed entrare nell’abitato. Alcune ville si scorgono già avvicinandoci, ancora sulla ciclabile: prima del ponte di via Matteotti, sull’altra sponda del naviglio, il giardino di villa Secco d’Aragona (inizio del XVI secolo), riconoscibile dal parapetto verso l’acqua che formava un approdo; più avanti, un’alta torre ottagona indica villa Aitelli-Vitali, forse conformata sulle tracce di una casa umiliata e che fu nel ‘500 residenza di Ludovico Moneta, segretario di Carlo Borromeo. Davide Bertolotti, al quale dobbiamo molte citazioni, durante il suo ‘viaggio’ lungo il naviglio, giunto a Inzago, salì su questa torre per contemplare il panorama e regalarci una bella lezione di geografia: «Disotto, tra verdeggianti praterie, segnava il naviglio una lunga linea d’argento, interrotta di distanza in distanza dal bruno color delle barche. A levante l’acuto campanile di Treviglio e le cupole del santuario di Caravaggio rompevano l’uniformità della pianura. A mezzo giorno spaziava lo sguardo sui fertili campi del Lodigiano e del Milanese; mentre a ponente, da Gorgonzola e da Gessate stendevasi fino ai colli del Lago Maggiore, ed alle Alpi somme che terminano maestose la 19
La fauna del Naviglio. La fauna umana della Martesana è composta da pensionati pescatori, da belle ragazze che corrono in tuta e cuffiette, da mamme con la carrozzina e da ciclisti che, spesso, sono la specie più pericolosa per via della velocità che tengono e perché credono che il loro habitat sia esclusivo. L’alta frequentazione della ciclabile, specie nel fine settimana, sta creando qualche problema di compatibilità fra i diversi utenti e forse non è lontano il giorno in cui sarà necessario separare il percorso ciclabile da quello pedonale per evitare incidenti. Anche la fauna animale ha una specie predominante ed è la nutria, da tempo perseguitata per evitarne la diffusione, già massiccia in tutta la Pianura padana. Romantica la presenza di gallinelle d’acqua, folaghe, germani, anitre e preoccupante invece il rilascio di tartarughe prima piaciute, poi abbandonate. Durante i periodi di secca del naviglio, il pesce che ristagna nelle pozze d’acqua residue viene raccolto dal personale della Provincia di Milano e reimmesso in altri corsi d’acqua.
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vista. A tramontana finalmente si scorgeva Bergamo vagamente adagiata sull’ultima pendice delle Alpi Retiche, indi i monti di Lecco che colle stranissime dentate lor forme fanno testimonianza delle portentose rivoluzioni del globo. Ai piacevoli colli della Brianza sparsi di paesetti e di ville, succedevano i monti della Svizzera italiana nel fondo». Al ponte di via Marchesi si scavalca il naviglio e si arriva nel centro di Inzago, il cui impianto urbanistico merita rilievo: un disegno vagamente poligonale, lambito a sud dal naviglio, con una piazza centrale da cui originano a raggiera, o meglio a turbina, quattro strade sulle quali affacciano corti un tempo agricole o le pertinenze delle ville, i cui corpi principali sono sempre un po’ discosti dagli spazi pubblici, quasi timorose a mostrarsi. Piazza Maggiore, con un punto di ristoro all’aperto, è l’ampio slargo centrale, ricavato in epoca imprecisata dalla demolizione di un complesso religioso, forse l’antichissimo ostello per pellegrini fondato nell’870 da Gariboldo, vescovo di Bergamo. A un vertice della piazza si trova la chiesa di S. Rocco del 1576 (ripresa nel 1757), quasi su due lati è il muro di cinta del giardino di villa Gnecchi, mentre sul fondo sono, la sontuosa cancellata, il cortile e la facciata eclettica di villa Facheris, oggi sede bancaria, seicentesca ma riformata nell’800 dall’omonimo proprietario studiando un affaccio diretto alla piazza pur non sacrificando le ali dell’edificio che coprono in parte la visuale sulla facciata. Seguendo per breve tratto via Pilastrello e, a destra, via S. Rocco si raggiungono, poco prima della parrocchiale di S. Maria Assunta (1827), la seicentesca villa Gnecchi (n. 12), già residenza dei Franchetti di Ponte, gerenti nel ‘700 del servizio postale fra Milano e il Veneto, e, di fronte a questa, palazzo Piola, oggi municipio, pure seicentesco, con profondo atrio ad archi ribassati. Dopo quest’altra parentesi si può tornare sul naviglio. Lembi di campagna, con i riquadri dei campi scanditi da filari, purtroppo sempre più rarefatti, ricordano la vocazione agricola della pianura, sul limite fra i suoli aridi della parte alta e i ricchissimi di acque sorgive – i fontanili – di quella bassa. Il naviglio contribuisce all’irrigazione con molte ‘bocche’ che alimentano fossi e rogge. Oltre a irrigare, grazie a 129 Nella pagina accanto: in alto uno scorcio del naviglio a Gorgonzola; sotto, il ponte di via Marchesi a Inzago.
