a cura di Albano Ma rcarini Massimo Bottini
“Ferrovie delle Meraviglie” vuol essere un viaggio attraverso i colori della nostra penisola, le tonalità delle nostre isole. Con testi che raccontano un “ieri, un oggi e un domani” delle singole linee ferroviarie; nonché della passione che varie Associazioni donano alle stesse, per infondere nuova linfa al proprio territorio. E con immagini che descrivono, “sentono” le peculiarietà delle zone trattate, abbiamo stilato un primo, non esaustivo censimento di alcune “linee ferroviarie dismesse”. Con il vivo augurio che ciò possa trasmettere memoria, orgoglio e motivazioni a Comunità e Paesaggi che non vorremmo perdere. Buon viaggio
a cura di Albano Ma rcarini Massimo Bottini
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indice generale
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Introduzione. Albano Marcarini
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Ieri, oggi e domani. Massimo Bottini
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Porto Empedocle - Castelvetrano
Arianna Catania
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Burgio - Palermo
Arianna Catania
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Siliqua - Calasetta
Filippo Melis
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Lagonegro - Spezzano
Francesco Sallorenzo
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Polla - Petina
Alberto Nardi
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Monti - Tempio Pausania
Giovanni Pala
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Avellino - Rocchetta
Antonio Bergamino
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Pescolanciano - Agnone
Vincenzo Messina
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Roma - Fiuggi - Frosinone
Paola Arena
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Capranica - Civitavecchia
Pamela Lippolis
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Spoleto - Norcia
Paolo Capocci / Silvio Sorcini
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Porto San Giorgio - Amandola
Diego Marzoni
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San Lorenzo - Ospedaletti
Francesco Fiore
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Santarcangelo - Urbino
Lorenzo Mini
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Brà - Ceva / Bastia - Mondovì
Andrea Bruzzone / Gianni Ottonello
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Voghera - Varzi
Aurelio Heger
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Mantova - Peschiera
Aurelio Heger
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Treviso - Ostiglia
Antonio Rovaldi
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Valmorea
Laura Rodolfi
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Grandate - Malnate
Giorgio Costanzo
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Valle Brembana
Carlo Bonari
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Menaggio - Porlezza
Aurelio Heger
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Dolomiti
Aurelio Heger
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La Carta di Roma
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Colophon
Per i testi “Ieri, Oggi e Domani”, gli Autori: Pino Bartolomei; Pietro Canobbio; Paolo Capocci; Silvio Cinquini; Giorgio Costanzo; Valentina Corvigno; Mario Danese; Massimo Ferrari; Ambra Garancini; Pietro Mitrione; Antonello Sica.
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Albano Marcarini Non ci potevo credere. La stazione era murata, come fosse un edificio terremotato o infestato da un contagio. Eppure ci stava ancora la scritta del paese, seppur penzolante da un lato. Ma non si poteva entrare. C’erano dei mattoni a tappare porte e finestre. Poi c’erano scritte, fatte da chi non ha modi migliori per esprimersi. Potevo solo girarci attorno e mettermi ad attendere il treno. Sì, perché un treno ci passava (non so per quanto tempo ancora). Ma il marciapiede era una desolazione. Grosse fessure lasciavano spuntare erbe e non c’era modo di sedersi, come si faceva una volta, nell’attesa. A meno di non farlo per terra, sul cordolo della banchina. Il binario si sdoppiava per consentire lo scambio dei treni nelle opposte direzioni, ma si capiva che serviva a poco perché la ruggine lo stava avvolgendo. A fianco dell’edificio una piccola giungla di rampicanti e infestanti aveva avvolto del tutto quello che doveva essere un bel giardino, un giardino ferroviario, curato dalla moglie del capostazione o dal capostazione stesso, nei momenti morti della giornata: con le aiuole bordate dai mattoni messi di spigolo, con le rose e le edere, con l’immancabile e benedetta fontanella che sprizzava acqua all’insù, come un piccolo geyser senza ambizioni. Insomma quei giardinetti che ambivano al premio delle stazioni fiorite, in voga negli anni Trenta quando la Stazione era pari, per importanza, al Municipio e alla caserma dei Carabinieri. Ma ora la fontanella era una cannetta tagliata alla base e il catino in pietra spezzato a metà.