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«Nel mezzo scorre maestoso il Naviglio, e sull’altra riva siedono eleganti casini, posti con euritmia quasi in eguale distanza, e circondati da’ giardini, tra’ quali riguardevole è l’ultimo, ove il naviglio prende a girare. La veduta di Crescenzago, non ingrato argomento al pittore paesista, annunzia al forestiero le vicinanze di un’opulenta città». (D. Bortolotti)
«Le accacie ed i salici da’ rami cadenti che ombreggiano da un lato la riva presso il rustico ponte di Gorla, e i casini e gli adorni verzieri che qui fiancheggiano per buon tratto il canale, piacevole fanno questo sito ed accomodato ai graziosi diporti». (D. Bortolotti)
«Inzago è ora il ridotto di molti villeggianti: havvi anzi aperto nell’autunnale stagione un casino, abbellito, a quanto dicono, dalla presenza di avvenenti signore». (D. Bortolotti)
bocche (erano 85 in origine), 25 mila ettari di terreno, il naviglio collegò commercialmente la valle dell’Adda e la Bergamasca con Milano. In realtà le due funzioni - irrigua e commerciale - si trovarono spesso in conflitto, poiché togliendo acqua al naviglio si ostacolava la navigazione. Conflitto che vedeva schierati da una parte i grandi proprietari terrieri, enti religiosi o lo stesso arcivescovado, e dall’altra la Signoria milanese, la città con i mercanti. Nel 1505 furono nominati i cosiddetti ‘campari’, vale a dire i funzionari addetti al controllo e alla regolare distribuzione delle acque irrigue, spesso oggetto di abusi. Nel 1570, dietro ordine del Duca spagnolo di Albuquerque, governatore di Milano, proprio per cercare di conciliare le due esigenze, si apportarono modifiche al naviglio in modo da accrescere la portata d’acqua - da 500 a 600 ‘onze milanesi’ - ma si limitò anche l’uso irriguo delle acque vietandolo per almeno due giorni la settimana in estate e permanentemente durante l’inverno. Ciò permise il passaggio di barche più capienti 22
Le linee celeri dell’Adda Da Cassina de’ Pecchi a Milano, il naviglio corre parallelo alla linea 2 della metropolitana. Nel 1878, la tramvia stradale Milano-Gorgonzola-Vaprio fu la prima in Italia ad essere costruita e esercita a vapore (fino a quel momento la trazione dei tram era a cavalli). Nel 1880 furono aperte le diramazioni da Cascina Gobba a Vimercate e da Villa Fornaci a Cassano e Treviglio. In tal modo tutti i maggiori abitati della Martesana furono collegati a Milano. Gestite da società private queste linee ebbero una loro funzione che, fra l’altro, sostituì parte dei traffici sul naviglio. Elettrificate all’inizio degli anni Trenta e poste in sede propria, parallele alla strada, furono fra le ultime a scomparire dallo scenario del trasporto extraurbano milanese. Non solo, per esse, a partire dagli anni Sessanta si prospettò un nuovo avvenire sotto il nome di Linee Celeri dell’Adda con la realizzazione di un percorso a doppio binario dalle caratteristiche ferroviarie, e con la prospettiva, poi non verificatasi, di raggiungere Bergamo. Iniziato con modeste risorse, il progetto realizzò il tronco Cascina Gobba-Gorgonzola, aperto al servizio nel 1968, e divenne funzionale quando su di esso, nel 1972, furono instradati i convogli della linea 2 della metropolitana. Dal capolinea di Gorgonzola però la tratta per Cassano fu soppressa (quella fino a Treviglio già nel 1931) e sostuituita da bus, mentre quella per Vaprio rimase in funzione fino al 1978. Nel 1985 infine, da Gorgonzola il capolinea fu portato a Gessate. Della vecchia diramazione da Villa Fornaci a Vaprio resta il sedime, accanto alla strada provinciale, e non si comprende perché non si sia ancora riusciti a trasformarlo in pista ciclabile.
«Martesana, Martesana prosciugada mi me meravigli perché ogni tant te toeuien l’acqua quand s’eri giuvin ghe fasevi el bagn adess che sun vecc ghe foe pu vun cass...». (Zelig: la cunesiun del pulpacc, Elio e le Storie Tese)
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Le osterie del naviglio Per alcune osterie del naviglio la fama, dal popolare si estese al letterario e al poetico. Carlo Porta intitolò nel 1865 una poesia ‘Brindes per on disnà alla Cassina di’ pomm’ dove si celebrava la vittoriosa campagna di Eugenio di Beauhaurnais sugli austriaci. Fra una libagione e una bicchierata, le osterie del naviglio - o meglio, dei navigli, accostandovi anche quelle di Porta Ticinese - furono l’espressione sincera della milanesità. Frequentate a ogni ora del giorno vi si poteva trovare il borghese con la famiglia come l’operaio, il fabbro come il barcaiolo che, stanco dal lungo e silenzioso
tragitto sul naviglio, poteva dar voce alle sue opinioni attentamente ascoltato dall’ingenuo contadino, fermatosi per un bicchiere sulla via del ritorno dal mercato della città alla cascina. Spesso l’osteria aveva un retro aperto con l’immancabile campo per le bocce e la pergola di vite.
e un sufficiente deflusso d’acqua che arrivava fin dentro il fossato del Castello a Milano, spesso ristagnante. Nel 1576, durante l’infierire della peste, l’acqua della Martesana servì a smaltire rifiuti e sporcizie, portatrici del contagio. Poco fuori Inzago s’incontra la cascina Monasterolo, costruita nel 1498, la quale non si può dire sia stata sottoutilizzata: prima ospizio per convalescenti, poi convento, poi scuola religiosa, poi ancora cascina e infine villa padronale. All’interno si svelano un bel chiostro su colonnine in cotto e la cappella, intitolata a S. Maria delle Grazie. Un angolo di pacata e modesta compiutezza che nulla ha a che vedere con la pacchiana invadenza del centro commerciale che appare poco oltre. A Villa Fornaci (km 15.3, alt. 119) il naviglio avvicina e accosta, restando però sulla sponda opposta, la direttrice stradale Milano-Bergamo, probabilmente ereditata da una strada romana. Il paese, dipendenza dell’attiguo comune di Bellinzago Lombardo, prende probabilmente il nome dalla presenza di fornaci per la cottura dei mattoni, la cui origine risaliva addirittura all’epoca dei lavori di costruzione del naviglio. Poco prima di entrarvi si accosta anche l’ultima delle tre conche attualmente esistenti sul naviglio (le altre sono a Gropello e a Inzago). Tramite di esse venivano superati i dislivelli lungo il percorso. In origine invece si aveva una sola conca, presso Gorla, alla fine del suo percorso. La conca è, in sostanza, un bacino chiuso da portoni semoventi, che riempito e svuotato d’acqua, consente alle imbarcazioni di superare gli sbalzi di quota sia in un senso, sia nell’altro. Da Trezzo a Milano il naviglio, nel senso della corrente, perde 25,80 metri di quota. Nel tratto successivo il percorso sotterraneo della Tangenziale Esterna Milanese ha preservato il bello scampolo di campagna che separa Villa Fornaci da Gorgonzola (km 18.8, alt. 138). Questa è l’antica ‘mutatio Argentia’ romana, poi sede di una pieve e di una corte di giustizia imperiale, dove il naviglio compie un’ansa fra le case e si presenta dinanzi all’imponente facciata neoclassica della Parrocchiale. Ancor più grandioso l’interno della chiesa con la cupola a 38 metri dal suolo. L’opera fu realizzata fra il 1806 e il 1820 da Simone Cantoni, architetto di grido dell’epoca che morì di «colpo apoplettico» durante una visita ai lavori. Le quattro enormi colonne neoclassiche della facciata della 24
chiesa sono la dimostrazione dell’utilità del naviglio. Infatti provengono dalle cave di granito di Baveno, sul Lago Maggiore. Dopo aver disceso il Ticino e raggiunta la fossa interna di Milano tramite il Naviglio Grande, furono trainate controcorrente a Gorgonzola lungo la Martesana. Accanto alla chiesa è il pantheon della famiglia Serbelloni, tenutaria di immensi patrimoni nella zona il cui palazzo, opera tardo-neoclassica di Giacomo Moraglia (1848), visibile dal naviglio entrando in Gorgonzola, fin dall’origine fu pensato come ospedale e anche in questo caso il naviglio ebbe un ruolo, poiché durante la peste di Milano del 1576, furono allestiti speciali barconi per condurre qui i contagiati dal morbo. Nel 1785 l’istituzione della fiera di S. Caterina diede rilevanza commerciale al borgo. Il mercato settimanale di Gorgonzola, incentivato dal grande sviluppo dell’attività casearia, era ed è ancora fra i più frequentati della zona. La villa Sola Busca, organizzata attorno a diversi cortili con funzione agricola, ha un corpo antico, risalente al 1571, e un grande giardino, ora pubblico; si trova accanto al naviglio nel punto 25
Il naviglio della Martesana all’altezza di villa Cazzaniga.
dove questo è scavalcato da un caratteristico ponte coperto in legno. Da notare qui anche gli originali parapetti in granito con le bitte in ferro per l’attracco dei barconi. 4. Da Gorgonzola a Cernusco sul Naviglio Dopo Gorgonzola si giunge nel punto dove il naviglio scavalca con un ponte il torrente Molgora (km 20.1, alt. 136). Si tratta di uno dei due manufatti - l’altro è il ponte-sfioratore sul Lambro a Cascina Gobba - di maggior pregio del naviglio, sebbene rifatti nel tempo. Superata Villa Pompea si avvicina, sull’altra sponda, cascina Gogna, un rilevante complesso agricolo documentato nel 1855 ma certamente precedente per via del richiamo settecentesco del palazzo principale e della cappella. Il cattivo stato di conservazione non aiuta però ad apprezzarlo. Cassina de’ Pecchi - in antico ‘Capsina Pecchiorum’, prima stazione di posta sulla strada da Milano a Venezia - si riconosce dalla stazione pensile della metropolitana, sotto la quale transita la ciclabile. D’altra parte l’abitato non ha mai avuto un capoluogo proprio perché diviso in tre frazioni: S. Agata, Camporicco, Cassina. La cosa singolare è che ebbero tutte una loro parrocchia autonoma scatenando tensioni che nel 1737 portarono all’assassinio di un parroco da parte di un cappellano rivale. Avvicinandoci a Milano il paesaggio si satura di capannoni e di aree residenziali. Sul naviglio la pressione dell’edificato si stempera intercalando aree