Introduzione Adesso è tutto abbandonato. Di più, è tutto senza speranza. È una rovina che nessuno vuole. A un tratto lo squillo della campanella rompe un silenzio assurdo. Un’altra campanella, più lenta e lontana, ferma le auto al passaggio a livello. Si annuncia imminente l’arrivo del treno. Ma niente viaggiatori, nessuno che scende e nessuno che sale. Il capotreno col fazzoletto verde nella mano destra e il chiavistello nella sinistra, guarda indietro, poi avanti, fa un cenno al macchinista e il convoglio riparte quasi scusandosi di essersi fermato in una stazione fantasma. 6400 secondo gli ultimi dati. La previsione è di arrivare a 10 mila nel 2020. Non si tratta di statistiche della crescita, bensì dei chilometri della nostra rete ferroviaria in progressiva dismissione. Nel 2011 ne sono scomparsi 600, e nel 2012 quasi altrettanto se non di più. Non c’è da esserne fieri, forse c’è da vergognarsi, questo sì. Di fronte alle chiusure un tempo si reagiva con grandi manifestazioni che chiamavano a corteo intere cittadinanze, sindaci in testa, proteste e articoli di giornali a fiotti. Oggi quasi non se ne parla. Soprattutto pochi reagiscono, a parte qualche associazione di appassionati. C’è rassegnazione o, peggio, indifferenza, pericolo ancora più grave, come soleva dire Antonio Gramsci che gli indifferenti alle cose proprio non li sopportava. E chi ha in potere di fare e disfare agisce indisturbato. Per lo più disfa un patrimonio di strade ferrate costruito con acume e lungimiranza dalle nostre generazioni passate.
La ferrovia è molto più di un mezzo di trasporto. È stata il collante di sviluppo di regioni emarginate, è stata il primo passo verso la modernità, è stata un’intelligente applicazione ecologica per il movimento collettivo delle merci e delle persone. È stata storia e memoria, vicende sociali ed economiche. È stata scuola di alta ingegneria e sapiente disegno di paesaggio (basta osservare increduli il dettaglio dei progetti ottocenteschi sull’andamento dei tracciati e delle relative opere d’arte). Il suo valore testimoniale e l’importanza del suo presidio territoriale, di qui al futuro, è superiore ad ogni meschina analisi finanziaria di esercizio. È vero, forse sui piccoli treni delle nostre linee secondarie non ci va più nessuno (ma tanto hanno fatto per scoraggiare i passeggeri), però non è come i transatlantici che tolti quelli il mare resta lo stesso. Se togli in treno togli un pezzo di territorio strutturato, anzi infrastrutturato, e lo perdi per sempre come ci ricordano con rammarico tante ferrovie conservate ormai solo nelle pagine dei libri di foto in bianco e nero. Anche questo è un libro. Un libro che non avremmo mai voluto scrivere e pubblicare perché sono pagine di rimorsi e di rimpianti. Eppure c’è chi crede che mantenere la nostra rete ferroviaria sia ancora cosa degna di un Paese civile. E si vuole convincere altri.
Spesso noi che ci occupiamo di queste cose litighiamo sul futuro di questo patrimonio, sul che farne, in particolare. C’è chi lo vorrebbe ancora attivo e in esercizio, magari con funzione turistica sorretta da una decorosa valorizzazione, e c’è chi ne vorrebbe fare parte integrante di una rete alternativa di mobilità pedonale e ciclabile, trasformando i vecchi tracciati. Propositi degni e onesti tutti. Quando il fenomeno era contenuto tali prese di posizione erano possibili, ora non più. L’entità e la gravità dell’abbandono superano ogni plausibile e possibile progetto di ripristino o di trasformazione. Occorre contrastare con forza una vera manovra ‘epocale’ che tende a cancellare definitivamente il trasporto su ferro, almeno quello che sfortunatamente non appartiene alla categoria dell’alta velocità. E a lasciare desolati e melanconici relitti in ogni parte del Paese. Possiamo dire di meritare tutto questo?
Albano Marcarini: Presidente Co.Mo.Do. Confederazione Mobilità Dolce
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Massimo Bottini I viaggiatori del gran tour che nel settecento provenivano dal centro e nord Europa percorrevano la nostra penisola folgorati dai paesaggi, dalle persone, dalle abitudini, ma soprattutto annotavano i luoghi e le situazioni ritraendoli in piccoli schizzi. Sfogliando un libro che conteneva una parte di quei disegni e parte dei diari di viaggio mi sono imbattutto nel ritratto di una scena di quotidianità del tempo, delle donne che attorno ad una fonte improvvisata lavavano dei panni. L’autore annotava che si trattava di antiche rovine romane appositamente riutilizzate per attrezzare un lavatoio. Nel commento si leggeva della sua meraviglia e la sua ammirazione nel vedere come quelle massaie con tutta naturalezza riusavano quei preziosi marmi. Il viaggiatore annotava quindi l’abilità degli italiani di convivere in modo rispettoso ed ingegnoso col loro passato. Una abilità che ha permesso al nostro paese di formarsi nei secoli seguendo le regole di una crescita armonica in cui ogni componente è in grado di interagire con tutte le altre ed integrarsi. Credo che in quel piccolo schizzo ci sia la sintesi del titolo di questo volume: ieri, oggi, domani. Ieri due secoli fa, in tutta la nostra penisola, come testimoniano le foto e le schede di questo libro, furono costruiti chilometri e chilometri di linee ferroviarie, furono solcate colline, bucate montagne, un gran numero di quelle linee non furono mai percorse da alcun treno, altre furono attive per un lasso di tempo limitato ed altre ancora lo furono per più anni. L’orografia del territorio ne è stata segnata profondamente e il reticolo ferroviario “dimenticato” è diventato paesaggio. Oggi, molte associazioni di volontariato grandi o piccole che siano hanno adottato una o più di queste linee ferrate, le difendono, le curano, le percorrono a piedi, in bici, a cavallo o altro. Le utilizzano per addentrarsi in aree oramai marginali del territorio in cui è ancora possibile riconoscere il segno dell’opera umana. Molte di esse versano in un completo stato di abbandono, assieme agli innumerevoli caselli ed alle stazioni. Imbattersi in una stazione abbandonata, chiusa per mancanza di treni è un’esperienza unica, una volta entrati o solo affacciati la mente inizia ad immaginarla con I viaggiatori, I bigliettai , I macchinisti, se poi si tratta di stazioni che non hanno mai funzionato ci si ferma lì ad aspettare il treno immaginario che ancora deve arrivare.
Ieri, oggi e domani Insomma le ferrovie “sognate” posseggono un grande potere che attiva le nostre memorie, i ricordi, ma anche la nostra immaginazione. Sfogliando il volume tra le tante foto, se ne troveranno alcune che ritraggono tratti di linee riportati a nuova vita, un pò come le rovine romane diventate lavatoio. Il “riuso” consente loro di ricongiungersi in qualche modo al territorio ed alla comunità diventando così soggetti attivi nell’eterna azione di scambio tra natura e cultura che è alla base della creazione e conservazione del paesaggio. Domani, è un progetto di valorizzazione e conservazione del reticolo ferroviario dismesso che consenta a queste vecchie vie di comunicazione di ritornare ad essere tali, oppure - se Dio volesse - di nuovo in piccole ferrovie attive e dedicate al turismo dolce, trasformandole in corridoi verdi di mobilità dolce. Sentieri di conoscenza e scoperta del paesaggio, capaci di diventare attrattiva turistica. Questo volume è figlio di un precedente e meno ambizioso libro dal titolo “la Ferrovia Sognata”, quando Albano Marcarini lo sfogliò esclamò soddisfatto: “ Finalmente un testo che parla di ieri, oggi e domani del patrimonio ferroviario dismesso” e mi congedò dicendomi che avremmo dovuto costruire un quaderno atlante delle ferrovie dimenticate, era il 2010 e stavamo celebrando la terza giornata nazionale... viaggiando su un tratto di linea umbra da Terni a L’Aquila. In seguito, il successo delle iniziative e soprattutto la grande partecipazione della (per la quarta giornata ci sono stati 89 appuntamenti e più di 15000 partecipanti) ci ha definitivamente convinto che era tempo di iniziare un altro viaggio e di mettere in cantiere questo volume in collaborazione con il network delle associazioni partecipanti a Comodo, così è nato “Ferrovie delle meraviglie”. E dato che un viaggio si compone soprattutto di immagini che emanano emozioni, il volume ne è ricco, anzi per meglio dire, esse sono la sua materia principale.