verdi, come a Cernusco sul Naviglio (km 25.1, alt. 135), nota per alcune importanti ville nobiliari che spingono ancora una volta a lasciare la ciclabile. L’abitato, abbastanza simile a Inzago quanto a conformazione urbanistica, sebbene più trasformato con qualche incongrua intromissione di pesante edilizia, appartenne in successione alle tre famiglie - Marliani, Trivulzio, Serbelloni - che determinarono i destini feudali di buona parte della Martesana. Avvicinandoci per la via preferenziale della ciclabile, si scorge subito, sull’altra sponda del naviglio, il giardino anteposto alla villa Alari Visconti, «casa di delizia del Signor Conte Don Giacinto Alario», costruita nel 1719 su disegni di Giovanni Ruggeri e «interamente perfezionata sul margine del gran Canale, detto il Naviglio», tale da offrire una diretta via di comunicazione 26
con la città. Nel 1771 e sino alla costruzione della villa Arciducale (poi Reale) di Monza (1780) fu dimora estiva di Ferdinando d’Austria. I corpi d’ingresso e le basse ali rustiche del cortile inquadrano la facciata risolta, nella zona centrale, da un fitto impaginato di grande movimento decorativo con portico rialzato e comprensivo di due arcate strette fra le tra più ampie. Nella fronte verso il giardino (e il naviglio), impreziosita dall’aggetto di due logge sovrapposte, lo slancio verticale, ancora maggiore, è tale da sorreggere il lunghissimo cono visuale che raggiungeva la strada, ovvero la «postale Veneta». Per le sue dimensioni e importanza la villa fu inserita nella celebre opera sulle ‘Ville di Delizia del Milanese’, di Marcantonio Dal Re (1743). Raggiunto il ponte di via IV novembre, il naviglio delimita giardini con alberi secolari le cui fronde fanno da galleria. Sulla destra si entra a Cernusco, mentre proseguendo sulla ciclabile si accosta, sempre al di là del naviglio, il parco di villa Uboldo, disegnata nel 1817 da Camillo Rougier, cugino del proprietario Ambrogio Uboldo, in seguito alterata e ridotta a ospedale. Il parco, concluso nel 1837, verso cui guarda la fronte principale della villa, fu a suo tempo declamato da Giacomo Balzaretto, che lo definì «un vero esemplare» per il sottile gioco delle visuali prospettiche e per la dovizia di quelle «deliziose invenzioni, fra cui una finta facciata di chiesa gotico-lombarda, un ponte merlato, un canale e un laghetto derivati dal naviglio ecc.», che con effetti fantastici e qualche concessione al senso dell’or-
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«A Cernuschio bellissime praterie ti si stendono a destra, abbellite da superbi filari di pioppi e di salici, ed a manca hai campagne coltivate a cereali, e piene di viti, di gelsi e di alberi che danno frutta. Celere si volge l’acqua nel mezzo, coll’immagine del vivace moto il senso dell’allegrezza destando». (D. Bortolotti)
Qui sotto, mappa di Cernusco sul Naviglio con l’ubicazione delle sue ville e dei giardini. Nella pagina accanto: in alto, la chiesa parrocchiale di Gorgonzola si specchia nel naviglio; in basso, uno scorcio del naviglio a Cernusco.
Il pittoresco ponte di Gorla. A fianco, l’ingresso a Milano lungo via Idro.
rido, interpretavano con successo i gusti dell’epoca. Ben conservato e reso pubblico, il giardino merita una visita accedendovi dal ponte di via Leonardo da Vinci (l’ingresso è sulla destra; biciclette a mano). Ci si può riposare un attimo prima di affrontare l’ultimo tratto dell’itinerario oppure si può compiere un giro nel centro di Cernusco attraverso una cadenza di vie ‘strette’ e di ‘larghi’ che definiscono, con la sinuosità dei prospetti, la morfologia dell’insediamento rurale che, in passato, aveva la poco decorosa denominazione di Cernuscolo Asinario, mutata nell’attuale solo nell’Ottocento. Ma non è che gli abitanti fossero poco dotati d’intelletto, è che l’antica famiglia romana che si stabilì in zona si chiamava Asinii. Il loro sepolcro, fra l’altro, è stato ritrovato ed è sistemato lungo l’alzaia del naviglio. Piacevole l’area pubblica a giardino attorno alla villa Biancani Greppi: eretta nella prima metà del XVII secolo e oggi municipio, possiede un’articolata pianta ad H ripresa - forse per mano di Giuseppe Piermarini - intorno al 1776; il giardino, in parte smembrato, era disposto su una doppia prospettiva: quella centrale della villa e una seconda attestata su una delle fronti laterali rivolte verso il naviglio. 5. Da Cernusco sul Naviglio a Milano. Ampie aree a verde pubblico e a impianti sportivi accompagnano il successivo tratto della ciclabile, sempre accanto al naviglio. Sono modificazioni di epoca recente che tendono a saldare in un solo tessuto urbanizzato la trama degli abitati della Martesana. In passato, quando qui era ancora aperta campagna, si era soliti giungere in comitive per consumare momenti distensivi nelle osterie del naviglio, alcune delle quali ebbero una considerevole fama come quella della Casssina di’ Pomm, della Gobba, delle Tre Case, della Favorita. Se volete lo Zelig, in fregio al naviglio, sul Viale Monza, e qualche altro locale dall’atmosfera ‘revival’ sono le versioni aggiornate di questa tradizione milanese. Poco prima di raggiungere Vimodrone, si nota la piccola ma graziosa villa Cazzaniga, di fattura settecentesca, con facciata a due piani, un portichetto, una cappella e l’ordinato giardino che arriva, con uno spalto, al livello del naviglio. 28
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In alto, un suggestivo scorcio della Martesana. Sotto, la Cassina di’ Pomm in una vecchia stampa dell’800.
Vimodrone (km 28.9, alt. 128) ebbe l’onore di essere luogo d’elezione dei Modrone, poi Visconti di Modrone, una della più titolate famiglie milanesi. Entrando nell’abitato, presso la località del Rodone, si costeggia il parco pubblico S. Rita dove sono state restaurate e sono ben visibili tre ‘bocche’ di presa del naviglio, a poca distanza l’una dall’altra. Danno vita alla roggia che alimenta il bacino dell’Idroscalo, realizzato alla fine degli anni Venti del secolo scorso. Dopo Vimodrone un ultimo lungo rettifilo arriva nel punto dove i due rami della metropolitana, da Gessate e da Cologno Monzese, si riuniscono prima di entrare nella stazione di Cascina Gobba. Poi, dopo la cascina Metallino, sottopassata la Tangenziale Ovest di Milano si giunge sull’impianto idraulico del Lambro che si attraversa con una passerella metallica per entrare in città fra alti caseggiati e spazi verdi lasciati all’abbandono. L’ultimo scorcio di bellezza il naviglio lo propone a Crescenzago (km 32.5, alt. 131), lungo viale Padova, con altre ville, più modeste ma sempre adorne di giardini. Le fronde degli alberi scendono sull’acqua, cespugli di rose e di ortensie rivestono le balaustre, statue in pietra punteggiano i prati. Tre sono le ville di un certo interesse. In successione: villa Pino, in stile neoclassico ma seminascosta dagli alberi secolari del suo giardino; villa de’ Ponti, con la sua balaustra sul naviglio e il balconcino in ferro battuto; e la rossa villa Petrovic, con la sua torretta va30