Ad ogni associazione è stato chiesto di selezionare una serie di foto che sintetizzassero lo stato di salute del tratto di ferrovia dismessa adottato, di quelle foto per esigenze di spazio, ne sono state scelte solo alcune. Le immagini per scelta non sono accompagnate da alcuna didascalia e sono integrate da una scheda redatta dall’associazione stessa divisa in tre parti: ieri, oggi, domani. La lettura si trasforma in un viaggio seduti accanto al finestrino, percorrendo 6000 km di binari dimenticati lungo tutto la penisola. Un gran tour a velocità superiore rispetto a quello del settecento ma sicuramente ancora abbastanza lento per permettere al viaggiatore di leggere il paesaggio e di comprenderne le trasformazioni determinate dallo sviluppo economico. Molte di queste ferrovie sono servite proprio ad avviare il processo di crescita economica e sociale di regioni emarginate, isolate e lontane dalle grandi città. La loro sparizione avvenuta nel corso del XX secolo a causa di una politica dei trasporti che ha privilegiato lo spostamento su gomma, alla concorrenza delle ‘aree forti’ del Paese, al declino dei centri interni della penisola. Oggi esse sono, speriamo ancora per poco, muti testimoni di un processo storico e di una cultura ingegneristica da non dimenticare. Alcune potrebbero anche essere riattivate; soprattutto quelle che si trovano in aree naturali e turistiche di grande rilievo. Altre possono essere convenientemente trasformate in piste ciclabili e pedonali, strumenti principe della ‘mobilità dolce’. Siamo insomma di fronte a un patrimonio di grande valore e significato, che oltre ai tracciati, perfettamente inseriti nel paesaggio, potrebbe allargarsi ai rotabili, alle stazioni e agli altri impianti fissi. CoMoDo, attraverso le Giornate nazionali delle ferrovie dimenticate, ha censito decine e decine di piccole realtà associative, volontaristiche, movimenti di persone negli angoli più nascosti del Paese, che si battono per un vecchio viadotto, per una locomotiva, per un pezzo di binario in disuso. Non si battono per una piccola cosa, ma si battono per conservare la nostra memoria. Vale la pena far emergere queste realtà. Un libro serve a produrre conoscenza, in questo caso a ricordare ciò che è stato “dimenticato”, un risveglio di consapevolezza che è sì un pò malinconico ma che traccia un via futura possibile ed attuabile da percorrere.
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Il primo studio preliminare per la costruzione di un collegamento ferroviario tra Castelvetrano e Girgenti (così si chiamava un tempo l’attuale Agrigento) risale al 1882. Tra tanti campanilismi, ripensamenti ed indecisioni, specie sul tracciato e sullo scartamento da adottare, si giunse fino al 1907, già sotto la nuova gestione delle FS, con i nuovi primi progetti esecutivi. Lunga circa 124 km, la linea venne aperta a tratti dal 1910 al 1923 quando, con l’attivazione del tratto centrale di 22 km da Sciacca a Ribera, la costruzione dell’intera linea poteva ritenersi conclusa fino a Porto Empedocle dove, per recarsi ad Agrigento era però necessario il trasbordo su treni a scartamento ordinario. Mentre il traffico merci, sempre affidato alle vecchie locomotive a vapore, andava quasi scomparendo, complice anche la crisi ormai irreversibile dell’attività estrattiva, l’arrivo nel 1949 di nuove automotrici diesel produsse un consistente incremento del traffico viaggiatori. Questa ventata di novità costituì tuttavia l’unico concreto tentativo per recuperare traffico. Infatti all’introduzione dei nuovi rotabili non fecero seguito interventi infrastrutturali ormai inderogabili a causa soprattutto delle critiche condizioni dell’armamento, da tempo soggetto a scarsa o nulla manutenzione. Anche il sistema di segnalamento e gestione