gamente neo-gotica. Al ponte di via Adriano, la bianca villa Lecchi affaccia sul naviglio con la sua fronte leggermente concava. Altro punto caratteristico, a Gorla (km 34.5, alt. 129), il ponte in pietra di via Piccoli Martiri della Libertà. Vale la pena ricordare che Crescenzago, Gorla, Greco furono comuni autonomi fino al 1923, anno in cui furono inglobati nel comune di Milano. Alcune vecchie case, frammiste ai nuovi quartieri di edilizia moderna, rimandano alla vita della periferia milanese di fine ‘800, quando tutta questa zona era a prevalente destinazione operaia. Vicini erano gli stabilimenti della Breda e della Pirelli (e ancora prima le officine meccaniche Grondona e Elvetica), mentre un pullulare di piccole attività artigianali animava giorno e notte ogni cortile. Erano meccanici ciclisti, gommisti, fiaccherai, tintori, ceramisti, cocchieri, lapicidi, fabbri, fabbricanti di laterizi. Questo aspetto, sia pur privo di quel decoro con cui si voleva caratterizzare la città borghese, fu quasi del tutto obliterato dalla posa dell’invadente fascio di binari via via divergenti della Stazione Centrale, inaugurata nel 1931, frazionando e separando parti della periferia prima vissute unitariamente. La stessa Martesana è scavalcata da tre viadotti ferroviari nello spazio di poche decine di metri. Infine lo sviluppo edilizio di viale Monza, fondamentale direttrice stradale verso nord-est, ha saturato gli ultimi spazi liberi e del tutto soffocato le preesistenze che, per così dire, si sono quasi genuflesse alla modernità se si considera che il livello dell’alzaia del naviglio, in corrispondenza del ponte di viale Monza, è ribassato di qualche metro rispetto al
Santa Maria Rossa Se vi resta uno scampolo di tempo per una brevissima deviazione fatela da piazza Costantino attraversando via Padova per via Berra al fondo della quale ci si trova in una pittoresca piazzetta rimasta incolume dalla febbre edilizia della città, al cospetto di una chiesa romanica dal consueto caldo colore del cotto, tanto da chiamarla Santa Maria Rossa. Bisogna però immaginarla isolata in aperta campagna, al margine dell’antica strada romana per Bergamo e Venezia. È una costruzione del XII secolo, come rivela la sua parte più antica, l’abside, voluta dai canonici lateranensi ed ebbe un ruolo importante nella storia di Milano. Nel 1322 infatti vi fu nascosta e sepolta la salma di Matteo Visconti, signore di Milano, spirato nella vicina canonica. La facciata è stata ripresa nel 1922 nel tentativo di riportarla all’originario aspetto. All’interno, con tre navate divise da robuste colonne, si può ammirare un affresco del XIII secolo con la figura del Redentore e, nella sagrestia, un trittico di tre sante di Bergognone.
Qui accanto, il viadotto della Stazione Centrale a Greco. Nella pagina seguente, la Cassina di’ Pomm oggi, ultimo tratto scoperto del naviglio. 31
viale stesso. Sottopassati viale Monza e a Greco lo scalo ferroviario, il naviglio s’inabissa. L’acqua sembra attratta da un magnete dentro la città. Forse segue quella legge che fa di Milano un luogo divoratore e accentratore, «città – con le parole di Alberto Savinio – che a simiglianza di Polifemo, reca in fronte un occhio unico, intorno al quale l’orbita enorme delle case s’avvolge». Siamo alla Cassina di’ Pomm (km 36.1, alt. 127), in corrispondenza di via Melchiorre Gioia; una ciclabile urbana prosegue fino ai Bastioni di Porta Nuova (km 38.5), sul perimetro delle vecchie mura spagnole dove, tramite il cosidetto ‘tombon’, il naviglio entrava nella fossa interna cittadina. Dico entrava poiché oggi il suo corso sotterraneo è deviato. Del suo vecchio percorso resta allo scoperto un piccolo tratto, in asciutta, fra il Tombone e via Castelfidardo con l’impianto completo della conca dell’Incoronata. Resta da dire che il tratto urbano della ciclabile della Martesana è stato intitolato nel 2014 a Luigi Riccardi, paladino e promotore del movimento filo-ciclistico italiano.
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