del traffico necessitava di importanti interventi di ammodernamento senza i quali l’esercizio non poteva che registrare pesanti limitazioni con conseguente ulteriore abbassamento della velocità commerciale già di per sé bassa. Solo nel maggio 1951 i servizi vennero finalmente prolungati da Porto Empedocle ad Agrigento Centrale (senza cambi) grazie all’aggiunta di una terza rotaia al già esistente binario a scartamento ordinario fino ad Agrigento Bassa (costruito fin dal 1874). Ormai però era tardi e la Castelvetrano - Agrigento vedeva ridursi ogni giorno il numero degli utenti a causa dei lunghi tempi di percorrenza e di un’offerta di servizi non più concorrenziale. Dopo un breve ed improvviso risveglio nel 1966 a causa dell’imponente frana che sconvolse Agrigento, con migliaia di sfollati, già nel 1976, il capolinea dei servizi tornò a Porto Empedocle essendo stata tolta la terza rotaia da qui ad Agrigento Bassa. Altri dissesti, dovuti al maltempo, portarono infine alla chiusura, tra la fine del 1977 e l’inizio del 1978, della sezione da Ribera a Porto Empedocle, con l’introduzione di servizi sostitutivi con autocorse. Con un servizio sempre più improponibile, con orari assurdi e mancate coincidenze, la chiusura di ogni servizio ferroviario giunse inesorabile il 31 dicembre 1985. Era la conclusione di un’epoca: anche per l’ultima linea a scartamento ridotto delle FS veniva scritta la parola fine.
Da Castelvetrano a Ribera, l’ultimo tratto ad essere dismesso a fine 1985, la sede ferroviaria è chiaramente rintracciabile per quasi l’intera estensione, con il binario ancora posato, sebbene in alcuni punti in modo molto precario, o per brevi tratti asportato abusivamente (come nella galleria tra Sciacca e Bellapietra). Tra Porto Palo e Menfi l’ex-sedime è stato recuperato come percorso ciclo-pedonale inglobando nel cemento ed asfalto il vecchio binario mentre da Ribera a Porto Empedocle, invece, la sede ferroviaria, abbandonata già dal 1978 e non più armata, è diventata per lunghi tratti una strada campestre. Più compromessa la situazione nelle aree urbane dove il tracciato tende a scomparire, spesso inglobato nelle proprietà confinanti o trasformato in strada pubblica o in parcheggi nelle aree di stazione. Le opere d’arte (viadotti e gallerie) ed i fabbricati delle ex-stazioni, seppur quasi tutti abbandonati, sono generalmente in buono stato nel tratto dismesso più recentemente, mentre appaiono in condizioni peggiori da Ribera a Porto Empedocle (pur non mancando qualche esempio di recupero).
domani Per questa linea, come per tutte le altre a scartamento ridotto già gestite dalle FS, non vi sono realistiche prospettive di completa riapertura ma rimane sostenibile il ripristino di limitate tratte a scopo turistico. Ad esempio il ripristino dell’ancora esistente binario fino a Selinunte, sostenuto dall’Associazione palermitana TrenoDOC, sarebbe di notevole utilità, tra l’altro, per dare ai turisti la certezza di un mezzo di trasporto le cui corse risultino dagli orari reperibili in tutta Italia (cosa che non avviene con le attuali autolinee). Un’altra Associazione, Ferrovie Kaos, attiva nell’agrigentino, ha invece proposto la riattivazione a fini turistici di 12 km di linea, nel tratto compreso tra Sciacca e Verdura. La stessa Associazione (di cui è Presidente Onorario il famoso scrittore Andrea Camilleri) da alcuni anni ha ricevuto in gestione da RFI la stazione di Porto Empedocle ora tornata a nuova vita grazie anche all’organizzazione, in alcuni periodi dell’anno, in collaborazione con Trenitalia, di manifestazioni come il “Treno dei Templi” o i treni “Akragas Express” che percorrono la linea tra Agrigento, la valle dei templi (con fermata al Tempio di Vulcano per visite turistiche) e la stessa Porto Empedocle.